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di Michele Pasotti
Bibliografia
COMMENTO AL TITOLO:
NUOVO, NOVITAS, MODERNI;
La Monodia accompagnata, il sogno della Camerata de’ Bardi, il modello mitico dei
Greci favorisce la nascita della musica moderna. Sviluppi nella musica profana,
opera. Caccini, nuove musiche 1601.
a) Già nel secondo decennio del cinquecento troviamo in una fonte letteraria la presenza della
tiorba. Esattamente nella prima egloga de Le Maccheronee di Teofilo Folengo, quando
Tonellus esaltando la città di Mantova dice: « Semper in ballis godit et moreschis,/hic
sonant pivas, cifolos, tiorbas,/ hic ve sampognas, pifaros, rubebas,/ cagaque cimblos ».
b) Più tardi, nel quarto decennio, un inventario dell'Accademia Filarmonica di Verona redatto
il? dicembre 1543 registra « Una Cittara et una thiorba ». E l'anno seguente un nuovo
inventario« dele robbe de la Compagnia » riconferma la presenza dello strumento segnando
« Et una tiorba ».
c) Nel 1585, Thomaso Garzoni da Bagnacavallo nella sua opera intitolata La Piazza Universale
di tutte le Professioni del Mondo, più volte ristampata fino a seicento inoltrato (e dedicata
anche ad Alfonso II d'Este) segnala nuovamente questo strumento scrivendo del ciarlatano
Gradella « che finge l' orbo col cagnuolo in mano in luogo di tiorba ».
d) John Florio nel suo dizionario di Italiano-Inglese A Worlde of Wordes del 1598 e poi
nell'edizione del 1611 spiegò che la tiorba era uno strumento suonato dalla gente di
campagna e dai ciechi.
L'inventario veronese citato dimostra però che lo era anche in ambienti accademici. Questo uso
della tiorba, sia sul piano « incolto » che su quello « colto », trova altre documentazioni (seppure
non tanto chiare quanto vorremmo).
e) Leonardo Conosciuti, in una lettera datata 26 febbraio 1585 e inviata al cardinale Luigi d'Este,
scriveva che non « vi fu còsa che potesse piacere al popolo, se non quel carro d'Orbi che cantavano,
ch'andò ancho la matina su 'l quale era Figotto con una tiorba dinanzi che non havea ne corde, ne
cosa che buona fusse se non che voleano molinello, et con quel moto et con le sue zannate facea
ridere la brigata ».
f) Douglas Alton Smith in On the Origin of the Chitarrone segnala un documento degli Archival
Studies on Music, Musicians, and Artists at the Court of Ferdinand I de' Medici di Warren
Kirkendale riguardante uno strumento fatto costruire per la musica del granduca di Toscana: « Il ser
.mo gran Duca de dare lire otanta sono per la fattura de un istrumento a uso di tiorba da sonare per
forza di rote dove vi è stato di molti perdimento di tempo […] con ordine del sig.re Emilio de
Cavalieri quali strumenti uno a uso de spineta senza corde e senza tastatura e due case con cinque
ruote per ciaschuno et tute di legname ». La fattura è datata 8 maggio 1596 ed è firmata
dall'organaro Francesco Pallieri.
Sul piano della ricerca etimologica, ricordiamo che dizionari e riviste specializzate quando non
sottolineano l'etimo incerto del termine in questione dicono indichi uno strumento suonato dai
ciechi e che proprio per ciò era anche chiamato viola da orbo.
Di più non sappiamo: questa tiorba, dal Folengo al Florio, era usata a tutti i livelli sociali, e poiché
era costantemente strutturata di mulinello e ruote rimanda senza dubbio alla ghironda.
Non si sa come questo termine alla fine del sec. XVI cominciò a designare uno strumento
completamente diverso, quello che oggi noi chiamiamo tiorba
2. TIORBA e CHITARRONE
Da questo momento fino ad oltre metà del secolo, molte fonti (non soltanto musicali) associeranno i
termini tiorba e chitarrone e ne rimarcheranno la differenza puramente nominale secondo
l'esempio del Guidotti, e ciò non sembra affatto conseguente all'origine non liutistica della tiorba
cinquecentesca.
Non sembra però che dell'origine liutistica del chitarrone si possa dubitare, anche perché
Alessandro Piccinini di tale origine dà una descrizione chiara, tuttavia non è comprensibile perché
egli scriva «Tiorba, ò Chitarrone, per dir meglio»; se inoltre è chiaro a tutti che chitarrone significa
grossa chitarra, nel nostro caso non è affatto chiaro perché l'una sia totalmente estranea all'altro.
Più probabile da Kithara, greco, recitar cantando, Bardi, ritorno all’antico (d.A, Smith)
Nel 1589,
«in piena moda larmoyante», in occasione delle nozze fatte per il suo matrimonio con Cristina di
Lorena, Ferdinando I de Medici volle rappresentata La Pellegrina, «commedia dei sentimenti»
come fu definita, scritta dal senese Girolamo Bargagli fin dal 1564, su commissione dello stesso
Ferdinando, a quel tempo giovanissimo porporato. Negli intermezzi, le cui musiche vennero
composte ed eseguite da molti celebri compositori, cantanti e strumentisti come Malvezzi,
Marenzio, Cavalieri, Peri, Caccini, A.e V. Archilei, Striggio e Naldi, comparve il chitarrone,
strumento in qualche modo «nuovo», e suonato con frequenza quasi ininterrotta, secondo quanto
specificato da Malvezzi e da Bastiano de Rossi. Tre anni prima in occasione delle nozze di Cesare
d'Este e Virginia de Medici, si rappresentò L'Amico fido del conte Giovanni Bardi. Negli
intermezzi descritti da B. de Rossi si parla sì di liuti, di arpe, di clavicembalo, ecc., ma non ancora
di chitarrone.
