Nel 19°sec. nasce l’idea che il Rinascimento italiano rappresenti il primo atto della modernità europea. È
difficile stabilire con sicurezza quando ha inizio quest’epoca storica, e soprattutto riuscire a comprendere se
si possa parlare o no di “epoca storica”. Oggi non abbiamo risposte incontestabili, e per questo il dibattito
Una visione romanzesca del Rinascimento (“mito del Rinascimento”), oggi ancora in voga, è quella di
immaginare questo periodo come un’apertura (rispetto al “buio Medioevo”) verso nuovi orizzonti
geografici e spirituali. Modelli di questo Rinascimento sarebbero Cesare e Lucrezia Borgia. Un’età in cui
l’uomo si è liberato dalla morale cattolica opprimente del secolo precedente (Medioevo appunto).
Burckhardt scrive nel 1860 La cultura del Rinascimento in Italia tentando di analizzare il punto di rottura tra
Medioevo e Rinascimento. Nella sua opera il Rinascimento è visto come un’epoca di dinamismo, ma allo
stesso tempo ambigua. Spiega la reazione a catena, provocata dalla modernità, che coinvolse la società e la
quotidianità del tempo. La modernità s’insedia precocemente in Italia, grazie all’abbandono del sistema
feudale verso la creazione dello Stato. L’uomo vuole realizzare sé stesso, è questo secondo B., che ha
portato a prolungare il Rinascimento; dando vita alle rivoluzioni europee dei secoli successivi.
Si metta in discussione l’immagine del Medioevo proposta da B.: l’idea di Medioevo come età buia è ormai
superata; secondo i medievalisti europei è proprio nell’età di mezzo che si affermano atteggiamenti
susseguiti dall’età carolingia fino al ‘200. Una visione simile a questa si riscontra già nell’Umanesimo del 14°
e 15° sec.
Un altro tentativo di riunificare quella cesura posta da B. tra Medioevo e Rinascimento, ci viene proposto
tra 1900 e 1930. Esemplare il lavoro di Kristeller che, comparando testi del ‘400, nota quanto fossero
Questa nuova visione di continuità tra Medioevo e Rinascimento si è sempre più affermata dopo il 1945.
italiano. Parliamo di un periodo che va circa dal 1430 al 1560, caratterizzato da un lato come epoca in cui si
forma la modernità, ma anche dall’altro lato come un’età legata a tradizioni precedenti.
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Si tratta di un sistema disordinato, possiamo immaginarlo come una rete di rapporti con numerosi centri.
Un sistema in movimento, dovuto alle mire espansionistiche dei grandi centri di potere, ma anche dalle
esigenze dei più piccoli. Intorno a questi interessi subentrano anche relazioni clientelari, cioè di guadagno
reciproco.
Possiamo comprendere meglio questo sistema grazie ai Mémoires del diplomatico francese Philippe de
Al vertice del sistema si trovavano 5 potenze: repubblica di Venezia, ducato di Milano, repubblica di
A un livello inferiore c’erano gli Stati di media grandezza: Piemonte dei duchi di Savoia, marchesati di
Mantova (Gonzaga) e Ferrara (Este), repubbliche di Genova, Lucca e Siena; e i domini retti dai vicari papali
Poi c’erano città maggiori come Bologna e Perugia, ma anche minori come Foligno e Città di Castello che
erano nominalmente soggette al papa, ma di fatto, erano indipendenti sotto il controllo di famiglie nobili.
Per quanto riguarda i rapporti politici, solamente Venezia e lo Stato della Chiesa erano signorie non
I rapporti giuridici si basavano ancora su modelli medievali: sopravvive l’ordinamento giuridico del regno
d’Italia fondato dai Longobardi nel 6°sec. Alcune metropoli come Genova e Firenze erano nella condizione
di imporre all’impero la propria indipendenza. Diversamente per altre parti della Penisola, anche se
Le signorie del Rinascimento italiano si presentavano come formazioni politiche ibride. I signori
pretendevano di portare avanti l’ordinamento repubblicano delle città comunali, che però di fatto era
annullato da loro stessi. La centralità del ruolo del signore, che obbligava il principe a rispettare le istituzioni
sopravvivere gli Stati minori dovevano stringere legami, oltre che con il proprio signore di diritto feudale,
anche con almeno un altro protettore dello stesso valore (sistema del doppio legame). Questo sistema
caratterizzò la politica di Federico da Montefeltro (1422-1482) signore di Urbino, che era vassallo del papa,
ma offrì anche servizio militare al re di Napoli. Era un sistema molto redditizio, che lo fece divenire il più
ricco principe del tempo, ma anche rischioso, perché signore feudale e patrono potevano entrare in
Essere condottieri era per i signori di media e piccola grandezza una scelta obbligata: i signori di rango più
elevato commissionavano incarichi militari “condotte” che questi dovevano accettare. Compito dei
condottieri era guidare le campagne militari, ma anche, evitare conflitti armati e se questo non era
possibile, almeno di controllarli. C’era un vero e proprio mercanteggiamento per le “condotte” e si teneva
conto delle qualità di questi mercenari: affidabilità, prudenza, lealtà erano al vertice.
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Dagli anni 1480- 1490 con il cambio di generazione dei signori questo sistema entra in crisi. Più
segnatamente dopo l’intervento militare di Francia e Spagna (1494) che si contesero la supremazia in Italia.
Da questo momento in poi chi voleva sopravvivere politicamente doveva scendere a compromessi con la
il 1430 e 1560
Le cinque potenze
Venezia a eccezione di alcuni casi, i conflitti erano risolti in maniera ordinata. Il principale motivo di
scontro nell’aristocrazia cittadina al governo, era rappresentato dalla questione se la Serenissima dovesse
continuare a svilupparsi verso il mare (cioè verso le colonie), oppure estendere i propri possedimenti verso
la terraferma.
