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L’ETA’ POSTUNITARIA

IL POSITIVISMO:
Nella seconda metà del 1800, nella cultura europea, domina in tutti i campi il Positivismo, un movimento a
carattere filosofico, che propugna l'aderenza a ciò che è positivo e che è sperimentalmente accettabile. il
termine stesso è legato al concetto di "positivo", che significa concreto e sperimentalmente accertabile.
A livello storico, questo periodo è caratterizzato dalla seconda rivoluzione industriale (progresso scientifico
e tecnologico con l'avvento dell'elettricità e del motore a scoppio), che ha diffuso una fiducia nel progresso
e nelle capacità dell'uomo di risolvere problemi scientificamente.
A tale progresso, si affiancano però i problemi della questione sociale (che coinvolge gli strati più disagiati) e,
nel caso dell'Italia, i problemi dell'Italia post-unitaria.
Con l’unificazione, l’Italia divenne una monarchia costituzionale, regolata dallo Statuto albertino del 1848. Il
nuovo Stato era fortemente accentratore: nonostante la grande varietà di tradizioni, costumi, linguaggi,
condizioni economiche e sociali, le autonomie locali erano inesistenti. A tutta l’Italia venne estesa la
legislazione sabauda, per quanto riguarda l’amministrazione, l’apparato fiscale, la scuola, l’esercito.
Nelle strutture economiche, l’Italia era molto arretrata rispetto agli altri paesi europei e ancora lontana da
una e vera rivoluzione industriale. Per il primo quindicennio unitario, al potere ci fu la Destra storica, che era
ostile a uno sviluppo industriale italiano e preferì uno sviluppo agricolo-commerciale e attivò il libero
scambio. Ma in zone come al centro sud i metodi di coltura restarono arcaici. Un settore attivo fu invece
quello delle opere pubbliche.
Il quadro cominciò a cambiare con l’avvento della Sinistra, che inaugurò una nuova politica economica per
favorire l’industrializzazione. Questo agevolò l’importazione da altri paesi (come l’America) e lo sviluppo
dell’industria specie al nord, che però delineò un netto divario tra il Nord e il Sud e si aprì la “questione
meridionale”.
L’aristocrazia godeva ancora di grande peso e prestigio sociale, mentre nel ceto dei grandi possidenti si
collocavano molti borghesi: si sviluppò l’alta borghesia.
Si delineò anche un ceto medio nuovo, quello impiegatizio, ingigantito dalle esigenze della pubblica
amministrazione.
I ceti popolari erano ancora composti prevalentemente da contadini, le cui condizioni si presentavano ai limiti
della sopravvivenza.
Il Positivismo è basato su una concezione laica della vita. Si ispira a Comte Auguste (filosofo francese), autore
del "corso di filosofia positiva" (1830-42), ed incarna l'ottimismo della borghesia in base a tale ideologia, si
dà valore ai dati delle scienze e l'unica realtà considerata è costituita da ciò che cade sotto l'esperienza
sensibile, cioè che è sperimentabile. Diviene quindi fondamentale il metodo sperimentale. Tale concezione

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affida quindi al progresso della tecnica e della scienza la soluzione dei problemi dell'umanità, anche sociali e
morali.

Si torna quindi al materialismo (che nega l'esistenza di ciò che non è verificabile scientificamente,
determinando una frattura tra scienza e fede) e si sviluppa, sul piano biologico, il concetto scientifico di
Darwin (biologo e a britannico 1809-1892) dell'evoluzione della specie.
Nel Positivismo, quindi:
- l'unica realtà è quella sperimentabile:
- la scienza è l'unica forma di conoscenza positiva
- fede nel progresso
- concezione materialistica e deterministica.

LE IDEOLOGIE:
Si possono individuare tre tipi di atteggiamenti degli scrittori di fronte alla modernizzazione economica e
sociale:
1. Atteggiamento apologetico, che inneggia ad essa come realizzazione del progresso;
2. Atteggiamento di rifiuto romantico, in nome dei valori del passato;
3. Un atteggiamento che non esalta e non condanna, ma tende ad un lucido rapporto conoscitivo con
quel processo, a indagarlo nei suoi meccanismi costitutivi, senza slanci verso il futuro né ripiegamenti
nostalgici verso il passato.
Giosuè Carducci è un sponente tipico della fiducia progressista, ma in lui vi è anche una forte componente
romantica, che si manifesta come paura della modernizzazione. Può essere assunto come rappresentante
dei primi tre atteggiamenti per la sua cultura di base laica, materialistica e positivistica, mentre la
componente romantica, lo colloca nel secondo. Come si vede, gli scrittori non si possono assegnare ad una
tendenza n modo univoco.
Il rappresentante più significativo del terzo atteggiamento è Giovanni Verga. In lui sopravvivono componenti
di anticapitalismo e antimodernismo romantici, ma si afferma una visione naturalistica della realtà, che lo
porta a studiare i meccanismi della lotta per la vita in tutti gli ambienti sociali.