Scrivendo sull'origine del chitarrone, Piccinini ricorda il viaggio a Ferrara di Caccini del 1592, e
dice chiaramente che egli si serviva di un chitarrone ancora senza tratta, cioè d'un liuto dal
grande corpo con i primi due cori accordati all'ottava sotto, strumento di cui il liutista non
rivendica alcuna paternità (semmai l'avrebbe potuto fare per l'arci-chitarrone), né dice chi sia stato
precisamente ad inventarlo. Evidentemente sapeva del Bardella, che era bolognese e più o meno suo
coetaneo, ma lascia capire che il merito di questa nuova «invenzione» era più collettivo.
Probabilmente quindi il Bardella fu l'inventore del chitarrone nel senso che con questo
strumento si accompagnava e accompagnava in modo personalissimo, unico. Potrebbe esser
successo così per il chitarrone quanto era già successo per l'arpa doppia, che si definiva «nuova
inventione» non tanto rifacendosi allo strumento in sé, quanto alla nuova maniera di suonarla e di
accordarla. Caccini lo avalla, infatti, concludendo l'avviso ai lettori de Le Nuove Musiche
(Firenze, 1602), scrisse: « Ma intorno a dette parti di mezzo si è veduta osservanza singolare in
Antonio Naldi, detto il Bardella, gratissimo servitore a queste Altezze Serenissime, il quale si come
veramente ne è stato l'inventore, così è reputato da tutti per lo più eccellente che sino a nostri tempi
abbia mai sonato di tale strumento, come con loro utilità fanno fede i professori e quelli che si
dilettano nell'esercizio del chitarrone; se già egli non avvenisse a lui quello che ad altri più volte
accaduto è: cioè che altri si vergognasse l'aver imparato dalle discipline altrui [...] ».
a)))))))
D.A. Smith ha sostenuto ultimamente la tesi che chitarrone sia da mettere in relazione con la
kithara dei greci antichi illustrata da Vincenzo Galilei nel suo Dialogo della Musica Antica et della
Moderna (Firenze, 1581), ben sapendo che questi parlando dell'arpa moderna, disse che non era
«altro che un'antica Cithara».
b)))))))
D'altra parte, se una relazione esiste invece con la chitarra (alla spagnola, anch'essa presente negli
intermezzi del 1589) deriverà certamente dall'accordatura di questa, che in quegli anni, secondo
quanto preciserà J.C.Amat nella sua Guitarra Espanola (1626), poteva corrispondere a quella di un
liuto col cantino abbassato di un'ottava (contrabassi ed ex cantino a parte).
D.A. Smith ipotizza anche che il chitarrone sia stato inventato proprio a Firenze, o meglio che
sia stato ideato da A. Naldi detto il Bardella in quella città, ma che a costruirlo sia stato Magno
Tieffenbrucker, a Venezia, nel 1589. Tutto questo gli sembra giustificato dalla presenza di un
chitarrone (?) con la tratta, oggi al Museum of Fine Arts di Boston, che portando i segni del grande
liutaio confermerebbe quel luogo e quella data.
Certamente verso la fine del primo decennio del seicento la tipologia doveva già corrispondere a
quella illustrata un decennio più tardi da Michael Praetorius nel De Organographia
(Wolffenbuettel, 1619), e forse Kapsperger influenzò a Roma la diffusione della tratta di grande
lunghezza con la quale in un primo momento, secondo Praetorius, sembra essersi identificata la
tiorba romana. Ma come si arrivò a questa «nuova perfettione» liutistica non ci è possibile coglierlo.
MERSENNE
HARMONIE UNIVERSELLE la descrive
Questo è anche l'anno della prefazione di Guidotti alla Rappresentazione di Cavalieri, e l'anno in cui
il liuto « tradizionale » si presenta alla stampa con nove cori nell'opera di Antoine Francisque Le
Trésor d'Orphée (Paris, 1600).
REPERTORIO ITALIANO:
STAMPE:
KAPSBERGER
Libro I d'intavolatura di chitar[r]one (Venice, 1604/R1982); ed. D. Benkö (Budapest, 1983)
P.P. Melli:
Intavolatura di liuto attiorbato, libro secondo (Venice, 1614/R)
P.P. Melli:
Intavolatura di liuto attiorbato e di tiorba, libro quinto (Venice, 1620/R)
KAPSBERGER
Libro II d'intavolatura di chitarrone (1616), lost
B. CASTALDI
Capricci a due stromenti cioè tiorba e tiorbino (Modena, 1622/R)
PICCININI
Intavolatura di liuto, et di chitarrone, libro primo, Bologna, 1623:
KAPSBERGER
Libro III d'intavolatura di chitarrone (1626),
Libro IV d'intavolatura di chitarrone (1640/R1982); 12 toccatas, ed. M. Lubenow (Germersheim, 1994)
G. Pitoni:
Intabolatura di tiorba nella quale si contengono dodici sonate da camera (Bologna, 1669/R)
G. Pitoni:
Intabolatura di tiorba nella quale si contengono dodici sonate da chiesa (Bologna, 1669/R)
KAPSBERGER
Intavolatura di chitarrone, bks V–VI; Intavolatura di lauto, bks III–IV; Balli, bks II–III; Sinfonie, bks II–III:
listed by Allacci, pubn doubtful
MANOSCRITTI
CONTINUO
Certamente, tra gli strumenti del continuo c'erano le tastiere: il cembalo fuori dalla chiesa, l'organo
in chiesa. Ma c'era anche la tiorba: dentro e fuori la chiesa, dentro e fuori il teatro, dentro e
fuori l'accademia: per dio per il barbiere per Orfeo per l'amante per il principe per il comediante
per il cantante per il virtuoso... In quest'epoca di 'continuo' lo strumento che in generale più d'ogni
altro meglio si prestava a realizzare, indipendentemente da luoghi e tempi, il basso continuo.
