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il Reich e il mondo campo di battaglia innumerevoli successi le guerre mondiali dei tempi a oggi dei guerrieri del Nord
20
83
Cover Story
20 I l cuore di Francia
Storia di Parigi, da isola fluviale 52 Perseo libera A ndromeda,
di P iero di C osimo
83 Un veneziano alla corte
del K han
Il sovrano mongolo secondo Marco Polo.
a capitale del più ricco regno d’Europa. Un dipinto “mostruoso” ed enigmatico.
24 C over story:
C ose buone in cucina 54 M i fido di te
L’inseparabile amico dell’uomo:
86 Largo agli eccessi,
è carnevale!
Le origini pagane della festa più sfrenata.
Come mangiavano, bevevano, servivano il cane e il suo ruolo lungo dieci secoli.
e sedevano a tavola i nostri antenati.
34 S ovrano e santo
Luigi IX di Francia, un regnante
Il simbolismo segreto della rosa.
92 Gnocco fritto,
dalla personalità contraddittoria.
64 Tanto fumo, poco calore
Camini e focolari domestici.
lo street food longobardo
Una ghiottoneria “barbarica”.
maestri
dell’intrigo
Matrimoni propizi, politiche spregiudicate e una saggia
amministrazione: con questa formula la famiglia d’Este
riuscì a sedere sui troni più importanti d’Italia e d’Europa
di Antonio Canfora e Luigi Lo Forti
S
i dice Este e si pensa Ferrara, ma in real-
tà le radici di questa prestigiosa casa-
ta affondano nel territorio padovano,
nell’omonimo feudo in cui, nel 1073,
si stabilì Alberto Azzo II, il vero capostipi-
te del casato. Era il pronipote del marchese
Oberto degli Obertenghi, che l’imperatore
Ottone I di Sassonia aveva creato conte pala-
tino. Le sorti della casata s’intrecciarono anco-
ra con la Germania nella seconda metà dell’XI
secolo, quando il duca di Carinzia Guelfo III
morì senza eredi nel 1055 donando i suoi feudi
al monastero di Altdorf, in cui si era ritirata sua
madre in veste di badessa: a sua volta fu lei a con-
segnarli a Guelfo IV, figlio di una sorella di Guelfo
III e di Alberto Azzo II. Guelfo IV divenne così In equilibrio
un membro della casa dei Welfen, i famosi Guel- tra cultura e politica
fi, che nei secoli a venire avrebbe dato origine Dal Quattrocento,
alla stirpe degli Hannover. Era la stessa famiglia gli Este seppero
che nel Settecento, trasferitasi dalla Germania in realizzare una perfetta
Inghilterra, avrebbe cinto la corona del più vasto fusione di raffinatezza
impero coloniale mai conosciuto. culturale e abilità
diplomatica. Accanto,
Alla conquista di Ferrara Borso dona una moneta
La continuazione del ramo italiano fu affida- al suo buffone,
ta invece a Folco, figlio di secondo letto di Alber- nel Salone dei Mesi
to Azzo II. Da questo momento in poi, le vicende di Palazzo Schifanoia
degli Este proseguirono in modo più lineare. Nel a Ferrara. Sopra,
1196 Azzo VI fu eletto podestà di Ferrara quando le insegne di Ercole I,
la città era ancora un libero Comune. Scacciato da duca mecenate.
una sollevazione ghibellina, tornò nel 1208, ripren-
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Il fascino “moderno” ci dallo scrittore cinquecentesco Matteo Bandello,
del marchese umanista «dietro al fiume Po trecento figli del marchese Nic-
Un ritratto di Leonello colò hanno tirato l’alzana delle navi». Il malizioso
d’Este, eseguito da riferimento era alla schiera innumerevole di figli e
Pisanello nel 1441. figlie che il marchese avrebbe disseminato sul terri-
Leonello era il secondo torio nell’arco di sessant’anni di vita, onorando con
dei tre figli illegittimi la propria virilità ben ottocento donne.
che Nicolò III d’Este Nel 1425, Niccolò fu protagonista di uno degli
aveva avuto da Stella episodi più noti e tragici del Medioevo italiano.
de’ Tolomei. La sua In quell’anno, infatti, mandò a morte la seconda
educazione rispecchiava moglie, la giovane Laura Malatesta (detta “la Pari-
la concezione dell’uomo sina”), e il figlio Ugo, nato dalla sua favorita, Stella
ideale, completo nel de’ Tolomei (nota anche come Stella dell’Assas-
corpo e nello spirito: la sino), colpevoli di adulterio. Li aveva colti in fla-
formazione culturale grante il 18 maggio, e già tre giorni dopo i due
gli fu assicurata sfortunati amanti salivano al patibolo, uniti in mor-
dall’umanista Guarino te come lo erano stati, brevemente, in vita.
Veronese, quella militare Dopo il sanguinoso episodio, destinato a ispi-
dal famoso condottiero rare nell’Ottocento poemi e tragedie, Niccolò III
Braccio da Montone. si risposò per la terza volta, nel 1429. La prescel-
ta era Ricciarda di Saluzzo, discendente in linea
dendosi Ferrara e imponendole la propria dinastia. paterna da Galeazzo I Visconti, signore di Milano.
Sul finire del Duecento gli Estensi ottennero anche Nel giro di quattro anni Ricciarda gli diede due
la signoria di Modena e Reggio, finché, dopo alcu- figli, Ercole, nel 1431, e Sigismondo, nel 1433.
ni decenni di alterne fortune, grazie alla capacità Tuttavia, alla morte di Niccolò, occorsa nel 1441,
di mantenersi in posizione equilibrata tra papato gli subentrarono, uno dopo l’altro, i figli illegit-
e Impero, la casata si consolidò, dando vita a uno timi avuti da Stella de’ Tolomei e pertanto fratel-
Stato piccolo ma molto influente. lastri dello sventurato Ugo: prima Leonello e poi
L’artefice della raggiunta stabilità fu Niccolò III Borso, che divenne signore di Ferrara nel 1450.
(1392-1441), abile statista e seduttore infaticabile: Se Leonello era un rappresentante sincero e
secondo un adagio popolare ferrarese tramandato- appassionato del trionfante Umanesimo quat-
La splendida Ferrara
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Gli Este
“Quando si tratta dello Stato, non si può guardare ad altri, nemmeno se sono parenti.”
Ercole I d’Este, duca di Ferrara dal 1471 al 1505
trocentesco, fu Borso a donare a Ferrara la sua Da arcigna fortezza terre improduttive e insalubri. Per questo motivo,
autentica età dell’oro. Politico accorto, benché a palazzo elegante tra le insegne ducali figura l’immagine di un uni-
spregiudicato e a tratti ambiguo, seppe garanti- Il Castello Estense è il corno che purifica l’acqua immergendovi il corno.
re alla città un lungo periodo di prosperità econo- simbolo di Ferrara.
mica, facendone nel contempo una vera capitale Eretto nel 1385 dal Matrimoni strategici
culturale: fu lui, infatti, il committente degli splen- marchese Niccolò II Un’abile mossa diplomatica di Borso fu il conso-
didi affreschi che impreziosiscono Palazzo Schifa- dopo una rivolta lidamento di ottimi rapporti con l’Impero germa-
noia (fatto erigere nel centro di Ferrara da Alberto popolare, venne più nico, in virtù dei quali, nel 1452, riuscì a ottenere
V d’Este, nel 1385), realizzati dai maestri Cosmé volte ristrutturato il rango di duca, sia pure soltanto in relazione ai
Tura e Francesco del Cossa. nel corso dei secoli, possedimenti di Modena e Reggio. Quanto a Fer-
Borso fu anche un amministratore attento: si perdendo via via il rara, all’epoca sotto giurisdizione papale, dovette
devono a lui alcuni significativi mutamenti del terri- carattere di fortezza. attendere fino al 1471 perché il pontefice Paolo II
torio, come la bonifica delle paludi presenti soprat- gli concedesse il titolo di duca della città. Borso si
tutto nel Polesine, al fine di rendere fertili quelle spense a 58 anni senza eredi, e per questo moti-
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Gli Este
vo lasciò che alla sua morte il Ducato di Ferra- e il secondo con Alfonso II di Napoli, finito tra-
ra passasse a Ercole, il quale nel frattempo aveva gicamente con la morte di quest’ultimo per mano Sui troni
completato la sua formazione culturale, politica e del fratello di Lucrezia, Cesare.
militare alla corte del Regno di Napoli. Alfonso, però, non era per nulla impressiona-
d’Europa
Il lungo soggiorno partenopeo diede i suoi frut- to dalla discutibile fama dei Borgia; piuttosto,
ti quando, il 3 luglio 1473, Ercole I d’Este spo- lo preoccupava la tresca tra Lucrezia e il cogna-
sò Eleonora d’Aragona, figlia di Ferdinando I di to Francesco II Gonzaga. Nel 1490, costui aveva
Napoli. Cresciuto nel raffinato ambiente cultu- sposato la sorella maggiore di Alfonso, la splen-
rale napoletano, una volta divenuto duca, Erco- dida Isabella d’Este, la quale riceveva da Ferrara
le si rivelò un magnifico mecenate. Fu grazie a lui minuziosi rapporti sui comportamenti a dir poco
che i due principali cantori italiani dell’epopea disinvolti della vivace Lucrezia. Nel 1506, appe-
cavalleresca di Orlando, Matteo Maria Boiardo e na succeduto al padre Ercole I, Alfonso I ospitò a
Ludovico Ariosto, poterono partorire le loro ope- Ferrara Francesco Gonzaga, in occasione del Car-
re immortali. Ercole seppe essere anche un abile nevale. Gli informatori di Isabella, rimasta a Man-
statista, e grazie a un’accorta politica matrimonia- tova, testimoniavano che durante i festeggiamenti
le riuscì a collocare molti dei suoi figli in posizio- «Sua Signoria ha accarezzato assai il Signor mar-
ni strategiche per l’avvenire della casata. Così, nel chese e con sua Eccellenza dansò il primo ballo».
1502, aveva lasciato che il figlio Alfonso sposasse Anzi, pur essendo incinta, Lucrezia danzò con
Lucrezia Borgia, la giovane e chiacchierata figlia tanta foga che ebbe un malo-
di papa Alessandro VI, che a soli 21 anni aveva già
alle spalle due matrimoni: il primo con Giovan-
ni Sforza di Pesaro, annullato dal papa padre,
re e abortì, mandando
il marito su tutte le
furie. Come se non
L e sorti degli Este e
dei Welfen si lega-
rono, nell’XI secolo,
grazie a un comples-
so gioco di adozioni e
passaggi di proprie-
tà. L’ultimo dei Welfen,
Guelfo III, adottò uno
Isabella, senza dei figli di Azzo d’E-
macchia e senza paura ste, Guelfo IV (sopra),
Nec spe nec metu, né poi duca di Carinzia.
con speranza né con La sua discendenza
timore: era questo il diede poi origine alla
motto di Isabella d’Este, casata tedesca di
figlia di Ercole I, andata Hannover, succedu-
sposa al marchese di ta agli Stuart sul trono
Mantova Francesco di Gran Bretagna e
Gonzaga nel 1490 e Irlanda nel 1714.
qui ritratta da Tiziano. La regina Vittoria,
Colta, raffinata ed incoronata nel 1837,
elegante, fu una delle era proprio una Han-
personalità femminili più nover. Collocando figli
ammirate e autorevoli del e nipoti sui più ambi-
Rinascimento, capace ti troni del Vecchio
di reggere il marchesato Continente, si gua-
in assenza del marito dagnò il soprannome
e per conto del figlio. di “nonna d’Europa”.
Matteo Bandello la definì Ed è attraverso di lei,
“suprema tra le donne” e in fondo, che gli Este
il diplomatico Niccolò da riuscirono a regnare
Correggio la chiamò “la su mezzo mondo.
prima donna del mondo”.
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bastasse, in quello stesso anno Alfonso dovette far
fronte alla congiura ordita dai suoi stessi fratelli,
Ferrante e Giulio, che miravano a spodestarlo: il
complotto fu sventato e i due imprigionati nelle
segrete del Castello Estense.
Verso il declino
La relazione tra la duchessa di Ferrara e il mar-
chese di Mantova proseguì per un paio d’anni,
favorita dal poeta Ercole Strozzi, intermedia-
rio compiacente, che però, nel 1508, fu assassi-
nato in circostanze rimaste misteriose, alle quali
probabilmente Alfonso non fu
estraneo. Benché la liai-
son tra i due amanti
continuasse, Lucre-
zia diede al marito
sei figli, fra cui l’e-
rede diretto Ercole
e il futuro cardinale
Ippolito. Nel 1519
partorì una bambi-
na, che morì poche
ore dopo; la stessa
Lucrezia, colta da
febbre puerpera-
le, si spense di lì a
pochi giorni, sin-
Protagonisti ceramente pianta dalla famiglia e da tutta Ferrara.
di un mito Alfonso venne a mancare nel 1534 e gli succe-
Alfonso I d’Este dette il figlio Ercole II, il quale, costretto a bar-
(sopra, ritratto da camenarsi (con successo) tra Francia e Spagna
Battista Dossi) fu nell’epoca tumultuosa delle guerre d’Italia, riuscì
uno dei condottieri e a mantenere Ferrara nel suo ruolo di centro cul-
mecenati più illustri del turale. Alla sua morte, nel 1559, il suo posto fu
Rinascimento. Suo padre preso dal figlio Alfonso II, ma la stella degli Este
Ercole I (qui accanto), iniziava a declinare. Alfonso morì nel 1597 senza
rese la corte estense eredi, designando come suo successore il cugino
una delle più Cesare. Tuttavia, essendo Ferrara un feudo pon-
raffinate tificio, nel 1598 papa Clemente VII sollevò delle
d’Europa. obiezioni e approfittò dell’occasione per appro-
priarsi della città e dell’intero territorio, por-
tando il Ferrarese sotto il diretto controllo della
Chiesa. La spregiudicata operazione venne chia-
mata “devoluzione di Ferrara”.
Cesare d’Este, appartenente a un ramo cadet-
to della casata, rimase in possesso del Ducato di
Modena e Reggio, trasmesso ai suoi discendenti.
La fusione con gli Asburgo originò il ramo degli
Asburgo-Este, che avrebbe regnato su quelle ter-
re d’Emilia fin quasi all’Unità d’Italia, nel 1859.
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Gli armaioli milanesi
Gli stilisti
dell’acciaio
Dalla Spagna alla Polonia, dall’Inghilterra al Mediterraneo, i più grandi
sovrani e condottieri vestivano armature prodotte a Milano:
non solo le migliori, ma anche le più belle, invidiate e costose del mondo
di Nicola Zotti
Esperto di arte militare
M
ilano capitale mon- tare delle armature, contraendone drasticamen-
diale della moda te la domanda. Dalle officine milanesi uscirono
e del design, non solo capolavori artistici destinati ai reali e alle
capace di famiglie europee di più alto lignaggio, ma anche
sposare estetica e produzio- forniture di massa per i loro eserciti, a dimo-
ne industriale, accelerare strazione dell’esistenza di un apparato indu-
l’innovazione tecnologica, striale capace di soddisfare l’intera gamma
coniugare bellezza e pratici- di esigenza di un mercato dif-
tà d’uso. Si dice che la repu- ferenziato e complesso.
tazione internazionale della
capitale lombarda sia una con- Un popolo di armaioli
quista recente, frutto dell’impe- Nel Medioevo, la richiesta di armi era
gno e dell’ingegno sviluppati negli tale che ogni centro abitato di una certa impor-
anni del boom economico. Andando tanza ospitava la bottega di almeno un armaiolo.
a scavare nella Storia, tuttavia, scopria- Vestiti Non così capillarmente diffusi erano invece gli arti-
mo che Milano raggiunse questi vertici per uccidere giani specializzati nella produzione di armature, i
già molti secoli fa, depositando in pro- Elmi e corazze nascono cosiddetti “armorari”, perché la loro fabbricazio-
fondità i semi di una tradizione per proteggere il corpo ne era molto più complessa e costosa rispetto alla
che avrebbe dato i suoi frutti fino in battaglia, ma con il produzione di una spada o di qualsiasi altra arma.
a oggi. Parliamo sempre di abbiglia- tempo diventano anche Milano aveva una lunga tradizione nella lavora-
mento, anche se di un tipo particolare: molto meno uno status symbol. zione del ferro: abbiamo documenti che la atte-
morbido e leggero, ma altrettanto prestigioso, costo- Sopra, un elmo da stano in città e nel suo contado già a partire dal
so e in grado di assicurare uno status symbol invi- parata creato da Filippo X secolo. La prima indicazione della produzio-
diabile a chi lo indossava. Negroli (1510-1579). ne di armi nella capitale lombarda risale al 1066:
A partire dal tardo Medioevo, la città meneghi- Nella pagina a fronte, mentre Guglielmo il Conquistatore sbarcava in
na divenne leader indiscussa nella produzione di l’Uomo in armatura con Inghilterra, nel centro di Milano, a pochi passi da
armature: una supremazia che resistette per secoli, picca di Jan van Bijlert dove oltre due secoli dopo sarebbe sorto il Duo-
nonostante l’agguerrita concorrenza, e che perse il (1630) raffigura forse mo, già esisteva via Spadari, che con la sua prose-
suo valore economico solo alla fine del Rinascimen- un’armatura milanese. cuzione, via degli Armorari (dove oggi si tiene un
to, quando i progressi nell’evoluzione tecnologica celebre mercato per i collezionisti di numisma-
delle armi da fuoco annullarono l’importanza mili- tica), costituiva il nucleo attorno al quale pro-
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Gli armaioli milanesi
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Milano, una potenza sottovalutata
F in dall’epoca romana, Milano fu
una città molto più importante di
quanto siamo abituati a pensare. Dal
Franchi se la contesero come la più
ambita delle prede. Solo con Car-
lo Magno, che la proclamò contea
286 al 402 d.C., venne scelta dall’im- imperiale nell’822, Milano conob-
peratore Diocleziano come capitale be finalmente un periodo di pace,
dell’Impero Romano d’Occidente, riprendendo a prosperare.
per la sua importanza strategica e In quei secoli turbolenti, la città era
per la rilevanza economica e socia- sopravvissuta grazie alla tenacia dei
le. Non sfuggì, in questo modo, alle suoi abitanti, sviluppando una for-
brame degli invasori barbarici: te pulsione all’autonomia, e si diede
Visigoti, Unni, Goti, Longobardi, la forza per conquistarsela. L’am-
bizioso traguardo fu raggiunto con in Europa. Nel 1402, sotto Gian Gale-
la pace di Costanza del 25 giugno azzo, la città controllava quasi tutta
1183, che segnò la fine delle guerre la Pianura Padana, oltre a Genova,
contro l’imperatore Federico Bar- Siena e Perugia. Francesco Sforza
barossa, sconfitto nella battaglia di conquistò il potere nel 1450 e la sua
Legnano. Nel Duecento, Milano era dinastia governò Milano per i succes-
una delle poche città a contare 200 sivi 50 anni: la città era però diventata
mila abitanti e crebbe ancora fino a troppo importante per sfuggire alle
divenire ducato con Gian Galeazzo attenzioni dei nuovi padroni d’Euro-
Visconti, nel 1395, raggiungendo l’a- pa, Francia e Spagna, così nel 1500
pogeo della sua importanza in Italia e perse la sua indipendenza.
commerciava in armi milanesi, vendendole soprat- Simboli di gusto dello stock del mercante era stata importata diretta-
tutto ai mercenari: nel 1367, nel suo magazzino di e di potere mente da Milano, oppure acquistata da un armaiolo
Avignone (allora sede papale) erano presenti 38 elmi Sotto, Guidobaldo II della milanese che lavorava ad Avignone.
di vari tipi, 80 corazze da busto rinforzate da piastre Rovere, duca di Urbino
(probabilmente brigantine, ossia corazze flessibili a (1514-1574), accanto alla Rivoluzione tecnologica
difesa del busto), 23 coppie di guanti di piastre di sua armatura milanese. A partire dal Duecento, le armature a maglie di
ferro e 12 corazze a maglie di ferro; la maggior parte ferro, che pure non erano mai state particolarmen-
te efficienti né contro le armi contundenti né con-
tro i colpi perforanti, iniziarono a essere soppiantate
dalle più resistenti armature a piastre. La crescente
diffusione e l’incremento di potenza delle balestre
avevano reso obsoleti gli usberghi ad anelli di fer-
ro, imponendo ai produttori la ricerca di difese più
efficaci. La soluzione venne trovata nelle armature
a piastre, ma la loro produzione e sagomatura rap-
presentava un problema complesso. Per lungo tem-
po la metallurgia medievale fu capace di lavorare
solo lastre di metallo di modeste dimensioni: dalle
prime fornaci per la fusione del minerale venivano
ricavati piccoli quantitativi di metallo lavorabile; la
battitura (che serviva soprattutto per liberare dalle
scorie il metallo incandescente) e la forgiatura crea-
vano uno scarto metallico pari a oltre il 50% (fino al
70%) del materiale ferroso. Di conseguenza, i primi
elementi di corazze a piastre furono necessariamente
piccoli e pertanto riservati alla protezione degli arti.
Il resoconto di Bonvesin della Riva indica chia-
ramente che l’industria milanese delle armature
era tecnologicamente all’avanguardia per l’epo-
ca, producendo una varietà di pezzi a piastre in
un periodo ancora dominato dall’uso delle arma-
ture a maglie: un’egemonia che Milano conserve-
rà a lungo. Per arrivare a produrre le grandi lastre
metalliche che servivano da protezione al busto di
un guerriero era necessario un complesso salto tec-
15
nologico. Ci volevano fornaci più grandi, capaci di verso i quali, per via fluviale, giungevano minerali
sviluppare un calore elevato, e di fondere maggiori grezzi o materiali semilavorati dalle valli del Nord:
quantità di minerale (per una corazza di 4-5 kg si Valsassina, val Brembana, val Camonica. Secondo il
impiegavano tra i 10 e i 15 kg di ferro, consideran- resoconto di Bonvesin della Riva, i canali milanesi
do lo scarto), ma anche macchinari per la battitura. fornivano anche la forza motrice a oltre 900 muli-
Più ampia era la lastra, infatti, e più accura- ni. A certificazione della leadership milanese
ta doveva essere la sua battitura, in quanto nella produzione di armature, proprio dalle
aumentava il pericolo che una scoria rima- officine degli armaioli meneghini di metà
sta al suo interno provocasse un’incrina- Quattrocento uscirono le prime corazze
tura durante la lavorazione o un punto complete d’Europa, con grandi piastre
di debolezza nel prodotto finito. conformate che proteggevano anche il
Solo agli inizi del Quattrocento si fu torso e la schiena dell’uomo d’arme.
in grado di risolvere questi problemi,
non solo grazie agli avanzamenti nella Rivoluzione tecnologica
metallurgia, che portarono a fornaci Nel Quattrocento, l’industria
in grado di fondere quantità sempre delle armature di Milano non
maggiori di minerale e di creare lin- solo era leader nella tecnologia,
gotti d’acciaio, ma anche per meri- ma anche in grado di risponde-
to di una diffusione sempre più vasta re rapidamente a forniture di
e del perfezionamento dei mulini “a cadu- enormi dimensioni. I docu-
ta”. In essi la ruota che azionava il mecca- menti indicano che vennero
nismo veniva mossa dalla caduta dell’acqua; evasi senza difficoltà ordini
la potenza ricavata, equivalente a 60 cavalli/ per centinaia e talvolta miglia-
vapore, era fino a 20 volte superiore a quella ia di armature. In un caso,
dei mulini, nei quali la ruota veniva invece nel 1420, gli armaioli furo-
azionata dal semplice fluire delle acque di no in grado in pochi giorni
un canale o di un fiume. Con la forza di que- di rispondere a un ordine di
ste nuove pale si poteva soffiare aria nelle forna- Sbalzi italiani contro 4.000 armature complete da
ci, azionare grandi martelli automatici, muovere le incisioni tedesche cavaliere e di 2.000 da fante. Un
ruote smerigliate per la lucidatura delle armature. Un’opera di Pompeo della esempio notevole ma non eccezio-
In Lombardia i fiumi non mancavano, e a Mila- Cesa, con sbalzi d’oro; gli nale, che evidenzia l’efficienza industriale milane-
no i fossati costruiti dal Barbarossa per difender- armaioli tedeschi, invece, se, ma suggerisce anche la sua capacità economica
si con il tempo erano divenuti elementi di una rete preferivano l’incisione. di sostenere il peso finanziario di un magazzino.
di canali (che comprendeva anche i Navigli) attra- Gli armaioli riuscivano a soddisfare una doman-
L’armatura bianca
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Gli armaioli milanesi
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“Ruggier tenne lo ’nvito allegramente, / e l’armatura sua fece venire. / Or mentre che s’armava al re presente,
tornaron quei signor di nuovo a dire /chi fosse il cavallier tanto eccellente, / che di lancia sapea sì ben ferire.”