Milano dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti 1402, rischia di perdere possedimenti. Il processo di
decadenza venne interrotto e la famiglia continuò a regnare ancora per 4 decenni (anche se su un territorio
meno vasto). I Visconti erano minacciati da interessi stranieri, essendosi imparentati con casati reali
d’Europa (soprattutto gli Orléans), questi rivendicavano diritti di successione. La signoria milanese venne
Firenze Cosimo (il Vecchio) de’ Medici, figura più potente della Firenze di allora e banchiere più ricco
d’Europa. Questo aveva rapporti di reciproco interesse con Francesco Sforza. L’alleanza che legava Firenze
e Milano fu alla base di un nuovo sistema di alleanze: la Lega italica (1454). Per consolidarsi questa aveva
bisogno di stringere rapporti nel sud Italia (Stato della Chiesa e regno di Sicilia).
Roma la situazione inizia a stabilizzarsi grazie al ritorno nel 1420 di papa Martino V Colonna, che si
grazie alla politica del suo vicario papale, quando tornò a Roma ebbe la strada spianata per procedere al
Napoli diverse linee di discendenza della casa d’Angiò si combattevano l’una contro l’altra. Tra 1442 e
1443 si impose il re d’Aragona Alfonso V. Il nuovo sovrano, che reggeva già un impero mediterraneo
(comprendente Catalogna, Aragona, Valencia, Baleari e Sardegna), si trasferì a Napoli facendone il centro
La Lega italica non riuscì ad eliminare tutti i conflitti in atto; molti piccoli scontri continuarono a verificarsi,
preannunciando conflitti più gravi. Quando Cosimo il Vecchio morì, 1464, cessò anche l’amicizia con
Francesco Sforza. Con il successore di Francesco, il figlio Galeazzo Maria Sforza, i rapporti tra Firenze e
Milano si raffreddarono. Gli Stati avevano bisogno di più sicurezza e per questo iniziarono a sottoscrivere
alleanze particolari.
Nonostante ciò, in Italia erano le potenze moderate (Gonzaga a Mantova, Este a Ferrara e Lorenzo il
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Le cose cambiano quando il papato, da fattore di equilibrio, si trasformò in centro d’instabilità. Papa Pio II
Piccolomini (1458-64), discendente di un’antica famiglia nobiliare senese, portò avanti una politica di
potenza inserendo propri parenti tra le famiglie dominanti d’Italia. Il nepotismo da lui inaugurato, ricevette
ulteriore impulso sotto Sisto IV della Rovere, che si impegnò nella costruzione di uno Stato nepotistico in
Romagna. Contro questa politica si impose Lorenzo il Magnifico, apice di questo scontro fu la guerra tra
Negli anni a seguire Lorenzo il Magnifico riuscì a mantenere una politica di equilibrio legando i propri
Tra il 1493-94 le tensioni si fecero ancora più acute, morì re Ferrante e gli succedette il figlio Alfonso II
d’Aragona. Nessuna potenza italiana (tranne Venezia) era interessata a mantenere la situazione
d’equilibrio, ciò permise a Carlo VIII di marciare verso l’Italia. Il suo scopo era di raggiungere Napoli e la
Sicilia, e ci riuscì.
In tutta risposta, le potenze italiane formarono una coalizione antifrancese, priva però dell’appoggio di
Nel sud Italia si ripristinò l’autorità aragonese, destinata a durare ancora poco: nel 1496 venne incoronato
Insomma, la situazione era mutata: era sorta la convinzione di poter coinvolgere i sovrani stranieri come
mezzi per i propri interessi e di poterli poi, rimandare a casa. Ma il nuovo re di Francia, Luigi XII (casa di
Orléans) arrivò in Italia nel 1499 per appropriarsi del ducato di Milano. Questo strinse alleanza con papa
Alessandro VI vista la comune ostilità verso lo Sforza. I Borgia, nonostante fossero stati in grado di cacciare
le grandi famiglie baronali romane dei Colonna e degli Orsini, avevano bisogno dell’aiuto militare francese
Forte dell’appoggio francese, il figlio di papa Alessandro VI, Cesare Borgia condusse contro i signori delle
città romagnole una campagna militare. Con la morte di Alessandro 1530, i successi militari dei Borgia si
dissolsero: gli interessi del papato si opponevano alla creazione di un dominio ereditario dei Borgia.
Italia meridionale Francia e Spagna rivendicavano l’eredità del regno di Sicilia, la questione si risolse a
Lombardia teatro dello scontro per l’egemonia tra Francia e Spagna. Tra 1512 e 1515 entrarono in gioco
anche altre potenze: gli svizzeri, che riuscirono a sconfiggere i francesi e assumere il potere a Milano. Poco
dopo i francesi riafferrarono il ducato; iniziò un periodo di contesa tra francesi e spagnoli e nel 1525 il gioco
Venezia fino ad ora risparmiata dalle invasioni straniere. Nel 1508 re di Francia, imperatore e papa si
allearono contro la Serenissima. Prima del 1517 la maggior parte dei territori perduti era stata riacquistata
grazie a strategie diplomatiche. La conseguenza fu un ampliamento delle relazioni clientelari con Verona,
Firenze 1512 la repubblica di Firenze crollò sotto l’esercito spagnolo inviato da papa Giulio II (nipote di
Sisto IV). Rientrarono in patria i Medici e ressero la città per 15 anni. La strategia dei Medici e quella del
papato si trovavano a coincidere nella volontà di entrambi di non dipendere troppo da Francia o Spagna.
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1527 nel conflitto tra Francia e Spagna per l’egemonia in Italia, il papa Clemente VII (2°papa mediceo) si
schierò con la coalizione opposta a Carlo V e Roma fu sottoposta a sacco e i Medici cacciati una seconda
volta da Firenze. Questo anno è importante perché determina l’inizio del predominio politico della Spagna
in Italia.
