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M A R C O E P A T R I Z I O P A V O N E

SANDOKAN:
DA PRINCIPE
A PIRATA

ILLUSTRAZIONI DI PAOLO BORRI
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PREFAZIONE
DI PATRIZIO PAVONE

Quando ero un giovane ed appassionato lettore dei libri di Salgari prediligevo quelli del ciclo dei
Pirati della Malesia. Li lessi tutti svariate volte; sia quelli scritti da Emilio Salgari, sia quelli dei suoi
figli Omar e Nadir, sia quelli di Luigi Motta, Fancelli, Bertinetti e Quattrini che raccontavano le
gesta di Sandokan e compagni. Allopera principale di Emilio Salgari segue, in maniera quasi naturale
quella di Motta. Gli altri scrittori arricchiscono con avventure varie la saga di Sandokan.
Ci sono delle differenze, nei libri di tanti diversi scrittori, a volte sostanziali, che potrebbero rendere
inconciliabili le possibilit di collocare i vari testi in maniera cronologica, nellipotesi di unirli, gli
uni dopo gli altri, come se fossero una serie di capitoli di un unico grande romanzo.
Ho pensato che sarebbe stato interessante riuscire a creare una sorta di indice tra tutti i libri scritti su
questo personaggio fantasioso, che assommano a trentadue, anche se a volte date o fatti narrati,
anche con riferimenti storici, rendono limpresa ben ardua. Ho provato quindi a cimentarmi in questa
impresa, alla quale sicuramente hanno pensato molti altri appassionati e collezionisti di tale
opera.cercando di limitare al massimo incongruenze temporali o di avvenimenti. Questa la mia
ipotesi:
1. Le Tigri di Mompracem
2. Il vulcano di Sandokan
3. I misteri della jungla nera
4. La rivincita di Tremal-Naik
5. la vendetta dei thugs
6. I Pirati della Malesia
7. La tigre del Bengala
8. Le due tigri
9. Sandokan rajah della jungla nera
10. Il Re del mare
11. Sandokan nel cerchio di fuoco
12. Le pantere di Timor
13. Yanez la Tigre Bianca
14. Mompracem contro i Da coiti
15. Alla conquista di un impero
16. il rajah dellAssam
17. Sandokan alla riscossa
18. La riconquista di Mompracem
19. Il Bramino dellAssam
20. La caduta di un impero
21. La rivincita di Yanez
22. La tigre della Malesia
23. Lo scettro di Sandokan
24. La gloria di Yanez
25. Addio Mompracem
26. Sandokan contro il leopardo di Sarawack
27. Sandokan nella jungla nera
28. Il figlio di Yanez
29. Le ultime avventure di Sandokan
30. Sandokan nel labirinto infernale
31. Il Fantasma di Sandokan
32. I thugs alla riscossa
33. Il ritorno delle Tigri di Mompracem
34. Il segreto del fakiro
35. Le mie memorie

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A mio figlio Marco, allora undicenne, volli leggere il primo libro di questo ciclo. Subito
si appassion all'opera e li lesse tutti, da solo, in pochi anni.
Successivamente mi ricord una cosa che avevo notato e su cui avevo riflettuto varie volte: Salgari,
fa raccontare a Yanez (nel libro Le Tigri di Mompracem) e poi a Sandokan (nel libro Sandokan
alla riscossa), la storia della famiglia Muluder, cio dei genitori di Sandokan, e di come essi
vennero spodestati dal trono del Kina-Balu, in Borneo, e di come vennero massacrati. Raccont,
poi, anche dei tentativi dello stesso Sandokan di riconquistare il regno, naufragati miseramente, e
della sua decisione di darsi alla pirateria.
Mio figlio ed io convenimmo che su tali episodi Salgari avrebbe benissimo potuto scrivere un altro
libro, avendone fornito la traccia, ma purtroppo non lo fece mai. Neppure i suoi figli e neanche
Luigi Motta, Fancelli e gli altri emuli minori lo tentarono.
Da qui nacque in noi il desiderio di provare a scrivere questo romanzo, che tentasse di colmare una
lacuna, prendendo spunto proprio dai racconti, frammentari che ne fecero appunto Sandokan ed il
suo "fratellino" Yanez.
Marco si accinto all'opera, coadiuvato e consigliato da me stesso.
Ne venuto fuori questo libro che presentiamo a chi ben conosce le gesta dei nostri eroi, sperando
di non averne oltraggiato la memoria del grande Emilio e confidando nel perdono dei veri autori ed
editori dei romanzi originali.
Questo libro, il numero zero, racconta di come Sandokan, spodestato dal suo regno, si tramut nella
terribile Tigre della Malesia.
Nel corso di questo racconto Marco ha voluto tentare anche un altro esperimento: creare un predente
cronologico a fatti o personaggi, che altri autori hanno sviluppato poi nei vari libri menzionati, che si
verificano o compaiono allimprovviso, senza alcuna spiegazione che li introduca. Ad esempio Ragj, il
figlio di Sandokan appare in una sola storia (nel libro di L. Motta Sandokan, rajah della jungla nera) gi
quattordicenne. Come era possibile che nei 14 anni precedenti nessuno ne avesse raccontato qualcosa? Era
figlio di Marianna? Dove era stato durante questi anni? Marco ha pensato quindi di raccontare una storia
nella storia che facesse da prologo, poi, alle altre raccontate dai vari autori. Oltre a questo personaggio ha
dato altre spiegazioni come quella che si riferiva alla ricerca che Sandokan intraprese per ritrovare il suo
prezioso scettro, rubato da un malese (nel libro, sempre di Motta, Lo scettro di Sandokan).
A voi, esigui lettori, un giudizio, non benevolo, ma oggettivo.


RINGRAZIAMENTI

Vorremmo ringraziare tutti gli amici che hanno contribuito alla stesura di questo romanzo e pi
precisamente le professoresse ditaliano Paola Barboncini e Regina Bevilacqua che hanno rivisto
sintassi e grammatica, il collezionista ed esperto Salgariano Italo Pileri per consigli e correzioni in
merito a fatti, cronologia e descrizioni ambientali e gli esperti di computer Andrea Marini e
Pierluigi Palmieri che hanno composto la grafica e la stampa.

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SOMMARIO

Parte Prima
IL RAJAH DEL KINA - BALU
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo Vffl
Capitolo IX
Capitolo X
Capitolo XI
Capitolo XII
Capitolo XIII
II nuovo Rajah
La cospirazione
Nelle foreste
Imboscate e tradimenti
In viaggio verso Sindumin
L'agguato nella jungla
La liberazione di Sindumin
L'insurrezione
Diserzioni ed avvelenamenti
L'assedio della capitale
Strenua difesa
L'atroce inganno
Una strage orrenda

Pag. 9
Pag. 19
pag. 27
pag. 37
pag. 51
pag. 59
Pag. 67
pag. 75
pag. 87
pag. 103
pag. 113
pag. 125
Pag. 135

Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Parte seconda
ALLA RICONQUISTA DI UN TRONO
Una caccia spietata
Due tentativi falliti
Disfatta totale
L'inizio della pirateria
pag. 147
pag. 157
pag. 173
pag. 189

Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Parte terza
SECONDA PATRIA
La nascita della Tigre
Mompracem
Vittorie navali e terrestri
pag. 203
pag 213
pag. 227

Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Conclusione
Parte quarta
MALESIA IN FIAMME
Yanez De Gomena
Una sagace beffa
Assedio navale
Intelligenza e coraggio
Intrighi cinesi
Ancora un successo
pag. 243
pag. 251
pag. 261
pag. 269
pag. 279
pag. 289
pag. 299
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PARTE PRIMA






IL RAJAH DEL KINA - BALU



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CAPITOLO PRIMO
IL NUOVO RAJAH

I festeggiamenti per l'incoronazione del nuovo sultano del Kini-Balu e dei Monti
Cristallo erano terminati da poco tempo: nel cielo notturno si stavano spegnendo, tra
mille guizzi di luce, gli ultimi fuochi d'artificio magistralmente realizzati dal
maggiordomo di corte, un anziano cinese che, come lo sono molti sudditi del
"Celeste Impero", era molto esperto nei giochi pirotecnici, e che era stato chiamato
alla reggia per dirigere appunto una squadra di servi che s'occupava, ad ogni festa o
ricorrenza, dello sparo di petardi e razzi colorati. Nella capitale, chiamata anche
"Citt del Lago" poich una grande estensione d

acqua lambiva uno dei suoi


sobborghi, i cittadini e i vari sudditi, convenuti ed invitati con proclami e bandi da
tutto il territorio del sultanato a partecipare alle feste per la salita al trono del giovane
principe ereditario, stavano lentamente scemando dai giardini del palazzo reale che
erano stati aperti proprio per permettere a tutti di godere di cibi, bevande, musiche
e spettacoli in gran quantit. Quindi tutti tornavano chi nelle proprie case in citt,
chi nelle varie locande che traboccavano di pellegrini, chi negli accampamenti
allestiti appena fuori le mura che proteggevano la capitale: tende in abbondanza
erette per far fronte a quel numero straordinario di visitatori. Le persone che
defluivano fuori dei giardini reali, erano una vera fiumana di cittadini vestiti con
costumi ed abiti molto differenti tra loro ma prevalentemente molto belli, lasciati in
serbo per le grandi occasioni. V'erano nobili, dignitari, capi trib, governatori di
lontani villaggi, vestiti con pittoreschi, stupendi e grossi turbanti multicolori, con
scialli e tuniche ricoperte di pietre preziose, attorno ai quali v'erano servitori e
schiavi d'ogni et. Ma tra quella gente vi si trovavano anche, ed erano la
maggioranza, uomini coperti di soli stracci, a volta seminudi, privi di calzari, o donne
modestamente vestite, ma comunque agghindate con fiori e collane; alcune
portavano in dosso un languti colorato o un lungo sari che arrivava sino ai piedi.
Nella moltitudine trovavano posto anche tantissimi bambini e ragazzi, vocianti,
chiassosi, felici, che correvano per quelle strade illuminate per l'occasione con
lampade ad olio o a talco. Ad ogni crocicchio di strada si vedevano venditori
ambulanti, con carretti carichi delle merci le pi disparate,
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come frutta, abiti, collane e pendagli, calzari e borse, utensili da lavoro e da cucina, che
reclamizzavano la propria merc con grida ormai rauche.A volte si vedeva un
mendicante, di solito un vecchio ischeletrito che si trascinava dietro il suo bastone,
con sulle spalle una bisaccia o un sacco quasi vuoto, che stendeva la mano in cerca di
un'elemosina che ogni tanto qualcuno, tra i facoltosi ospiti cittadini, elargiva con
generosit.
Erano insomma migliaia di persone, quanti nessuno aveva mai visto in citt, che
andavano via dalla reggia, ormai sazie di cibi, di musiche, di giochi, di colori, di suoni,
gustati ed apprezzati in abbondanza.
I festeggiamenti erano infatti durati ben tre giorni e tre notti. Il nuovo sultano era stato
molto prodigo, soprattutto con i pi poveri, regalando loro rupie in abbondanza,
prelevate dal tesoriere di corte dai giganteschi beni e fortune accumulate nel tesoro reale
da molte generazioni di re e sovrani, sin da quando era sorto tale regno. Molte ricchezze
derivavano dall'economia del sultanato che era molto florida, in quanto l'agricoltura ed
il commercio erano molto sviluppati, mentre gi funzionava da anni lo sfruttamento
delle miniere di diamanti e di rame nel sud del paese.
II vecchio sultano Muluder che aveva abdicato in quei giorni, era stato molto saggio,
facendo procedere il regno sulla via dello sviluppo, affrancando molti sudditi dalla
povert pi totale, tanto presente a quei tempi nei paesi orientali e soprattutto nel
Borneo, ove appunto si trovava il sultanato dei Muluder: il regno di Sabah, nelle regioni
del nord-est di quella gigantesca isola dei mari della Sonda.
Il vecchio Muluder era benvoluto da tutto il popolo, o almeno da quello che
maggiormente aveva beneficiato di questo relativo stato di benessere, che aveva
affrancato dalla povert una bella fetta delle popolazioni, almeno quelle che abitavano
nelle citt o nei grossi villaggi del regno.
Muluder, oltre alla moglie Coruma aveva due figlie femmine e tre maschi. Il
primogenito, suo diretto discendente e principe ereditario si chiamava Sandokan ed
aveva, nell'anno in cui iniziava questa storia, e cio nel 1843, solo venti anni.
Nonostante la giovane et s'era fatto subito notare, sin da fanciullo, per la sua forza, il
suo coraggio, la sua lealt e la sua intelligenza. Ma non amava vantarsi per queste sue
doti naturali, anzi si dimostrava mite con gli umili e generoso con gli indigenti. Al
contrario palesava tempra con i potenti confinanti del regno di Sabah e valore indomito
contro ogni tipo di nemico.
Sandokan era un giovane d'alta statura, di corporatura robusta ed aitante, molto bello in
viso, con fronte spaziosa, occhi grandi e fieri, che esprimevano virilit ed audacia, con
ciglia molto folte, naso dritto, barba curata, capelli lunghi, nero corvino, sciolti sulle
spalle. Dal suo aspetto trapelava lealt, tenacia e fortezza di spirito. Voleva molto bene
ai fratelli, alle sorelle e ai genitori. Per questo motivo rimase molto addolorato quando
gli fu riferito della decisione presa dal padre d'abdicare, anzitempo, in suo favore. Cerc
quindi di convincere il padre suo a rinviare questo proposito, appellandosi al fatto che il
sultano era ancora in perfetta salute e non troppo anziano, cose queste che gli avrebbero
consentito di governare ancora per diversi anni. Tuttavia il padre era molto fiducioso
nelle capacit e nella maturit del primogenito, ormai pronto alla successione e quindi
fiss il giorno dell'incoronazione senza porre altri indugi.
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Tale irrevocabile decisione fu quindi palesata ai dignitari di corte e poi a tutta la
popolazione, fin nei pi lontani villaggi e nelle provincie pi remote del vasto regno.
Arriv cos il giorno dell'incoronazione, i festeggiamenti della quale, come abbiamo
narrato, erano appunto terminati.
Pur tuttavia nel sultanato del Sabah v'erano seri problemi: le trib dell'interno e quelle
costiere erano in agitazione. Quei popoli ancora non civilizzati mal sopportavano alcun
legame con l'autorit centrale e tendevano a staccarsene, con il rischio di gettare il paese
in una guerra civile. A tale stato di cose s'aggiungevano le malcelate bramosie degli
inglesi i quali, direttamente o indirettamente, perseguendo la politica coloniale di quei
tempi, tramite spie e sobillatori, cercavano d'allargare i propri protettorati e domini sulla
regione.
Oltre a tali pericoli nei vicini stati di Varauni e Sarawak, a sud del regno dei Muluder,
erano ascesi al trono due nuovi sultani che s'erano dimostrati subito uomini ambiziosi e
violenti, che non facevano mistero del loro desiderio d'estendere la propria sovranit a
scapito dei territori del sultanato del Kini-Balu.
Gi da tempo v'erano stati, da parte delle truppe di Varauni, vari sconfinamenti con
incidenti ripetuti, che avevano causato morte e distruzione nei villaggi al confine del
regno di Sabah. Lo stesso era accaduto nelle zone confinanti con Sarawak. Il vecchio
Muluder, con pazienza e diplomazia, aveva cercato di evitare una guerra con i vicini,
guerra che poteva essere devastante per i vari popoli, ed aveva tentato di allentare la
tensione inviando al confine solo truppe di contenimento per far desistere gli
aggressori, che difatti, dopo pochi giorni di assalti e ruberie, si ritirarono nei propri
confini.
La clemenza e la remissivit dimostrata dal vecchio Muluder verso i vicini, trovava
poco d'accordo il giovane Sandokan, il cui carattere audace e risoluto non tollerava
assolutamente i soprusi e le violenze ai danni di villaggi indifesi, le cui vittime spesso
erano donne, vecchi e bambini, meno lesti a scappare di fronte al nemico. A tutto ci il
principe ereditario avrebbe ben voluto rispondere con una guerra di difesa generale su
tutto il confine.
Ma Sandokan non voleva contrariare il proprio padre: l'amava troppo per criticarlo e lo
stimava moltissimo per permettersi di dargli dei consigli. Inoltre il giovane figlio di
Muluder ben sapeva che l'atteggiamento assunto dal padre di fronte al nemico, che
poteva sembrare dettato da prudenza, non era certo da addebitarsi a vilt personale del
sultano. Infatti Muluder era un prode e valente guerriero, che aveva combattuto per anni
sempre in prima linea, esponendosi di persona nelle lunghe guerre contro le indomite
popolazioni dei daiacchi dell'interno, da sempre turbolente contro il potere regio.
Questa gran considerazione per le decisioni prese dal genitore nei confronti degli
incidenti di frontiera coi sultani limitrofi, non aveva impedito per al cuore di Sandokan
di sanguinare, poich troppo soffriva per la mancata reazione a tali invasioni. Adesso
che era stato incoronato nuovo rajah del Sabah, poteva sembrare opportuno e
necessario condurre una nuova politica sia con Varauni, sia con Sarawak, sia con le
trib all'interno del suo regno: occorreva dunque fare chiarezza con tutti. Nell'animo di
Sandokan non v'era desiderio di vendetta, ma solo fermo proposito di ristabilire la
sovranit su tutti i territori del suo sultanato
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Appena terminate tutte le cerimonie, una volta congedati invitati ed ospiti di riguardo, il
nuovo rajah pens bene di riunire i suoi due fratelli al fine di avere con loro un lungo
abboccamento: era infatti intendimento di Sandokan ricevere dai fratelli le massime
garanzie per una completa armonia e solidariet comune, fattori indispensabili per
governare un regno con tanti problemi.
Dei due congiunti Selim, il pi giovane, aveva solo sedici anni; pur tuttavia era
coraggioso, svelto d'ingegno ed intraprendente come un adulto. L'altro fratello, Agun,
di due anni pi anziano, era invece il pi riflessivo e misurato dei tre, molto intelligente
e dotato di una profonda cultura. Aveva studiato per anni, aiutato da alcuni maestri,
provenienti dall'India e dalla Cina, che avevano a lui insegnato molte discipline
scientifiche ed umanistiche.
Quando Sandokan ebbe riunito i fratelli e li ebbe davanti a se, seduti su comodi cuscini
disse:
- Caro Selim e caro Agun, vi ho qui convocati in quanto ho bisogno dei vostri consigli e
di tutta la collaborazione che vorrete darmi in questo particolare momento, cos
importante per la mia vita di futuro sultano. Come ben sapete, da alcuni anni, in varie
provincie del nostro regno, si respira aria di sommossa, soprattutto da parte dei daiacchi
di mare e di alcune popolazioni dell'interno. Come se non bastasse, i nostri vicini
vogliono allargare i propri tenitori a nostro danno. Ho quindi pensato di chiedervi
questo: dividiamo la nostra presenza nello stato in modo da essere un solo governo e
quindi una sola testa pensante ma con tre braccia armate. Per attuare subito questo
disegno, io andr sul confine del sud e ristabilir la tranquillit violata dalle truppe di
Varauni e del Sarawak; tu Agun rimarrai qui in citt in quanto occorre avere sempre
un capo che diriga la politica interna ed amministri la giustizia; al contempo vigilerai
anche sui nostri genitori e sulle amate sorelle; tu, invece, mio diletto Selim, che sei
sempre in cerca di avventure, ti recherai a far visita al capo delle trib daiacche
dell'interno, di nome Beluran, per rinsaldare con lui la nostra amicizia. Se eseguirete
questi miei desideri, e soprattutto se ne sarete d'accordo, mostreremo al popolo, ma in
particolare ai nostri nemici, che tra noi fratelli regna non solo la perfetta unione e
collaborazione, ma che non vi sono invidie o discordie connesse alla successione. Il mio
volere e la mia massima felicit sar quella di governare con il vostro aiuto ed
appoggio, dividendo onore e gloria e, purtroppo, qualche preoccupazione. Vi prego di
dirmi ora cosa pensate dei miei progetti, ma vi prego d'essere molto franchi.
Selim, il fratello minore, un giovanotto molto alto, anche se magro, con una buona
muscolatura, dall'aspetto fiero e deciso, prese per primo la parola e disse:
- Grazie Sandokan per avermi preso in considerazione come se gi fossi un adulto. Far
di tutto per essere all'altezza della missione che m'affidi. Ti dimostrer che la tua
fiducia ben riposta: quindi approvo i tuoi progetti e mi dichiaro pronto non solo a
partire anche domani, ma ad aiutarti sempre, stando in ogni caso al tuo fianco in ogni
frangente.
Prese poi la parola Agun, un poco pi basso di Sandokan, dal fisico pi grassoccio,
forse con un corpo meno atletico ma con uno sguardo estremamente sveglio ed
intelligente. Il tono del suo discorso fu pi tranquillo e meno infervorato di Selim, ma
quello che disse sembrava frutto di un assennato ragionamento:
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- Anche io ti sono grato per la fiducia che ci accordi e ritengo molta accorta la tua
strategia di far vedere in tre posti diversi i membri della nostra famiglia. Cos facendo
incuteremo nei nostri amici rispetto e considerazione, mentre i nemici capiranno che
abbiamo subito preso in mano la situazione per il verso giusto. Solo un dubbio
m'affligge: che tu possa farti coinvolgere dai nostri confinanti in una guerra contro un
nemico pi agguerrito e preparato di noi.
A questa giusta preoccupazione del fratello Agun gli occhi di Sandokan s'infiammarono
e la voce si vece vibrante ed appassionata. Questa fu la sua risposta:
- E' ormai giunto il momento d'alzare la testa e di difendere il nostro popolo, pi volte
assalito e decimato da nemici interni ed esterni. Se, durante la mia visita nei luoghi pi
volte messi a ferro e fuoco, trover ancora delle truppe d'occupazione nemiche, le
attaccher a fondo e le rigetter oltre confine. Vedremo chi sapr resistere ai nostri
guerrieri, quando sar io alla loro testa con la spada sguainata ad ordinare una carica! In
ogni modo terr nel dovuto conto le tue preoccupazioni, caro Agun, e non mi far
prendere dall'ira senza aver prima ben ponderato il da farsi.
I fratelli annuirono in segno d'assenso.
La riunione era terminata: Sandokan percosse con un martelletto di legno un gong,
finemente cesellato che si trovava a lui vicino, e subito un maggiordomo port sulla
tavola centrale, con un vassoio d'argento, tre bicchieri di puro cristallo, che mandavano
dei lucenti bagliori, contenenti un liquore di color rosso vivo. I calici, dopo essersi
toccati, in un augurale brindisi, furono vuotati e i tre fratelli s'abbracciarono a lungo,
auspicandosi reciprocamente buona fortuna per il prossimo viaggio che li avrebbe divisi
per alcune settimane.
Una volta che Selim ed Agun furono usciti, Sandokan mand a chiamare il comandante
supremo del suo esercito.
Nell'attesa che arrivasse il suo generalissimo, il nuovo rajah s'avvicin ad un prezioso
armadietto nel quale si trovava la sua corona regale. Il suo genitore l'aveva fatta forgiare
ed impreziosire da alcuni valenti orafi siamesi. Si trattava di un massiccio cerchio d'oro
alto un mezzo piede, ornato all'intorno di diamanti, con delle piccole guglie sulle quali
v'erano pietre preziose d'ogni tipo e colore, grosse come ciliegie mature o come noci.
Sandokan guard a lungo quel bellissimo diadema: l'aveva portato in testa durante i tre
giorni dei festeggiamenti, ma terminati che furono, se l'era subito tolto dal capo in
quanto non amava pavoneggiarsi con quel simbolo del potere regale. Quindi disse tra se:
- La consuetudine vuole che quando un rajah conferisce con i propri sudditi si pcnga la
corona in capo, impugni lo scettro e salga sul trono; cercher di modificare da subito
questo scomodo cerimoniale, in quanto ritengo superfluo dare sfoggio di regalit con
questi orpelli, bens e semmai con provvedimenti saggi ed azioni coraggiose.
Detto questo si vest con una giubba di tessuto leggero, con delle bordure di lamine
d'oro, adorna di fili di perle e di pietre preziose di valore inestimabile, inforcando delle
babbucce tempestate di rubini e smeraldi.
Appena terminato d'abbigliarsi si rec nello studio da lavoro, ove il padre suo era solito
incontrarsi con i vari dignitari di corte. Vi s'accedeva salendo dei gradini realizzati con
legno di tek, ricoperti da tappeti di vari colori e fatture; ai bordi della scala v'erano dei
mancorrenti d'oro massiccio, fissati al muro con dei supporti di pregevole fattura. Apr
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la porta d'ebano, foderata di lamine d'argento ed entr in un grazioso salotto che faceva
da anticamera allo studio vero e proprio. Le due stanze erano tappezzate con seta cinese
ricamata in azzurro, ed avevano ampie finestre che prospettavano nel parco, protette da
leggere stuoie di cocco strettamente intrecciate, che s'agitavano mosse dai soffi della
fresca brezza serale che penetrava dai vetri lasciati aperti.
Si sedette davanti uno scrittoio, molto bello a vedersi in quanto v'erano attorno tutta una
serie di piccole sculture realizzate nello stesso legno con cui era costruito, intercalate da
microscopiche miniature in ceramica cinese, e si port alla bocca la cannuccia di un
bellissimo narghil di rame e vetro, dentro al quale v'era un miscuglio di acqua di rose,
tabacco, betel ed oppio. Cominci quindi a fumare e dalla sua bocca uscirono delle
nuvolette di fumo oleoso e discretamente profumato.
Poco dopo ud bussare; Sandokan ordin d'entrare ed al suo cospetto si present il
generale Batik, comandante dell'esercito dello stato del Sabah.
Era un uomo di circa quarant'anni, di corporatura segaligna ma robusta, con la fronte
bassa, gli zigomi sporgenti, gli occhi obliqui come quelli dei cinesi, la carnagione molto
scura: si comprendeva che quellessere umano rappresentava l'incrocio tra alcune razze
locali. Tutta la sua persona trasudava un non so che di falso o di ambiguo, che denotava
un carattere scaltro ma subdolo, cosa questa che non attirava certo simpatia in chi
entrava in contatto con lui. Le sue vesti erano molto ricche, tenute con cura ed
eleganza; nella fascia che gli incorniciava i fianchi era infilato un corto tarwar,
un'arma indiana da taglio, di acciaio finissimo, assai affilata. Un leggerissimo sorriso
beffardo era scolpito sul suo volto ed anche questo particolare rendeva pi antipatica
la sua figura. Era stato scelto a comandare le truppe dal vecchio sultano sia per la sua
preparazione bellica sia perch era parente di un capo trib dell'interno, con il quale
Muluder voleva seguitare a vivere in armonia, continuando una proficua alleanza.
Appena entrato s'inchin dinanzi al suo nuovo sultano dicendo:
- Lunga vita e prosperit al mio signore e padrone!
- Ascolta, Batik - inizi subito Sandokan, che amava andare per le spicce - per domani
mattina farai approntare una compagnia di cento uomini. Mio fratello Selim li passer in
rassegna, e sceglier tra essi chi dovr accompagnarlo in un viaggio che compir nelle
regioni ad est del nostro stato. Gli uomini dovranno essere equipaggiati ed armati di
tutto punto. Partiranno domani stesso.
Batik chin il capo in segno d'assenso.
- Tra pochi giorni partir anche io - continu il rajah - per recarmi sulle frontiere
meridionali del Sabah. Avr bisogno di molti uomini. Forse, se sar necessario,
dovremo intraprendere una vera guerra. Quindi, pur considerando che occorre lasciare
una guarnigione cospicua nella capitale, vorrei con me tutti gli uomini disponibili.
Quanti guerrieri prevedi che possano esser pronti tra sei o sette giorni?
Batik rispose:
- Mio signore, nella capitale abbiamo ora solo cinquecento uomini circa; molti guerrieri
sono sparsi nelle campagne per sorvegliare il flusso dei sudditi che tornano ai loro
villaggi dopo le feste per l'incoronazione, mentre molti altri soldati sono nelle pi
importanti cittadine del regno e nelle varie provincie. Per radunarli tutti, anche
mandando rapidi corrieri per ogni dove, ci vorr almeno un mese. Inoltre . . . - e qui la

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voce si fece misteriosa ed incerta - molti d'essi sono scontenti: ci sono delle rivalit
tra i guerrieri delle trib del sud con quelle del nord . . . . Insomma mi sar difficile
allestire una truppa che abbia buona voglia d'affrontare una lunga campagna di guerra.
A queste parole Sandokan ebbe un sussulto, gett lontano la cannuccia del narghil,
scatt in piedi e disse.
- Ma cosa sento Batik! Tu che sei conosciuto da tutti come un valoroso guerriero,
sempre pronto ad affrontare guerre e pericoli, tu che sei stato nominato generalissimo da
mio padre per i meriti guadagnati sui campi di battaglia, tu mi fai queste obiezioni?
Prometti a tutti i soldati doppia paga e d loro che andiamo a difendere il sacro suolo
della patria nostra!
- Far quello che potr - rispose il generale - e cercher di radunare almeno mille
uomini: deciderai poi tu, o mio signore, quanti ne dovranno restare in citt.
Sandokan accomiat con un gesto nervoso il suo comandante, che usc inchinandosi.
Indi cominci a passeggiare nervosamente per la sala mentre le sue mani accarezzavano
l'impugnatura della spada che gli pendeva al.fianco, protetta da un prezioso fodero
allacciato alla vita.
- La situazione sempre pi incerta - disse tra se - e forse farei bene a sostituire questo
generale con un altro pi fidato e pi deciso. A pensarci bene, non mi mai piaciuto
quel suo fare mellifluo ed ora mi desta inquietudine questa serie di dubbi e perplessit
che mi ha sollevato. Che sia paura?
Un lieve rumore, che sembrava provocato dal chiudersi di una porta, scosse Sandokan
dai propri pensieri e fece volgere il suo sguardo al punto della sala ove s'era sentito una
specie di cigolio: ebbe l'impressione che qualcuno stesse in ascolto dietro uno dei tanti
arazzi che ricoprivano porte e pareti.
Con uno scatto felino il rajah si precipit verso una tenda, la scost ed apr la porta che
vi si celava dietro, mentre con l'altra mano impugn un kriss che teneva nella fascia.
Nel corridoio appena rischiarato da una lampada scorse un servo che s'allontanava in
fretta. Con un balzo da tigre lo raggiunse ed afferratolo per la tunica lo ferm. Gli piant
addosso due occhi severi dicendogli:
- Che stavi facendo l dietro la porta, Lambak?
L'uomo che rispondeva a quel nome era uno dei tanti servi che lavoravano nella reggia
dei Muluder. Alla domanda di Sandokan sembr atterrito, e dopo aver deglutito rispose,
con voce rotta dall'emozione:
- Ero venuto a sentire se t'occorreva qualcosa prima della notte, o mio sultano.
- E perch scappavi via, invece di bussare e chiedermi ci che hai detto? - lo incalz
Sandokan.
- Mi era sembrato che stessi a parlare con qualcuno ed allora non ti ho voluto disturbare
con le mie domande, o signore.
Sandokan lasci la tunica del servo ma lo spinse verso il muro dicendogli, con un tono
che incuteva timore.
- Non mi piace questa scusa, perch m'era sembrato invece che tu stessi ascoltando ci
che stavo ordinando al mio generale. Ora va', ma non farti pi trovare dietro una porta o
saranno guai seri!
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Detto questo il rajah si volse e si diresse verso gli appartamenti riservati alle donne, che
nell'uso orientale erano divisi da quelli degli uomini, anche se appartenenti alla stessa
famiglia: voleva far visita alla madre e alle due sorelle.
Dopo aver percorso lunghi corridoi ed aver aperto numerose porte, raggiunse una saletta
che fungeva da anticamera dell'appartamento della sultana. Due serve erano accoccolate
in terra su dei cuscini, alla moda indiana. All'entrare del rajah scattarono in piedi per poi
inchinarsi immediatamente.
- Annunciatemi a mia madre - ordin loro Sandokan.
Le serve sgusciarono in una stanza attigua per tornare immediatamente:
- Coruma t'attende, o sultano - dissero ad una voce.
Sandokan varc quindi l'uscio e si trov in una stanza meravigliosa. Era addobbata con
stupendi tappeti persiani, a pelo molto alto, dai colori tenui che davano su un verde e
marrone molto riposante per gli occhi, mentre vari arazzi coprivano pressoch ogni
parete; bellissimi mobili d'ogni genere, forma e misura completavano l'arredamento
assieme a quadri e sculture di marmo raffiguranti divinit sacre al culto bornese. La
stanza era illuminata da una lampada dorata, fusa in modo da raffigurare una sorta
d'uccello, con all'interno un globo azzurro di porcellana finissima che proiettava sulle
pareti una luce soffusa e dolce, come quella dell'astro notturno. V'erano pochi e sobri
mobili, ma tutti di fattura eccellente come una tavola d'ebano con al centro un vassoio
d'argento abilmente cesellato contornata da sei sedie di bamb con le spalliere molto
basse ma di una leggerezza straordinaria. Sui muri v'erano delle mensole in pietra grigia
che sorreggevano dei vasi provenienti dal lontano Giappone, colmi di fiori tutti rossi e
profumati. Completavano l'arredamento dei bassi tavolini laccati di madreperla, sui
quali trovavano posto numerosi oggetti come vasetti e bottigliette contenenti unguenti e
profumi, indispensabili per la toletta delle signore, o piccole statue d'avorio raffiguranti
Buddha, Garuda ed altre divinit minori dell'Olimpo bornese.
Sandokan si trov allora in presenza di tre donne, comodamente adagiate su alcuni sof
molto bassi, alla moda orientale, contornati da cuscini color cremisi. Delle tre figure
femminili la pi grande d'et era la madre di Sandokan, Coruma, una bella donna
ancora giovane che non dimostrava pi di quaranta anni: sulla capigliatura nera ed
abbondante, che le cadeva in pittoresco disordine sulle spalle, v'era una leggera corona
d'oro tempestata di brillanti. Aveva una veste di seta celeste con ricami d'oro. Sulle
braccia scoperte v'erano numerosi bracciali di corallo e giada. Le altre due donne
erano le sorelle del rajah, Tua-Kong e Terusan, tanto amate da Sandokan. Erano
due gemelle di circa quattordici anni, d'inaudita bellezza. Nerissimi e lunghi i capelli,
un visino delizioso, occhi grandi a mandorla con delle lunghe ciglia, un nasino piccolo,
labbra sottili di color vermiglio, erano il ritratto l'una dell'altra. Possedevano lineamenti
molto regolari, mentre il colore della pelle aveva dei riflessi biancastri, non essendo
molto abbronzate, come tutte le altre donne bornesi. Vestivano come la madre con
ricche collane di perle lungo il collo, mentre i loro piedini, tanto piccoli da fare
invidia ad una cinese, erano racchiusi in babbucce di seta gialla, impreziosite da
ricami con piccoli diamantini. Ricchi gioielli pendevano dalle loro orecchie, che
scintillavano alla pur tenue luce della stanza. Vedendo entrare il giovane sultano tutte
s'alzarono ed andarono ad abbracciarlo.
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.
- Una festa superba - disse la regina madre - che i sudditi non dimenticheranno
facilmente.
- Ci siamo molto divertite - seguit Terusan - ed abbiamo mangiato davvero bene!
- La musica era divina e bellissimi i fuochi pirotecnici - termin Tua-Kong - Siamo ben
liete che sono intervenuti alla festa tutti i dignitari delle citt dello stato e i pi potenti
capi trib.
Sandokan che ogni qual volta vedeva le amate sorelle, si rasserenava subito, anche
quando aveva l'animo preoccupato, rispose con affetto:
- Purtroppo ho notato invece che mancavano proprio i tributari degli stati pi turbolenti,
quelli che in passato ebbero tanto ad impensierire nostro padre. Speriamo che questo
non sia il sintomo di una ripresa della volont separatista di quelle trib: se la nostra
polizia fosse pi efficiente, si potrebbe capire cosa cova in quegli animi e magari
prevenire eventuali ribellioni. In ogni caso sono contento che vi siate trovate bene. Ero
venuto ad annunziarvi alcune mie decisioni.
E qui Sandokan raccont loro quanto aveva convenuto con i propri fratelli.
La madre allora rispose:
- Tutto quello che fai ben fatto. Rassomigli molto a tuo padre. Anche lui amava
viaggiare per il sultanato al fine di verificare la salute e la prosperit del regno. Quando
conoscer le tue decisioni, le loder sicuramente.
Nel frattempo era scesa la notte. \
Sandokan s'accomiat dalle donne e si rec alfine nella sua stanza da letto: era stanco:
la giornata era stata troppo faticosa. Il ricevimento s'era dimostrato lungo, troppo lungo
per un uomo che, come lui, amava molto l'azione e poco la diplomazia. Si tolse le armi
che aveva indosso, si svest in fretta, spense le bellissime lampade che illuminavano la
sua stanza e si gett sul gran letto che era ricoperto da una meravigliosa trapunta
ricamata con frange d'oro e da due grossi guanciali con delle fodere color verde bottiglia.
S'addorment subito, vinto dalla stanchezza e cullato dal dolce mormorio provocato
dallo zampillo d'acqua di una fontana che si trovava nel giardino sottostante.
Era appena trascorsa una mezzora, ed il sonno del sultano stava diventando profondo,
quando si svegli di soprassalto, in quanto il suo petto nudo era stato colpito, ma non
ferito, da una freccia entrata dalla finestra che aveva i vetri aperti. Sandokan s'alz
immediatamente, raccolse lo strano oggetto, riaccese un piccolo lume e guard con
attenzione ci che aveva raccolto: era un minuscolo involto, a forma di freccia, formato
da una foglia arrotolata stretta con al suo apice una spina che fungeva da punta.
Probabilmente era stata scagliata da una cerbottana.
Il primo pensiero di Sandokan fu quello di verificare la presenza o meno sulla punta del
terribile succo d'upas, il micidiale veleno che era usato nel Borneo per rendere mortale
anche la pi lieve scalfittura di una freccia.
Fortunatamente la punta era asciutta. Sandokan trasse un sospiro di sollievo e subito si
precipit alla finestra per vedere se v'era ancora il misterioso lanciatore. Ma il giardino
era troppo buio. La luna non era ancora sorta nel cielo e quindi era impossibile vedere
alcunch.
Torn allora ad esaminare meglio la freccia e s'accorse che nell'involto v'era una piccola
foglia di mango arrotolata in modo che si potesse aprire.
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Vinto dalla curiosit la svolse. Quale fu la sua sorpresa nell'accorgersi che vi era uno
scritto! Era tracciato con il succo di qualche pianta, di un color rossonero. Il testo
vergato in lingua malese, che era ben nota al nostro amico, diceva: "Non passeranno tre
lune che sarai spodestato. Ti conviene fuggire con tutta la famiglia onde salvarvi la vita.
Firmato: il futuro rajah del lago".
Sandokan lesse diverse volte lo scritto prima di comprendere bene il significato di
quelle oscure minacce. Alfine ebbe uno scatto accompagnato da una specie di ruggito e
disse:
- Chi osa minacciarmi?
Si vest quindi in fretta, mettendosi ai fianchi il solito kriss e il fido tarwar aggiungendo
nella fascia due pistole con il calcio arabescato. Verific che fossero cariche, poi si
slanci fuori dalla sua stanza. Uno scalone sontuoso, con numerose colonne scolpite,
raffiguranti divinit sacre e teste d'elefanti, fiancheggiato da balaustre di legno lucido,
conduceva nei giardini reali. Erano cinti da mura altissime, che si prolungavano per
quattro chilometri, realizzate in pietra e marmo bianco.
Si imbatt subito in un maggiordomo, che indossava un bel vestito di tela azzurrina con
dei bizzarri disegni che raffiguravano dei draghi fiammeggianti, che subito si inchin.
- Presto dai l'allarme! Cercate se nel giardino vi sia qualche estraneo!
Il servitore corse subito via chiamando a gran voce le guardie, mentre alcuni soldati di
ronda s'erano gi avvicinati, attirati da quel trambusto.
Subito si udirono squillare i trilli d'alcuni fischietti e poi di diverse trombe provenienti
da luoghi anche lontani dei giardini reali, segno evidente che le guardie stavano gi
effettuando le ricerche; anche Sandokan era andato a munirsi di una lanterna e con tutti
gli altri inizi ad compiere una meticolosa perlustrazione.
Il rajah attravers innumerevoli viali costeggiati da bellissimi banani, penetrando in fitte
macchie d'arbusti spinosi, senza badare se la sua preziosa casacca che aveva indosso si
lacerasse contro le punte di quella vegetazione. Giunse poi in un vasto spiazzo,
lastricato con blocchetti di pietra colorata; nella piazzetta s'ergeva un chiosco di legno,
sormontato da un'infinit di piccoli campanili, con tetti arcuati ed irti di punte dorate:
era un piccolo tempietto votivo, oltre il quale s'alzava il muro di cinta, segno evidente
che il parco da quella parte era terminato.
Nel frattempo giunsero altre guardie con il capitano responsabile della sicurezza nella
reggia, annunciando con dispiacere che nessuno era stato rintracciato nel perimetro
verde e che quindi era lecito supporre che fosse fuggito prima che scattasse l'allarme.
Tutti tornarono quindi al palazzo, ma i soldati a guardia della cinta muraria furono
raddoppiati. Sandokan prima di risalire nel suo appartamento si sofferm sotto alla
finestra da dove la freccia era stata scagliata. Delle piante rampicanti, fittamente
intrecciate, coprivano quasi interamente la facciata di quell'ala del palazzo,
incorniciando le finestre ed arrivando sino al tetto. La robustezza dei rampicanti avrebbe
potuto permettere a chiunque di dare la scalata alla facciata senza il timore di cadere.
Probabilmente l'ignoto messaggero aveva seguito quella strada per spingersi alla
finestra del sultano e tirare su di lui la freccia, senza tema di sbagliare mira. Dopo
questa considerazione Sandokan decise di rimettersi al letto. Cos fece, ma impieg
molto tempo prima di riprendere sonno, poich era un poco preoccupato di quello che
era accaduto nella sua prima giornata come nuovo rajah del Kini-Balu.
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CAPITOLO SECONDO