LE ISTITUZIONI CULTURALI:
Con l’unificazione dell’Italia il mercato culturale assume dimensioni nazionali: i libri e i periodici possono
circolare liberamente. Ciò dà un potente impulso all’industria editoriale, il numero di acquirenti infatti, è ora
molto più vasto.
La pubblicità comincia ad essere indispensabile per far conoscere e vendere la merce-libro. Anche il
giornalismo assume importanza e si sviluppa velocemente.

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Un dato nuovo nel panorama culturale italiano è l’introduzione dell’istruzione elementare obbligatoria fino
ai nove anni d’età. Le scuole elementari erano affidate ai Comuni, che però non avevano sufficienti fondi per
assicurarne il funzionamento. Anche la preparazione professionale di gran parte dei maestri era scadente.
La funzione della scuola elementare era in primo luogo quella di fornire un minimo bagaglio culturale a tutti
e di amalgamare la popolazione italiana, facendo acquisire alle masse popolari una coscienza nazionale e
civile (viste le numerose differenze presenti nelle varie zone della penisola dal punto di vista sociale, degli
usi, dei linguaggi e della mentalità).

GLI INTELLETTUALI:
Con la fine del periodo risorgimentale e l’avvio di uno sviluppo moderno, anche in Italia si affaccia quel
conflitto tra intellettuale e società. Cominciano a comparire atteggiamenti di rivolta e di rifiuto dei valori
borghesi, un senso di sconfitta e frustrazione. Il fenomeno si affaccia con gli scapigliati, che inaugurano stili
di vita “maledetti”, con aspro rifiuto della civiltà moderna delle banche e delle industrie. Il letterato si sente
spinto ai margini dai nuovi processi produttivi, che rendono sorpassata la funzione dell’umanista,
privilegiando figure più funzionali come scienziati, tecnici, specialisti di vario genere. Lo scrittore è divenuto
produttore di una merce per il mercato e deve affrontare la concorrenza per raggiungere il successo.
L’avvento del mercato della produzione letteraria divide gli scrittori in due grandi campi: chi rifiuta disgustato
il meccanismo, perseverando a seguire i propri obiettivi artistici senza curarsi dell’insuccesso di pubblico,
oppure chi accetta il mercando, adattandosi a scrivere per il pubblico, assecondandone i gusti in vista del
successo e del benessere economico. Alla prima categoria appartiene Verga, alla seconda D’Annunzio.
La figura dell’intellettuale umanista non è più quella dominante, ma si affacciano nuove figure, create dallo
sviluppo della società moderna: il sociologo, il giurista, l’economista, il fisico, il chimico, il fisiologo…nasce,
cioè l’intellettuale specialista.

LA LINGUA:
All’atto dell’Unità d’Italia erano ancora pochissimi gli italiani in grado di usare la lingua nazionale. Il problema
dell’unificazione linguistica, che già era stato individuato dagli intellettuali del primo Ottocento, si poneva
dunque come uno dei più urgenti. Il problema non era solo come diffondere la lingua nazionale, bensì anche
quale modello di lingua diffondere. L’autorevolezza di un intellettuale come Manzoni (con i suoi Promessi
Sposi), impose la sua soluzione che consisteva nell’adozione della lingua parlata dai fiorentini colti, diffusa
attraverso un corpo di maestri addestrati alla parlata fiorentina e attraverso l’uso del vocabolario. La
soluzione manzoniana però si rivelò astratta e impraticabile nei fatti: una lingua vera non può essere imposta
dall’alto, può nascere solo dall’uso concreto dei parlanti.
La scuola si offriva in teoria come lo strumento più adatto alla diffusione della lingua italiana, ma la realtà era
ben diversa. Le strutture erano carenti, il personale spesso inadeguato e molti bambini, in particolare nel

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Sud, evadevano l’obbligo, perché impegnati nei lavori nei campi e in attività varie e perché non si
comprendeva l’importanza dell’istruzione. La diffusione dell’italiano fu dunque un processo graduale, lento
e difficile.
Altri fattori contribuirono all’affermazione della lingua nazionale: la leva militare obbligatoria, che metteva i
giovani a contatto con realtà regionali diverse; l’ampliarsi degli scambi sul mercato nazionale; l’estendersi
della burocrazia; l’emigrazione all’estero. Quando si avviò l’industrializzazione, cominciarono le migrazioni
interne e con esse si verificò una mescolanza di persone delle più diverse provenienze regionali.
Resisteva però una situazione di bilinguismo: l’italiano era usato in determinate situazioni, ma il dialetto
continuava a prevalere nella comunicazione quotidiana, familiare.
Il diffondersi, seppur lento e limitato, dell’italiano nell’uso comune ha riflessi sensibili sulla lingua letteraria,
avvicinandola alla lingua parlata. Nella prosa cade in disuso il periodare ampio e solenne della tradizione
classica, mentre nella poesia si assiste talvolta al recupero di un’aulicità classica.

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