Perché l’Italia perde autonomia e libertà a favore delle potenze straniere? Alla fine del 15°sec. Francia e
Spagna avevano consolidato il potere delle loro corone, mentre il sistema della Lega italica era fragile.
Solo in Italia si costituiscono le signorie, segnatamente dall’anno 1264 quando il comune di Ferrara
consegna il diritto di sovranità illimitata agli Este. In Europa si svilupparono invece, monarchie e repubbliche
cittadine.
La signoria non era un organismo politico indipendente, infatti, continuavano ad esistere le antiche
magistrature municipali medievali. Queste avevano la funzione di ordinaria amministrazione, ma nel caso in
La signoria era fortemente legata al suo luogo di origine, più di altri sistemi politici: anche se si espandeva il
suo potere era più forte alla sua radice (dislivello di potere dal centro alla periferia). Le città che optavano a
rinunciare alla propria indipendenza politica rimanevano sotto il controllo di un principe straniero non
residente, e proprio per quanto detto prima, godevano di un’ampia autonomia locale in mano al patriziato.
Inoltre, il signore non sempre otteneva l’autorizzazione a mutare gli statuti del comune, ciò produceva delle
“quasi signorie” a cui mancava il titolo per divenire vere e proprie. Queste iniziarono a diffondersi già del
‘200 e continuarono anche nel Rinascimento. Numerose signorie miste o ibride comparvero in molte città
In generale prevalsero le signorie temporanee legate ad un potente personaggio, dopo la loro conclusione,
continuava la consueta vita del comune. La formazione di signorie durevoli e dinastiche riusciva solo in
certe condizioni: la più decisiva era che la famiglia del signore discendesse dalla classe dirigente insediata
nel comune.
Di conseguenza essi giungono ad assumere nel comune, la guida di uno dei partiti locali, cioè di un gruppo
di interessi. Dopodiché tolgono di mezzo il raggruppamento rivale e a ciò segue la formalizzazione della
signoria. Spesso si arrivava al potere tramite sanguinosi conflitti tra le famiglie rivali.
Una volta al potere il signore doveva mantenere la pace, ciò significava difendere gli interessi della classe
dirigente e mantenere una situazione di equilibrio tra i settori antagonisti all’interno di essa. Ma non solo,
per garantirsi autorità nel tempo, doveva anche soddisfare le richieste delle classi subalterne.
Signorie rinascimentali: Milano, Ferrara e Urbino
La forza della signoria come Stato una fonte importante per comprendere questo quesito ci è data dalla
corrispondenza tra i duchi di Milano e i loro rappresentanti nelle città suddite della Lombardia (avevano a
La risposta è complessa: i funzionari avevano il compito di far valere la volontà del signore e inviare a
questo le richieste delle province. I più importanti erano: commissari, podestà e capitani di divieto; nello
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svolgere il loro lavoro entravano spesso in contrasto con autorità locali. I sudditi influenti tentavano di
corrompere i funzionari, ma se questo non bastava, si rivolgevano direttamente al signore che, nella
Di fatto l’autorità dei funzionari era impotente, a questo punto venivano mandati altri rappresentanti del
In questo modo però, nelle signorie si fece strada una tendenza che contraddice i tradizionali modelli del
processo di formazione dello Stato. Questi modelli si muovono verso una definitiva rimozione delle
autonomie feudali grazie al formarsi di una burocrazia centralizzata, quindi, le signorie in questo senso si
Tra ‘4 e ‘500 feudo e vassallaggio tornano in voga, dopo che i comuni (dal 12°sec.) erano riusciti a svolgere
Dominio degli Sforza (Milano) concedevano in feudo porzioni talmente vaste che il governo centrale era
sempre in crisi finanziaria. Il signore contava sulla lealtà dei vassalli, non mettendo però in conto che si
Dominio degli Este (Ferrara) signoria di successo che seppe controllare la situazione vista per gli Sforza. I
funzionari avevano un’autorità riconosciuta e ricevevano in beneficio piccoli territori che rimanevano sotto
il controllo centrale.
Ovunque era decisivo il ruolo del patronato, cioè la forza del signore era direttamente proporzionale alla
rete di amicizie utili che egli sapeva mantenere (non perdendo il ruolo centrale).
disposizione. L’organizzazione amministrativa era arcaica e prestatale, era diffuso l’autogoverno locale (sia
in città piccole che villaggi). Il signore si comportava con flessibilità verso i sudditi. La concessione di feudi
da parte del ducato avveniva in maniera misurata, circa 1/3 del territorio era governato in concessione
feudale (cioè da un vassallo che era intermediario tra sudditi e signore). Queste aree erano montuose e ci
viveva solo il 5% della popolazione. Questo portava vantaggi al signore: arginava l’ascesa sociale, riscuoteva
Per concludere le signorie del Rinascimento italiano furono, per struttura, organizzazione e valori organismi
tradizionali. Contemporaneamente però erano innovative nel vincolare le classi dirigenti tramite il
Alfonso V, re di Napoli e Sicilia 1443-58 arrivato a Napoli si circondò di aristocratici catalani (come lui) ai
quali erano riservate posizioni di vertice a corte e concessi feudi sottratti ai nemici. Questa operazione di
trapianto di un’élite straniera assunse un carattere limitato, perché i baroni locali erano contrari.