LA COSPIRAZIONE
Era notte. La capitale del regno di Muluder aveva le strade semibuie Non esisteva
ancora l'illuminazione pubblica e comunque solo le strade principali erano illuminate,
per giunta malamente, da lanterne di diverso tipo o da fiaccole, che per si spengevano
nel corso della notte, in quanto nessuno provvedeva ad alimentarle o a sostituirle. A
quell'ora le strade erano deserte, anche perch dopo la mezzanotte solamente le ronde
delle guardie del rajah solevano girare per la citt. Solo qualche raro uomo s'aggirava
ancora per le vie, cercando di raggiungere in fretta la propria abitazione, forse di ritorno
dalle bettole e dalle osterie o forse diretto al piccolo porticciolo, in riva al lago, ove tra
poche ore, alcuni, pescherecci sarebbero partiti, come abitualmente accadeva ogni
mattina, verso lestuario dello specchio dacqua, un fiume molto pescoso.
Il silenzio nella citt era quasi totale. Ogni tanto si sentiva l'abbaiare di un cane o il
grido di qualche uccello notturno. La notte era molto fresca ed un venticello delizioso,
che proveniva dalle vicine foreste, faceva muovere le foglie d'alberi e cespugli che
rigogliosi crescevano ai lati dei viali principali della capitale.
Strade e vicoli erano quasi tutti sporchi in quanto era raro vedere uno spazzino che
pulisse le vie, che poi, nella quasi totalit, non erano nemmeno lastricate, ma fatte di
terra battuta, che diventava fanghiglia, dopo ogni pioggia.
Su una di quelle vie, un largo viale che conduceva alla periferia, e pi precisamente ad
una pagoda eretta al dio Visn, due uomini camminavano vicini, piuttosto guardinghi,
voltandosi sovente indietro, come per paura di essere seguiti. Discorrevano sottovoce,
animatamente, gesticolando.
Uno di questi, da come era vestito, sembrava essere un guerriero o comunque un alto
ufficiale della guardia regia: portava, legata alla cintura, un pesante kampilang,
la terribile sciabola malese che veniva fabbricata con l'eccellente acciaio del Borneo e
due pistole dalle lunghe canne, probabilmente indiane, armi di grande precisione. Aveva
in capo un turbante bianco, mentre un lussuoso completo di tela gialla ed un paio di
babbuccie color giallo oro completavano il suo abbigliamento.
L'altro uomo vestiva molto pi poveramente e sembrava essere uno dei servi del
sultano, in quanto, come tutta la servit di sesso maschile che lavorava alla reggia,
portava un sottanino di un color arancione ed un gilet senza bottoni. I piedi erano scalzi
ed in testa aveva un fazzoletto piegato a triangolo, annodato dietro la testa, con i due
angoli sopra la fronte rivolti verso l'alto.
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Quello che sembrava un alto grado della guarnigione del sultano disse, quindi,
all'altro:
- Sei proprio sicuro di non essere stato seguito?
Il presunto servo rispose:
- Stai tranquillo, orange. Nessuno mi ha veduto.
- Credo che hai corso un rischio del tutto inutile a tirare quella freccia.
- No, mio generale. Avevo calcolato tutto e bene: l'ora, il giardino completamente buio,
il luogo isolato e senza guardie.
- Ma perch l'hai voluto mettere sull'avviso? Ora sar pi guardingo e magari riuscir a
conoscere il nostro segreto, a forza d'interrogare i vari servi o i soldati di guardia.
- Stai tranquillo. Nessuno parler E poi solo a pochi dato di conoscere la verit.
- Infatti anche io non ne so molto. Credo che adesso sia la volta buona che tu mi spieghi
tutto. Mentre percorriamo questo viale in direzione della pagoda di Garuda, ove siamo
attesi, potresti cominciare a parlare. Il posto qui completamente isolato e quindi
saremo sicuri da occhi ed orecchi indiscreti. Parla dunque!
- Ebbene, orange, ti dir tutto, incominciando dal principio, anche se alcune cose le
conosci gi benissimo. Aggiunger alcuni elementi nuovi che giocano ulteriormente a
favore della nostra causa. Il Sultano di Varauni e quello di Sarawak stanno da tempo
preparando la sollevazione delle trib nelle regioni orientali del regno di Sabah, quelle,
che come ben sai, non si sono mai piegate completamente alla dominazione del vecchio
rajah.
- Ne so qualcosa! - interruppe il generale - Dovetti sacrificare i miei migliori soldati, per
sedare quella rivolta.Mi rincresce che tali atti d'eroismo a nulla servirono, con
l'aggravante che dovetti uccidere centinaia di valorosi guerrieri avversi, che ora
sarebbero potuti essere di prezioso aiuto alla nostra cospirazione!
- Non ti devi crucciare per questo, o valoroso guerriero! Tu hai recitato ottimamente la
parte del generale, comandante di tutte le truppe del rajah, in modo esemplare:
Sandokan si fida ciecamente di te e mai potr pensare che sei affiliato alla cospirazione.
- Non so se il nuovo rajah, tanto diverso dal padre suo, ha nei miei confronti grande
stima. Proprio questa notte ho avuto con lui una lunga discussione.
- Lo so, orange, ho sentito tutto da dietro una porta. Anzi poco ci manc che Sandokan
capisse che stavo spiandolo. Comunque sappi che tutto procede a meraviglia e secondo i
piani del nostro capo, il quale sta largheggiando in regali principeschi sia nei confronti
dei due sultani confinanti sia con i capi trib dell'interno che si stanno per sollevare
contro Sandokan.
- Tutto ci che mi stai dicendo, Lambak, io gi lo conosco - interruppe di nuovo
il generale, con tono irritato - Ora dimmi invece le novit!
- Le buone nuove sono queste: l'esercito di Varauni sta per varcare le frontiere a sud -
riprese il servo con tono trionfante - e presto invader il regno. Se l'esercito di Sandokan
sar occupato a sedare le rivolte delle trib dell'est, Varauni potr arrivare alla capitale
del Sabah, prima che Muluder possa tornare indietro per difenderla. Fatti prigionieri i
familiari del rajah, sar facile chiederne la resa totale ed incondizionata. Inoltre
facciamo gran conto sul fatto che i soldati che tu comandi possano tradire il sultano
del Kini-Balu e passare dalla parte di Varauni, scompaginando definitivamente ogni
desiderio di resistenza di Sandokan.
- Ma questo una vera infamia - esclam il generale, in un ultimo anelito di lealt nei
confronti del suo rajah che stava ormai tradendo - Cosa guadagner in tutto ci visto
che il rischio altissimo? Per questo tipo di diserzione vi la morte, quella pi orribile
per un soldato: la testa schiacciata da un elefante.
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- Ed proprio per questo motivo che il tuo aiuto sar determinante. Se tutto andr bene
e se ogni reparto dell'esercito passer dalla parte della sollevazione tu sarai nominato
primo ministro del regno di Sabah e cio di quella parte del regno che rimarr dopo che
le trib dell'est se ne saranno distaccate e dopo gli allargamenti territoriali del sultano di
Varauni e di Sarawak. Questo ci che ti manda a dire il capo supremo della
rivoluzione. Rimarr lo stesso un grande stato e tu sarai l'uomo pi importante del Kini-
Balu.
A questa rivelazione determinante gli occhi del generale si dilatarono dalla cupidigia ed
una fiamma sinistra s'accese dentro di essi. Un ghigno feroce s'incornici sul suo viso,
mentre i pugni si strinsero in segno di gran gioia e soddisfazione per la promessa fatta a
lui dal comandante della rivoluzione, per bocca di quel servo. La risposta che avrebbe
dato a quella proposta, non poteva essere che d'assenso. Perci disse:
- In effetti quello che mi si propone molto. Credo che accetter. E' sempre stato il
mio sogno avere onori e gloria. Mi hai convinto. Ma ora dimmi: tu cosa avrai in cambio
per tutto quello che stai tramando ed organizzando?
Questa volta furono gli occhi del servo che s'accesero di un odio profondo e forse per
troppo tempo sopito e nascosto.
- Quello che ci guadagno io? . . . La vendetta!,
Ci fu un lungo silenzio, poi il servo riprese, aggiungendo con un sibilo, come se gli
provocasse dolore seguitare il racconto:
- Devi sapere, o signore, che quando ero pi giovane, ancora ragazzo, mi sembra di
rivedere ora ci che m'accadde un tempo, mio padre fu scoperto dal vecchio rajah
mentre rubava alcuni smeraldi, staccandoli da certi abiti dismessi del sultano. Faceva
ci perch ne aveva bisogno: la nostra era una famiglia povera e numerosa. Il rajah che
vide tutto, lo insulto, lo schiaffeggi e lo cacci dalla reggia. Il mio povero padre, preso
dalla vergogna ed affranto per l'accaduto s'uccise, andandosi a gettare dalla rupe di
Alfagar. Mia madre, appresa la triste notizia s'ammal ed in breve mor. Io, che ero il
pi grande dei miei fratelli, dovetti badare a tutti loro, sino ad oggi. Faticai e lavorai
come un paria, evitato e scansato da tutti poich per necessit avevo tentato di
commettere anche qualche rapina. Finalmente il vecchio sultano, forse perch dimentico
di chi io fossi o perch preso dal rimorso per ci che aveva provocato nella mia
famiglia, mi fece assumere al suo servizio. Ma io non ho scordato e giurai in cuor mio
di vendicare i miei genitori. E cos ora voglio rifarmi contro l'intera famiglia del
sultano. Ecco perch ho tradito e tradir!
S'interruppe poich la sua voce aveva cominciato a tremare, mentre l'intero corpo era
scosso da un fremito.
Il compagno ne fu molto colpito e non lo volle interrogare oltre su questo argomento.
Segu un lungo silenzio, rotto solo dallo scalpiccio dei loro passi, mentre seguitavano a
percorrere il viale che menava all'estrema periferia della citt.
I due uomini, che ormai i nostri lettori avranno riconosciuto per il generale Batik,
comandante delle truppe reali, e per Lambak, il servo che Sandokan aveva sorpreso ad
origliare fuori della sua porta, si stavano inoltrando sempre di pi in una strada che
attraversava la campagna, nella quasi totale oscurit. La pagoda era ormai vicina e se ne
intravedeva l'alta cupola che svettava oltre un boschetto di bamb.
Intanto il discorso tra i due traditori riprese.
- Occorre innanzi tutto - disse il generale Batik - che io prenda contatto con i
vari comandanti a capo delle altre guarnigioni. Non tutti saranno dalla nostra
parte e bisogner che io tenga loro un discorso ben ponderato, cercando di non
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presentarmi come un sovversivo, perch qualcuno potrebbe anche andare a riferire la
cosa al sultano ed in tal caso saremmo spacciati. Agir invece con prudenza ed
oculatezza.
- Ricordati, o mio signore, - aggiunse Lambak con un perfido sorriso - che dove non
arriveranno a convincere le tue parole, giunger questo .. .
E mostr un affilatissimo kriss dicendo:
-E' intinto con il succo dellupas ed il veleno non perdona; basta un graffio e chi tra i
tuoi sottocapi avr qualche dubbio sulla nostra congiura, non avr pi tempo per
decidere se stare da una parte o dall'altra. Andr subito in braccio a Tuppa che se lo
porter nel regno dei morti.
- Speriamo bene - concluse Batik - poich togliere il potere a Sandokan non sar una
cosa facile; un valoroso e non ha certo paura dei nemici n del loro numero. Inoltre
anche i suoi fratelli sono decisi e determinati.
- In ogni modo - seguit Lambak - oggi o domani partir per le regioni dell'est. Ho gi
detto al maggiordomo di corte, responsabile della servit, che mi assenter per un mese
dalla reggia. Far un giro di ricognizione, anticipando il viaggio del giovane fratello di
Sandokan, verso il Kina-Balu. M'adoperer inoltre affinch, durante la strada, incontri
qualche sorpresa o che trovi una pessima accoglienza proprio da parte di quei daiacchi
che lui spera di ricondurre sotto l'egida di Sandokan . . . .
E qui fece udire una stridula risata, che la diceva lunga sui suoi tenebrosi progetti.
Ora - aggiunse Lambak - affrettiamo il passo. Siamo attesi dal gran capo della rivolta. Ti
premetto che un bianco, un uomo potente e spietato, che ha fatto una immediata
fortuna alla corte di Varauni, in quanto in contatto con gli inglesi e gli olandesi. Devi
sapere che queste potenze straniere vedono di malocchio l'accresciuto dominio dei
Muluder. Sembra che questo bianco, di nome Hold, abbia avuto dagli stranieri oro a
profusione, e carta bianca su tutto ci che concerne questa nostra insurrezione. Pare
anche che sia destinato, una volta portata a compimento questa missione, a sostituire lo
stesso Sandokan alla guida di questo regno.
Mentre cos parlavano i due loschi figuri erano arrivati ad una radura al cui centro si
trovava un enorme tamarindo, che in quei paesi raggiunge delle altezze e delle
dimensioni colossali e i cui rami si distendono all'intorno del tronco in maniera
prodigiosa. Sono alberi bellissimi a vedersi, con una spessa corteccia raggrinzita, ccn
delle foglie molto grandi che finiscono a punta. Le loro frutta sono usate dai malesi e
dagli indiani non solo come rinfrescante ma come alimento: infatti da esse si ricava uno
dei tanti condimenti per preparare il carry, piatto molto apprezzato da tutte le
popolazioni asiatiche in quanto un insieme di carni e spezie che si servono a tavola
come accompagnamento o contorno di altre pietanze.
Ad un lato di questa spianata si ergeva una costruzione a pianta circolare, parecchio alta
e maestosa, una specie di tempio votivo eretto dai credenti della citt, nel quale
venivano esercitati i culti delle divinit induistiche. Uno di questi dei era appunto
Garuda, un dio molto caro ai Bornesi, ma poco venerato nella vicina India, che nella
loro mitologia veniva raffigurato come un mezzo uomo e un mezzo animale. Un'infinit
d'alte colonne cingeva le mura di questo tempio: erano tutte scolpite a mano e
raffiguravano tantissime scene della religione bornese ed in particolare le gesta del dio
Garuda che salvava gli uomini dalle potenze della natura o da orribili mostri alati o
marini.
Mentre i due uomini s'avvicinavano all'ingresso del tempio, un enorme portone di
bronzo sul quale era scolpito il solito Garuda che strozzava un terribile serpente che
aveva avviluppato tra le sue spire un adepto di tale religione, cominci a sorgere l'alba.
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Pag. 24 I due cospiratori si avvicinarono ad una porticina secondaria del tempio: un
uomo li attendeva.
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II cielo, come accade nelle regioni tropicali, passava dal blu intenso ad un celeste
pallido, con estrema velocit, mentre la luce del mattino scacciava le tenebre in modo
cos repentino che in pochissimi minuti alla notte segu immediatamente il giorno. Il
silenzio notturno cedette cos il posto ad un brulicare di suoni e grida di vari animali, tra
cui quelle prodotte da miriadi d'uccelli che s'alzarono in volo con un intenso rumore
d'ali sbattute.V'erano in quel luogo dei bellissimi cespugli di mussenda, dalle foglie
sanguigne e dai fiori profumatissimi, sui quali alcuni balbul, una sorta d'usigroli, si
provocavano a vicenda, emettendo suoni piacevolissimi. Poco pi in l v'erano delle
macchie di mhowah, di mangifere, di saal, di tek che bordavano tutta la radura. Su di
essi cominciavano a giocare delle scimmie chiamate manga, che s'erano destate da poco.
Alte circa cinquanta centimetri, con il corpo magrissimo e la coda smisuratamente
lunga, con il mantello di vari colori, in quanto scuro sulle spalle, bianco sulla schiena,
mentre verdastro sopra la testa, nero sulle mani e sulla fronte, dove sembra che formi
un cappello, saltavano da un ramo all'altro facendo un baccano assordante. Sono bestie
cattive e dispettose che saccheggiano e devastano le coltivazioni dei contadini,
provocandone ingenti danni.
I due cospiratori si avvicinarono ad una porticina secondaria del tempio: un uomo li
attendeva. Si trattava di un essere deforme, basso con una doppia gobba. Era
seminudo: una corda di pelle di serpente gli cingeva i fianchi e sorreggeva uno straccio
che un tempo poteva essere stato un sottanino. Aveva i capelli molto lunghi, raccolti
intorno alla testa, impiastricciati con del fango giallognolo essiccato. Il suo corpo era
unto con olio di cocco. Vedendo i due uomini s'inchin devotamente.
- Fammi parlare con Hold - disse Lambak.
L'altro pieg la testa in segno di assenso e li fece accomodare in una stanza appena
rischiarata da una lampada ad olio attaccata all'alto soffitto.
Dopo pochi minuti entr un uomo bianco. Poteva avere una quarantina di anni. Aveva
un cappellaccio calzato in testa che in parte mascherava il viso, forse per nascondere una
profonda cicatrice che aveva sulla fronte. Il volto era parecchio abbronzato con i
lineamenti molto duri. Era di corporatura robusta e di altezza superiore alla media.
Vestiva con un completo di tela grigia, con alti stivali di pelle nera. Portava due
cartucciere a bandoliera ed un cinturone nel quale erano infilate due pistole, un tarwar
ed un corto coltello. L'aspetto era quello di un avventuriero. E difatti era di tale risma
quell'uomo, un inglese che da molti anni viveva nei possedimenti britannici dell'oriente
e che veniva reclutato spesso dal Governatore di Singapore per svolgere le missioni pi
varie: a volte spia, a volte sicario, a volte contrabbandiere d'alcolici, e a volte, come in
questo caso, sobillatore di rivolte o insurrezioni in stati, come quello di Sabah che
potevano suscitare gli sfrenati interessi coloniali inglesi.
Infatti da alcuni anni il regno di Muluder aveva svegliato le attenzioni di politici e
militari inglesi ed olandesi, cio di nazioni che in quel periodo stavano accrescendo a
dismisura la loro presenza nella Malesia e nellarcipelago circostante. Tali
attenzioni s'erano generate anche perch il vecchio rajah Muluder, aveva, durante tutto
il periodo del suo regno, ingrandito notevolmente i suoi stati, divenendo cos il sultano
pi possente del Borneo, ci che destava le preoccupazioni dei governi coloniali di
Olanda ed Inghilterra che avevano invece interesse a far diminuire la potenza di tutti i
regni locali, onde estendere al contrario la propria influenza.
Quindi il Governatore inglese di Singapore, citt che era divenuta nell'ultimo decennio
una fortissima base navale britannica e centro di vastissimi interessi commerciali,
d'accordo con i responsabili della politica olandese in oriente, aveva concertato uno
astuto piano per ridurre l'espansione del rajah di Sabah o per sostituirlo al trono con
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qualche proprio emissario. Al fine di meglio completare il complotto e per ordire una
trama che non vedesse coinvolte le potenze europee in maniera diretta, il Governatore di
Singapore aveva convinto il sultano di Varauni e quello di Sarawak a compiere con i
propri eserciti delle continue scorribande e provocazioni nei territori di confine dei
Muluder, onde provocare la loro reazione. Se poi il sultano del Sabah fosse caduto nel
trabocchetto ed avesse attaccato Varauni e Sarawak, l'Inghilterra avrebbe avuto un
ottimo pretesto per intervenire, con la scusa di dover proteggere quei sultanati, ormai
vassalli dell'impero coloniale britannico.
Ma tale diabolica macchinazione era solo in parte riuscita, in quanto il vecchio rajah
Muluder, pur respingendo di volta in volta gli sconfinamenti degli eserciti dei sultanati
confinanti, non aveva mai contrattaccato e quindi non s'era spinto nei territori nemici,
come invece l'Inghilterra prevedeva che facesse. Allora il "leopardo" inglese, che non
amava perder tempo in inutili, attese, aveva ingaggiato mister Hold al fine di sobillare
un'insurrezione nel regno del Kina-Balu, largheggiando a profusione sia in promesse sia
in regalie a chi avesse abbracciato la causa degli insorti. Cos Hold aveva dapprima
convinto il sultano di Varauni ad intensificare i propri sconfinamenti nel territorio
di Sabah, aumentando ogni tipo d'atrocit con trucidazioni d'ogni abitante
inerme, sperando che il rajah Muluder decidesse finalmente di scatenare una guerra,
poi aveva corrotto molti funzionari e dignitari della corte reale, ricorrendo anche a
prezzolare servitori intriganti e vendicativi, come nel caso di Lambak. Proprio
quest'ultimo era stato nominato da Hold suo luogotenente, ed era stato incaricato
di corrompere il comandante dell'esercito Batik.
Abbiamo appena visto come questo diabolico piano fosse sinora ben riuscito.
Inoltre Hold aveva, largheggiando in grossi regali, grazie all'oro messogli a
disposizione dagli inglesi, convinto alcuni capi delle trib dell'interno del Kina-Balu a
passare nelle file degli insorti, riuscendo a condurre cos bene tale strategia che ora tutto
era pronto per una sommossa generale che presto si sarebbe dovuta estendere a buona
parte del regno di Sabah.
Per completare il suo piano infernale Hold aveva ora bisogno di raggiungere anche le
trib che risiedevano nell'est del paese. Ma non poteva recarcisi lui stesso: infatti i
bianchi erano molto odiati ed avrebbe corso il rischio di essere catturato e decapitato. A
questo punto Hold aveva avuto l'idea di mandare sul posto Lambak, rifornendolo di
doni per quei villaggi, regali preziosi come armi da fuoco, polvere e proiettili, ed era per
questo che aveva convocato nella pagoda, che fungeva ora da base principale della
sommossa, il servo traditore, suo degno accolito ed il nuovo adepto Batik.
Appena il generale e il servo furono alla presenza dell' inglese, questo disse:
- Apprezzo gli uomini puntuali. Sei arrivato all'ora stabilita. Molto bene. T'informo
che devi partire domani stesso, poich occorre stringere il pi possibile i tempi
perl'insurrezione. Hai qualche nuova da raccontarmi circa il nuovo sultano Sandokan?
Lambak gli rifer dettagliatamente degli ultimi eventi accaduti a corte, non tralasciando
di raccontare del colloquio avuto tra Sandokan e i suoi fratelli, che aveva potuto
comprendere pienamente avendo tutto spiato a dovere. Spieg poi quale nuova strategia
volesse adottare Sandokan nei confronti di tutti i nuovi eventi che stavano accadendo.
- Molto bene, - disse Hold, quando Lambak ebbe terminato il suo racconto - Senza
saperlo il nuovo rajah sta facendo il nostro gioco. Dividendo le sue forze sar pi facile
attaccarle e distruggerle. Tutto va per il meglio. Parti mio fido e ricordati delle promesse
che ti ho fatto: avrai denaro ed onori a profusione e a te riserver il piacere di farti
uccidere con la tua stessa mano il vecchio sultano.
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Lambak s'inchin raggiante.
- Ed ora a noi generale! Mi hanno riferito che hai deciso di aderire alla nostra causa. Ne
sono felice e me ne compiaccio. Ti premetto che confermo in pieno tutto ci che
Lambak ti ha detto, in cambio della tua devozione. Non avrai a lagnarti di me. Conto
molto sulle truppe che dovrai far passare dalla nostra parte, e ti posso assicurare che,
con un poco di fortuna, potresti arrestare lo stesso Sandokan, magari in un momento in
cui lui sta presso di te e si trova distratto e senza difesa. Se cos fosse potremmo
risparmiarci una lunga guerra civile, migliaia di morti, devastazioni e saccheggi. . . .
- Non credo che ci sia tanto facile - l'interruppe Batik - poich Sandokan non certo un
uomo che si pu prendere tanto facilmente. E poi, se debbo essere sincero, mi
ripugnerebbe agire in questa maniera. Un conto tradire il proprio sultano ed
andarmene con tutte le truppe che comando e che mi obbediscono e magari poi
combattere a viso aperto contro lui stesso in una battaglia; un altro conto farlo
immobilizzare o disarmare ed arrestarlo come un volgare bandito. Sono consapevole
d'essere un traditore ma non reputo giusto ricorrere ad un'infamia del genere: per lo
meno io non me la sento; per queste cose dovrai rivolgerti a qualche tuo sicario.
Di fronte a tale discorso, che certo non s'attendeva, Hold sembr riflettere. Non si
aspettava che tra quelle persone di colore, poco meno che selvagge, disposte a vendersi
per l'oro e per il potere, esistessero nobili sentimenti d'onore o di riguardo nei confronti
del nemico o di chi stessero per tradire. Avrebbe voluto cacciare il generale, non
volendo avere al suo servizio uomini che avessero scrupoli o remore di questo tipo; ma
poi pens che non poteva certo permettersi di perdere un alleato del genere e quindi
decise di fare buon viso a cattivo gioco e rispose con un mellifluo sorriso, cercando di
blandire il suo interlocutore:
- Hai ragione caro generale, anzi ti dir che apprezzo questi tuoi sentimenti
:denotano quanto tu sia una persona degnissima . Anzi ti voglio confessare che ho
voluto mettere alla prova la tua lealt nei confronti di chi hai deciso di combattere ma
non di odiare. Ti nomino seduta stante generalissimo di tutte le mie truppe con ampi
poteri di vita e di morte durante la campagna di guerra che andiamo ad affrontare. Se mi
sarai fedele e se dimostrerai che il tuo coraggio pari alla tua fama non avrai a
pentirti della mia generosit. Ora io devo partire urgentemente ma ho preparato su
questo foglio tutti gli appuntamenti e tutte le iniziative che seguiranno. Se ti atterrai
scrupolosamente a questi ordini, tutto andr bene. Leggi il foglio e poi distruggilo.
Comincia intanto a prendere il forziere che si trova nella stanza accanto. Alcuni miei
servi lo porteranno ove tu vorrai. Vi sono dentro centomila rupie. Con queste potrai
affrontare le tue prime spese e pagare i vari comandanti delle citt o delle guarnigioni
che si uniranno alla nostra causa.
Questa notizia fece sfavillare gli occhi del generale di cupidigia; si accomiat quindi da
Hold passando nella stanza attigua a prelevare il premio promesso. Anche Lambak si
allontan dall'avventuriero inglese, salutandolo con devozione.
Poco meno di un'ora dopo la piccola porta della pagoda si apr e ne usc un uomo con
un ricco turbante in testa, vestito con un abito da viaggio elegante, da alto digntario: era
il servo Lambak che aveva cambiato abbigliamento. Non si poteva certo presentare ai
capi delle trib ribelli vestito da servitore!
Lo accompagnavano dodici uomini coperti solo da un turbantino e da un ricco sottanino.
Erano tutti armati di kampilang e di corte cerbottane, quelle terribili armi che lanciano
delle frecce avvelenate.
Si diressero verso un punto della radura dove iniziava un sentiero: era la strada che
conduceva verso le montagne del Kina-Balu, cio verso le terre abitate dai daiacchi di
quelle trib che dovevano passare dalla parte dei rivoltosi.
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Dall'alto di una finestra della pagoda Hold li vide allontanarsi, compiacendosi di come
tutti lo obbedissero con prontezza. Come erano lontani, pensava in cuor suo, i tempi in
cui lui stesso, ex deportato all'isola di Norfolk, penitenziario inglese d'oltre mare, era
sfuggito alla prigionia, approdando sulle coste vicine a Singapore! Il caso volle che
dopo pochi giorni riusc a salvare la vita proprio al segretario del Governatore di quella
citt. Una sera, infatti, Hold si trovava, privo di denaro e con gli abiti stracciati, sul
molo del porto di quella piazza-forte inglese. Mentre stava pensando a come sfamarsi
s'accorse che un uomo bianco era stato in quel momento derubato di una grossa borsa
di pelle da due malesi. Quell'uomo, tentando di resistere ai due malviventi si trovava
ora a mal partito in quanto era minacciato dai coltelli che gli avevano puntato alla
gola.
Concepire un ardito disegno, lanciarsi contro i due ladri, acciuffare quello che aveva in
mano la borsa e dargli un potente pugno stendendolo a terra, fu l'affare di un momento.
Dopodich, mentre l'altro malese fuggiva dalla paura, consegn il mal tolto al suo
legittimo proprietario, aiutandolo a riprendersi dalla brutta avventura. La gratitudine del
segretario del Governatore fu immediata. L'introdusse nei suoi uffici, gli affid delle
importanti missioni che Hold riusc ad assolvere con astuzia e coraggio. Cos si
guadagn la stima e la benevolenza dello stesso Governatore, che l'incaric infine di
provocare una ribellione generale nel regno dei Muluder in cambio di divenirne lui
stesso reggente, purch tributario e soggetto al potere del Governatorato inglese. Cosa
che ovviamente accett subito, vedendo in essa il modo di cambiate totalmente vita,
ascendendo ad onori e ricchezze.
Abbiamo visto come poi si fosse immediatamente dato da fare per raggiungere tale
scopo.



