Per i principali libri per continuo vedi il paragrafo dedicato a Robert de Visée:
Suo padre e i suoi due fratelli erano liutisti e dal 1582 al 1598 furono tutti e quattro al servizio
della grande corte estense a Ferrara.
Alla morte di Alfonso II (1598) Alessandro si trasferì a Roma dove lavorò fino al 1611.
Nel Viridario di Gian Filoteo Achillini (Bologna, 1513) si legge che in Bologna« Sonatori ci son
tanto perfetti,/ che colleuto in braccio fama i freggia,/ l'Albergato, Alessandro, quel dai letti,/
Lorenzo, Piermatteo, il gentil Tireggia;/ il Cambio con la lira è fra gli eletti ».
Il Bottrigari spiega
PREPARAZIONE DEL CONCERTO GRANDE
« Concerto grande » che il duca comandava ad Ippolito Fiorini « suo Maestro di cappella, & capo di
tutte le Musiche dell' Altezza sua, così pubbliche come private, domestiche, e secrete » in occasione
della presenza a corte di qualche potentato. Il Fiorino conferiva quindi prima con Luzzasco e poi
con gli altri musicisti e cantanti ordinariamente stipendiati, e inoltre faceva sapere « à ciascun
Ferrarese, che sappia cantare, & sonare in modo, ch'egli sia dal Fiorino a dal Luzzasco giudicato
sufficiente a poter intravenire à tal concerto, che debba trovarsi alle camere della Musica, [...] Onde
al tempo costituito da sua Altezza, vengono essi poscia concordemente a far tal Concerto nel luogo
ordinato, con sommo diletto, & piacer infinito del Prencipe forastiero divenutone ascoltatore, & di
tutti gli altri personaggi circostanti [...] ».
Alessandro, Girolamo e Filippo servirono Alfonso II fino alla sua morte (ottobre 1597). Né
avrebbero potuto fare diversamente senza offendere il duca. malgoverno di Alfonso spinge il popolo
immiserito a correre ad applaudire incontro alle truppe del legato pontificio, cardinale Pietro
Aldobrandini, che veniva largo di promesse e di speranze per un avvenire migliore».
E ormai in questo speravano evidentemente anche i fratelli Piccinini che entrarono come altri
musicisti e gentiluomini della corte di Alfonso al servizio del cardinale legato, nipote di Clemente
VIII (Ippolito Aldobrandini).
I Piccinini fin dall'inizio del 1598 entrarono dunque al servizio di P. Aldobrandini il quale, finiti i
festeggiamenti per Ferrara papale, se ne tornò a Roma lasciando la città estense al Collegato
cardinale F. Blandrata. A lungo i Piccinini servirono anche i Bentivoglio.
Alessandro
Supponiamo che dopo Ferrara sia rimasto presso P. Aldobrandini a Roma, così come supponiamo
che con l'arrivo nel 1606 di Enzo Bentivoglio, sia passato a servire il magnifico signore dell'antica e
illustre famiglia già servita anche da suo padre.
Quando ritornerà poi definitivamente a Bologna (sicuramente prima del 1614) i rapporti col
Bentivoglio saranno mantenuti. Una serie di lettere (Ferrara, Archivio Bentivoglio; Modena,
Archivio Estense) rivelano impegni d'insegnamento, di consulenza didattica e di amministrazione
(non soltanto nell'area bolognese, ma anche in quella di Modena e in quella di Ferrara) già a partire
dal 1614.
AVVERTIMENTI INTERESSANTI:
- in imitative writing the theme must be played louder so that it stands out;
a technique of playing forte and piano (‘ondeggiato’) should be adopted in pieces rich in dissonances,
which - should be highlighted (as, according to him, they were at Naples);
- embellishments should be left to the taste of the player, but
- the cadential gruppo should always be pronounced, its notes being given equal value, and it should be
completed as quickly as possible
Piccinini wrote the music (apparently lost) to La selva sin amore (libretto by Lope
de Vega Carpio), the first opera performed om Spain.
Nei fondamentali avvertimenti del libro del 1623 Alessandro Piccinini attribuisce a sè il merito di
aver risolto definitivamente il problema della sonorità degli extrabassi applicando ad un normale
liuto, con una « tratta al manico », una seconda cavigliera più distante della prima dal ponticello
quanto bastava ad ottenere dei contrabassi « sonori », inventando così l'arciliuto.
Si è già visto che Piccinini fa risalire al 1594 il suo viaggio a Padova e la costruzione in quella città
presso la bottega di Heberle degli arciliuti. Una sua lettera al duca Alfonso II sembra però spostare
la data al gennaio dell'anno seguente: « Ser. Prencipe. Essendo arivato in Padua alli venticinque del
presente subito ordinai i lauti, et ancora che gli mastri si siano mostrati alquanto dificultosi in far
lauti novi per questi tenpi freddi non mancheranno però di far il meglio che potranno, e certo se io
non gli fossi in proprio fatto a ordinarli come voglio non farebbeno cosa buona, e gli pare un lauto
molto stravagante pero spero si farà qualche cosa di buono, ancora che io non ho trovato fondi
longhi come desiderava che vengono di alemagna cosi fatti bisogna adunque far al meglio che si
potrà per hora mi dispiace solo che il sig.r Prencipe non sara servito di havere al suo lauto quela
goba perche bisognerebbe far una forma nova il che sarebbe con longhezza di tempo, et contro la
loro opinione la quale si e che niente di utilità debba aportarvi detta gobba ma avemo trovato dele
forme piu apropriate et credo riusciranno et hanno gia dato bonissimo principio e staro adonque
aspettando ottimo fine et fra tanto a V.Al.za ser .ma m'inchino [...] di Padua a li. 31. zenaro. 1595
[...] ».
