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IL PENSIERO DI MACHIAVELLI riprende elementi della cultura

dell’epoca
-Uno dei concetti più importanti DELL’UMANESIMO è l’esaltazione
dell’antichità.
Machiavelli affermando che è necessario imitare gli antichi e non
solo nei settori che fino a quel momento erano stati considerati
come le arti, il diritto e la medicina ma anche per quanto riguarda la
politica.
Questo concetto è riportato nel Proemio dei Discorsi sopra la prima
Deca di Tito Livio (T.63) dove egli annuncia proprio questo
principio: lo studio e l’analisi della storia antica sono indispensabili
per capire il presente.
Machiavelli afferma che alle persone piace tanto vedere le statue
degli antichi ammirarle, metterle in casa ma la stessa cosa non
fanno per le storie degli antichi che sono virtuosissime azioni che
dovrebbero essere prese come modello.
Tutte le grandi discipline si rifanno all’antichità quindi anche la
politica dovrebbe imitare l’antichità.
Egli in parte considera responsabile di questa indifferenza verso gli
antichi il cristianesimo che ha reso gli uomini apatici e inattivi ma la
colpa è soprattutto dell’ignoranza degli uomini che non conoscono
la storia e non la sanno apprezzare.
Lo scopo per cui egli allora scrive questo libro è proprio quello di
facilitare la conoscenza della storia.

-Il concetto più importante del NATURALISMO è il giudicare l’uomo


come una realtà naturale soggetto come tutta la natura a leggi
immutabili.
Machiavelli infatti ha una visione pessimistica della natura umana e
ritiene che gli uomini siano “naturalmente” ingrati, falsi, egoisti e che
questa loro natura sia immutabile.

Machiavelli parte da questa considerazione degli uomini per


affermare quali debbano essere le caratteristiche e le virtù di un
Principe. In particolar modo è nel caP. 15 (T58) e poi nel cap. 18
(T59) che esprime
-la duplice natura dell’uomo (una parte propriamente umana = la
sua natura razionale e una parte bestiale = la sua natura istintiva)
-in virtù della quale al Principe sono necessarie precise qualità.

Machiavelli dice di non essere certo il primo a proporsi l’obiettivo di


ragionare sulle qualità necessarie al principe per consolidare il suo
potere e tuttavia egli afferma di essere diverso da quelli che fino ad
ora hanno scritto di quell’argomento.
Fino a quel momento si faceva riferimento ad un “modello ideale” di
Principe mentre Machiavelli dice di partire dalla “VERITA’
EFFETTUALE” cioè dalla realtà.
Questa realtà lo porta a sostenere che l’azione politica non deve
tener conto della morale ma delle CONSEGUENZE DEL SUO
AGIRE in termini di ruina o di sicurta’ e bene comune: per
governare i concetti di bene e male sono inutili in quanto il sovrano
deve pensare solo al suo FINE cioè a mantenere il potere e
all’interesse dei sudditi e dello Stato.
Per raggiungere il suo fine il Principe deve essere duttile e prudente
cioè capire quando si deve comportare da buono e imparare a
poter essere anche non buono al momento opportuno.

Machiavelli afferma che sarebbe lodevole per un principe essere


sempre buono e trasparente e senza astuzia ma ritiene che nella
realtà della politica queste qualità non riescono talvolta ad essere
efficaci e dunque il principe deve essere in grado di essere il
contrario di quello che in teoria dovrebbe essere.
Il principe cioè deve saper usare bene “l’uomo che in lui” ma anche
“la bestia che è in lui” in particolar modo deve essere leone per
difendersi dalle persone crudeli e volpe per difendersi dagli inganni.

Tuttavia il principe non necessariamente deve essere privo di


moralità perché in genere gli uomini sono molto superficiali e
giudicano solo l’apparenza poichè non riescono a scendere nella
profondità delle cose: per questo al principe basta che faccia
credere di essere in grado di comportarsi in maniera non morale
perché gli uomini saranno in grado di vedere solo quello che lui
vorrà mostrare e non quello che è realmente.

Agli occhi di Machiavelli il DUCA VALENTINO è l’incarnazione del


PRINCIPE IDEALE (T.57)

Cesare Borgia è figlio del papa Alessandro VI che promuove suo


figlio prima arcivescovo, poi cardinale. A quindici anni Cesare è
dottore e vescovo, a diciassette arcivescovo e cardinale.
Ovviamente queste cariche servivano soltanto per incassare le
ricche rendite ecclesiastiche per il resto, Cesare viveva nel lusso e
si comportava come un giovane del suo tempo, senza nemmeno
ricordarsi di essere un ministro e un principe della Chiesa.