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CAPITOLO TERZO

NELLE FORESTE
I tredici uomini, tutti montati a cavallo, s'erano lanciati a galoppo sul sentiero che
menava verso le lontane montagne del Kina-Balu, la meta che s'erano prefissati di
raggiungere. Per prima cosa attraversarono la porta orientale della citt: i grossi battenti
erano aperti, ma si trovavano a guardia d'essi una decina di soldati del rajah, che per
non si dettero nemmeno la pena di fermare quella truppa per domandare loro chi fossero
o dove si recassero. I cavalli proseguirono al trotto, onde non affaticare troppo le bestie:
si trattava infatti di percorrere alcune centinaia di chilometri, prima d'arrivare alle
vallate che si trovavano sotto la catena montuosa del Kina-Balu.
II paesaggio era molto bello e selvaggio. I cavalli cercavano, sotto la guida esperta dei
cavalieri, che ben conoscevano la strada, d'evitare le parti della campagna pi
densamente coltivate. Avevano infatti cominciato ad attraversare la zona limitrofa alla
capitale, ove molti contadini coltivavano le terre assai fertili di quelle pianure, con
piantaggioni d'orzo, avena, segale, mais e riso. Questo cereale occupava parecchi di quei
terreni, disposti a terrazzamenti, essendo la vallata in lieve declivio, coperti da un pelo
d'acqua che veniva portata da un livello a quello superiore da ingegnosi ma semplici
sistemi a ruote. La forza motrice era ovviamente umana: i contadini facevano girare,
servendosi delle braccia o delle gambe, una sorta d'ingranaggi dentati, di bamb,
collegati alle ruote che immergevano le pale, alle cui estremit v'erano delle bacinelle,
che cos issavano l'acqua al terrazzamento soprastante. In questo modo le terrazze erano
copiosamente innaffiate di continuo, ci che garantiva una buona cultura del riso.
Terminato d'attraversare le zone agricole che cingevano la citt per diversi chilometri
quel drappello di cavalieri, si inoltr per un sentiero appena tracciato, che costeggiava
dei folti ed impenetrabili boschi. Per questo motivo il percorso seguito non si svolgeva
in linea retta, poich si era costretti a compiere numerosi giri viziosi onde aggirare ogni
sorta d'ostacoli.
Faceva molto caldo ma per fortuna buona parte del percorso era all'ombra: enormi
alberi d'ogni tipo e dimensione riparavano dal sole i cavalieri: a volte v'erano
raggruppamenti di colossali piante di tamarindo, poi boschetti di manghi, carichi
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di frutti squisiti; pi avanti foreste di palmizi tara e d'altre decine di tipi di piante, che
costituivano la lussureggiante vegetazione di quella immensa isola.
Verso mezzogiorno Lambak comand la fermata. I cavalli erano stremati in quanto
avevano camminato a passo accelerato per oltre cinque ore senza mai fare sosta.
Il posto era ottimale poich si trovavano ora sotto l'ombra d'alcune palme molto
frondose, che diffondevano una dolce frescura, mitigando il caldo che a quell'ora era
davvero torrido. Da alcuni sacchi i cavalieri trassero le provviste e le bevande, che si
erano portate appresso e si sedettero accanto ad alcuni vecchi tronchi secchi che erano
distesi a terra, e si divisero fraternamente il pasto mettendosi a chiacchierare tra loro.
Il servo del rajah era desideroso di raggiungere in fretta la meta: voleva infatti anticipare
l'arrivo del fratello di Sandokan, onde avere il tempo di convincere definitivamente i
capi trib all'insurrezione e congegnare con loro un piano d'azione. In un cofanetto,
legato sulla schiena del suo cavallo, vi erano i doni per quei potenti alleati: si trattava di
monili e collane, con pietre preziose e ori, di notevole valore, che erano stati a lui
affidati da mister Hold nella pagoda quella stessa mattina prima della partenza. Inoltre
su altri cavalli v'erano alcune casse di legno nelle quali v'erano decine di fucili ad
avancarica con polvere da sparo e proiettili in abbondanza. Ancor pi dell'oro questi
doni avrebbero acceso la cupidigia di quei selvaggi. Possedere un'arma da fuoco,
quando nessun altro abitante di quelle contrade ne aveva, significava veramente
solleticare al massimo l'ambizione ed il desiderio di potenza di quelle trib. Erano armi
che avrebbero imposto il rispetto e la supremazia sulle popolazioni vicine, incutendo nei
nemici un sacrosanto terrore. Cosa si poteva dare di pi in cambio di un loro appoggio?
Nel frattempo il pranzo era terminato. Molti di quegli uomini s'erano distesi, a terra,
cercando di dormire, anche per far trascorrere in un modo o nell'altro quelle due o tre
ore necessarie per far riposare le cavalcature.
Era gi trascorsa una buon'ora dalla fine del pasto quando il relativo silenzio, rotto
solo dallo stormire delle foglie o dal grido gracchiante di qualche pappagallo, fu
lacerato da un urlo di terrore pi che di dolore:
- Padrone aiuto! Sono stato morso da un cobra!
Tutti s'alzarono di scatto impugnando chi una rivoltella, chi un kampilang. Un uomo,
quello che aveva gridato, si contorceva gi a terra, preso dai primi dolori cagionati dal
morso del serpente.
Ed infatti sotto al tronco accanto al quale lo sventurato s'era coricato, faceva mostra
di se un serpentello, lungo non pi di venti centimetri, molto sottile, di color nero a
macchie gialle, il pi terribile di tutti i rettili che vivono nelle foreste equatoriali e
tropicali: il serpente del minuto. E' cos chiamato perch sessanta secondi dopo il suo
morso anche l'uomo pi robusto muore tra atroci dolori. Non esistevano rimedi o
antidoti ed era del tutto inutile provocare tagli nella parte del corpo morso dal serpente
per farne uscire il sangue. Ed infatti il povero uomo gi rantolava, contorcendosi a
terra, in preda a foltissimi spasimi. Mentre alcuni compagni di quello sventurato
uccidevano il terribile rettile con i loro grossi spadoni, Lambak si chin in terra e
prese la testa dello sfortunato cavaliere. L'adagi delicatamente sul proprio braccio,
dicendogli:
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- Coraggio. Tuppa e Garuda t'avranno fra breve tra loro e avrai solo per te le delizie del
Kailasson. Muori pure tranquillo poich appena saremo di ritorno verseremo il tuo
premio in denaro nelle mani di tua moglie.
Non aveva nemmeno terminato di pronunciare queste parole che l'uomo stralun gli
occhi mentre una bava sanguigna gli apparve ai lati della bocca. Poi lanci un ultimo
rantolo ed infine s'irrigid in tutte le membra: era morto. Il serpente l'aveva fulminato.
- Scavate una fossa con i kampilang e deponetevelo dentro. Poi allontaniamoci da questi
maledetti tronchi marci: sono sicuramente la tana d'altri serpenti! - ordin il servo del
sultano.
Tutti obbedirono ed in breve la buca fu ultimata e l'uomo vi fu deposto dentro; poi fu
ricoperto con delle pietre onde non divenisse preda delle belve feroci durante la notte
L'accampamento provvisoro fu spostato poco distante e tra la tristezza generale si
fecero passare altre due ore di riposo, quindi il gruppo d'uomini si rimise in marcia.
Ora la pianura si faceva pi scabra. Ogni tanto s'incontravano dei crepacci o delle
piccole gole che bisognava aggirare, mentre altre volte si vedevano delle erte salite:
altro non erano che i primi contrafforti del massiccio del Kina-Balu, le cui vette toccano
i tremila metri d'altezza.
Bisognava quindi prendere una direzione diversa poich era inutile salire faticosamente
quelle colline per poi discenderle subito dopo e quindi ricominciare ancora, in quanto i
cavalli si sarebbero logorati inutilmente. Si decise quindi di attraversare le foreste che
s'estendevano superbe in direzione nord-est, per poi dirigersi a sud, una volta superato lo
sbarramento delle montagne: la strada sarebbe stata indubbiamente pi lunga ma pi
veloce.
La vegetazione si faceva per sempre pi fitta e l'andatura dei cavalli dovette essere
ridotta a causa della necessit di procedere a zig-zag, dovendo aggirare ogni tipo di
ostacoli.
Quella sera i congiurati si fermarono a ridosso di un intricatissimo boschetto di bamb,
che precludeva il passaggio di gente montata a cavallo. Tutti scesero a terra e diedero
mano alle scimitarre. Due tra i pi robusti elementi del gruppo si misero in testa alla
colonna cominciando a menare fendenti possenti contro quell'intricato muro di canne e
di cespugli spinosi.
Dopo circa un'ora di duro e lento cammino, il capo dette il segnale della fermata.
Avevano trovato una radura: i bamb erano tutti divelti e giacevano al suolo come se
un'enorme falce l'avesse tagliati.
- Saranno stati i bufali selvaggi - ipotizz Lambak rivolto ai compagni di viaggio.
- No, padrone! Questa opera di un "solitario"- gli rispose un compagno.
Per "solitario" s'intende, in quelle regioni, un elefante, spesso vecchio o malato, che
viene scacciato dal branco o che se ne allontana volontariamente e vive da solo. Spesso,
a causa del suo carattere, irascibile e violento, provocato dalla solitudine o dal sentire
prossima la sua fine, attacca tutto ci che incontra sul suo cammino, non risparmiando
n uomini, n bestie, n case, n alberi: preso da un cieco furore distruttivo non si calma
finch ha un briciolo di forza o solo dopo aver distrutto il suo ipotetico nemico.
- Beh, speriamo che non torni indietro e ci lasci riposare in pace per questa notte - disse
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il capo della spedizione.
- Di solito cos, - sentenzio Antar, il giovane che aveva affermato che quelle canne
abbattute erano opera di un elefante - ma a volte tornano anche indietro
- Accendiamo un fuoco, mangiamo la cena e due di voi si mettano subito di guardia, ai
lati della radura; ogni tre ore vi darete il cambio - ordino Lambak.
Tutti si misero a raccogliere rami e canne, anche per liberare un poco di terreno onde
poter agevolmente coricarsi a terra; inoltre occorreva evitare che, accendendo un fal, il
fuoco si potesse propagare per ogni dove.
Poco dopo, appena terminato di cenare, tutti s'addormentarono, tranne due uomini che
seduti ai bordi della radura facevano buona guardia, tenuti svegli e rallegrati da un
grosso fuoco, che era alimentato ogni tanto con copiose bracciate di legna secca.
La notte trascorreva lenta, mentre uno spicchio di luna faceva capolino tra il fogliame
degli alberi. Lo stormire delle foglie era a volte coperto dall'urlo lugubre degli sciacalli
e dalle grida sgraziate dei rapaci notturni, oltre che dal sonoro russare degli uomini della
compagnia.
Gi due turni di guardia si erano succeduti ed era ormai vicina l'alba, quando alle
orecchie dei guardiani, mezzo assonnati, pervenne un rumore, prima lontano poi pi
vicino: era l'approssimarsi di passi pesanti. I due uomini accostarono le orecchie al
suolo: il rumore s'appropinquava in gran fretta.
- Allarme! Presto in piedi! Un pericolo s'avvicina! - gridarono.
- Cosa succede? - chiese Lambak svegliatosi all'improvviso.
- Qualche grossa bestia si avanza, forse il "solitario" che torna.
- Presto cercatevi tutti un luogo sicuro, magari sopra qualche grosso albero! Chi vuole
monti pure a cavallo e fugga! Ci rivedremo qui tra breve! - ordin il servo del rajah.
Stavano gi radunando i cavalli, quando si ud un crepitare vivissimo di bamb spezzati,
e, all'improvviso, al chiarore del fuoco ancora acceso, apparve un colossale elefante.
Era comparso come una furia sul limitare dello spiazzo ed inizi a barrire
spaventosamente: sembrava infuriato. Evidentemente era tornato sui suoi passi, come
qualcuno del gruppo aveva ben ipotizzato. Gli occhi erano iniettati di sangue ed aveva la
proboscide sollevata in alto in atto di sfida: era quello il segnale che indicava come
prossima una carica. Uomini e cavalli erano terrorizzati poich ognuno conosceva
molto bene il pericolo gravissimo che li minacciava.
Alcuni quadrupedi si diedero alla fuga, chi inoltrandosi al galoppo nel bosco di bamb,
chi ripercorrendo il sentiero aperto la sera prima. Quattro uomini erano riusciti a salire
sopra altrettanti cavalli. Altri erano fuggiti a perdifiato in ogni direzione. L'elefante
infastidito dalla presenza di tanti uomini e bestie, e per nulla intimorito dal fuoco, che
per altro gi languiva, caric a testa bassa, barrendo furiosamente. Fatti alcuni passi,
riusc ad acciuffare con la proboscide un uomo della scorta. Sollevarlo, lanciarlo in
aria, a parecchi metri d'altezza, e calpestare il suo corpo, non appena atterrato, fu
l'affare di un momento. Si sent un urlo disumano di dolore, poi uno scrosciare di ossa,
come di rami secchi che si spezzano: l'elefante l'aveva ripetutamente schiacciato con le
sue pesanti zampacce, riducendolo presto in una poltiglia irriconoscibile e
sanguinolenta. Interruppe quel macabro rituale solo per rincorrere un cavallo che non
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aveva ancora trovato scampo nel bosco. Il quadrupede, preso da cieco terrore che non
gli consentiva di procedere in linea retta, si fece subito raggiungere dall'elefante che lo
infilz con uno dei suoi lunghi denti. Un nitrito di dolore risuon tra quello scompiglio.
Il "solitario" scosse quindi il suo enorme capoccione liberando della zanna lo sventurato
animale. Il corpo del cavallo cadde a terra, mentre da un largo squarcio del ventre
uscivano intestini e sangue. Non pago di questo scempio l'elefante agguant con la
tromba un altro uomo che era poco distante e che aveva cercato rifugio su un piccolo
palmizio tara. Il dolore provocato da quella stretta colossale strapp un rantolo dalla
bocca del malcapitato. Non contento di ci l'elefante, usando quel corpo come un
bastone, percosse violentemente lo stesso palmizio finch la testa dell'uomo non
scoppi come un cocomero maturo. Nel frattempo gli altri membri della spedizione
erano riusciti ad allontanarsi convenientemente, di modo che l'elefante non vedendo
pi nessuno nei paraggi, forse soddisfatto da quella prova di forza, barr ancora, come in
segno di vittoria, ferm la sua furia, si gir e, trotterellando, come se nulla fosse
successo, scomparve nel bosco di bamb, tutto travolgendo, ed aprendo una nuova
strada, diversa da quella da cui era venuto all'accampamento. Durante questa furia,
scatenata dalla bestia impazzita, i sopravvissuti s'erano dispersi nel raggio di alcune
centinaia di metri: la paura aveva messo le ali a uomini e bestie Tuttavia trascorsero
alcune ore prima che gli uomini del drappello si potessero ricongiungere. Oltre ai due
morti mancavano all'appello ancora due persone; gli altri si affannarono a chiamarli,
anche se ci poteva essere pericoloso perch era meglio non ridestare invece l'attenzione
dell'elefante, che forse si aggirava ancora nei dintorni. Poco dopo i due dispersi
ricomparvero e cos i nove uomini furono di nuovo insieme. Avevano ora solo cinque
cavalli. Gli altri si erano dispersi nel buio. Lambak era furioso per la brutta piega che
avevano preso gli avvenimenti. Prima un compagno ucciso dal serpente, ora la carica
dell'elefante che aveva stritolato altri due uomini; molti cavalli fuggiti, quasi tutte le
vettovaglie disperse nel raggio di molte decine di metri: era davvero un brutto inizio!
- Per la morte di Garuda! - cominci a strillare - Che siano maledetti tutti gli dei della
nostra religione! Il viaggio non poteva cominciare peggio! E siamo solo al primo
giorno.
Poi, rivolto ai superstiti, aggiunse:
- Attendiamo l'alba frugando in questo scompiglio. Cerchiamo di rintracciare quello che
resta di viveri, casse ed armi. Accendete dei fuochi e delle torce!.
Dopo lunghe ricerche fu recuperato il salvabile: tra questo le casse con i doni per le
trib, che erano scivolate in un fossatello, salvandosi cos dalla furia devastatrice
dell'elefante.
Nel rimettere tutto in ordine si fece gi l'alba.
Lambak dette quindi ordine di partire; su alcuni cavalli trovavano ora posto due uomini,
in quanto le bestie fuggite non erano pi tornate. Nell'animo di tutti v'era molta mestizia
per quello che era accaduto, ma la spedizione doveva in ogni modo proseguire.
La giornata procedette senza altri incidenti. Verso sera, dopo un'estenuante marcia,
rallentata per l'inestricabile foresta, si dette il segnale di fermata. Ci si accamp vicino
ad un piccolo fiume ed i cavalli furono legati ad alcune radici aeree sul piccolo greto in
modo che potessero bere a saziet.
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Dopo un breve pasto tutti si addormentarono, rotti dalla stanchezza del viaggio, salvo
una sola sentinella che prese a fare buona guardia nonostante il desiderio di dormire. Al
sorgere del nuovo sole Lambak si svegli di pessimo umore poich s'era reso conto che
la marcia procedeva troppo lenta e si rischiava di giungere a destinazione solo dopo
l'arrivo di Selim. Inoltre era molto seccato in quanto non voleva arrivare ai villaggi
amici facendosi vedere con una scorta di nove uomini montati su cinque cavalli. Anche
le vesti che avevano indosso erano in brutte condizioni, lacere, sporche e piene di
polvere. Anche il suo ricco doote era in parte strappato, cos come la casacca che gli
copriva le spalle, anch'essa macchiata del sangue di un suo compagno che aveva
soccorso perch feritosi nella fuga della notte precedente.
Ad un tratto gli venne un'idea. Ai potenti capi trib avrebbe raccontato che era staio
attaccato da una compagnia di soldati del rajah, che, senza motivo, avevano caricato la
sua scorta decimandola. Cos avrebbe spiegato il cattivo stato dei vestiti e la pessima
montatura dei suoi accompagnatori.
Il giorno dopo il viaggio prosegu senza nuove sorprese e cos fu anche per tutti i giorni
che seguirono. La marcia fu molto disagiata perch ci si dovette aprire il cammino, per
lunghi tratti, a colpi di scimitarra, in quanto la foresta era piena di rovi, di liane,
d'intricatissimi cespugli; in taluni tratti si dovettero attraversare a guado ruscelli e
piccoli corsi d'acqua.
La mattina del decimo giorno si giunse finalmente in un'ampia radura dove al centro
d'essa v'era un grosso kampong, un villaggio fortificato abitato dai feroci daiacchi, la
popolazione che vive all'interno dell'isola del Borneo.
Si trattava di un agglomerato di una quarantina di capanne in legno, con tetti ricoperti di
foglie di palma mischiata a terra. Attorno ad esse vi era una palizzata, formata da una
serie di tronchi di tek, un legno robustissimo che pu resistere anche ai colpi di quei
piccoli cannoni che si chiamano lil e che lanciano delle palle di bronzo di alcune
libbre. I tronchi, alti circa quattro metri fuori terra, erano piantati molto in profondit ed
erano stretti gli uni agli altri con liane intrecciate molto fortemente. Su un lato di quella
fortificazione v'era un portone, molto grande, aperto. Alcuni selvaggi vi entravano e
vi uscivano, trainando dei pesanti carretti, sui quali vi erano i frutti della terra appena
raccolti.
A piccolo trotto il drappello cominci ad avvicinarsi. Subito, da sopra la cinta, alcuni
guerrieri che erano di vedetta dettero l'allarme. Delle alte grida risuonarono tra quelle
genti e quei selvaggi che erano all'esterno del kampong corsero verso il portone
d'accesso, rifugiandosi tosto tutti all'interno in cerca di protezione, mentre si
provvedeva a sbarrare lingresso. Sugli spalti comparvero molti guerrieri, armati di
lance e cerbottane; erano adorni di piume, dei colori pi belli e variopinti vi potessero
essere in quella regione, che portavano sulla testa come gli indiani d'America. La loro
pelle era molto scura; erano quasi del tutto nudi: un piccolo perizoma copriva il
basso ventre degli uomini, mentre le donne avevano un sottanino fatto con foglie o
con paglia. Uomini e donne erano letteralmente ricoperti di anelli e bracciali, fatti di
rame o d'argento.
Lambak, onde evitare che lui e i suoi uomini fossero scambiati per eventuali nemici,
cominci a lanciare segnali di saluto, poi con circospezione ci si avvicin al villaggio.
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Ad un tratto, quando furono sotto la palizzata, il portale d'ingresso si apr e vi si
affacciarono numerosi indigeni; tra questi spiccava un uomo, molto grasso e basso
vestito con degli abiti che denotavano fosse un capo o quantomeno un ricco notabile del
villaggio. Lambak, avvicinandosi di pi al quel gruppo di indigeni, vide che questo
uomo aveva in mano una sorta di scettro e portava sul capo una specie di corona, per cui
ne argu che fosse il capo trib. E a lui si rivolse con queste parole:
- Salve, grande capo! Io sono l'inviato del sultano di Varauni. La tua fama di possente
monarca, saggio e coraggioso giunta sino al mare di Sarawak e a te vengo in pace.
Anzi ho dei doni che ti manda il sultano e che i miei uomini trasporteranno subito nella
tua dimora.
Il capo trib, tranquillizzato dalle parole dello sconosciuto e soprattutto messo d'ottimo
umore dall'offerta di regali, rispose:
- Entra e che tu sia il benvenuto.
Detto questo fece fare largo alla scorta di Lambak , allontanando i selvaggi che aveva
intorno e invit gli ospiti ad avvicinarsi ad una vasta capanna che pomposamente
chiamava reggia. Era un fabbricato ad un solo piano, fatto di legno nelle ossature
principali e rivestito di bamb e di terra sulle pareti e con il tetto ricoperto di grosse
foglie di palma. Quello che la distingueva dalle altre capanne era una specie di veranda
posta tutto intorno, all'ingresso della quale vi erano piantate una serie di piume di
uccelli molto grosse e bellissime a vedersi.
All'interno i mobili erano pressoch sconosciuti; vi si trovavano invece parecchi vasi e
recipienti di terracotta, anfore ed otri, lance e cerbottane attaccate alle pareti, mentre da
alcuni ganci, infissi nelle travi del tetto, v'erano attaccati dei sacchi contenenti cibarie o
vestiti. A terra vi erano delle stuoie anche colorate. Alcune donne e molti fanciulli
andarono incontro ai nuovi arrivati, non abituati evidentemente a ricevere visite da
persone che venivano da tanto lontano. Il capo, che si chiamava Monah, fece
accomodare l'inviato di Varauni su un vecchissimo e sudicio tappeto, che una volta era
stato probabilmente molto bello. Dei giovani servitori portarono su diversi vassoi
alcuni frutti molto assortiti ed alcune bevande colorate.
Fu il servo traditore a rompere per primo il silenzio, in quanto gli premeva assai
concludere al pi presto l'accordo. Quindi, dopo aver assaporato una tazza di un liquido
molto dissetante, disse.
-Ascolta gran capo! Tu sai che 1' abdicazione del vecchio Rajah di Sabah ha prodotto la
fine di quell'equilibrio che regnava tra le varie parti di questo stato. Molti rancori .sopiti
sono tornati allo scoperto, alti capi influenti come te, reclamano maggiore autonomia
altri tributari vogliono contare di pi nel Consiglio del Regno. Invece il nuovo Rajah,
Sandokan, ha pensato di aumentare le decime da versare nelle casse della corona, ha
deciso inoltre che ogni trib fornisca il cinquanta per cento di uomini validi per
l'esercito e che le donne pi belle si trasferiscano nella capitale per offrirsi come
ballerine e cantanti nella reggia del Sultano.
A mano a mano che il servo comunicava queste notizie, inventate di sana pianta per
gettare risentimento e odio verso il nuovo Rajah, il volto del monarca locale assumeva
un aspetto quasi feroce, al punto che, non potendo pi trattenersi, alzatosi in piedi
grid:
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- Ah! E' cos! Ed io che credevo che il nuovo sultano anelasse la pace per una migliore
convivenza! Dovr per forza di cose ribellarmi; ma, d'altra parte, questa sudditanza mi
stava stretta. Se quello che mi dici vero, e non vedo perch non lo dovrebbe essere,
parler con gli altri capi locali e sollever contro Sandokan una marea di trib. Non
potr pi mettere piede sulle nostre terre.
- Ascolta ancora, o grande capo - continu il perfido servo - a maggior riprova di quello
che ti dico, aggiungo che il fratello minore di Sandokan gi in marcia verso questo
paese per informarti delle nuove decisioni reali e per portarsi via gli uomini validi, le
donne pi belle e le somme di denaro per i nuovi tributi. Proprio dai suoi uomini sono
stato attaccato senza che avessi fatto loro del male e la mia scorta stata crudelmente
decimata. Io e i miei compagni ci siamo sottratti solo per fortuna ad una morte sicura.
Questa nuova notizia fece andare su tutte le furie il selvaggio che diede un
calcio ad un vaso che si trovava l vicino mandandolo in frantumi. Poi prese un
martelletto d'argento e si mise a percuotere con rabbia un piccolo gong che si trovava
appeso ad una parete.
Accorse subito il suo aiutante o primo ministro che fosse; si inginocchi e disse:
- Comanda o padrone .
- Ascolta bene - prese a dire quasi urlando il monarca - raduna alcuni esploratori e
lanciali in tutte le direzioni. Mi diranno se vero che una truppa di uomini si sta
avvicinando alle nostre terre. Poi raduna il consiglio di guerra, dicendo ai vari membri
che ci riuniremo subito. Fai poi il giro del Kampong ed ordina ad ogni guerriero di
preparare le armi. Fai mettere molte guardie sopra la cinta del villaggio e manda nella
foresta parecchi esploratori. Fammi portare le mie armi da combattimento. Infine invia
dei messi alle trib vicine onde ogni capo venga nel nostro villaggio al pi presto per
parlare con me di un probabile attacco portato dal nuovo sultano contro le nostre genti.
Detto questo accomiat Lambak, ma solo dopo averne ricevuto i regali che
provocarono in lui grande gioia, specialmente quando vide le armi da fuoco; cosa questa
che nessun'altra trib possedeva.
Lambak e la sua scorta trovarono alloggio in una capanna attigua a quella del capo.
L'indomani alcuni uomini al seguito del servo cospiratore, cominciarono ad
insegnare ai pi prodi guerrieri del villaggio l'uso dei fucili portati in omaggio.
Il perfido traditore, ben contento di come le cose si stavano mettendo, attese tranquillo
che si svolgessero tutti i preparativi di guerra annunciati dal capo. Intanto alcuni
ambasciatori furono spediti presso le trib vicine che inviarono poi i propri capi al
Kampong per partecipare al consiglio di guerra.
Alcune sere dopo questi avvenimenti, quando tutti i capi delle trib della zona furono
giunte al villaggio, Monah li radun nella sua capanna.
Dopo una breve discussione si decise di attaccare la colonna che s'avanzava nelle
foreste, condotta dal fratello di Sandokan, non appena questa si fosse trovata nei pressi
del villaggio.
Il giorno dopo nella piazza principale tutti i guerrieri, i volti dipinti con i colori di
guerra, ballavano sfrenatamente al suono dei vari strumenti locali la danza tipica per
quelle occasioni che erano vissute come un momento importante ove ogni selvaggio
poteva dar prova del proprio coraggio e del grande valore.
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Nel pomeriggio cominciarono ad affluire alcuni gruppi di selvaggi provenienti dai
villaggi limitrofi equipaggiati per la prossima battaglia. Il capo trib spieg a tutti i
suoi sudditi e ai capi delle trib alleate che occorreva dare al sultano un'accoglienza
memorabile onde stroncare sul nascere ogni presunta speranza di Sandokan di rafforzare
la sudditanza di quei popoli. Tutto fu stabilito fin nei minimi particolari. La gioia di
Lambak nel constatare che il suo progetto stava andando a gonfie vele, fu incontenibile.
Erano gi trascorsi alcuni giorni da questi avvenimenti, quando una mattina alcune
staffette dislocate nelle vallate ciscostanti arrivarono di corsa alla capanna reale dando la
notizia che ad un giorno di marcia s'avanzava un'imponente colonna di soldati. Era il
fratello di Sandokan alla testa di cento uomini.
Il re diede subito l'avvio al piano concordato e i suoi uomini uscirono in gran fretta dal
Kampong andando a dislocarsi ove stabilito, onde far cadere in una imboscata i nuovi
venuti.
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CAPITOLO QUARTO
IMBOSCATE E TRADIMENTI
Facciamo ora un passo indietro per raccontare il viaggio d'avvicinamento di Selim verso
le trib dell'est.
Come il lettore ben si ricorder, Selim aveva accettato con orgoglio la proposta di
Sandokan di mandarlo nelle regioni dell'est per rinsaldare i rapporti con quei popoli
tributari del regno di Sabah.
Per questo motivo la mattina dopo Selim era sceso nel cortile antistante la reggia per
passare in rassegna una grossa compagnia di soldati, gi perfettamente attrezzata per un
lungo viaggio, che era stata schierata in perfetto ordine; la comandava un sottoposto del
generale Batik, il luogotenenete Zerg.
Selim scelse tra i vari guerrieri presenti nella piazza d'armi, un centinaio d'uomini che
sembravano a suo avviso i pi robusti e i meglio montati.
Dopo essersi compiaciuto delle ottime cavalcature che li accompagnavano, sal sopra un
piccolo palchetto e cos arring la truppa:
- Ascoltate o guerrieri del nostro sultano! Sandokan mi ha affidato un'importante
missione che m'accingo a portare a compimento anche grazie alla vostra resistenza e al
vostro ardimento. Si tratta di fare un lungo viaggio. Il nostro obiettivo quello di
rinsaldare i buoni rapporti con le popolazioni del regno, dando loro notizia che,
con l'avvento al trono di Sandokan, il rajah vuole rinnovare con tutti promesse di
pace, collaborazione e prosperit. Saremo quindi ambasciatori che portano buone
novelle. Ci muoveremo immediatamente. Siamo in buon numero propro perch
ci sono pervenute notizie di fermenti e sconfinamenti dei nostri vicini sui vari
confini. Ci muoviamo in pace ma sapremo reagire con fermezza e coraggio contro
chiunque voglia minare la tranquillit del nostro regno.
Detto questo Selim discese dal palco, diede ordine al suo luogotenente di cominciare a
dirigersi al trotto verso la porta orientale, mentre lui sarebbe andato a rendere saluto al
sultano.
Appena la truppa cominci a muoversi, il principe sal di corsa una scalinata ed incontr
Sandokan che veniva verso di lui per accomiatarlo.
- Parto in questo momento, caro Sandokan. Eseguir a puntino quanto mi hai detto. Tu
invece quando partirai?
Sandokan, un po' commosso per la partenza del fratello minore, rispose:
- Non prima di una settimana. Ho alcuni incarichi da svolgere qui a palazzo. Ne farei
volentieri a meno ma non posso sottrarmi al dovere. Mi affiancher in queste
incombenze nostro fratello Agun, in modo che anche lui si impratichisca di questi affari.
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I vari notabili e ministri comprenderanno cos che in mia mancanza lui avr lo stesso
potere del sultano. D'altronde mi assenter per diverse settimane o forse per qualche
mese e quindi Agun dovr badare a tutto, prendendo ogni tipo di iniziativa. Ed ora, caro
Selim, ti auguro buon viaggio. Abbi cura di te e dei nostri uomini. Ricordati che da
questo momento tu rappresenterai il sultano nelle regioni che visiterai!
Detto questo s'abbracciarono lungamente. Poi Selim si diresse verso il suo cavallo che
l'attendeva scalpitando nel cortile, vi sal, fece un cenno di saluto alla madre e alle due
sorelle che stavano affacciate ad una finestra, visibilmente commosse, e si slanci
quindi al galoppo per raggiungere la testa della colonna che lo precedeva d'alcuni
minuti.
La carovana era composta anche da molti cavalli da soma, in quanto Sandokan aveva
disposto che fossero recapitati dei doni ai vari capi dei villaggi proprio per dimostrare
intenzioni amichevoli; oltre ai regali le bestie portavano anche le cibarie e le bevande
necessarie ad un cos gran numero di persone per un viaggio abbastanza lungo.
Anche questa colonna, come il drappello di Lambak che lo precedeva d'alcune ore,
prese la strada che attraversava le immense risaie che contornavano la citt come un
enorme anello lacustre. Successivamente prosegu per le folte foreste che separavano la
regione pianeggiante dalle colline che precedevano il massiccio del Kina-Balu sempre
in direzione est.
I primi due giorni di viaggio furono perfettamente tranquilli. Nessun incidente turb
l'avanzata di quella compagnia di cavalieri che dovevano comunque procedere ad
andatura relativamente modesta in quanto il carico gravante sulle bestie da soma era
notevole e rallentava la marcia. Anche la natura selvaggia contribuiva ad ostacolare
considerevolmente ogni buon proposito di celerit.
L'alba del terzo giorno fu per funestata da una sorpresa davvero spiacevole.
Gli uomini stavano destandosi per riprendere la marcia quando il luogotenente di Selim,
Zerg, un aitante e giovane bornese corse trafelato dal principe, che stava in quel
momento assaporando una tazza di th appena preparato da colui che fungeva da cuoco
per quella truppa.
- Mio signore, - grid con tono disperato - tradimento! Qualche nemico ha tagliato tutti
gli otri e ha sfondato le piccole botti che stavano in groppa ai cavalli da soma!
- Cosa? - chiese Selim che non aveva ben compreso l'accaduto.
- Ti spiego meglio, signore: ogni mattina faccio il giro del campo ed ascolto dalle
sentinelle se vi sono state durante la notte delle novit. Oggi sembrava che tutto fosse
tranquillo, quando avvicinandomi ai cavalli da carico ho notato che qualcosa non
andava. Ho controllato meglio e mi sono accorto che tutte le provviste d'acqua erano
state sabotate: gli otri di pelle d'animale tagliati e le botticelle di legno sfondate. Ho
domandato alle sentinelle se avessero visto o sentito qualcosa, ma mi hanno confermato
che la notte trascorsa tranquilla. Sono quindi corso da te per informarti di quanto
accaduto.
- Quello che successo davvero gravissimo. A parte la mancanza d'acqua, mi
preoccupa il fatto che tra la nostra gente s'annida qualche traditore - disse Selim.
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- Perch parli di tradimento? Non potrebbe essersi introdotto nell'accampamento
qualche guastatore nemico ed aver prodotto tali danni? - chiese il luogotenente.
- No, caro Zerg. Sfondare tante botti produce rumore. Inoltre l'acqua che cade a terra,
nel silenzio della notte non pu non sentirsi. Temo che abbiamo a che fare con un vero
tradimento.
- Che fare o mio signore? Vuoi che faccia fucilare tutte le sentinelle che vigilavano
questa notte?
Selim si mise a riflettere. Non voleva apparire troppo severo n sembrare poco adatto a
prendere decisioni importanti, in quella che era la sua prima missione. Quindi disse:
- Raduna tutti gli uomini, comprese ovviamente le sentinelle.
- Subito orange.
Poco dopo tutta la compagnia si dispose in cerchio attorno al fratello del sultano, che
per meglio farsi udire sal in groppa al suo destriero. Dopo aver a lungo ponderato
quello che avrebbe detto, Selim grid:
- Come gi sapete un fatto inaudito accaduto questa notte. Ritengo che tra noi si
annidino delle serpi immonde al soldo dello straniero, che hanno deciso di tradire il
sultano e di far fallire la mia missione. Se fosse qui mio fratello Sandokan, sono sicuro
che ordinerebbe l'esecuzione immediata degli uomini di ronda questa notte. Io invece
non ci tengo a versare il sangue di chi potrebbe essere anche innocente; desidero invece
conoscere dai traditori il motivo di questo sabotaggio e chi v' dietro di loro ad ordire
questa ignobile trama. Voglio quindi vedere in faccia chi era di guardia questa notte.
Venite innanzi a me.
Nove uomini, con la testa bassa per la vergogna, avanzarono e si misero ad un metro di
distanza da Selim.
- Consegnate tutte le vostre armi - ordin Selim.
Subito i nove bornesi, anche se a malincuore, lasciarono cadere a terra fucili, pistole,
kampilang e pugnali, tosto raccolti dagli altri uomini della colonna che si strinsero
attorno ad essi con aria feroce.
- Ora ognuno di voi subir il supplizio del fumo. Come ben sapete nessuno pu resistere
a questa tortura. Tra di voi v' sicuramente qualcuno che nulla ha fatto questa notte e mi
dispiace far soffrire chi innocente. Quindi io vi dico: chi sa parli adesso, prima che
inizi tale tortura.
Nessuno rispose a quest'appello, cosa questa che convinse Selim ad usare le maniere
forti pur ripudiandole.
- Che ognuno di questi uomini sia legato e sospeso ad un albero. Vi si accenda sotto il
fuoco con i pimenti.
Subito i nove uomini furono acciuffati dal resto della truppa, legati come salami ed
issati ognuno sotto ad alcuni alberi, ad un'altezza di due o tre metri. Sotto di loro
vennero fatte delle buche nel terreno ed in esse furono messi rami secchi e foglie verdi
in modo da provocare poca fiamma e modesto calore, ma invece una gran
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quantit di fumo. Tra le foglie vennero mischiati certi fiori speciali di una pianta locale
simile al pepe, che provocano, se bruciati, un terribile odore penetrante e fastidioso:
questa era una delle torture alla quale venivano sottoposti i sospettati per qualche
crimine, onde estorcere loro confessioni e confidenze, non ottenibili altrimenti.
I fuochi vennero accesi e tosto si gener un fumo denso ed acre, che sal verso i
torturati, che cominciarono a starnutire sonoramente ed in continuazione. Ma il
fastidio maggiore non era certo questo. Infatti il pimento ardendo, iniziava a produrre i
suoi effetti: un intenso bruciore agli occhi, che cominciavano ad arrossarsi e a lacrimare,
ed un terribile fastidio a bronchi e polmoni nei quali penetrava non solo il fumo ma
quella specie di droga. I nove uomini furono allora scossi da profondi colpi di tosse,
mentre sentivano che il respirare diventava loro impossibile.
Tutto intorno facevano cerchio gli uomini della colonna; ciascuno di loro era ben
contento per quel diversivo alla noia del viaggio: ci rappresentava un vero spettacolo
e non una tortura, essendo ben abituati a brutalit e violenze d'ogni genere in una societ
e in un paese come quello, avvezzi a vendette e ferocie proprie di popoli ancora
selvaggi.
Per questi motivi le urla disumane e i rantoli strozzati degli uomini sottoposti alla
tortura non provocavano alcun sentimento di compassione negli spettatori ma anzi un
senso di godimento perch quella tortura rappresentava una giusta punizione ad un
attentato che poteva diventare gravissimo se la compagnia non avesse trovato una fonte
d'acqua o un fiume.
Dopo qualche minuto di quel supplizio alcuni dei torturati cominciarono a gridare,
implorando piet, mentre altri dissero che avrebbero parlato e detto la verit.
A quel sentire Selim, cui ripugnava assistere ulteriormente a quello spettacolo
miserevole, diede ordine che tutti fossero calati a terra, lontani da quei
fuochi. Appena poterono di nuovo respirare liberamente laria pura, furono
interrogati dal fratello di Sandokan che si rivolse ai due uomini che si erano offerti di
dire la verit.
- Dunque, volete finalmente spiegare quel che successo questa notte? - chiese Selim.
Un prigioniero tra i due, con una voce roca, che non sembrava uscire dalla bocca di un
essere umano, rispose:
- Padrone, perdono! S, l'ammetto, sono stato io assieme a lui - ed indic il compagno di
sventura.
- Perch avete compiuto un'azione cos abominevole? - chiese Selim.
- Non volevamo far del male a nessuno dei nostri compagni. Volevamo solo ritardare
l'avanzata della colonna e niente pi.
-Per quale motivo? - l'incalz ancora Selim.
A questo punto rispose l'altro traditore:
- Orange, ti diremo tutto, ma prometti di non farci del male e di proteggerci dalla
vendetta della persona per la quale lavoriamo. Se sapr che t'abbiamo parlato,
sicuramente ci far uccidere.
- Non posso promettervi salva la vita perch su questi atti di tradimento decider il
sultano. Vi giuro invece che nessuno alzer una mano su di voi finch non saremo
tornati alla capitale. Comunque non siete nella situazione di porre condizioni. O parlate
o vi faccio fucilare all'istante.
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I due si guardarono in volto tra loro, poi, cercando di deglutire e seguitando ad
ansimare, risposero:
- Padrone, ti scongiuriamo di darci da bere.
- Come posso io dissetarvi se avete versato in terra ogni bevanda? - chiese loro Selim.
- Non abbiamo distrutto tutta la provvista d'acqua. Una piccola botte si trova sotto
l'ultima palma dopo il cespuglio di mussenda - rispose uno di loro.
- Andatela a prendere - ordin Selim ad alcuni guerrieri. - E voi parlate subito. Se mi
direte tutta la verit, vi far bere!
Dopo un'ultima indecisione finalmente incominciarono ad ammettere le loro colpe:
- Alcune ore prima di partire fummo avvicinati da Bakun il sottocapo del comandate
supremo. Ci disse che se avessimo rallentato in qualunque modo 1' avanzata nella
foresta della colonna, al nostro arrivo nel villaggio delle trib dell'est avremmo avuto
come ricompensa mille rupie.
- Ma questo Bakun vi spieg perch voleva che si rallentasse la marcia? - chiese Selim.
- Si, o mio signore; - rispose l'altro prigioniero - ci disse che arrivando tardi avremmo
permesso ad alcuni amici del sultano di giungere prima di noi a destinazione, onde
permettere a loro di prepararci una sorpresa.
- Una sorpresa? Gi m'immagino che sorpresa! - riflett a voce alta Selim.
- Che altro volete aggiungere? - chiese ancora il principe.
- Siamo pentiti di quello che abbiamo fatto e ci rimettiamo alla tua clemenza - dissero in
coro i due prigionieri.
- Che siano tenuti d'occhio per tutto il viaggio. Decider il sultano la loro sorte.- disse
Selim al suo luogotenente - Che intanto ognuno beva un sorso d'acqua. Poi partiremo
subito, deviando verso nord. Ad una giornata di cammino dovrebbero esserci le sorgenti
di quel torrente che incontrammo ieri sera. Affrettiamoci.
Tutti ubbidirono prontamente salendo a cavallo e spronando gli animali.
La sete, considerando il gran caldo di quelle regioni, torment ogni uomo per tutta la
giornata; si prefer saltare il pasto di mezzogiorno onde non far aumentare il desiderio
per l'acqua. Anche i cavalli dimostravano tutto il loro nervosismo per quella privazione,
impennandosi o non rispondendo agli ordini dei loro padroni.
Fortunatamente quella stessa sera, in anticipo su quanto previsto, apparve ai loro occhi
una scrosciante cascatella, che da una ripida parete di basalto dava inizio ad un delizioso
torrente dalle acque trasparenti e freschissime. Uomini e bestie si slanciarono verso
quella fonte e bevvero a lungo tra strilli di gioia e nitriti di soddisfazione. Si fecero poi
delle nuove provviste con recipienti di fortuna onde affrontare di nuovo il viaggio senza
pi tema di soffrire la sete. La brutta avventura era superata, ma in tutti serpeggiava la
preoccupazione che il tradimento fosse nell'aria e che bisognava ora stare pi accorti e
pi vigili di prima. Selim era particolarmente inquieto e pensieroso. Le domande che
mulinavano nel suo cervello erano molte e tutte senza risposta. Cosa volevano dire le
parole dei due traditori? Quale mai poteva essere la sorpresa al loro arrivo alla meta? E
perch? Chi c'era dietro il luogotenente che aveva prezzolato i due uomini? Comunque
sia Selim aveva dato ordini severissimi: di notte doppie guardie all'accampamento
con ronde che girassero in continuazione; di giorno, invece, durante il cammino
alcuni uomini avrebbero dovuto procedere la compagnia a mo' di avanguardia, mentre
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altri l'avrebbero fiancheggiata in modo da ridurre le possibilit di sorprese ai loro
danni.
Senza ulteriori incidenti trascorsero molti altri giorni, tutti impiegati nel faticoso
cammino di avvicinamento alla destinazione fissata. Il grosso drappello era
ormai prossimo al grande kampong della trib che dovevano visitare per prima: quella
del gran capo Monah.
Per raggiungere il villaggio si trattava d'attraversare una breve gola che tagliava a met
una grossa collina di basalto ricoperta di una discreta vegetazione. Oltre quell'altura
v'era la grande spianata, al centro della quale si trovava il villaggio.
I cavalieri quindi spronarono le bestie, desiderosi di accamparsi al pi presto e gi
pregustavano il prossimo riposo e le felici accoglienze della trib, quando un urlo
gigantesco, lanciato da centinaia di uomini, s'alz dai bordi della gola.
Contemporaneamente un nugolo di frecce, lanciate dalle cerbottane degli attaccanti,
cadde in mezzo alla colonna di Selim.
Molti uomini della colonna furono colpiti e caddero di cavallo in preda al terrore
per una morte certa, provocata dal terribile veleno che sicuramente ricopriva le
punte di quei dardi.
Contemporaneamente Selim, scampato a quella prima bordata di frecce, fece impennare
il proprio destriero onde farsene scudo, gridando ai suoi compagni:
- Ritiriamoci! Indietro tutti! Ripieghiamo ed usciamo da questa maledetta gola.
E mentre tutti i superstiti facevano un rapido dietro fronte, spronando gli stanchi cavalli,
una marea di selvaggi, abbandonate le proprie postazioni sui bordi della collina, si
slanciava verso il basso a perdifiato, lanciando il proprio urlo di guerra, cercando di
raggiungere subito la colonna di Selim per accerchiarla.
Fortunatamente i cavalli, impauriti anche da quei clamori e dagli spari dei fucili,
avevano prontamente eseguito la ritirata e tutti, meno i caduti, che gi rantolavano in
preda ai sintomi dell'avvelenamento, riuscirono a sottrarsi all'accerchiamento ordito dal
nemico.
Selim chiudeva la ritirata mostrando cos di non aver paura di quei selvaggi.
In breve gli inviati del sultano, seguitando a correre e sfruttando l'ultima energia dei
cavalli, pur voltandosi di quando in quando per sparare contro il nemico fucilate e
pistolettate, riuscirono ad allontanarsi da quel luogo funesto.
Selim si mise di nuovo alla testa della compagnia ed incit tutti a non diminuire
l'andatura della corsa.
Cavalcarono cos al galoppo per circa un'ora, ripercorrendo a ritroso la strada appena
percorsa.
I cavalli per davano vistosi segni di cedimento: un tremito agitava le loro membra e
molti avevano una bava sanguigna alla bocca, sintomo evidente che erano ormai al
colmo della loro resistenza.
Difatti proprio il cavallo di Selim, ad un tratto, ebbe uno scarto, s'impenn nitrendo di
dolore e stramazz a terra. Il suo padrone, abile cavallerizzo, riusc a saltare dalla sella,
prima d'essere travolto nella caduta, evitando cos di finire sotto la bestia morente.
Gli altri cavalieri si fermarono radunandosi attorno al caduto.
- Principe - disse il luogotenente, smontando dal suo cavallo - sali sul mio
destriero, io cavalcher assieme a Baniur!
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- No, caro Zerg, - rispose Selim, alzandosi in piedi e massaggiandosi un fianco
dolorante per la caduta - poich i cavalli sono sfiniti. Dobbiamo fare assolutamente una
sosta di un paio d'ore. Smontate tutti - disse poi alzando la voce - e disponetevi in
cerchio. Tre volontari raggiungano la cima di qualche albero per meglio avvistare il
nemico.
Tutti obbedirono prontamente, disponendosi in un gran cerchio, con i cavalli coricati a
terra onde fungere da riparo per i loro padroni. Intanto Selim parlava con i suoi
luogotenenti.
- Quanti uomini sono caduti? - domand il principe.
- Quindici - rispose Baniur - Credo che nessuno si possa esser salvato, mio signore. Il
veleno delle frecce non perdona.
- Inoltre - osserv l'altro sottocapo - i daiacchi sono cacciatori di teste. Avranno
sicuramente tagliato quelle dei nostri amici, anche se qualcuno di loro era ancora in vita.
- E i due prigionieri? - chiese Selim - Non li vedo pi tra noi.
- Uno d'essi caduto sotto il nugolo di frecce che ci hanno scagliato - rispose Baniur.
- E l'altro - aggiunse Zerg - ha spronato il cavallo dirigendosi verso il nemico, come per
trovare rifugio, ma il mio fucile l'ha freddato dopo pochi metri.
- Hai fatto bene. Dirigendosi verso il nemico ha firmato la sua ammissione di colpa e la
sua condanna a morte - sentenzi il principe.
- Cosa facciamo ora, mio signore? - chiese Baniur.
- Sentiamo il vostro parere - disse Selim.
- Mio principe - azzard il luogotenente pi giovane - ora dobbiamo aspettare che i
cavalli si riposino. Non credo che due ore basteranno per ridare energia a loro e ai nostri
uomini. Potremmo nel frattempo preparare una specie di trincea con rami spinosi e
tronchi d'albero, tali da ripararci in caso d'attacco.
- Voi pensate che i nemici stiano ancora inseguendoci? - chiese Selim.
- Temo di si, orange - rispose l'altro luogotenente - I selvaggi di questi luoghi sono
molto ostinati. E poi, come ben sai, ambiscono alle nostre teste per decorare le loro
capanne. Inoltre sembravano proprio inferociti contro di noi. Non avete visto con quanto
accanimento si sono scagliati all'attacco?
- Bene - concluse il fratello di Sandokan - faremo come voi consigliate. Date ordine agli
uomini di costruire un piccolo fortilizio provvisorio. E che qualcuno dia da bere agli
animali.
Tutti si misero al lavoro, nonostante la stanchezza. Ci si dette a costruire, al centro
dell'accampamento, delle attap, una sorta di piccoli ripari, fatti con foglie, per
proteggersi dai raggi del sole, sempre cocenti a quelle latitudini.
Nel frattempo i cavalli, ben lieti di quel riposo, mangiavano le abbondanti erbe che si
trovavano in quel luogo e che i propri padroni avevano raccolto, e bevevano avidamente
l'acqua che alcuni soldati avevano attinto da un vicino ruscello.
Non era trascorsa un'ora che il lavoro di protezione era terminato. Ora un'infinit di
rami spinosi, di liane, di tronchi, di rovi e di pali piantati a terra, difendevano la
postazione. Tutti si disposero ai margini del recinto, stendendosi a terra onde offrire
minore bersaglio ai nemici.
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Alcune sentinelle erano state inviate nei boschi, vicino ai margini della radura, ad una
certa distanza dal campo, onde prevenire un attacco di sorpresa del nemico, attacco che
ognuno sentiva prossimo.
Il caldo era notevole e la luce accecante; la terra stessa scottava e solo chi stava sotto le
tettoie appena costruite poteva beneficiare di un poco d'ombra.
Si approfitt di questa sosta forzosa per mettere nello stomaco le ultime provviste:
infatti, purtroppo, alcuni cavalli da soma che, trasportavano la maggior parte dei viveri.
si erano dispersi nell'attacco subito.
Trascorsero cos circa quattro ore. Le bestie s'erano abbastanza riposate e quindi si
sarebbe anche potuto riprendere il cammino interrotto. L'attenzione dei fuggitivi fu
attratta in quel momemnto da un fatto strano: tutti i rumori della foresta parvero sopirsi
e poi cessare. Non pi il gracchiare dei pappagalli, non pi gli urli delle scimmie, non
pi il gracidare delle rane del vicino corso d'acqua; al loro posto si cominci ad udire
uno stormire di foglie e uno scricchiolare di rami spezzati.
- All'armi - gridarono le sentinelle, dislocate ai margini del bosco, correndo verso il
campo - il nemico nei pressi.
Nel contempo s'udirono alcuni colpi di fucile ed uno degli uomini di Selim che
ripiegava verso l'accampamento venne colpito alla schiena e rotol a terra esamine.
La compagnia imbracci carabine e pistole ed ognuno si mise al suo posto, dietro i
ripari allestiti.
Ad un tratto il nemico apparve agli occhi di tutti, procedendo ad un attacco davvero
inconsueto: decine e decine di daiacchi, forse pi di cento selvaggi, si avvicinavano
all'accampamento aggrappati alle liane degli alberi della foresta, come tante scimmie,
riuscendo a passare da un albero all'altro grazie a queste corde naturali che pendevano
dalle piante in numero infinito.
I daiacchi che si tenevano avvinti con mani e piedi ai calamus vegetali, volteggiavano
magistralmente, e si avvicinavano al campo in un battibaleno, portando a tracolla le
terribili sumpitan e le frecce relative.
Nel frattempo dall'altra parte dell'accampamento una ventina di daiacchi cominci a
sparare con i fucili avuti in regalo dal servo traditore, ma con scarsissimi risultati in
quanto ancora non pratici di quelle armi, le quali facevano cos pi rumore che danni.
- Fuoco, fuoco! - grid Selim.
Tutti i suoi soldati presero a sparare e tosto la radura e gli alberi furono avvolti dal fumo
e dalla polvere, dalle grida dei combattenti e dalle urla di chi era colpito. Erano
soprattutto i selvaggi a cadere morti e feriti in gran numero, in quanto, non essendoci
pi alberi vicini all'accampamento, erano stati costretti a scendere dalle loro cavalcature
aeree e dovevano ora avanzare allo scoperto, diventando un facile bersaglio per chi
difendeva la postazione. Per due volte tentarono un attacco generale ma per altrettante
volte ripiegarono ai confini della radura.
Infatti gli attaccanti non avevano tenuto nel giusto conto la precisione dei tiri dei
guerrieri del sultano: dopo ogni scarica erano tantissimi i daiacchi che cadevano a terra,
morti o feriti. I rinforzi che arrivavano duravano fatica a riempire quegli enormi vuoti
che si venivano a creare tra le file dei daiacchi.
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Dopo un po', mentre tra gli assalitori si diffondeva l'indecisione se attaccare allo
scoperto, attraversando la radura, o nascondersi tra gli alberi, i loro capi ordinarono una
ritirata generale, mettendosi a debita distanza, coperti dagli alberi e dalle fitte macchie
di cespugli.
A terra restavano ora un centinaio di daiacchi, e tra questi molti feriti si rotolavano
nella polvere gridando dal dolore o dal timore di essere finiti.
Selim sembrava un vero uomo, un comandante abituato da chiss quanto tempo a simili
imprese: si trovava alla testa dei suoi uomini con una pistola nella destra ed una
fiaschetta di polvere nella sinistra. Ad ogni colpo un nemico cadeva. Incitava poi gli
uomini con la voce e lo sguardo; non pareva un ragazzo appena sedicenne, ma anzi
incuteva sicurezza ai propri compagni e paura ai nemici.
Dopo una decina di minuti il fuoco preciso della truppa reale aveva disorientato i
daiacchi che venivano snidati dai nascondigli di fortuna nel vicino bosco, almeno sino a
dove arriva la portata dei fucili.
Selim, comprendendo che questa pausa nell'attacco andava sfruttata adeguatamente,
prese una decisione rischiosa ma che poteva essere la salvezza per tutti e grid con
quanto fiato aveva in corpo:
- Tutti a cavallo. Allontaniamoci al pi presto!
La brigata d'uomini s'alz precipitosamente, facendo fare lo stesso ai propri cavalli. In
men che non si dica tutti salirono in groppa alle bestie iniziando a fuggire al galoppo
nella direzione ove non si vedevano nemici appostati tra gli alberi.
La loro fuga fu accompagnata da una scarica di fucili e da un' ondata di frecce che
gettarono a terra alcuni fuggiaschi.
I daiacchi, che non avevano ancora compiuto l'accerchiamento del campo, vedendosi
scappare i nemici si diedero ad urlare selvaggiamente, slanciandosi di corsa appresso ai
fuggitivi.
La truppa di Selim riusc invece ad allontanarsi a veloce andatura, imboccando un
vecchio sentiero appena tracciato nella foresta, distanziando in breve gli assalitori.
Selim incitava tutti ad aumentare il galoppo, poich era sua intenzione cavalcare sino a
sera, frapponendo pi terreno possibile tra loro e i nemici. Mancavano circa tre ore al
tramonto e i cavalli s'erano riposati a sufficienza per poter affrontare con successo
questa, corsa.
Mentre il suo destriero aumentava la velocit divorando la strada, Selim pensava
agli ultimi avvenimenti e a quello che ora avrebbe dovuto fare: andare verso altre trib
della zona per trasmettere a loro le ambasciate convenute con Sandokan o ripiegare
verso la capitale per mettere al corrente i fratelli di quello che era accaduto? Si
chiedeva anche come mai quei selvaggi possedessero delle armi da fuoco. Chi aveva
potuto armare quella trib? Ma poi era veramente solo una trib quella che gli s'era
scagliata contro?
Nei due attacchi aveva potuto accorgersi che i nemici erano alcune centinaia e quindi le
trib in rivolta erano pi di una o due. Forse la situazione era pi grave di quanto si
potesse immaginare.
Cos rimuginando nella mente questi pensieri il tempo passava e s'era ormai prossimi al
tramonto. In aria cominciavano a volteggiare numerosi di quei brutti pipistrelli tanto
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comuni in tutto l'arcipelago della Sonda e dei mari malesi, col corpo lungo ben quaranta
centimetri e le ali membranose, larghe addirittura un metro.
La colonna raggiunse alfine un luogo completamente sgombro da alberi che poteva
prestarsi bene per la sosta notturna; sembrava che un incendio avesse devastato quella
parte della foresta poich a terra giacevano dei residui di tronchi e rami carbonizzati,
mentre alcune pietre erano calcinate, segno evidente di un gran calore.
Selim dette l'ordine di arrestarsi. Era tempo: cavalieri e quadrupedi erano visibilmente
stanchi di questa furiosa corsa nelle foreste e quindi tutti furono ben lieti della sosta.
Si prepar cos l'accampamento: vennero raccolti molti rami secchi per i fal
notturni, mentre si presero i soliti accorgimenti per proteggere il campo da un
eventuale attacco.
Mentre si allestiva il pasto serale il principe chiese a Zerg:
- Abbiamo avuto perdite durante la fuga dall'altro campo?
- Cinque uomini, mio principe - rispose l'interpellato.
- Che sommati ai quindici persi questa mattina fanno venti. Un duro colpo alla mia
scorta.
- Purtroppo, questa mattina, siamo stati attaccati di sorpresa e quindi possiamo
considerarci fortunati d'aver avuto solo venti morti. Credo, orange, che se ci fossimo
avventurati nella gola per qualche altra decina di metri ci avrebbero massacrati tutti.
Meno male che tu hai dato cos saggiamente e in tempo il segnale della ritirata.
- Si, in effetti poteva andarci notevolmente peggio. Ora accampiamoci cercando di non
farci sorprendere. Dai disposizioni affinch ci siano di guardia molte sentinelle questa
notte.
- Sarai obbedito, o mio signore.
Zerg posizion infatti diversi uomini attorno al campo, dando ordine di tenere i fuochi
sempre ben alti. Chi non era di guardia doveva tenere a portata di mano fucili e pistole
ben carichi.
Quindi tutti cenarono. Terminato il pasto ognuno si distese a terra sopra un giaciglio di
foglie. La notte era fresca ed il silenzio rotto solo da alcune urla lanciate da sciacalli o
pantere, che s'aggiravano nella vicina foresta in cerca di prede.
Erano stati accesi quattro fuochi, ognuno ad un angolo dell'accampamento, mentre una
decina di sentinelle passeggiavano tra un fal e l'altro, ben vigili ed attente, cercando di
non farsi abbagliare dalla luce delle fiamme, cosa questa che avrebbe impedito di
scorgere eventuali nemici a due o quattro gambe in prossimit del campo. Gli uomini di
guardia, come erano soliti fare ogni qualvolta dovevano stare ben svegli e vigili,
avevano estratto dalle loro bisacce un pizzico di siri, un composto formato da noci
d'arenghe saccarifere, di succo di gambir e di un piccolissimo quantitativo di calce viva,
lo avevano involtato poi in una foglia di betel, formando con questi ingredienti una
pallottola grossa come una mandorla, e se lo erano posto quindi in bocca; sicch ognuno
masticava, con grande soddisfazione, quel gustoso intruglio che provocava una copiosa
salivazione, di color rosso sangue, che ogni tanto veniva sputata a terra. Questa
operazione aiutava le sentinelle a tenere gli occhi aperti e a non addormentarsi,
specialmente quando si sedevano accanto ai fuochi per prender un poco di riposo.
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Erano trascorse circa quattro ore quando alcuni uomini di guardia percepirono strani
rumori sul limitare del bosco: sembrava che qualcuno s'avvicinasse provocando il minor
rumore possibile. Uomini o animali che fossero, le sentinelle ritennero loro dovere dare
l'allarme. Mentre tutti si svegliavano impugnando le armi, si sent gridare.dal margine
della foresta:
- Non sparate, siamo amici!
Alla luce dei fuochi si videro allora sbucare dalla foresta due figure, che tosto
s'avvicinarono all'accampamento. Erano due selvaggi, con il corpo coperto da un
sottanino di un colore ormai indefinibile, ed armati solo di due vecchi ed arrugginiti
kampilang. I due daiacchi, che potevano avere quarantanni in due, si diressero verso il
gruppo d'uomini che li osservava, facendo segnali di pace con le mani. Selim disse loro
d'avvicinarsi. Ma siccome sembravano aver paura di quella schiera di uomini che
puntava loro addosso tante armi da fuoco, aggiunse:
- Se venite a noi come amici non avete nulla da temere. Noi siamo gli inviati del sultano
del Kina-Balu. Potete quindi entrare nel nostro campo liberamente, a patto di dirci chi
siete, da dove venite e cosa volete.
- Orange, - prese a dire uno dei due - siamo poveri daiacchi e veniamo da un vicino
villaggio che, proprio ieri, stato attaccato da un grosso numero di nemici. Erano della
trib di Monah. Dopo una breve resistenza da parte nostra, siamo stati battuti ed il
nemico dilagato nel villaggio devastando le nostre capanne, derubando ed uccidendo.
Noi ci siamo salvati a stento rifugiandoci nei boschi. Girovagando senza meta abbiamo
notato da lontano il vostro accampamento e ci siamo avvicinati cercando di capire se
eravate i guerrieri di Monah. Ora vorremmo metterci sotto la vostra protezione.
Potremmo esser utili a voi tutti in quanto conosciamo bene questi territori e se ci
prenderete al vostro servizio ci accontenteremo solo di un poco di cibo.
Selim squadr bene i nuovi arrivati e siccome nulla poteva temere da parte di soli due
uomini, privi tra l'altro di armi da fuoco, diede ordine che venissero rifocillati e fatti
dormire. Si raccomand, per, che fossero tenuti d'occhio e che si vigilasse su ogni loro
azione.
Poco dopo tutti dormivano di nuovo, compresi i nuovi compagni.
La notte trascorse senza altri fatti di rilievo ed il giorno seguente vide la truppa di Selim
continuare la marcia di avvicinamento verso la capitale. Cos aveva deciso il principe,
dopo essersi consultato con i suoi luogotenenti. Si convenne per di fare una strada
diversa da quella dell'andata, in quanto Selim riteneva che era meglio fare un giro pi
lungo piuttosto che correre il rischio d'incappare in un agguato da parte dei nemici, che
forse li aspettavano a ridosso della strada pi breve per tendere loro qualche altra
imboscata.
Selim aveva notato un certo nervosismo tra i suoi guerrieri, nervosismo che aveva
attribuito a stanchezza o al disagio dovuto alla tensione per qualche possibile attacco;
non se ne preoccup pi di tanto, in quanto anche lui si sentiva oppresso da quella
situazione davvero precaria. Anche un'altra cosa lo aveva colpito: durante la cavalcata
diurna aveva visto che i due nuovi venuti, i daiacchi appunto, parlavano di continuo ora
con un guerriero ora con un altro, come se avessero da raccontare loro chiss quale cosa;
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ma non aveva dato soverchio peso alla faccenda ipotizzando che forse volessero fare
amicizia con la truppa e familiarizzare il pi possibile.
Giunse infine la sera e si decise di accamparsi sulla sommit di una piccola collina che
aveva il pregio di dominare per qualche chilometro il terreno attorno. Anche per quella
notte si presero tutti gli accorgimenti del caso atti a cingere l'accampamento di una fitta
rete di cespugli spinosi per rallentare un eventuale attacco nemico.
Selim si coric come al solito sulla sua coperta, mettendosi accanto le fide pistole e la
sua brava scimitarra.
Trascorse buona parte della notte senza nessun allarme e gi l'alba si avvicinava,
quando il principe venne svegliato dal rumore prodotto dagli zoccoli dei cavalli in
movimento. S'alz allora di scatto per capire chi avesse dato ordine di far muove le
bestie, che solitamente venivano legate durante la notte. Quale fu il suo profondo
stupore nel vedere l'accampamento vuoto, i fuochi semispenti, ed i cavalli montati dai
suoi uomini che si stavano allontanando alla spicciolata.
- Ma cosa fate? - grid con tutta la voce che aveva in corpo - Chi vi ha dato ordine di
muovervi? Fermatevi! Zerg, dove sei?
Solo allora s'accorse d'avere un terribile mal di testa e di sentire la sua mente offuscata,
con una specie di velo dinanzi agli occhi. Ci nonostante si gett con un balzo sulle sue
armi, le raccolse e si slanci di corsa dietro ai fuggiaschi; ma quelli erano gi lontani e
fuori dalla portata della sua voce ed eventualmente delle sue pistole. In breve anzi
sparirono alla sua vista, come inghiottiti dal buio della foresta.
A quel punto Selim decise di tornare sui suoi passi, in quanto non poteva certo
rincorrere a piedi i cavalli in quella totale oscurit.
Non sapeva cosa pensare di quello che stava succedendo, quando ad certo momento, nel
silenzio della notte, il suo orecchio percep come un leggero lamento. Si ferm per
ascoltare meglio, credendo d'aver inteso male. Poco distante v'era sicuramente qualcuno
che lanciava dei deboli gridi. Si diresse tosto verso quel luogo, raccogliendo un ramo
ancora acceso in un fal. Ne scosse la fiamma per ravvivarla e s'accorse che v'era un
uomo a terra, poco lontano. Lo raggiunse immediatamente e s'avvide che si trattava di
Zerg. Ma il suo povero luogotenente si trovava in una miseranda condizione: aveva un
coltello infilato nello stomaco e dalla sua giacca usciva del sangue, segno questo che
era stato pugnalato in altre parti del corpo.
Subito lo soccorse, adagiandogli la testa sul suo braccio, e gli diede da bere un goccio
d'acqua. Al contatto di quel fresco liquido il corpo del povero uomo si scosse e subito
aperse gli occhi.
- Pa . . . . padrone . . . . ci hanno traditi. . . . tutti . . . . i due daiacchi erano . . . . nemici
che hanno sobillato i nostri uomini, promettendo loro denaro e gloria. Hanno tentato di.
. . . . convincere anche me, ma ho rifiutato .........
- Continua, mio buon Zerg - l'incoraggi Selim profondamente scosso da quelle notizie.
Il luogotenente, che era molto provato e che seguitava a perdere sangue dalle ferite,
parve avere ancora un attimo d'indecisione, ma tosto riprese a parlare, con una voce
sempre pi flebile:
- Mentre dormivo mi hanno colpito ripetutamente e poi pugnalato. Ma non stata . . .
.. una vera sorpresa per me. Avevo capito .........sin da ieri sera che qualcosa era
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nell'aria . . . . ma non ho voluto dirti nulla per non preoccuparti............. e fui sciocco.
Quando ero addormentato scattato il tradimento . . . . e dopo avermi pugnalato . . . .
credendomi morto parlavano liberamente accanto a me . . . . dicevano che la sommossa
contro il rajah tuo fratello sta per scoppiare in tutto lo stato ad opera di un uomo
bianco. . . . che sta sobillando le popolazioni dell'interno e della costa poi risero
perch si vantavano di averti somministrato un sonnifero prima di dormire in quanto
non volevano ucciderti o catturarti . . . . perch sembrava loro una vilt terribile . . . .
se non ti affretti ...
Non pot pi continuare a parlare: ebbe un fremito convulso nelle membra, rivolse per
un'ultima volta gli occhi a Selim, come se ne implorasse l'aiuto, poi emise un rantolo.
Un rivo di sangue gli scivol fuori della bocca mentre s'irrigidiva tutto. Era morto.
Selim, profondamente scioccato da quella morte ed altrettanto turbato da quelle
sconvolgenti rivelazioni, s'era bloccato come se fosse in catalessi. Quindi pos la mano
destra sugli occhi sbarrati di quel suo sottocapo e glieli chiuse; l'adagi a terra con molta
delicatezza, poi raccolse una gran quantit di pietre e le depose delicatamente sul suo
corpo, facendo una specie di tumulo, onde proteggere quella salma dagli attacchi delle
belve.
Terminato questo pietoso lavoro disse:
- Riposa in pace, mio caro e valoroso eroe, ma non temere perch sarai vendicato. Si
deterse, quasi con rabbia, le lacrime che gli scendevano sul volto e si mise a pensare al
da farsi. Si trovava solo, senza scorta e, quel che pi era grave, senza cavalcatura e
con pochi viveri. Era per armato sino ai denti, ma non poteva certo sperare d'andare a
piedi sino alla capitale Kin.
E poi era molto preoccupato per la sua sicurezza. Non che temesse di essere ucciso:
nonostante la sua giovane et era gi un coraggioso; ma paventava di non poter rivelare
ai suoi fratelli che v'era in atto una sommossa nei loro stati. Ad un tratto si chiese perch
l'avessero risparmiato o quanto meno non l'avessero fatto prigioniero: se era vero quanto
aveva saputo dal suo luogotenente, e nulla faceva supporre che non lo fosse, il fatto di
aver reso impotente il principe con un sonnifero era una ghiotta occasione per
approfittarne. Se fosse stato fatto prigioniero la propria vita poteva essere
vantaggiosamente barattata da quei banditi. L'unica risposta a quella sua domanda
poteva essere che nei suoi soldati era rimasto un briciolo di lealt che impediva loro
d'assassinarlo nel sonno o di catturarlo.
Comunque sia, si risolse alfine di incamminarsi nella direzione che riteneva potesse
essere esatta verso la citt del lago.
S'era appena inoltrato nella selva pensando a quante settimane di viaggio avrebbe
impiegato per raggiungere a piedi la capitale quando ud un forte nitrito; temendo che
questo fosse stato emesso da qualche cavallo dei nemici, s'appiatt al terreno,
nascondendosi dentro un cespuglio di felci, rimanendo immobile come una statua. Dopo
pochi secondi vide sbucare da dietro una macchia di rovi un solo cavallo, senza
nessuno in groppa n nelle vicinanze. Selim rimase senza fare rumore per qualche
tempo sinch non si convinse che quel cavallo era del tutto solo e poi usc fuori dal
nascondiglio:
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Si avvicin piano piano alla bestia per non spaventarla, le accarezz la
testa per tranquillizzarla e prese alfine le briglie che pendevano sul suo
collo; era infatti un cavallo bardato e sellato. Facendo pi attenzione lo riconobbe
per uno del suo drappello.
Evidentemente apparteneva ad uno degli uomini della scorta che era stato
colpito e smontato durante i due combattimenti dei giorni precedenti, e che
aveva seguito da lontano il gruppo degli altri cavalieri sino a giungere in quel
luogo.
- Una vera fortuna, dopo tante disgrazie - pens Selim mentre vi saliva sopra.
Caric sulla sella provviste ed armi e quindi lo lanci al galoppo in direzione
della capitale.
Inizi cos il viaggio di ritorno per una strada che Selim scelse diversa da
quella convenuta nei giorni precedenti per evitare eventuali imboscate da
parte dei suoi misteriosi nemici e dei suoi ex soldati.
Non fu facile per il principe, inesperto di quelle zone, cos distanti dalle regioni
centrali del regno che meglio conosceva, orizzontarsi e procedere
speditamente. Selim fu costretto a rallentare la marcia poich ritenne pi
opportuno viaggiare di notte e riposare di giorno. Questa scelta fu da lui ritenuta
pi sicura in quanto di notte era pi facile accorgersi di eventuali nemici,
grazie agli indispensabili fuochi che venivano abitualmente accesi accanto
agli accampamenti, mentre fermarsi e dormire di giorno lo metteva al sicuro dalle
fiere che con la luce diurna notoriamente non attaccano.
Cos il viaggio per la citt del lago dur due settimane, durante le quali si dovette
nutrire di frutta e di radici, d'erbe e di fiori, come un selvaggio, in quanto non
volle mai sparare alla selvaggina di passaggio per non rivelare la propria
posizione ad eventuali nemici che fossero stati nelle vicinanze. Comunque
nessun altro incidente turb quella corsa verso la sua citt ove non vedeva l'ora
di riabbracciare i familiari e raccontare le sue disavventure.
Finalmente giunse in vista di Kin, nella quale vi entr dalla porta orientale da
dove ne era uscito oltre un mese prima. Era ridotto in uno stato cos miserando
che le guardie non lo riconobbero: gli abiti macchiati e pieni di polvere, il
cavallo zoppicante con le bardature strappate, senza pi bisacce o borse, con la
barba e i capelli lunghi sembrava uno straniero reduce da un'enorme traversata,
venuto in citt in cerca di fortuna.
Ma la cosa pi importante era di essere riuscito a salvare la vita onde poter ora
mettere al corrente il sultano delle orribili cose accadute.
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CAPITOLO QUINTO
IN VIAGGIO VERSO SINDUMIN