Dopo il 1443 vennero potenziati gli organi di consiglio e le istituzioni centrali: il sovrano voleva sottoporre al
proprio controllo l’aristocrazia. Di fatto, non riuscì a modificare tale situazione poiché i rapporti di potere
erano sfavorevoli per il governo centrale. Più di 4/5 delle comunità urbane erano sotto il controllo
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Le grandi famiglie feudali, inoltre, come condizione per accettare il nuovo re, pretesero di esercitare nei
feudi l’incondizionato potere giuridico (potevano decidere anche per la pena capitale). Il re era costretto a
Dal 1525 la corona spagnola legittimò la sovranità feudale a esercitare il potere in nome del re. Insomma,
favorì sempre più la formazione di vasti poteri nelle mani delle famiglie aristocratiche.
dall’aristocrazia urbana divisa in 5 “seggi”, questa però doveva collaborare con il 6° seggio quello del
La monarchia tentò di consolidare il proprio potere, non ottenendo ampi risultati, anzi, confermando la
potenza degli aristocratici; ciò però avvenne con opposizione da parte della corona.
I 2 sovrani citati prima, cercarono di creare un’economia di Stato: tramite l’istituzione di un monopolio
regio sulla pastorizia e il collegamento al flusso di merci e denaro del nord Italia. Lo scopo era quello di
Per quanto riguarda la cultura, i 2 sovrani si resero conto dell’importanza di impiegare i mezzi di
comunicazione come strumenti di potere, ed essendo stranieri, anche a creare una linea di legittimità
inserendosi nelle tradizioni locali. Alfonso puntò sull’architettura, commissionando la Porta trionfale di
Castelnuovo (Maschio Angioino 1452-66). Nonostante ciò, estinta la dinastia, tutto questo prestigio crollò
velocemente.
Roma del Rinascimento e Stato della Chiesa progressi nell’accentramento burocratico: nel 1420 quando
papa Martino V torna a Roma, i territori sottoposti alla sovranità papale (tra Romagna e Abruzzo) sono un
insieme di Stati indipendenti (autorità papale solo nominale). Nel giro di un secolo (metà ‘500) in questi
Questo potere non era frutto di un’imposizione autoritaria del papa, ma di accordi e scambi di potere tra
questo e la nobiltà. In questo modo il papa riuscì ad emarginare le aspirazioni di potere di cardinali e
baroni.
Il nepotismo papale rivelò il duplice ruolo nella distribuzione delle opportunità di accesso al potere. Se da
un lato, la sistemazione dei parenti del papa al vertice della piramide sociale, indebolì i clan aristocratici;
dall’altro lato il papa assunse il ruolo del “terzo che gode tra i 2 litiganti”. Il disegno politico dei pontefici
rinascimentali non prevedeva la completa squalifica della vecchia élite, ma la sua fusione con le famiglie dei
nipoti in una nuova classe dirigente. Lo scopo era quello di creare uno Stato in cui il papa fosse al centro di
Nel Rinascimento il potere del papa fu ampiamente criticato dagli intellettuali di tutta Europa, essi
Le élite di queste repubbliche utilizzavano parte delle proprie eccedenze in titoli di Stato. Solo la
conservazione del regime garantiva le i tassi d’interesse, il suo crollo significava la rovina finanziaria. Queste
repubbliche erano fondate sul denaro e la rete di interessi economici, sociali e politici era inestricabile.
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Decisiva fu la presenza di un elevato numero di clan con poteri abbastanza simili e dotati di ramificazioni
familiari che, fornivano al sistema punti di appoggio e però contrastavano con l’eccesso di prestigio tipico
delle signorie.
Altro fattore consisteva nella rapida rotazione delle magistrature ciò rendeva desiderabile il mantenimento
Infine, contribuivano meccanismi di compensazione sociale, come quelli presenti negli spazi di
autogestione delle parrocchie e corporazioni professionali. Il legame dello Stato era garantito soprattutto
dal suo interno.
Per quanto riguarda lo Stato veneziano, queste regole non apparvero di colpo, ma si perfezionarono tra
‘300 e ‘400. Lo Stato era organizzato in forma piramidale, all’interno operava il Maggior consiglio del quale
facevano parte fino a 3000 nobili (dal 1297 l’appartenenza al Maggior consiglio era concessa solo alle
famiglie che in quella data erano già integrate nel ceto aristocratico). Appena sopra si collocava il Consiglio
de’ pregadi (o Senato) composto da 1/10 del Maggior consiglio. Questo organo era privo di autonomia e
solo chi apparteneva al Consiglio del Doge, al Consiglio dei 10 o al collegio dei Savi grandi, poteva ritenersi
veramente potente.
Il doge era il centro di questa rete (il suo operato era tuttavia controllato), restava in carica tutta la vita e
operava nelle istituzioni politiche determinanti. Sotto i nobili il ceto che godeva di privilegi era quello
composto dai “cittadini originari”, un’élite secondaria. Oltre al denaro, per entrare nei circoli più interni del
In generale, per quanto riguarda la partecipazione politica attiva, in tutti questi Stati, erano le oligarchie a
L’allargamento della partecipazione politica alla gran parte del ceto medio (eccezione), fu proposto a
Firenze nel 1494, e fu un’anomalia provocata dalle idee del predicatore Girolamo Savonarola che
Repubblica di Siena qui i clan aristocratici potenti erano i Salimbeni e i Piccolomini, il loro prestigio non
venne meno neanche quando furono esclusi dalle posizioni dirigenti: continuarono a occupare posizioni
chiave nella diplomazia e nei comandi militari. Le cariche di governo erano estremamente mobili: si aveva il
posto 2 mesi circa e per poter tornare bisognava aspettare tra 1 e 5 anni.
I sudditi non accettavano però di rimanere privi di volontà, dimostrarono ciò associandosi e imponendosi.
Questa situazione mutò poco, fino all’avvio di riforme decisive nel ‘700.
La corte questo fenomeno caratterizzò l’Europa della prima età moderna. Si perfezionò come strumento
Fino al 1430 la cerchia del principe era composta da dignitari, consiglieri (civili e militari) e inservienti.