Armi e armature appaiono spesso nell’“Orlando furioso” dell’Ariosto e caratterizzano molto bene i cavalieri
no seguendo una specie di moderna catena di A imitazione secolo, all’ombra del Duomo lavoravano 72
montaggio: a seconda del loro livello di specia- degli antichi Romani maestri armaioli, ai quali andrebbe aggiunto un
lizzazione potevano occuparsi di produrre con- Ritratto di Gian Battista di numero (purtroppo ignoto) di artigiani che non
tinuamente lo stesso elemento di armatura, o Castaldo, di Tiziano. Le potevano fregiarsi del titolo di “maestro”.
dedicarsi alla sua decorazione. armature rinascimentali
Il numero degli armaioli a Milano rimase rela- si ispiravano spesso a Catena di montaggio
tivamente stabile tra quanto annotato da Bonve- quelle indossate dagli In ognuna delle botteghe si affaccendavano
sin della Riva nel 1288 e la successiva statistica imperatori romani. numerosi apprendisti, operai e assistenti, ma non
conosciuta, risalente al 1474. Alla fine del XV abbiamo indicazioni di quanti lavoratori media-
18
Gli armaioli milanesi
Le grandi famiglie
G li armaioli milanesi si succedettero per secoli
nelle loro botteghe, generazione dopo gene-
razione. I loro nomi sono rimasti in gran parte
sconosciuti, perché gli studi storici italiani non
hanno fatto onore a questa tradizione. Più soler-
ti sono stati gli studiosi europei, che dovevano
rendere conto degli innumerevoli documenti certi-
ficanti gli acquisti da armaioli milanesi e le stupende
armature che adornavano le armerie. Soltanto due
famiglie sono emerse dall’oscurità: i Negroni da Ello,
detti Missaglia, la cui attività iniziò nella prima metà
del Quattrocento, e i Negroli (il vero cognome era
Barini), il cui capostipite Giovanni fece il suo
apprendistato proprio nella bottega dei Mis-
saglia, a partire dal 1450 circa.
Le loro officine sfornarono armature da
cerimonia riccamente decorate e altre
di uso comune, rendendo ricchi i loro
artefici (nonostante la scarsa affidabilità
economica di alcuni nobili clienti). I Mis-
saglia, in particolare, acquisirono fama
per il valore artistico delle creazioni; i Negroli,
senza trascurare i prodotti di lusso, diedero impul-
so alla produzione di massa di armature da guerra.
19
Il cuore
di francia
Per gran parte del Medioevo fu la città più importante d’Europa,
il luogo dove risiedevano i sovrani più potenti, gli studiosi più colti,
i mercanti più ricchi del continente. Poi venne la Morte Nera…
di Luigi Lo Forti
20
Parigi
D
a un punto di vita meramente “ana- Notre-Dame, dei Franchi, avrebbe segnato l’inizio di una nuo-
grafico”, Parigi è antichissima, affon- emblema della città va fase storica per Parigi.
dando le sue radici addirittura nel La cattedrale di Notre- I Franchi installarono sul trono la dinastia dei
Neolitico. Ma la città cosmopolita, la Dame, simbolo della Merovingi e fu proprio il primo di questi re, Clo-
capitale di quello che per molti secoli fu il più gran- Parigi medievale, doveo, a fare della città la capitale del nuovo
de, popoloso e importante regno d’Europa, inizia fu edificata a partire regno, nel 508. Nei secoli successivi Parigi conob-
la sua ascesa molto più tardi, in pieno Medioevo. dal 1163 e consacrata be un periodo di relativa prosperità e confermò la
I segni della presenza dell’uomo nella zona in il 19 maggio 1182. sua fede in Cristo, ma la crescita procedeva lenta-
cui oggi sorge Parigi sembrano risalire addirit- Il suo aspetto attuale mente, anche a causa di una politica poco propo-
tura a circa 10 mila anni fa, ma il primo grande risente molto dei sitiva: non è un caso che i sovrani merovingi siano
insediamento di cui si abbia prova è quello del- restauri ottocenteschi, stati soprannominati “re fannulloni”. La situazione
la tribù celta dei Parisii (o Quarisi), che vi si sta- resi necessari dopo era destinata a cambiare radicalmente con l’avven-
bilì intorno al 300 a.C. Il villaggio sorgeva in un che i rivoluzionari to dei Carolingi, saliti al potere nell’VIII secolo. Fu
punto di grande valore strategico, che segnò la la saccheggiarono proprio sotto il più celebre dei nuovi sovrani, Car-
fortuna della città nei secoli: l’isola in mezzo al e ne distrussero gran lo Magno, incoronato imperatore nell’800 a Roma,
fiume Sequana (la Senna), che oggi chiamiamo parte delle statue. che la Francia, e Parigi in particolare, conob-
Île de la Cité. Il luogo divenne conosciuto in epo- be un primo periodo di grande fioritura cultura-
ca romana con il nome di Lutezia, per poi esse- le, destinato però a durare meno di un secolo. A
re ribattezzato nel IV secolo Civitas Parisiorum. partire dalla metà del IX secolo, infatti, i Vichin-
All’inizio del II secolo, la città si trovava in un ghi divennero una minaccia costante: provenendo
periodo di grande floridezza, come testimonia la dalla Normandia, risalivano la Senna con le loro
costruzione di ben tre bagni termali e di un anfi- agili navi e mettevano a ferro a fuoco le campagne.
teatro, ma appena un secolo dopo iniziarono le Nell’845 giunsero a porre sotto assedio la città per
invasioni barbariche, durante le quali la popola- un intero anno, con 120 navi e 6.000 uomini: Car-
zione superstite fu costretta ad arroccarsi dentro lo il Calvo dovette pagare loro 7.000 lire d’argen-
le mura dell’Île de la Cité, proprio come avevano to per farli desistere. La tregua definitiva fu siglata
fatto i primi colonizzatori nel Neolitico. da Carlo il Semplice nel 911, ma intanto Parigi ave-
va sofferto una fase di contrazione, anche perché la
Ostaggio dei Vichinghi corona imperiale era stata presa dai re tedeschi. Fu
Nel frattempo, si avviava il processo di cristia- una nuova dinastia, quella dei Capetingi, a innalza-
nizzazione della zona, culminato con il leggenda- re la città della Loira a nuovi fasti.
rio episodio di Genoveffa, una giovane suora poi Il XII secolo si rivelò un periodo di crescita
diventata patrona di Parigi, che convinse Attila demografica, economica e culturale per la città.
a risparmiare la città. Era il 451 e, poco più tar- Lo sviluppo urbano, che si concentrò soprattutto
di, l’arrivo di una popolazione germanica, quella sull’Île de la Cité e lunga la riva destra della Sen-
21
Parigi
na, arrivò a contare oltre 200 mila abitanti e a fare Una città Sorbona. Con la crescita della popolazione e delle
di Parigi la più popolosa città europea dell’epo- cinta d’assedio attività commerciali, divenne inevitabile mettere
ca. L’istituzione del mercato centrale di Les Hal- L’importanza di mano alle istituzioni cittadine per garantire ordi-
les, il cosiddetto “ombelico di Parigi”, contribuì a Parigi è testimoniata ne ed efficienza. Sotto il regno capetingio, Parigi si
sviluppare in maniera decisa il commercio cittadi- indirettamente anche dotò di organi di governo innovativi e venne isti-
no, spingendo alla creazione di un vero e proprio dalla quantità di assedi tuita la figura del “prevosto”, un rappresentante
quartiere mercantile; nel frattempo, le botteghe che dovette subire nella del potere regale che aveva il compito di ammini-
di conciatori, fabbri e artigiani producevano beni sua lunga storia. Nel strare la città. Più o meno nello stesso periodo (XI
famosi in tutta Europa per la loro qualità, dando IX secolo fu obiettivo secolo) si formarono le prime associazioni com-
impulso alla trasformazione della città in un cen- di vari raid condotti merciali, le “gilde”, destinate ad acquistare sem-
tro d’affari di prima grandezza. dai Vichinghi risalendo pre più potere. In particolare, quella dei mercanti
la Senna: nell’845 a fluviali (la merchandise de l’eau) fu addirittura in
L’invenzione del prevosto metterla alle strette fu grado di acquistare dal re il porto principale, per
Alla crescita economica si affiancava quella cul- Ragnar Lodbrok, mentre poi ricevere da parte di Luigi VII un documento
turale: nel 1163, cominciarono i lavori di costru- nell’885-886 fu la volta che attestava il suo “antico diritto” a esercitare il
zione della cattedrale di Notre-Dame, completata di Rollone, futuro primo monopolio del commercio fluviale.
solo due secoli più tardi, che rappresenta uno duca di Normandia.
degli esempi più chiari, innovativi e celebrati Nella pagina a fronte, Rivendicata dagli inglesi
dell’architettura del periodo. Circa un secolo l’assedio tentato nel Il periodo di crescita e prosperità di Parigi era
dopo, Robert de Sorbon, cappellano e confesso- 1429 da Giovanna d’Arco però destinato ad avere vita relativamente breve, a
re del re-santo Luigi IX, fondò un piccolo centro con Carlo VII durante la causa di un nuovo terremoto dinastico che dove-
di studi teologici destinato a divenire una delle Guerra dei Cent’anni. va investire la Francia. Nel 1328, la morte dell’ul-
più celebri e prestigiose università del mondo, la timo re capetingio, Carlo IV, aprì un periodo di
aspre dispute, anche perché l’erede più prossimo
era nientemeno che Edoardo III, il re d’Inghilterra.
L’instabilità politica che ne seguì fu uno dei fat-
tori scatenanti dello scoppio della Guerra dei
Cent’anni, che avrebbe portato morte e devasta-
zione in tutto il territorio francese.
Fatalmente, Parigi soffrì le conseguenze derivate
dalla nuova situazione: oltre alla drammatica ridu-
22
Parigi
La fortezza
museo
I l Louvre è uno dei
musei più vasti e
ricchi del mondo, ma
le sue origini sono
molto prosaiche. Ini-
zialmente si trattava
di una solida fortez-
za fatta costruire da
re Filippo II, della
dinastia dei Cape-
tingi, alla fine del XII
secolo. Forse è da
tale origine che l’edi-
ficio trae il suo nome
(deriverebbe dall’an-
tico anglosassone
leouar, che significa-
va “castello”).
Il suo scopo era
quello di offrire una
difesa dalle incur-
sioni normanne, ma
successivamente, a
metà del XIV seco-
lo, Carlo V ne fece
la residenza del
sovrano. Fu solo a
partire dal Cinque-
c e nto, g r a z i e a l l a “Il 6 gennaio 1482 non è un giorno che la Storia ricordi. Nulla di rimarchevole
volontà di re France- nell’evento che così scuoteva, fin dal mattino, le campane e i borghesi di Parigi.”
sco I, che il Louvre Inizia così il romanzo “Notre-Dame de Paris” di Victor Hugo (1831), destinato a rendere celebre la Parigi medievale
perse le caratteristi-
che di antica fortezza
per assumere gra- zione dei traffici commerciali e della sua ricchez- VII e dalla sua campionessa, Giovanna d’Arco.
dualmente quelle di za, la città dovette affrontare anche una violenta La Parigi medievale, cuore culturale, artistico ed
palazzo e poi, dalla crisi demografica, aggravata dallo scoppio dell’e- economico della Francia, era destinata a ridimen-
fine del Settecento, pidemia di peste del 1348, che uccise un parigi- sionarsi. Avrebbe ripreso a crescere solo nel Cin-
di museo. no su due. Come se ciò non bastasse, una serie quecento, sperimentando una rigogliosa rinascita
d’inverni particolarmente e diventando meta di artisti e pensatori del cali-
rigidi e una prolun- bro di Erasmo da Rotterdam, Calvino e Benvenu-
gata carestia peggio- to Cellini. Ciò senza abbandonare mai l’aternanza
rarono ulteriormente di periodi di grandezza e declino, che in fondo
la situazione. sembra essere scritta nel destino stesso della città.
Nel 1420, gli inglesi Anche quando Luigi XIV, il Re Sole, trasferì
presero la città: a nul- la corte nella vicina Versailles, Parigi continuò a
la era valsa la resisten- essere l’autentico motore economico di Francia,
za opposta da re Carlo nonché la città più importante d’Europa.
23
COVER STORY
Cose buone
in cUCINA
Il cibo non è solo il carburante
della vita: il banchetto è anche
un’importantissima attività sociale,
e i nostri antenati lo sapevano bene.
Tuttavia, molte cose sono cambiate
da allora, sia nella preparazione
dei cibi che nel loro significato
di Enzo Valentini
Saggista e medievista
D
opo le insalate di frutta e verdura e tito degli ospiti e sotto lo sguardo compiaciuto
il brodo di cappone con i ravioli, pre- del padrone di casa. Terminata la portata, entra-
ceduta dal profumo dell’arrosto, del- no musici, giullari e saltimbanchi, per divertire
le spezie e delle salse colorate, arriva i commensali e segnare anche l’arrivo di dolci,
la regina del pranzo: cacciagione di ogni tipo, spezie confettate e vini digestivi, aumentando
dalle quaglie ai tordi e alle pernici, dalle lepri ancora di più la confusione e l’allegria del pran-
fino ai sontuosi fagiani e pavoni, per termina- zo, che ormai volge al termine.
re con cosci di cervo o di orso. Mentre le ancelle Questa poteva essere l’atmosfera di un ban-
colmano le coppe con il vino versato da grandi chetto nel castello di un signore medievale, uno
brocche, gli inservienti porzionano le pietanze dei tanti organizzati per suggellare una giorna-
prima di servirle in tavola, tra il vociare diver- ta importante, per la firma di un trattato di alle-
24
anza, un matrimonio, un accordo commerciale nel cuore che, commerciali e geografiche, estremamente
particolarmente vantaggioso. Ovviamente, non della casa variabili nel Medioevo, se si tiene conto che si
sempre si mangiava così tanto e in maniera raf- Il desco era tratta di un’epoca lunga un millennio.
finata, ma non bisogna neanche pensa- centrale nella vita
re che si facesse la fame, come molte quotidiana Il bosco come dispensa
persone erroneamente credono, e rappresentava Con la caduta dell’Impero Romano e l’arri-
avendo letto di carestie, pestilen- il luogo di ritrovo vo di nuove popolazioni provenienti dall’Euro-
ze e razzie che danneggiavano i della famiglia pa Orientale, si ebbe una forte contrazione dei
raccolti. La verità, come sempre, (foto di Camillo commerci, a causa dell’insicurezza delle stra-
va cercata nel mezzo. Balossini). de che rendevano difficili gli spostamenti dei
In ogni caso, qualità e quanti- mercanti, mentre le incursioni saracene lungo
tà degli alimenti erano in funzione le coste mediterranee provocarono la diminu-
delle situazioni politiche, economi- zione della pesca in mare, a favore di quella di
fiume o di lago. Anche le coltivazioni di gra-
no, olivo e vite subirono una battuta d’arresto
per la scomparsa dei grandi latifondi, sostitui-
ti solo in qualche caso dalle proprietà terriere
dei monasteri, che assicurarono una certa con-
tinuità con i consumi del passato.
Un’economia chiusa, che costrinse tut-
ti, ricchi o meno, a modificare la propria
alimentazione, servendosi di prodot-
ti locali e sfruttando specialmente i
boschi che, oltre a fornire car-
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COVER STORY COSE BUONE IN CUCINA
ne e frutti selvatici, permettevano l’allevamento M ani pulite , pietanze sulla tavola dovevano essere in gran
del maiale allo stato brado, abitudine importata tovaglie sporche quantità e di bell’aspetto, come simbolo di
dalle nuove popolazioni germaniche. In mancanza di tova- agiatezza. L’abuso di carne rossa, però, causa-
La situazione cambiò, nei secoli seguenti, con glioli (inventati più tardi), va la gotta, malattia molto diffusa tra i nobili.
la nascita del feudalesimo, che condusse a una i commensali si puliva- Ai religiosi, al contrario, tale vivanda era scon-
stabilizzazione politica e monetaria. Il nuo- no le mani strofinando- sigliata, in quanto stimolava la lussuria, in con-
vo clima favorì il miglioramento dei commer- le nelle tovaglie o lavan- trasto con il voto di castità; ma essendo ben
ci, rafforzato anche dalla sicurezza dei viaggi dole in apposite bacinel- forniti di dispense, preti e frati potevano man-
marittimi grazie al forte contrasto alla pirate- le d’acqua, che a tavo- giare carne bianca, pesce e formaggio, quest’ul-
ria saracena. Sulle tavole medievali, soprattut- la non mancavano mai. timo prodotto proprio nei monasteri.
to quelle dei ricchi, fu così possibile servire cibi Sotto, una scena di ban- Il piatto principale dei contadini era invece
un po’ più raffinati, resi ancora più appetibili chetto nel celebre araz- la zuppa, cucinata con le verdure coltivate o
dall’aggiunta delle spezie, arrivate da Paesi lon- zo di Bayeux (seconda raccolte in campagna e integrate con carne di
tani. La successiva conquista della Terrasanta, metà dell’XI secolo). volatili da cortile, degli immancabili maiali e
seguita alle Crociate, dette vita a nuovi mercati di piccoli animali selvatici: la caccia di uccel-
nel Medio Oriente, dove i commercianti vene- li e grandi animali, come l’orso o il cerbiatto,
ziani, genovesi e pisani intrattenevano profi- era spesso proibita nei boschi e nelle foreste,
cui rapporti con i musulmani. La possibilità di di proprietà esclusiva della nobiltà.
disporre di prodotti esotici e costosi da parte
di nobili e ricchi borghesi segnò una profonda Cotture da nobili e da villani
frattura all’interno della società medievale, che Questi tre regimi alimentari erano molto
si manifestò anche sul piano alimentare, col- rigidi e difficilmente intercambiabili: i nobili
legando più strettamente di prima il cibo alla non si sarebbero mai abbassati ad assaggiare
classe sociale di appartenenza. una zuppa contadina, troppo popolare per il
Il nobile doveva dimostrare potere e libera- loro palato. Evitavano anche verdura e frut-
lità, oltre alla forza come guerriero: gli erano ta che crescesse troppo a contatto con la
quindi congeniali alimenti energetici, come la terra, mentre amavano la carne degli
cacciagione, specie di grossa taglia; inoltre, le
Una stoviglia
per due commensali
Bicchieri e coppe erano
diffusi sulle tavole, ma si
trattava in massima par-
te di recipienti in legno. Il
vetro era solo alla portata
dei ricchi, mentre il metal-
lo (spesso peltro, una lega
di stagno) era meno raro.
Un singolo bicchiere era
uccelli che si libravano nell’aria e i frutti degli vaste cucine di castelli e palazzi erano impre- condiviso da più commen-
alberi più alti: le pur squisite fragole arriva- gnate dal profumo degli arrosti, anche se, pri- sali. Anche nei conventi,
rono sulle tavole dei signori soltanto nel Tre- ma di essere posta sul fuoco, la cacciagione cibo e bevande erano ser-
cento, dopo che Carlo V di Francia apprezzò di grossa taglia veniva sbollentata per ammor- viti a coppie, una porzio-
il loro sapore e ne fece piantare mille esem- bidirla. Altri profumi sempre presenti erano ne (abbondante) ogni due
plari nei giardini reali del Louvre. quelli della cannella, dei chiodi di garofano, monaci. A sinistra, la distri-
Anche i tipi di cottura risentivano, alme- della noce moscata e di moltissime altre spe- buzione del vino in una
no in parte, di questa suddivisione sociale. Le zie che solleticavano il palato dei commensali. miniatura del XIV secolo.
Preziosissime spezie
L a cucina medievale è caratterizzata
dall’uso abbondante di spezie, almeno
da parte di nobili e mercanti. Contrariamen-
il padrone di casa offrisse dell’oro agli ospiti.
Attraverso difficili rotte carovaniere, dall’E-
stremo Oriente arrivavano i chiodi di garo-
te a quanto si crede, esse non serviavano a fano e lo zenzero, prodotto in India insie-
coprire il gusto del cibo andato a male: sul- me al cardamomo e alla cannella; la noce
le mense dei ricchi (le spezie erano molto moscata veniva importata dalle remotissi-
costose) la carne era abbondante, specie la me isole Molucche dai mercanti, arabi men-
cacciagione, e altrettanto può dirsi di frutta tre il coriandolo proveniva dalla vicina Ana-
e verdura. Le spezie erano invece utilizza- tolia. Per questo il loro costo era molto alto,
te per stimolare i succhi gastrici e favorire la al punto che spesso il pepe veniva utilizza-
digestione, ma soprattutto per esibire uno to come moneta o dono di nozze, ma anche
status symbol: lo zafferano, per esempio, per corrompere magistrati e funzionari.
colorando il cibo di giallo, dava l’illusione che A lato, la raccolta del pepe nel Trecento.
COVER STORY COSE BUONE IN CUCINA
Grazie al
Medioevo…
S enza l’Età di mez-
zo non avremmo
avuto molti degli ali-
menti che consumia-
mo quotidianamente.
Soprattutto la grande
quantità di formaggi
odierni, primo fra tutti
il parmigiano, ma nem-
meno il castelmagno,
la robiola, il cacioca-
vallo e la mozzarella
di bufala. Tutto deri-
vava dall’eccesso di
latte degli allevamenti
dei monasteri: il modo
migliore per conser-
varlo era trasformarlo
in formaggio.