Sembrerebbe evidente che Alessandro Piccinini non sia stato preciso nel datare il suo viaggio. Ma
bisogna pur
"supporre che da Ferrara egli potrebbe esser partito effettivamente ancora nel 1594, ed aver
soggiornato, per ragioni che non conosciamo, in altre città prima di arrivare a Padova. Dato poi che
Gesualdo, nel 1594, dopo il matrimonio con Eleonora d'Este, fece ritorno a Napoli in parte per
mare, via Venezia-Barletta, i due arciliuti che portò con sé, secondo quello che riferisce Piccinini,
lasciandone uno in Roma « che poi capitò alle mani del Cavalier del Liuto », devono quindi essere
ascritti al secondo ritorno a Napoli del principe, quando lasciò Ferrara alla fine del 1596.
Il chiaro progetto che invece Piccinini aveva in mente era quello di far costruire dei liuti a dieci cori
con una tratta ai contrabassi ottenuta tramite l'allungamento della cassa, cosa che di per sé rende
incredibile l'esistenza delle tratte, intese a potenziare i contrabassi, in epoca precedente. Ed
evidentemente quanto asseriva V. Galilei sulla sonorità delle corde « sotto il basso » corrispondeva
ad una precisa realtà, se in questo suo progetto Piccinini, dieci anni dopo, considerava necessario
dare a quegli extrabassi una lunghezza un terzo maggiore delle altre e per di più su uno strumento
con 69 cm. di corda vibrante nel gioco principale, misura che già da sola avrebbe dovuto potenziare
la sonorità delle corde gravi.
JOHANNES HIERONIMUS KAPSBERGER
Autore di musica profana e musica sacra (circa sessanta raccolte di composizioni), fu anzitutto
celebre suonatore di chitarrone, cioè di tiorba, di liuto e di chitarra. Con i soprannomi di Giovan
Girolamo (o Geronimo) della Tiorba e Tedesco della Tiorba, ci si riferiva ancora al « Nobile
Alemano ». MONOGRAMMA HK, testimonianza diffusione della sua arte: molti manoscritti
Non sappiamo attualmente dove nacque, forse proprio a Venezia (1580?), dove nel 1604 pubblicò il
LIBRO PRIMO D'INTAVOLATURA DI CHITARONE, che è opera di nettissima maniera italiana.
Figlio di Wilhelm, un colonnello tedesco, spese probabilmente i primi 20-25 anni della sua vita a
Venezia.
FORTUNA CRITICA
E’ un moderno
Athanasius Kircher, il grande erudito che frequentò a partire dal 1637, ebbe per lui parole di elogio
incondizionato. Pietro della Valle e Vincenzo Giustiniani lo stimarono come grande virtuoso della
tiorba (nel più completo significato di compositore-esecutore di ammirevole bravura).
Ma il dotto Giovan Battista Doni, che pure visse intimamente col potere dei Barberini, lo ritenne,
per non limpide ragioni, mediocre compositore e (era quello che più importava) particolarmente
inadatto al genere sacro. Doni denounced Kapsperger for attempting to replace
Palestrina's music with his own at the Sistine Chapel,
Se G.B. Doni fu l'iniziatore di questa tradizione, essa trovò larghissima diffusione dopo l'edizione
fiorentina dei Trattati di Musica (1763).
F.J. Fétis e A. W . Ambros ne furono i più fedeli e grossolani continuatori ottocenteschi. Altri poi
ripresero con esemplare gratuità ad aspergere d'insulti e mediocrità la figura del «Nobile
Alemanno». Le ragioni sono da ricercare anzitutto in certo spirito controriformistico responsabile di
una feroce predisposizione al mito palestriniano (Medusa senza Perseo nella storia musicale degli
ultimi quattro secoli). Ma anche nella famosa fola storiografica (a dire il vero non soltanto
musicale) del liuto morente al termine della "classicità rinascimentale" sulle cui auliche rovine
sarebbe poi sorta una miriade di strumenti popolari e più facili, d'accompagnamento, insomma di
contorno e in qualche modo sempre periferici alla grande arte delle tastiere, sacre o profane che
fossero.
a)) KAST
In "Tracce monteverdiane e influssi romani nella musica sacra del Kapsberger", apparso in una
raccolta di saggi su Monteverdi pubblicati nel 1967 dalla Rivista Italiana di Musicologia, P. Kast
iniziava osservando che «menzionare un compositore minore come Johann Hieronymus Kapsberger
accanto al grande maestro Claudio Monteverdi appare quasi un delitto di lesa musica», ma che
«ponendosi però la questione dell'influsso monteverdiano sulla musica di buona parte del Seicento,
occorre abbracciare tutto il panorama postmonteverdiano; che comprende (per fare un gioco di
parole sul cognome dei due compositori) sia 'i monti verdi' sia i 'monti di cavoli'». Con perfetta
aderenza al metodo e allo stile della tradizione doniana sfiorava poi la questione strumentismo:
«Noto e da tutti apprezzato come strumentista modernissimo, il Kapsberger fu considerato
soprattutto un virtuoso che si dedicò anche alla composizione», aggiungendo che «quest'opinione si
fonda su alcune opere profane».
Anche il Kast dimenticava dunque che questa non era che la vecchia opinione del Doni perpetuatasi
negli scritti di quanti lo lessero; né sembrava accorgersi dell'assurdità delle proprie proposizioni.