Sandokan nel frattempo, avendo terminato ogni incombenza urgente nella capitale, si
decise finalmente ad iniziare il suo viaggio, pochi giorni dopo la partenza del fratello
minore Selim, che sapeva in viaggio verso le trib dell'interno.
Il sultano, in una calda mattina decise di adunare sulla piazza principale del cortile reale
le truppe che avrebbero fatto parte del suo corpo di spedizione.
Pass quindi in rivista i duecento uomini che erano ormai pronti per la partenza.
Armata quindi la compagnia di tutto punto, presi alcuni elefanti dalle stalle reali ed
installate le relative hauda riccamente bardate sulla loro groppa, cominci la lunga
marcia verso il confine con lo stato di Sarawack, Brunei e Varauni.
Erano circa le dieci e tutta la colonna, con a capo Sandokan, si mise in marcia dopo aver
completato con tutta calma i preparativi per la partenza.
La piccola armata era cos organizzata: davanti era posta l'avanguardia, formata da una
trentina di uomini armati, che procedeva un centinaio di metri avanti al resto della
compagnia; al centro trovavano posto i capi, Sandokan e qualche suo luogotenente, tutti
i portatori delle casse contenenti viveri, armi o munizioni, e il grosso della colonna,
organizzato in due file parallele.
Questa spedizione terminava quindi con la retroguardia costituita come la parte
anteriore della compagnia.
Ad un certo punto si cominci a camminare nel folto della foresta dove a volte, in
particolar modo per il gruppo di apertura, si doveva procedere lentamente dovendosi
aprire la strada a colpi di parang-ilang, nome di una specie di sciabola malese che un
perfetto incrocio tra un parang e un kampilang, essendo fatta con la punta a doccia ma
di struttura pi snella e leggera, simile a quella di un kampilang; in altri momenti
invece si poteva procedere agevolmente permettendo cos a chi montava i cavalli ed
elefanti di accelerare il passo delle bestie.
Pass quindi il giorno e, giunta la sera, tutti si accamparono in una piccola radura
all'interno della foresta. Questa prima notte trascorse senza incidenti.
Il giorno dopo, di buon mattino, tutta la compagnia era di nuovo in viaggio. Sandokan
seduto su una hauda, discorreva oziosamente con un suo fido luogotenente:
- Secondo me - diceva il giovane sultano - bisogner pure incominciare ad escogitare
un piano di battaglia. So che ancora abbiamo molto tempo prima di arrivare alla meta,
ma io odio far le cose all'ultimo momento ed in fretta. Tu che ne pensi Rankut?
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Sandokan stava parlando con un malese abbastanza alto di statura, sulla cinquantina,
con una folta barba brizzolata; era vestito di una lunga camicia di seta beige e di un paio
di pantaloni molto larghi che andavano restringendosi verso il basso, formando ampie
pieghe verso l'esterno delle gambe. Pochi invece conoscevano il colore e la fattura dei
suoi capelli: egli era infatti famoso, presso le truppe reali, per il suo eterno turbante che
non toglieva mai dal capo . Questo malese, che nonostante l'et non pi florida era
ancora molto robusto, era stato scelto da Sandokan, per il suo noto valore, come
braccio destro in questa missione.
- Io, mio signore, penso che potremmo cominciare col decidere quale sia la nostra meta
- rispose l'interlocutore del figlio di Muluder.
- Giusto. Infatti siamo partiti con l'obiettivo di ristabilire la pace e la tranquillit al
confine, scacciando l'invasore, ma non sappiamo con precisione quale luogo
raggiungere per primo; - ogni volta che Sandokan parlava degli invasori si soffermava
con un tono diverso di voce su questa parola, facendo trapelare l'odio che nutriva per
quelle persone che lo attaccavano senza motivo - le notizie che ci giungon da quelle
zone ci mettono molto tempo per arrivare fino a noi, proprio quanto ce ne metteremo
ora noi per andare fino a loro. E considerando che gli eventi sono sempre in rapida
evoluzione, quando giungeremo laggi, le ultime notizie che abbiamo appreso prima di
partire saranno ben vecchie e sorpassate.
- Io infatti avrei un mio piccolo consiglio, signore.
- E sarebbe?
- Proporrei di giungere prima in un qualunque villaggio nei pressi del confine ed
informarci l degli ultimi eventi.
- Si, penso anch'io che questa sia la cosa migliore da fare, la pi semplice e la pi
proficua.
Probabilmente la conversazione sarebbe comunque finita qui ma di sicuro non pot
andare avanti per causa di forza maggiore. Gli uomini della spedizione, infatti, non
erano purtroppo i soli abitanti della foresta ma rappresentavano invece solo degli
ospiti: e gli intrusi spesso vanno male d'accordo con i padroni. Uno dei padroni della
foresta il rinoceronte. Questo animale, per l'appunto, uno dei pi pericolosi di tali
regioni: non possiede certo l'agilit e la prontezza delle tigri e delle pantere, molto
frequenti in quelle zone, ma anche meno facilmente vulnerabile. A causa della pelle,
dura e spessa, infatti, l'animale poco si cura delle eventuali pallottole che lo colpiscono.
L'unico modo per ucciderlo quello di sparargli sul muso in prossimit degli occhi; e
questo richiede non solo una perfetta mira ma anche un gran sangue freddo per fermarsi
e mirare in tale punto anche se lui ci sta caricando addosso.
A nulla, per, servirebbero tali abilit se a caricare invece di essere un solitario, fosse
un branco. Infatti questo animale, gi molto pericoloso quando si aggira per la foresta da
solo, spesso usa riunirsi in branchi ed allora diventa veramente uno dei nemici pi
terribili della jungla, davanti al quale non si pu far nulla se non scappare. Proprio nei
pressi di un nemico di questo genere si trov ad un tratto la compagnia di Sandokan. Se
ne accorse per primo Sekil, un fedele servo del rajah, famoso per avere
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un udito favoloso, che si trovava nel gruppo d'avanguardia. Fu proprio grazie al
suo senso cos sviluppato che la colonna si salv. Quando Sekil ebbe
avvertito il tipico fragore dell'avvicinarsi di una mandria di bestie, molto attutito
naturalmente dalla lontananza e dagli alberi, tanto che solo le sue orecchie erano riuscite
a percepirlo cos presto, corse subito ad avvisare il padrone.
Sandokan, ben sapendo quanto fossero pericolose le cariche dei branchi, siano essi
elefanti o rinoceronti, comprese subito che non c'era tempo da perdere e che bisognava
immediatamente mettersi in salvo. Diede perci ordine a tutti di tornare sui propri
passi, cercando di radunare cavalli ed elefanti in una piccola forra che era stata da
poco oltrepassata. A tutti i compagni che erano a piedi consigli di arrampicarsi
sulle piante dalto fusto. A quel comando si scaten una vera e propria corsa
all'albero, dove ognuno correva per trovarne uno robusto che potesse resistere ad un
urto spaventoso. Non tutte le piante presenti infatti sarebbero state in grado di reggere
al terrificante impatto che avrebbero dovuto subire di l a poco, ma solo le pi
robuste, come grossi tamarindi, possenti palme, giganteschi banian e cos via.
Sandokan si era rifugiato, appunto, su un grande banian e, come tutti gli altri, attese
l'arrivo del branco.
- Eccoli che arrivano! - disse tra se e se il sultano, guardando il terreno dall'alto
dell'albero ed ascoltando un gran fragore che veniva trasportato dal vento alle sue
orecchie.
Poco dopo, infatti, un numeroso gruppo di rinoceronti pass a qualche metro dal banian
di Sandokan. Tutta la mandria di bestie spar in poco pi di un minuto. Quando anche
l'ultimo rinoceronte fu scomparso il drappello reale non si trovava pi dove era prima,
il paesaggio era stato sconvolto: un varco di circa venti metri era stato aperto
distruggendo ogni tipo di vegetale che faceva da ostacolo all'avanzare della
mandria. Cespugli, liane e piccoli alberi erano stati devastati come se fosse passato un
fiume in piena; solo i grossi fusti e i giganti della foresta si erano salvati. Proprio su
queste piante avevano trovato riparo i nostri eroi, che ne discesero appena il pericolo si
allontan. Per fortuna, tutti si erano salvati da quella terribile carica, che avrebbe potuto
provocare una strage terribile ed ora si trovavano di nuovo in marcia. Vennero di nuovo
radunati tutti i cavalli e gli elefanti e la marcia fu ripresa. Sfortunatamente il gruppo di
animali non correva verso la direzione che doveva seguire la spedizione di Sandokan.
L'enorme sentiero che si era cos formato, fu quindi percorso solo per qualche
centinaio di metri per abbreviare i tempi di marcia. Dopodich, per non scostarsi
troppo dalla giusta traiettoria da seguire, i battitori ripresero ad aprirsi il varco tra la fitta
vegetazione, menando furiosi colpi di tarwar e macete.
Il resto della giornata pass senza altri incidenti e cos pure i sei giorni successivi,
coronati sempre da qualche falso allarme notturno, da qualche problema con i serpenti e
cos via: ma tutto ci era soltanto di routine. Stranamente invece, durante il loro viaggio,
non incontrarono nessuna tigre o pantera, cosa molto strana perch in questi luoghi si
spesso costretti ad impegnare battaglia con queste fiere che minacciano sempre la
sicurezza delle spedizioni.
Fu cos, quindi, che dopo aver sorpassato i vari villaggi di Tambunan, Bingkor,
Keningau e Melalap il settimo giorno, sull'imbrunire, la carovana giunse finalmente al
villaggio di Sipitang. Siccome questo villaggio era abbastanza vicino al confine si
decise che proprio l avrebbero dovuto chiedere notizie dell'invasione nemica.
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Ora, per Sandokan doveva decidere se cedere o no ad una tremenda tentazione. Infatti
lui come tutta la spedizione, era molto stanco ed avrebbe assai preferito invadere due o
tre locande di quella cittadina, facendo arricchire i vari padroni, e dormire su un comodo
lettuccio invece che come al solito per terra sotto una tenda. Altres per non si fidava
assolutamente di passare una notte in locanda, per la completa sfiducia che ormai
riponeva in quelle genti vicino al confine e voleva evitare qualsiasi possibilit di
tradimento o di essere scoperto e denunciato ai capi della rivolta. Discusse di ci con
Rankut e alla fine, a malincuore, decisero di accamparsi lontano dalla citt, ancora
immersi nella foresta un poco prima di dove questa iniziava a diradarsi. Prima di andare
a coricarsi alcuni rajaputi, su consiglio di Rankut, allestirono attorno al campo una sorta
di difesa onde far fronte ad eventuali attacchi notturni: alcuni rovi con le spine bagnate
dal terribile succo dell'upas, che avevano preparato durante la lunga marcia diurna,
furono disposti in modo da creare una specie di recinto. Questo accorgimento
serviva per difendersi sia da attacchi umani sia di animali. Dopo questa operazione, che
dur pi del previsto, tutti tornarono ai propri posti di sonno. Cominci la notte e
Sandokan bad bene a mettere, come al solito, dieci uomini di guardia attorno
all'accampamento e a cercare di tenersi pronto a tutto, anche dormendo. Non sapeva
bene il perch ma dormire abbastanza vicino ad una cittadina nei pressi del confine non
gli piaceva per niente: gli sembrava di stare gi in territorio nemico dove si pu essere
scoperti ed attaccati da un momento all'altro. Comunque le prime ore della notte
passarono senza incidenti.
* * * * * * * * * * *

- Fai piano Sou-Long! Finirai per farci scoprire, se seguiti a spezzare rametti in questo
modo.
- Signor Fei-leng - disse laltro voltandosi e parlando ad un altro che lo
seguiva da dietro in fila indiana - Se tu camminassi avanti invece di state l dietro a
calpestare rametti gi spezzati da me faresti il mio stesso rumore.
Il dialogo si svolgeva tra due cinesi che erano arrivati in prossimit del campo di
Sandokan per spiare le sua carovana, lorganizzazione, le intenzioni relative e la sua
precisa posizione, per poi riferire tutto ai capi della rivolta.
Cos, cercando di sconvolgere il meno possibile la vegetazione sotto i loro piedi, questi
arrivarono l dove si cominciavano a scorgere tra le foglie degli alberi i primi fuochi
dell ' accampamento.
Si fermarono quindi a pensare sul da farsi, parlando per un po' sommessamente; poi
seguitarono ad avvicinarsi ulteriormente. La loro contentezza per l'essere riusciti a
trovare il campo che cercavano, la cui posizione era stata loro indicata soltanto
molto approssimativamente dai capi della rivolta, in base ad alcune relazioni fatte
da altri esploratori, fece perdere ogni prudenza ai due loschi figuri che seguitarono
ad avanzare.
Chiss fino a quando avrebbero seguitato il loro cammino, forse fino dentro la tenda di
Sandokan, se uno di loro, quello che formava la retroguardia, non fosse inciampato
lasciandosi sfuggire un gemito per l'essersi conficcato nelle carni alcune spine di rovi
presenti al suolo.
Il gemito per quanto sommesso era stato abbastanza forte da destare l'attenzione delle
sentinelle che immediatamente si slanciarono verso di loro.
Sou-Long, allora, capendo che la situazione versava al peggio con un rapido dietro front
scavalc il corpo del compagno, che si era stranamente accasciato al suolo, e torn
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indietro di corsa per sfuggire al drappello di guardia. Tra loro infatti era questa
l'usanza:in casi estremi si salvi chi pu.
In poco tempo, infatti, le sentinelle del nuovo sultano furono addosso a Fei-Leng che
gemendo si fece trasportare, senza opporre le minima resistenza, al centro
dell'accampamento. L gi lo aspettavano ritti in piedi Sandokan e Rankut, ognuno con
un tizzone acceso in mano.
Non appena il cinese li vide rimase dapprima leggermente stupito poi cominci a sudare
per il terrore. Aveva capito infatti quello che gli si stava preparando: una terribile tortura
per farlo confessare circa i suoi mandanti.
Tortura che per era destinato a non dover mai subire: gi infatti avvertiva i primi
crampi dovuti all'azione del veleno cosparso dai soldati di Sandokan sui rami con i
quali si era ferito. Questo stup e preoccup allo stesso tempo Fei-Leng che non ebbe
per il tempo di capire cosa gli stesse accadendo: infatti cominci dapprima a sentire
forti contrazioni ai muscoli facciali e a quelli dell'arto ferito, poi inizi a notare un
principio di occlusione delle vie respiratorie insieme ad un velocissimo ed aritmico
battere del cuore. Tutto questo non dur che pochi secondi dopo i quali, si irrigid,
stralun gli occhi, non vide pi nulla e spir.
Ci accadde mentre Sandokan e Rankut si apprestavano a spremere da lui tutte le
notizie possibili. I due uomini, mentre il malcapitato si avvicinava, trascinato verso di
loro dalle guardie, notarono in lui questa serie di cambiamenti e lentamente capirono di
che si trattava. Il disgraziato moriva avvelenato dallupas. Sandokan quasi si rammaric
di aver deciso di attuare quella tattica difensiva; infatti avrebbe preferito sapere da
quell'uomo qualche notizia interessante sullo stato delle cose e sull'intenzioni dei suoi
nemici. Sfortunatamente per non era stato cos; almeno, pensava Sandokan.
Comunque la posizione del suo accampamento non sarebbe stata resa nota a
nessuno, essendo la spia infatti morta.
Dopo questo incidente, quando gli animi si furono calmati dall'emozione degli ultimi
eventi e dopo aver ricoperto il corpo del disgraziato da un apposita amaca, nell'attesa
che la mattina dopo sarebbe stata sepolto in quel luogo, tutti tornarono lentamente a
dormire. Tutti eccetto ovviamente le sentinelle di turno che aprirono ben bene gli occhi
e le orecchie.
Il resto della notte trascorse tranquillamente.
Il giorno dopo, appena sorto il sole, consumarono velocemente una buona colazione,
cibandosi di alcune vivande che si erano portati dal palazzo; seppellirono quindi il
morto della sera precedente e si approntarono a muovere. Nel frattempo Sandokan
stava tenendo consiglio con il buon Rankut, che cos di mattino presto aveva gi
provveduto a riposizionarsi in capo il suo turbante, e con gli altri fidi luogotenenti. Tutti
si sedettero e cominciarono a discorrere. Il primo a parlare fu il loro capo che apri cosi
la riunione:
- Rankut, ma ci dormi anche col turbante?
Questa frase provoc una risata generale tra i presenti che si prolung diversi secondi,
essendo ognuno avvezzo a scherzare su tutte le amenit possibili; il che diede
l'opportunit a Rankut di evitare la risposta.
Dopo tale preambolo i maggiori esponenti della spedizione cominciarono a discorrere sul
da farsi.
I presenti erano divisi in due diversi gruppi: uno era costituito da persone che volevano
andare a cercare informazioni sugli ultimi movimenti del nemico verso il vicino
villaggio di Sipitang e poi agire di conseguenza; l'altra fazione era formata da quelli
che erano contrari a ci. I primi osservavano che non ci si poteva dirigere verso alcun
posto se non si era certi su dove fosse il nemico. E non ci si poteva permettere di