M anicaretti Se è incer ta l’ori-
stravaganti gine medievale della
Nel basso Medioevo mortadella (pare fos-
si diffuse la moda dei se già nota agli antichi
piatti ricercati, come Romani), non c’è dub-
nell’antica Roma. bio che furono i sala-
Sopra, arrosti in una roli di Bologna, per
miniatura del XV se- festeggiare la nascita
colo. Nella pagina a della loro corporazio-
fronte, due fornai. ne (nel 1376), a pestare
la carne di maiale nel
mortaio con l’aggiun-
ta di spezie, ottenen-
Più modesta, sia per qualità che per quantità, religiose, riguardano solo alcuni periodi dell’an- do così il salume che
era la cucina dei contadini, abituati al profu- no. Mentre a musulmani ed ebrei è assoluta- conosciamo oggi.
mo delle zuppe, variabile a seconda delle ver- mente interdetto il consumo di cibi che non Nella Sicilia araba,
dure utilizzate; per insaporire il tutto, al posto siano puri, ossia prodotti seguendo gli inse- nasceva la pasta sec-
delle spezie usavano le semplici erbe di cam- gnamenti del loro credo (il Corano vieta vino e ca, diffusasi poi rapi-
po o dell’orto. Chi poteva permettersi un po’ carne di maiale, mentre la tradizione giudaica damente in quasi tutte
di carne la cuoceva nell’acqua, ricavando così non consente di cibarsi di alcuni animali proi- le grandi città portua-
un pasto nutriente a base di brodo e di bollito. biti dalla Bibbia), il cristianesimo prevede solo li grazie alla facilità di
Anche nei monasteri zuppe, minestre e bolliti alcuni giorni di rigore alimentare. Si andava conservazione duran-
erano pratica comune ma, grazie alla ricchez- così dal digiuno completo all’astinenza da ogni te i viaggi in mare.
za del clero, le pietanze che ne risultavano era- cibo di provenienza animale. In tal caso, non si
no decisamente più appetitose, sia per qualità eliminava la sola carne, ma anche grassi anima-
che per varietà d’ingredienti. li, latte e formaggi; tali periodi venivano chia-
Le differenze sociali venivano in parte livella- mati “tempo di magro”, in contrapposizione
te dai precetti della Chiesa cattolica che, contra- a quelli “di grasso”, in cui tutto era per-
riamente a quanto avviene per altre confessioni messo. È stato calcolato che, sommando i
28
giorni di penitenza, si arrivava a 120-130 gior-
... e grazie ni, quasi un terzo dell’anno: ecco allora giusti-
a Colombo ficate le grandi abbuffate durante il Carnevale
che, come sembra suggerire il nome, dava l’ad-
L a scoperta dell’A-
merica introdus-
se un’infinità di ali-
dio alla carne (carnem vale o carnem levare) per
i successivi giorni della Quaresima. Il rigore di
tali divieti diede vita a una letteratura fantasti-
sto epitaffio: «Godano le anguille, perché qui
giace morto colui che le scorticava, quasi fos-
menti sconosciuti nel ca in cui si sognava un luogo dell’abbondanza sero colpevoli di morte!».
Medioevo, come tac- dove dalle fontane zampillava il miglior vino o
chino, peperoncino, si poteva scivolare da enormi montagne di par- L’età d’oro del vino
fagioli, mais, pomodo- migiano, mentre si usavano file di salsicce per Bevanda principale, il vino era gustato da
ro, peperone e patata. legare le vigne: era il Paese di Cuccagna, o quel- tutti, anche se in quantità e qualità diverse.
Gli ultimi tre non furo- lo del Bengodi, raccontato dal Boccaccio nel Quello appena spremuto, il nostro “novello”,
no subito utilizza- Decamerone, che sarebbe stato poi immortala- era appannaggio di nobili e alti prelati, mentre
ti come vivanda, poi- to nei quadri fiamminghi di Bruegel. il popolo si accontentava di uno più scadente,
ché all’inizio gli euro- Per ogni prescrizione, però, si trovava sem- magari allungato con acqua, oppure ottenuto
pei erano diffidenti. pre il modo di attenuarne gli effetti. Le classi da un’estrema spremitura dei grappoli a cui
Alcuni erboristi affer- facoltose, laiche o religiose che fossero, uti- si aggiungeva dell’aceto come rinforzo alcoli-
mavano che il brut- lizzavano prodotti alternativi per rendere più co. Ai monaci, pur proprietari di ampi vigneti,
to aspetto della pata- gustose le pietanze anche in assenza di cibi vie- era permesso solo in occasioni particolari; ma
ta potesse provocare tati, vanificando in parte le prescrizioni della furono proprio loro, specialmente nel Nord
danni all’uomo, cau- Chiesa, indirizzate alla penitenza e alla mori- Europa, dove il clima ostacolava la coltivazio-
sando perfino la leb- geratezza dei costumi. Nella ricetta del bianco- ne della vigna, a dare grande impulso alla pro-
bra; per questo veniva mangiare, per esempio, il latte animale veniva duzione della birra, utilizzata come bevanda
data solo agli animali, sostituito con il raffinato latte di mandorla nutriente per pellegrini e malati.
in particolare ai maiali. e, rispettando la regola dei giorni di magro, Anche il vino, insieme ad altre pietanze
Pomodoro e pepero- si potevano degustare le ostriche in “salsa di ricercate, era oggetto di attenzioni da par-
ne, invece, erano con- civiero” (a base di interiora e fegatini, simile te dei buongustai dell’epoca, come testimo-
siderati piante orna- al moderno salmì). Papa Martino IV, goloso di nia la vicenda di Johannes Defuck. Cardinale
mentali: ammirato dal anguille del lago di Bolsena, se le faceva cuci- al seguito di Enrico V di Franconia, che nel
colore dei frutti, fu il nare arrosto dopo averle fatte annegare nella XII secolo si recava a Roma per essere incoro-
botanico Andrea Mat- vernaccia; alla sua morte venne composto que- (Continua a pag. 32)
tioli a coniare il termi-
ne “pomodoro”.
Tra Sei e Settecen-
to, le carestie (dovu-
te all’abbassamen-
to delle temperature)
indussero a provare
nuovi alimenti, come
patata e pomodo-
ro, apprezzati dai più
poveri per il basso
costo di produzione e
il buon rendimento di
coltivazione.
COVER STORY COSE BUONE IN CUCINA
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Se sta gradendo questa rivista venga a leggerla MOLTO PRIMA su: MARAPCANA.WORLD troverà anche riviste,fumetti,libri,musica,apps,software,giochi,serie,film!
PESCE di trota) e metterle ognuna in una for-
ma di pasta insieme con le spezie, il sale
Trote in pastello e un po’ di olio o lardo. Ogni forma
dev’essere poco più lunga della trota stessa e va richiu-
Anonimo della corte angioina, sa dando alla pasta la forma di una barchetta, alle cui
Liber de coquina (Napoli, XIII-XIV secolo) estremità vanno lasciati due fori. Cuocere in forno per
30/45 minuti (a seconda della grandezza dei pesci).
Ingredienti Per la pasta: farina, grasso (può essere Prima di servire, far colare nei fori dell’olio o del lar-
strutto o burro), acqua e sale; per il ripieno: trote (una do fuso, insieme al succo di limone o di arance amare.
per ogni porzione), olio (o lardo), succo di limone (o di Servire mettendo le “barchette” nei piatti in modo che
arance amare), zafferano e spezie varie (potrebbero essere al momento dell’apertura si sentano tutti gli aromi.
pepe, chiodi di garofano e coriandolo), sale.
Procedimento Preparare un impasto con acqua e fari-
na, ammorbidito con il grasso, utilizzando proporzio- DOLCE
nalmente circa 50 g di grasso per ogni 250/300 g di
farina. Stemperare il tutto con acqua tiepida, insieme
Crema fritta
a un pizzico di sale. Formare un impasto morbido e
Guillaume Tirel dit Taillevent,
omogeneo. Lasciar riposare al fresco almeno 30 minu- Le Viander (Francia, XIV secolo)
ti prima di stendere la pasta in sfoglie,
che saranno tante quante le trote. Ingredienti Latte, lardo, tuorli d’uovo, chiodi di garofa-
Intanto, pulire le trote no, cannella, zucchero di canna, farina e olio.
(meglio se spinate, o utiliz- Procedimento Mettere a scaldare il latte e, quan-
zare direttamente filetti do è caldo, gettarvi dentro uno o più pezzi di lar-
do, mescolando bene. Togliere dal fuoco, eliminare
i pezzetti di lardo rimasto e aggiungere dei tuor-
li d’uovo battuti (la quantità giusta per 25 cl di latte
potrebbero essere tre tuorli). Quindi cuore a bagno-
maria per mescolare bene la crema, fin quando non
diventerà densa. Toglierla dal fuoco, aggiungere un
po’ di polvere di chiodi di garofano e lasciarla raf-
freddare diverse ore su un telo di cotone.
Quando la crema sarà ben densa, tagliarla in pez-
zi lunghi circa tre dita e passarli nella farina. Frigger-
li velocemente in olio bollente. Una volta sgocciolati
dal grasso di cottura, spolverare con zucchero di canna
macinato finemente, mescolato con cannella in polvere.
COVER STORY COSE BUONE IN CUCINA
“Nel cibo tutti fanno meraviglie, soprattutto nei banchetti di nozze, che perlopiù seguono
quest’ordine: vini bianchi e rossi per cominciare, ma prima di tutto confetti di zucchero.”
Giovanni de Mussis inizia così la descrizione di un celebre e sontuoso banchetto che si tenne a Piacenza nel 1388
nato imperatore, incaricò un suo servitore di C arne e cacciagione , sidro, ottenuti rispettivamente dalla fermenta-
precederlo lungo la via Francigena, scriven- un lusso per pochi zione di miele e di mele o pere. Come digesti-
do la parola “est” (ossia “qui c’è”) sulla por- Nell’alto Medioevo vi, a fine pasto venivano serviti vini speziati, il
ta delle taverne dove avesse trovato del buon l’alimentazione fu più conosciuto dei quali era certamente l’ippo-
vino. Arrivato a Montefiascone, in provincia qualitativamente migliore crasso, a base di vino rosso, cannella e zenzero.
di Viterbo, il servo assaggiò un bianco talmen- di quella dei secoli tardi:
te squisito da scrivere “est, est, est”. Il prela- gli animali delle grandi La politica dei banchetti
to non solo rimase tre giorni in paese, ma al foreste, infatti, assicuravano I pasti (solitamente solo pranzo e cena)
ritorno si fermò di nuovo, riprendendo l’assag- più carne rispetto, per seguivano quasi sempre i ritmi della giornata
gio interrotto. Si racconta che, per il troppo esempio, al Duecento. e delle ore di luce, che cambiavano in funzio-
bere, si ammalò e morì, ma che prima di esala- Sopra, l’interno di una ne delle stagioni. Si consumavano sui tavoli
re l’ultimo respiro lasciò alla città di Montefia- cucina in un quadro del comuni nel refettorio dei monaci e su piccole
scone la somma di 24.000 scudi con l’obbligo fiammingo Pieter van Rijck tavole nelle cucine popolari, mentre nelle sale
di rovesciare sulla sua tomba, a ogni ricor- (1610). Nella pagina a di castelli e palazzi i convitati sedevano davanti
renza, una botticella di quel vino eccezionale fronte, banchetto durante a tavole sistemate su semplici cavalletti, coper-
(oggi l’“Est! Est!! Est!!!” è un ottimo bianco una battuta di caccia nella te da più strati di tovaglie. In mancanza di
a denominazione di origine controllata). Francia del Quattrocento. tovaglioli, ci si puliva le mani sulla prima tova-
Altre bevande diffuse erano l’idromele e il glia, che veniva rimossa durante il servizio per
32
I maestri
S e dall’antichità
classica ci è giun-
to il nome di un solo
grande gastronomo
(Apicio, famoso all’e-
poca di Tiberio), cono-
sciamo invece mol-
ti cuochi medievali,
quasi tutti al servizio di
importanti personaggi
e autori di ricettari.
S o p r a n n o m i n a to
“Taillevent” (forse per
il fiuto o per il naso
importante), Guillaume
Tirel fu mastro cuoco
alla corte di Carlo V di
Francia; a lui è attribu-
ito il Viander, una rac-
colta di ricette della pri-
ma metà del Trecento.
A metà Quattrocen-
to, Martino de’ Rossi
da Como scrisse, per
il patriarca di Aquileia,
il Libro de arte coqui-
naria, un testo già pro-
iettato verso le sofisti-
cazioni rinascimenta-
li. Nel 1470 apparve il
De honesta voluptate
et valetudine (sotto) di
Bartolomeo Sacchi, o
Platina, che avrebbe
avuto successo anche
nei secoli successivi.
scoprire la sottostante, ancora pulita, e così via. riempito d’oca che, come una scatola cinese,
Per le pietanze brodose si usava il cucchiaio, conteneva un pollo, un piccione e un piccolo
di metallo o legno, mentre la carne, servita già volatile. Nata sul finire del Medioevo, l’arte di
porzionata, veniva presa dal piatto con tre dita, stupire attraverso le composizioni alimentari
non essendo ancora diffusa la forchetta. Ognu- divenne la caratteristica peculiare dei grandi
no usava il suo coltello personale. banchetti rinascimentali.
Uno degli scopi fondamentali dei banchet- La conclusione del pasto, con formaggi fre-
ti era quello di meravigliare gli ospiti con cibi schi e dolci a base di frutta secca o fresca,
gustosi o presentati in maniera stravagante. accompagnati da vini speziati o liquorosi, pre-
Per il pranzo offerto a un emiro venne servi- cedeva l’arrivo di musicanti e giullari, che allie-
to un vitello arrostito, farcito con un agnello tavano l’inizio di una lunga digestione.
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34
Luigi IX di Francia
SOVRANO
e SANTO
Uomo di pace e coraggioso crociato, splendido re e amico degli umili,
iracondo e ghiottone, ma anche virtuoso e generoso: in Luigi IX si fondono
tutte le contraddizioni del Regno di Francia nella sua età più splendida
di Luigi Lo Forti
L
a Storia ce lo tramanda come una del- la di fare in modo che il figlio venisse incoronato
le figure più significative del Medioevo, quanto prima, per non lasciare che il vuoto di pote-
ma, alla sua nascita, Luigi non poteva cer- re incoraggiasse le ambizioni di alcuni nobili poten-
to dirsi un predestinato. Si trattava del ti, come Ugo di Lusignano e il duca di Bretagna,
quartogenito di re Luigi VIII di Francia e Bian- Pierre Mauclerc. Quindi, con un’azione milita-
ca di Castiglia, dunque le probabilità che salisse re, costrinse Raimondo VII, conte di Tolosa, a un
al trono erano davvero remote. Il destino, tutta- accordo (il trattato di Parigi del 1229) che avreb-
via, aveva deciso altrimenti, visto che i suoi tre be esteso la sfera d’influenza del potere regale alle
fratelli maggiori morirono giovanissimi, aprendo regioni meridionali della Linguadoca. Fu questo il
al ragazzino la strada verso la corona e la gloria. primo, grande successo politico attribuito al regno
Nato a Poissy il 25 aprile 1214, Luigi suc- di Luigi IX il quale, sia pure sotto la guida materna,
cedette al padre appena dodicenne, e subito si cominciò a distinguersi come governante deciso ma
ritrovò al centro di una situazione politica deci- anche prudente e assennato. Per esempio, nel 1229,
samente delicata, sia fuori che dentro i confini quando gli studenti dell’Università di Parigi decisero
nazionali. Lo scontro tra la dinastia capetingia (alla di scioperare, su consiglio materno fece chiudere l’a-
quale apparteneva) e quella degli inglesi Plantage- teneo e disperdere i dimostranti, salvo poi convincere
neti non era ancora terminato, anche se lo scena- la madre a tornare sui suoi passi e accettare le riven-
rio bellico stava vivendo un momento di relativa La Sainte-Chapelle: dicazioni degli manifestanti. Un anno prima, appena
quiete. D’altro canto, la grande nobiltà francese, devozione reale quindicenne, Luigi era sceso in campo per affronta-
finalmente libera dalla stretta esercitata da Filippo Sopra, lo stemma di re Enrico III d’Inghilterra che, appoggiato da Pierre
Augusto (il nonno di Luigi) nel Sud della Francia, Francia, i cui gigli sono Mauclerc, era sbarcato in Bretagna con l’intenzio-
era pronta a sfidare l’autorità della casa regnan- riprodotti anche sulle ne di marciare sulla Francia occidentale. Alla fine,
te. In quella regione, l’eresia catara era ancora ben colonne della Sainte- lo scontro non ebbe luogo, perché il sovrano ingle-
radicata e rendeva la situazione interna instabile Chapelle di Parigi (nella se desistette e il duca bretone si sottomise all’autori-
anche dal punto di vista religioso. pagina a fronte), fatta tà regale francese. In ogni caso, solamente nel 1234
erigere da Luigi IX. Altre Bianca lasciò definitivamente le redini del potere al
Di madre in figlio colonne riportano invece figlio, che aveva compiuto vent’anni.
Così, quando Luigi VIII morì, nel 1226, tutto le armi di Castiglia, La capacità di gestire le responsabilità, che il gio-
lasciava presagire una grave crisi. Se ciò non accad- terra d’origine della vane sovrano aveva avuto modo di dimostrare fin
de, lo si dovette al deciso intervento della vedova. La madre del sovrano. dai primi anni del suo regno, derivava anche dall’e-
prima preoccupazione di Bianca di Castiglia fu quel- ducazione alla quale i genitori lo avevano sottoposto
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Luigi IX di Francia
fin dall’infanzia: mentre esperti cavalieri lo aveva- Un assalto gogna, che proprio per ritorsione contro Tebaldo
no addestrato nell’arte della caccia e della guerra, risolutivo aveva deciso di invadere la Champagne. Nel 1242,
Luigi era stato anche iniziato alle lettere, alla storia Vittorioso a Taillebourg il re guidò le sue truppe contro quelle dei ribelli
e alla geografia dai migliori insegnanti di Francia. (qui, in un’incisione capeggiati da un altro nobile, Ugo X di Lusignano,
A occuparsi della sua educazione religiosa, invece, ottocentesca), Luigi si e del loro alleato Enrico III d’Inghilterra, condu-
era stata soprattutto la madre, che lo aveva indiriz- accordò con gli inglesi cendole alla vittoria nella battaglia di Taillebourg.
zato verso una fede salda ma non fanatica; la stessa per il possesso delle La storia personale e politica di Luigi IX è indis-
fede che avrebbe influenzato e guidato le sue deci- regioni sudoccidentali solubilmente legata alla sua partecipazione agli
sioni in più di un’occasione, facendone un campio- della Francia. ultimi tentativi cristiani di liberare la Terrasan-
ne del cristianesimo, rispettoso dell’autorità papale ta dal dominio musulmano. La sua decisione pre-
ma mai sottomesso a Roma in modo incondizionato.
In pochi anni, re Luigi IX conquistò il favore del
popolo e il rispetto di una larga fetta della nobiltà,
proprio in virtù delle sue qualità personali e della
condotta nei confronti dei sudditi, a partire da quel-
li più umili fino ad arrivare ai vassalli più influenti.
Luigi era un re giusto, pio, equanime.
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I peccati di un re santo
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Luigi IX di Francia
Il cadavere bollito
L e cronache riportano che, il 25
agosto 1270, Luigi IX «adagia-
to su un let to di ceneri sparse a
Parigi, dovettero trovare il modo di
conser vare il cadavere. Decisero
così di bollirlo in una soluzione di
forma di croce, rese la sua beata vino e acqua, per riuscire a separare
anima al Creatore». Una delle pri- le ossa dalla carne e dagli orga-
me preoccupazioni dei suoi uomini ni (ai tempi era abitudine piuttosto
fu quella di riportare il corpo in Fran- comune seppellire il sovrano in luo-
cia nelle migliori condizioni possibili: ghi diversi del regno). Carlo d’Angiò
il sovrano, amatissimo in patria, era volle tenere per sé le viscere, che
già in odore di santità e le sue spo- sarebbero poi state traslate nel
glie sarebbero certamente diventate Duomo di Monreale. Le ossa ven-
presto oggetto di culto. nero invece riscattate dall’erede di
Dal momento che i francesi si tro- Luigi, Filippo III, che le fece ripor-
vavano a settimane di viaggio da re nella cattedrale di Saint-Denis.
stata Bianca a scegliere la futura regina; quello Prigioniero sa gelosia, ed evidentemente il re aveva
che nessuno poteva prevedere era che il rapporto degli infedeli ritenuto che per la consorte fosse meno pericoloso
coniugale si sarebbe trasformato in una relazione Luigi IX dopo la cattura affrontare una guerra oltremare piuttosto che rima-
sentimentale estremamente solida e particolar- da parte dei musulmani nere da sola in compagnia della suocera.
mente feconda (i due ebbero 11 figli). Il fatto che (1249) nell’interpretazione Il piano di Luigi era quello di catturare alcune del-
Luigi si fosse legato così strettamente alla moglie di Gustave Doré. le maggiori città egiziane e utilizzarle per riscattare
provocava nella madre un sentimento di rabbio- le piazzeforti cristiane cadute in mano al sultano. Le
cento navi della spedizione attraccarono nei pressi di
Damietta nel giungo del 1249; il re fu il primo a sbar-
care e a piantare il suo vessillo sulle sponde africane.
Quindi, dopo aver preso Damietta, si diresse verso il
Cairo, ma le piene del Nilo bloccarono l’avanzata del
suo esercito. La prima battaglia realmente impegna-
tiva fu quella per la presa della cittadella di al-Man-
sura. Lo scontro si concluse con una faticosa vittoria,
pagata con la morte del fratello del re, Roberto d’Ar-
tois, e un’epidemia che abbatté ulteriormente le for-
ze e il morale delle truppe. I crociati si ritirarono a
Damietta, dove pochi mesi dopo dovettero capito-
lare. Luigi venne catturato da Baybars I e liberato
solo dietro il pagamento di un riscatto.
La “peste” d’Africa
La sconfitta militare era stata netta, e molti dei
baroni di Luigi preferirono fare ritorno in Francia.
Ma il sovrano non si diede per vinto: dopo aver dato
prova delle sue doti guerriere, rivelò anche quelle
diplomatiche, impiegando i quattro anni successi-
vi a intessere nuove alleanze e rinforzare le poche
roccaforti cristiane rimaste. Solo quando seppe del-
la morte dell’amata madre fece ritorno in patria.
La spedizione in Oriente fu tanto eroica e sfortu-
“[La Crociata] deve solo servire a recuperare alla cristianitas la Terrasanta.
Morendo in Crociata nel 1270, Luigi aggiunge alla corona regale la corona del martirio.”
Così lo storico medievista Franco Cardini giudica il contributo di Luigi IX alla Crociata
nata che Luigi ne guadagnò una singolare fama in Un “martire” estranei ai suoi. Una volta, il suo giudizio fu richie-
tutta Europa. Fu forse anche in veste di reduce dalla della fede sto perfino dallo stesso Enrico III d’Inghilterra.