Il che rimanda all'erudito filisteismo di Doni & Co. Perché, infine, ciò che più irritò del
Kapsperger fu lo stile delle sue composizioni sacre: dalle messe ai mottetti passeggiati la
slegatura con l'ortodossia dello stile antico è manifesta. E gli attacchi al suo stile monodico (cui
l'Ambros ad esempio dedicò un intero capitolo della sua Geschichte der Musik, al quale si sarebbe
poi ispirata la più recente storiografia) non sono mai andati oltre l'indignazione pretestuosa o la
capziosa critica.
Del rimanente poco importava. Lo dimostrò per tutti il Fétis allorché "en passant" annotava nella
Biographie Universelle: « Quant au mérite des compositions de Kapsperger, il faudrait avoir la
patience de mettre en notation ordinai re ses pièces de luth et d'autres instruments pour en juger... ».
Questa infelicissima osservazione doveva fatalmente cadere proprio sull'opera di un musicista che
con le sue intavolature di chitarrone sta lì a dimostrare il più completo fallimento di tale processo
conoscitivo.
Insomma, bisognerà arrivare alle ricerche pratiche liutistiche e tiorbistiche di questi ultimi anni e
agli studi di Paul Kast per capire che la tradizione di giudizi negativi su Kapsberger era
fondamentalmente preconcetta e strumentalmente negligente. Nessuno, infatti, di quanti, più o
meno indirettamente costretti, rivolsero la loro attenzione al celebre tiorbista si può dire che
possedesse una reale conoscenza della tiorba, del liuto o della chitarra alla spagnola (ad eccezione,
per motivi puramente cronologici, del Doni e del Walther). A tale proposito una significativa
dimostrazione si trova nel famoso, importantissimo Handbuch der Notationskunde, di Johannes
Wolf, con l'errata trascrizione in notazione moderna della villanella « Negatemi pur » (libro primo).
REPERTORIO VOCALE
In his vocal music, Kapsperger explored the limits of both Baroque opulence and Counter-Reformation
austerity. The Mottetti passeggiati and Arie passeggiate contain monodies (1612) and duets (1623) with
extensive (and sometimes exaggerated) written-out ornamentation. The larger Petrarch and Guarini
settings stand out among the 1612 Arie (which are actually solo madrigals); the 1623 collection is less
ornate, but more satisfying musically. The Mottetti suffer from lengthy and predictable florid passages but
reflect aspects of current Roman taste and were influential in Germany.
a) SACRO
Libro I di [20] mottetti passeggiati, 1v, bc (1612/R1980)
[21] Cantiones sacrae, 3–6vv, bc (1628)
Modulatus sacri diminutis voculis concinnati, 1v, bc (1630)
I pastori di Bettelemme … dialogo recitativo (G. Rospigliosi), 6vv, bc (1630)
[3] Missae urbanae, 4, 5, 8vv, bc (1631)
[4] Litaniae deiparae virginis, 4, 6, 8vv, bc (1631)
Mottetti passeggiati, bks III–IV; Salmi per vesperi, bks I–III; Concetti spirituali: listed by Allacci, pubn
doubtful
Motets, 2–4vv, listed in Franzini catalogue, 1672, see Wessely
Apotheosis sive Consecratio SS Ignatii et Francisci Xaverii (prol, 5, O. Grassi), Collegio Romano,
Rome, 1622, A-Wn, F-Pn*
Per quanto attiene al repertorio sacro nel 1622 gli fu commissionata la messa in musica
dell’Apotheosis seu consecratio, una rappresentazione sacra che doveva celebrare la
canonizzazione di Ignazio di Loyola. Ebbe eccellenti rapporti con la famiglia papale dei Barberini,
ma, secondo Doni, non riuscì ad introdurre i propri lavori, come le Cantiones Sacrae o la Cantata di
Natale I Pastori di Bettelemme, alla Cappella Sistina.
STRUMENTALE
Prima di tornare al repertorio per chitarrone citiamo da ultimo le Sinfonie a Quattro, musica
strumentale per violino, cornetto, strumenti a pizzico, clavicembali, contrasti solo-tutti, echi.
Intavolatura di chitarra; Intavolatura di chitarra spagnola spizzicata: listed in Franzini catalogue, 1672, see
Wessely
CHITARRONE e liuto
Libro I d'intavolatura di chitar[r]one (Venice, 1604/R1982); ed. D. Benkö (Budapest, 1983)
Libro I d'intavolatura di lauto (1611/R1970, 1982); ed. K. Gilbert (Bologna, 1997)
Libro I de [8] balli, [6] gagliarde et [6] correnti, a 4 (1615); ed. in IIM, xxv (1993)
Libro I di [18] sinfonie a 4, bc (1615); ed. in IIM, xxv (1993)
Libro II d'intavolatura di chitarrone (1616), lost
Libro II d'intavolatura di lauto (1619), lost
Libro III d'intavolatura di chitarrone (1626), lost
Libro IV d'intavolatura di chitarrone (1640/R1982); 12 toccatas, ed. M. Lubenow (Germersheim, 1994)
3 gagliarde, I-Bc
Other pieces, F-Pn, I-Mos
Intavolatura di chitarrone, bks V–VI; Intavolatura di lauto, bks III–IV; Balli, bks II–III; Sinfonie, bks II–III:
listed by Allacci, pubn doubtful
The theorbo collections contain virtuoso toccatas, variations and dances (some for a 19-course instrument)
that combine arpeggiated sections, unusual rhythmic groupings, broken-style figuration and slurred
passages within an ornamented and highly syncopated context that has many parallels with the keyboard
works of Frescobaldi.