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perdere altro tempo in viaggi a vuoto, il che avrebbe solo favorito i ribelli. Gli altri
erano contrari a questa soluzione, perch andare nel vicino villaggio a cercare
informazioni avrebbe destato sicuramente l'attenzione di molta gente nelle locande e
nei punti di ritrovo.
E siccome le spie e i traditori non mancavano, la loro presenza in quel luogo sarebbe
stata sicuramente riferita ai capi della rivolta. Questa fazione, per di pi, insisteva nel
dire che la venuta di quella spia la sera precedente significava che il nemico era
relativamente vicino. E siccome in quei dintorni c'era solo villaggio il villaggio di
Sipitang, poco distante da Sindumin, proponevano di andare direttamente l, anche
perch sarebbe stato l'unico luogo che il nemico avrebbe potuto attaccare in quella
zona.
Sandokan ascolt pazientemente entrambi gli schieramenti anche se era pi incline a
dare ragione ai secondi.
Alla fine, comunque, decise di attuare un piano intermedio: sarebbero andati ad
informarsi nel vicino villaggio solo due persone, in modo da non destare il minimo
sospetto. Dopodich ci si sarebbe comportati di conseguenza: magari andando appunto
a Sindumin. Sandokan decise di recarsi lui stesso in avanscoperta portando con se il suo
fido luogotenente Rankut.
Dovettero per, prima di partire, cambiarsi d'abito. Sandokan doveva infatti
abbandonare i suoi vestiti regali, molto ricchi di stoffe ed oggetti di valore.Tale
abbigliamento, che avrebbe dato subito all'occhio, consisteva in stupendi pantaloni
rossi, relativamente stretti ed infilati in un paio di lucidissimi stivali neri, il tutto
impreziosito da numerosissimi oggetti di valore, come alcune mostrine d'oro, una
cinta nera con attacco in oro massiccio, due pistole con il manico in argento, mentre
una camicia di seta orlata di frange coperta da una giubba nera con alamari d'oro
completava il suo vestiario. Infine portava il turbante con il classico diamante al
centro sotto una piuma variopinta. Tutto questo non poteva andare bene. Doveva quindi
immediatamente cambiarsi per vestirsi in una maniera adeguata all'occasione. Cos
era pure per Rankut, che in quel momento portava la sua classica divisa da "ufficiale
di fiducia", anch'essa denotante l'appartenenza ad una corte reale. Dopo una lunga
vestizione, aiutati e consigliati dagli altri, il sultano ed il suo aiutante di campo si erano
trasformati in due classici ed indistinguibili paesani del luogo. Erano vestiti quasi
uguali tra loro con dei calzoni propri dei contadini, di colore tra il grigio e il verde
scuro, tendente al marrone, non troppo lunghi, con due camicie sul bianco sporco,
scollate sul davanti, il tutto colorato da qualche macchia qua e l che dava un tono di
assoluta semplicit e di discreta povert.
Dopo aver mascherato tra gli abiti due buone pistole e dopo essersi assicurati delle loro
cariche portandosi dietro anche un pacchetto di munizioni, il rajah diede alcune
disposizioni ai rimanenti, cedendo momentaneamente il comando ad un fido
luogotenente di nome Tuirek: l'ordine era di aspettare il loro ritorno per cena, non
prima. Quindi si allontanarono dal campo dirigendosi verso Sipitang. La meta non era
distante pi di un ora.
Durante il tragitto i due uomini si intrattennero dialogando spensieratamente sui pi
disparati argomenti. Ad un tratto Rankut disse:
- Ah, non abbiamo pensato a portare con noi qualche rupia! Spesso il denaro serve
benissimo per sciogliere la lingua a chi parco di parole.
- Invece, - rispose Sandokan sorridente - ho pensato io a sottrarli dal "cofanetto di
viaggio" mentre Mambur mi guardava con occhio tra il triste ed il torvo.
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A questo punto i due scoppiarono in una fragorosa risata. Per cercare di far sorridere
anche il lettore bisogna precisare che Mambur era il tesoriere di viaggio, cio colui che
aveva il compito di amministrare e custodire le ricchezze che in tutte le spedizioni
venivano portate per ogni evenienza. Occorre anche aggiungere che l'usanza
prevedeva che lo stipendio di questo personaggio consistesse nell'appropriazione
legittima da parte sua di quella parte di denaro che avanzava alla fine del viaggio. Egli
era infatti sempre presente in tutte le spedizioni, dividendo con gli altri anche i
pericoli ad esse connessi, dalle partite di caccia, alle spedizioni in altri paesi, o
ambasciate varie, dove si portano e si spendono sempre un gran numero di rupie.
Quest'uomo era di una onest perfetta, dovendo anche rendere conto al rajah, al ritorno
di ogni viaggio, di tutte le somme spese, da chi e perch. Era quindi comprensibile la
tendenza di quell'uomo ad essere molto largo di manica quando si trattava di decidere
quanto portare, e molto restio quando occorreva prelevare dall'adibito cofanetto il
denaro da spendere. Sandokan, comunque non mancava di far avere al tesoriere uno
stipendio quando si attraversavano periodi, con pochi viaggi, o quando i rimasugli del
denaro portato erano manifestamente scarsi.
Intanto la camminata fra le chiacchiere continuava. I due ribadirono che una volta
arrivati a Sipitang si sarebbero subito diretti verso la pi vicina locanda. Dopo un poco
di silenzio, il loro pensiero corse alla prossima serata, quando una volta tornati
all'accampamento, avrebbero mangiato una prelibata specie di uccello che era stato
cacciato quella mattina.
- Sempre che non se lo mangino tutto loro, senza aspettarci! - disse Sandokan volendo
scherzare.
- No - gli rispose Rankut - Tuirek non cos cattivo e certo non mancher di attendere
il suo sultano e padrone per mangiare.
- Speriamo! - gli rispose Sandokan con tono scherzoso.
Il viaggio continu mentre i due parlavano anche della spia sorpresa la sera
precedente, riguardo alla quale Sandokan aveva un pessimo presentimento.
Ad un certo momento, finalmente, la foresta, a seguito di un diradamento progressivo
degli alberi, iniziato gi da una ventina di minuti, fin con qualche singola pianta sparsa
e venne lasciata alle spalle dai due uomini.
Appena usciti di sotto il bosco ebbero, per la prima volta dopo parecchio tempo,
davanti a loro di nuovo le casupole di un luogo abitato. Era il villaggio di Sipitang.
Senza la protezione degli alberi gi si avvertiva un caldo soffocante, dovuto ad un cielo
estremamente terso, ed alla latitudine di quei luoghi.
Nonostante infatti l si fosse vicini al mare questo clima risultava a volte fastidioso ed
addirittura insopportabile anche per gli abitanti di quelle regioni ormai avvezzi a
sopportare tali elevate temperature.
Poco dopo i due giunsero nel mezzo della citt e notarono con piacere che
nessuno si girava verso di loro, incuriositi dalla presenza di quei due nuovi stranieri, i
quali si muovevano con la maggiore disinvoltura di questo mondo. Dopo qualche
minuto i due giunsero finalmente nei pressi di una taverna e, senza por tempo in mezzo,
vi entrarono, mantenendo sempre una grande naturalezza come se fossero frequentatori
abitudinari di quei luoghi.
Il locale nel quale erano entrati, come spesso lo sono tutte le bettole, era molto affollalo
di gente intenta a bere, fumare, chiacchierare, giocare; nessuno quindi si avvide di quei
due nuovi figuri appena entrati: sicuramente gli abiti portati dai due visitatori, in tutto
simili a quelli comunemente indossati dagli abitanti di quel luogo, li rendevano simili
ai contadini delle vicine campagne.
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I nostri eroi si appropinquarono al bancone del taverniere e Sandokan, prendendo la
parola, disse che voleva sapere dove si potesse assoldare un cornac con un buon elefante
per andare a Sindumin.
Disse questo perch era quasi sicuro che in quel posto si trovassero le truppe
nemiche e contava sul fatto che, se questo fosse stato vero, l'oste udendo il nome di
quella cittadina gli avrebbe dato qualche indizio. Ed infatti cos fu.
Il taverniere ben avvezzo a riconoscere ormai ad una prima occhiata tutti gli assidui
frequentatori della taverna si avvide subito che si trovava di fronte a due stranieri, non
avendoli mai visti prima d'ora.
Perci fatto non rest molto stupito nell'udire che essi volessero andare a Sindumin.
Si sent quindi in dovere di avvertirli che in quella provincia era in atto una sommossa
con saccheggi della citt e devastazione delle case, organizzata da alcuni ribelli
venuti dal sud.
Questo era quanto i due volevano appunto sapere.
Nonostante avessero appena raggiunto il loro scopo Sandokan e Rankut fecero finta di
interessarsi ugualmente all'elefante per conoscere magari qualche altro luogo l
vicino od avere contatti con altri abitanti.
- Se volete - rispose loro l'oste - potete noleggiare tutto quello che vi serve nelle
scuderie dall'altra parte della citt. Dovete seguire la strada principale dalla quale siete
entrati e poi chiedere a qualunque passante: ognuno vi sapr indicare la strada pi breve
da seguire.
- Grazie mille, ci siete stato di grande aiuto - rispose con aria soddisfatta Sandokan.
Dopo questo breve colloquio Rankut non tralasci di ordinare all'oste due buoni
bicchieri di un liquore locale, sia per rispetto della gola .duramente colpita dall'arsura
della giornata, sia per ricompensare il taverniere che probabilmente non amava dare
informazioni per niente.
Ci fatto i due, con il palato pi rinfrescato di prima, pagarono la somma che fu loro
richiesta lasciando una piccola mancia ed uscirono dalla taverna incamminandosi con
passo sicuro e veloce, dalla parte opposta a quella che era stata loro indicata dall'oste,
per tornare in fretta e senza indugio al loro accampamento. Il loro programma era di
procedere celermente verso Sindumin per entrare al pi presto nella citt. Sicuramente,
pensavano, sulla strada da percorrere per raggiungere tale luogo avrebbero incontrato le
truppe dei ribelli, che forse stavano gi attaccando la citt. In questo caso le truppe reali
avrebbero attaccato e massacrato chiunque avessero trovato di fronte.

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CAPITOLO SESTO

L'AGGUATO NELLA JUNGLA

Si camminava gi da due giorni e, secondo le parole dei pi esperti del luogo, ci si
sarebbe dovuti trovare gi molto vicini alla meta. Intanto durante il viaggio non vi erano
pi stati incidenti e questo contribu disgraziatamente ad un allentamento della
sorveglianza e dell'attenzione proprio nei luoghi ove essa avrebbe dovuto essere
potenziata.
Quel giorno, verso met mattinata, la colonna si trovava a percorrere uno stretto e
tortuoso sentiero nella foresta.
Era una via aperta probabilmente da chi abitualmente percorreva, per ragioni
di commercio o di trasporto la strada che separa le due cittadine. Il sentiero era
stato per tracciato dovendo fare i conti con le propriet naturali della foresta: alberi con
tronchi di dodici metri di diametro , grandi ammassi rocciosi, immensi roveti, piccole
paludi, e via di questo passo, tanto che il sentiero era un continuo aggirare di ostacoli
con infinite curve e giravolte.
Ormai la colonna guidata dal principe di Sabah era arrivata molto vicina alla fine della
foresta e quindi alla citt, pi di quanto credessero.
Si poteva perci incontrare qualche esploratore o banda di ribelli che si aggirasse per
quei luoghi. Malauguratamente, per, Sandokan, Tuirek, Rankut e tutti gli altri non si
rendevano conto dell'imminente pericolo poich erano distratti sia dal gran
chiacchierare sia da una foresta sempre uguale che aveva reso il susseguirsi di
passi e lo scansare buche, sassi o liane pendenti, un movimento meccanico ed
automatico. Ci li aveva resi sin troppo sicuri del fatto che per arriv are bastava seguire
il sentiero sino in fondo senza preoccuparsi troppo.
A causa appunto di quella serie di curve e controcurve, l'avanguardia e la retroguardia,
loro malgrado, si erano allontanate molto pi del dovuto dal centro della colonna,
portando la distanza sino a 600 o 700 metri.
Nessuno, d'altra parte, se ne accorse dato che, a causa della vegetazione, gli estremi
della colonna non avrebbero mai potuto vedere il centro e viceversa, neanche se fossero
stati a 50 metri di distanza dall'uomo pi vicino.
Questa situazione era destinata, per, a cambiare e ci accadde quando Sandokan e tutti
gli uomini della colonna centrale sentirono alcuni spari provenire dalla parte anteriore e
poco dopo anche da quella posteriore della spedizione.
Ecco che cosa stava succedendo.
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Come il lettore si ricorder, quando la spia Fei-leng era stata catturata dai soldati del
rajah nell'accampamento presso Sipitang, essa non era sola ma era accompagnata dal
suo amico Sou-long che riusc a sfuggire alle grinfie dell'odiato rajah. Noi l'abbiamo
abbandonato a quel punto ma purtroppo il suo operato non era finito l. Una volta fuori
pericolo, infatti, si diresse subito ed in fretta verso il luogo ove aveva lasciato i suoi
compagni di ribellione e cio appunto verso la citt di Sindumin, sulla quale ora
Sandokan si stava dirigendo. Vi arriv molto prima dei soldati di Muluder ed ebbe
quindi tutto il tempo di riferire quanto aveva scoperto. La spia, infatti, raccont tutto ai
suoi capi che, interpretate le intenzioni e la posizione dei rajaputi, capirono subito che
essi si sarebbero diretti in quella stessa citt dove loro erano accampati e che per
arrivarci non potevano che passare per quel sentiero dove ora si trovavano, unica via
facilmente percorribile in quelle vicinanze.
Fu cos organizzato, lungo quella strada un terribile agguato, congegnato per attaccare la
colonna in due punti diversi: i due estremi.
Tutti i ribelli si erano sistemati ai propri posti sugli alberi ai lati del sentiero e, quando
fu il momento opportuno, da l rovesciarono una valanga di frecce su coloro che
passavano sotto di loro. I rajaputi colti di sorpresa, nell'attesa che i capi facessero
pervenire ordini precisi, imbracciarono i fucili e cominciarono a sparare sugli alberi,
anche se non sapevano dove fossero con precisione i nemici, non dando le frecce, armi
silenziose, alcun indizio di provenienza. Questi spari, come abbiamo gi detto, furono
subito uditi dal centro della colonna e tutti si resero conto di quanto si trovassero
distanziati dall'avanguardia e dalla retroguardia e come tali gruppi fossero stati
attaccati. Non c'era quindi tempo da perdere.
Il rajah e i suoi luogotenenti capirono immediatamente che gli spari provenivano
soltanto dalle carabine d'ordinanza dei soldati del regno e che quindi quegli uomini non
potevano che essere stati attaccati da gente munita di frecce o lance. Bisognava
intervenire al pi presto: quanto avrebbero potuto resistere quegli uomini, anche se
valorosi, in un combattimento contro un nemico invisibile?


* * * * * * * * * * * *


Intanto entrambi i comandanti delle due frazioni attaccate ebbero la stessa idea:
anzitutto bisognava togliersi di l al pi presto poich gi troppi erano i morti. Il primo
pensiero che ebbero fu quello di fare inoltrare tutti nella coltre di verzura alla destra e
alla sinistra del sentiero, in maniera tale da mettersi nella stessa situazione degli
assalitori. Questa mossa avrebbe favorito certamente i rajaputi: infatti l'intrico di rami,
liane e foglie era un buon ostacolo alle frecce, mentre per i soldati, armati di carabine e
pistole, non sarebbe stato molto difficoltoso abbattere gli imboscati sugli alberi sopra di
loro, spazzando via con le palle delle loro armi quei piccoli ostacoli che si potevano
frapporre tra loro e il nemico.
Si trattava ora di sottrarsi da quella incomoda posizione e dall'implacabile tiro degli
assalitori che poteva comunque, alla lunga, essere micidiale. Decisero, poi, anche
questa volta contemporaneamente, di sganciarsi dal nemico, il quale trovandosi
arrampicato sugli alberi, non poteva certo muoversi con la stessa velocit dei soldati.
Praticamente nello stesso momento i due comandanti diedero ordine di spiccare una
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folle corsa verso il centro della colonna; e cos fu subito fatto. La distanza che per
li separava dalla loro meta non era quella che si aspettavano.
* * * * * * * * * * *

La strategia adottata dagli assalitori era la seguente: essi erano divisi in quattro gruppi
che si tenevano in contatto per mezzo di una catena di uomini, uno a poca distanza
dall'altro, che, urlandosi ordini ed aggiornamenti sull'andamento della battaglia,
riuscivano bene o male a tenere informati tutti di tutto. I quattro gruppi erano composti
ognuno da una cinquantina di uomini circa ed erano cos disposti sul territorio: due
avevano il compito di attaccare con le frecce i due estremi della colonna, tirando dagli
alberi, dai lati del sentiero; gli altri due in quel momento si trovavano ognuno
rispettivamente a met della strada che separava i due estremi dal centro della
compagnia reale ed avevano perci il compito o di prendere tra due fuochi quest'ultimo
o di fermare eventuali soccorsi provenienti dagli estremi verso il centro. Visto per che
l'avanguardia e la retroguardia stavano fuggendo verso il centro della carovana i
rivoltosi, che attaccavano questi estremi, si decisero a scendere dagli alberi ed a correre
dietro ai rajaputi fuggiaschi. Cos pure fecero gli altri due gruppi di rivoltosi, che
uscirono dai loro nascondigli e si prepararono a fermare i fuggitivi onde arrestarne la
corsa e prenderli tra due fuochi. Cos accadde.
Questo fu per l'errore delle truppe nemiche: esse non disponevano infatti di altri
uomini sufficienti per attaccare contemporaneamente il centro della colonna. Avevano,
infatti, impostato tutta la loro strategia pensando di sgominare in breve tempo
lavanguardia e la retroguardia, prima del sopraggiungere dei soccorsi da parte del
centro della compagnia.
La battaglia era destinata comunque ad imprimere un duro colpo ai soldati reali, anche
perch la lotta era stata impegnata proprio quando i rajaputi del Kina-Balu soffrivano di
quel distanziamento involontario.


* * * * * * * * * * * *
Intanto i due estremi seguitavano a correre verso il grosso ma non si capacitavano del
motivo di una tale distanza. Cominciando a preoccuparsi seriamente accelerarono la
corsa a perdifiato finch non si trovarono, ambedue in una situazione analoga, addosso
ai nemici, anch'essi in corsa verso di loro. Il fatto sarebbe stato comico non fosse
invece tanto grave. I soldati iniziarono a temere seriamente per la loro sorte abbastanza
delicata. Ormai, per, erano addosso ai nemici e cos impegnarono subito un terribile
combattimento, ma solo all'arma bianca poich si trovavano troppo vicini per poter fare
uso delle pistole.
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Non si potevano comunque confrontare il valore e la destrezza dei soldati reali, che
maneggiavano con vera maestria tarvar, sciabole, kampilang e pugnali, con quello
degli assalitori, bench i rajaputi fossero in grave inferiorit numerica.
* * * * * * * * * * * *
Nel frattempo i capi della spedizione che si trovavano al centro della colonna non
avevano perso tempo. Sandokan aveva deciso di dividere il gruppo centrale in due parti
per poter giungere in soccorso all'avanguardia e alla retroguardia. Prese quindi egli
stesso il comando della compagnia che doveva muoversi in avanti, rispetto al senso di
marcia e diede a Rankut il comando dell'altra. Una volta formati i due gruppi di
soldati, entrambi cominciarono ad avanzare il pi velocemente possibile verso i due
punti prestabiliti. La loro marcia era per molto rallentata dai portatori che li seguivano
e che non potevano correre. D'altra parte non si poteva lasciarli da soli essendo questi
ultimi quasi interamente disarmati: sarebbero rimasti prede di ulteriori disastrosi agguati.
I due gruppi erano perci costretti a coprire la distanza che li separava dagli altri molto
lentamente.
Intanto i due estremi della colonna dei rajaputi furono raggiunti anche dagli assalitori
imboscati sugli alberi che si erano slanciati dietro di loro dopo essere usciti allo
scoperto dalla vegetazione. Ora, cos, le due colonne estreme della spedizione del rajah
erano prese tra due fuochi. Tra le due parti attaccanti vi era per una differenza: mentre
quelli che si trovavano pi al centro erano bene armati, proprio perch era previsto che
attaccassero direttamente il nemico, quelli pi esterni erano stati armati solo con archi e
frecce che avrebbero dovuto utilizzare solo per tirare da dietro la coltre di verzura per
non far rumore.
I due estremi della compagnia reale, non ebbero tanta difficolt, visto che il sentiero non
era molto largo e che la prima linea di combattimento quindi non era composta da tante
persone, a mandare qualcuno degli uomini pi arretrati addosso agli assalitori dotati di
arco.
Questi ultimi cos armati, nulla potevano in un combattimento ravvicinato e, per quanto
tentassero di indietreggiare un poco per riacquistare distanza, erano destinati a cadere
tutti. Cosa che accadde nel volgere di pochi minuti, con poche perdite da parte della
legione reale. Ora non rimaneva che combattere contro i due gruppi di assalitori pi
interni contro i quali ad certo punto si aggiunsero nel combattimento anche i soldati
capitanati da Sandokan e da Rankut che nel frattempo erano finalmente arrivati sul
doppio luogo della battaglia. Agli assalitori era ora preclusa ogni via di fuga; non
restava loro che combattere ormai una partita impari per numero e per valore contro
un nemico che li aveva gi accerchiati. Anche gli elefanti furono determinanti nella
lotta, poich consentivano ai rajaputi che li montavano di colpire il nemico dallalto.
Nel volgere di poco tempo, infatti, i rivoltosi furono tutti massacrati. I rajaputi si erano
comportati al meglio ed erano riusciti a distruggere un nemico che con lo stesso numero
di uomini li aveva colti di sorpresa nel peggiore dei modi. Ma con quali perdite! Erano
stati contati cinquantotto cadaveri, senza considerare qualche vittima tra i portatori.
Questi vuoti, per una spedizione che doveva ancora cominciare a combattere contro il
grosso del nemico, erano preoccupanti.
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Che tristezza vedere quel fiume di sangue e quella moltitudine di cadaveri. La
spedizione era cominciata male anche se non si poteva dire di non essere stati fortunati.
Fra i cadaveri dei nemici, se qualcuno lo avesse riconosciuto, si sarebbe facilmente
notato il corpo di Sou-Long, la spia cinese sfuggita a Sandokan presso il suo
accampamento.
Le ore a venire furono impiegate a seppellire i cadaveri e a riorganizzare la colonna.
Cos Sandokan dette il segnale della partenza, disponendo i suoi uomini similmente
alla formazione precedente; soltanto un ammonimento fece a tutti: quello di tenersi
in contatto ogni tanto con dei messaggeri che andassero dal centro agli estremi
della colonna e viceversa, onde verificare che le distanze venissero mantenute e che
tutto procedesse bene.
Intanto Rankut si preoccupava dei portatori e dello stato di salute degli elefanti che per
fortuna si erano salvati, mentre Mambur con faccia torva controllava minutamente le
casse di denaro per vedere se vi mancasse qualcosa. La marcia prosegu sino a sera
quando il giovane sultano dette il segnale della fermata. Si accamparono in un luogo
ove il sentiero si allargava in una specie di radura. Erano sicuri che almeno per quella
notte non sarebbero stati riattaccati. Ci nonostante Tuirek non tralasci di predisporre
alla veglia le sentinelle, secondo gli ordini ricevuti da Sandokan.
La notte trascorse tranquilla e la mattina successiva la compagnia di buon ora si
rimise in marcia, senza la solita allegria che li aveva accompagnati sin'ora: tutti stavano
cercando infatti di dimenticare la perdita di tanti compagni.
Intanto, su un'hauda i due veri registi di questa spedizione, Sandokan e Rankut,
stavano discutendo sull'accaduto:
- Sicuramente qualcuno - disse Sandokan - non vuole farci giungere sino alla nostra
meta, e sicuramente questo qualcuno conosce bene dove ci stiamo dirigendo.
Rankut, mentre si stava grattando furiosamente la testa attraverso il turbante, atto che
faceva sempre quando era molto preoccupatao, rispose:
- A momenti ci riuscivano! Comunque questo significa anche che la nostra meta
quella giusta! Quindi, secondo me, non resta che proseguire e alla svelta.
- Sono anch'io di questa idea. Non vorrei per incontrare forze preponderanti e rischiare
di essere distrutti. Abbiamo avuto prova .del fatto che il nemico non fa economia di
uomini e bisogna essere prudenti.
La loro conversazione seguit in questi termini per parecchio tempo ancora mentre
tutto procedeva tranquillamente. La colonna pass per sentieri facilmente percorribili
e per zone di foreste fittissime, dove si incontravano sovente delle paludi e delle
piccole radure.
La marcia prosegu in perfetta tranquillit finch in tarda mattinata notarono che la
foresta cominciava leggermente a diradarsi per terminare bruscamente pi avanti in
uno sterminato panorama collinare. L'avanguardia diede la notizia al resto della
spedizione che si schiacci in avanti sul limitare della foresta in attesa che i capi
decidessero il da farsi. La compagnia si trovava sulla sommit di un piccolo altopiano e
s'intravedeva la citt di Sindumin in lontananza, costruita nella valle sottostante orlata
di tante altre piccole colline.
Il rajah ed i suoi luogotenenti stavano pensando che ormai, considerando il tempo che
era passato dall'inizio della loro spedizione e da quanto avevano appreso a Sipitang, che
la citt doveva gi essere caduta in mano al nemico e che questo si stava probabilmente
rimettendo in viaggio per avanzare verso l'interno. Se le bande dei rivoluzionari fossero
gi uscite da quella valle, infatti, la compagnia reale, avrebbe incontrato sul proprio
cammino il grosso dei rivoltosi, dato che la loro prossima meta sarebbe stata
probabilmente proprio la citta di Sipitang che Sandokan aveva appena visitato.
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Era quindi da presumere che le truppe dei rivoltosi stessero or ora lasciando la citt per
procedere oltre.
Uscirono quindi subito dalla foresta ed i primi uomini si affacciarono dalla sommit
della collina per vedere bene la reale situazione nella valle. Tutti furono stupiti
nell'accorgersi di quanto le loro previsioni avessero colto nel vero. La citt, vista ora
nella sua interezza, portava evidenti segni di assedio e di saccheggi. La cinta muraria,
infatti, era stata fatta saltare in pi punti, da molti dei quali si alzava ancora un distinto
pennacchio di fumo. Di l erano sicuramente entrati i soldati ribelli. Sulla cinta di mura
della citt non si vedevano milizie del regno ma solo qualche cadavere sparso qua e
l sia sopra che sotto le mura. Il panorama che si scorgeva, all'interno della citt non
era certo migliore: molte capanne, botteghe, casupole ed osterie erano state
incendiate e risultavano completamente distrutte ed ancora davano gli ultimi segni
delle fiamme appena spente. Si intravedevano pochi abitanti per le strade: forse
erano solo coloro che avevano perso la casa o tutti i loro beni in seguito al saccheggio o
forse erano quelli che chiedevano aiuto a qualche loro conoscente dei dintorni. Quanta
tristezza provavano ora tutti i membri della spedizione! Erano arrivati troppo tardi.
Nel cuore di Sandokan si era gi formato un nuovo e pi distinto sentimento di odio
perfetto nei confronti di chi aveva ordinato e di chi aveva eseguito questa
devastazione nella sua citt. Intanto volle cominciare col punire subito gli artefici
materiali di quel disastro.
- Eccoli laggi! - esclam il sultano.
Le truppe dei soldati nemici stavano infatti uscendo fuori della citt proprio in quel
momento. Dai loro movimenti si intuiva che essi non avevano alcuna intenzione di
partire subito. Probabilmente volevano attendere almeno l'indomani. Stavano infatti
allestendo alcune tende e dei rudimentali ripari per la notte o per accogliere e
curare i feriti della battaglia.
Nella mente di Sandokan cominciava quindi a delinearsi un feroce progetto del quale
discusse con i suoi fidati sottocapi. Decisero cos di non aspettare che il nemico
cominciasse a scalare la collina, ma di attaccarlo subito, quando forse gli uomini delle
bande ribelli, provati dalla recente battaglia, erano sicuramente pi vulnerabili. Tutti
uscirono quindi dalla foresta e si prepararono tosto alla battaglia. Si decise che i
portatori al riparo sarebbero rimasti celati tra gli alberi. Sandokan diede ordine ai suoi
uomini di impiegare il resto della giornata per costruire delle rudimentali catapulte cos
da poter attuare immediatamente il suo piano quella notte stessa. Molti uomini, quindi,
si misero subito e di gran lena a cercare rami adatti, piccoli tronchi, liane ed altri oggetti
a loro utili nella foresta. Quando tutto l'occorrente fu raccolto, sotto diretto controllo e
comando di Sandokan, furono costruiti tre piani di legno simili a zattere, sopra i
quali furono abilmente montati tre bracci di catapulta. I bracci in legno, costruiti
utilizzando adeguate parti di alcuni giovani alberi, erano tenuti flessi da alcune liane che
li trattenevano piegati pronti al tiro. Con lo stesso principio dell'arco, appena essi
fossero stati sganciati sarebbero scattati in avanti lanciando sui nemici i materiali di cui
erano caricati. Quando tutto questo fu ultimato, infatti, vennero costruite molte palle
usando un intreccio di rametti, foglie secche, una specie di cotone raccolto da alcuni
alberi che si trovavano nei dintorni; il tutto era imbevuto con una copiosa quantit di
resina: un volta incendiate esse avrebbero costituito degli ottimi proiettili infuocati per i
nemici. Cos tra un preparativo ed un altro si fece presto sera, ma non fu trascurata la
cena. Conclusa che fu anche questa, non senza la dovuta calma, ben badando di
non accendere alcun fuoco e di non produrre alcun segno della propria presenza in
quel luogo, ed una volta che le tenebre si furono infittite, Sandokan diede ordine di
iniziare l'attacco. Come era stato stabilito Sekil sarebbe rimasto sulla collina con una
decina di
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uomini per difendere i portatori e per manovrare le catapulte, mentre gli altri si
sarebbero slanciati, al momento opportuno, sul nemico, utilizzando anche gli elefanti,
che sarebbero diventati vere macchine da guerra..

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CAPITOLO SETTIMO
LA LIBERAZIONE DI
SINDUMIN
- Accendete le prime tre palle! - comand ad un tratto Sandokan.
Subito gli uomini incaricati infiammarono con gli acciarini tre proiettili che lanciarono
in aria con una poderosa fiammata.
- Caricate di nuovo- riprese Sandokan.
Immediatamente, sollevate con dei lunghi rami di legno, altre tre balle di materiali
resinosi furono poste nel loro vano di lancio.
- Fuoco! - ordin allora con voce tonante e senza ombra di esitazione Sandokan.
I tre uomini addetti al servizio delle catapulte sganciarono subito le funi che tenevano
tesi i bracci di quelle bizzarre macchine da guerra. Quasi perfettamente all'unisono tre
strisce di fuoco solcarono il cielo per andare a cadere con una precisione millimetrica al
centro dell'accampamento nemico incendiando una tenda ed ustionando parecchi
selvaggi nemici, mentre tre altri piccoli roghi si accendevano nel medesimo posto ove si
trovavano i precedenti. Subito nella compagnia nemica, che contava pressappoco un
paio di centinaia di uomini, si cre un movimento simile a quello di un gruppo di
formiche, che essendo prima tutte attaccate a vari pezzetti di pane fuggono poi in
ogni direzione quando si tira loro addosso un oggetto. Tre volte le catapulte
lanciarono con perfetta sintonia sul campo nemico mentre i rivoltosi stavano cercando
di organizzare una difesa. Quattro tendoni erano stati incendiati e cos anche molti
cespugli e cumuli di erbacce secche che si trovavano l vicino.
II nemico era in difficolt. Sandokan allora pens che era questo il momento opportuno
per caricare. Diede quindi ordine ad una parte dei suoi fidi di salire in groppa agli elefanti.
- Cessate il fuoco! url, poi, appena fu tirata la quarta bordata di palle.-All'attacco!
Subito un urlo terribile si alz dall'alto della collina e quasi tutta la compagnia, senza n
ordine n schemi, si slanci , come un gruppo di demoni scatenati, all'attacco del
nemico, lasciando Sekil con dieci uomini a guardia delle catapulte, nel caso fosse stato
necessario riprendere quello strano bombardamento.La carica era aperta dagli elefanti.
Come un branco di cavallette in arrivo su un campo di grano, Sandokan ed i suoi uomini
cominciarono una furiosa discesa dalla sommit della collina verso la valle; percorso
che non era difficile fare in quanto il terreno era quasi tutto erboso con soltanto qualche
pietra qua e l. I pachidermi barrivano spaventosamente, agitando le proboscidi.
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Tutti gli uomini del rajah, anche a costo di rompersi l'osso del collo, avrebbero fatto
qualunque cosa per sfruttare questa pendenza a loro favore per andare pi veloci.
Mentre Sekil ed i suoi compagni guardavano con apprensione quella scena, il nemico
cominciava ad organizzarsi per la difesa.
Si aveva infatti l'impressione che la banda dei rivoltosi volesse spezzarsi in due gruppi:
spostandosi una met sulla destra e l'altra sulla sinistra per accogliere i soldati reali nel
mezzo. Questo movimento che era comunque soltanto accennato non fugg a Sandokan
e ai suoi che aumentarono ancor di pi la corsa per anticipare ogni possibile mossa
nemica.
In poco tempo le truppe reali erano quasi arrivate alla base della collina, ma altrettanto
era diventata evidente la divisione delle bande dei selvaggi nemici che stavano
formando un semicerchio nella pianura nel quale era ormai quasi impossibile per gli
attaccanti non finire dentro.
- Poggia! Poggia da una parte . . . Dannazione ! Attenti a non cadrci dentro! -
sussurrava tra s e s Sekil, dall'alto del suo punto di osservazione, rivolto al rajah ed ai
suoi.
Purtroppo, per, forse presi dalla foga dell'attacco, i rajaputi non si resero conto per
tempo che stavano cadendo dritti nel tranello; cosicch arrivati ai piedi della collina si
ritrovarono affatto circondati. Una scarica di fucili diretta agli elefanti ne atterr sei.
In quel momento le due ali dei nemici stavano precludendo agli attaccanti anche la via
di dritta. I rivoltosi concentrarono il fuoco solo sui pachidermi, che vennero cos tutti
uccisi. Nella caduta molti uomini che li montavano rimasero gravemente feriti. Solo
Sandokan, con unabile capriola, riusc ad evitare di rimanere travolto dal corpo del suo
animale.
Sulla collina gli uomini di Sekil, impotenti mentre osservavano la scena, si mordevano
le labbra a sangue.
Sandokan si rese conto solo in quel momento che aveva portato le sue truppe dritte
nella trappola del nemico. Ma era troppo tardi. Subito successe l'unica cosa che poteva
accadere: l'impegnarsi di una feroce lotta all'arma bianca tra gli uomini del rajah e il
semicerchio dei ribelli che si era chiuso subito su di loro. I colpi dell'acciaio contro altro
acciaio si susseguirono con ritmi serrati tanto da dar luogo ad un rumore prolungato e
costante. Certo non si poteva confrontare il valore dei soldati del rajah con quello degli
avversari, mentre come fattore numerico i nemici erano di gran lunga superiori ai
rajaputi.
Ad un certo punto Sandokan ed i suoi uomini si accorsero che i nemici erano
drasticamente diminuiti. Erano forse morti? Sembrava strano. Ognuno si stava ponendo
simili domande quando tutti videro ogni uomo nemico fare un improvviso dietro-fronte
e fuggire all'unisono allontanandosi dal luogo del combattimento. Gli uomini del
sultano dovevano ancora riprendersi dallo stupore cagionato da questo comportamento
quando videro tre lingue di fuoco solcare il cielo e dirigersi proprio su di loro.
* * * * * * * * * * * *
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Ma cosa era accaduto?
Erano stati vittime di uno sporco tranello. I rivoltosi infatti avevano ordito un piano per
decimare i soldati reali. La prima mossa doveva essere quella di stringere gli assalitori
in un cerchio di ferro e fuoco a ridosso della collina.
I rajaputi cos oppressi all'interno di questo cerchio non avrebbero potuto accorgersi,
come difatti accadde, che dal gruppo dei rivoluzionari che formava la seconda linea del
semicerchio, si andavano via via staccando sempre pi uomini. I combattenti che si
allontanavano dallo scontro si apprestavano a formare un gruppo di una sessantina di
persone che aveva un compito ben preciso.
Sekil ed i suoi, dall'alto della collina, pur notando quello spostamento di uomini non vi
fecero troppa attenzione in quanto erano concentrati sul campo di battaglia dove il
combattimento era pi cruento.
Comunque sia quel gruppo di nemici si spost, inosservato verso la base dalla
collina, finch cominci a risalire il pendio in un punto dove, grazie alla curva che
faceva la stessa altura, non poteva essere visto dalla postazione di Sekil.
Il lettore avr gi intuito i progetti degli assalitori i quali in poco tempo raggiunsero la
sommit del colle, aggirando il piccolo distaccamento di rajaputi onde prenderli alle
spalle.
La truppa di Sekil, cos, non si avvide della manovra dei nemici se non quando, con la
coda dell'occhio, li videro sbucare dai cespugli che delimitavano l'altopiano alla loro
sinistra e cominciare a correre disperatamente verso di loro.
I soldati del sultano capirono subito tutto: quegli uomini si volevano impadronire delle
catapulte.
Sekil si assest un formidabile pugno sulla testa. Cosa potevano ormai fare dieci uomini
contro un cos nutrito numero di nemici? Ci nondimeno gli intrepidi difensori decisero
di resistere sino all'ultimo: non rimaneva loro che usare le carabine e le scimitarre, non
avendo certo il tempo di caricare e sparare con le catapulte, considerata la vicinanza
dei nemici. I dieci uomini, allora, facendosi scudo proprio con le tre catapulte,
cominciarono a sparare sugli assalitori. Una terribile bordata di dieci carabine caricate a
mitraglia invest gli assalitori mietendo numerose vittime.
- Ricaricate! - url allora Sekil.
Non ebbero per il tempo di fare ancora fuoco in quanto la distanza che li separava
dagli assalitori era stata ormai colmata dal procedere della loro folle corsa. Si impegn
quindi un duro quanto insostenibile duello all'arma bianca. Ogni difensore si trovava
oppresso ed accerchiato da almeno cinque nemici.
I soldati reali, per quanto valorosi e per quanto riuscissero ad uccidere un gran numero
di nemici, cominciarono a cadere uno ad uno, spesso colpiti alle spalle. Sekil riusc a
divincolasi dai suoi assalitori e a raggiungere a fatica le palle di rami e resina che si
trovavano per terra pronte per l'uso. Ce ne erano ancora sei. Egli allora cominci subito
a prenderle a calci e a saltarci sopra, nel disperato tentativo di distruggerle onde il
nemico non le potesse utilizzare contro le stesse truppe reali. Mentre stava facendo
questo lavoro, per, una palla di rivoltella, lanciatagli da un vile assalitore lo raggiunse
alla schiena, dietro il cuore. Egli cadde allora in ginocchio e si accasci sulla palla che
stava calpestando. Guardava melanconicamente i fili d'erba sotto di lui; un ragnetto che
camminava in cerca di cibo, i suoi compagni che cadevano sotto i colpi nemici; ma era
distaccato da tutto ci, lui non era pi l; era lontano mille miglia; non faceva pi caso al
dolore della ferita e delle spine dei rovi intrecciati che gli pungevano la pancia. Stava

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bene. Ora l non si combatteva pi; poco gli importava se un selvaggio lo stava
prendendo a calci, perch il suo corpo impediva di raccattare i resti della palla. Tutti
armeggiavano, avevano un gran da fare, ma a Sekil tutto ci non riguardava; era lontano
da quei luoghi. Poi lentamente gli si oscur la vista . . . . quindi il buio. Il nulla.
Tutto si era risolto in un massacro di quel pugno di eroi. Le catapulte erano state prese
e, siccome erano avanzati solo tre colpi, il capo di quella spedizione diede subito ordine
di costruirne al pi presto degli altri. Cos pass del tempo mentre gi alla base della
collina il combattimento procedeva come gi sappiamo; comunque, grazie al loro gran
valore gli uomini di Sandokan erano riusciti a portare alla pari il proprio numero con
quello del nemico.
Ricostruite le palle necessarie, subito ne furono accese tre: questo era il segnale
convenuto per comunicare ai combattenti della vallata di disimpegnarsi. Notando quelle
fiamme i rivoltosi che si trovavano intenti al combattimento contro le truppe di
Sandokan si sganciarono prontamente dalla pugna per non venire investiti da quella
imminente pioggia di fuoco.