Terrasanta che ebbe buon gioco a intavolare profi- Luigi non morì di peste, Il richiamo della Terrasanta, però, si faceva sen-
cui negoziati con Enrico III d’Inghilterra culmi- come comunemente si tire sempre più forte. Ancora una volta, le notizie
nati, il 28 maggio 1258, con la firma del trattato di crede, ma di dissenteria, dell’inesorabile avanzata delle forze musulmane
Parigi, con il quale si concludeva il secolo di guer- dovuta alla mancanza spinsero Luigi all’azione, tanto che nel 1269 deci-
re tra la dinastia capetingia e quella dei Plantagene- di acqua potabile se d’imbarcarsi in una nuova impresa oltre mare.
ti. Anche in questo caso, è possibile apprezzare le (sopra, il momento Questa volta volle attaccare le città dell’odierna
doti diplomatiche di Luigi IX: i termini dell’accor- del trapasso in una Tunisia, nella speranza di spezzare in due tronco-
do furono particolarmente generosi nei confronti di teatrale interpretazione ni il territorio islamico. Dopo alcune facili vittorie,
Enrico, il quale conservò l’Aquitania e altri territo- ottocentesca). La fama culminate con la presa di Cartagine, ancora una
ri continentali, accettando in cambio una posizione di santo del re crociato volta lo slancio del suo esercito venne fermato da
di vassallaggio nei confronti della Corona di Fran- si diffuse subito, tanto una pestilenza, alla quale lui stesso dovette soccom-
cia. Si trattava di una situazione che garantiva al re che papa Bonifacio VIII bere. Anche in quest’ultima difficile prova, Luigi
francese un prestigio e un’autorità enormi, che Lui- lo canonizzò già nel dimostrò la sua indole e la sua fede sincera: nomi-
gi seppe sfruttare al meglio, impegnandosi affinché 1297. Da allora molti nando erede al trono il figlio Filippo, gli raccoman-
i rapporti tra i suoi eredi e quelli del ramo planta- re francesi avrebbero dò soprattutto di assistere i più poveri e sfortunati
geneto fossero cordiali. Il sovrano francese usò un preso il suo nome. tra i sudditi. Così, il 25 agosto 1270, in una terra
metro di imparzialità nelle sue decisioni che venne lontana, moriva re Luigi IX, colui che sette anni
riconosciuto unanimemente, tanto che il re fu spes- dopo sarebbe stato canonizzato dalla Chiesa per
so chiamato ad arbitrare dispute sorte in territori poi passare alla Storia come san Luigi di Francia.
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Un GUANTO
di amore e di SFIDA
Lungi dall’essere un semplice accessorio da lavoro, il guanto sottendeva
molteplici significati. Emblema dei rapporti feudali, determinava gli equilibri
tra i potenti, ma era anche un simbolo di raffinatezza e sensualità
di Maddalena Freddi
S
ia che fosse un mero accessorio a pro-
tezione della mano oppure uno status
symbol intriso di significati allegorici, il
guanto ha svolto un ruolo molto impor-
tante nell’abbigliamento medievale. Nei territo-
ri caratterizzati da climi rigidi era ovviamente un
ausilio d’obbligo per difendersi dal freddo, ma
nelle più miti latitudini mediterranee era utiliz-
zato, tanto in Oriente quanto in Egitto, come un
attributo regale, e come tale era prerogativa di
sovrani e faraoni. Leggenda vuole che a introdur-
lo nel mondo classico siano state le Grazie, che
avrebbero cucito un tessuto a mo’ di benda intor-
no alle dita di Venere, feritasi con un rovo. Per
quanto riguarda noi italiani, di sicuro sappiamo
solo che il suo nome deriva dal francone *want,
indizio inequivocabile di un’origine barbarica.
Prova ne sia che, stando al biografo Giona di Bob-
bio, un paio di «tegumenta manuum que Galli
vuantos vocant» (“protezioni delle mani che i Gal-
li chiamano guanti”) erano abitualmente indossati
dal missionario irlandese san Colombano quando
lavorava nei campi del monastero di Luxeuil, da
lui stesso fondato negli ultimi anni del VI secolo.
Significati contraddittori
Il guanto non fu mai un semplice elemento del
vestiario, né fu impiegato soltanto, in versione
imbottita e rinforzata, dai falconieri o dai combat-
tenti in guerra. Nelle compravendite fondiarie,
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Abbigliamento
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Il culto delle reliquie
STINCHI
di SANTO
Nato ai tempi di Costantino, il culto delle reliquie si diffuse a macchia d’olio. Venerati
da fedeli disposti a compiere lunghi pellegrinaggi pur di onorarli, i resti dei santi e i cimeli
legati alla Passione di Cristo generarono, però, anche un imponente mercato di falsi
di Elena Percivaldi
Storica medievista
T
utto cominciò nel 325, quando Elena, “stauroteca”, come più pre-
la devotissima madre di Costantino, cisamente si chiama il luogo
l’imperatore che (pare) aveva abban- dove si custodiscono i fram-
donato gli dei romani per abbraccia- menti della Croce di Cristo.
re la fede in Cristo, si recò in pellegrinaggio in Un gesto che si rivelò
Terrasanta. Fu là che, miracolosamen- decisivo per la diffu-
te, ritrovò la “Vera Croce” su cui sione del cristianesi-
Gesù aveva subito il marti- mo in Occidente.
rio. L’episodio, racconta-
to dal vescovo Eusebio Più degna sepoltura
di Cesarea e poi ripre- La venerazione di ciò che
so dai cronisti succes- restava dei santi e dei marti-
sivi, è considerato l’atto di ri, e soprattutto delle reliquie
nascita del culto delle reliquie. Dopo mariane (relative alla Vergine) e cri-
l’“invenzione” (dal latino invenire, ritrovare), Strani reliquiari stiche (legate alla vita e alla passione di Gesù),
l’anziana augusta portò con sé a Roma una par- e corpi incorrotti conquistò immediatamente il mondo cristiano.
te della Croce, lasciando il resto in Oriente, dove A volte i reliquiari La comunità dei fedeli era finalmente libera di
venne conservato in una teca e subì, nel tempo, richiamavano le parti del professare il nuovo credo, dopo che lo stesso
l’asportazione di vari frammenti. Insieme al sacro santo in essi custodite Costantino, con l’Editto di Milano del 313, ave-
legno Elena recò altri oggetti legati alla passio- (sopra, un esemplare a va dichiarato il cristianesimo “religione lecita”,
ne di Cristo che aveva ritrovato in Palestina: par- forma di scarpa del XIV equiparandola agli altri culti dell’Impero. Termi-
te della corona di spine, un chiodo, la spugna secolo). Nella pagina nate le persecuzioni, le basiliche (grandi edifici
imbevuta d’aceto e la tavoletta di legno di noce a fronte, il corpo di pubblici ora riadattati a luoghi di culto) vennero
recante il titulus crucis, ossia il cartiglio apposto san Cutberto viene progressivamente dotate di reliquie: chiese e ora-
sul patibolo su cui si leggeva, in tre lingue (lati- trovato ancora integro tori erano eretti direttamente sui luoghi di sepol-
no, greco ed ebraico), la scritta “Gesù Nazareno all’apertura della sua tura dei martiri, con l’altare in corrispondenza o
re dei Giudei”. I preziosi cimeli furono colloca- tomba, svariati anni dopo sopra il luogo in cui giaceva il corpo.
ti nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme, la morte (manoscritto La venerazione dei martiri andò crescendo
fatta erigere a Roma dalla stessa Elena in un’au- del XII secolo). esponenzialmente dal IV secolo in poi, renden-
la della sua residenza nei pressi del Laterano: do necessaria la fondazione di altre chiese a loro
era il primo, grande reliquiario della Storia, o intitolate, anche in luoghi diversi e lontani dal-
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Il culto delle reliquie
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Il culto delle reliquie
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Il culto delle reliquie
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ampiamente condannati, come dimostra il trat-
tatello De pignoribus sanctorum di Guiberto di
Nogent (1055-1124 ca.), in cui l’abate benedet-
Reliquie Venezia, stazione dei santi
illustri
tino insiste sulla necessità di verificare l’autenti-
cità delle reliquie e condanna lo smembramento
dei cadaveri, la credulità delle masse e l’avidi- O ltre alla contro-
versa Sindone
L uogo di raduno perchi andava in Terrasanta,
la Serenissima vantava molte chiese ricche di
reliquie. Leonardo Frescobaldi, nel suo resoconto
tà dei santuari che non esitavano, per arricchir- conservata nel duo- di viaggio scritto nel 1394, racconta: «Andammo
si, a esibirne di false. Questo fenomeno esplose mo di Torino, tra le a visitare la chiesa di Santa Lucia vergine, dove
con le Crociate, al punto che il Concilio Late- reliquie più impor- quivi ci fu mostro il suo sanctissimo corpo. Al
ranense IV, nel 1215, dovette intervenire proi- tanti della cristianità monasterio di San Zaccharia padre di san Gio-
bendo le contraffazioni. Ma la popolarità delle c’è la “Santa Lancia”, vanni Batista in un altare bellissimo, ci fu mostro
reliquie rimase intatta, anzi si accrebbe assumen- identificata con quel- molte reliquie, et evvi il corpo di decto sancto
do a volte tratti mistici: la Vera Croce, per esem- la che il legionario Zaccheria et quello di S. Giorgio et quello di san
pio, accompagnò l’esercito crociato in battaglia Longino aveva uti- Theodoro martire. Nella chiesa di San Giorgio fuo-
finché, il 4 luglio 1187, in occasione della disa- lizzato per trafiggere ri Venegia vedemo il braccio suo, el corpo di san
strosa sconfitta di Hattin, non fu rinvenuta dai il costato di Cristo e Pagolo, et la testa di sancta Felice. Nella chiesa di
soldati del Saladino sul cadavere del vescovo di constatarne la mor- San Christofano vedemo el sanctissimo corpo, et
Acri e trafugata, facendo perdere le sue tracce. te. Il cimelio venne
sfoderato nel 955 da
Caccia grossa in Oriente Ottone a Lechfeld, riati frammenti dei corpi di Pietro, Paolo e altri
Proprio durante le spedizioni militari in Ter- contro gli Ungari. Da apostoli. Il semplice crociato e cronista Rober-
rasanta si scatenò una contagiosa caccia alle reli- secoli fa par te dei to de Clari riuscì a impossessarsi di ben cinque
quie. I sacri cimeli erano ricercati non solo per tesori della Corona frammenti della Vera Croce, alcune gocce del
ragioni ideologiche (sottrarli alle mani sacrile- imperiale e oggi è Santo Sangue, un lembo della tunica di Cristo
ghe degli infedeli pareva sacrosanto), ma anche conservata a Vienna. e altre decine di reliquie. Il flusso inva-
perché si trattava di beni molto ricercati in tut- Altre celebri reli- se letteralmente l’Europa, scatenando
to l’Occidente. Dopo la presa di Costantino- quie sono quelle dei appetiti illustri: il pio re di Francia
poli che mise fine alla Quarta crociata (1204), M ag i, c u s to d i te a Luigi IX pagò una somma ingente
giunsero a Venezia la Madonna Nicopeia e mol- Milano nella basili- per acquisire la corona di spine,
te altre reliquie ancora oggi custodite nel tesoro ca di Sant’Eustorgio un altro (l’ennesimo!) frammen-
di San Marco. Le più preziose vennero spartite (nella foto): l’impe- to della Vera Croce e diver-
tra baroni e vescovi, il resto finì alla soldataglia. ratore Barbarossa se reliquie della Passione, e
Il solo vescovo di Halbertstadt, per esempio, si le trafugò nel 1162, per custodirle fece costruire
portò a casa un’ampolla con il sangue di Gesù, traslandole nella Cat- a Parigi la Sainte-Chapelle.
una sezione del Santo Sepolcro, una parte del- tedrale di Colonia Finita la grande epopea
la corona di spine, la spugna della crocifissione, (furono parzialmente delle Crociate, non esisteva
un lembo della Veronica (il panno con il volto di restituite al capoluogo chiesa o santuario europeo
Cristo), alcuni capelli della Vergine Maria, una lombardo nel 1904). che non vantasse un nume-
porzione della testa di Giovanni Battista e sva- ro considerevole di reliquie.
Enorme fu, ovviamente, il
mercato dei falsi, fabbricati
ad arte e spacciati per auten-
tici per spillare quattrini ai
devoti creduloni. Basti pen-
sare che del Santo prepuzio
di Cristo (prelevato, secon-
do la tradizione, durante
il rito della circoncisione e
donato a papa Leone III da
Carlo Magno, il 25 dicembre
800, in occasione della sua
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Il culto delle reliquie
incoronazione) esistevano tra gli otto e i diciot- Scheletri di santi vo, una violenta e crescente polemica, finché,
to esemplari, disseminati in varie città europee, in armatura nel 1503, il grande umanista Erasmo da Rot-
e che si registrano almeno cinque teste di Gio- Le ossa di san Pancrazio terdam non condannò il culto delle reliquie, in
vanni Battista, suddivise tra Roma (San Silve- furono ritrovate nella quanto allontanava i fedeli dal cammino spi-
stro in Capite), Costantinopoli, chiesa di S. Nicola a Wil, rituale, unica via per raggiungere la salvezza.
Monaco di Baviera, Dama- in Svizzera. Avvolto in Insieme allo scandalo delle indulgenze, il mer-
sco e Amiens. semplici panni, nel 1777 cato delle reliquie contribuì a spianare la stra-
La quantità spudorata il corpo fu rivestito di da alla Riforma che avrebbe diviso la Chiesa. La
di abusi e speculazioni una magnifica armatura. pietra tombale (è il caso di dirlo) sul fenome-
sollevò, negli ultimi no venne posta da Giovanni Calvino, che nel
secoli del Medioe- suo Trattato sulle reliquie del 1543, riprenden-
do quanto già detto da Lutero, condannò sen-
za appello «le devozioni ricevute in eredità dal
barbaro Medioevo», tributate a «qualche osso
di asino o di cane, che il primo burlone spac-
ciò per ossa di martire». Non si salvarono
dalla sua condanna neppure i frammen-
ti della Vera Croce: poiché ogni abbazia
e monastero, anche il più remoto e scal-
cinato, sosteneva di possederne uno,
Calvino scrisse che «di queste suppo-
ste reliquie si sarebbe potuto riempi-
re una nave». Di lì a poco, una nuova
crociata, stavolta diretta contro reliquie
e reliquari, avrebbe portato, nei Pae-
si riformati, alla distruzione di centinaia
dei tanto vituperati «emblemi di supersti-
zione e idolatria», comportando
la perdita irreversibile anche
degli straordinari capolavori
di arte e oreficeria che li ave-
vano contenuti per secoli.
47
Le tasse
L’ onere odioso
della gabella
Quando i Comuni italiani diedero inizio a un’epoca di straordinario rigoglio,
ci si pose il problema della tassazione: come si poteva obbligare ciascuno
a pagare il giusto, evitando che le odiose gabelle soffocassero gli affari?
di Gabriele Campagnano
Storico medievista
48
D
ifficile trovare, nel corso della storia uma-
na, qualcosa che si sia attirato le male-
dizioni della gente più delle tasse. Che
si trattasse di imposte dirette, gabelle,
tributi o altro, erano sempre considerate un danno-
so attacco ai beni individuali e al duro lavoro di una
persona o di un’intera famiglia. D’altro canto, ci si
rendeva conto che, come scrisse un saggista del Set-
tecento, «i tributi sono necessari a ogni popolo raccol-
to in società civile. Il sovrano non può farne a meno; i
sudditi cesserebbero di essere tali, quando negassero
di prestarli. In una famiglia bene ordinata tutti i mem-
bri lasciano in cumulo una porzione delle loro rendi-
te o dei loro guadagni per le spese comuni: e perché
non si dovrebbe fare lo stesso in uno Stato?».
Il Medioevo non fece eccezione. Benché le differen-
ze tra tempi e luoghi siano enormi, si trattava sempre
di tassazioni molto lontane dalla complessità del dirit-
to tributario moderno, con erogazioni verso l’autori-
tà regolate sul lavoro in prima persona (la “corvée”),
il possesso di terre, la produzione del fondo agricolo
o particolari beni. Si registrava, inoltre, un continuo Un tesoro storico: (1182) e Firenze (1202). L’area toscana, che viveva un
scontro di competenza tra fiscalità signorile e vesco- i libri contabili momento di grande crescita economica e istituziona-
vile, che talvolta sfociava in veri conflitti. I libri di conto giunti fino a le, fu la prima a utilizzare il nuovo strumento, che poi
noi sono fonti inesauribili trovò consenso anche più a nord. A Milano, la neces-
L’invenzione dell’estimo di informazioni sità di gestire il sistema di tassazione in modo organiz-
In Nord Italia fin dal termine del XII secolo, e nel sull’economia e la vita zato si fece sentire in età comunale, e nel 1248 venne
resto d’Europa in quello successivo, gli introiti stata- quotidiana, nonché pubblicata una Stima e catasto dei beni di tutti i citta-
li più rilevanti arrivavano però dal prelievo sui reddi- importanti documenti dini, realizzata forse nei decenni precedenti.
ti dei cittadini piuttosto che dalle gabelle sui singoli linguistici, in quanto Nella maggior parte dei casi (l’esempio più classi-
beni. Accanto alle gabelle e ai dazi, quindi, si diffu- redatti per lo più co è la Firenze della seconda metà del Duecento) l’e-
se l’“estimo”, ossia la descrizione e stima dei beni in volgare. Sopra, stimo era tripartito: contado, città e nobili. Il governo
dei cittadini a fini fiscali. esattori fiscali in un cittadino decideva la somma complessiva che doveva
Il primo estimo comunale fu quello che s’impegna- quadro di Marinus van entrare in cassa e procedeva poi a ripartire il carico
rono a far redigere i consoli di Pisa, nel 1162, segui- Reymerswale (1540 ca.). complessivo secondo diversi criteri. La prima suddi-
to da quelli di Faenza (1168), Siena (1170 ca.), Lucca visione fu tra città e contado, ma non ci sono arrivate
49
Le tasse
50
“La necessitas e il ‘bene comune’ dovevano essere alla base della richiesta
di contributi ai sudditi; e il più potente elemento era offerto dalla motivazione religiosa.”
Luciano Pezzolo, “Tassare e pagare le tasse tra Medioevo e prima età moderna” (2013)
mento di un’imposta doppia) era obbligato a fornire Gli odiatissimi tentativi di estimo si rivelarono poco fruttuosi. A quel
una descrizione accurata, secondo le direttive catasta- riscossori punto, gli Anziani tentarono di compensare con una
li, dei suoi beni e l’ammontare del reddito. La riscossione di tasse gabella sul vino, che avrebbe dovuto fruttare 15.000
e gabelle (le imposte fiorini, ma che alla fine ne portò in cassa soltanto
Prestiti forzosi indirette sugli scambi 8.000. Poiché il deficit annuo del bilancio comuna-
Oltre all’estimo e poi al catasto, c’erano comun- e sui consumi di le rimase comunque sopra i 12.000 fiorini, si ricorse
que le antiche gabelle. Si trattava di imposte che, merci) era appaltata massicciamente allo strumento della “prestanza”. In
a seconda dei tempi e dei luoghi, potevano colpi- a intermediari, che ne pratica, si chiese a commercianti e cittadini abbienti
re beni o transazioni: dall’olio ai cavalli, dalle divi- versavano i proventi al re di prestare soldi al Comune, con la promessa di una
sioni immobiliari al vino. La gabella sul sale rimase, dopo aver preteso dalla restituzione con un buon interesse. I tassi delle varie
per tutto il corso del Medioevo, una delle più onero- popolazione le somme prestanze vennero però uniformati al 10%, a pre-
se e odiate. Come nel resto d’Europa, anche in Ita- dovute. I gabellieri erano scindere da quale fosse quello stabilito inizialmente,
lia la riscossione delle gabelle veniva spesso data in invisi, perché spesso e scesero addirittura al 5% nel 1370. Le prestanze,
appalto a privati cittadini, che acquistavano il diritto taglieggiavano i cittadini inoltre, divennero sempre più numerose e ravvicinate
di riscossione versando un quantitativo concordato in maniera arbitraria e nel tempo, trasformandosi in veri atti di coercizione.
di moneta sonante nelle casse del Comune. Questo abusiva. Sopra, esattori Nel 1374, quindici mercanti furono “invitati” a ver-
modo di gestire la fiscalità era, almeno per certi ver- delle tasse in un affresco sare 9.000 fiorini e nel 1376 fu imposto loro un nuo-
si, analogo a quello del tardo Impero Romano. di Niccolò di Pietro vo prestito forzoso pari a 24.000 fiorini.
Il rapporto tra gabella ed estimo è ben spiegato dal- Gerini (chiesa di San Furono proprio i Comuni italiani, gli stessi che
la situazione di Pisa nel 1344, quando la città si trovò Francesco, Prato). gettarono le fondamenta di tanti istituti giuridici e
a fronteggiare le spese della guerra con Firenze per strumenti finanziari moderni, a creare una sperimenta-
il possesso di Lucca. Il governo cittadino conferì agli zione fiscale di volta in volta più complessa e vicina alle
Anziani il compito di sistemare le finanze, ma i nuovi esigenze di agglomerati urbani sempre più attivi.
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Perseo libera Andro
Un’opera complessa e fiabesca,
tutta imperniata attorno al mostro
più stravagante dell’arte italiana
di Sabina Gnisci
Storica dell’arte
7
N
1
el IV Libro delle Metamorfosi, Ovi- 3
dio narra di Perseo, figlio di Danae e
di Giove, che la fecondò in forma di 2
pioggia d’oro. La storia è complicata,
piena di divinità benevole e ostili, oracoli sibilli-
ni e prove da superare. L’episodio dipinto dal fio-
rentino Piero di Cosimo (1461-1522) sembrerebbe
configurarsi come una pausa sentimentale tra tan-
ti affanni, se non fosse che per conquistare la bella 5
Andromeda l’eroe è costretto a sconfiggere l’orri- 4
bile mostro marino che campeggia proprio al cen-
tro dell’opera. Il racconto si dipana circolarmente,
partendo dall’angolo in alto a destra.
La parte superiore costituisce l’antefatto, con
12
L’ipotesi diamantata poggiato lì accanto) sembrano indizi Non era la prima volta che il pittore Piero di
leonardesca in tal senso. Il riferimento agli emblemi medicei fa Cosimo si cimentava in favole mitologiche, di
A lungo si pensò che ritenere che il committente Giovan Battista Stroz- cui prediligeva il lato poetico. Amava rappre-
il dipinto fosse stato zi, figlio del banchiere Filippo il Vecchio, amico sentarne non solo l’episodio saliente, ma dipa-
eseguito da Piero di di Lorenzo il Magnifico, abbia commissionato il nare il racconto in una trama logica e naturale,
Cosimo su disegno dipinto in occasione del ritorno dei Medici a Firen- ricca di episodi narrati con ricchezza di partico-
di Leonardo da ze nel 1512, dopo la breve avventura repubblica- lari e attenzione per il dettaglio. Il suo genio era
Vinci. Oggi, tuttavia, na sostenuta da Savonarola. L’interpretazione del attratto dalle bizzarrie della natura, che studiava
la critica tende a quadro potrebbe essere questa: così come Perseo dal vero. In questa composizione, l’assenza dell’e-
scartare tale ipotesi. liberò Andromeda dal drago, così i Medici libera- lemento poetico è equilibrato dalla magnifica
rono la città dal tirannico (almeno per un uomo invenzione del mostro marino, uno dei più terri-
della fazione medicea) governo repubblicano. ficanti e bizzarri dell’intera arte rinascimentale.
53
54
I cani
Mi FIDO
di te
Nel tardo Medioevo il cane è il beniamino della nobiltà.