COELHO: influenza della toccata di Kaps su FRESCOBALDI
libro del 1604, “Libro Primo d'Intavolatura di Chitarone”, splendidamente curato dal suo 'fratello
amorevolissimo' G.A. Pfender, coi componimenti laudativi di F. Contarini e F. Zazzera.
appare sulla scena coi segni di una fulminante attualità; sia nei confronti della più matura e vasta
arte strumentale del tempo, l'arte liutistica, che rivoluziona, sia su un piano più generale.
IV LIBRO
La quarta fu curata da G. Pozzobonelli e s'intitola: Libro Quarto d'Intavolatura di Chitarone. Da
quest'opera sono tratti tutti i brani eseguiti, tranne l'arpeggiata che proviene dal libro del 1604.
Dall'uso di un chitarrone a 14 ordini si arriva infine ai 19 ordini. L'aggiunta di 5 ordini oltre il
quattordicesimo completava cromaticamente la scala discendente degli extrabassi, favorendo e al
tempo stesso ampliando le possibilità di soluzioni armoniche.
Questa nuova tiorba di Kapsperger va vista alla luce di quella particolarissima esaltazione
sperimentale che investì gli strumenti musicali tra gli ultimi due decenni del cinquecento e la prima
metà del seicento. Ma contrariamente a strumenti come la Lira Barberina o la Tiorba
Triarmonica del Doni, nati da un esercizio quotidiano teso all'astrazione teoretica, essa è un
esperimento sortito dalla pratica musicale quotidiana. Perciò, anche nel libro quarto, il chitarrone a
19 ordini può essere in pratica sostituito (con l'intervento di piccole varianti) da una normale tiorba.
Quanto all'ampliamento degli avvertimenti e all'aggiunta di esemplificazioni non presenti nel libro
primo, non si notano cose particolarmente rilevanti, e tutto s'inserisce coerentemente nella logica
tiorbistica. È da notare comunque che il modo delle «arpeggiate a tre corde» (usato peraltro
pochissimo) è probabilmente segnato in modo scorretto a causa di un errore di stampa e do-vrebbe
pertanto essere inteso iniziando l'arpeggio col pollice, seguito dal medio e quindi dall'indice sul
terzo coro.
Scrisse pure un trattato sul chitarrone, “Il Kapsberger della musica”, ora perduto.
Un'ultima breve considerazione riguarda il basso numerato che accompagna in gran parte le
composizioni del quarto libro (simili esempi vengono dati anche da Frescobaldi con la «Toccata per
spinettina sola o ver liuto», nel 1628, e da Pittoni con i due libri di Sonate del 1669).
Se non è certamente dubitabile l'esecuzione con la sola tiorba di queste opere, si deve però guardare
anche ad altre soluzioni. I vantaggi offerti da una simile notazione erano molti. AI piacere di
studiare moderne composizioni solistiche veniva in tal modo associato lo studio del basso numerato
con formule strumentali di facile memorizzazione (si pensi, ad esempio, ai bassi ostinati), traendone
ovvi vantaggi. Inoltre, la possibilità di combinare una tiorba "solistica" con l'accompagnamento di
strumenti scelti secondo la natura della composizione (toccata, canzone, basso ostinato, corrente o
gagliarda) tra il cembalo, la chitarra, l'organo, l'arpa, doveva essere molto agevolata da tale scrittura,
specialmente nelle accademie.
II 17 gennaio del 1651, «Johannes Hieronymus Kapsberger Germanus etatis sue annorum
septuagesimo primo» fu sepolto, a Roma, nella chiesa di S. Biagio, in Montecitorio.
FRANCIA
continuo tutors
a) Nicolas Fleury’s Méthode pour apprendre facilement à toucher le
théorbe sur la basse-continuë (Paris, 1660/R);
A.M. Bartolotti’s Table pour apprendre facilement à toucher le
théorbe sur la basse-continuë (Paris, 1669);
H. Grenerin’s Livre de théorbe (Paris, c1670);
b) E.D. Delair’s Traité d’accompagnement pour le théorbe et le
clavessin (Paris, 1690/R, 2/1723);
François Campion’s two works Traité d’accompagnement et de
composition selon la règle des octaves de musique (Paris, 1716/R) and
Addition au traité … (Paris, 1730/R).
LIBRI FRANCESI :
b Bologna, early 17th century; d ?Paris, after 1668). Italian composer, guitarist and theorbo player.
After publishing two books of his guitar music in Italy, Bartolotti moved to Paris.
In France Bartolotti was admired principally as a theorbo player: Ouvrard praised him as ‘without doubt the most skilful
theorbo player in France and Italy’, and Constantijn Huygens also mentioned him as a virtuoso on that instrument.
Bartolotti’s treatise ranks, with those of Fleury (1660) and Delair (1690), among the
most noteworthy essays on accompaniment for the theorbo.
PINEL (1600-1661)
Manoscritto: un prélude non mesuré for theorbo (ed. M. Rollin and J.-M. Vaccaro, Paris, 1982).
The exceptionally wide diffusion of his works in manuscript points to his stature as one of the greatest lute
composers of the century (for sources see edition and Ledbetter).
In their technical resourcefulness and broad paragraphing his préludes non mesurés provide the nearest lute
equivalent to the harpsichord preludes of Louis Couperin.
Grenerin
Livre de théorbe contenant plusieurs pièces sur différents tons, avec une nouvelle méthode tres facile pour
apprendre à jouer sur la partie les basses continues et toutes sortes d’airs (Paris, n.d.),
the only copy of which is in the Bibliothèque Royale Albert Ier, Brussels. It was dedicated to Lully.