* * * * * * * * * * *


Ci volle qualche secondo prima che Sandokan ed i suoi riuscissero a realizzare quello
che era accaduto. Quando si resero conto del motivo della fuga dei nemici erano gi
stati colpiti in pieno dalle prime tre palle infuocate, mentre altre erano gi in aria avendo
i rivoltosi caricato le catapulte con grande celerit.
Questo primo attacco aveva gi gravemente ustionato sei uomini; per non essere
ulteriormente colpito l'esercito di Sandokan cominci a sbandarsi. Ci volle la grande
autorit del principe e la perfetta fiducia che tutti avevano nei suoi confronti per riuscire
a riorganizzare la formazione allo scopo di sottrarsi ai pericoli. Cos alla voce tuonante
di Sandokan che li richiamava all'ordine, i rajaputi gli si riavvicinarono, come se
fossero state tante api che si dirigevano verso l'alveare.
Intanto gli avversari del rajah nella valle avevano formato un semicerchio molto pi
ampio di prima ma pur sempre opprimente per le armate del sultano a ridosso della base
della collina. Questo teneva gli accerchianti fuori dal pericolo delle palle infuocate ed
avrebbe reso difficile a Sandokan allontanarsi senza problemi.
Si trattava di prendere una decisione alla svelta. Tentare di riconquistare la sommit
della collina, scalandola da quel punto, sarebbe stata pura follia: poteva essere un
massacro. L'unica cosa che da fare era quella di avvicinarsi il pi possibile ai soldati
nemici, cos da non permettere a quelli sulla collina di sparare senza pericolo di colpire i
loro compagni. Ci deciso il rajah url subito il suo ordine e tutti si slanciarono in una
folle corsa verso il lato sinistro della collina, per raggiungere i soldati nemici e per
attaccare di nuovo battaglia. Cos facendo si sarebbero sottratti al fuoco dei rivoltosi ed
avrebbero cercato anche di vendicare i loro amici rimasti a guardia delle catapulte, i
quali certamente dovevano aver fatto una gran brutta fine.
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Proprio quando i soldati del rajah ebbero cominciato a correre si abbatt su di loro la
seconda bordata di palle infuocate che, anche se questa volta mal diretta a causa della
loro imprevista corsa , miet almeno altre due vittime che con gli abiti in fiamme
caddero a terra urlanti, rotolando tra i dolori. Bast questo ultimo fatto, questa ultima
goccia perch dal petto dei soldati reali uscisse unanime un spaventoso coro di grida. La
corsa aument e la sete di sangue e di vendetta invase subito gli animi di tutti i
superstiti. In breve tempo, nonostante un timido e male organizzato tentativo di
allontanamento da parte dei rivoltosi dalle truppe di Sandokan gli accerchianti furono
raggiunti e dalle catapulte non si ebbe pi il tempo di tirare una terza bordata di palle.
Ai venti uomini, circa rimasti alle catapulte, ora non rimaneva che assistere al
massacro dei compagni nella valle, poich nulla poteva ora fermare gli uomini di
Sandokan, anche se ormai ridotti ad un centinaio scarso.
Tutti i rivoltosi formanti il semicerchio, nelle parti pi lontane dal punto del
combattimento, abbandonarono in breve la loro posizione e cominciarono a correre
disperatamente in aiuto dei compagni. Quando i pi lontani arrivarono su luogo dello
scontro, per le sorti dello stesso erano gi segnate. Molto dell'esito di una battaglia
dipende infatti pi dal morale dei combattenti che dal loro numero ed in quel momento
il morale dei rajaputi era altissimo. Tutti loro menavano ormai i colpi quasi
automaticamente, senza rendersi pi conto delle mosse che facevano e del perch le
facevano: rompevano teste, mutilavano gambe e braccia, infilzavano uomini,
schivavano colpi pericolosi anche se qualcuno purtroppo cadeva colpito a morte. Ma ci
non arrestava punto la tremenda macchina di distruzione che era diventata ormai
quel gruppo di uomini affiatatissimi. Ad un certo punto Sandokan si rese conto che
stavano si vincendo ma pagando cara la loro vittoria. Il numero delle sue truppe
diminuiva infatti inesorabilmente. Questo decrescere non doveva per durare ancora a
lungo; infatti con il suo grande impeto l'esercito reale era riuscito quasi a sconfiggere
definitivamente il suo avversario. Gli uomini attaccati avevano a questo punto
completamente perso il controllo della situazione e cadevano uno dopo l'altro senza
opporre pi resistenza. Nel frattempo i rivoltosi sulla collina pensando di non poter
mutare lesito della battaglia, nemmeno se si fossero precipitati verso la vallata,
impauriti e presi da una gran terrore per la disfatta totale, assistevano impotenti alla
battaglia. Ormai le truppe di Hold ai piedi della collina si erano ridotte a solo una
ventina di uomini.
Quando il numero di questi fu ancor pi diminuito, i combattenti persero
completamente le ultime speranze e, sbandandosi, si diedero a fuggire disordinatamente
in tutte le direzioni.
A questo punto la prontezza di spirito di Sandokan fu risolutiva; egli infatti aveva gi
previsto quale sarebbe stata la prossima mossa dei nemici. Fren quindi a stento i suoi
soldati, che gi stavano per slanciarsi all'inseguimento dei fuggitivi, e subito ordin loro
un'ultima corsa verso la collina. Sandokan, infatti, molto accortamente, non si era
dimenticato dei nemici rimasti presso le catapulte i quali non avrebbero certamente
esitato a lanciare altre palle infuocate sui suoi uomini, ora che non correvano pi il
rischio di colpire i loro amici. Il sultano aveva intuito bene. Le catapulte infatti poco
dopo lo sbando dei rivoltosi, non tardarono a vomitare nuovamente fuoco e ad investire
i rajaputi.
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Questi, nonostante si fossero mossi prontamente furono comunque colpiti da almeno
altre sei palle, prima di giungere ai piedi della collina dove sarebbero stati fuori dal
tiro nemico. Appena arrivati al riparo, si accinsero alla scalata per raggiungere e
combattere gli ultimi nemici. Questi per non avrebbero certo dato la loro pelle per
poco e non appena i soldati reali raggiunsero presso a poco un altezza di mezza costa,
subito cominciarono ad alimentare un nutrito fuoco di carabine e pistole contro di loro. I
soldati del rajah erano stanchi ma non potevano percorrere altre strade per raggiungere
la sommit della collina in quanto un aggiramento a valle li avrebbe comunque esposti
al fuoco delle catapulte. Cos, trovandosi in una posizione tanto svantaggiata, non
avevamo altro da fare che salire il pi velocemente possibile e rispondere, per quel che
potevano, al fuoco nemico. Mentre per i soldati reali riuscivano a stento a strappare
qualche vita all'esercito rivoltoso, i loro nemici stavano letteralmente decimando la
compagnia dei rajaputi, gi ridotti ad un numero tanto esiguo. Lentamente,
comunque, conquistavano terreno. Cercavano di schivare il pi possibile i colpi sia
buttandosi a terra e rotolando, sia fingendosi morti onde poter cos uccidere senza essere
visti.
Riuscirono finalmente ad arrivare alla sommit del pianoro. I primi che raggiunsero
quella meta si scagliarono violentemente e senza esitazione addosso ai nemici,
innescando cos l'ennesima furibonda battaglia all'arma bianca subito imitati dal resto
dei superstiti. I soldati reali erano ormai ridotti solo ad una ventina di uomini. Numero
che per avrebbe dovuto trasformarsi nel triplo non appena i soldati si avvidero di ci
che i selvaggi avevano fatto ai propri compagni. Ognuno riconobbe tra i cadaveri che
giacevano a terra un fratello, un amico, un fedele compagno di viaggio. Sandokan
riconobbe tra tutti Sekil, caduto morto sulle palle da catapulta che stava distruggendo.
In quel momento dalla gola di tutti usc un grido come di belve ferite. A vedere
quell'ultimo massacro erano decisi a punire gli ultimi superstiti del nemico ad ogni
costo. Da quel momento in poi gli avversari del rajah si trovarono di fronte non a venti
ma a quaranta uomini risoluti a tutto. I soldati reali affrontarono i rivoltosi in maniera
cos violenta e furiosa che riuscirono a portare il loro numero prima alla pari poi al di
sopra di quello dei rivoltosi. Questi ultimi, da parte loro, si vedevano inesorabilmente
sopraffare e sconfiggere cosicch ad un certo punto si persero completamente
d'animo e cedettero senza pi poter reagire all'imminente vittoria dei soldati reali.
Sandokan e i suoi erano riusciti ad accerchiare gli ultimi sopravvissuti cos da non
permettere loro neanche di fuggire; era troppo infatti il loro furore causato da tutti quei
morti. I rivoltosi, frattanto, non si rendevano neanche conto di quanto fossero rimasti in
pochi e seguitarono a combattere, finch anche l'ultimo cadde infilzato dalla scimitarra
del fido Rankut, miracolosamente scampato a quella falcidia.
I rajaputi erano ormai ridotti a sole sei persone.
Rimase ora in quel luogo un silenzio di desolazione che commentava da se la
situazione; tutti restarono zitti per quasi un ora durante la quale ognuno, seduto par
terra, su una roccia o su un tronco d'albero, si mise a pensare a quante vite, a quanti
giovani o veterani della guerra avevano quel giorno visto scomparire.
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Che panorama si presentava loro guardando la valle! Quanti morti! Che prezzo per la
vittoria! Alcune lacrime furono versate da ogni soldato, finch lentamente, nella mente
di ognuno il pensiero pi prepotente divenne quello di tornare a casa a riabbracciare i
familiari. Quando il momento fu pi opportuno tutti si guardarono con un sospiro e
Sandokan ruppe il silenzio dicendo con voce cupa:
- Ci fermeremo qui per il resto della giornata di oggi e per quella di domani;
raccoglieremo tutti i cadaveri e gli faremo dare debita sepoltura da chi rimasto in
quella cittadina laggi. Sar il compenso che chiederemo a coloro i quali sono stati da
me liberati da sicura tirannia da parte dei capi rivoltosi. Due di voi vadano in citt a
sincerarsi delle condizioni degli abitanti e a chiedere loro quanto ho detto, altri due si
inoltrino un poco nella foresta per vedere cosa stato di tutti i portatori, mentre tu
Rankut vieni con me a vedere se c' ancora qualcuno in vita tra tutta questa gente.
Gli ordini di Sandokan furono messi tosto in pratica. Non appena i due volontari
arrivarono nella cittadina, subito trovarono un crocchio di persone le quali aveva assistito
trepidanti alla battaglia e che erano pronte a tutto per mostrare la loro gratitudine ai
propri salvatori e per raccontare loro quella che era stata la storia degli ultimi eventi.
I due inoltratisi nel bosco, invece, trovarono, di tutta la compagnia di portatori, soltanto
Mambur che era l ad attenderli, tutto preoccupato, con il suo cofanetto in mane ed un
cornac con alcune casse di viveri e munizioni al quale Sandokan non avrebbe tardato
a consegnare una lauta ricompensa per la sua fedelt.
I due rimasti avrebbero raccontato poi al sultano che gli altri, vedendo che la situazione
non volgeva al meglio, non avevano tardato a scappare in gran fretta da li,
abbandonando a terra tutti i loro carichi. Molte casse erano state distrutte dai selvaggi.
Giunta la mattina del terzo giorno, quando tutti si furono confortati a vicenda ed i due o
tre feriti trovati dal gruppetto dei sopravvissuti furono curati, quel tanto che avrebbe
permesso loro di affrontare la marcia del ritorno, ricevettero provviste d'acqua dai
cittadini di Sindumin. Dopo che, come previsto, tutti i morti ebbero trovato la loro
sepoltura, i membri della piccola colonna di Sandokan, dopo aver dato il loro estremo
saluto ai morti ormai sepolti, si accomiatarono, con i pi vivi auguri, dai paesani della
cittadina ed iniziarono, ancora mesti, il triste viaggio di ritorno che, senza incidenti,
qualche giorno dopo li avrebbe ricondotti a casa.

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CAPITOLO OTTAVO

L'INSURREZIONE

Sandokan appena rientrato nella capitale, dopo un lungo ed affettuoso abbraccio ai suoi
familiari, decise di riposarsi per riprendersi dalle inaudite fatiche sopportate durante la
campagna di guerra appena conclusasi. S'immerse quindi in un buon bagno caldo e si
affid poi ad abili massaggiatori, essendo gli orientali maestri nell'arte di rigenerare e
tonificare i muscoli del corpo, dando al contempo rilassatezza alla mente. Un sonno
d'alcune ore lo rese di nuovo pronto ad affrontare gli urgenti problemi del giorno. Come
prima cosa si rec nelle stanze dei genitori ove erano riuniti anche fratelli e sorelle.
Quale fu la gioia reciproca di ritrovarsi finalmente e di nuovo assieme, ve la potete
immaginare. Dopo le effusioni ed i saluti affettuosi, cominciarono i racconti di tante
disavventure. Per primo parl Selim, spiegando con ricchezza di particolari come s'era
svolto il suo viaggio verso i popoli ad est del regno, storia che i lettori ben
conoscono.
Fu poi la volta di Sandokan che intrattenne i presenti sulle avventure appena vissute.
Immaginate lo stupore, la rabbia e la delusione che tutti provarono a mano a mano che i
due viaggiatori spiegavano i tradimenti, gli inganni, le infamie accaduti in quelle
settimane di viaggi. Ognuno cadeva di sorpresa in sorpresa, di stupore in stupore per il
succedersi degli infausti quanto imprevedibili eventi che gettavano tutti nella pi
profonda tristezza ed inquietudine.
Ai resoconti narrati segu un lungo silenzio, che fu rotto alfine dal giovane Agun, il
quale, pur restando nella capitale non era certo rimasto inoperoso. Con l'aiuto del padre,
il vecchio Muluder, che era da ogni suddito amato e rispettato, Agun aveva
sguinzagliato spie e poliziotti per ogni dove, sia in citt sia nelle vicine campagne, onde
acquisire pi notizie possibili, anche quelle pi insignificanti. Le informazioni raccolte
furono le seguenti: un bianco, facendosi passare per inviato del sultano di Varauni, stava
disseminando per i villaggi costieri, ai capi trib, ai vari dignitari, ai comandanti
dell'esercito ed alle stesse truppe, oro, rupie, ed armi a profusione. Tali regalie venivano
date a chi, civile o militare, laico o religioso, giovane o vecchio, ricco o povero,
abbracciasse l'anelito di rivolta che andava a propugnare contro Sandokan e contro il
vecchio sultano.
Le promesse, che potessero allettare chi tradiva, e che comunque avevano buona presa
su quelle popolazioni, erano le seguenti: indipendenza piena per ogni citt, villaggio o
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trib; protezione completa da parte del potente sultano di Varauni e promessa da parte di
questi di non esigere tasse o tributi. Le motivazioni, che gli emissari di questo
bianco sobillatore diffondevano tra le popolazioni al fine di giustificare ed invogliare
all'insurrezione, erano invece queste: il sultano Muluder si apprestava a muovere
guerra a tutti i popoli vicini al regno di Sabah e, per far questo, avrebbe preteso da ogni
capo di villaggio o governatore tutti gli uomini abili alla guerra, enormi tributi in
denaro e tutte le donne belle e giovani che sarebbero state vendute a mercanti di
schiavi onde procurarsi in cambio cannoni, munizioni, e prahos da guerra.
Queste bugie avevano purtroppo trovato ascolto in molti popoli ed alcune trib avevano
gi inalberato il vessillo della rivolta.
In taluni villaggi le truppe di Muluder avevano gi impegnato battaglia con alcune
colonne d'insorti che erano stati dispersi dopo aspri combattimenti. Ma nella ritirata
queste bande, guidate dallo stesso capo bianco, avevano sparso rovina e distruzione;
attraversavano i villaggi rivieraschi, compiendo delle stragi orrende. Chi non
abbracciava la causa dell'insurrezione veniva decapitato seduta stante. Saccheggi ed
esecuzioni sommarie per ogni dove: queste erano le notizie che gli informatori del
vecchio sultano avevano raccolto nelle ultime settimane. Si poteva dire che l'intero
ovest era in fiamme e che in quella zona nessun paese era stato risparmiato: o i capi
trib erano passati dalla parte del nemico o i villaggi erano stati rasi al suolo. A mano a
mano che si scambiavano queste notizie e si leggevano i resoconti della polizia, i
convenuti s'addoloravano sempre di pi, anche perch nessuno s'aspettava che in cos
poco tempo potesse scoppiare e dilagare un'insurrezione del genere, quando, sino a
tre mesi prima, nessuna relazione era pervenuta alla capitale circa la pi piccola rivolta,
salvo alcuni lievi malcontenti in talune zone del paese. Il dispiacere per queste notizie
era straziante per tutti.
Sandokan aveva gli occhi che lanciavano fiamme e passeggiava nervosamente per la
sala. La madre e le sorelle piangevano in silenzio un poco discoste. Il padre era pi
stupito che preoccupato.
Sandokan, bramoso di conoscere ogni particolare in loro possesso su quest'angosciosa
situazione, rivolto al fratello che gi aveva fornito tante informazioni, disse:
- Agun, non tralasciare nulla nel tuo racconto. Dicci anche le cose che
ritieni insignificanti. Parla, ti prego.
Il giovane fratello arricch quindi il suo racconto:
- Durante la vostra assenza ho provveduto a sguinzagliare i migliori uomini, tra
quelli pi fidati. Sulle prime mi riferirono solo di sporadici incidenti tra piccoli
gruppi di rivoltosi e le nostre guardie in alcuni villaggi lontani dalla capitale; la
situazione appariva comunque sotto controllo. Ero quindi tranquillo. Un giorno
arrivarono alla reggia quattro nostri luogotenenti che comandavano alcuni
distaccamenti locali, molto distanti dalla capitale, che mi riferirono che le
condizioni di sicurezza stavano improvvisamente peggiorando. Infatti in pi
villaggi si segnalavano scontri a fuoco ed eccidi di massa, portati a termine da gruppi
sempre pi numerosi di ribelli.
- Ma il capo della polizia, che nostro padre pagava profumatamente, nulla ti pot
preavvisare circa la costituzione di questi gruppi di ribelli? - domand Sandokan al
fratello.
- No. Quando lo mandai a chiamare affinch mi spiegasse come mai mi aveva taciuto
notizie cos gravi, fui avvisato che era scomparso. Lo feci ovviamente ricercare e venni
a sapere che era partito proprio in direzione di quei luoghi ove stavano avvenendo tali
incidenti. Sulle prime fui contento per questo viaggio, che credevo fosse il frutto del
suo attaccamento al dovere, ma poi appresi una notizia sconvolgente: s'era invece
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arruolato tra gli insorti ed ora comanda un gruppo, armato di moschetti e pistole, che
semina il terrore tra i contadini e i pastori delle provincie del sud.
- Quindi ci ha tradito quel maledetto! - rugg Sandokan, preso dal disgusto per queste
continue diserzioni - Tutti ci abbandonano, proprio nel momento del bisogno!
La mano destra di Sandokan corse all'impugnatura del suo kriss, contenuto nell'ampia
fascia rossa che gli stringeva la ricca casacca di leggera tela azzurrina trapunta d'oro, e
strinse nervosamente quell'arma come se dovesse lanciarsi su un nemico che avesse di
fronte. Camminava sempre pi nervosamente su e gi per il salone, mentre il resto
della sua famiglia stava a guardarlo con apprensione. Il primo che ruppe il silenzio fu il
vecchio rajah che disse:
- Ascolta, o diletto figlio. La situazione grave, molto grave. Bisogna prendere delle
iniziative prima che il nostro regno subisca altre devastazioni. Forse la colpa di questa
ribellione anche mia.
- Tua? - gli chiese Sandokan.
- Si, figlio mio. - seguit Muluder - Forse negli ultimi mesi, poco prima di cederti il
trono, abbiamo allargato troppo i nostri territori a scapito delle popolazioni del Borneo
che erano ancora indipendenti. Forse abbiamo pensato male, quando credevamo che
cos facendo garantivamo una maggiore tranquillit ai nostri confini. Non dovevamo
ampliare troppo i nostri domini. Siamo arrivati sino al fiume Koti a ridosso del sultanato
di Varauni. Nel far ci evidentemente abbiamo destato il risentimento, la
preoccupazione e l'invidia di quel sovrano, accendendo al contempo l'astio delle
potenze straniere che mal sopportano che esistano regni troppo vasti e troppo potenti.
- Padre, perdonami ma non sono d'accordo in ci che affermi. - l'interruppe il giovane
sultano - Noi abbiamo tentato di portare la pace in alcuni territori i cui popoli erano
perennemente in guerra tra loro. Ogni anno centinaia, o forse migliaia, di padri e madri
piangevano i propri figli, uccisi in un'inutile guerra fratricida fra trib della nostra stessa
razza. Abbiamo invece tentato di civilizzare queste terre, introducendo nuovi sistemi
d'agricoltura, insegnando nuove formedi pastorizia, costruendo villaggi e kotte
fortificate per difendere donne e bambini. Abbiamo dato una giustizia a chi
chiedeva al sultano di dirimere controversie e liti, abbiamo fatto cessare riti tribali
violenti e sconfitto il cannibalismo, che ancora si praticava all'interno delle nostre fitte
foreste tra i daiacchi, abbiamo ridotto le tasse promuovendo invece il commercio con
gli stati a noi vicini ed attraverso il mare con quelli lontani. Abbiamo cercato di regnare
non come despoti, cosa alla quale tutti erano abituati da millenni, ma come re
illuminati e democratici. Nulla abbiamo da rimproverarci, anche dal punto di vista del
benessere interno: infatti con le nostre frequenti battute di caccia abbiamo quasi
sterminato tigri, pantere e rinoceronti, che mietevano vittime in gran numero, rendendo
pi sicuro il lavoro dei contadini e di chi percorre le savane. In cambio di tutto
questo, ecco che il primo agitatore, per giunta bianco, che si presenta al popolo,
regalando un po' di denaro e qualche fucile, riesce a scatenare una rivoluzione
contro di noi, come se si dovessero scacciare governanti crudeli o inetti!
Sandokan aveva parlato cos di getto, spinto da una furiosa collera che lo rendeva simile
ad una tigre ferita. Era tutto teso ed i suoi occhi mandavano cupi bagliori. Il padre tent
di calmarlo, ma comprendeva che Sandokan aveva completamente ragione. Che
dolore e che delusione provava il cuore del vecchio sultano di fronte a quelle notizie
cos spiacevoli! Il loro regno minacciava d'andare in frantumi ed il loro amato popolo li
tradiva, mal ricompensandoli di tanta saggezza. Poi si scosse da questi pensieri e disse,
con voce grave:
- Caro Sandokan . . . . . non ti nascondo che la situazione grave, ma in questi
momenti che bisogna mantenere la calma e non lasciarsi prendere da inutili quanto
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dannose sfuriate. Ho ancora del vigore nelle mie vecchie membra e sono ancora lucido
di mente onde poterti aiutare validamente. Se tu accetterai il mio consiglio, che mi
permetto di darti, nonostante sia ormai tu il sultano, forse potremo rimediare a quanto
sta accadendo.
- Certamente che accetter il tuo consiglio, o padre. Anzi lo considerer come un volere.
Parla pure.
- La nostra strategia potrebbe essere la seguente: ascoltate tutti. - E nel dir questa,
Muluder si avvicin ad uno stipetto di legno d'ebano intarsiato d'argento, lo apr e ne
tir fuori una carta geografica, sulla quale erano tracciati, seppur in maniera grossolana
ed imprecisa, non essendo certo la cartografia sviluppata al tempo del nostro racconto,
monti, fiumi, laghi, foreste, pianure e villaggi dell'immenso regno di Sabah.
I presenti s'avvicinarono ad un tavolo collocato al centro del salone, ove quella carta era
stata dispiegata, e guardarono con attenzione quei disegni.
Muluder, con voce molto decisa, disse:
- Questo quello che farei, anche se solo tu, caro Sandokan devi decidere, poich ora
un tuo dovere e diritto dirigere ogni operazione e prendere tutte le decisioni. Sandokan
si dovrebbe dirigere in questa zona - ed indic la parte delle coste ad ovest, dove pi
accesa s'era scatenata la ribellione - mentre io mi recher ai confini del regno a sud,
proprio da dove tornata l'ultima spedizione. Agun invece si muover verso est, in
direzione delle trib che hanno attaccato la colonna di Selim, che invece rimarr nella
capitale per proteggere la famiglia e la reggia.
Selim volle subito protestare, per essere stato adibito, battagliero e coraggioso come era,
ad un ruolo difensivo e statico, mentre gli altri componenti la famiglia avrebbero
rischiato la vita in una serie di battaglie e scontri campali; ma poi credette opportuno
non dire nulla in quanto si rese conto che il momento era estremamente delicato e serio
e che non era il caso di interrompere quel piano di guerra.
II vecchio sultano aggiunse:
- Ognuno di noi dovrebbe partire con un minimo di truppe, onde non sguarnire la
capitale di guerrieri, ed aggiungere ad ogni colonna i soldati che s'incontreranno nei vari
villaggi o quelli che eventualmente si fossero sbandati nelle campagne. So bene che cos
facendo disperderemo il nostro esercito in tre corpi di spedizione, ma si otterrebbero
per tre risultati: per prima cosa potremo controllare nella stessa unit di tempo tre zone
opposte del nostro regno; per seconda cosa potremo colpire il nemico e le bande di
insorti in punti diversi senza correre il pericolo che fugga da una regione per fortificarsi
in un'altra; per terza cosa avremo al nostro ritorno notizie dirette e fresche su tre teatri di
guerra diversi, acquisendo cos un quadro della situazione il pi possibile completo.
Sandokan prese allora la parola dicendo:
- Quello che hai detto molto saggio e da perfetto stratega. Approvo in pieno il tuo piano
senza nessuna variazione. Tutti noi plaudiamo a tale idea e la metteremo in pratica
domani stesso. Divideremo le truppe presenti nella capitale in questo modo: una met
rimarranno in Kin, al comando di Selim, mentre l'altra met verr suddivisa in tre corpi
di spedizione, al cui comando ci metteremo noi tre, come tu, o padre, hai suggerito.
Tutti furono d'accordo su questo piano; il consiglio di guerra era quindi ormai
terminato. Ognuno si ritir nel proprio appartamento e vi trascorse quella che forse
sarebbe stata l'ultima notte di quiete, prima di un periodo che si preannunziava torbido
ed incerto. Infatti l'avvenire doveva riserbare sicuramente una fase di guerre fratricide
ed ognuno di quegli uomini era consapevole del ruolo che avrebbe rivestito e
dell'importanza che la propria azione sarebbe stata determinante per le sorti del regno. Il
giorno dopo Sandokan ordin al comandante supremo dell'esercito, appunto quel
Batik che il lettore purtroppo ben conosce a fondo, di radunare tutte le truppe nella
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piazza d'arme prospiciente la reggia, che assieme alle caserme per i soldati, i magazzini
generali per i viveri e le varie polveriere, rappresentava una cittadella all'interno della
citt.
Batik, su precise disposizioni di Sandokan, aveva lasciato a guardia sulle palizzate che
cingevano la citt e nei punti pi importanti e strategici delle vicine campagne, tutti i
soldati pi anziani e i pochi reduci della colonna di Sandokan, appena tornati il giorno
prima, troppo stanchi per affrontare una nuova campagna di guerra.
Gli uomini radunati nella piazza erano circa mille e duecento. Il loro numero s'era infatti
molto accresciuto in quanto, negli ultimi giorni, molti combattenti erano giunti nella
capitale, provenienti dalle citt costiere o da quei villaggi che erano stati occupati dagli
insorti. Questi rinforzi avevano cos sopperito alle tremende perdite d'uomini subite
durante la campagna di Sandokan e alla defezione dell'intera compagnia al seguito di
Selim. Erano truppe fedeli, almeno cos credevano capi e luogotenenti, tutti natii nel
sultanato e quindi non certo mercenari, facilmente corruttibili.
A tutta questa gente Sandokan aveva detto pi volte, e lo ripet quella mattina, cne essi
avrebbero combattuto per la propria patria a difesa delle loro terre e delle loro famiglie,
contro un nemico guidato da uno straniero, da un inglese, che aveva in odio la loro
razza. Questi furono i concetti che Sandokan ripet a voce alta, gridando a tutti che il
loro dovere consisteva nel difendere il sultanato da un'insurrezione voluta dall'arroganza
del vicino sultano di Varauni e dagli appetiti di nazioni come l'Olanda e Inghilterra, che
gi avevano conquistato tanti territori in India e nell'arcipelago Malese. Sandokan
sapeva bene che molti dei suoi sudditi non avevano comunque mai sentito parlare di
questi paesi stranieri, in quanto gli individui che aveva l presente erano poco meno che
selvaggi, solo parzialmente civilizzati, ma sperava che il renderli edotti di un pericolo
che proveniva dai bianchi potesse aumentare al massimo l'amor proprio ed il desiderio di
buttare in mare l'invasore.
Dopo aver passato in rassegna tutti i convenuti, concert con Batik che duecento uomini
l'avrebbero seguito nella sua discesa verso le coste, duecento avrebbero accompagnato il
vecchio sultano ed altri duecento sarebbero stati impegnati con Agun nel tentativo di
ridurre alla ragione i rivoltosi dell'est. Il rimanente, alla cui testa lasciava Selim, doveva
vegliare e fortificare la capitale.
Le tre armate partirono subito, ognuna incolonnandosi ed uscendo da una porta della
citt che dava verso la direzione che era meta della relativa spedizione. Sandokan s'era
fatto accompagnare dallo stesso Batik. Il contegno del suo generale l'induceva a
sospettare che non fosse pi fedele come un tempo. Infatti nei discorsi avuti con lui prima
della partenza aveva notato un atteggiamento non pi risoluto e battagliero come una
volta, ma pieno invece di dubbi ed incertezze. Lo sapeva un uomo sprezzante d'ogni
pericolo e pensava che tali tentennamenti non erano dovuti alla paura ma forse si
dovevano ricondurre ad un'infedelt crescente o al desiderio d'abbandonare la sua carica
di comandante supremo. Forse non era pi convinto di servire una buona causa o che
poteva essere diventato sensibile, anche lui, ai proclami di libert che declamavano i
rivoltosi e che s'erano diffusi per molte parti del regno. Quindi l'aveva voluto presso di
se per verificare direttamente lealt ed abnegazione; se avesse invece dimostrato,
durante quella campagna di guerra, incertezza o irresolutezza l'avrebbe immediatamente
destituito dalla carica di luogotenente generale dinanzi a tutte le truppe del suo seguito.
La numerosa schiera, montata tutta su focosi destrieri, aveva preso i sentieri che
menavano in direzione dei paesi posti verso l'ovest della regione.
Lasciatisi presto alle spalle le terre situate nei dintorni della capitale, coltivate ed abitate
da contadini le cui capanne, fatte di paglia e terra ma comunque resistenti alla pioggia,
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si intravedevano ai bordi della strada, il piccolo esercito si inoltr nelle foreste che
l'avrebbero accompagnato sino al mare.
Spesso l'avanguardia della colonna, munita di pesanti parang affilatissimi, scendeva da
cavallo ed apriva un passaggio tra quei muri di verzura che facevano rallentare di
parecchio l'andatura di tutti.
Non era trascorso un giorno dalla partenza quando giunse al campo del sultano, sul far
della sera, una staffetta inviata da Selim, che portava un dispaccio urgente per il rajah.
Appena smontato da cavallo il nuovo venuto venne portato da Sabdokan.
- Notizie ugenti dalla capitale, mio signore! disse il messaggero.
Sandokan, preoccupato per quella inaspettata visita che certo non doveva portare buone
notizie, apr il dispaccio e lesse queste notizie: Rankut stato avvelenato da ignoti
assassini. E morto tra le mie braccia invocando il tuo nome. Sono davvero affranto.
Selim.
Un urlo lacerante scosse il petto di Sandokan.
- Maledetti! Vigliacchi! Povero Rankut! Dora in poi sar guerra senza quartiere! Poi
le parole del giovane Muluder vennero soffocate dal pianto.
Dopo questo sfogo Sandokan si riprese, congedando la staffetta che torn poi alla
capitale Dopo una notte in cui tutti pensarono al povero Rankut il viaggio riprese.
Trascorsero cos molti giorni, durante i quali Sandokan e la sua gente penetrarono nel
territorio nel quale si supponeva si aggirassero le bande dei rivoltosi.
Vennero superati alcuni villaggi ove il sultano trov una buona accoglienza da parte dei
capi e della popolazione, ma si accorse che quella non era pi l'ospitalit di una volta: vi
era in tutti una sorta di distacco, di freddezza e di indifferenza ben diversi dalla gioia e
dal trasporto che invece sempre avevano tenuto nei suoi confronti, quando
accompagnava il vecchio padre, allora sultano. Forse qualcosa stava cambiando.
Superato l'ultimo di questi villaggi Sandokan procedette alla volta di quelle provincie
che avevano come confine naturale ad occidente proprio il mare.
II rajah decise allora di procedere con maggior cautela inviando in avanscoperta
numerosi esploratori con l'incarico di individuare eventuali campi di insorti. La marcia
della colonna prosegu quindi in direzione del mare. Per alcuni giorni non si incontr
per nessun rivoltoso.
A mano a mano che la colonna avanzava su quelle regioni costiere si cominciavano a
vedere le prime tracce della feroce e spietata lotta impegnata dai rivoltosi contro le
truppe di rajaputi a guardia di quelle zone. Si notavano intere piantagioni di caff
devastate, distese appena seminate calpestate da torme di impronte di cavalli, terreni con
coltivazioni di canne da zucchero incendiate, capanne in rovina, carogne di animali gi
spolpate dalle fiere, mentre numerose bande di argllah, volteggiavano su quei campi
disseminati di bestie morte.
Sicuramente in quella provincia erano passate le bande degli insorti che non avevano
certo risparmiato niente e nessuno. Il bestiale furore con il quale erano state distrutte
quelle propriet era sintomatico dell'odio che i rivoluzionari provavano per i sudditi dei
Muluder.
Pi la colonna procedeva, pi si scorgevano quelle brutalit e pi il principe di Sabah si
infuriava nel vedere tante rovine. Quelle regioni, pochi mesi prima abitate da migliaia di
contadini, con una campagna fiorente di ricchi raccolti, erano state tramutate in un vero
deserto. Gli abitanti avevano preso la via della fuga o forse erano stati uccisi, le fattorie
saccheggiate e poi date alle fiamme, i campi si trovavano in uno stato pietoso di
abbandono e forse per diversi mesi nulla sarebbe pi cresciuto su quei terreni. Delle
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fortune erano state distrutte in pochi giorni di guerra da quelle truppe di selvaggi
scatenati, feroci ed insaziabili banditi che non si arrestavano dinanzi a nulla. Non
tardarono ad apparire le prime vittime di quelle scorrerie: quanta ferocia, che
accanimento, quali brutalit! Accanto ad una fattoria costruita in pietra e argilla
Sandokan e i suoi rajaputi videro un vecchio pastore che era stato inchiodato ad un
recinto in legno: un giavellotto gli era stato infisso nelle carni all'altezza della spalla e
penetrandogli nel corpo da parte a parte lo aveva imprigionato in quella posizione finch
la morte non era sopraggiunta. Poco pi innanzi scorsero un contadino che aveva una
lancia nella pancia in una pozza di sangue: probabilmente era morto dopo una straziante
agonia. Certamente quei due disgraziati erano stati cos trattati solo perch avevano
opposto resistenza alla distruzione delle loro case. Pi oltre il disgustoso spettacolo di
atrocit continuava: tre uomini erano stati legati ai piedi con una corda ed appesi con
una fune a due alberi. Sotto di loro erano stati accesi dei fuochi che li avevano arsi vivi.
In un laghetto, dalle limpide acque, si vedevano dei poveri dayacchi legati a delle
pietre e lasciati affogare con efferatezza.
Ma un chilometro pi innanzi le truppe reali dovevano essersi presa una rivincita su
quelle bande di feroci predoni, giacch si vedevano, in mezzo ad una valletta, una
dozzina di insorti che giacevano allineati uno accanto all'altro: dalla postura si
indovinava che erano stati fucilati da un plotone di rajaputi.
Lungo la strada che la truppa percorreva s'incontr un piccolo villaggio, solo poche
misere capanne, alcune delle quali erano state saccheggiate ed altre erano state distrutte
dal fuoco. Ovunque animali uccisi, carri rovesciati, botteghe diroccate. In quel luogo
Sandokan fece un piacevole incontro. Mentre passava in mezzo a quelle povere
abitazioni si sent chiamare. Si volse e i suoi sguardi incontrarono un vecchio bornese.
Subito lo riconobbe. Scese da cavallo e si avvicin a quelluomo che gli disse.
- Mio adorato padrone quale stupenda sorpresa!
- Caro e federe Aipun! Che piacere vederti! Non sapevo che ti fossi ritirato in questa
provincia cos lontana dalla capitale! - esclam sorpreso il rajah.
- Quando lasciai il sultano, tuo padre, io ero ormai logoro per gli anni, ma non stanco
di servire il buon Muluder, e quindi mi riparai in questa ridente vallata dove avevo alcuni
terreni e dove viveva la mia famiglia. Ero contento di stare in questo posto, ma da
alcuni giorni la mia felicit tramontata. Infatti la morte e la distruzione sono
piombate su questo villaggio come un uragano. Ora sono tutti morti ed io sono restato
da solo a seppellire i miei cari. Ti prego vendicali!
- Dimmi che strada hanno preso i rivoltosi, onde noi si possa inseguirli e combatterli!
- Ad una mezz'ora di cammino si sono accampate le bande di questi predoni che stanno
mettendo a ferro e a fuoco la regione e . . . .
- Le bande degli insorti sono qui vicino? - Lo interruppe stupito Sandokan.
- Si, o mio signore. Sono dietro quel bosco. - E la mano del vecchio servo indic una
piccola foresta i cui margini cominciavano dopo alcuni campi coltivati a segale.
- Questa una preziosa informazione. Se non ti avessi incontrato avremmo corso il
rischio di passare accanto a quel campo nemico senza accorgerci di niente o magari
venendo attaccati alle spalle. - E mentre diceva questo Sandokan si frug nella vasta
cintura di seta traendone una piccola borsa di pelle che porse al vecchio, aggiungendo:
- Ti voglio donare queste rupie in ricordo dei tuoi passati servigi a corte, per
ringraziarti di ci che mi hai detto e per rifonderti di quanto hai perduto.
Aipun commosso da questo gesto di generosit cadde in ginocchio, baciando il risvolto
dei calzoni del rajah e dicendo:
- Che Allah ti benedica e ti dia la vittoria sui nostri nemici.
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Sandokan si chin a rialzare quel povero vecchio, il gesto del quale lo aveva intenerito,
lo salut con affetto e risal sul cavallo.
A questo punto il rajah stesso volle recarsi nei pressi del campo nemico per accertarsi
direttamente su quanti avversari aveva di fronte ed eventualmente sulle loro attrezzature
di offesa o difesa. Quindi si addentr, con pochissimi uomini di scorta, nel folto
del bosco, indicato dal servo fedele, che separava le schiere dei contendenti. Il piccolo
drappello avanz in silenzio, tenendosi il pi possibile coperto da grosse macchie e
cespugli, onde non essere scorto da eventuali uomini messi a guardia attorno al campo
avverso. Superata quella piccola foresta, in una vasta radura, l'accampamento degli
insorti apparve finalmente agli occhi di tutti.
Nulla di pi singolare e bizzarro di quel campo di ribelli, dove si trovavano mischiati
alla rinfusa uomini appartenenti a tante razze diverse, dai costumi ed abiti i pi svariati e
molteplici, disposti ed accampati nel pi totale disordine. Era un vero ginepraio di
tende, di capanne di tettoie, di tuguri e catapecchie, assolutamente provvisori, di fatture
e dimensioni diverse, ma pi che bastevoli per le genti che si erano fermate in quel
posto. Pareva che vi fossero rappresentate tutte le razze orientali: vi erano daiacchi,
coperti quasi esclusivamente di piume, multicolori e variopinte; cinesi con larghi
cappellacci di paglia dai quali spuntavano lunghissimi codini che scendevano lungo la
schiena; malesi dalla tinta olivastra, di statura bassa, dalla faccia ossuta e squadrata;
gruppi di burghisi dagli occhi piccoli e torvi; di macassaresi, quasi tutti nudi poich
coperti solo di gonnellini ridottissimi; di turagiassi con capelli neri e lisci; di igoroti,
provenienti dall'arcipelago filippino, con larghi pugnali infilati in alte cinture che
attorniavano i loro fianchi; di tagali con la pelle rossastra e con camicie colorate e
ricamate infilate in pantaloni bianchi; d'indiani particolarmente magri, con il corpo
ricoperto di olio di cocco in modo da sembrare lucente o bagnato. Tra una capanna e
l'altra vi erano radunati gruppi di cavalli legati ad un albero, ad un cespuglio, ad una
radice. Ovunque fasci giganteschi di armi: fucili moderni a retrocarica, o pi
antichi ad avancarica con pietra focaia o miccia; fastelli di lance di varie grandezze e
dimensioni; tantissime cerbottane con faretre piene di terribili frecce intinte nel succo
di upas; mucchi di parang scimitarre malesi fatte di purissimo acciaio, di parang-ilang
sciaboloni bornesi dalla punta a forma di doccia, di kampilang dayacchi, di tarwar
indiani, di krss serpeggianti di katane giapponesi somiglianti a mostruosi rasoi, di
golok sciabole giavanesi lunghe e pesanti a forma di coltello, e di lambing ossia di corti
giavellotti dalla punta micidiale, di navaje spagnole. Insomma un vero arsenale che
rappresentava ogni arma da taglio usata da quel miscuglio di popoli Alcuni di quegli
uomini mangiavano seduti in cerchio, altri bevevano copiosamente, altri ancora
riposavano o dormivano nei tuguri improvvisati o sotto qualche albero. Un vivo
disordine regnava nel campo. Poche e distratte le sentinelle che vegliavano
sull'incolumit di tutti.
Sandokan cap a colpo d'occhio che quelle bande erano state raccolte negli angoli p:
disparati dell'oriente; a parte i daiacchi che erano allogeni, tutti gli altri uomini erano
stati probabilmente arruolati e fatti confluire sul posto da zone molto distanti dal regno
di Sabah, grazie al denaro e ai regali profusi a piene mani dai nemici del sultano. Agli
occhi e alla mente di Sandokan parve pure che i nemici, forse di ritorno da qualche
scorribanda nella regione o reduci da alcune battaglie con le truppe reali, fossero molto
stanchi o comunque in uno stato di completo abbandono, sicuramente privi di disciplina
e probabilmente incapaci di resistere ad un attacco da parte di truppe ben inquadrate e
ben dirette come quelle che il rajah comandava.
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- Secondo te, Batik, quanti uomini sono presenti in quella specie d'accampamento? -
chiese il rajah rivolto al suo luogotenente generale, che lo aveva accompagnato in
quell ' esplorazione.
- E' difficile dirlo con sicurezza, o mio signore, - rispose il generalissimo - ma a me
sembrano non meno di mille. Brulicano come formiche e non facile contarli.
- Mille o duemila, noi li attaccheremo. A parte i daiacchi ed i malesi, che mi sembrano
tra quelle genti in netta minoranza, gli altri si sbanderanno alla prima nostra carica.
- Permettimi di dirti, o mio sultano - profer timidamente Batik - che assalirli
direttamente potrebbe essere per noi fatale in quanto saremmo uno contro cinque.
Inoltre hanno quasi tutti il cavallo ed una parte dei rivoltosi, quella magari pi lontana
dal fronte del nostro attacco, si potrebbe radunare prontamente per assalirci alle
spalle. E poi....
- Ascoltami Batik! - lo interruppe Sandokan, visibilmente indignato da quel discorso
troppo prudente - Una volta in guerra non contavi mai il numero dei tuoi nemici ed eri il
primo che si slanciava all'attacco, trascinando con un fervore quasi mistico tutti i tuoi
soldati dopo averli arringati a dovere. Da un po' di tempo ho notato che sei diventato
troppo pauroso e sembri non voler prendere di petto gli ostacoli che ci si presentano.
Escludendo che l'et ti possa aver trasformato in un codardo, l'unica cosa che mi resta
da pensare che il tuo contegno comincia ad essermi molto sospetto. Infatti questo
atteggiamento cos pavido potrebbe essere un segno di collusione col nemico. Per cui
alzati, torna dai nostri soldati e da loro ordine che si dividano in due gruppi. Io sar a
capo della prima colonna, ed attaccher frontalmente. Tu alla testa del secondo gruppo
convergerai verso il lato sinistro dell'accampamento nemico nel minor tempo possibile,
in modo da poterlo schiacciare, prendendolo nel mezzo. Sono certo che sbaraglieremo
quell'accozzaglia di banditi in poco tempo e comunque prima di sera.
Batik, sentendosi cos verbalmente sferzato, e pensando che Sandokan avesse un
sospetto del suo tradimento, pens bene di non replicare. Si alz, con il volto rosso dalla
vergogna e dalla collera, ed insieme al sultano e ai pochi uomini di scorta torn presso
le truppe reali. Dopo aver dato precise disposizioni ai vari luogotenenti si allontan in
perfetto silenzio con un'ottantina d'uomini. I rimanenti, al comando di Sandokan e
d'alcuni sottocapi si disposero su due colonne e s'inoltrarono nel boschetto cercando di
non produrre il pi piccolo rumore. Le teste dei cavalli erano state avvolte nelle coperte
da viaggio, in modo che nessuna bestia nitrisse.
Appena tutti furono usciti dal bosco si dispiegarono su un vasto fronte. Quindi si
fermarono, puntarono i fucili verso il nemico e fecero una scarica generale contro gli
insorti, che nulla avevano visto e sentito di quelle manovre.
Moltissimi nemici, quelli pi prossimi alle schiere del rajah, caddero a terra morti o
feriti. A quel punto Sandokan ordin la carica ed i suoi uomini, splendidamente montati,
cominciarono a correre verso il campo avverso, lanciando gli usuali gridi di guerra. Gli
insorti, decimati da quella fucileria micidiale, ma soprattutto impressionati dalla
comparsa improvvisa delle truppe regie, furono presi dal terrore e si dettero a correre
verso le armi, anche se molti, ancora assonnati o sotto i fumi dell'alcol, non realizzarono
subito quanto il pericolo fosse immediato.
Le prime file delle truppe dei rivoltosi si sbandarono immediatamente, fuggendo in tutte
le direzioni, abbandonando armi e cavalli, nella vana speranza di raggiungere la foresta
per sottrarsi alla morte. Tutti gli altri nemici, ed erano purtroppo la maggioranza,
protetti da quella moltitudine di corpi umani che cadevano a terra o che fuggivano,
poterono invece impadronirsi delle proprie armi, anche se la confusione era terribile. I
cavalli, per giunta, impauriti dalle scariche di moschetterie e da quell'improvviso
movimento di centinaia d'uomini vociferanti, avevano cominciato a nitrire e a tirare
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calci, imbizzarrendosi e strappando in pi casi i legami che li tenevano avvinti. Tutto
questo rendeva ancora pi arduo salirvi sopra o prendere la mira per abbattere gli
attaccanti.
Questo caos generale e l'indecisione dei rivoltosi consent alle truppe di Sandokan di
fare un'altra scarica generale, che abbatt anche questa volta una buona cinquantina di
ribelli. Ci gett ancora pi nel panico i nemici che cominciarono a perdere la testa, non
potendo ben capire il numero degli assalitori, causa l'enorme nuvola di polvere che si
era sollevata per lo scalpiccio d'uomini e bestie.
Invano i capi urlavano ordini: questi non venivano capiti per l'enorme tumulto;
inutilmente i comandanti si sbracciavano per far comprendere il loro volere: nessuno li
poteva vedere in quanto erano coperti da decine di persone che passavano loro innanzi
correndo e gesticolando.
Sandokan ed i suoi rajaputi erano arrivati ormai a contatto col nemico. Si lanciarono
quindi in mezzo all'accampamento con le sciabole sguainate. I centoventi cavalieri, con
mirabile maestria, si scagliarono dietro il loro sultano, penetrando come un cuneo
allinterno di un legno marcio: ed iniziarono cos a sciabolare senza piet chi veniva
loro a tiro, inframmezzando ogni tanto tali mulinelli di colpi con delle pistolettate. E
mentre le prime file dei nemici, massacrate da tale valanga di ferro e fuoco si
sbandavano senza opporre la minima resistenza, ci non accadde a quei rivoltosi che
si erano attendati pi indietro rispetto al bordo dell'accampamento investito dalle
truppe reali. Ed infatti alcune centinaia di banditi riuscirono a salire sui propri cavalli ed
iniziarono a contrastare la carica di Sandokan. I soldati del rajah, dopo la prima
travolgente avanzata, furono costretti a fermare il loro procedere veloce e si trovarono
davanti una vera muraglia umana che in breve li avvilupp .
La stupenda vallata si tramut cos in un luogo terribile ove era in atto un epico e feroce
combattimento, crudele come non mai, ove il caduto e il ferito non avevano scampo: da
ambedue le parti non vi era grazia per nessuno perch veniva finito a colpi di lancia o di
sciabola.
Sandokan, in groppa ad un magnifico cavallo bianco, avvolto dal mantello tutto rosso e
con il capo coperto da un turbantino tempestato di gemme, aveva gettato via le pistole,
dopo averle scaricate addosso a due malesi, e teneva nella mano destra un pesante
kampilang, mentre nell'altra mano stringeva un corto tarwar, ambedue gi intrisi di
sangue sino all'impugnatura. Si slanciava a destra e a sinistra tenendo le redini del
cavallo con i denti, e menava paurosi fendenti che nessuno riusciva ad evitare.
Sembrava il dio della guerra ed incuteva a tutti un vero e proprio terrore. Dietro alle sue
spalle stava lasciando una scia di sangue e di cadaveri nemici che avevano avuto la
malasorte di pararsi dinanzi a lui. Il coraggioso giovane non aveva piet per quegli
esseri spregevoli, spinti a combattere contro il suo regno solo per cupidigia di denaro.
Non aveva certo nessun rimorso a spegnere tante vite umane dopo che quegli aborriti
nemici avevano sparso morte e distruzione tra i suoi pacifici sudditi che non avevano
colpa alcuna.
Anche i suoi soldati combattevano egregiamente con gran vigore e molto coraggio, non
certo intimoriti dal numero dei nemici che era soverchiante.
Infatti la pressione degli insorti si cominciava a far sentire, in quanto i loro capi erano
riusciti a riorganizzare le file scompaginate dei primi attacchi, anche se un centinaio o
forse pi dei propri uomini erano ormai fuggiti a gambe levate per i boschi limitrofi.
Quindi nel breve tempo di circa un'ora cinquecento uomini, quanti erano rimasti in
grado di combattere tra le file dei banditi, stavano cingendo in un cerchio la cavalleria di
Sandokan, che restava cos stretta da tutte le parti.
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Sandokan, tra un fendente della sua scimitarra ed uno scarto del suo cavallo per evitare
un colpo di lancia, stava chiedendosi come mai Batik e la sua compagnia non fossero
ancora giunti al fianco dell'accampamento nemico: quel ritardo era incomprensibile.
Se avessero incontrato altri rivoltosi si sarebbero intesi i clamori del combattimento.
Il rajah era doppiamente inquieto in quanto a questa preoccupazione si aggiungeva il
fatto che le file del nemico, che in un primo momento si erano frantumate sotto l'impeto
del suo assalto, ora avevano avviluppato la sua schiera in un feroce ed impossibile
combattimento. Se gli ottanta uomini di Batik non fossero giunti subito per prendere il
nemico alle spalle la situazione per le truppe regie rischiava di trasformarsi in una
distruzione totale. Gi numerosi rajaputi, le truppe pi scelte dell'esercito del sultano,
erano caduti per non rialzarsi pi e le file di quei prodi soldati si erano notevolmente
assottigliate e scompattate.
Dopo un'altra mezz'ora di feroce corpo a corpo Sandokan pens che, in mancanza di
soccorsi da parte di Batik, occorreva prendere una decisione drastica: sganciarsi dal
nemico, sfondando l'accerchiamento, e ripiegare nel vicino bosco.
Prese quindi la briglia del cavallo e lo spron contro i ribelli, mentre con la sua voce
tuonante grid ai suoi compagni di seguirlo in quella mossa. Le sue truppe sempre pi
oppresse dalle soverchianti forze nemiche, compresero immediatamente il piano del loro
sultano e lo seguirono tosto, incuneandosi dietro a Sandokan che manovrava la
scimitarra come un mulinello.
In poco tempo la manovra ebbe successo e gli uomini del rajah riuscirono a
disimpegnarsi dal combattimento inoltrandosi nel vicino bosco, non senza lasciare come
tributo di sangue numerose vittime, colpite alle spalle dal nemico che li inseguiva.
Fatti pochi centinaia di metri si offerse alla vista dei fuggiaschi una piccola collina,
ricoperta da una fitta vegetazione.
- Tutti in cima a quell'altura!- grid Sandokan - Appena raggiunta la sommit,
smontate e fucilate quei cani idrofobi, tenendovi dietro gli alberi.
Tutti obbedirono. Salirono in un batter d'occhio lungo i fianchi di quel piccolo monte,
lasciarono le loro cavalcature e da dietro gli alberi cominciarono una fitta sparatoria sul
nemico che sopraggiungeva alla rinfusa.