Protagonista delle battute di caccia, il miglior
amico dell’uomo diventa anche uno status symbol
di Mario Galloni
B
Questione di fiuto ernabò Visconti, signore nella Milano
e di potere del Trecento, possedeva più di cinque-
Fedele compagno del mila cani; nell’impossibilità di tenerli tut-
guerriero nella società ti con sé, li aveva distribuiti a forza tra i
barbarica, il cane suoi sudditi, che erano costretti ad allevarli amore-
accompagna il suo volmente per non incorrere nella sua ira e nelle pene
padrone in guerra e lo severissime che, per legge, erano destinate a chiun-
aiuta durante la caccia que avesse osato maltrattarli. Le periodiche visi-
(a sinistra), praticata in te alla Cà di Can (“Casa dei cani”, come il popolo
tempo di pace come milanese aveva ribattezzato il palazzo di Bernabò),
addestramento all’uso durante le quali gli affidatari degli animali dovevano
delle armi. In epoca presentarsi al cospetto del signore per consentirgli
carolingia, l’incarico di verificarne lo stato di salute, erano appuntamenti
di badare alla cura dei temutissimi. D’altronde il Visconti era un appassio-
cani era demandato nato cacciatore e tra le leggende nere che ne fune-
all’amministratore stano la figura dispotica e iraconda c’è anche quella
della villa padronale, che racconta la sua mania per le battute venatorie al
che era addirittura un cinghiale, trasformate in veri affari di Stato, duran-
funzionario regio. te le quali non erano ammessi errori o negligenze.
Animale totemico
Una cinofilia smodata, quella di Bernabò, uomo
che non amava le mezze misure. Ma non si trat-
tava di un caso eccezionale: la passione per i cani
era condivisa, seppur in gradi e modi diversi, da
gran parte dell’élite europea del periodo, per cui
la caccia era un evento esclusivo, un passatempo
nobile, e la proprietà di numerose mute di cani di
razza uno status symbol irrinunciabile. Nella cul-
tura cavalleresca che animava le corti sul finire del
55
I cani
Medioevo riemerse in modo prepotente il valore La sua opera passa in rassegna le razze esistenti
Cavalieri simbolico dell’esercizio venatorio, introdotto in all’epoca, descrive i diversi incroci e suggerisce
invidiosi Europa dalle popolazioni barbariche: per loro la come occuparsi degli animali tenuti nei canili, il
caccia, oltre a sfamare le tribù nomadi, rappre- che costituiva una grande novità per quei tempi.
sentava una simulazione della guerra in tempo
di pace, un esercizio per selezionare l’élite mili- Il sospetto della Chiesa
tare. La cultura germanica era incentrata sull’e- Nelle corti aristocratiche, il cane conobbe una
saltazione del capo e della sua fisicità, così come straordinaria celebrità e vide crescere il suo status
quella feudale si nutriva dell’atto di coraggio del da animale addomesticato ad animale civilizzato.
cavaliere che nella caccia trovava il suo cimento: E pensare che l’Età di Mezzo, per gli amici a quat-
orso, cinghiale e cervo erano le prede più ambite. tro zampe, non era cominciata nel migliore dei
Nelle colossali battute organizzate dalla nobil- modi. Il cataclisma economico e sociale provocato
tà, i cani scendevano in campo come coprota- dalla dissoluzione dell’Impero Romano e il pro-
gonisti e fu proprio nel Medioevo che cominciò gressivo inselvatichirsi della vita urbana e rurale,
la selezione delle razze più adatte a comporre le così come l’assenza di risorse materiali, colpirono
mute, secondo specializzazioni giunte pressoché anche i cani domestici, molti dei quali tornarono
inalterate fino alla modernità. I bracchi cerca- al bosco e con il tempo ripresero i comportamenti
vano le prede, i levrieri le inseguivano, i segugi dei loro antenati. Torme di cani selvatici infestava-
stanavano i cervi e i molossi affrontavano e uc- no le foreste e minacciavano anche i centri abitati,
N el raffinato gioco
dell’amor corte-
se, il cane poteva
cidevano bisonti e orsi. Anche i cani più piccoli
iniziarono a essere utilizzati per individuare le
tane dei conigli e delle volpi: erano i primi terrier.
intorno ai quali gli animali ridotti allo stato brado
avevano ripreso la loro antica funzione di spazzi-
ni, cibandosi di carogne. La presenza di esemplari
trasformarsi nel sim- Nel Trecento, Gaston Phoebus III, conte di Foix, feroci, aggressivi e portatori di malattie gravi come
bolo del desiderio scrisse il Traité de la chasse, che lo rese celebre. la rabbia alimentò superstizioni e credenze popo-
inappagato, quan-
do i cagnolini di Ritratto di signora
corte, i preferiti del- (con cane)
le dame, venivano A cominciare dal
p l ate a lm e nte vez- Rinascimento, tra gli
zeggiati e stretti a aristocratici divenne di
quel seno che anche moda non solo allevare
il cavaliere innamo- intere mute di cani,
rato agognava. Molti ma anche farsi ritrarre
dipinti del periodo in loro compagnia:
avevano questo un “vezzo” adottato
soggetto e scatena- indifferentemente sia
vano una metaforica dagli uomini che dalle
tenzone con l’aman- donne. Qui accanto,
te frustrato, a cui il Ritratto di nobildonna
morbido petto risul- con cane di Girolamo
tava inaccessibile. Macchietti (XVI secolo).
Scrive lo storico
dell’arte Enrico Maria
Dal Pozzolo: «D’un
tratto, ecco tramutar-
si il cane da simbolo
di fedeltà in quello di
desiderio inappaga-
to, di provocazione
ed esclusione».
56
“(Nella caccia) solo il cane può soccorrere il rapace quando preda: l’aiuto
di nessun altro animale potrà essere in ciò altrettanto adatto.”
Federico II, “De arte venandi cum avibus” (XIII secolo)
lari, e stimolò la compilazione di un bestiario tanto Il beniamino sa al potere delle nuove élite politiche di origine
immaginario quanto orribile, dove trovavano po- degli aristocratici barbarica, portatrici di una cultura che proprio al
sto lupi mannari, cani serpente e cinocefali, popoli Amatissimo dai nobili, il cane e al suo cugino più prossimo, il lupo, riser-
dalla testa canina la cui esistenza venne messa in cane era una presenza vavano un trattamento di favore, apprezzandone
dubbio solo nel tardo Rinascimento. festosa nelle corti, le doti di coraggio e fedeltà. Ciò per motivi sia
La stessa Chiesa delle origini aveva contribuito sia come animale da simbolici che pratici, riconoscendone il ruolo fon-
alla cattiva nomea del cane nell’alto Medioevo. compagnia che come damentale durante l’attività venatoria. Così, anche
Nella Bibbia, all’animale è attribuita una valenza ausilio alla caccia. l’iconografia religiosa cristiana riscoprì gli aspetti
simbolica negativa, legata alla sua bestialità e alla Sopra, un cane in un positivi del fidato amico dell’uomo, esaltandone
vicinanza con antiche divinità del culto dei morti arazzo francese. l’indole buona e leale. La riabilitazione si comple-
(molte tradizioni pongono il cane a guardia degli tò quando i frati domenicani adottarono l’animale
Inferi, come nel caso di Cerbero). Tutto ciò non come simbolo, giocando sulla lettura scomposta
aveva garantito al vecchio amico dell’uomo una del nome con cui erano conosciuti (Domini canes,
buona stampa, fino a quando le stesse colpe di cui “cani del Signore”). Non per questo la Chiesa
si era inconsapevolmente macchiato non divenne- sposò la passione smodata della nobiltà per i cani.
ro pregi. Questo avvenne in coincidenza con l’asce- Per esempio, vietò agli ecclesiastici di possederli e
57
La serpe e il levriero
58
I cani
o per status, nessuno voleva sottrarsi. Quello che Un rapporto (“grandi fauci”). E poi c’erano i Gonzaga: Lu-
fino a qualche decennio prima sarebbe stato bol- contraddittorio dovico III, signore di Mantova dal 1444 al 1478,
lato come passatempo femminile, divenne quasi La Chiesa mantenne a adorava i suoi Rubino e Bellina, e quando il primo
un obbligo per la nobiltà e ciascuno faceva a gara lungo un atteggiamento morì lo pianse nelle sue lettere e lo seppellì con
per farsi immortalare in un ritratto con il proprio ambiguo nei confronti tanto di epitaffio in latino. In vita lo aveva fatto
cane, ancora meglio se di razza pregiata e per mano del cane, ritenuto legato immortalare dal sommo pittore Andrea Mantegna
di un artista di fama. È un levriero persiano, per a una concezione nel celebre affresco della “Camera degli Sposi”,
esempio, a scortare Enea Silvio Piccolomini, futu- del mondo pagana e che raffigurava la famiglia al gran completo: lo si
ro papa Pio II, in partenza per il concilio di Basilea totemica, sebbene questi vede accucciato proprio sotto lo scranno di Ludo-
(l’affresco è del Pinturicchio); e sono due levrieri animali, soprattutto quelli vico. Altri levrieri e cani di varie razze compaiono
ad assistere Sigismondo Pandolfo Malatesta men- da caccia (in basso), negli affreschi tutt’intorno.
tre prega nel Tempio di Rimini (in questo caso il fossero una presenza Isabella d’Este adorava il gatto Martino e i suoi
ritratto è di Piero della Francesca): la coppia gli era irrinunciabile in molti cagnolini, Mamia e Aura. Quando quest’ultima
stata donata da Lorenzo di Pierfrancesco de’ Me- ambienti, in primis quelli morì, precipitando dal balcone, la pianse a lungo
dici, e lui aveva fatto realizzare per loro una serie di di corte. Interessanti presso una tomba di marmo con tanto di statua in
collari d’argento dal suo orafo di corte. curiosità e aneddoti suo onore, mentre poeti da tutta Italia facevano a
Ma esistono anche ritratti canini senza padrone, cinofili sono stati raccolti gara per cantare il dolore della nobildonna: l’auli-
come se li potevano permettere solo i nobiluomi- da Marco Iuffrida nel co epitaffio in memoria di Aura, andato perduto
ni. Il duca di Milano Galeazzo Maria Sforza chiese recente volume Il cane. tra Quattro e Cinquecento, divenne un esercizio
a Zanetto Bugato d’immortalare «il cane chiamato Una storia sociale letterario con cui si confrontarono nomi del cali-
Bareta» e lo stesso fece Francesco Gonzaga con il dall’Antichità al Medioevo bro di Tasso, Ariosto e Marino.
pittore Francesco Bonsignori. Pare che l’opera di (Odoya Edizioni). Con questi versi il poeta Pan-
quest’ultimo fosse talmente realistica da trarre in filo Sasso ricordava il cagnolino
inganno un compagno di muta che si scagliò con- della sua amata: «Bianco era,
tro la tela, avendo scambiato il quadro per un come un cigno di colore / leggiadro
cane vero. La passione canina non conosceva ardito, parea che l’amore / fatto l’havesse
confini e investiva anche letterati (nella Sala apposta sol di lei, / s’ella posava e lui nel suo
dei Giganti di Padova, France- bel seno / dormìa contento, se con festa e gio-
sco Petrarca compare con l’e- cho / scherzava, e lui con lei di festa pieno / anda-
semplare che aveva adottato), va secho e stava in ogni locho. / Hor lei si dole e
prelati e persino santi. Leon lui venuto a meno: / così dura el piacer nel mon-
Battista Alberti ne aveva ricevuti do poco». Piangere le bestiole dei potenti era
in dono due di nome Tigri e Megastomo anche un modo sornione per ingraziarseli.
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La rosa
regina
di fiori
Onorata fin dall’antichità come la più sacra delle meraviglie floreali, nel Medioevo
la rosa diventa uno dei simboli sovrani della cristianità, associata al sangue di Gesù,
alla verginità di Maria e ai misteri della fede. Senza dimenticare i segreti dell’eros
di Georg A. Feldermann
Studioso d’iconografia medievale
P
ossiamo iniziare la storia segreta godette di una seconda fioritura. Come tutti
della rosa, uno dei simboli più i misteri spirituali, anche quello del fiore
importanti dell’Occidente, mistico per eccellenza è il superamen-
ricorrendo a un motto lati- to di un’apparente contraddizione,
no: “Sub rosa dicta velata est”. La che in questo caso viene rappresen-
frase (ancora presente nell’italiano tata dalla corolla e dalla spina, ossia
dotto nella locuzione “sub rosa”) dalla bellezza riunita al dolore: non
si riferisce al fatto che quando sul c’è rosa senza spine. La duplice
tavolo era presente una rosa, allo- natura sembrava fatta apposta per
ra la conversazione doveva ritener- rappresentare il Cristo, nella cui
si riservata e segreta. Si dice che ciò Passione si fondono gloria spiri-
fosse dovuto al fatto che tale fiore era tuale e sofferenza corporale nelle loro
sacro al dio greco-egizio Horus, perso- forme più elevate. La corona di spine,
nificazione dell’astro solare ma anche del che tanto somigliano a quelle della rosa,
silenzio; e non un silenzio qualunque, ma è anch’essa un simbolo di coincidenza degli
quello iniziatico, che vincola al riserbo assoluto opposti: regalità e infamia, gloria nell’alto dei
la persona cui venga rivelato un mistero spirituale. Cieli e dileggio nel mondo degli uomini.
La rosa, dunque, è il fiore della segretezza nel- L’ombelico simbolico Inoltre, la festività romana dei Rosalia, cele-
la sua forma più alta, che poi è quella dell’inco- delle cattedrali brata fra maggio e luglio e connessa al culto dei
municabilità verbale: anche volendo, i misteri più Una rosa come questa morti, venne trasposta dal cristianesimo nella
alti non si possono svelare a parole, se non tra- veniva spesso scolpita ricorrenza della Pentecoste, che non per nulla
visandoli o banalizzandoli. Secondo gli antichi, all’incrocio dei costoloni è detta anche “Pasqua delle rose”. La rosa ros-
questa gemma del mondo vegetale comunicava, che, nelle chiese sa era poi collegata al sangue di Cristo e al suo
sì, ma tramite il profumo, che può essere definito romaniche e gotiche, prezioso contenitore, il Graal, la coppa che lo
una lingua angelica che travalica la favella umana. s’intersecavano raccolse durante l’agonia: il cerchio dei petali
nelle volte delle navate. sembrava esserne un’allegoria, anche grazie all’a-
Una santa corolla Nella pagina a fronte, nalogia verbale fra “corolla” e “grolla”.
Conosciamo poco altro circa il significato attri- L’anima della rosa, del La rosa è anche un’allegoria della fede e della
buito dal mondo classico a questo fiore. Sappia- preraffaellita John W. carità cristiane. La tradizione riporta che sant’Isa-
mo, però, che quando la fede negli dei olimpici Waterhouse (1908). bella d’Aragona, conosciuta anche come Elisabet-
venne sostituita da quella nel Dio unico, la rosa ta del Portogallo (1271-1336), partì dal suo castello
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La rosa
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La rosa
del Sabugal per distribuire il pane ai poveri. Era Rose bianche no unicamente intorno a questo periodo dell’anno,
costretta a farlo di nascosto dal marito, don Dio- contro rose rosse non essendo ancora stati creati gli ibridi che oggi
nigi, al quale non garbavano le sue opere di carità. In Inghilterra il colore delle consentono fioriture in qualsiasi stagione. A mag-
Una fredda mattina d’inverno, essendosi insospet- rose riporta alla guerra gio, dunque, insieme alla più nobile rosa, il Medio-
tito, costui la fermò e le chiese dove se ne stesse fra York (fiori bianchi) e evo onorava anche l’umile rosa canina, pianta dalle
andando e che cosa mai portasse in grembo; la pia Lancaster (fiori rossi). virtù medicinali e da cui si ricava il “cinorrodo”, o
sovrana esclamò: «Sono rose, mio signore!». Al falso frutto, che una volta essiccato si prestava per-
che, don Dionigi replicò sarcastico: «Rose a gen-
naio?». Isabella venne costretta ad aprire il grem-
biule, e fu lei la prima a stupirsi di trovarvi non già
le pagnotte che aveva prelevato per darle ai pove-
ri, bensì delle bellissime rose profumate.
Una storia simile riguarda santa Rita da Cascia
(1381-1457), che trascorse molti anni della sua vita
costretta a letto per malattia. L’inverno prima del-
la sua morte, la santa perugina mandò la cugina in
giardino a prendere due fichi e una rosa; la donna
pensava che delirasse, ma una volta recatasi dove
Rita le aveva detto trovò due magnifici frutti e una
splendida rosa, maturati miracolosamente fuori
stagione. La vicenda riconduce a quella di santa
Dorotea, martirizzata in Cappadocia nel 311. Pri-
ma dell’esecuzione venne sfidata da un tale Teofilo
a farsi portare delle mele e delle rose dal “giardinio
del suo sposo Gesù Cristo”: benché fosse febbra-
io, un bimbo spuntò dal nulla per recare tre frut-
ti e tre fiori alla santa, che lo esortò a consegnarli
allo scettico Teofilo. La peruviana santa Rosa da
Lima (1586-1617), invece, fu onorata dal Cielo non
al momento della morte, bensì alla nascita: si dice
che accanto alla sua culla fosse apparso miracolo-
samente un cesto di rose profumatissime.
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“Così il fiore respirando spira, mentre delira in pallore morendo al nascere;
insieme vetusta e nuovissima, insieme vecchia e giovane la rosa marcisce nascendo.”
Alano di Lilla (1125-1203), filosofo, teologo e poeta francese
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Tanto FUMO,
poco CALORE
Dopo la ripresa economica dell’anno Mille, cominciarono a diffondersi
le case in pietra e mattoni. E il focolare, da centro dell’ambiente
principale e cuore della famiglia, venne relegato accanto a un muro
di Marco Dalla Fiora
C
ome già nella domus romana, anche nel-
la composizione essenziale delle case
altomedievali, sia che fossero abitate da
povera gente o da famiglie più abbien-
ti, il camino continuò a mantenere una posizione
privilegiata. Posto al centro della stanza più impor-
tante, era il “sole” intorno al quale veniva organiz-
zata la disposizione dello scarso arredamento di
cui si disponeva. Questo per due motivi: da una
parte, perché in tal modo il calore sprigionato dal
focolare (il camino serviva sia per cucinare che
come riscaldamento) poteva diffondersi uni-
formemente in ogni direzione, senza lascia-
re angoli freddi; dall’altra, per mantenere il
fuoco il più isolato possibile dal resto del-
la casa (soprattutto dai muri in legno) e
scongiurare gli incendi, che erano comun-
que molto frequenti. Fatte le debite pro-
porzioni, ci si può fare un’idea di come
funzionassero le cose visitando le impo-
nenti cucine dei castelli medievali giun-
te fino a noi, nelle quali il focolare è al
centro dello spazio, circondato da pan-
che e sedie: un ambiente dove si poteva
cucinare, ma anche lavorare, studiare e
pregare, godendo del tepore del fuoco.
Sovrastava i fornelli un’enorme cap-
pa appesa al soffitto, il cui compito era
quello di accompagnare i fumi verso un
foro aperto sul tetto. Tuttavia, la disper-
sione era notevole e certamente lo scari-
64
Arredamento
65
Arredamento
si dai rigori invernali era più stringente, per poi Nel cuore se in uso soltanto nei palazzi nobiliari o, meglio
diffondersi con successo anche nelle zone tem- dell’abitazione ancora, nei saloni di rappresentanza dei castelli.
perate. In Italia fu recepita dapprima al Nord, Nell’alto Medioevo Inoltre, questo tipo di camino aveva la controin-
tra Duecento e Trecento: l’apripista fu Venezia, esisteva un solo dicazione dell’assenza di fianchi protetti, il che
dove se ne ha notizia nel 1227, e poi Pisa, città camino per casa, influiva negativamente sul tiraggio.
in cui la presenza del nuovo camino è accerta- generalmente posto Quando si passò a installare un camino in ogni
ta intorno al 1298, grazie all’intensificarsi degli nella stanza centrale ambiente della casa, a partire dalle camere da let-
scambi commerciali con l’estero. A Roma, il e più importante. to, si preferì adottarne un tipo meno ingombran-
caminetto venne introdotto nella seconda metà Aveva molte funzioni: te, incassato nel muro e quindi privo di cappa.
del Trecento (pare) dal nobile padovano Fran- era fonte di luce, Così concepito, il nuovo focolare occupava uno
cesco Carrara, mentre le cronache del piacenti- generatore di calore e spazio inferiore, quantunque la capacità di riscal-
no Giovanni Musso raccontano che, già ai suoi angolo cottura. Sopra, dare l’ambiente circostante ne risultasse dimi-
tempi (1388), ogni casa ne era dotata. un camino a cappa nuita. Ridotto nelle dimensioni, il focolare dava
con l’immancabile tepore a chi vi stazionava davanti, riuscendo a
Arriva il caminetto pentola cuocivivande, scaldare solo parzialmente l’intera stanza. Si arri-
I primi caminetti furono del tipo cosiddetto in una miniatura vò così a un compromesso tra le due fogge, anche
“a padiglione”, cioè appoggiati alla parete, che tardomedievale. perché nei piani alti delle case i muri non erano
ne costituiva il fondo, e sovrastati da un’enor- abbastanza spessi da consentire l’incasso, e ini-
me cappa, per sorreggere la quale era necessa- ziarono a diffondersi i camini con il focolare solo
rio inserire colonne di supporto. Il risultato era in parte contenuto nel muro. La soluzione coniu-
scenografico e l’ampia superficie a disposizione gava ingombro e resa calorica, e si avvicinava alle
permetteva l’inserimento di fregi e dell’araldica scelte stilistiche dell’ormai prossimo Rinascimen-
di famiglia, ma la mastodontica struttura rubava to, allergico all’invadenza di cappe giganti come
spazio all’ambiente in cui era collocata e rima- quelle che si vedevano nei manieri medievali.
