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Con il concilio di Trento fu nuovamente costituito il tribunale dell’Inquisizione e la pubblicazione

di un indice dei libri proibiti, in cui finirono subito alcuni classici della letteratura antica e moderna,
come L’Orlando Furioso di Ariosto, il Decameron, la Divina Commedia, il De Monarchia e il
Canzoniere di Petrarca. A questi si deve anche aggiungere la crisi del ruolo che fino a quel momento
avevano svolto le corti signorili, le corte italiane erano state un’importante e fondamentale centro di
aggregazione culturale nel quale gli intellettuali italiani hanno trovato ospitalità e le condizioni
ideali per svolgere la loro missione di studiosi e artisti. Adesso le corti signorili colpite duramente
dalla crisi politica italiana di quegli anni, dal fatto che la loro funzione di guida politica era stata
ridimensionata dalla Spagna, risultata vincitrice dal conflitto con la Francia, ridotte anche nella loro
capacità di spesa per la crisi economica. E quindi le loro limitate risorse finanziarie non potevano
più essere destinate al sostegno dell’arte e della cultura, a quegli uomini che avevano dato lustro
alla cultura italiana fino a quel momento. Da quel momento in poi non c’è più niente che garantisca
protezione economica e fisica agli artisti, non c’erano più centri culturali in cui discutere delle
proprie ideologie nelle corti italiane. A questo aspetto in qualche modo si trovò una soluzione: nella
seconda metà del Cinquecento, assistiamo ad una fioritura delle accademie, veri e propri centri
culturali nelle quali gli intellettuali si incontravano per avere l’occasione di un confronto. Ma
rimaneva un quadro complessivo fortemente precario e critico con l’evidente conseguenza che
anche l’attività culturale artistica e culturale si ridusse molto, finì per essere condizionata dai limiti
imposti dalla Contro Riforma. Bisognava dire cose che non potessero destare il minimo sospetto di
essere pericolosi per la chiesa e per la verità che essa riteneva assoluta. Quindi chi invece persisteva
orgogliosamente e ostinatamente nel suo atteggiamento di libero pensatore ha pagato il prezzo
salatissimo e durissimo di questa sua scelta. Tommaso Campanella morì in una prigione calabrese
fingendosi pazzo, evitando il rogo che invece non riuscì ad evitare Giordano Bruno, bruciato vivo
nel febbraio del 1600 a Campo dei Fiori a Roma. Il 1600 si apre con questo avvenimento simbolico
di un clima profondamente cambiato rispetto a pochi decenni prima. Più tardi Galileo Galilei fu
costretto a rinnegare ciò che sperimentalmente ebbe potuto verificare che era la Terra a ruotare
intorno al Sole e non viceversa, come diceva la Chiesa, sulla base delle sacre scritture. La Spagna
esce vincitrice dal confronto con la Francia fino alla pace di Cateau-Cambresis, era stato un
confronto molto dispendioso che aveva speso ingentissime risorse finanziare. La Spagna finì per
presentarsi come un gigante con i piedi di argilla, ma richiedeva una tassazione della popolazione
dei sudditi. Oltretutto una crisi finanziaria aggravata dalle Americhe recentemente scoperte da
Cristoforo Colombo nel 1492 e lentamente nel Cinquecento si erano intensificate le attività
commerciali. Nel nuovo continente l’oro veniva estratto in grandi quantità e portato in Europa, la
moneta occidentale perde valore e la vera ricchezza si concentra sempre di più in chi possiede l’oro.
L’inflazione cresce in maniera esponenziale e quindi sul piano sociale si aggrava la povertà delle
popolazioni europee e italiane in modo particolare. A questo si aggiunge sempre più pressante la
politica fiscale della Spagna e i danni delle popolazioni sottomesse, in Italia in modo particolare.
Questo quadro di debolezza che la Spagna incomincia a manifestare fa un po’ traballare l’egemonia
appena conquistata e torna a presentarsi sulla scena europea i conflitti che fecero combattere la
Spagna con la Francia e l’Inghilterra. Guerra dei Trent’Anni: conflitti che insanguinarono l’Europa
intera e sopratutto l’Italia, portando conseguenze sul piano sociale come la diffusione di epidemie
come la peste che colpì ripetutamente l’Italia nei primi decenni del Seicento così come portarono
alla devastazione e ai saccheggi che frequentemente si ripetevano nelle principali città italiane a
opera delle truppe degli eserciti invasori. Una volta distrutto il raccolto le popolazioni non avevano
più nulla da mangiare, insomma è una situazione veramente grave che qua e là suscitava delle
ribellioni che finivano rapidamente represse come quella che scoppiò a Napoli nel luglio 1647.