Nel 1497, essendo in competizione con il fratello sia per motivi


politici che per gelosia (i due fratelli pare fossero amanti della
stessa donna), lo fa uccidere. Ed è con questo omicidio che inizia la
sua inarrestabile ascesa.
Nel 1498 si dimette da tutte le cariche ecclesiastiche e si dedicherà
esclusivamente alla carriera militare e al progetto di crearsi, con
l'appoggio del padre, uno Stato nell'Italia centrale.

Per ottenere l'appoggio della Francia, Cesare sposa una nipote del
re Luigi XII. Il re gli dà il titolo di Duca di Valentinois. Da qui deriva il
soprannome con cui è noto: "duca Valentino", o semplicemente
"IL VALENTINO".
Quando Luigi XII invade l'Italia per prendersi il ducato di Milano e il
regno di Napoli, le truppe francesi sono guidate dal duca Valentino.
Il duca dilaga in Romagna poi tocca a Faenza, Pesaro, Cervia,
Rimini…. Dopo questi successi , Cesare Borgia punta verso il
Regno di Napoli, conquista con l'inganno Capua e ne massacra la
popolazione, lasciando che i suoi soldati stuprino le donne.

Una vittoria dopo l'altra, una strage dopo l'altra, un inganno dopo
l'altro, Cesare Borgia diventa quindi il potente signore di uno Stato
nell'Italia centrale, esteso tra la Romagna e le Marche.
Ma presto i suoi stessi capitani di ventura, che lo hanno
accompagnato nelle stragi e nelle vittorie, prendono a invidiarlo e a
odiarlo. Iniziano così a tramare una congiura contro di lui.

Cesare Borgia viene a conoscenza della congiura e medita la


vendetta: si preparava a fare piazza pulita di tutti i suoi avversari.
Mise assieme un nuovo esercito composto di soldati francesi,
fiorentini e mercenari
Chiese poi ai congiurati di tornare con lui, promettendo loro il
perdono e grandi vantaggi, corrompendoli con soldi e regali.

Gli credettero : i congiurati invitarono il duca a recarsi da loro per


suggellare gli accordi.
Cesare Borgia accolse l'invito e preparò la strage.
I congiurati non sospettavano niente perché erano stati loro stessi a
invitare il loro ex nemico.

Il Valentino incontrò i congiurati e insieme si diressero verso una


abitazione che il duca aveva scelto come sua dimora e che era
stata "preparata" da uno dei suoi sicari. Entrarono... Il duca
improvvisamente si dileguò, vennero fuori un certo numero di
uomini armati e i congiurati furono arrestati.
Nel 1503 Alessandro VI morì, lasciando il duca Valentino senza la
sua fondamentale protezione. Il suo successore, Giulio II, nemico
giurato dei Borgia, tolse al duca il governo della Romagna e lo
imprigionò a Castel Sant'Angelo (Roma). Il duca riuscì a scappare e
a rifugiarsi a Napoli, ma fu di nuovo catturato e mandato in esilio in
Spagna, dove alla fine morì di sifilide.

ll giudizio finale di Machiavelli


Il cap. 7 del "Principe" è dedicato quasi interamente a Cesare
Borgia: le azioni del personaggio sono elogiate. Secondo
Machiavelli, il duca sbagliò soltanto perché non previde le
circostanze sfavorevoli che potevano causare la sua rovina, come
la morte del padre e l'elezione a nuovo pontefice di Giulio II dei
Medici. In tutto il capitolo è evidente l'ammirazione dell'autore per la
figura del duca, anche se quest'ultimo si era macchiato di gravi
delitti. Anzi, il Valentino sembra per Machiavelli essere un modello
perfetto al quale tutti quelli che vogliono conquistare e mantenere
uno Stato dovrebbero ispirarsi.
Machiavelli non dà del Borgia un giudizio morale ma valuta solo i
suoi comportamenti in funzione della loro efficacia.

Machiavelli dopo aver esposto la teoria politica nel cap.24 (T.60)


inizia a parlare concretamente delle cause che hanno portato i
principi italiani a perdere i loro stati.
Al riguardo propone due esempi: Federico d’Aragona, re di Napoli,
detronizzato nel 1501, e Ludovico il Moro, scacciato da Milano.
In entrambi i casi Machiavelli propone la stessa causa che ha
portato questi due principi a perdere il potere: entrambi mancavano
di milizie fedeli e preparate che riuscissero a difendere il loro regno,
e probabilmente mancavano anche dell’appoggio del popolo.
Secondo Machiavelli, infatti, il popolo dovrebbe temere il suo
principe, ma non del tutto odiarlo. Dovrebbe vedere in lui una figura
forte e a volte violenta, ma sempre capace di garantire pace e
stabilità al suo regno.
Per sostenere questo suo argomento, come sempre, Machiavelli
propone come esempio la figura di Filippo V re di Macedonia. Egli,
infatti, essendo uomo pratico di armi e capace di intrattenere il
popolo e di assicurarsi il favore dei potenti, riuscì a mantenere il
controllo del suo regno nonostante si fosse trovato a fronteggiare
civiltà, come quella romana o greca, che erano molto più grandi
della sua.
Alla fine, Machiavelli enuncia il rapporto che esiste tra “fortuna” e
“virtù”. Per Machiavelli un principe deve essere in grado di opporre
forza al fato, prevedendolo e limitando le sue conseguenze
negative.
I principi italiani che hanno perso il loro regno, quindi, non devono
incolpare la cattiva fortuna, bensì la loro stessa ignavia.