66
La lettura
IL PIRATA
BARBAROSSA
Vita e misfatti del diavolo
del Mediterraneo
D
di Mario Galloni
67
La lettura
PIRATI SARACENI SI DIVIDONO
IL BOTTINO DI SCHIAVI
resse. Forse consapevoli di trovare nell’altro la propria fratelli (Ishak, Elias e Aruj) e le due sorelle. Ufficiale dei
ragion d’essere, come già era accaduto al generale romano giannizzeri (corpo d’élite ottomano formato da giovani di
Ezio e al suo “carissimo” nemico Attila. origine cristiana), il padre, una volta a riposo, si era rifat-
r
Una famiglia di razziatori Sulle coste italiane era
stato ribattezzato Ariadeno Barbarossa, seguendo la moda
to una professione come vasaio e ceramista. Gli affari gli
andavano così bene da potersi permettere una nave di pro-
prietà, con cui battere l’arcipelago e vendere i suoi manu-
fatti. Seguendolo nei suoi viaggi, i figli divennero provetti
marinai, ma mentre Ishak diede seguito agli affari di fami-
di italianizzare i nomi impronunciabili dei corsari barbare- glia e si fermò a Mitilene, gli altri navigarono per proprio
schi. Ma alla nascita, avvenuta nel 1478 a Mitilene, sull’isola conto, affiancando al commercio la pirateria: due mestieri
di Lesbo, il futuro pirata si chiamava Hizir. Divenne Khayr che all’epoca non erano divisi da un confine troppo netto.
al-Din (“protettore della religione”) solo da adulto, dopo Dopo la riconquista islamica della Terrasanta, i Cavalieri
aver messo il suo talento al servizio del sultano. Il padre, dell’Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme (i futuri Cava-
Yakup Aga, era un greco convertito all’Islam; la madre, lieri di Malta) si erano insediati sull’isola di Rodi e sbarca-
Katarina, una greca di origine catalana, vedova di un pope vano il lunario esercitando a loro volta la guerra di corsa
ortodosso. Hizir fu educato nella fede islamica, come i tre per contrastare la navigazione ottomana. Rientrata in patria
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IL PIRATA BARBAROSSA
dopo un viaggio a Tripoli, la famiglia di Hizir subì l’abbor-
daggio dei Cavalieri, durante il quale Elias perse la vita,
mentre Aruj fu fatto prigioniero. Languì in carcere per tre
anni, nonostante il tentativo di Hizir di liberarlo, prima Un altro pirata leggendario
pagando un riscatto, poi cercando di farlo evadere. Poli-
M
glotta e abile uomo di mare, riconquistata la libertà, Aruj
ujahid al-‘Amiri (per gli italiani, sempli-
mise a frutto l’amicizia con un principe ottomano e armò
cemente Musetto), nella prima metà
una flotta con cui combattere le navi degli Ospitalieri. Dopo
dell’XI secolo è stato l’irriducibile
aver preso parte ad alcune incursioni sulle coste pugliesi,
nemico di Pisa, Genova e della cristianità tutta.
liguri e siciliane, spostò la sua sfera d’azione nel Mediter-
Di origine slava, svolse un proficuo apprendista-
raneo occidentale, facendo dell’isola di Gerba, nel Sudest
to nella marineria del califfato di Cordova, fino
della Tunisia, la sua base operativa. Per la nuova avventu-
a conquistare e insediarsi come governatore
ra volle a fianco anche Hizir e, dopo pochi anni, alla coppia
a Denia, vicino ad Alicante. Seppur divenuto
si aggiunse il terzo fratello, Ishak. Nacque così un sodalizio
uomo di potere, non trascurò l’attività di cor-
corsaro costruito su vincoli familiari che per un ventennio
saro: mentre la sua flottiglia batteva le coste
imperversò tanto sulle coste italiane quanto su quelle spa-
spagnole, la cancelleria ospitava e finanziava
gnole, così come in mare aperto; la flottiglia abbordò e sot-
filosofi ed esegeti coranici.
trasse navi a tutte le maggiori potenze europee del fronte
Attorno al Mille organizzò una spedizione per
cristiano: genovesi, francesi, spagnoli e inglesi.
conquistare la Sardegna: fu l’inizio della sfida
L’attività risultò tanto redditizia che in poco tempo i fra-
con Pisa e Genova, una lotta senza quartie-
telli di Mitilene furono in grado di armare flotte sempre più
re durata 35 anni. Più volte sconfitto, Musetto
numerose, mentre l’eco delle loro imprese attirava un nume-
riuscì sempre a salvarsi e a ricostituire una flot-
ro crescente di capitani turchi, pronti a mettersi al loro ser-
ta per darsi ancora alla pirateria. Nel 1044,
vizio. Un proficuo accordo con il sultano di Tunisia (a cui
quando finalmente pisani e sardi riuscirono a
sarebbero andati da un quinto a un terzo dei bottini) permi-
catturarlo e ucciderlo nel suo rifugio africano di
se ai giovani corsari di fare base nello strategico porto della
Bona (Algeria), il corsaro aveva ormai 84 anni.
Goletta, dieci miglia al largo di Tunisi. La refurtiva affluiva
Militare e politico d’indubbia levatura, fu il prota-
abbondante nei forzieri del sultano e gli abbordaggi dei cor-
gonista di molte leggende, alcune da lui stesso
sari gli garantivano sfizi lussuosi: falconi ammaestrati, uccel-
alimentate. Fra le tante, quella che lo vorreb-
li rari, cani pregiati. Sotto l’egida di Aruj, che proseguiva la
be inventore degli alamari, semplicemente per
sua personale ascesa militare e politica, il Barbarossa ebbe
assonanza con il suo nome (al-‘Amiri).
modo di affinare anche le doti di comandante in terrafer-
ma. Nell’estate del 1512, giunse con 60 navi nella rada di
Calamizzi, vicino a Reggio Calabria. Apertosi un varco nelle
mura, dilagò in città con la sua ciurma, incendiando case e
spogliando chiese. Inutilmente il viceré di Napoli, Raimon-
do di Cardona, spedì 20 galee e 4 tartane al comando del
marchese di Bitonto: i soccorsi arrivarono in ritardo e i dan-
ni alla città furono di tale entità che a Reggio venne accor-
data un’esenzione fiscale per due anni. Non mancarono,
però, alcuni rovesci: sempre nel 1512, Aruj perse un brac-
cio durante un combattimento con gli spagnoli e una flotta
genovese sbarcò alla Goletta, costringendo i pirati a ritirarsi
a Tunisi mentre la loro roccaforte veniva rasa al suolo.
r
Pirati di Allah All’inizio del Cinquecento, gli equilibri
politici mediterranei stavano subendo importanti modifica-
VASCELLO MUSULMANO
IN UN CODICE DELL’XI SECOLO
69
La lettura
dalla Tripolitania al Marocco, versava in una crisi profonda: i V) per mettere fine alla prepotente invadenza del Barba-
numerosi prìncipi e tribù a cui erano nominalmente intesta- rossa. Il contingente cristiano, imbarcato a Napoli, pre-
te porzioni di territorio stentavano a controllarle e molte cit- se terra sulle coste africane e per una settimana assediò
tà costiere si erano rese indipendenti, diventando roccaforti il pirata, asserragliato ad Algeri. Il mancato arrivo del-
inespugnabili dei pirati, ai quali forniva facile manovalan- le truppe beduine, che avrebbero dovuto dare man forte
za la moltitudine di musulmani in fuga dalla Spagna dopo la agli occupanti, fece decidere al comandante spagnolo di
Reconquista operata dai cristiani. levare l’assedio e di abbandonare l’impresa. Ma fu il mare
Intanto a Oriente cresceva un nuovo padrone, l’Impe- a rivelarsi il più prezioso alleato di Barbarossa, scatenan-
ro Ottomano, erede di quello arabo e di quello bizanti- do sul convoglio spagnolo una furiosa tempesta che man-
no, dopo che Costantinopoli era caduta in mani turche nel dò 26 navi a infrangersi contro gli scogli. Inoltre, erano
1453. Dal canto suo, la Spagna, non contenta di aver scac- stati abbandonati sulla spiaggia munizioni e pezzi di arti-
ciato i Mori, promosse una politica di conquista di alcu- glieria, oltre a migliaia di sbandati, che finirono prigio-
ne città maghrebine per arginare le scorrerie dei corsari, che nieri del corsaro. Troppi per la piccola Algeri, tanto che
danneggiavano il suo commercio marittimo. In questo sce- Barbarossa ne fece eliminare 3.000 a colpi di scimitarra.
nario complesso e in continua evoluzione, dove si muove- La spietatezza dimostrata in questo frangente fu la cifra di
vano i giganti politici dell’epoca, tutta la sua esistenza, ma occorre
Aruj ebbe una felice intuizione. dire che violenza e cinismo non
Da qualche tempo veniva chia- mancavano nemmeno sul fron-
mato Baba Aruj (Padre Aruj: fu te cristiano: il Mediterraneo del
da questo titolo che, per corruzio- Cinquecento non era un mare
ne, sarebbe disceso il soprannome per impeccabili gentiluomini.
“Barbarossa”, poi passato al fra- A onor del vero, il Barbaros-
tello) per aver trasportato in Afri- sa non fu un semplice e volgare
ca un gran numero di moriscos, tagliagole. A partire dall’assedio
i musulmani in fuga dalla Spa- di Algeri, pur senza abbandona-
gna. La sua idea fu quella di por- re mai i feroci costumi pirateschi,
si sotto la protezione del sultano seppe esibire anche tutte le virtù
turco e dei suoi giannizzeri: scel- che fanno di un uomo d’armi un
ta naturale per chi, come i fratel- grande condottiero. Con metodo,
li di Mitilene, era nato e cresciuto EX VOTO ITALIANO PER ESSERE visione di lungo periodo e mano
SCAMPATI ALL’ARREMBAGGIO
sotto le insegne della mezzaluna. DEI PIRATI SARACENI ferma, fu in grado di cambia-
Così, quando Aruj prese il pote- re il volto delle ciurme musulma-
re ad Algeri e l’orizzonte politico ne, trasformando un’accozzaglia
familiare, pur senza abbandonare di violenti disperati, avidi di bot-
il mare, prese a considerare anche la terraferma, offrì i suoi tino, in equipaggi disciplinati, capace di eseguire le più
servigi a Costantinopoli, dove il sultano acconsentì di buon complicate manovre di bordo e muoversi sulla terraferma
grado a fare di quel territorio un sangiaccato, ossia una pro- come e meglio delle inquadrate milizie europee.
vincia dell’Impero Ottomano, e di Aruj il suo governatore. I Le fonti dell’epoca registrano questo cambio di passo
corsari divennero così la lunga mano turca protesa sul Nor- della marineria turca proprio in coincidenza con l’asce-
dafrica, l’artiglio con cui colpire la cristianità, e la presenza sa del Barbarossa. Terminata la stagione estiva, propizia
turca nel Maghreb sarebbe durata per altri quattro seco- ad abbordaggi e saccheggi, gli equipaggi non si sbanda-
li. Nel 1518, Aruj morì durante la difesa di Tlemcen: a quel vano più come un tempo, ma svernavano compatti, con-
punto Hizir reclamòAlgeri ed ereditò anche il soprannome tinuando l’addestramento. Testimonianze veneziane e
del fratello: dal allora sarebbe diventato “il Barbarossa”. genovesi confermano che le stesse razzie sulle coste cri-
r
Un esordio non facile Alla metà di agosto del
1518, Algeri fu assalita dagli spagnoli con un piccolo eser-
stiane smisero di essere azioni estemporanee per tra-
sformarsi in blitz militari, esecuzione pratica di piani
ben congegnati studiati scrupolosamente per settima-
ne o mesi. Barbarossa alternava spregiudicati colpi di
mano a prudenti disimpegni, quando l’obiettivo appari-
cito, raccolto da re Carlo I (il futuro imperatore Carlo va troppo difeso e il rapporto costo-benefico dell’azione
70
IL PIRATA BARBAROSSA
risultava sfavorevole. Estorcendo notizie ai prigionie- ti con vasi ricolmi di delizie, sciamavano vero il palazzo del
ri o raccogliendole dai rinnegati cristiani imbarcati sulle sultano. I marinai trasportavano a spalla forzieri con moni-
sue navi, il corsaro sceglieva con cura le località da col- li e pietre preziose, sete, spezie, gioielli e coralli; chiudeva-
pire, privilegiando i litorali sprovvisti di torri di avvista- no la fila cammelli e leoni del deserto. Il corsaro era ricevuto
mento e guarnigioni militari; i corsari agivano in piena a corte con gli onori che si tributano a un conquistatore e
notte, cogliendo i paesi sprofondati nel sonno, e le loro ricompensato con generose prebende e con la concessione di
navi leggere potevano sbarcare le ciurme a pochi pas- nuove amministrazioni da aggiungere al suo regno personale.
si dalle spiagge. Se qualcuno riusciva a dare l’allarme era Oltre a ciò che il sultano gli concedeva per i suoi servi-
comunque troppo tardi, perché i Turchi erano già impe- gi, vi era quanto Barbarossa si prendeva con la forza qua e
gnati in un saccheggio sistematico, dove non c’era posto là nel Mediterraneo. Questi si dimostrò uno straordinario
per l’improvvisazione: il grosso della truppa attaccava condottiero anche sulla terraferma: dal 1521 al 1529, s’im-
il centro del paese, mentre altri pirati provvedevano a padronì di quasi tutti gli scali della costa meridionale tra
coprirgli i fianchi e le spalle. lo stretto di Gibilterra e la città di Tunisi. Ogni anno, nel-
r
Mamma li Turchi! Fatti salvi gli arredi delle chie-
se, il bottino raccolto in quelle povere case di pescatori
la tarda primavera, quando il tempo era più stabile, salpa-
va da Algeri e scorrazzava al largo della costa spagnola e
delle isole Baleari. Non mancava nemmeno di avventurar-
si al di là dello stretto, in acque oceaniche, per intercetta-
re il naviglio spagnolo di ritorno dall’America del Sud e in
non poteva essere gran cosa. Il vero tesoro che ingolo- rotta per Cadice, carico d’oro e d’argento.
siva i predoni erano gli ostaggi, uomini e donne nel pie- L’Occidente non poteva rimanere a guardare. Flot-
no delle forze, meglio se di famiglia facoltosa. Terminata te sempre più grandi e potenti vennero armate e affidate
la razzia, prima di riprendere il mare, le navi ottomane si ai migliori comandanti dell’epoca, ma ogni danno procu-
fermavano qualche ora al largo e qui cominciava un peno- rato ai corsari non era che una piccola pietra d’inciampo
so andirivieni di emissari e parenti impegnati a riscatta- nel quadro di un business così ricco da permettere loro di
re i congiunti, dando fondo a tutte le loro risorse. Chi non rialzarsi dopo ogni sconfitta. Nell’estate del 1526, dopo
aveva una famiglia abbiente alle spalle finiva al remo dei una stagione di razzie in Sicilia e lungo il litorale tirreni-
Turchi o messo all’asta nei mercati del Maghreb. co, Barbarossa si trovò per la prima volta a incrociare le
Le visite del Barbarossa a Costantinopoli al rientro dal- vele con Andrea Doria, il campione del fronte cristiano,
le sue razzie erano spettacoli sontuosi. I convogli ottomani in quel frangente al comando della flotta pontificia.
trainavano sul Bosforo i navigli sottratti al nemico, mentre Costretto alla fuga, il corsaro lasciò nelle mani dei cri-
cortei di eunuchi e concubine, preceduti da giovani vallet- stiani 15 navi, tra brigantini, fuste e galeotte, oltre a cen-
tinaia di uomini delle sue ciurme, ridotti in schiavitù e
rinchiusi nelle prigioni della darsena di Civitavecchia. Fra
BARBAROSSA i due comandanti fu l’inizio di una sfida fatta di insegui-
IN UNA STAMPA
A COLORI menti e agguati lungo tutto il Mediterraneo. Una rivali-
tà destinata a diventare leggendaria e che sarebbe durata
quasi mezzo secolo, senza mai assegnare ad alcuno dei
contendenti la palma di vincitore. Nel 1527, l’ammira-
glio genovese andò a cercare il Barbarossa nel suo covo di
Algeri, trovando soltanto i suoi luogotenenti. Fece sbarca-
re 1.500 archibugieri e con questi cinse d’assedio i pirati
riuscendo, al termine dell’azione, a liberare dal remo 800
cristiani, incendiare cinque fuste, recuperare due galee di
Napoli conquistate dai corsari e tre galeotte.
Per rappresaglia, il Barbarossa mise a ferro e fuoco
Maiorca, Minorca e la costa di Malaga, quindi si spostò ver-
so la Provenza, per cercare (invano) di cogliere in un’imbo-
scata l’ammiraglio Doria di ritorno dalla Spagna.
Lo scontro era solo rimandato. All’appuntamento suc-
cessivo Barbarossa si presentò con i galloni di ammira-
71
La lettura
glio, concessigli da Solimano nel 1533. La carica (chiamata
qapudan) era la seconda dignità dell’Impero e comportava
il comando supremo della flotta. Ciò fece del corsaro l’uo-
mo simbolo della lotta anticristiana sul mare. Sotto il suo Uccialì, dalla tonsura
instancabile impulso, l’arsenale di Costantinopoli varò nuo-
ve navi per la sua flotta, che poté così contare su ben 84
al turbante
A
vele: la più potente mai messa in mare dai Turchi. Insieme
Istanbul, in un complesso da lui stes-
ai simboli del potere marittimo, il sultano aveva consegna-
so finanziato con annessa moschea e
to a Barbarossa anche l’ordine di conquistare Tunisi, dove il
scuola coranica, è sepolto l’uomo il cui
ventunenne Muley Hassan aveva preso il potere alla morte
busto adorna una delle piazze di Le Castella, nel
del padre, facendo massacrare i fratelli ed esponendone le
Crotonese: Uluç Alì, conosciuto in Italia come
teste per le strade della città. Una pratica piuttosto diffusa
Uccialì, corsaro e ammiraglio musulmano, ma
nei sultanati, in cui congiure e tradimenti erano all’ordine
anche pascià di Tripoli e governatore di Algeri.
del giorno e dov’era normale guardarsi le spalle eliminando
Con ogni probabilità il suo vero nome era Gio-
la concorrenza, soprattutto quella dei consanguinei.
r
La bella Gonzaga Per non destare sospetti, Bar-
barossa preferì non fare subito vela verso le coste africane,
van Dionigi Galeni e aveva deciso di entrare in
convento quando, nella natia Le Castella, ven-
ne catturato dalla ciurma del Barbarossa. Prete
mancato, finì al remo e, qualche tempo dopo,
rinnegò la fede cristiana per quella islamica.
Fu l’inizio di una formidabile carriera corsara,
ma guidò una serie di sanguinose incursioni su quelle del-
segnata da grandi battaglie, assalti e saccheg-
la Campania e del Lazio, arrivando a progettare il rapimen-
gi, in un crescendo che lo portò a fregiarsi dei
to della bellissima Giulia Gonzaga, vedova di Vespasiano
gradi di ammiraglio della flotta ottomana. Uccialì
Colonna, per farne dono al sultano. Per fortuna, la nobil-
partecipò anche alla storica battaglia di Lepanto
donna riuscì a sottrarsi alla cattura: nella notte tra l’8 e il 9
(1571) e, dopo la disfatta, fu l’unico ammiraglio
agosto, in abiti discinti, si calò dalla finestra della sua stan-
del sultano a riportare a Costantinopoli parte
za e si mise in salvo a cavallo con l’aiuto di un domestico
del naviglio. Nominato responsabile dell’arse-
(poco tempo dopo costui fu fatto condannare a morte dalla
nale, nel giro di un anno ricostituì la flotta che,
stessa Gonzaga per aver tenuto nei suoi confronti un com-
al suo comando, riconquistò Tunisi. Morì quasi
portamento poco rispettoso durante la cavalcata nottur-
settantenne nel suo palazzo vicino a Costanti-
na). Infuriato per l’occasione persa, Barbarossa si vendicò
nopoli, coperto di ricchezze e onori.
su Fondi, messa a ferro e fuoco per quattro giorni dai suoi
uomini. Subito dopo subì la stessa sorte anche Terracina
e la furia dei pirati arrivò a lambire Roma. L’Urbe era una
tentazione, ma costituiva un boccone troppo grosso anche
per il Barbarossa, che aveva ancora in sospeso la promes-
sa fatta al sultano: regalargli Tunisi e il suo regno. Il pira-
ta sfruttò le informazioni e l’appoggio di Al-Rashid, l’unico
fratello di Muley Hassan scampato alla strage familiare, e,
anche grazie al tradimento di due rinnegati spagnoli al ser-
vizio del nuovo re, prese Tunisi in un solo giorno, entrando
in città fra il tripudio della folla, che detestava l’usurpatore.
Per i cristiani, però, la misura era colma. Lo sdegno per il
tentativo di rapimento della bella Gongaza, lo scacco poli-
tico della presa di Tunisi e il terrore suscitato dalle sangui-
nose imprese del pirata scossero tutti i potenti dell’epoca.
Nel 1535, l’imperatore Carlo V si convinse ad armare una
poderosa flotta, posta al comando del Doria, con il pre-
ciso compito di catturare il corsaro asserragliato a Tuni-
si e rimettere sul trono Muley Hassan. La presa della città
72
IL PIRATA BARBAROSSA
73
La lettura
li a Pavia nel 1525 (la disfatta aveva umiliato la Francia ed accompagnato da due pascià e da altri 12 dignitari vestiti
esteso il dominio spagnolo in Europa), il cattolicissimo re di con lunghe zimarre trapunte d’oro; lo seguiva una folla
Francia Francesco I siglò una scandalosa intesa con Solima- di ufficiali, segretari e interpreti. Per prima cosa, Barba-
no il Magnifico, definita “empia” dall’intera Europa. rossa inviò ad Algeri e Costantinopoli due convogli con
r
Doria, il “carissimo nemico” L’accordo non
tardò a partorire i suoi effetti e nell’estate del 1543,
il bottino razziato lungo la rotta per la Francia. Ave-
va riservato un regalo speciale per il sultano: tra i 5.000
cristiani ridotti in schiavitù c’erano anche 200 mona-
che, portate via a forza da diversi conventi italiani; per
loro fortuna, le religiose furono liberate da alcune galee
rispondendo a un’offerta di Francesco I che gli garanti- napoletane durante la navigazione.
va il porto di Tolone come testa di ponte per le sue sorti- Altro obiettivo del Barbarossa era la città di Nizza,
te antispagnole, Barbarossa ebbe l’incarico da Solimano possedimento dei duchi di Savoia. Dopo un bombarda-
di raggiungere le coste francesi. Il corsaro obbedì, ma mento che si protrasse per una settimana, i nizzardi si
senza dimenticare le vecchie abitudini, e il viaggio si tra- arresero, a patto di evitare il saccheggio. Alla fine, però,
sformò in una sequela di razzie lungo le coste tirreniche, la città venne depredata egualmente.
inaugurata dal sacco di Reggio Calabria. Diego Gaetani, Con gli equipaggi stipendiati interamente dai france-
governatore della città, si rifiutò di trattare la resa e cercò si e una reggia a sua disposizione, il vecchio Barbarossa si
anzi di reagire, facendo tirare un colpo di artiglieria con- prese una vacanza in quel di Tolone, e forse ne approfit-
tro la flotta turca, che uccise tre marinai. Barbarossa fece tò per godersi la luna di miele in compagnia della giova-
allora sbarcare 12 mila uomini e, dopo un fitto bombar- nissima moglie. In quel periodo uscì raramente in mare,
damento, conquistò Reggio. La città fu messa a sacco e lasciando che fossero i suoi luogotenenti a battere le coste
tra i prigionieri catturati finì anche la figlia diciottenne di spagnole, assolvendo a quel ruolo di spina nel fianco degli
Gaetani, Flavia, di cui il corsaro ormai settantasettenne imperiali per cui era stato ingaggiato. L’ombra del corsaro
s’invaghì, finendo per ottenerla in sposa: il suo regalo di mise in allarme la vicina Liguria e indusse un altro ottua-
nozze fu la sopravvivenza dei suoceri atterriti. genario ormai in meritata pensione, il solito Andra Doria,
Ai primi di luglio, il convoglio ottomano gettò le anco- a riprendere il mare. I due vecchi ammiragli non ebbe-
re a Marsiglia e la città rimase impressionata dallo sfar- ro più occasione di scontrarsi, ma un giorno di primave-
zo e dalla magnificenza dell’ammiraglio turco, che era ra del 1544 Doria aprì il suo palazzo al nemico di sempre,
dopo aver tenuto in rada le sue navi e rifornito di viveri
le ciurme barbaresche. Dal canto suo, in segno di rispet-
ANDREA DORIA, to, Barbarossa aveva evitato di colpire Genova con le sue
TENACE AVVERSARIO
DI BARBAROSSA,
incursioni. Nel colloquio, i due trattarono certamente il
VISTO COME NETTUNO riscatto di Dragut, luogotenente del Barbarossa finito al
remo su una galea del Doria, e forse siglarono l’ultima
intesa per salvaguardare Genova da future razzie.
Divenuto ingombrante per gli alleati francesi, l’am-
miraglio turco fu liquidato con una somma enorme e,
nel maggio del 1544, lasciò la Provenza, con una mae-
stosa processione di vele attraversò il Mediterraneo in
direzione di Costantinopoli; ogni tanto dal convoglio si
staccava una squadra di vascelli per compiere i consue-
ti saccheggi. Quando Barbarossa fu di nuovo al cospet-
to del sultano, gli consegnò non meno di 20 mila schiavi.