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CAPITOLO NONO
DISERZIONI ED
AVVELENAMENTI
Fu cos che un fuoco infernale accolse le prime schiere nemiche che, baldanzose per aver
messo in fuga la colonna del sultano, credevano ora di aver con facilit partita vinta.
Invece i capi insorti si resero subito conto che i soldati reali, sfuggiti all'accerchiamento,
oltre a non essere per niente demoralizzati per aver voltato la schiena al nemico, erano degli
eccellenti tiratori. Infatti, ottanta carabine, imbracciate da altrettanti uomini, essendone stati
uccisi in combattimento gli altri, cominciarono a martellare gli assalitori, fermandone
immediatamente lo slancio.
II primo tentativo di raggiungere i soldati del rajah provoc di conseguenza una
cinquantina di caduti tra le schiere degli insorti. Gli uomini di Sandokan non facevano certo
economia di polvere ed un fuoco accelerato cominci a colpire quellesercito cos
raccogliticcio. I capi, vedendo quello scempio, capirono che per ora la cosa pi intelligente
da farsi era quella di comandare la ritirata.
Sandokan, approfittando di questa pausa, domand a molti combattenti se avessero visto le
truppe di Batik o se durante il recente combattimento avessero sentito spari o clamori da
qualche altra parte del campo avversario. Ma i suoi uomini nulla avevano percepito
e tantomeno visto. In Sandokan si form allora il sospetto che Batik fosse stato attirato
in qualche imboscata lontano dalla radura ove aveva avuto luogo il recente combattimento.
Ad ogni buon conto ritenne opportuno nominare un altro comandante in seconda che
occupasse il posto di Batik. Scelse quindi un vecchio daiacco che da oltre dieci anni si
trovava al servizio di suo padre. Lo fece chiamare davanti a se e gli disse:
- Pilerong, da oggi, fintanto che non torner Batik, comanderai le mie genti. Disponi le
sentinelle attorno al campo e fai preparare la cena per tutti. Fai in modo che ognuno si
riposi per alcune ore, poich ho intenzione di sloggiare da questa posizione prima dell'alba.
Ora va!
Invece di obbedire ed andarsene, Pilerong cadde in ginocchio dinanzi ai piedi di
Sandokan dicendo:
- Mio sultano, imploro la tua misericordia. Tu sei stato tanto generoso a nominarmi
comandante, ma io non merito quest'onore. Ho da dirti una cosa. Quando capirai, sarai
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talmente adirato con me che mi farai fucilare.
Sandokan, molto colpito da questo discorso, lo fece rialzare in piedi e gli disse:
- Spiegati in fretta e sii chiaro!
L'altro cominci:
- E' molto breve quello che debbo dirti. Devi sapere che Batik, prima che partissimo dalla
capitale, prese contatto personalmente con molti comandanti e sottocapi del tuo esercito,
dicendo loro che i rivoluzionari erano ormai alle porte della capitale e che ogni resistenza
ulteriore sarebbe stata vana. Solo chi avesse abbandonato le armi poteva pensare di salvare
la vita. Alcuni tra i presenti abbandonarono quel colloquio, in quanto disgustati da tale
discorso, ma la maggior parte dei tuoi luogotenenti rimase ad ascoltare quello che Batik
aveva ancora da dire. Ed, infatti, Batik insinu il dubbio che se qualcuno avesse accettato di
arrendersi, oltre la pelle, poteva guadagnare anche qualcosa in denaro. Poi, reso pi sicuro
dall'attenzione ed interesse che stavano suscitando le sue parole, aggiunse che chi avesse
fatto in quel momento giuramento di passare tra le schiere nemiche poteva avere sin da
subito la certezza di poter tradire il sultano senza incorrere in nessun rischio, in quanto
Batik stesso avrebbe protetto i luogotenenti da qualunque cosa. Tutti i presenti accettarono
di tradire, mentre chi si era allontanato, abbandonando quel colloquio, fu raggiunto e
minacciato di morte se avesse riferito qualcosa, di quanto si erano detti, ad anima viva. La
diserzione di tutti i capi sarebbe cos avvenuta non appena le tre armate, condotte da te, da
Agun e da tuo padre, fossero venute in contatto col nemico. E cos avvenuto. Appena gli
si presentata l'occasione Batik scappato, portandosi appresso tutti gli uomini della sua
compagnia. Io sono tra quelli che rimasero ad ascoltare Batik decidendo di tradirti!
A tale rivelazione un vero ruggito di furore era scaturito dal petto di Sandokan. Il viso era
diventato paonazzo ed un'ira furibonda si era impossessata di lui; tutto il corpo era scosso
da un tremito nervoso. Trasse dalla cintola una pistola e la punt contro Pilerong. Questi
con molto coraggio disse:
- Uccidimi pure, mio signore. Ho sbagliato perch dovevo dirti tutto ci molto tempo
addietro, ma avevo ricevuto l'ordine di non parlare, impostomi dal generale ribelle. Fa di
me quello che vuoi.
Sandokan parve riflettere; poi, senza abbassare l'arma che teneva sempre puntata alla fronte
del suo luogotenente, chiese:
- Perch tu sei rimasto con me? Quando avresti dovuto tradirmi?
Pilerong rispose:
- Avevo avuto l'ordine di rimanere al tuo fianco: Batik mi disse che durante un eventuale
combattimento, avrei dovuto spararti alla schiena. Ma non potevo fare una simile
nefandezza. Conosco da troppi anni la famiglia reale e ho sempre combattuto con fedelt
per tuo padre. Ho preferito correre il rischio di essere poi ucciso da Batik piuttosto che
macchiarmi di un tale crimine.
Sandokan, colpito da queste parole, abbass l'arma che teneva puntata alla testa del suo
uomo e disse.
- Va, la tua lealt ti ha salvato!
Pilerong, altamente stupito di tale magnanimo atto, si butt ai piedi di Sandokan,
coprendo di baci gli stivali che portava. Poi tosto si rialz e corse ad impartire gli ordini
ricevuti. La notte pass con relativa tranquillit. Ogni tanto risuonava un colpo di carabina,
sparato da ambedue le schiere nemiche, pi per evidenziare che si vegliava che per tentare
di nuocere.
Quando mancavano ancora un paio d'ore all'alba, Sandokan, che non aveva certo bisogno
d'orologi per svegliarsi, fece levare in silenzio uomini e cavalli ed ordin loro la marcia,
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discendendo la collinetta nella direzione opposta a quella che avevano preso nel salirla. Il
cammino fu intrapreso con mille attenzioni onde evitare che ci si accorgesse della loro
fuga. La notte senza luna favoriva questa manovra.
La fortuna volle che i rivoltosi non avessero ancora provveduto a completare
l'accerchiamento del monte: per questo motivo nella discesa non s'incontr nessun uomo
che vigilasse.
Intelligentemente Sandokan aveva ordinato di lasciare dei grossi fuochi accesi sulla vetta
del piccolo monte onde far credere alle sentinelle nemiche che si volesse rimanere in quel
posto per altro tempo ancora.
Scesi che furono, procedettero per un buon tratto di strada a piedi, continuando ad aver
massima cura nel non produrre rumore alcuno. Quando apparvero le prime luci dell'alba
Sandokan fece salire tutti a cavallo, poi chiam Pilerong e gli disse:
- Ti do l'occasione per dimostrare il tuo coraggio e la rinnovata fedelt. Rimarrai qui con
una quindicina d'uomini ed attenderai che i nemici si pongano sulle nostre tracce. Quando
vedrai che scenderanno la montagna fatti notare con grida e spari, di modo che ti scorgano
e t'inseguano. Dovrai tirarteli appresso onde condurli nelle gole di Murak-Ser, quella
localit che si trova nei pressi del fiume omonimo. Noi ci apposteremo ai lati della forra,
dietro alberi e rocce. Quando sarai passato con gli uomini che ti affido, ti fermerai e farai
un brusco dietro-fronte, cominciando a fucilarli. Quello sar per noi il segnale dell'attacco.
Li prenderemo nel mezzo e li schiacceremo come dei topi in una trappola. Mi ripugna agire
in questo modo, poich avrei preferito un combattimento su campo aperto, senza attacchi
ed imboscate, ma il continuo tradimento e la rinnovata corruzione che il nemico usa
contro di noi a farmi decidere per questo tipo d'azione, cos poco nobile e cavalleresca. Ti
ricordo che se anche tu mi tradirai, t'inseguir per ogni dove e ti uccider anche se dovessi
nasconderti in braccio al dio Garuda.
- Cercher di dimostrarti che il tuo servo ha una sola parola per il suo sultano - rispose con
umilt Pilerong.
Detto ci si allontan.
Raccolse subito una quindicina di volontari, scegliendoli tra quelli che avevano i cavalli pi
veloci e pi riposati, onde poter meglio sfuggire al nemico.
Fatto questo si accinsero a fare da esca rimanendo in quel luogo, mentre il grosso
della truppa si allontanava seguitando la strada intrapresa.
Dopo circa un'ora Sandokan raggiunse con i sessantacinque uomini la gola prescelta per
l'imboscata. Fece appostare i suoi guerrieri dietro alberi e cespugli che crescevano sui
bordi delle due pareti di roccia che formavano quella forra.
Si erano tutti appena celati dietro i ripari quando s'intese un lontano galoppo che si
avvicinava sempre pi.
Sandokan grid allora alle sue truppe:
- Appena i nostri amici saranno transitati sotto di noi attenderemo che arrivino anche i
nemici. Quando l'ultimo di questi sar passato iniziate pure a sparare, una scarica dietro
l'altra. Nel momento in cui i rivoltosi saranno decimati solo allora scenderemo dai
nostri ripari ed attaccheremo all'arma bianca.
Trascorsero quindi alcuni minuti e tosto apparvero all'ingresso della gola i quindici uomini
di Pilerong, che passarono al gran galoppo sotto le postazioni del rajah. A poche decine di
metri sopraggiungevano i ribelli. Sembravano ancora numerosissimi: circa seicento uomini.
II sultano nel vedere quella torma di ribelli aggrott le sopracciglia. Erano davvero tanti, e
bisognava quindi smontarne moltissimi da cavallo prima di caricare, altrimenti nel corpo
a corpo i suoi uomini, superiori in valore, ma cos inferiori di numero, avrebbero avuto
facilmente la peggio.
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Intanto che Sandokan pensava a queste cose, i rivoltosi passarono sotto il luogo ove
i soldati reali si erano appostati. Quando l'ultimo dei ribelli entr in quella specie di
vicolo cieco, Sandokan grid:
- Fuoco a volont!
Subito le bocche dei sessantacinque fucili s'incendiarono, vomitando una valanga
di piombo che si abbatt sui sottostanti guerrieri. Una cinquantina di essi caddero a
terra o perch erano stati colpiti o perch lo erano stati i loro cavalli. Nello scompiglio
generale gli altri cavalieri tentarono di arrestare il loro slancio, mentre bestie ed uomini
si urtavano reciprocamente. I capi degli insorti urlarono di tornare indietro. E gi i
superstiti stavano per volgere le loro cavalcature per tornare sui propri passi, quando una
nuova valanga di piombo colp quella grossa compagnia d'insorti: gli uomini di
Sandokan avevano ricaricato i loro fucili ed avevano fatto ancora fuoco. Questa
nuova scarica fu ancora pi micidiale della prima in quanto scavalc tutti i capi degli
insorti oltre ad una quarantina d'uomini. Nel frattempo erano tornati indietro i quindici
soldati di Pilerong che iniziarono anch'essi un fuoco di sbarramento. I rayaputi ben
protetti da alberi e rocce continuarono a sparare a ripetizione. Molti nemici riuscirono a
ritirarsi tornando indietro, ma la maggioranza degli insorti rimase sotto quel tiro micidiale,
non potendo tentare la scalata delle postazioni dei rayaputi in quanto la china era molto in
pendenza. Chi lo tentava veniva arrestato dal tiro infallibile dei soldati.
Sandokan cap che quello era il momento decisivo per affrontare il nemico, anche se
era ancora in numero pi grande della sua compagnia. Comand quindi l'attacco
dando lui stesso il buon esempio, slanciandosi gi per la china come un bolide.
Contemporaneamente anche i suoi uomini si slanciarono in basso, scaricando le
proprie pistole e rivoltelle. La lotta s'inizi cruenta da ambo le parti. La polvere
degli spari e quella sollevata dallo scalpiccio dei cavalli a terra avevano reso il
campo di battaglia simile ad un enorme nuvolone scuro, al cui 'interno le due schiere
avverse tentavano di scannarsi a vicenda.
La scena sembrava una visione infernale dove quegli esseri, simili a tanti
demoni, lottavano, colpivano, cadevano, urlavano, imprecavano, gemevano e morivano.
Nonostante che i soldati del sultano fossero in numero inferiore a quei banditi,
sembravano essere i pi favoriti, poich avevano buon giuoco in quel combattimento
all'arma bianca nel quale erano valenti guerrieri.
Sandokan si batteva come un leone, reso ancora pi furioso dalle perdite che aveva
subito e dai continui tradimenti; menava colpi su colpi e chi si trovava dinanzi a lui cadeva
quasi subito. La maestria nel maneggiare il kampilang, nonostante fosse un arma molto
pesante, unita alla forza ed agilit gli impedivano di essere colpito. Anche i suoi uomini
non erano da meno e dimostravano un'abilit non comune. Tuttavia i nemici erano
ancora tanti, nonostante il loro numero si fosse ormai dimezzato. Il combattimento si
protrasse per circa un'ora. Il campo di battaglia si era coperto di cadaveri: i corpi
giacevano uno sull'altro, con busti orrendamente mutilati, mischiati a cadaveri di cavalli
anch'essi resi immobili dalla morte. Si udivano molti gemiti di chi era ferito ed implorava
aiuto, che sarebbe arrivato, forse, solo a lotta terminata. Ma la fortuna e l'esperienza
stavano premiando le truppe di Muluder. Ma a quale prezzo! Quando l'ultimo nemico
cadde riverso a terra i soldati reali ancora vivi erano soltanto sette, tra i quali Sandokan, e
per giunta tutti feriti, anche se non gravemente. I nemici erano stati annientati, se si
escludono unottantina di selvaggi che erano riusciti a dileguarsi, per la strada da dove
erano arrivati, prima che iniziasse il corpo a corpo. I superstiti erano davvero esausti per
quel furioso combattimento ed estremamente mesti per la morte dei propri commilitoni,
alcuni dei quali oltre ad essere amici erano anche parenti. Anche Sandokan era disgustato
e furibondo: infatti era se la schiera di Batik fosse venuta in suo soccorso avrebbe avuto
pi facilmente la vittoria in pugno, evitando di pagare un cos alto tributo di vite umane.
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La tristezza si era impadronita di tutti loro; disgusto ed afflizione che si accrebbero nel
cercare in quella marea di corpi uccisi qualche camerata che per caso fosse sopravvissuto.
Dopo una pietosa quanto toccante ricerca, trovarono ben venti soldati reali ancora vivi ai
quali apprestarono subito le prime cure, cominciando a disseppellirli da sotto i corpi di
nemici e cavalli, e conducendoli al bordo della piana dove un piccolo ruscelletto bagnava
quei luoghi. Con quelle chiare e fresche acque lavarono alla meglio le proprie e le altrui
ferite, fasciando e medicando con i pochi mezzi in loro possesso le parti del corpo offese o
gli arti tagliati.
Rimasero accampati nei pressi della vallata, ma alquanto distanti dal luogo della battaglia,
onde evitare che quell'enorme carnaio, che presto sarebbe andato in putrefazione, potesse
nuocere alla loro salute. Inoltre tigri, pantere e leopardi sarebbero presto venuti a
banchettare in quei luoghi.
Trascorsero cos una decina di giorni, durante i quali quasi tutti riuscirono a rimettersi in
forze per affrontare il viaggio di ritorno; purtroppo tre uomini, gravemente feriti morirono
per mancanza di cure adeguate.
Infine, quando Sandokan lo ritenne opportuno, si diede inizio al viaggio in direzione della
capitale che si svolse senza alcun altro incidente.


* * * * * * * * * * *


Mentre Sandokan affrontava le avventure or ora descritte, anche gli altri corpi di spedizione
erano partiti, come convenuto. Occupiamoci ora di quello condotto dal padre di Sandokan.
Il vecchio rajah accompagnato da duecento guerrieri si era diretto a sud, verso Tenom,
una cittadella che occupava un posto di rilievo nella regione, in quanto era quasi nei pressi
della frontiera con il sultanato di Varauni.
Dopo diversi giorni di cammino, il vecchio sultano incontr alcuni selvaggi della trib dei
Murut. Vivevano in alcune strane capanne, costruite in legno e fronde d'albero e collocate
su alte palafitte onde proteggersi sia dalle fiere sia dai miasmi e dall'umidit che proveniva
da quei terreni.
Muluder fu bene accolto ma ricevette tristi notizie: il territorio a sud era stato devastato da
un furioso incendio, forse appiccato proprio dai nemici, ed il suolo era diventato
impraticabile anche a causa della inondazione d'alcuni fiumi che avevano rotto gli argini
naturali. Il vecchio condottiero decise quindi di ripiegare con la sua gente verso Papera.
Incontr quindi un piccolo villaggio, chiamato Bongwan, e poi ancora un altro centro
abitato, di nome Kimanis; infine i duecento uomini arrivarono in vista di Tenom.
- La citt brucia! - riferirono a Muluder le avanguardie della sua truppa, che erano andate
in avanscoperta verso quella direzione.
Infatti, come poterono tosto vedere tutti, la cittadina era un immenso braciere, dalla quale
scappavano lunghe colonne d'uomini, che spingevano o trainavano carri pieni di
masserizie, accompagnati dagli animali che ognuno possedeva.
Fuggivano in tutte le direzioni, con il terrore dipinto sugli occhi, mentre gruppetti di soldati
reali cercavano di instradarli in direzione dei paesi appena attraversati dalla truppa di
Muluder.
Il vecchio rajah fece allora chiamare il luogotenente che comandava quelle sparute pattuglie
di guerrieri, ed una volta interrogatolo, venne a sapere che la citt, dopo una strenua difesa,
era caduta nelle mani degli insorti, che l'avevano saccheggiata e quindi incendiata. Parte
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della popolazione era stata trucidata dai rivoltosi, che non avevano avuto piet n
per vecchi inermi, n per donne indifese.
Alcuni dei soldati reali, caduti nelle mani delle truppe ribelli, erano stati posti di fronte
ad una scelta: o passare ad ingrossare le file dei rivoluzionari od essere subito
giustiziati.
Quasi tutti avevano preferito tradire il proprio sultano e quindi solo poche pattuglie
di soldati reali continuavano a servire lealmente il rajah.
Muluder, nell'apprendere tali sconvolgenti notizie, rimase ancora pi rattristato. Il
suo regno stava progressivamente andando in rovina e sembrava che le forze nemiche
fossero ormai dilaganti ed inarrestabili come un fiume in piena.
Diede comunque disposizione ai suoi luogotenenti che le truppe della
colonna proteggessero la ritirata dei civili in fuga, scortandoli verso i villaggi pi
vicini, ed aiutandoli nel trasporto di quei pochi averi che erano riusciti a
sottrarre alla furia devastatrice degli insorti.
I giorni seguenti furono quindi impiegati in queste opere umanitarie, mentre
pervenivano notizie d'altre disfatte militari dai capisaldi nelle provincie
vicine.
Trascorsero cos un paio di settimane. Dopo di che il vecchio sultano decise di partire
dalla cittadina di Kimanis, ove aveva accompagnato gran parte dei profughi
radunati nel territorio circostante. Venne deciso il giorno della partenza e gi le
truppe stavano montando a cavallo per partire, quando si presentarono al vecchio rajah
alcuni soldati, di un distaccamento che era stato mandato nei villaggi vicini per avere
notizie circa eventuali presenze di rivoltosi. Tali uomini gli riferirono che le armate
avversarie, forti d'alcune migliaia d'uomini, forse tremila a detta di chi aveva seguito
tali spostamenti, si stavano dirigendo verso la capitale. Attorno a loro stavano facendo
terra bruciata, lasciandosi alle spalle orrende stragi, distruzioni di campagne
coltivate e di villaggi, saccheggi ed esecuzioni capitali di chiunque non abbracciasse
la loro causa.
Al vecchio Muluder non rimase che un partito da prendere: tentare di sorpassare il
nemico, che si muoveva molto lentamente, ed accorrere in difesa della capitale Kin onde
proteggerla con la proprie milizie, le cui forze erano rimaste intatte. Infatti Muluder
sapeva che nella capitale del regno erano rimasti pochi centinaia d'uomini incapaci a
difendere una citt cos vasta. Per di pi era inquieto sulla sorte della spedizione di
Sandokan e di Agun.
Decise quindi di procedere a marce forzate verso la capitale, cercando di percorrere
piste non battute dal nemico e che lui, esperto conoscitore del suo regno, ben ricordava.
Questa decisione molto saggia, unita alla fortuna di non essersi imbattuto in
nessun distaccamento nemico, consent a questo corpo di spedizione di raggiungere
la capitale molto prima che questa fosse investita dai rivoltosi.