Questa rivolta fu causata dall’imposizione di una nuova tassa sulla frutta, imposta dal governo
spagnolo. Questo scatenò la ribellione del popolo napoletano che portò rapidamente ad un
sovvertimento dell’ordine costituito, però ben presto in una decina di giorni il potere spagnolo riuscì
a riprendere il controllo della situazione e la rivolta finì in un batter d’occhio. In tutto questo
contesto assistiamo ad una progressiva chiusura della letteratura italiana, ad una restrizione
dell’orizzonte culturale dei nostri scrittori. Finisce l’epoca delle grandi visioni e delle grandi opere
di prospettiva, come quella di Machiavelli, che fu capace di vedere quale poteva essere una
prospettiva politica migliore e di sicurezza per l’Italia. Questi slanci ideali che avevano fortemente
caratterizzato la cultura italiana, chi ha la mente libera può vedere l’infinito che c’è al di là della
siepe. Questo adesso non è possibile perché può costare la vita, si rischiava la vita per molto meno,
anche per un semplice sospetto si finiva processati come molte donne bruciate vive sulla base di
accuse di stregoneria, create sulla base del nulla. Tutte queste cose imponevano molta prudenza e
consigliavano di stare ben dentro certi confini piccoli e limitati, dove non vi era niente di
pericoloso. Oppure si poteva continuare una linea che in qualche modo era stata affermata nel corso
della tradizione precedente: il culto del formalismo, fortemente presente in Pietro Bembo. Questa
ricerca accanita della perfezione formale, questa cura esasperata ed esclusiva della forma priva di
ogni contenuto è un’altra linea che si afferma nella cultura del Seicento. In questo periodo
assistiamo a questi due fenomeni: da un lato la chiusura provinciale o cittadina dell’esperienza
umana e della vita quotidiana che non hanno grande rilevanza sociale o ideale, fatti che diventano
oggetto della poesia seicentesca; dall’altro lato abbiamo una letteratura che si sofferma sull’aspetto
formale dell’espressione, assolutamente indifferente rispetto ai contenuti da trasmettere e
comunicare. Questo è il barocco, è una forma della cultura, non solo italiana ma europea. La
profonda crisi culturale europea si manifesta sopratutto in Italia, portandola a non esercitare più una
funzione dominante nel quadro letterario ed europeo come agli orini della letteratura e nel
cinquecento. Le opere letterarie create dagli scrittori italiane ebbero un successo europeo, tanto da
avere imitatori fuori dalla nazione. Erano gli italiani gli esportatori della letteratura e della cultura,
l’avanguardia del movimento culturale mondiale. Dalla seconda metà del Cinquecento invece la
situazione cambia perché la letteratura italiana non è più in grado di svolgere questo ruolo trainante
di diffusione di idee e modelli, validi per le culture del resto dell’Europa. Gradualmente il centro
della vita culturale letteraria tende a spostarsi in altri paesi. Il barocco è un gioco retorico, un
esercizio di bravura attraverso il quale lo scrittore dimostra la sua capacità di creare immagini e
analogie fino a quel momento inconcepibili alla quale nessuno aveva pensato con l’idea che in
questo modo si riusciva a stabilire la superiorità dei moderni sugli antichi, con l’intenzione di creare
opere letterarie altrettanto durevoli, come lo erano state le opere dei classici antichi. Gli scrittori del
seicento ritenevano di poter superare la grandezza degli antichi attraverso l’uso di strumenti che
erano propri della civiltà letteraria, appunto la ricerca esasperata di analogie, similitudini,
accostamenti improbabili tra realtà lontanissime tra loro accostate sulla base di elementi o di
somiglianza o di contrapposizione che dovevano suscitare la meraviglia del lettore. Qui risiedeva il
valore dello scrittore, la dimostrazione della sua capacità di essere creatore di un nuovo classico
destinato a durare nei secoli successivi così come duravano da secoli la grandezza di opere come