All’apice della gloria, l’ottuagenario qapudan morì due
anni dopo e fu sepolto vicino al Bosforo, in un mauso-
leo eretto dal famoso architetto Sinan. Sulla sua tomba i
nuovi capitani generali della flotta ottomana ricevevano
l’investitura. Per anni non ci fu nave turca che lasciasse il
Bosforo senza sparare un colpo di artiglieria in direzione
della tomba del mitico ammiraglio, in segno di saluto.
Il fatto
La rivolta
dei Sassoni
pagani
Come la sanguinosa
guerra di conquista
di Carlo Magno
trovò in Vitichindo
un’eroica resistenza
di Bernardo Arlenghi
N
ell’anno del Signore 772, Car-
lo Magno invase la Sassonia ini-
ziando una serie di campagne
militari che si sarebbero con-
cluse, dopo oltre trent’anni di
violenti scontri, con la definiti-
va sottomissione dei Sassoni e
la loro conversione al cristiane-
simo. L’impresa di conquista fu
condotta dal sovrano franco con grande determinazione e
senza lesinare episodi di spietatezza e violenza, assumendo
quasi il carattere del genocidio: migliaia furono le vittime dei
raid delle truppe franche, così come migliaia furono i Sasso-
ni giustiziati nelle esecuzioni di massa ordinate da Carlo per
mettere a tacere la disperata resistenza alla conquista. Doma-
IL MONUNENTO DEDICATO to nell’804 l’ultimo focolaio di rivolta, la Sassonia pacificata
A VITICHINDO A HERFORD
entrava a tutti gli effetti nel novero dei possedimenti gover-
75
Il fatto
Da ribelle a beato
L
eggenda vuole che la conversione di Vitichin- fu portato al cospetto di Carlo; giunto al
do al cristianesimo sia stata indotta da una cospetto del sovrano, gli raccontò per filo e
visione, manifestatasi mentre il condottiero per segno il miracolo e disse di aver aperto
si era recato, travestito da mendicante, nei pressi il suo cuore alla vera fede.
del campo nemico allo scopo di spiarlo in occa- Vitichindo si fece cristiano ed entrò nel novero
sione della Messa di Pasqua. Durante l’elevazione dei vassalli del futuro imperatore, distinguen-
eucaristica, il capo sassone vide l’ostia consacra- dosi come fondatore di chiese e monasteri.
ta trasformarsi miracolosamente nel Bambin Gesù. Sarebbe morto il 7 gennaio, forse nell’810, in
Sbalordito dal prodigio, Vitichindo abbassò la guar- odor di santità: è infatti ricordato fra i beati che si
LA STATUA
dia, mettendo in mostra una peculiare deformità celebrano in quel giorno. La sua presunta tom- DI VITICHINDO
alle dita che permise alle guardie franche di sma- ba, eretta secoli dopo gli eventi, si trova ancora A NIENBUR
scherarlo e catturarlo. A quel punto, il capo sassone oggi nel duomo di Enger, in Vestfalia.
76
LA RIVOLTA DEI SASSONI PAGANI
nati da Carlo, che quattro anni prima, nella notte di Nata-
le dell’800, aveva cinto a Roma la corona del Sacro Romano
Impero. L’azione del sovrano fu però coraggiosamente con-
trastata. A ergersi contro il tentativo di occupazione fu Viti- Il mistero dell’Irminsul
chindo, che cercò di sbarrare il passo al re dei Franchi,
finché, vinto dalla soverchiante potenza dell’avversario, non
S
fu costretto ad arrendersi e ad accettare, insieme alla sotto-
econdo una tradizione, l’Irminsul, la quer-
missione, anche la conversione alla nuova fede in Cristo.
r
Abbattere gli idoli All’epoca della guerra sassone,
Carlo era salito da sei anni sul trono e aveva imposto fin da
cia sacra dei Sassoni, si trovava nel sito di
Externsteine, un antichissimo complesso
megalitico situato nella regione Renania Set-
tentrionale-Vestfalia, in quella stessa foresta di
Teutoburgo che nel 9 d.C. aveva visto i Roma-
ni subire una delle sue più disastrose sconfitte,
subito la sua autorità mettendo a tacere i dissidenti. Costoro
a opera dei Germani di Arminio.
erano allarmati dall’improvvisa fine del fratello Carlomanno,
L’ultimo frammento della mitica Irminsul si
con il quale, secondo le direttive del padre Pipino il Breve,
troverebbe oggi nella cattedrale di Hildesheim,
Carlo avrebbe dovuto dividere la corona. Il risoluto sovra-
custodito all’interno di un candelabro, a rappre-
no si era poi dedicato a progettare una serie di campagne
sentare una sconfitta (quella del paganesimo)
militari che, se vittoriose, non solo avrebbero consolidare il
tanto ineluttabile quanto simbolica.
suo prestigio, ma gli avrebbero dato anche modo di amplia-
re i confini del regno e accontentare la Chiesa di Roma, con
cui già il padre aveva stabilito un rapporto privilegiato, con-
segnando al cristianesimo le genti del Nord, all’epoca anco- L’IRMINSUL
IN UN MODERNO
ra pagane. Il primo obiettivo fu il vasto territorio abitato dai BASSORILIEVO
77
Il fatto
guerra fu più lunga, atroce e penosa per il popolo franco, lare, in cui stabiliva la pena di morte per chiunque aves-
essendo i Sassoni, come quasi tutti i popoli stanziatisi in se perseverato nel praticare riti e superstizioni proprie dei
Germania, di carattere violento, dediti al culto dei demo- culti pagani, avesse ignorato le prescrizioni comportamen-
ni e ostili alla nostra religione; inoltre non ritenevano diso- tali (digiuno compreso) imposti dal cristianesimo oppure
norevole violare o trasgredire le leggi divine e umane». Il compiuto atti di vandalismo ai danni delle chiese. Il regi-
conflitto era reso ancora più problematico dalle immen- me del terrore si espresse anche nelle misure adottate da
se foreste, scenario ideale per pericolose imboscate che, Carlo ogni volta che otteneva un successo in battaglia, che
oltre a causare danni e perdite, tenevano sotto pressione prevedevano la sottomissione e la conversione forzata dei
i Franchi, esasperandoli. I Sassoni, sostiene ancora Egi- vinti, oppure l’esecuzione in massa. I massacri furono fre-
nardo, dal canto loro erano perfidi e doppiogiochisti: «È quenti, e alcuni particolarmente
difficile dire quante volte essi, sanguinosi e spietati.
vinti e supplici, si arresero al re, Nell’ottobre del 782 (dopo la
promisero di eseguire gli ordi- LA CONVERSIONE
DI VITICHINDO IN UNA
sconfitta di Süntel, in cui i Fran-
ni ricevuti, consegnarono sen- STAMPA MODERNA chi avevano perso due amba-
za indugio gli ostaggi richiesti, sciatori, quattro conti e una
ricevettero ambasciatori; come ventina di nobili), Carlo si recò
certe volte furono ridotti a tanta personalmente a Verden, in
soggezione e debolezza, da assi- Bassa Sassonia, per compiere
curare persino di volere abban- una feroce rappresaglia contro
donare il culto dei demoni e i ribelli. Radunate le truppe,
sottomettersi alla religione cri- diede loro ordine di cattura-
stiana. Ma, come talvolta furono re quanti più Sassoni possibi-
inclini a rispettare tali impegni, le e ne mise a morte ben 4.500
così furono sempre pronti ad in un solo giorno, decapitan-
annullarli, tanto che non si riesce doli (era la pena riservata ai
a stabilire a quale di queste due traditori). Vitichindo si sal-
tendenze si possa dire fondata- vò perché si era rifugiato, ancora una
mente che essi si volgessero con maggiore facilità; ciò per- volta, in Danimarca, sperando di riorganizzare le forze
ché dall’inizio della guerra non passò un solo anno, si può della resistenza, ma la controffensiva si sarebbe dimostra-
dire, senza che essi facessero un voltafaccia simile». ta vana.
r
A capo dei ribelli Il leader indiscusso della resi-
stenza si chiamava Vitichindo (o Viduchindo). Di nobile
Nonostante il reclutamento di Vendi e Frisoni, nel 785
il condottiero sassone fu costretto ad arrendersi e ad
accettare il battesimo. La cerimonia avvenne ad Attigny,
nelle Ardenne, dopodiché Vitichindo sparì dalle cro-
nache dell’epoca. Probabilmente ottenne la conferma
stirpe e originario della Vestfalia, fin dall’epoca dell’in- del rango nobiliare, legandosi al nuovo padrone, oppu-
vasione aveva iniziato a sobillare i suoi, partecipando a re si ritirò nel monastero di Reichenau, dove visse fino
raid e rappresaglie. Quando Carlo, nel 777, convocò a alla fine dei suoi giorni. La rivolta proseguì, per quan-
Paderborn un’assemblea di nobili sassoni, Vitichindo fu to disorganizzata, fino all’anno 804, quando la Sassonia
l’unico a disertare, trovando più saggio rifugiarsi presso poté dirsi definitivamente sottomessa ai Franchi. Scrive a
la corte del re danese Sigurd Hring, di cui aveva sposato tal proposito Eginardo: «La guerra, trascinatasi per tan-
la sorella Geva, sperando di trovarvi rinforzi. Non appe- ti anni, si concluse con questa condizione, imposta dal
na Carlo abbandonò di nuovo il campo, stavolta per gui- re e da loro accettata, cioè che i Sassoni, abiurato il culto
dare la fallimentare campagna nella penisola iberica (fu dei demoni e abbandonati i patrii riti, ricevessero i sacra-
sconfitto dai Baschi, alleati dei Mori, a Roncisvalle, in menti della fede e religione cristiana e, unitisi ai Franchi,
una scaramuccia destinata a fare fortuna nell’epica), Viti- formassero con questi un popolo solo». Del ricordo del
chindo tornò in patria. Qui riprese la rivolta, che sfociò fiero popolo germanico e del loro capo, eroe della resi-
in numerose incursioni nel territorio franco. stenza all’invasore, si impossessò, da quel momento in
La repressione di Carlo, rientrato a sua volta in Francia, avanti, la leggenda, che in epoca romantica fece di lui il
fu spietata. Lo possiamo comprendere bene dal Capito- campione di fierezza di tutti i popoli germanici.
78
La domanda
Perché papa
e imperatore erano
sempre in contrasto?
ENRICO IV A CANOSSA
Il diritto di nominare
i vescovi divise
IN UN DIPINTO DI EDUARD
SCHWOISER (1852)
potere spirituale
e temporale
in un’aspra sfida,
che si risolse con
un compromesso
di Jacopo Brizzi
A
chi spetta l’ultima parola nell’in-
vestitura di un vescovo? Al papa
o all’imperatore? Un interroga-
tivo tutt’altro che ozioso, per-
ché la riposta dà a uno solo dei
due poteri il diritto di dirsi davve-
ro “universale”, ponendosi in una
posizione di supremazia rispet-
to all’altro. Proprio da questa disputa si sviluppò, nel
Medioevo, la secolare lotta per le investiture.
La prima scintilla della lunga disfida si accese nel 1059
quando, durante il pontificato di Niccolò II, un con-
cilio in Laterano, convocato su iniziativa del mona-
co Ildebrando di Soana, condannò non solo simonia e
concubinato, ma vietò a chiunque di ricevere cariche
79
La domanda
ecclesiastiche dalle mani dei laici, imperatore compreso.
In quell’occasione fu tracciato un confine netto e non
La staffa del Barbarossa sindacabile all’arbitrio imperiale in tema di investiture,
che ne sottendeva uno ancora più importante: il rifiuto
di ogni intervento laico nell’elezione dello stesso pon-
U
tefice, che da quel momento in poi sarebbe stato scelto
n episodio emblematico della tensio-
unicamente da un congresso composto dai titolari delle
ne tra i due massimi poteri del tempo
chiese più importanti di Roma (i cardinali) e dai vescovi
si ebbe nel 1155, tra Federico Barba-
delle diocesi suburbicarie (cioè vicine all’Urbe).
rossa e il pontefice Adriano IV. Federico, re di
La frattura definitiva si ebbe, nel 1073, con l’elezio-
Germania e d’Italia, si recò a Roma per rice-
ne al soglio pontifico dello stesso promotore di quell’i-
vere dalle mani del papa la corona imperiale.
niziativa, Ildebrando, con il nome di Gregorio VII.
Adriano gli venne incontro a Sutri, pretendendo
Il suo pensiero in merito al ruolo della Santa Sede è
che il sovrano si attenesse a una consuetu-
consegnato a un documento non ufficiale, il cosiddet-
dine antichissima, risalente, pare, ai tempi di
to Dictatus Papae (1075), che contiene la summa del-
Costantino: doveva fargli da palafreniere e
le rivendicazioni e delle prerogative del pontefice: la sua
reggergli la staffa, per poi tenere il destriero
indiscussa supremazia su ogni altra autorità laica (com-
candido per la cavezza mentre il pontefice lo
preso l’imperatore), la preminenza del papa su tut-
cavalcava. Per il Barbarossa, accettare avreb-
ti gli altri vescovi della cristianità e il potere di deporre
be significato ammettere la sottomissione al
gli imperatori considerati indegni, sciogliendo di conse-
papa, andando contro i princìpi più volte riba-
guenza i suoi sudditi da ogni vincolo di obbedienza.
diti dopo la sua elezione. A questo proposito,
egli aveva espressamente richiesto al papa la
rimozione dell’affresco dipinto quindici anni pri-
ma in Laterano, dov’era rappresentato il suo
predecessore, Lotario III, mentre riceveva dal
pontefice alcuni feudi appartenuti a Matilde di
r
Il primato di Gregorio L’assunto dal qua-
le si sviluppa il ragionamento del nuovo pontefice è
che la Chiesa è stata fondata da Dio, quindi il pontefi-
Canossa. La scena era corredata da una scrit-
ce romano è l’unico a poter essere definito, di diritto,
ta eloquente: “Rex venit ante fores, iurans prius
“universale”. Ne consegue che egli esercita, per inve-
Urbis honoris / Post homo fit pape, sumit quo
stitura divina, alcuni poteri assoluti che nessun’altra
dante coronam” (Prima di varcare le porte, il re
autorità può sindacare: deporre o reinsediare i vesco-
giura di rispettare i diritti della città di Roma, poi
vi (senza dover convocare sinodi allo scopo), emana-
diviene vassallo del papa, che gli conferisce la
re nuove leggi, riunire nuove congregazioni, fondare
corona). Ma l’affresco, invece di essere stato
abbazie o canoniche, dividere le diocesi ricche e rag-
coperto, era ancora lì in bella vista.
gruppare quelle povere, trasferire i vescovi secondo
Su pressione dei suoi consiglieri, alla fine
necessità, ordinare un sacerdote di qualsiasi chiesa e in
Federico decise di cedere, ma si tenne un
qualsiasi territorio; il papa era anche sommo giudice e
asso nella manica. Nel momento cruciale, pre-
non poteva essere giudicato da nessuno: tutte le cau-
se la cavalla per le briglie e porse ad Adriano la
se maggiori dovevano essere portate al suo cospetto,
staffa. Ma quando il papa fece per montare in
e nessuno che si fosse appellato a lui avrebbe potuto
sella, gli sussurrò: «Non tibi sed Petro» (Non a
essere condannato da altri se non dal pontefi-
te rendo questo servizio, ma a Pietro). Stiz-
ce stesso. Inoltre, mentre nessuno aveva
zito, il pontefice gli appoggiò il piede sul
diritto di riformare le sentenze ema-
collo, soffocando un’imprecazione.
nate dal papa, costui poteva rifor-
L’onore di entrambi, almeno all’ap-
mare qualsiasi sentenza emanata
parenza, era salvo e, il 18 giugno
da altri. Nessun sinodo pote-
1155, il Barbarossa poté cin-
va essere definito “generale”
gere la corona, ottenendo un
senza il suo ordine, e nessun
successo memorabile.
testo dichiarato canonico sen-
PAPA SILVESTRO A CAVALLO
za la sua autorità. Del resto,
(BASILICA DEI SANTI QUATTRO
CORONATI, ROMA)
80
PAPA CONTRO IMPERATORE
la Chiesa era infallibile: non aveva mai errato né mai lo parte del manico: «A lui è permesso» stabiliva il Dic-
avrebbe fatto, fino alla fine dei tempi. Di più: il papa, tatus al numero XII, «deporre gli imperatori». Inol-
eletto secondo i canoni, doveva essere considerato san- tre, «chi non è in comunione con la Chiesa Romana
to. Erano tutti assiomi, questi, che Gregorio asseriva non è da considerare cattolico». Per costoro s’invocava
senza alcun contraddittorio e che, almeno all’interno la scomunica, che era un’arma davvero formidabile. Il
della Chiesa, nessuno avrebbe mai osato negare. pontefice, infatti, poteva «liberare i sudditi dall’obbli-
Ma al di fuori, ossia nella comunità dei laici? Il pro- go di obbedienza ai principi che hanno imposto il loro
blema non si poneva, perché il pontefice, stando al potere con la forza». Se ciò accadeva, qualsiasi poten-
Dictatus, era l’unica autorità a cui si doveva suprema te, dal più piccolo signorotto all’imperatore in perso-
obbedienza. Solo lui poteva usare le insegne imperia- na sarebbe precipitato nel fango.
li e a lui tutti i principi (imperatore compreso) doveva- La prevedibile risposta dell’imperatore del tem-
no baciare i piedi. Se, per qualsiasi ragione, qualcuno po, Enrico IV, fu la convocazione a Worms, nel genna-
si fosse opposto, il papa, in quanto vicario di Cristo io 1076, di una dieta che, grazie anche al sostegno dei
sulla Terra, avrebbe potuto impugnare il coltello dalla prelati tedeschi ostili alla riforma, definì Gregorio VII
81
La domanda
«non più papa, ma falso monaco»: l’assemblea invita- Gregorio ed Enrico ne furono i più famosi protagonisti,
va il pontefice a rinunciare alla carica. Il papa replicò il alla loro morte la questione di principio che divideva i
14 febbraio con una scomunica, che ebbe come imme- due maggiori poteri medievali rimase un caso aperto e
diata conseguenza il sollevamento dei sudditi di Enri- foriero di nuovi scontri. Se il pontefice, a ragione, riven-
co (dichiarato deposto) da ogni obbligo di fedeltà. Ne dicava alla Chiesa il diritto di eleggere vescovi e abati,
approfittarono subito i grandi feudatari, sia tedeschi che l’imperatore, dal canto suo, riteneva fosse sua prero-
italiani, che certo non avevano troppo in simpatia l’at- gativa il controllo delle cariche ecclesiastiche (come i
teggiamento accentratore del giovane sovrano. vescovi-conti, appunto), che comportavano anche l’e-
r
Enrico a Canossa Minacciato dal
pericolo di perdere il regno, Enrico fu
sercizio di funzioni civili e amministrative. La questio-
ne venne sanata da un compromesso tra papa Callisto
II e l’imperatore Enrico V. Grazie alla mediazione del
cardinale Lamberto Scannabecchi, vesco-
vo di Ostia (e futuro papa Onorio II),
costretto, suo malgrado, a riavvicinarsi al il 23 settembre 1122 a Worms, i due
pontefice. L’umiliazione che subì diven- massimi poteri si scambiarono le per-
ne proverbiale: nel gennaio 1077, nel gamene che contenevano le rispettive
pieno di un inverno rigidissimo, egli concessioni e rinunce: l’imperato-
raggiunse Canossa, sull’Appennino re desisteva dal diritto di investi-
emiliano, dove il papa era ospite del- re i vescovi con anello e pastorale,
la fedele contessa Matilde. Qui, dopo simboli del loro potere spirituale,
aver atteso tre giorni nella neve, a lasciando tale prerogativa al solo
piedi nudi, digiuno e vestito da pontefice, e prometteva la restitu-
semplice penitente, fu finalmen- zione di tutti i beni ecclesiastici;
te ammesso al cospetto di il papa, in cambio, concede-
Gregorio, che lo perdonò va che la nomina dei vescovi
e sciolse la scomunica. Alla in Germania avvenisse alla
fine, fu celebrata una fun- presenza dei legati imperia-
zione solenne in cui il sovrano li e riconosceva all’impera-
ricevette la comunione dal- tore il diritto di investirli dei
le mani dello stesso Gregorio. diritti feudali tramite lo scet-
Un pranzo suggellò (per così tro. Inoltre, sempre e soltan-
dire) la ritrovata concordia. I DUE MASSIMI POTERI
to in Germania, l’investitura
L’umiliazione di Enrico non A CONFRONTO IN feudale precedeva quella
UN’INCISIONE MODERNA
bastò, però, a porre fine episcopale, mentre in Italia e
allo scontro. Il sovrano tor- in Borgogna la consacrazio-
nò in Germania e, una volta ne episcopale precedeva
domati i feudatari ribelli, riprese a con- quella feudale, con un diva-
ferire le cariche ecclesiastiche come se rio massimo di sei mesi.
nulla fosse. Arrivò la seconda scomunica, ma Così, la questione delle investiture si chiu-
stavolta la reazione del sovrano fu ben diversa. Posto- deva con la Chiesa che otteneva di svincolare l’elezio-
si alla testa dell’esercito, Enrico varcò le Alpi, si diresse ne del clero dal controllo imperiale, mentre l’Impero
verso Roma e assediò Castel Sant’Angelo, dove Grego- conquistava il diritto a investire i prelati di beni fon-
rio si era rifugiato. Il papa chiamò in aiuto i Normanni diari, sottoponendoli a obblighi di tipo feudale. Tali
di Roberto il Guiscardo, i quali dal Mezzogiorno arriva- princìpi, ribaditi solennemente nel Concilio Latera-
rono in città, il 21 maggio 1084. Ma invece di prender- nense del marzo 1123, pur raggiunti in un clima di
sela con i tedeschi, i soldati devastarono l’Urbe e poi si compromesso, di fatto suggellavano il compimen-
ritirarono nel Salernitano, portandosi appresso un bot- to della riforma gregoriana e la raggiunta autonomia
tino inestimabile e lo stesso Gregorio come prigioniero. del papato dall’Impero. Ma nonostante il “compro-
Il pontefice sarebbe morto in esilio un anno dopo. messo storico”, le frizioni e gli attriti tra i due som-
Non per questo la lotta per le investiture ebbe fine. Se mi poteri sarebbero continuati ancora a lungo.
82
La cronaca
UN VENEZIANO
ALLA CORTE DEL KHAN
Nel 1275, Marco Polo giunse in Catai,
al cospetto del sovrano più potente del mondo:
un evento che gli avrebbe cambiato la vita
di Ersilia Mondovì
I POLO IN VIAGGIO
IN UN ESEMPLARE
MINIATO DEL MILIONE
A
ccompagnato dal padre Niccolò itinerario che dall’Anatolia conduceva in Estremo Oriente
e dallo zio Matteo, Marco Polo lungo quella che oggi chiamiamo Via della seta, si trovava
giunse nella città di Chemeinfu finalmente al cospetto di Kublai Khan: il potentissimo si-
nel maggio del 1275. Il giovane, gnore dei Tartari, all’epoca sovrano dell’impero più vasto
appena ventunenne, era partito con del mondo. Anni dopo, nel 1298, lo stesso Marco avrebbe
i suoi congiunti da Venezia quasi consegnato alla Storia i ricordi del suo eccezionale viaggio
quattro anni prima, e dopo aver dettando a Rustichello, un galeotto pisano, il celeberrimo
percorso il lungo e straordinario Milione. Copiato in innumerevoli manoscritti e tradotto
83
La cronaca
in moltissime lingue (in prima redazione si intitolava Le nel Regno di Gerusalemme, avevano appreso che la sede
divisament du monde ed era scritto in antico francese), papale era vacante, essendo da poco passato a miglior
il testo sarebbe circolato in tutta Europa, imponendosi vita il pontefice Clemente IV. Poiché i cardinali, riuniti a
con le sue fantastiche e appassionanti narrazioni esotiche Viterbo, tardavano ad accordarsi sul successore, i Polo si
come il più famoso racconto di viaggio di ogni tempo. erano decisi a rientrare a Venezia su consiglio del legato
r
In missione per conto del Khan Marco racconta
che quando giunsero davanti a Khan, i Polo erano attesi
papale, il piacentino Tebaldo Visconti. Fu proprio allora
che Niccolò ebbe modo di rivedere finalmente, dopo
tanti anni, il figlio Marco, ormai diventato adolescente.
