l’età napoleonica
2. le ideologie
Gli anni 1796 costituirono il cosiddetto “triennio giacobinno”: sono questi anni di
profonde illusioni in un rinnovamento politico. All’interno dello schieramento dei
‘patrioti’, che appoggiano le innovazioni portate dalla Francia, si distinguono due
tendenze molto diverse: una più democratica, che aspira ad un radicale cambiamento
politico, sociale ed economico; l’altra di orientamento moderato, che mira a graduali
riforme che salvaguardino il principio della proprietà privata e l’egemonia dei ceti
superiori di cui facevano parte i proprietari terrieri e la ricca borghesia, contenendo le
spinte dei ceti popolari. Queste idee erano però proprie solo dei ceti colti. Le masse
popolari rimasero profondamente estranee a queste idee, conservandosi fedeli alle
tradizioni religiose e politiche del passato. Anche questa divisione tra patriottici,
favorevoli al progresso e contadini, estranei ed ostili alle idee innovatrici, saranno poi
uno dei punti cardine della successiva formazione di uno stato unitario.
Nonostante però da un lato il regime Napoleonico trovò consensi in numerosi strati
sociali, dall’altro trovo il dissenso di molti rappresentanti di ceti superiori, specie
degli intellettuali. Infatti la componente politicamente più avanzata, quella
‘giacobina’, vide nell’instaurarsi della dittatura napoleonica un tradimento delle
istanze di libertà e democrazia sorte nel momento del primo fervore rivoluzionario.
4. gli intellettuali
Nel triennio giacobino si delineò un ruolo sociale nuovo per l’intellettuale. Egli ora
era colui che elaborava e diffondeva le ideologie della trasformazione democratica,
che aveva il compito di creare il consenso di massa intorno a tali idee. Era il suo un
ruolo attivo, egli doveva immergersi nel cuore del processo politico, infatti questo fu
un periodo di intensa partecipazione alla vita politica e fu vissuto dagli intellettuali
con estremo entusiasmo, quasi come se fossero loro gli artefici del progresso.
Appunto però questo periodo fu spento dall’assestarsi del regime napoleonico.
Riprese anzi vigore il vecchio ruolo del poeta cortigiano, celebratore dei fasti del
potere: ruolo che fu incarnato esemplarmente da Vincenzo Monti.