Del rapporto tra virtù e fortuna parla specificatamente nel cap25


(T.61) .
Secondo Machiavelli l'uomo deve saper cogliere le occasioni che la
Fortuna gli offre e poi saperle sfruttare a proprio vantaggio. Anche
partendo da una situazione negativa si può arrivare a qualcosa di
positivo.
Machiavelli si rifiuta di credere che la volontà dell'uomo sia
completamente governata dalla Fortuna---> l'uomo deve saper
prevedere (in tempi di quiete) ciò che potrà un giorno accadere (in
giorni di tempesta) e quindi prendere rimedi in anticipo--
> similitudine del fiume---> prevedere in tempo i pericoli e le
situazioni che potranno verificarsi è come costruire un argine lungo
il fiume per prevenire l'inondazione della città.

La Fortuna, quindi, governa sì la vita dell'uomo, ma a metà, insieme


al Libero Arbitrio che diventa uno strumento potentissimo se usato
in maniera saggia, cioè adeguandosi al momento che si sta vivendo
e cambiando di volta in volta il modo di agire.
In sostanza Machiavelli sostiene che il Principe manterrà a lungo il
suo potere se saprà di volta in volta adeguare il suo comportamento
alla situazione che si troverà davanti: quindi una volta dovrà essere
prudente, una volta temerario, una volta violento, una volta
paziente.. solo così riuscirà nel suo governo e potrà far fronte agli
imprevedibili rivolgimenti della Fortuna. D'altronde…”la fortuna è
donna” ed è più probabile che sia domata con la forza che non
lasciandola libera.
Niccolò Machiavelli, nasce il 3 maggio del 1469 a Firenze,
dove trascorre la maggior parte della sua esistenza.
Durante la repubblica fiorentina Machiavelli inizierà la sua
carriera politica come segretario della Cancelleria della
Repubblica e, in seguito, segretario del consiglio dei Dieci.
Da lì il suo ruolo divenne sempre più importante. Machiavelli
svolse una serie di missioni diplomatiche. Proprio grazie a
queste missioni diplomatiche, Machiavelli ebbe l’opportunità
di osservare alcuni principi, capendo le differenze nel modo
di governare e l’indirizzo politico di ognuno. In particolare,
Machiavelli lavorò per Cesare Borgia, avendo l’occasione di
conoscerlo e di interessarsi all’astuzia politica e al pugno di
ferro dimostrati dal tiranno. A partire da questa esperienza,
successivamente Machiavelli farà analisi politiche molto
realistiche della situazione contemporanea a lui, mettendole
a confronto con altri esempi storici. Anni e anni di
osservazioni permisero a Machiavelli di scrivere molto
riguardo alla politica, a come dovrebbe essere un buon
governante.
Machiavelli era convinto che la situazione italiana dell’epoca
richiedesse un nuovo tipo di politica, basato su “prudentia et
armi”, saggezza ed armi.
Con l’avvento dei Medici che ripresero il potere a Firenze
Niccolò venne licenziato e confinato nella villa
dell’Albergaccio (Casciano) per un anno.
In pausa dalla carriera politica comincerà a scrivere le sue
opere più importanti.
Malgrado i numerosi tentativi di Machiavelli di rientrare in
politica, i Medici lo relegarono sempre a compiti di minore
importanza. Anche dopo la loro cacciata nel 1527,
Machiavelli provò invano a mettersi al servizio della
Repubblica, ma il suo comportamento con i Medici aveva
reso sospetta la sua condotta. Proprio quell’anno, nel 1527,
il 21 giugno Machiavelli muore, per cause naturali, a Firenze
all’età di 58 anni.