Il 1° settembre 1271, dopo ben 1.006 giorni di conclave
(il primo e il più lungo della Storia), fu eletto pontefice
da tempo: Niccolò e Matteo, già entrati nelle grazie del proprio il Visconti, che salì sul soglio di Pietro con il
sovrano tartaro durante il viaggio precedente, erano stati nome di Gregorio X. La notizia giunse a Tebaldo quan-
nominati suoi ambasciatori a Roma. Muniti di lascia- do era ancora in Terrasanta: approfittando della vecchia
passare, avevano avuto l’incarico di portare al papa la conoscenza, Niccolò e Matteo si recarono dunque da lui.
richiesta di inviare in Estremo Oriente cento missionari Poco dopo, i Polo ripartirono alla volta dell’Oriente por-
che potessero insegnare il cristianesimo e i costumi occi- tando con sé un’ampolla con l’olio della santa lampada
dentali ai mongoli. I due mercanti, però, nel compiere la che ardeva sul sepolcro di Cristo a Gerusalemme, dono di
missione avevano incontrato più difficoltà del previsto: papa Gregorio al Khan, che gliene aveva fatto richiesta, e
dapprima la loro guida, un certo Koeketei, si era dilegua- due frati domenicani, Niccolò da Vicenza e Guglielmo di
to, costringendoli a proseguire da soli un viaggio pieno Tripoli. Ma ad accompagnarli c’era, stavolta, anche il di-
di insidie; poi, finalmente giunti a San Giovanni d’Acri, ciassettenne Marco, ansioso di vedere quelle «grandissime
D
al Medio Oriente alla Cina passando per Bagh-
dad, Samarcanda e altre città dai nomi leggendari,
per due millenni ambasciatori e missionari, guerrie-
ri e navigatori hanno percorso la cosiddetta Via della seta.
Una definizione ideata dal geografo tedesco Ferdinand von
Richthofen (zio di Manfred, l’asso dell’aviazione tedesca
noto come il Barone Rosso) nel 1907 e diventata da allora
popolarissima. In effetti, fin dall’età romana, gli scambi com-
merciali tra Oriente e Occidente si reggevano proprio sulla
seta, un tempo prodotta soltanto in Estremo Oriente e per-
tanto estremamente costosa. I traffici vennero poi arricchiti
grazie a profumi, spezie, metalli preziosi e porcellane, ma
anche cetrioli, semi di sesamo, fichi e melograni.
I viaggi erano lunghissimi e pieni di insidie. Oltre al clima dif-
ficile (torrido d’estate e gelido d’inverno, con ampie escursioni
termiche nel corso della stessa giornata), alle tempeste di
sabbia, alle barriere naturali (fiumi, mari, monti, deserti) e alle
strade incerte, i viaggiatori dovevano guardarsi dagli attacchi
UNA CAROVANA
IN VIAGGIO dei predoni, che assalivano le carovane per derubarle. Kublai
VERSO ORIENTE Khan fece molti sforzi per migliorare la sicurezza delle spe-
dizioni mercantili lungo gran parte della tratta.
84
UN VENEZIANO ALLA CORTE DEL KHAN
Finalmente, nel 1275, i Polo giunsero alla meta. Il
UN RITRATTO DI KUBLAI KHAN, Khan era impaziente di riceverli: quando seppe che sta-
COME APPARIVA NEL 1262 CA.
vano arrivando, mandò incontro i suoi messaggeri alla
«distanza di quaranta giorni», cosicché i Polo potessero
essere adeguatamente serviti e onorati. Una volta giunti
a Chemeinfu (l’odierna Shang-tu), residenza estiva del
sovrano, vennero subito condotti al palazzo reale, dove
furono accolti dal Khan in persona. Niccolò e Matteo
si prostrarono davanti a lui il quale, accogliendoli con
grande allegrezza, «dimandò chi era quello giovane
ch’era con loro. Disse messer Niccolò: “Egli è vostro
uomo e mio figliuolo”. Disse il Grande Cane: “Egli sia il
benvenuto, e molto mi piace”. Date ch’ebbero le carte e’
privilegi che recavano dal papa, lo Grande Cane ne fece
grande alegrezza, e dimandò com’erano istati. “Messer,
bene, dacché v’abiàno trovato sano ed allegro”».
r
In viaggio con una principessa Il giovane Marco
s’inserì subito a corte e in breve «imparò li costumi de’
Tartari e loro lingue e loro lettere, e diventò uomo savio
e di grande valore oltra misura. E quando lo Grande
Cane vide in questo giovane tanta bontà, mandòllo
per suo mesaggio a una terra, ove penò ad andare sei
mesi». Divenuto a sua volta ambasciatore, Polo restò al
servizio del Khan per 17 anni, durante i quali attraversò
tutta l’Asia guadagnandosi il rispetto del sovrano (e cre-
maraviglie e gran diversitadi delle genti d’Erminia, di Per- andosi non poche invidie a corte), sia per la sollecitudi-
sia e di Tarteria, d’India e di molte altre province» di cui ne con cui compiva le sue missioni che per l’attenzione
aveva fino a quel momento solo sentito parlare. E magari con cui raccoglieva i dettagli sui luoghi visitati. Di molti
di raccontarle un giorno al mondo intero. di essi, come Hangzhou, da Marco definita la “Venezia
r
Terrore e meraviglie Il viaggio fu lungo e faticoso.
Intimoriti dalle guerre in atto, i due frati abbandonarono
d’Oriente”, avrebbe lasciato memorabili descrizioni. In-
fine, nel 1291, l’ultima missione: scortare la principessa
mongola Cocacin in Persia dal suo promesso sposo. De-
siderando rivedere la patria lontana, i Polo ne approfit-
tarono per abbandonare la corte per sempre. Attraver-
la spedizione. Sempre incombente era il pericolo di su- sati Sumatra, lo Sri Lanka e l’India, e giunti finalmente
bire gli assalti dei predoni, concreto il rischio di perde- in Persia, nel 1293 vi lasciarono la principessa e poi
re la via e restare senza viveri né acqua. A Cormosa, sul s’imbarcarono alla volta del Mediterraneo. Ma non era
golfo Persico, la comitiva s’imbatté nella peste, mentre ancora finita: giunti alle porte d’Europa, Marco cadde
in Afghanistan incontrò uomini selvaggi. Ma molte prigioniero dei Genovesi in una delle tante battaglie
furono anche le meraviglie: sul Caspio, i Polo videro le per il predominio sui mari e finì così in carcere, dove
sorgenti di nafta che alimentavano fiammelle ardenti al conobbe Rustichello, a sua volta finito in galera dopo
suolo; a Sava, in Persia, la tomba che custodiva i corpi la sconfitta subita da Pisa alla Meloria.
dei Magi, mummificati e con la barba bianca intatta. Liberato due anni più tardi, Marco Polo si spense
Lo stesso Khan, racconta Marco, governava il territorio nella sua Venezia l’8 gennaio 1324 all’età di quasi set-
che un tempo apparteneva al mitico Prete Gianni, este- tant’anni, sposo di Donata Badoèr e padre di Fantina,
so dalle giungle indiane ai ghiacci dell’estremo Nord e Belella e Moreta. Ormai il suo nome, insieme a quello
ottenuto dai Tartari dopo una lunga guerra. del Milione, era diventato immortale.
85
Feste e ricorrenze
LARGO AGLI ECCESSI,
È CARNEVALE!
A fine inverno gli ultimi bagordi, poi la Quaresima
di Massimo Fonda
BALLO CONTADINO
DI BRUEGEL IL GIOVANE
T
ra le feste popolari più diffuse e ama- suo probabile antecedente è riscontrabile nei Saturnali
te del Medioevo vi era senza dub- romani, feste dedicate al dio Saturno che alternavano
bio il Carnevale. Il termine sembra sacrifici dal valore beneaugurale a banchetti, giochi, li-
derivare dal latino carnem levare, bagioni e scambi di doni. La loro celebrazione avveniva
cioè “abolire la carne”, e in origine due volte all’anno: una a dicembre, in corrispondenza
indicava l’ultimo banchetto in cui del solstizio invernale, e l’altra a marzo, per un totale
fossero consentite pietanze a base di due settimane. Tali festeggiamenti il più delle volte
di carne prima della Quaresima. Un sfociavano in eccessi, anche pericolosi, se si considera
86
che era consentito tutto, compreso lo scambio dei ruoli,
ottenuto indossando gli abiti e le funzioni altrui. Era,
insomma, un mondo sottosopra. Ambrosiano o romano?
Maschere dissacranti
r Con l’avvento del cristianesi-
mo, i Saturnali continuarono a essere celebrati sotto forma D
iverso dal Carnevale romano era quello
ambrosiano, introdotto a Milano dall’ec-
cezionale personalità di sant’Ambrogio. Il
di Carnevale. La festa finì per essere mal tollerata dal clero, “suo” Carnevale durava cinque giorni in più rispet-
che vedeva nei bagordi e nel caos un elemento potenziale, to a quello romano, ovvero fino alla domenica
oltre che di lascivia e immoralità, di sovversione dell’ordi- successiva: si dice che a volerlo sia stato proprio
ne precostituito. In effetti, con la sua carica irriverente, il Ambrogio, che trovandosi in pellegrinaggio lon-
Carnevale si contrapponeva alle forme religiose ufficiali e si tano dalla città avrebbe chiesto alla popolazione
caratterizzava come il momento del riso e della follia, del- di attendere il suo rientro prima di dare inizio alle
lo scherzo, della materialità e dell’abbondanza. Era anche celebrazioni della Quaresima.
l’occasione per dissacrare le autorità ed emanciparsi, almeno Fu poi Carlo Borromeo, nel 1577, a far rientrare
temporaneamente, dal potere dominante: ecco perché era la domenica all’interno della Quaresima, ridu-
una festa tanto amata dal popolo. Protetti da una masche- cendo il Carnevale ambrosiano di un giorno e
ra, anche i più umili potevano dimenticare per un momento facendolo terminare (come oggi) il Sabato grasso.
la loro condizione e diventare “altri”. Con il tempo, anche
le autorità ecclesiastiche finirono per accettare il Carnevale,
intravedendo in esso il canale di sfogo all’esuberanza e alla
vitalità popolare, capace di neutralizzare le tensioni sociali
e le energie potenzialmente sovversive. Tutto questo caos
veniva espiato con la Quaresima, che arrivava subito dopo,
e che per quaranta giorni imponeva preghiera, penitenza e
mortificazione in preparazione alla Pasqua. Il digiuno qua-
resimale (cioè l’astinenza dalle carni e dal vino, e la riduzione
dell’alimentazione a un solo pasto quotidiano) fu teorizzato
già nei primi secoli del cristianesimo, ma la sua osservanza
(come del resto accadde per altre pratiche) fu più volte og-
getto di revisione nel corso del Medioevo.
r
La nascita dei carri Poco si sa, purtroppo, di come il
Carnevale venisse effettivamente celebrato nei primi secoli
del Medioevo, mentre assai più loquaci sono le fonti dal
Duecento in poi e, soprattutto, nel Rinascimento. È qui
che compaiono le sfilate dei carri: celebri quelli allegorici
voluti a Firenze da Lorenzo il Magnifico, che rappresenta-
vano pianeti e imperatori romani. Sempre in riva all’Arno,
il Martedì grasso i giovani davano sfogo alla loro esube- che si teneva a Ferrara, dominio degli Este, caratterizza-
ranza con battaglie a sassi e pugni combattute sul ponte to anche in questo caso da carri e interminabili banchetti.
a Santa Trinita, con l’incitamento del pubblico, assiepato Per via del clima di libertà e di tolleranza nei confronti dei
sulle piazze e nelle vie attigue. L’usanza è documentata an- bagordi, il Carnevale rinascimentale divenne sempre più
che in Lombardia (Pavia, soprattutto) e in molte località popolare, stimolando a tal punto la fantasia che molte sue
dell’Umbria. Molto noto e sontuoso era anche il Carnevale usanze sono sopravvissute fino ai giorni nostri.
87
Rievocazioni e Appuntamenti
Dai ruderi
alla città
Altamura (Bari)
sorge nell’altopiano
carsico della Murgia,
a 467 m sul livello
Altamura, nel segno
del mare. La sua
origine si perde
nel mito, ma il
dello “stupor mundi”
ritrovamento dello
scheletro dell’Homo
Ad aprile il borgo pugliese ricorda Federico II
neanderthalensis,
C
simpaticamente ittà dalle origini antiche, ai pittoreschi cortei (degli adulti INFORMAZIONI:
chiamato Ciccillo, Altamura riconosce in e dei fanciulli) che sfilano per le Associazione
data a 150 mila Federico II di Svevia il suo strade del paese. Due le figure di Culturale
anni fa la presenza fondatore perché la ricostruì e, spicco: Federico II, che arriva a Fortis Murgia
antropica nella nel 1232, vi eresse una cattedrale cavallo (o a piedi) sotto un regale Tel. +39 3472490185
zona. Prima della palatina, l’unico edificio sacro baldacchino, con il suo seguito di info@federicus.it
fondazione da parte costruito dallo Stupor mundi, saraceni, servi, portatori di bauli, www.federicus.it
di Federico II di abituato a edificare castelli. Per ancelle e ballerine arabe, e la
Svevia (il cui nome ricordare questo evento, da moglie Bianca Lancia (eletta tra
campeggia sullo otto anni l’Associazione Fortis le più belle ragazze di Altamura)
stemma cittadino), Murgia organizza “Federicus”, che, accompagnata da dame
esistevano solo festa medievale che in primavera di corte e Madonne Primavera,
alcuni piccoli nuclei anima le strade del centro storico affianca il consorte con
abitativi e i ruderi di cittadino. Le quattro contrade eleganza e discrezione. Il tema
una precedente città di Altamura rappresentano le varia ogni anno e l’edizione
antica, di cui restano etnie (latina, greca, saracena ed 2019 completerà un triennio
le possenti mura ebraica) che l’imperatore chiamò dedicato ai versi di Dante
megalitiche, che a ripopolare la città. Durante (Canto XIV, Purgatorio) «le
risalgono al V secolo l’evento, che si tiene nel borgo dal donne i cavalier, li affanni e li
a.C. Sopra, foto di 25 al 28 aprile e richiama migliaia agi»: un suggestivo omaggio
Danilo Vicenti. di turisti, sono riproposti momenti al Sommo Poeta, di cui
di vita quotidiana medievale, oltre ricorrono le celebrazioni.
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GNOCCO FRITTO
lo street food longobardo
Pasta di pane fritta nello strutto: la ricetta emiliana sarebbe da far risalire
ai Longobardi, che introdussero nella zona l’uso in cucina del grasso di maiale
F
amosa prelibatezza emiliana,
lo gnocco fritto è tipico
delle province di Modena e
Reggio Emilia, ma con altri nomi (e
qualche variazione negli ingredienti) la
preparazione è conosciuta e consumata
in diversi territori della Bassa padana:
crescentina a Bologna, torta fritta
a Parma, chisulén (o chisolino) a
Piacenza, pinzino a Ferrara, pinsìn
a Mantova. Fumante e sapido, lo
gnocco (a onta dei puristi, in Emilia
continuano a coniugarlo con l’articolo
“il”) è una preparazione semplice, fatta
di pasta di pane fritta nello strutto.
Fino agli anni Sessanta del secolo
scorso rappresentava il pranzo dei
contadini impegnati tutto il giorno nei
campi, che lo consumavano come
un pane più sostanzioso. Presenza
costante nelle feste popolari, tipico
cibo da strada, si gusta “liscio” oppure
come accompagnamento di salumi
particolarmente saporiti, dalla mortadella
92
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tendersi quale presa visione, nel colophon della rivista, dell’Informativa completa ex art. 13 d.lgs. 196/03, nonché consenso espresso al trattamento ex art. 23 d.lgs. 196/03 in favore dell’Azienda.
Appuntamenti con il Medioevo
Libri La Storia oggi
Saggi e romanzi dedicati all’“Età di mezzo” Ravenna “riscopre”
la sua storia
(e non solo i mosaici)
Può un ex zuccherificio
ormai caduto nel degrado
Donne d’arte, d’intrighi e di guerra diventare un polo di
Storie di donne che hanno segnato la Storia attrazione e cultura per
di Giorgio Ravegnani e Dedo di Francesco un’intera città? Sì, se
l’edificio in questione si
Editore: Robin Edizioni trova a Classe, poco fuori
Pagine: 410 - euro 18 Ravenna, e grazie a un
impegnativo recupero viene
Ci sono le celeberrime Matilde di Canossa, Christine de Pizan, trasformato in “Classis
Giovanna d’Arco ed Eleonora d’Aquitania, ma anche le meno note Ravenna, Museo della Città
Teofano, Zoe, Agnés Sorel e Lucrezia Crivelli in questa raccolta e del Territorio”. Inaugurato
che, in quattrocento pagine che non trattano solo di Medioevo, a dicembre, propone un
racconta una serie di donne “di carattere”, che “fecero la Storia” da lungo e affascinante viaggio
protagoniste, e non come semplici comparse o spalle degli eventuali nel passato di Ravenna:
mariti e compagni. A sorreggere la narrazione, la penna felice dei due dai primi insediamenti alla
autori (scrittore Di Francesco, bizantinista di chiara fama Ravegnani), civiltà etrusca, dal ruolo
che uniscono il rigore delle ricostruzioni a una prosa avvincente, importante rivestito in epoca
capace di appassionare e tenere inchiodato il lettore non specialista romana (quando fu costruito
come un romanzo: un pregio da non trascurare. il porto che ospitava la flotta
attiva sull’Adriatico) fino
alla scelta come capitale
dell’Esarcato Bizantino,
che inaugurò l’epoca
di maggior splendore
della città. Il percorso
museale, articolato su
Il tempo dei lupi 2.600 mq, propone,
Storia e luoghi di un animale favoloso accanto ai tradizionali
di Riccardo Rao reperti, installazioni e
Editore: Utet videoproiezioni multimediali.
All’esterno, un’oasi verde di
Pagine: 253 - euro 18 15 mila mq, che conduce
fino alla basilica di
Se per contadini e allevatori il lupo era una minaccia alla sussistenza, per
Sant’Apollinare in Classe
i barbari era una sorta di alter ego totemico, un animale guida che poteva
(uno dei monumenti più
condurli (come si legge nelle saghe nordiche e nei racconti del longobardo
antichi e importanti di
Paolo Diacono) verso la meta. Versione “selvatica” del cane domestico, il
Ravenna, custode di
lupo rappresenta la parte selvaggia dell’uomo e per il cristianesimo è un
preziosi mosaici) e che sarà
emblema del male. Con la rinascita del Mille e la necessità di domare il
collegata al centro cittadino
bosco, il lupo viene visto con crescente sospetto e cacciato fino a farne
e valorizzata attraverso
strage. Ma ricompare nell’agiografia (san Francesco) e nelle fiabe, a segnare
piste ciclabili. “Classis
un’ambivalenza affascinante che Riccardo Rao racconta con maestria.
Ravenna” non è solo un
museo, ma ospiterà incontri,
conferenze e laboratori,
proponendosi come nuovo
punto di riferimento per la
vita e la cultura cittadina.
Uomini e animali nel Medioevo
Storia e arte di un santuario lucano dimenticato
di Chiara Frugoni
Editore: Il Mulino
Pagine: 386 - euro 40
94
a cura di ELENA PERCIVALDI
Mostre A Ferrara e Modena nuovi percorsi di visita e mostre temporanee per rivivere il Rinascimento
Le Gallerie Estensi “rispolverano” i loro tesori
LA CORTE DI RE
SALOMONE (DALLA
PRIMA PAGINA
DELL’ECCLESIASTE)
IN UNA MINIATURA
DELLA BIBBIA DI
BORSO D’ESTE.
95
Appuntamenti con il Medioevo
Mostre All’Ermitage una straordinaria rassegna dell’artista-icona del primo Rinascimento
San Pietroburgo celebra Piero della Francesca, il “re della pittura”
L’Ermitage di San Pietroburgo festeggia
A SINISTRA,
il suo 255° compleanno (fu fondato da RITRATTO
Caterina II di Russia nel 1764) e lo fa in DI SIGISMONDO
grande stile, con una mostra dedicata a MALATESTA (1451);
Piero della Francesca. Un artista che, con IN BASSO, RITRATTO
la sua pittura nobile e umile a un tempo, DI GIOVANE (1478-1480);
razionale e austera quanto lirica e poetica, SOTTO, SANT’AGOSTINO
può essere definito senza esagerazione il (1454-1469).
simbolo del primo Rinascimento, capace
di rivoluzionare la pittura del tempo,
trasfondendo nelle sue opere complessi
calcoli matematici e una personale
visione del mondo. Piero fu uno dei primi
a scoprire e studiare le regole della
prospettiva, sia lineare che atmosferica
(a cui Leonardo da Vinci prestò poi
puntuale e fattiva attenzione), e la sua
arte ebbe un ruolo chiave nello sviluppo
del ritratto rinascimentale.
L’esposizione, aperta nel prestigioso
museo fino al 10 marzo, propone per la
prima volta al pubblico russo capolavori
straordinari e iconici, come la Madonna
di Senigallia dalla Galleria Nazionale
delle Marche a Urbino, l’Annunciazione,
mai prestata prima d’ora,
96
a cura di ELENA PERCIVALDI
NUOVE
r
ACQUISIZIONI
2016-2018
(Firenze)
La mostra, ideata e
curata da Cecilie Hollber,
presenta alcuni capolavori
che, in maniere diverse,
sono giunti ad arricchire le
collezioni permanenti della te, perché ha come fil rouge
Galleria dell’Accademia: al- la tutela del patrimonio
cune opere sono state acqui- culturale, un tema dramma-
state sul mercato antiquario, ticamente attuale.
altre sono pervenute grazie a
generose donazioni, altre an- INFO Galleria dell’Accademia
cora da confische in seguito fino al 5 maggio 2019
all’esportazione illecita a ope- www.galleriaaccademia-
ra del Nucleo Patrimonio dei firenze.beniculturali.it
97
SUL PROSSIMO NUMERO
DI MEDIOEVO MISTERIOSO
IN EDICOLA IL 20 aprile
Predire il futuro
Maghi e veggenti, astrologi e indovini: il
Medioevo pullula di persone che si rite-
nevano in grado di vedere il futuro. Non
venivano creduti solo dal popolino, ma
anche da re, dotti ed ecclesiastici, che
non esitavano a impostare le loro azioni
sulle parole dei visionari.
MEDIOEVO MISTERIOSO
Bimestrale - prezzo di copertina 9,90 €
Sonia Lancellotti, Virgilio Cofano : tel. 02 92432295/440
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