l’Eneide, l’Odissea, l’Iliade, il Canzoniere. “Noi non abbiamo bisogno di imitare gli antichi perché
loro non hanno imitato nessuno per diventare grandi, loro sono diventati grandi dando sfogo alla
propria fantasia, noi dobbiamo far leva sulle nostre capacità creative.” sono queste le ragioni sulla
base delle quali gli scrittori del Seicento ritengono di poter essere superiori agli antichi e inizia
questa fase in cui vi è una disputa che si protae nel corso del tempo sul problema della superiorità
degli antichi e dei moderni. Al di là di questo aspetto, il problema è che nel corso del Seicento si
pongono basi nuove della tradizione letteraria, tagliando i conti però con quella precedente. Così
come la tradizione letteraria non è servita agli antichi per creare le proprie opere letterarie e così si
afferma questo tipo di cultura, che ebbe in Italia come massimo esponente Gianbattista Marino,
autore di un poema mitologico intitolato “Adone”. In questo poema lunghissimo, più lungo della
Divina Commedia, si racconta la storia d’amore per venere che suscita la gelosia di Marte,
anch’egli innamorato di Venere, tanto da uccidere Adone. Su una storia così esigua Marino riesce a
costruire un poema con ventimila versi, tutto costruito sulla ricerca formale delle espressioni. Su
quella esibizione della propria capacità espressiva capace di suscitare lo stupore in chi legge.
Marino ci dà un esempio significativo della letteratura barocca: l’applicazione totale che l’autore
mette nella ricerca di metafore, bisticci linguistici, similitudini, analogie, di somiglianze che
possano esaltare il valore della rosa. La rosa è il sorriso dell’amore, una creatura divina, resa rossa
dal sangue di Venere. Giochi di parole come quello tra prego e fregio, metafora usata per
rappresentare tutti i fiori attraverso il profumo dei quali i frutti la rosa è la suprema rappresentante.
Tu detieni il primato, sei onorata e venerata come la più bella di tutti i fiori. Già nella prima strofa
vengono messi in evidenza molti tratti caratteristici della poetica del barocco, come un’imperatrice
consapevole del suo potere siede al trono, siedi sulla nativa sponda. Il tuo trono è la sponda della
riva sulla quale tu nasci, paragonata al trono di un’imperatrice superba che esercita la
determinazione che dipende dal suo ruolo. Le spine della rosa vengono paragonate ad una schiera di
guardie armate a difesa dell’onore e delle virtù della rosa. E tu consapevole della tua bellezza, con
un’altra serie di giochi linguistici (porpora dei giardini), nei giardini sei quella che colora le rose di
rosso, quando in un prato ci sei tu esso è orgoglioso di averti, tu sei una gemma di primavera,
occhio di aprile mese della primavera. Tutte le divinità si ornano la chioma con ghirlande ornate di
rose o si fanno delle collane da appendere al collo. Quando in primavera le api tornano a ronzare sui
fiori per succhiare il nettare o il vento gentile porta il polline per seminare gli altri prati, offri da
bere in una tazza di rubini (la rosa di colore rosso) e offri le delizie che un fiore può dare alle api per
fare il miele e il polline al vento per poterlo portare in giro. Tu sei con le tue bellezze uniche e sole
che nessun fiore possiede, sei lo splendore della Terra, il Sole in cielo. Il sole nel suo cielo, tu nel
tuo stelo, tu sei il sole in terra e lui la rosa in cielo. La rosa diviene il sole della terra. Tra te e il sole
ci sarà un’uniformità di comportamenti, di desideri e sopratutto di caratteristiche. Tu e il sole sarete
amanti uno dell’altro. Tu tenderai i tuoi petali e il sole rivolgerà i suoi raggi verso di te. Delle tue
spoglie, il sole vestirà del colore rosso, di questo colore vestirà l’aurora nelle lande. Porterai sempre
nei tuoi pistilli un piccolo sole. Conclude dicendo elegendo la rosa venere a suo fiore prediletto. Gli
scrittori del seicento trovano in Marino uno degli esponenti migliori che porta il barocco ad uno dei
suoi massimi livelli.

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