Le opere POLITICHE maggiori di Machiavelli furono:


-Il Principe
-I discorsi sopra la prima deca di Tito Livio

IL PRINCIPE è un trattato politico scritto da Machiavelli nel


1513, periodo in cui Machiavelli è in esilio .
Si compone di una DEDICA e 26 CAPITOLI preceduti da un
titoletto in latino che ne riassumono il contenuto.
Da un punto di vista tematico l’opera si divide in quattro parti
fondamentali:
-l’analisi dei diversi tipi di principato (capitoli 1-9)

-ordinamento delle milizie (capitoli 12 -14)

-le virtù e i comportamenti adatti al principe (15 -18)

-la situazione italiana (24 -26)

Per capire perché Machiavelli ha deciso di scrivere questo


trattato politico risulta importante la lettera che Machiavelli
scrive all’amico Francesco Vettori (T.54)
La lettera è stata scritta nel 1513 quando Machiavelli è
costretto a vivere nella sua casa di campagna
all’Albergaccio nel piccolo borgo vicino a San Casciano
perché in esilio.
Nella prima parte della lettera Machiavelli racconta all’amico
le sue giornate da esiliato all’Albergaccio: litigi coi boscaioli,
giochi a carte nella taverna con la gente del posto, caccia….
La sera invece si spoglia di questi abiti volgari e si dedica
alla sua vera passione, la lettura dei classici.
Pur confinato tra gente rozza e incolta egli afferma di non
aver perso la sua passione politica e nella lettera annuncia
all’ amico di aver scritto appunto il Principe.

Quello che Machiavelli vuol scrivere non è un trattato di


scienza pura ma è un libro di attualità politica infatti contiene
proposte concrete per risollevare la penisola italiana dalla
rovina a cui l’ hanno condotta i principi dei vari Stati
regionali.

IL PRINCIPE si apre con una lettera che in realtà è una


dedica al principe Lorenzo dei Medici il giovane, duca di
Urbino ed è nipote di Lorenzo dei Medici il Vecchio..

Machiavelli dedica a lui il libro nella speranza di fargli cosa


gradita e di essere anche riammesso a Firenze.

Machiavelli già aveva detto nella lettera dedicata a


Francesco Vettori che la sua opera sarebbe stata dedicata a
Giuliano dei Medici, anche se poi cambierà e la dedicherà a
Lorenzo dal momento che Giuliano muore.

Innanzitutto in questa lettera Machiavelli afferma di voler


regalare una cosa al suo principe.
Generalmente i principi quando aspettano dei doni si
aspettano dei doni materiali ( gioielli, cavalli, cose preziose,
oggetti materiali di enorme valore) Ma Machiavelli afferma
che lui queste cose non le può regalarle perché non ha
soldi. C’è solo una cosa che ha fatto nella vita e può offrire:
-il suo lavoro politico
-e lo studio dei classici e del passato.

Machiavelli è un uomo pratico è realista. Ecco quindi che


Machiavelli parte proprio dall’ESPERIENZA e dalla
LEZIONE DELLE COSE ANTICHE

Machiavelli afferma di averci messo anni ad imparare quelle


cose ed ora il principe le può apprendere velocemente con
questo libretto che lui gli regalerà

che cosa hai imparato?


-Dall’esperienza (cioè dal fatto di essere stato segretario
presso la seconda cancelleria della Repubblica Fiorentina
tra
il 1498 e il 1512: le cose moderne

-Dallo studio ( la lettura dei testi degli antichi ) i modelli a


cui riferirsi validi ancora oggi

Nella dedica Machiavelli parla anche dello stile con cui ha


scritto questo trattato.
Dice che quest’opera nonè ornata di parole ampollose e
magnifiche ma lo stile utilizzato è sobrio, essenziale, privo di
qualsiasi artificio retorico che non serva a capire il
contenuto.
L’unica cosa che devi rendere grande il testo non deve
essere la forma ma le cose che vi sono descritte.
In particolar modo:
-LA VARIETÀ della materia e LA GRAVITÀ della materia:
Il contenuto infatti sarà vario e importante dal momento che
egli vuol parlare della politica del tempo

Nell’ultima parte della lettera Machiavelli giustifica così il


fatto che lui ormai pur essendo un semplice cittadino,
oltretutto esiliato dalla città, si metta a parlare di principati e
di principi, rivolgendosi al principe in persona. Non vuole
passare da presuntuoso.
-Innanzitutto perché lui vorrebbe che fosse apprezzato e
quindi anche reintegrato a FIRENZE e nella vita politica
-ma secondariamente lui dice che per parlare dei principati
bisogna essere ‘ populari’ nel senso che per guardare una
cosa oggettivamente bisogna essere fuori dalla cosa stessa
bisogna guardarla dall’alto.
Un principe non potrebbe parlare oggettivamente dei
principati perché parlerebbe di se stesso e sarebbe troppo
coinvolto emotivamente nella situazione ——quindi i principi
possono decidere sul popolo perché loro dall’alto dei loro
poteri possono cercare di capire che cosa è giusto per il
popolo ma i popolari invece possono dire qualcosa sui
Principi in modo oggettivo:
per conoscere la natura dei popoli bisogna essere principi
per conoscere quella dei principi conviene essere popolari
cioè uomo del popolo.

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