Questa è la corte più antica e premoderna: ancora legata a funzioni di amministrazione, giustizia e guerra.
Dal 1430-40 la corte si sviluppò, grazie all’aumento del personale e prese la via verso l’amministrazione
centralizzata. Le classi più elevate erano composte da nobili che risiedevano accanto al signore, la loro
funzione era legata al consiglio privato o lo staff amministrativo del signore, ma, si faceva sempre più
indipendente.
Questi nobili locali e stranieri avevano esigenze di distrazione e intrattenimento, per questo si sviluppò la
componenti irrinunciabili della vita di corte. Elementi della nuova corte erano anche gli eruditi dediti al
La corte crebbe di dimensioni anche grazie a figure necessarie a provvedere ai cortigiani: la servitù, che
acquisì un valore particolare poiché il suo abbigliamento e il suo livello di organizzazione divennero fattori
di prestigio.
Essere presenti a corte aveva un significato simbolico: i nobili che restavano a lungo lontani dalla cerchia
del principe venivano sospettati di voler evitare di proposito il principe e cadevano in disgrazia.
L’Assenteismo spesso era punito da sanzioni. I professionisti nell’arte di evitare la corte erano i nobili che
Le informazioni riguardanti la corte come strumento politico possono essere comprese analizzando il suo
sviluppo. La corte si ampliò fortemente tra 1430 e 1480. I cortigiani erano valutati sulla base di criteri di
discendenza rigidi, la vita di corte era sottoposta a regolamentazioni e l’accesso al principe era limitato.
Ciò portò a redigere veri e propri regolamenti scritti (un esempio quello di Urbino).
Si ricorreva a rituali di origine religiosa e spesso forme di devozione erano sfruttate per stabilire
Nel 1500 la corte si era trasformata in una scena teatrale dove si mescolavano spettacoli, attori e
spettatori. Le feste servivano sempre più a distinguere i ceti: al signore spettava un ruolo di protagonista, ai
cortigiani quello di seguaci (sottoposti) e i ceti restanti erano gli ammiratori (divisi secondo il rango di
appartenenza). Si trattava di una divisione spaziale e simbolica, tra due mondi che non potevano
avvicinarsi.
Il Rinascimento segnò l’avvento di un’urbanistica del potere. Questa assegnava al palazzo del signore una
posizione di dominio, che era separato dagli abitati dei sudditi. La cerchia dei nobili risiedeva attorno alla
piazza centrale di forma geometrica. Questo quadro urbano si completava con un nuovo elemento: la
residenza di periferia o di campagna del principe, fuori dalla cinta muraria, ciò sottolineava ancora
Esemplare Palazzo Te a Mantova fatto costruire da Federico II Gonzaga e decorato da Giulio Romano, 1526.
La corte necessitava di intrattenimenti sempre più coinvolgenti: strumenti nei quali canalizzare
atteggiamenti e mentalità. Non si trattava di un gioco, anzi, per organizzare determinati eventi si
impiegavano ampie risorse. Proprio a questo scopo iniziarono ad aver successo manuali della vita
cortigiana: proponevano modelli ideali di corte; uno di questi divenne particolarmente famoso, Libro del
Qui la corte è descritta come un ambiente che impone all’individuo di impegnare completamente sé stesso
per servire il signore. In quest’ottica, essere perfetti nell’arte cortigiana consiste nel far credere
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Comunque, la nobiltà non diventò un fantoccio nelle mani del signore, né nelle corti rinascimentali né più
tardi, alla fine del ‘600, nella Versailles di Luigi XIV, i cui modelli italiani sono ben riconoscibili. Dipendenza e
profitto erano reciproche (tra principe e nobiltà). La corte imponeva al principe anche alcuni doveri:
scegliere l’élite dell’aristocrazia della capitale e di quella degli altri territori, contenere disaccordi tra queste
élite, invitare gentiluomini stranieri per manifestare l’ampiezza degli influssi della corte…
In questo senso si svilupparono corti particolari, luoghi di cultura che attraevano le nuove leve delle élite.
Le più importanti erano Mantova e Ferrara dove operavano Vittorino da Feltre e Guarino Veronese: docenti
L’equilibrio precario della società di corte era minacciato dalla presenza sproporzionata dell’élite locale. La
Le feste organizzate dal principe erano riti spettacolari, il loro intento era quello di rappresentare la corte
come un ambiente perfetto, vere e proprie macchine della celebrità. Per sottolineare la propria autorità, un
principe imitava i concorrenti e cercava a tutti i costi di superarli. Ospitare nella propria corte un congresso
di principi italiani (a volte in presenza del papa stesso) significava ricevere un prestigio nazionale e
internazionale.
La corte era divenuta un elemento irrinunciabile, si svilupparono ovunque, ad eccezione di Venezia dove le
famiglie dominanti riuscirono a porre un freno alla formazione di corti, mantenendosi repubblicani.
La corte era un’arma a doppio taglio: poteva regalare benefici, ma la netta divisione tra principe e sudditi
Una società cortigiana particolare si sviluppò invece a Roma, dagli ultimi decenni del ‘400. Qui troviamo in
concorrenza con la corte pontificia, tutta una serie di corti rivaleggianti anche tra loro che gravitavano
attorno alla figura di cardinali potenti. I cardinali erano considerati principi minori dotati di cariche, entrate
Le magnifiche corti cardinalizie erano il prodotto del nepotismo pontificio: Palazzo Venezia eretto da Pietro
Barbo, nipote di Eugenio IV, Palazzo della Cancelleria eretto da Raffaele Riario, nipote di Sisto IV.