ROBERT DE VISÉE
Malinconia,
vita segnata da lutti: moglie e figlie
Nel 1680, secondo quanto recita la prefazione alla sua prima raccolta (1682), fu nominato, come
tiorbista, intrattenitore del Delfino. La posizione di maestro di chitarra del re era occupata da
Jourdan de la Salle e passò in seguito al figlio di La Salle. R. de Visée era destinato a rimanere
cantore nella cappella reale fino al 1719, ma appare qui e là in eventi di corte e di quando in quando
in brevi note del marchese di Dangeau.
Grazie a queste ed altre testimonianze si conoscono anche gli organici dei gruppi da camera, in cui
peraltro Visée figurava come chitarrista, tiorbista e gambista.
Partecipò spesso alle serate di “piccola musica” a Versailles, Marly e altrove. Tra il 1694 e il 1705
suonò spesso a corte e in particolare ai ricevimenti di Madame de Maintenon in compagnia dei
flautisti Descoteaux e Philibert, del cembalista Jean-Baptiste Buterne e del grande virtuoso della
viola Antoine de Forqueray.
Dal 1695 fu di fatto l’insegnante di chitarra del re anche se ufficialmente non ebbe quel posto
fino fino al 1719, quando morì il figlio di La Salle. Tuttavia tenne il posto solo per un anno poiché
dopo la morte della moglie lo cedette al figlio.
Si suppone sia morto intorno al 1732/33.
REPERTORIO
Il suo stile compositivo si distingue da quello degli altri liutisti poiché adopera un linguaggio non
così idiomatico, ma affine a quello degli altri strumenti. Egli è infatti l’unico compositore a
pubblicare o arrangiare i suoi lavori per tiorba o liuto per strumenti melodici (flauto o violino) e
basso continuo.
L’originale stile di alcne di queste composizioni differisce dai giovanili pezzi per chitarra, nella
prefazione ai quali lo stesso Visée dichiara di adattarsi allo stile e al gusto del “tiranno” della
musica francese di quel periodo: “conoscendo me stesso troppo bene per chiedere di essere distinto
per la forza della mia composizione, ho provato a conformarmi al gusto della gente colta dando ai
miei pezzi, secondo quanto la mia debolezza mi permette, il giro di quelli dell’inimitabile Monsieur
de Lulli: sono convinto che è solo seguendolo a distanza che i miei pezzi hanno avuto la fortuna di
essere favorevolmente uditi da Sua Maestà e da tutta la corte. Questa approvazione, meravigliosa
per me, mi dà la speranza che il mio libro troverà qualche patrono…”
ANALISI
Poco tempo:
- presentazione di forme diverse. Ogni composizione è stata scelta a rappresentare una
peculiarità significativa
I Gruppo
TOCCATE
- la prima è la regina delle forme nella letteratura per tiorba o chitarrone italiani
Analogia con la toccata frescobaldiana, grande varietà e libertà. Regno degli affetti.
PICCININI
La toccata picciniana è un tipo di composizione caratterizzato dall'assenza di una struttura
formale predefinita e da un alto grado di libertà creativa. Essa rappresenta nella letteratura per
tiorba uno dei più alti vertici di bellezza e virtuosismo.
Come già accennato Piccinini è un uomo che vive in un'epoca di passaggio dal mondo
rinascimentale a quello barocco. Lo stile delle sue toccate, molto più di quelle di Kapsberger,
rispecchia precisamente tale condizione.
Infatti a un'apertura caratterizzata da lunghi accordi senza ritmo spesso si succedono brevi temi
imitati, per lo più in tempo binario, che svaniscono in rapidi strascini (scale legate) o in rapidi
arpeggi e a una sezione centrale contrappuntistica corrisponde sovente un passaggio danzante e
leggero in ritmo ternario che prepara la chiusa magniloquente e ricca di “sbordonate” in tempo
binario. A tenere unita la varietas dell'invenzione piccininiana è la fusione dei diversi momenti
in un discorso orientato dalla retorica e dal teatro.
Kapsberger
TOCCATA IX
Toccata Breve
Struttura chiara: presenta tutti gli elementi classici della toccata:
Accordo arpeggiato iniziale
ribadisce le note dell’accordo con passaggi, diminuzione di ritmo che lancia
lunga discesa verso il basso che fa ascoltare l’intera gamma dello strumento
passaggio con gesto teatrale
trillo in campanelas
plagale su mi minore (non maggiore)
Contrappunto con ritmo puntato (6 + 5 variatio)
rilassamento su arpeggio misurato, lungo passo in crome, imitazione (dalla tonica alla quinta)
biscrome muovono, rafforzano imitazione e lanciano
episodio imitazione 4 volte, quinta volta scende per la prima volta sulla dominante
momento molto teatrale. Pausa, crome, ma dominante va su mediante do#
sottodominante: sorpresa, si ferma, va sulla terza minore e ricama intorno insistendo
ancora re minore, campanelas reiterate con caduta su do nat.
torna tonica, lungo passaggio in strascino verso il grave
risale verso dominante con 4, risolve, trillo scritto, settima e sensibile, fine maggiore
TOCCATA II ARPEGGIATA
Toccata singolarissima
Interamente fondata sull’arpeggio
Interessante testimonianza della centralità dell’arpeggio, anche costante
Quindi Armonia è quasi tutto, accordi arditi, batt. 2, 6, 9
Cambi di modo, Sol minore all’inizio di II riga, la+, lam, sib sinat. fine II riga
Cadenza chopin
episodio mi, metamorfosi e crescendo
passaggio do-si, la min. la maggiore unici movimenti nella battuta
si nat, do#, grande crescendo
cadenza re
TOCCATA VI
Piccinini
Arpeggio con basso in movimento, contrappunto arpeggiato
Inizio Accordi per dare il tono (addirittura due battute)
Giro di terze
dominante strascino
tonica strascino, teatro su Sol, arpeggio calma verso dominante minore (modale)
riposo, imitazione dell’inizio, puntato + strascini
cadenza a re min.