Disponevano di ricchezze inesauribili, e il loro scopo primario era di divenire papi. Molti ci riuscirono, ma
questa catena s’interruppe con la Controriforma cattolica 1535, proibì queste ripetizioni di famiglia,
Sul piano delle opere architettoniche, il pontefice spesso si attestava come committente di prestigio. Ciò
provocò critiche asprissime non solo da parte di puritani e moralisti, fino al 1565 quando questi eventi
Vista l’eccezione di Venezia, come si difendeva da corti tanto sfarzose? Disponeva di uno scenario unico al
mondo, esibiva riti suggestivi: come il cerimoniale del doge con rituali simbolici e estremamente sfarzoso,
infine, l’idea che tutti i suoi sudditi fossero parte di un ordine equo e giusto.
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La corte divenne essa stessa oggetto di propaganda e strumento con il quale la corte promuoveva la propria
formazione. Era questa la funzione (anche per il luogo in cui sorsero) di affreschi dipinti tra 1469-71 da
Francesco del Cossa, Ercole de’ Roberti e collaboratori nel Salone dei mesi di Palazzo Schifanoia a Ferrara.
Il tema del ciclo sono i 12 mesi, i pianeti che li dominano e le divinità. Queste ultime si trovano nella fascia
Nella fascia più bassa la corte ferrarese circonda con obbedienza il signore: marchese Borso d’Este. In
questa fascia troviamo i diversi mestieri artigianali legati al mese rappresentato, al centro sta sempre il
signore.
Durante le feste, la corte aveva intorno a sé una sorta di manuale di comportamenti esemplari e
ricordavano anche la loro posizione di subordinazione. Prestare servizio al signore significava essere fedeli
Nelle scene il signore esercita la giustizia, non porta armi poiché protetto dai sudditi, conosce il popolo, vi si
Le immagini mostrano una forma di multiculturalità cioè, quella forza di attrazione che esercitava sulle élite
dell’Italia rinascimentale, il mondo cavalleresco del nord della Francia e della Borgogna; un ambiente
Dunque, questo ciclo rappresenta le universali regole della propaganda dipinta: per impressionare il
A Mantova, i Gonzaga, provenivano da una bassa nobiltà di vassalli locali, cercarono quindi di basare il
proprio prestigio riferendosi al presente. L’immagine rappresentativa è data dal ciclo di affreschi concluso
nel 1474 da Andrea Mantegna nella Camera degli Sposi, nel Palazzo Ducale di Mantova.
Questo affresco mostra appunto la famiglia nella sua quotidianità. Il ciclo dal punto di vista iconografico
non è facilmente comprensibile (ancora oggi oggetto di dibattiti); sicuramente uno degli affreschi
rappresenta l’incontro del marchese Ludovico Gonzaga con il figlio Francesco, che papa Pio II aveva eletto
cardinale.
Il messaggio dell’affresco è di rappresentare una società serena, ordinata gerarchicamente. Non manca
nemmeno, in chiave ironica, il ribaltamento apparente dei rapporti gerarchici. Anche Rubino, il cane
La moglie del marchese, Barbara di Brandeburgo, è presentata nel dipinto come secondo vertice della
corte e non ha meno autorità del marito. Spesso la sovrana diveniva la sostituta domestica del marchese
quando questo era occupato fuori dalla città, aveva ricevuto un’educazione di stampo umanistico e oltre a
ciò, era la figlia di un principe del Sacro romano impero, un’attestazione vivente di dignità.
Confrontando questi affreschi con quelli di palazzo Schifanoia, realizzati più o meno negli stessi anni,
notiamo delle differenze. Quelli di Mantegna manifestano uno sviluppo scandito in 2 momenti: rispetto al
carattere realista di Borso d’Este, la corte di Mantova risulta il frutto di una civiltà cortigiana. Nonostante
ciò è ancora lontana nell’assumere il ruolo di penetrare in tutti i settori della vita che la corte assunse solo
nel ‘500.
Una simile diversità tra opere simultanee possiamo notarla riferendoci agli artisti stessi operanti in queste
2 corti. Del Cossa e de’ Roberti rimasero ingaggiati per la corte, mentre Mantegna, essendo un artista di
nuovo genere, si rese indipendente da legami di questo tipo. La sua ascesa sociale rispecchiava l’aumento
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del valore della propaganda e dei mezzi di comunicazione. Allo stesso tempo anche il committente
assumeva prestigio, solo ad alcuni era data la grazia di patrocinare (sponsorizzare) questi geni.
Ahimè, acquisto di rango sociale e perdita di libertà andavano a braccetto, i Gonzaga avevano diritto di
precedenza sul loro artista di corte: se riceveva numerose commesse doveva chiedere al signore il
permesso di accettarle.
marchesa di Mantova, al momento delle nozze con Francesco II Gonzaga. Era una committente molto
esigente e si rivolgeva ad artisti come Leonardo da Vinci o Giovanni Bellini, chi la scontentava rischiava
l’obbligo di restituire gli anticipi o addirittura l’incarceramento. Isabella collocava le opere migliori nel suo
Dopo la metà del ‘400, la chiesa dei francescani di Rimini venne trasformata nel mausoleo e nel pantheon
della famiglia Malatesta, commissionato da Sigismondo Pandolfo. Il progetto del Tempio non venne mai
completato e oggi è per noi una rovina architettonica con un valore simbolico importante: attesta il
Sotto il profilo estetico manca di unità stilistica: i tratti anticheggianti dell’esterno, progettato da Leon
Battista Alberti, si accordano nell’interno con l’affresco di Piero della Francesca, ma molto meno, con la
decorazione plastica di Agostino di Duccio. Ma ciò che non fu apprezzato dai contemporanei era il
messaggio complessivo dell’opera. Lo stesso papa Pio II parlò di opere di empietà (irreligiosità), e inoltre, il
Il Tempio malatestiano raffigura un principe autonomo con pieni poteri, ma non era così: Sigismondo
Pandolfo era una pedina sulla scacchiera del papa e dei rapporti clientelari. La propaganda del potere, in
stessa basilica di S. Pietro, fu più volte interrotta, e il monumentale progetto iniziale, divenne sì, riflesso del
Numerosi cambiamenti furono apportati dai direttori ai lavori: da Bramante a Raffaello, fino a
Michelangelo che dal 1546 ricoprì la carica di capo architetto della fabbrica di S. Pietro. Questi
pontificia.
1°enorme manifesto dipinto dell’ideologia pontificia fu l’affresco sulle pareti della cappella Sistina, tra il
1481 e 82, ad opera di maestri umbro-toscani coordinati da Perugino (prima degli interventi di
Michelangelo). Scene della vita di Mosè e di Cristo vennero affrescate tra elementi architettonici, iscrizioni e
ritratti. Importante fu la scelta di quali scene rappresentare e che tipo di rapporto dare alle vicende. Il
messaggio dei dipinti ha un valore simbolico: mostrare l’autorità e la leadership del papa, e un
La vittoriosa potenza del papato (discesa direttamente da Dio) viene rappresentata anche nelle Stanze
Vaticane: sale papali con funzione di ricevimento, affrescate da Raffaello e co. dal 1508.
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Gli affreschi di Raffaello in Vaticano sono importanti perché non possiamo considerarli come autonomi dal
punto di vista stilistico, ma strettamente legati ad esigenze politiche dettate dai committenti. Nella Roma di
Giulio II possiamo intravedere come, in un clima politico-culturale stimolante, si sviluppino nuove forme e
Il più vasto manifesto pittorico concepito per celebrare la repubblica come migliore forma di Stato, fu
realizzato nella repubblica di Siena nella Sala del Concistoro (la classe politica della repubblica prendeva qui
le decisioni importanti) di Palazzo Pubblico. Dal 1529 Domenico Beccafumi utilizzando effetti luministici,
gruppi di figure e altri stilemi caratteristici del primo manierismo toscano, realizzò un ciclo affrescato con un
La ragion di Stato repubblicana sovrasta ogni cosa, ciò avviene anche facendo ricorso alla violenza:
giustiziati coloro che si credono più eguali degli eguali. Modelli di questa visione egualitaria dello Stato
sono: un tribuno della plebe che fa gettare vivi nella fornace i propri colleghi, rei di corruzione; un re
ateniese che travestito da schiavo si fa frustare e uccidere dal nemico pur di salvare lo Stato…
Altro esempio di pedagogia politica delle immagini, è la decorazione pittorica realizzata negli anni ’70 del
‘500 a Venezia, nel Palazzo Ducale, la gloria della Serenissima repubblica di S. Marco veniva esaltata da
Tintoretto e Veronese. Una repubblica sacra, perfetta, giusta, libera allo scopo di educare i nobili
Altro sistema politico del ‘500 che dipendeva dal potere delle immagini era il nuovo principato di Cosimo I
duca di Firenze e granduca di Toscana poi. L’antico sacrario della repubblica, Palazzo Vecchio, dove Cosimo
soggiornava a periodi (risiedeva a Palazzo Pitti), venne decorato con numerosi simboli della propria
sovranità.
Il ciclo pittorico era organizzato come un libro di storia, ogni pagina dedicata ad un esponente della famiglia
Medici, ma la copertina era destinata a Cosimo, che vi appare come il salvatore di Firenze. L’artista
incaricato di tradurre in immagini il passaggio verso la “salvezza” era Giorgio Vasari. Cercò di rendere
presa di Siena: la sua vittoria è un trionfo celebrato nelle pitture del soffitto.
concorrenza
Il concetto di Umanesimo non è universalmente esplicabile, per questo gli storici del ‘900 si sono impegnati
a definire precisamente il concetto. La definizione era ricavabile dal campo delle attività umanistiche: cioè
quegli studi che, da Tommaso Parentucelli (papa Niccolò V dal 1447), indicano un canone stabile,
sviluppatosi dopo la fondazione degli studi umanistici di Petrarca (‘300) e comprendente discipline come:
È impossibile delineare in maniera unitaria la conoscenza umanistica europea, questa si differenzia in base
a concezioni e filosofie. Si può comunque cercare una base di convinzioni di fondo più diffuse per aiutarci
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- la conoscenza del greco, diffusa in Italia più tardi, divenne norma del canone, ma mai come il latino
Gli umanisti erano spesso protagonisti nel contesto della corte come pedagoghi, ma anche come storici,
perché la narrazione storiografica iniziò ad essere usata come mezzo di propaganda. Saper presentare le
motivazioni della propria convinzione politica affidandosi alla storia, poteva accrescere il prestigio del
principe.
Questo mecenatismo storiografico fu impiegato largamente dal re di Napoli, Alfonso V d’Aragona. Affidò
incarichi a umanisti come Valla o Fazio, perseguendo il suo scopo di apparire come italianizzato e
La concezione della storia per gli Umanisti italiani possedeva un valore canonico: all’impero romano, età
aurea decaduta dal V sec. sotto le invasioni barbariche, erano seguiti i secoli bui; grazie all’ascesa dei
comuni e agli studi umanistici dal Petrarca in poi, era ricominciata una nuova stagione di fioritura culturale.
Negli studi antiquari l’atteggiamento dominante non era di mera contemplazione delle rovine, ma quello di
Di fronte alla diversità delle concezioni umanistiche, sorprende l’unità degli umanisti verso i propri
“nemici”: concezione monastica della vita, latino maccheronico di conventi e università e nella maniera
Dalla metà del ‘400 furono gli umanisti insediati nelle corti e nei centri decisionali delle repubbliche a
formare lo spirito dell’epoca e la lingua delle élite. La loro posizione dominante, spiega l’influenza che
esercitarono in settori a loro estranei: negli studi teologici, criticati dagli umanisti, specialmente in Italia.