la min annulla cadenza, nuova armonia (la6, do, fa, do6/4, do+) cadenza a fa
Inizio episodio contrappuntistico, diversi tipi di imitazione
strascini in imitazione, cadenza a re minore, rallenta il ritmo in
semiminime , parte liric imitativa, dissonante
contrappunto si infittisce, cadenza a tonica
Arpeggi con basso che si muove, diverse velocità
dominante, lungo strascino, fine bordoni
rallenta, cadenza a sol +, finto finale
cadenza plagale
II GRUPPO
Danze
CAPONA
Le danze, invece, differiscono sostanzialmente da quelle del bolognese. Infatti spesso le danze
di Kapsberger hanno un'origine decisamente popolare. In esse i riferimenti colti che
individuavamo per Piccinini sono scomparsi a favore di una grande immediatezza, bizzarrie
armoniche e invenzione ritmica. Un esempio di questo tipo è costituito dalla Capona,
danza......
Interessante ritmo ambiguo
Basso modale
Pieno modo misolidio, tetrardus autentico
questo causa continui giochi con il tritono (mediante-settima)
COLASCIONE
Questa danza binaria imita appunto il colascione, strumento popolare molto diffuso soprattutto a
Napoli già dal secolo XVI. In questa bizzarra composizione Kapsberger riproduce sulla tiorba la
sonorità tipica di quello strumento con una maestria mimetica che si spinge fino all'introduzione
in partitura di un glissando di nove tasti.
imitazione strumento
ritmo, nordafrica
Quinte ottave quarte unisoni (solo due terze di passaggio in tutto il pezzo)
Pezzo in sol, nessun fa#
arpeggio note uguali
cambio registro do unisono
Glissando
III GRUPPO
Cromatismo
Come ci arriva?
Inizio imitazioni (diminuzione, aggravamento)
subito dominante minore
battute in imitazione (minima, croma, semicroma, semiminima, poi in II crome)
rilassamento in armonie di minima, cadenzaa dominante
salita dal basso esplode su ottavizzazione sol, ritardo risoluzione eccentrica, ancora rit, risolve
7-6, CROMATISMO BASSI QUI 7-6 con crom, 6-5 6/4, etc. analizza accordi
strategie di entrata e di uscita
Crome imitano,
perturbazione punto
episodio discesa basso 7-6
du battute di respiro consonante
CROMATISMO ACUTI
Semiminime in arpeggio preparano
sorpresa 5° DO#: BIZZARRIA, prima crome, poi lombardo, accentua stranezza
Arriva al massimo nell’ultima battuta: Sib fa#, do#
cadenza a dominante, grandi accordi sempre più consonanti con bordoni vanno verso
sezione veramente contrappuntistica: rinascimento
Finale episodio: imitazione, imitazione dissonante soga su molto acuto e molto grave
lunghissimo strascino, teatro come prende ultimo re
verso plagale minore (sentiamo mib), do minore
gioca con cromatismo ancora in ultime due batt.
RIASSUNTO: esempio di teatralizzazione del contrappunto laddove da una prima parte ricca di
arditissimi cromatismi, sboccia improvviso un contrappunto perfettamente rinascimentale che
collassa su sbordonate e strascini e sulla propria parodia cromatica nelle ultime due battute.
CANZONA PRIMA
Straordinaria varietà d’invenzione. composizione che per titolo e sostanza avvicina il Tedesco
della tiorba all'altro grande Girolamo, collega alla tastiera nella Roma dei Barberini.
Esattamente come le canzoni di Girolamo Frescobaldi, questa composizione consta di diverse
riconoscibili sezioni.
IV GRUPPO
La “Chiaccona” di Piccinini è una tra le composizioni che meglio rappresenta l'arte della
variazione su basso ostinato del primo seicento italiano.
In essa Piccinini riesce ad alternare umori e affetti semplicemente variando
improvvisamente registro dello strumento, tecnica e ritmi.
Forma: Basso ostinato con variazioni
ambiguità ritmiche
crescendo sapiente
alterna vuoto-pieno
confronto con francesi
TOCCATA II
R. de Visée
Lo stile di Robert de Visée differisce sostanzialmente da quello di Piccinini e Kapsberger per
provenienza ed epoca.
Come si sa lo stile barocco francese era molto caratterizzato e, a differenza di quello italiano, molto
codificato. Tali caratteristiche, che non possiamo certo riassumere qui, sono rintracciabili anche
nell'opera di Robert de Visée ed è soprattutto per offrire un saggio di un altro modo di concepire la
scrittura per la tiorba che le ho qui presentate.
CHACONNE LA MINEUR
solennità malinconica
sale pù spesso verso l’alto, maggiore uso dei bordoni : strumento più piccolo (theorbe de pièces)
Quasi spariti gli echi modali, struttura tonale forte
Molti abbellimenti scritti
fraseggio ligature
cromatismi
cromatismo drammatico verso alto
raggiunto il massimo couplet tranquillo in progressione (tipica barocco affermato)
ultimo couplet più forte, accordo pieno, cromatismo, bassi
LA MUZETTE EN RONDEAU
vera danza
pastorellerie, cornamusa, arcadia
rondeau, già forma paesna, danza con ritornello dopo ogni couplet
trasfigurata in nobile dolcezza
capito che aveva trovato buon tema, pubblica per ogni sorta di str.
CHACONNE
Il pezzo più esteso e più impegnativo è la Chaconne, composizione che rimane fedele al suo
basso ostinato per le prime variazioni in maggiore e quindi in minore, mentre verso la fine
lascia la misura consueta per distendersi in variazioni in campanelas, bordoni, strascini e in
un arpeggio conclusivo in quintine.