Sul versante opposto si situavano intellettuali come Ficino, alla testa della nota Accademia platonica di
Firenze, che intraprese una sintesi teorica tra cristianesimo e platonismo. Riscosse consensi tra i patrizi
fiorentini eruditi.
Generalmente, la cultura d’élite alla fine del ‘400 si riconosceva nel sincretismo. Secondo le teorie
dell’epoca, si potevano fondere insieme i diversi sistemi filosofici e le religioni conosciute. Le aspirazioni
sincretistiche raggiunsero il vertice nell’opera di Giovanni Pico (2°metà ‘400), con lo scopo di approdare ad
una sintesi filosofico-religiosa, cercò di accordare le dottrine di Platone e Aristotele, da sempre ritenute
opposte.
I legami capaci di conciliare opposizioni in apparenza inconciliabili, vanno ricercati nel disagio avvertito di
fronte allo stile di vita, sempre più dispendioso, della classe dirigente e all’aspirazione di molti al
Distante dalle correnti umanistiche, dal neoplatonismo alla teologia scolastica, fioriva in questo periodo, in
particolare nella zona di Padova, un aristotelismo critico di matrice laica: sviluppando un pensiero
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filosofico in base al quale la mortalità dell’anima umana non può essere dimostrata sulla base di argomenti
Meno innovative furono le scienze della natura, ambito al quale vengono spesso attribuite, al Rinascimento
italiano, scoperte avvenute prima o dopo. Esemplare fu l’interesse per i fenomeni naturali di Leonardo da
Vinci. Tuttavia, questo tratto empirico caratteristico per il ‘500 non era, in primis, orientato ad accertare le
leggi naturali, ma piuttosto per un atteggiamento intellettuale. Questo atteggiamento cambiò verso il ‘600
quando Galileo Galilei, iniziò ad analizzare i fenomeni naturali basandosi sul metodo fisico-matematico.
Gli impulsi intellettuali del tardo Rinascimento italiano appartengono a riflessioni sull’uomo e sulla storia.
Sotto il concetto di Umanesimo ci si chiede se sia giusto classificare anche i politologi (esperti di problemi
riferiamo alle idee espresse, non possiamo ritenerli tali. Per gli umanisti infatti, si collocava al primo posto
l’autoformazione morale dell’individuo, mentre per Macchiavelli dà priorità ad uno Stato molto potente in
grado di formare cittadini. Nella repubblica ideale di Macchiavelli l’espansione territoriale tramite le guerre
è fondamentale.
Un mito della concezione di Macchiavelli era quello di considerare la storia come uno sviluppo circolare, di
ritorno, in cui la grandezza romana avrebbe garantito anche nel presente la resurrezione dell’Italia,
Guicciardini fonda la sua critica sulla venerazione della romanità, ma al contrario di Macchiavelli, concepiva
la storia come una continua trasformazione, e quindi un’apertura verso l’ignoto. Secondo questo ideale,
dalla storia si può imparare poco; solo gli atteggiamenti dell’uomo nel conservare la dignità offrono qualche
garanzia di successo.
Per entrambi questi intellettuali, la religione era solamente uno strumento di potere.
La maggioranza degli intellettuali del Rinascimento italiano non condivideva una visione del mondo atea,
ma preferiva pensare al cristianesimo come una religione fusa con la filosofia antica. Collegata a queste
preferenze degli umanisti, era la reazione alle idee della Riforma protestante. Queste penetrarono in Italia
tra il 1520-1530 e furono spolpate del loro significato teologico e ridotte al solo contenuto politico e
morale.
La nuova confessione, adattata alla situazione italiana, si diffuse soprattutto nei circoli “evangelicali”
composti da membri delle élite culturali e delle classi dirigenti; venne ampiamente contrastata anche per
Il patrimonio di idee e credenze della gente comune, invece, era soggetto a più lente trasformazioni. La
visione del mondo condivisa tra i ceti popolari può essere ricostruita grazie a diari o atti giudiziari, e si
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Per la complessità dello scenario politico e della varietà delle correnti culturali, il “modello del
Per quanto riguarda il settore economico, notiamo che numerose conquiste accreditate a quest’epoca, in
realtà sono solo uno sviluppo di un aspetto iniziato precedentemente. Per esempio: innovazioni della
tecnica bancaria (lettere di cambio o la girata) erano già in atto nei secoli 12° e 13° durante il periodo di
Il benessere delle classi dirigenti, testimoniato oggi dallo sviluppo edilizio e dal mecenatismo, può essere
spiegato come un consolidamento economico, che potrebbe essere ricondotto a diversi fattori. Nuovi
settori di produzione, come la fabbricazione della seta; l’oculata gestione delle proprietà fondiarie; la
redistribuzione della ricchezza incassata dalla politica fiscale a vantaggio delle città.
La capacità dell’Italia rinascimentale di influenzare altre civiltà va ricercata soprattutto nella cultura d’élite,
della corte, del suo stile di vita. Gli umanisti italiani, sostenendo la tesi della funzione eroica svolta dal
proprio paese, misero in moto una reazione a catena di precoci nazionalismi europei.
L’Italia era raffigurata dagli umanisti francesi e tedeschi come un mondo ormai sepolto, il cui antico
splendore era stato sostituito da ingannevoli bagliori culturali. In questa competizione, i polemisti stranieri
si trovavano in una posizione di partenza sfavorevole, dovendo ammettere il primato del latino e che l’Italia
aveva ridato vita agli studi umanistici un secolo prima del resto d’Europa.
I nuovi modelli di cultura umanistica e i nuovi stili di vita cortigiana, sperimentati per la prima volta in Italia,
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