* * * * * * * * * * *


Ed ora facciamo un passo indietro ed occupiamoci di Agun e dei suoi duecento uomini
che si erano mossi dalla capitale subito dopo la partenza di Sandokan e del vecchio
Muluder, in direzione est. Erano tutti montati su splendidi cavalli.
Le regioni che abbracciavano i territori da Tawau a Lahad - Dat erano la
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meta che tale armata doveva raggiungere. Si trattava di attraversare il centro del Borneo
ove le foreste erano pi fitte e pi impenetrabili.
Agun, da buon comandante militare, aveva organizzato molto bene la sua colonna: trenta
uomini erano destinati all'avanguardia e tra di essi vi erano i battitori, che aprivano la
strada quando i sentieri si addentravano in mezzo a jungle inaccessibili; al centro di quella
lunga schiera d'uomini vi era il grosso con i vettovagliamenti e le munizioni, composto da
centocinquanta guerrieri; ed infine la retroguardia che contava una ventina di soldati ed
aveva il compito di preservare tutti da un eventuale attacco alle spalle. La missione affidata
ad Agun era molto delicata, in quanto si trattava di ripristinare la pace in una regione che,
data la sua lontananza dalla capitale del regno, era stata spesso trascurata dai notabili,
dagli ambasciatori e dal sultano stesso. Questa provincia si trovava molto pi a sud dei
territori visitati da Selim durante il suo sfortunato viaggio compiuto alcune settimane
prima.
Agun, come si era accennato all'inizio di questo racconto, aveva un carattere molto diverso
dai suoi fratelli: dotato di minor forza fisica e di un corpo non troppo agile, aveva
sviluppato invece molto interesse per la cultura e quindi per le scienze, per la geografia, per
la storia del suo popolo e per le tradizioni di quelle isole.
Amava anche la buona cucina e per questo si era portato al seguito il cuoco di corte, un
cinese magro e molto alto, con un lunghissimo codino, di nome Cian-Tu. Ad ogni pranzo e
cena Cian-Tu preparava dei piatti prelibatissimi, tipici della cucina bornese e cinese. Le
foreste che l'armata reale percorreva erano molto ricche d'alberi, di diversa natura: vi
erano il mango, che produce dei frutti molto gustosi e profumati; il durian, dai cui rami si
raccolgono delle palle coloratissime ma maleodoranti come una cipolla marcia, coperte di
spine tutto intorno, ma che, una volta aperte, sono di un sapore delizioso; oppure il
cepedak, albero alto sino a venti metri, sui cui rami si trovano degli involucri, grossi
come un melone, al cui interno vi sono decine di semi ricoperti da una polpa fragrante e
dolcissima; dei rari banani, piante superbe, carichi di grossi grappoli che venivano staccati
dagli alberi da agili daiacchi che lestamente si arrampicavano lungo i tronchi come scimmie
e ne recidevano i rami pi carichi.
Non era facile camminare in fretta in quel paradiso d'alberi, di fiori colorati, di profumi
intensi: spesso la truppa era costretta a fare dei giri tortuosi quando ci s'imbatteva in folti
canneti o in macchie intricatissime di rovi e di spine, oppure quando si era costretti a
scalare impervi sentieri che si arrampicavano su colline ricoperte da folti boschi, i cui alberi
crescevano in maniera cos fitta da costituire una vera barriera.
Si procedette cos senza nuovi imprevisti per alcuni giorni. La carovana faceva sosta nelle
ore pi calde, per evitare inutili ed estenuanti fatiche, mentre si addentrava nelle foreste
fino a tarda sera. La selvaggina, cacciata durante il percorso serviva a variare il menu,
evitando di dar fondo alle scorte di viveri, che era opportuno conservare in caso di
necessit.
Il cuoco cinese faceva miracoli, preparando gustosi quanto svariati manicaretti: a pranzo
approntava il nasi-lemak, riso cotto in latte di cocco e servito assieme a pesciolini secchi,
noccioline e uova di coccodrillo, fette di cetriolo con pezzi di carne brasata, molto piccante;
la sera cucinava il mee-jawa, un piatto di fettuccine in salsa densa con gamberetti fritti,
patate e paufoo (soia a pezzetti); altre volte portava in tavola il saty, consistente in cubetti
di pollo e manzo marinati e cotti alla brace, ricoperti di salsa di arachide piccante; come
contorni erano serviti invece i ketupat, una sorta di tortine di riso con cipolle e fette di
cetriolo; il tutto veniva abbondantemente annaffiato con della birra, unico alimento non
bornese, con del sidro o con dell'arak.
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Dopo circa una settimana di viaggio, la carovana s'imbatte in un villaggio abbandonato:
molte capanne sembravano essere state distrutte dal fuoco, mentre a terra vi erano vistose
tracce di un combattimento recente: oggetti da cucina o armi abbandonate, macchie di
sangue, indumenti o stracci strappati. Vi erano anche parecchie impronte di piedi che si
dirigevano verso una vicina valletta.
Agun, incuriosito dal fatto che tutte queste tracce muovevano in quell'unica direzione, ma
insospettito da tale stranezza, decise di seguire quelle orme e di raggiungere la vicina
vallata, non dimenticando di prendere tutte le precauzioni del caso per non cadere in
un'imboscata. Lanci quindi in avanti degli esploratori, mentre altri uomini venivano da lui
mandati parallelamente ai primi ma allargandosi a raggiera; infine sped la retroguardia
attorno al villaggio, ma ad una certa distanza da esso, onde prevenire eventuali assalti di
sorpresa. Ma tutte queste precauzioni furono inutili, poich non era stata tesa loro nessuna
imboscata: infatti gli esploratori tornarono subito indietro riferendo ad Agun di aver fatto
invece una macabra scoperta. Un sentiero, sul quale sembravano essersi incamminate
tutte quelle persone, a giudicare dalle innumerevoli tracce lasciate a terra, conduceva in una
piccola gola, in fondo alla quale erano ora ammucchiati numerosissimi corpi senza vita che
giacevano uni sugli altri in un solo orrido carnaio, ove il sangue era dappertutto. Ma la cosa
pi raccapricciante era che quei corpi avevano la testa staccata dal busto. Questo segno,
assieme alla totale assenza dei crani recisi, non faceva dubitare un momento su chi
potessero essere stati gli esecutori di tale efferato crimine: i daiacchi, che notoriamente
tagliavano le teste alle persone che uccidevano. lnfatti era usanza presso quei popoli feroci e
selvaggi che, in caso di vittoria in combattimento, i vincitori solevano decapitare i nemici,
una volta uccisi. Le teste erano poi trasportate nei villaggi della trib e l venivano
adeguatamente scarnificate.
Per far questo i daiacchi usavano depositare i crani appena recisi, e quindi sanguinanti,
accanto ai nidi delle terribili termiti, molto numerosi in quelle regioni. Questi insetti, attirati
dall'odore del sangue e della carne ancora pulsante, in poco tempo uscivano dai propri nidi,
si radunavano in frotte ed attaccavano le teste con una voracit inverosimile e le riducevano
in pochissimi minuti, grazie alle loro formidabili mandibole, in puliti e levigati teschi. A
questo punto i selvaggi andavano a raccogliere i crani ed ornavano con essi le loro capanne
o le palizzate dei villaggi, come se fossero dei trofei. Questa macabra usanza serviva anche
ad incutere terrore negli avversari.
Compiuto questo ritrovamento, che disgust tutti ma soprattutto Agun, si decise di dare
onorata sepoltura a quei poveri esseri; ma non potendoli estrarre da quella angusta gola,
anche perch i corpi emanavano gi un fetore insopportabile, a causa del torrido caldo che
decomponeva un cadavere anche dopo un solo giorno dalla morte, si decise di riempire
quell'enorme cimitero con terra in quantit e numerose pietre, onde impedire alle fiere di
banchettarvi copiosamente, cosa che forse era gi iniziata ad avvenire nella notte
precedente.
Agun, molto rattristato da quell'immenso eccidio, cap che la guerra iniziata era
sicuramente la pi feroce sinora combattuta dal suo popolo, contro nemici crudeli e barbari.
Non appena fu compiuta quella pietosa ed inusitata sepoltura collettiva, la colonna riprese
la marcia, sempre pi inoltrandosi verso oriente. I battitori ricominciarono la loro faticosa
ginnastica che consisteva nel taglio delle liane e delle radici, che avviluppandosi come
un'enorme ragnatela, pi volte, impedivano un rapido cammino in quelle foreste.
Il terreno, dopo qualche chilometro, inizi a cambiare aspetto: da solido e compatto, stava
cominciando a trasformarsi sempre pi in umido e molliccio, segno evidente che nei pressi
si nascondeva qualche savana o qualcuno di quei bacini d'acqua traditori, col fondo
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costituito da sabbie mobili che inghiottono chiunque, uomo o animale, osi affrontarle. Con
quell'umidit, cos copiosa, che trasudava da ogni dove, il cammino si era fatto pi lento
ed insalubre a causa di forti miasmi dovuti al corrompersi delle foglie macerate in
quell'acqua putrida. Pareva che camminassero su una gigantesca spugna: con la sola
pressione dei piedi, fuoriuscivano dal suolo, come prodotti da piccolissimi ed invisibili fori,
rivoli di acqua. Tutti i rajaputi scesero da cavallo ed avanzarono quindi a piedi.
Alcuni uomini, molto pratici del luogo, tastavano di frequente il terreno con dei rami, sia
per verificare la solidit del suolo, sia per spaventare eventuali rettili che si potevano celare
sotto quel pelo d'acqua, essendo i terreni umidi preferiti da certi serpenti alcuni dei quali
velenosissimi.
Ad un tratto la marcia fu rallentata ulteriormente dalla ridotta andatura dell'avanguardia,
presso la quale Agun si avanz per conoscerne il motivo.
- Pi avanti vi la morte, o mio principe - rispose colui che comandava il drappello
d'esploratori - Non oso inoltrarmi ulteriormente per timore di essere tutti inghiottiti dalle
sabbie mobili.
Agun parve riflettere e poi disse:
- Ci toccher ripiegare sui nostri passi e prendere una direzione diversa. La cosa mi secca
terribilmente poich perderemo qualche giorno di cammino, ma purtroppo non posso certo
correre il rischio di perdere scioccamente delle vite umane.
Tornarono quindi sui loro passi e si spinsero pi a sud.
Percorsi alcuni chilometri gli uomini della carovana si resero conto che la situazione non
migliorava: il terreno diventava sempre meno consistente, l'acqua trapelava dappertutto,
formando sotto i piedi della truppa delle pozze d'acqua che si allargavano rapidamente.
Delle bande di uccelli acquatici che si alzarono in volo in quel momento, denotavano la
vicinanza di una gran palude o di un grosso corso d'acqua. Gi l'avanguardia cominciava a
rallentare ulteriormente il passo, per tema che il terreno mancasse sotto i piedi, quando un
urlo rauco si fece udire un poco innanzi, seguito da un tonfo e da un gorgoglio.
Agun, fattosi di nuovo innanzi presso il drappello degli esploratori, chiese al loro
comandante:
Hai sentito, Ka-Pogna? Cosa stato?
L'uomo che rispondeva a quel nome rispose:
- Pare che qualche animale si sia gettato in acqua.
Tutti si erano fermati, appoggiando i piedi sulle ramaglie ivi presenti, onde non affondare
nella fanghiglia, sfoderando le pistole o alzando i fucili.
Al di l della macchia di felci che ostruiva la vista ai visitatori vi era qualcuno o qualcosa
che si dibatteva nell'acqua. Si udivano ora distintamente dei muggiti prolungati e dei soffi
possenti.
- Avanziamo e cerchiamo di capire chi ostruisce il nostro percorso - comand Agun.
Tenendosi celati il pi possibile nella vegetazione cos rigogliosa gli uomini
dell'avanguardia si misero a camminare in silenzio, pronti a difendersi da ogni attacco.
Percorsi altri dieci passi arrivarono ai margini di una piccola palude, la quale sembrava si
allargasse progressivamente, in quanto il liquido tracimava fuori dell'incavo abituale. Era
piena di piante acquatiche: migliaia di vegetali che si corrompevano in una superficie
melmosa, con acqua nera emanante un fetore di decomposizione i cui miasmi pestilenziali
erano certamente deleteri per la salute di uomini non avvezzi a quei luoghi: la malaria o la
terribile febbre gialla, che mietono tante vittime in quei paesi, erano in agguato su quelle
sponde.
In mezzo alle fronde che lambivano i margini della palude vi erano superbi fiori, che
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Parevano fatti col velluto, bianchi con striature violacee e con gradazioni di tinte diverse
d'una bellezza eccezionale. Gli uomini avanzarono ancora un poco in quella flora selvatica,
per abbracciare meglio con l o sguardo ci che avveniva sullo specchio d'acqua.
Verso la riva destra apparvero due animali strettamente avvinti tra loro che si agitavano
forsennatamente. Un caimano, lungo circa cinque metri, col dorso ricoperto quasi
interamente di piante acquatiche che erano cresciute nel fango depositato tra le varie scaglie
ossee, con due mascelle enormi, armate di lunghi denti aguzzi, era stato avvinto tra le spire
di un mostruoso serpente, un grosso pitone, uno dei pi grandi della sua specie, che lo
stringeva in un abbraccio mortale dal quale era ben difficile difendersi. Capita spesso che
nella foresta due rettili si scontrino per disputarsi una preda o per nuocersi
scambievolmente. Evidentemente il serpente aveva avvistato qualche animale verso il
quale si stava avvicinando anche il caimano. Allora il pitone si era gettato, forse da qualche
basso ramo, addosso al sauriano, avvolgendolo immediatamente tra le sue possenti spire.
Solo la coda del caimano era rimasta libera da quella stretta, e si agitava pazzamente,
tentando di colpire il corpo del serpente, che per aumentava inesorabilmente la propria
morsa. Progressivamente anche le mascelle del caimano vennero avviluppate nelle spire del
rettile, cosa questa che lo rese ancora pi furioso, facendolo muggire terribilmente nel
tentativo di divincolarsi da quella pericolosa situazione.
Nulla pu resistere all'abbraccio di un pitone: uomini, tigri, bufali e perfino oranghi
periscono, schiacciati dalla forza mostruosa di quelle bestie.
11 caimano, arcuando la schiena e compiendo balzi prodigiosi, tentava di avvicinarsi alla
riva onde immergersi nelle acque profonde dello stagno, nella speranza cos di affogare il
suo avversario, il quale ben sapendo il pericolo che correva, voleva accelerare il pi
possibile la fine di quella lotta, aumentando la stretta delle sue spire.
- Questo un combattimento davvero speciale, che non ho mai visto! esclam il principe
rivolto ai suoi soldati.
- Accade spesso che tali bestie si affrontino ed il pi delle volte la vittoria va al caimano -
rispose Ka - Pogna - La forza prodigiosa della loro coda atterra qualunque bestia. Inoltre le
loro mascelle tagliano in due qualsiasi animale della foresta. Una volta ho visto. . .- la
risposta di Ka-Pogna al fratello del sultano s'interruppe perch il sauriano era riuscito, con
uno sforzo prodigioso, a liberare dalla stretta le proprie mascelle, che si apersero di scatto
e si avventarono sulla testa del pitone. L'enorme bocca si richiuse con fracasso, troncando
di netto il corpo del serpente, che per, nell'attimo in cui moriva, dette al sauriano una
nuova e decisiva stretta. Si ud allora uno scroscio sordo, come di cocci che si rompono:
erano le ossa del caimano che si erano frantumate, stritolate dall'ultima compressione
del serpente morente.
I due animali, mortalmente abbracciati, si adagiarono tra le acque, rese ancora pi scure dal
fango che era stato rimosso dal fondo, per poi scomparire lentamente alla vista stupita degli
uomini, mentre affondavano nella mota vischiosa.
Dopo la conclusione di quello spettacolo tutti gli uomini tornarono sui loro passi, ma,
mentre si ricongiungevano con la colonna, si accorsero che ora sul terreno vi era un vero e
proprio spessore d'acqua che evidentemente si era alzato rispetto a prima. In taluni punti il
pelo dell'acqua raggiungeva l'altezza di dieci centimetri, arrivando cos al collo del piede di
quasi tutti i soldati, che seguitavano a camminare a piedi non osando servirsi dei cavalli.
- Sembra che sia tracimato qualche fiume nelle vicinanze! - esclam Agun.
Dopo essersi consultato con alcuni daiacchi esperti di quei luoghi, Agun decise di tornare
indietro. Si mise poi lui stesso in testa alla colonna, tra le file dell'avanguardia onde poter
prendere subitanee decisioni se si fossero verificati altri imprevisti.
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II luogo che stavano percorrendo era un'immensa vallata molto piatta ai cui margini
scorrevano due piccoli fiumi, che provenivano dalle montagne del Kina-Balu. Forse su
quelle alte pendici era piovuto in abbandondanza in quel periodo ed ora i fiumi erano in
piena. Si trattava di riguadagnare i luoghi ove sorgeva il villaggio che era stato distrutto dai
nemici, lasciato indietro da alcune ore, poich sorgeva su di una piccola altura di circa un
centinaio di metri rispetto alla piana sconfinata, onde poter trovare su quella collina un
terreno asciutto.
Agun cominci anche ad ipotizzare che vi poteva essere qualcosa di innaturale in quella
piena: esperto conoscitore della natura dei suoli, aveva la certezza che quei terreni non
erano alluvionali, n erano soliti essere ricoperti di acqua; prova ne era il tipo di piante e di
alberi che vi crescevano; inoltre non era quella la stagione delle piogge e se pur aveva
piovuto in alta montagna quel terreno era in leggera pendenza, cosa questa che avrebbe
dovuto permettere un rapido deflusso delle acque in caso di inondazione. Pi passavano le
ore e pi l'acqua saliva: ora arrivava oltre le caviglie a tutti e rischiava di raggiungere le
ginocchia agli uomini di statura pi bassa. A quel punto Agun fu pi convito della sua
ipotesi: quell'inondazione non era dovuta ad uno straripamento naturale, ma a causa di
qualcuno che ad arte aveva inondato il territorio, provocando uno sbarramento nel corso dei
fiumi e nel terreno pi a valle. L'intento poteva essere quello di far annegare il convoglio
reale o di rallentarne quantomeno la marcia.
Agun dette quindi l'ordine di affrettare la marcia e di correre verso il piccolo innalzamento
del terreno. Tutti obbedirono anche se non era facile trasportare in fretta i carichi di armi o
di vettovaglie che si portavano appresso. Anche le bestie da soma ed i cavalli al seguito
trovavano grande difficolt a muovere le zampe in quella specie di terreno paludoso, ove si
affondava sino ai garretti.
La corsa era ritardata anche dalle avverse asperit del suolo, che erano rese irriconoscibili,
poich coperte dall'acqua che non era certo limpida. Nonostante ci in un paio di ore la
compagnia raggiunse la piccola altura e tutti si misero in salvo su un terreno asciutto. Agun
chiam a raccolta i vari comandanti e disse loro:
- Fidati e coraggiosi luogotenenti, come vedete la situazione seria ma non drammatica.
Siamo praticamente assediati dalle acque, ma non credo che corriamo alcun pericolo. La
cima dell'altura dove ci troviamo alta cento metri rispetto al fondo valle ed quindi
impossibile che la piena ci possa sommergere. Il problema invece un altro: il perdurare di
questa situazione. Quanto durer questa inondazione, che stata sicuramente provocata dai
nostri nemici che hanno probabilmente deviato od ostruito il corso dei fiumi? Presumo che
possano trascorrere delle settimane prima che le acque defluiscano o che possane essere
assorbite dal terreno. Quindi avremo problemi di vettovagliamento e di viveri. Quanto
pensate possano durare le scorte di cibo?
- Abbiamo molta carne salata ed affumicata - rispose un sottocapo.
- Ma siamo duecento uomini! - obiett un altro.
- E i cavalli? Quando essi avranno consumato le erbe della collina di cosa si nutriranno? -
si domand un terzo.
- Ascoltate, - intervenne il principe, che non voleva far serpeggiare troppe preoccupazioni-
quando i viveri saranno terminati o quando i cavalli non avranno pi di che cibarsi, ci
nutriremo di tali animali. Vorr dire che poi torneremo alla capitale, non potendo certo
proseguire il viaggio a piedi, vista la lontananza della meta. Forse quello che pi mi
preoccupa la sete! Ognuno di noi ha razioni per circa due giorni. I cavalli si possono anche
bere l'acqua che ci circonda, mentre preferirei che gli uomini evitassero di dissetarsi con essa.
- Ho notato un pozzo nei pressi del villaggio distrutto! interloqu un comandante -
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Proveremo a vedere se secco oppure no.
- Bene - termin il fratello del sultano - assicuratevi che vi sia acqua nel pozzo. Se non ci
fosse disponete un razionamento delle scorte. Frugate per ogni dove per vedere se si trova
qualche sorgente o qualche capo di selvaggina su questa piccola collina. Disponete anche
delle sentinelle lungo tutto il perimetro della terra emersa: non voglio brutte sorprese! Che
qualcuno controlli anche se l'acqua sale ancora o se si fermata.
Detto questo la riunione si sciolse ed ognuno and a trasmettere gli ordini ricevuti ai propri
guerrieri.
La collina venne battuta palmo a palmo e furono uccisi tutti gli animali, ed erano davvero
tanti, che vi si erano rifugiati per scampare all'inondazione. Uccelli, cinghiali, cervi, zeb,
vennero abbattuti ed una parte di questi immediatamente cucinati, visto che erano ormai
venti ore che nessuno toccava pi cibo; un'altra parte di questa cacciagione venne
affumicata onde poter essere conservata per i giorni successivi.
Furono poste le sentinelle come stabilito, mentre non venne trovata alcuna sorgente di
acqua. Il pozzo invece era funzionante, ma si decise di farvi ricorso quando le riserve nelle
fiasche fossero terminate.
Durante la notte, che peraltro trascorse senza incidenti, il livellodelle acque si alz sino a
raggiungere i due metri e mezzo rispetto alla piana; ma poi, alle prime luci dell'alba, si
arrest. Se la colonna non avesse avuto tempo di raggiungere celermente quel piccolo
altopiano nessuno avrebbe potuto trovare rifugio all'inondazione, cosa questa che era
evidentemente nei progetti delle bande rivoluzionarie.
Passarono cos altri due giorni. Le truppe si erano accampate attorno al villaggio distrulto
dalle fiamme, montando delle tende per il principe o per riparare dal sole le provviste, o
risistemando alcune capanne che erano state meno danneggiate dalla furia del fuoco. Le
acque si erano definitivamente arrestate e nessuno pi temeva per la propria vita. Le
provviste erano abbondanti e comunque sufficienti a sfamare tante persone. Le riserve
d'acqua invece cominciarono a scarseggiare: le fiasche e le botti che erano al seguito del
convoglio si stavano esaurendo. Qualcuno ebbe quindi l'idea di attingere il prezioso
elemento dal pozzo che si trovava nella piazza principale del villaggio. L'acqua sembrava
fresca e buona. Venne quindi attinta e distribuita a chi aveva terminato la propria razione e
venne bevuta durante il pasto serale.
Non erano trascorsi che pochi minuti dalla fine della cena quando alcuni uomini
cominciarono a lamentarsi, accusando forti dolori allo stomaco. In breve i dolori divennero
molto forti provocando acute grida di sofferenza.
Subito ci si interrog sul perch tanta gente accusava contemporaneamente gli stessi
disturbi e la risposta arriv immediata nella mente di ognuno: chi era stato colto dai dolori
aveva bevuto l'acqua del pozzo che evidentemente non era potabile.
Agun, prontamente accorso a confortare chi soffriva, si rese conto, anche grazie ad alcune
nozioni di medicina generale che aveva appreso leggendo i libri della propria biblioteca,
che quegli uomini erano stati avvelenati da qualche potente prodotto tossico mischiato
nell'acqua. Il sospetto divenne certezza quando alcuni dei sofferenti iniziarono a rantolare e
poi ad esser presi da forti e ripetute contrazioni per tutte le membra del corpo.
Successivamente a molti di quei poveretti comparve una bava sanguigna nella bocca,
mentre urla strazianti uscivano dalle loro labbra. L'accampamento si trasform in breve in
una specie di lazzaretto ove una buona parte dei suoi occupanti era distesa a terra in preda a
convulsioni spasmodiche, che presto si trasformarono in sinonimi di morte: poco dopo
infatti una cinquantina di soldati si irrigidirono definitivamente. Erano mrti. Nulla si pot
fare per loro. Non si conoscevano antidoti ad un veleno sconosciuto a tutti.
100

Pur tuttavia Agun si adoper per limitare danni irreversibili a chi, non avendo bevuto
che poca acqua, poteva forse essere salvato: fece vomitare quegli uomini che ancora
non presentavano i sintomi irreversibili dell'avvelenamento, onde togliere loro dallo
stomaco quanto avessero ingerito. Forse questo salv la vita a molti guerrieri, che in
capo a poche ore sembrarono star meglio, con i dolori addominali in rapida diminuzione.
Quando l'emergenza sembr cessare Agun cont cinquantadue morti. Era una
vera carneficina. Molti altri guerrieri erano terrorizzati, pensando che mancando l'acqua in
pochi giorni sarebbero comunque morti di sete.
Il principe, nella pi profonda costernazione, diede ordine di seppellire
molto profondamente i poveri compagni, uccisi cos sadicamente. Diede poi disposizioni
perun rigido razionamento della poca acqua rimasta nei barili.
La notte trascorse lavorando alacremente per seppellire i morti, mentre il cuore di tutti
era rattristato ed atterrito.
L'indomani mattina Agun, dopo una profonda riflessione, radun tutti gli uomini e
parl
loro:
- Miei prodi, onde evitare di farci prendere dalla sete prima che le razioni finiscano,
dobbiamo abbandonare questo posto. Abbatteremo degli alberi e con essi costruiremo delle
zattere. Vi raduneremo sopra armi, munizioni, viveri e tende. Alcuni di noi vi
saliranno sopra mentre gli altri monteranno in groppa ai propri cavalli; tenteremo cos di
attraversare questo enorme lago. Che gli dei ci siano propizi.
Terminato di parlare tutti iniziarono velocemente l'opera ordinata. In mezza giornata molti
alberi vennero tagliati e poi privati dei rami. I tronchi furono legati assieme tra loro
da robuste liane: vennero cos realizzate cinque grosse zattere, sotto le quali trovarono
posto i barili d'acqua ormai vuoti, in modo che questi aiutassero i natanti a restare meglio
a galla.
Vi imbarcarono quanto stabilito poi ognuno prese posto a bordo o sui propri destrieri.
I quadrupedi senza cavalieri, cio quelli dei soldati deceduti vennero tenuti per le briglie
dai cavalieri pi abili.
Le zattere vennero spinte quindi al largo con delle robuste canne di bamb che
servirono poi a direzionare i galleggianti.
Dopo alcune ore la collina venne persa di vista.
Il paesaggio sembrava fantastico ed irreale. Si vedevano infatti sporgere dall'acqua
molti alti alberi, coperti solo in parte dal liquido elemento, mentre su quella specie di
palude galleggiavano detriti di ogni genere e carcasse di animali affogati, che esalavano
un fetore insopportabile. Questi cadaveri galleggianti rendevano ovviamente l'acqua non
potabile, scoraggiando chiunque avesse voglia di soddisfare la propria sete, che si faceva
sempre pi sentire, con quel caldo e sotto un torrido sole, mitigato da ben poche ombre.
Trascorsero altre ore; i cavalli, specialmente quelli con in groppa gli uomini, iniziavano a
dare segni di stanchezza. Quando sembrava che stessero per affogare i cavalieri che li
montavano si trasferivano su quei cavalli privi di padrone o direttamente sulle zattere.
Ma col passare del tempo la situazione si fece precaria. Poco a poco tutti i cavalli furono
privati del loro fardello umano per impedire che affogassero. Le cinque zattere ora
rischiavano di inabissarsi perch troppo cariche. La giornata trascorse tra mille angosce; il
sole cominciava a calare all'orizzonte; molti cavalli erano affogati o risultavano dispersi in
quell'oceano d'acqua mentre nell'animo dei soldati reali iniziava a serpeggiare il timore di
non riuscire ad approdare in breve tempo su qualche terra emersa. Le zattere
avanzavano con molta lentezza a causa del peso eccessivo e della loro poca
manovrabilit. Gi si discuteva sul come orizzontarsi di notte in quella buia distesa
d'acqua quando finalmente fu intravista una terra, celata sino a quel momento agli
occhi di tutti, poich un gruppo
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d'alberi la nascondeva con le loro chiome, ormai molto prossima distante solo alcune
centinaia di metri. Con un ultimo sforzo i natanti raggiunsero la riva e vi si arenarono. Era
una lingua di terra che si allargava verso l'interno: si trattava. probabilmente dell'estremit di
qualche collina che sembrava molto vasta. Tutti sbarcarono, scaricando i fardelli che si
trovavano nelle zattere. Vennero raccolti i cavalli superstiti e ci s'incammin verso
l'interno alla ricerca disperata di un corso d'acqua ove poter finalmente estinguere la
sete, che era diventata insopportabile. Alcuni uomini non bevevano dalla sera prima,
nonostante che sforzi e fatiche avessero aumentato a dismisura l'arsura di ognuno,
complice l'insopportabile caldo di quella giornata.
La notte cal improvvisa, ma tutti continuarono a camminare sui quei terreni non troppo
ingombri d'alberi o vegetazione, spronati dalla necessit di trovare un torrente. Alla pallida
luce di un cielo che risplendeva di fulgide stelle, gli uomini si divisero su un vasto fronte
onde accrescere le probabilit di trovare qualche corso d'acqua. Nel far ci Agun si
rendeva conto che esponeva la sua gente ad un pericolo maggiore in caso d'incontro
con il nemico, ma la sete era troppo prepotente ed eventuali suoi ordini di marciare pi
riuniti potevano esasperare gli animi dei soldati, gi messi a dura prova in quei giorni ricchi
di terribili e nefaste sorprese.
Finalmente venne scoperta una piccola fonte d'acqua che zampillava tra alcune rocce. Il
silenzio della notte, rotto solo dal grido d'alcuni uccelli rapaci, aiut a sentire quel dolce
mormorio, che rappresentava il rumore pi invitante che orecchio di un uomo assetato
potesse ascoltare. Tutti si precipitarono verso quella pozza d'acqua e ne bevvero
avidamente. Anche i cavalli ebbero il loro giusto godimento. Furono poi ricostituite le
riserve in fiasche e botti e quindi finalmente tutti si dedicarono al sospirato riposo, tranne
alcune sentinelle che furono disposte a guardia dell'improvvisato accampamento.
L'indomani Agun radun i sottocapi per decidere sul da farsi. Venne convenuto che
occorreva ora aggirare i vasti territori colpiti dall'inondazione per poi riprendere la marcia
verso la meta. Si trattava di effettuare un lungo e vizioso semicerchio, ma d'altra parte non
si poteva fare altrimenti e lo scopo del viaggio doveva essere raggiunto a tutti i costi. Agun
lasci riposare la carovana per due giorni. Tutti avevano bisogno di ritemprare le forze,
anche in vista del lungo percorso che ancora restava da compiere. Venne compiuta la conta
delle cavalcature superstiti e ci si accorse che nella traversata erano affogati o si erano
dispersi circa cinquanta cavalli, cio un numero pari ai soldati morti avvelenati. Quindi
ogni guerriero poteva contare ancora sul proprio destriero oltre ad alle bestie gi adibite al
trasporto degli equipaggiamenti.
La colonna si mise quindi di nuovo in marcia e per alcuni giorni s'inoltr in territori
impervi e difficilmente praticabili, anche a gente come loro, avvezza a muoversi tra mille
difficolt nelle foreste bornesi.
Gi la compagnia era in procinto di attraversare quella che si riteneva essere l'ultima
macchia di vegetazione che la divideva dai territori abitati dalle trib che Agun doveva
visitare, quando la retroguardia gett l'allarme: avevano inteso un rumore di cavalli in
avvicinamento. La colonna si dispose quindi sulla difensiva, nascondendosi nella
vegetazione, pronta a respingere un attacco nemico ormai prossimo.
Tra gli alberi apparvero per solo pochi uomini che avanzavano a briglie sciolte. Si trattava
di una decina di cavalieri che avevano le divise e le insegne dei soldati del sultano
Sandokan.
Quale fu la sorpresa di tutti facile immaginarselo. Furono fatti dei segnali di
riconoscimento onde evitare che ci si sparasse scambievolmente addosso. I nuovi arrivati
smontarono da cavallo e furono condotti alla presenza del principe, che era molto
102

preoccupato per quell'incontro inaspettato che poteva essere foriero solo di brutte nuove.
Il capo del piccolo gruppo di sopravvenuti consegn ad Agun un messaggio di
Sandokan. Spieg che li stavano cercando da diversi giorni e che anche loro erano stati
costretti ad aggirare l'ostacolo prodotto dall'inondazione.
Agun prese la lettera a lui diretta, ruppe il sigillo di ceralacca con sopra impresso il simbolo
di una testa di tigre, emblema del regno del Sabah e lesse il messaggio, che cos diceva:
Caro Agun, abbandona la meta del tuo viaggio e raggiungici subito alla capitale. Gravi fatti
e nuove minacce impongono la presenza di tutti i tuoi uomini qui a Kin. Un abbraccio.
Sandokan"
Agun, visibilmente turbato da quanto aveva letto radun i suoi luogotenenti e li inform
degli ordini ricevuti. La colonna invert quindi la marcia e riprese il cammino in direzione
della citt del lago.
Dopo dieci giorni, senza incontrare altre sorprese o incidenti Agun e le sue schiere
raggiungevano la capitale

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CAPITOLO DECIMO

L'ASSEDIO DELLA CAPITALE

I nostri eroi si trovavano ora tutti finalmente riuniti nella reggia di Kin. Dopo un
affettuoso scambio di saluti, d'abbracci e di notizie, ed una visita alla regina madre e
alle due sorelle, Sandokan radun un consiglio di guerra. Questa volta vi parteciparono
anche i vari comandanti dei distaccamenti militari ed il comandante che aveva occupato
il posto di Batik, oltre ovviamente al vecchio Muluder, ad Agun e a Selim.
Sandokan, dopo aver informato tutti i presenti di ci che era capitato ai tre corpi di
spedizione, or ora tornati nella capitale, e dopo essersi soffermato sui tradimenti e sulle
diserzioni avvenuti negli ultimi mesi, chiese a sua volta notizie circa gli avvenimenti
accaduti in citt o nelle altre parti del regno durante la sua prolungata assenza.
Le notizie che alcuni comandanti o governatori portavano, anch'essi ritiratisi dalle
provincie di cui erano responsabili, erano desolanti. L'insurrezione non solo era
scoppiata ovunque ma le truppe ancora fedeli al sultano erano state costrette a ripiegare
sulla capitale, lasciando il regno di Sabah completamente in balia dei rivoltosi.
Infatti, nonostante l'eroismo di molti generali ed il sacrificio di tanti uomini, che si
erano battuti con coraggio ed audacia, disprezzando le profferte di tradimento di Batik,
la ritirata era stata completa e la disfatta totale in ogni regione del sultanato. Le armate
reali avevano comunque infetto durissime perdite ai nemici, ma purtroppo gli avversari
erano stati in grado di colmare rapidamente questi vuoti, merc l'afflusso costante e
continuo di nuovi rivoltosi, prezzolati dall'oro straniero. Erano stati catturati alcuni
nemici; dalle loro confessioni si seppe che le schiere nemiche si stavano ormai
concentrando attorno alla capitale per sferrarvi un attacco generale; inoltre si era saputo
che l'uomo bianco comandante di tutti i rivoltosi si chiamava Mike Hold; era un
emissario degli inglesi, che aveva guadagnato la fiducia di tutte le trib della costa e
dell'interno del regno, pagando a peso d'oro il tradimento di governatori e capi
villaggio, soldati reali e contadini. A tutti venivano regalati fucili e munizioni. Dalle
confessioni di chi era stato catturato e costretto a parlare si era anche saputo che soldati
e luogotenenti del sultano di Varauni e di Sarawack facevano da istruttori agli insorti,
insegnando loro l'uso delle armi da fuoco, sino a poco tempo addietro sconosciute alla
maggioranza di quei selvaggi. Promettendo grandi onori futuri e grosse ricompense,
questo Hold aveva corrotto molti comandanti reali, tra i quali Batik, ed aveva favorito
diserzioni di massa dei soldati sino ad allora fedeli a Muluder. Le truppe che non
cedevano alle lusinghe o alle promesse dei capi degli insorti erano state massacrate,
attirate in imboscate o battute in combattimenti nei quali le forze nemiche, anche se
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male addestrate o poco avvezze alla guerra, avevano avuto la meglio, grazie alla loro
superiorit numerica quasi schiacciante.
Tutti i luogotenenti del re, convenuti al consiglio di guerra, confermarono quanto si era
appreso dalle confessioni dei prigionieri, aggiungendo la triste notizia che ora non vi
erano pi citt o villaggi ancora sotto controllo regio. Le popolazioni che non avevano
aderito alla rivoluzione erano state trucidate, come Agun stesso pot confermare, nel
raccontare la sorte del villaggio incontrato durante la sua avanzata, mentre saccheggi
d'ogni genere erano stati effettuati sia nelle campagne sia nei centri abitati.
Sandokan, che aveva ascoltato in silenzio queste agghiaccianti notizie, prese la parola,
non appena i vari resoconti furono terminati e disse:
- Voglio innanzi tutto ringraziare quanto avete fatto per il nostro paese sino ad oggi.
Esprimo il mio sincero affetto per quei comandanti, qui presenti o per quelli che sono
stati uccisi, che hanno preferito essermi leali e non tradire il nostro amato sultanato, a
cominciare da quelli che hanno accompagnato la colonna di mio padre e di Agun. Forse
debbo a voi la vita dei miei familiari. Ora per dobbiamo pensare al prossimo futuro! Il
nostro regno si sta disfacendo pezzo per pezzo. Siamo ora costretti a difenderci. Per cui
vi ordino di eseguire alla lettera quanto vi dir, facendo il tutto con la massima
sollecitudine. Al momento attuale non ci resta da fare altro che chiuderci nella capitale
attendendo magari che il nemico, non potendo batterci, si stanchi ed abbandoni
l'accerchiamento. Non scordiamoci che le truppe dei rivoltosi sono mercenarie e senza
alcuna coesione che aggreghi i gruppi eterogenei che le compongono. Rendiamo allora
la citt imprendibile. Si scavino dunque delle profonde trincee attorno alle palizzate, si
rafforzino queste stesse, si realizzino attorno ai vari fortilizi e agli angoli della citt dei
piccoli depositi di polvere e munizioni, guardati giorno e notte da sentinelle armate,
onde prevenire eventuali attentati che potrebbero essere distruttivi; si creino sugli spalti
e sui camminamenti dei ripari che mettano al sicuro i difensori dal fuoco nemico o
dall'eventuale pioggia; si realizzi un'adeguata difesa del lato della citt che confina con
le sponde del lago, mettendo in acqua quante pi barche possibili, ancorate al largo, che
possano fungere da vedetta e da difesa; si mettano a bordo di queste imbarcazioni grossi
recipienti con quel liquido oleoso e puzzolente onde possa essere gettato in acqua e dato
alle fiamme in caso si avvicinino a riva natanti nemici. Per quanto riguarda invece la
popolazione, si avvisino tutti i cittadini che tra breve saremo cinti d'assedio; si diano
disposizioni onde permettere la fuga di chi volesse lasciare la citt prima dell'inizio
delle ostilit; si accantonino grandi quantit di cibo; ci si procuri scorte di legna, sia per
il fuoco sia per riparare possibili danni alle palizzate; si dislochino dei gruppi di vedette
sulle strade che portano alla capitale onde poter avere con largo anticipo la notizia
dell'arrivo del nemico. Ora, se non avete domande da pormi, andate ed eseguite con
zelo quanto vi ho raccomandato.
Tutti i comandanti si alzarono e presero congedo dal rajah. Rimasto solo con i suoi
familiari, Sandokan fece chiamare la madre e le due sorelle. Quando esse giunsero nella
sala della riunione, sembravano parecchio agitate, poich avevano saputo che la
situazione era precipitata e che tosto la citt sarebbe stata investita da un violento
assalto. Sandokan ebbe anche per loro parole di incoraggiamento:
- Cara madre, amatissime sorelle, - disse con tono molto dolce - nel vostro
appartamento all'interno della reggia potreste non essere completamente al sicuro. Una
palla di cannone, un incendio o una nostra eventuale capitolazione potrebbero avere
conseguenze nefaste. Vi prego quindi di abbandonare la citt; sotto buona scorta vi
recherete in qualche isola al largo del Borneo ove potrete avere presto nostre notizie.
- No, Sandokan, - rispose per tutte la buona Coruma - non abbandoner mai i miei
diletti figli e il mio signore, tuo padre. Piuttosto darei la vita per difendervi e per
contribuire ad aiutare i nostri guerrieri alla difesa della citt.
106

Anche le figlie di Coruma, Tua Kong e Terusan, aggiunsero parole di supporto a quanto
affermato dalla madre, mostrandosi desiderose di condividere la sorte dell'intera
famiglia e del popolo tutto.
Sandokan allora disse:
- Sia fatta la volont degli dei; correremo tutti insieme il medesimo rischio. Venite qua,
tra le mie braccia o madre adorata e dolcissime sorelle. Stringiamoci in un tenero
abbraccio!
E tutti si strinsero con grande commozione.


* * * * * * * * * * *


Passarono diversi giorni senza che il nemico desse notizie del suo avvicinarsi alla
capitale. Probabilmente le armate rivoluzionarie stavano organizzandosi per radunare
pi guerrieri possibili, ben sapendo che avrebbero trovato un osso molto duro da rodere.
Frattanto le disposizioni impartite da Sandokan erano state messe in pratica con grande
fervore. La citt era stata circondata per tre lati da profondi terrapieni, scavati da soldati
e comuni cittadini con molta destrezza. Le fosse erano larghe quattro metri e profonde
altrettanto, mentre tra queste e le palizzate che difendevano la citt erano stati posti dei
rovi che celavano pali molto appuntiti ed aculei spinosi, che formavano una specie di
recinzione difficile a superarsi, specialmente per i piedi ed i corpi nudi dei selvaggi; sia
le punte acuminate, sia le frecce piantate a terra erano state bagnate col terribile succo
dell upas. Se questi ostacoli non avessero fatto desistere gli assalitori li avrebbero
sicuramente arrestati per un po' di tempo, esponendoli al fuoco dei difensori, con
probabili perdite ingenti. Tutte le palizzate che cingevano la citt erano state rafforzate
con tronchi d'albero, messi a contrasto, onde queste potessero meglio resistere ad
eventuali colpi di cannone. Sui camminamenti, che guarnivano la cinta, erano stati
innalzati dei casotti protetti, ove alloggiavano una decina di mirm e lill, piccoli
cannoncini di bronzo che potevano sparare palle di ferro di due o tre chili, oppure
cartocci di mitraglia; i casotti erano dei ripari atti a proteggere i cannonieri dai tiri
nemici o per mettere al riparo le munizioni in caso di pioggia. Le porte della citt erano
state rinforzate per sopportare pi a lungo il cozzo di eventuali arieti. Sul lato del fiume
che, come gi spiegato, in prossimit della capitale formava il lago di Kin, una decina di
grosse barche si erano disposte a semicerchio, legate le une alle altre con robuste funi,
onde non perdere l'allineamento, ancorandosi sui bassi fondali. Su ognuna di queste si
erano imbarcati una decina di uomini armati; inoltre avevano trovato posto grossi
otri, all'interno dei quali erano racchiusi molti ettolitri di un liquido oleoso ancora non
conosciuto col nome di petrolio, facilmente infiammabile. Era stato raccolto da alcune
polle affioranti in certi terreni non molto distanti dalla citt. I soldati avevano ricevuto
l'ordine d'interdire qualunque avvicinamento di barche sospette e, in caso di sconfitta,
di rovesciare in acqua il contenuto di quei recipienti e di incendiarlo. Durante quei giorni
di febbrili preparativi la popolazione della capitale, resa edotta dell'imminenza
dell'attacco era quasi tutta fuggita, portandosi seco masserizie ed animali. Quale
tristezza, nella famiglia reale, il vedersi abbandonati dai propri sudditi, che scappavano
lasciandoli da soli a combattere per la propria indipendenza! Quanta amarezza nel
costatare che i loro concittadini preferivano abbandonare case ed averi in una fuga che li
avrebbe fatti cadere probabilmente nelle mani dei rivoltosi! Questa fuga sicuramente
infondeva negli attaccanti la sensazione che la sicurezza della capitale era davvero
effimera e che ormai solo i militari e i guerrieri difendevano il regno, accrescendo
negli insorti la baldanza e la tracotanza nell'imminente assedio.
107

Le truppe rimaste fedeli a Sandokan erano davvero poche: vi si contavano i duecento
uomini del contingente del vecchio Muluder, tornati incolumi nella capitale, i
centocinquanta guerrieri superstiti delle schiere di Agun, la manciata di daiacchi portati
indietro dallo stesso Sandokan dopo quella terribile battaglia, i circa seicento uomini
rimasti a guardia di Kin agli ordini di Selim e alcuni distaccamenti, sparsi per le
provincie, che erano riusciti a sfuggire all'avanzata nemica e che erano confluiti in citt:
in tutto circa mille e cento coraggiosi rajaputi, che avevano rifiutato l'oro e gli onori del
nemico, fedeli al sultano e desiderosi di morire piuttosto che di arrendersi. Erano ben
addestrati, ben armati, ben difesi in una citt fortificata, con tantissime vettovaglie a
loro disposizione, ben comandati da Sandokan, dai due fratelli, dal vecchio padre ai
quali non mancava certo l'ardore ed il coraggio, ma come potevano tener testa ad un
esercito che veniva stimato attorno ai cinquemila uomini? Quanto avrebbero potuto
resistere gli assediati? Era bens vero che la fuga in massa della popolazione accresceva
l'autonomia in viveri della guarnigione, che avrebbe cos potuto contare su tutte le
scorte accumulate per sopperire ai fabbisogni degli stessi abitanti, ma poi? Quale aiuto
si potevano aspettare i regnanti? Non certo dai sultanati limitrofi o dalle popolazioni
costiere. Sandokan e i suoi familiari si trovavano in uno stato psicologico davvero
frustrato: erano consapevoli che tutto il loro regno, tutte le vaste regioni, abitate da
centinaia di migliaia di bornesi, tutto il loro poderoso esercito che contava all'inizio
delle ostilit ottomila uomini, tutte le numerose citt ed i centinaia di villaggi, tutto ci
si era ridotto ormai a un pugno di difensori racchiusi in un recinto! Che delusione, che
tristezza, che senso di solitudine, di abbandono, di isolamento!
Pur tuttavia ogni membro della famiglia Muluder cercava di tenere alto il proprio
morale e quello delle truppe, sino all'ultimo servo. Si auspicavano che se avessero
tenuto duro, se avessero saputo contrastare gli attacchi imminenti, forse l'indisciplina
dei rivoltosi e la difficolt di tenere assieme tanti uomini di razze diverse avrebbero
indotto i capi nemici a desistere da un lungo assedio.
Ad ogni buon conto i lavori di fortificazione erano ormai terminati. Trascorsero alcuni
ulteriori giorni in una snervante attesa di notizie, senza che giungessero alla capitale le
vedette inviate da qualche tempo incontro al nemico. ,
Una mattina, mentre Sandokan si trovava sul fortilizio a sud della citt, si sent suonare lo
squillo lontano di una tromba. Era il segnale di allarme. All'orizzonte si vedeva un
gruppo di cavalieri che si dirigevano a gran galoppo verso la porta d'ingresso: era una
pattuglia di osservatori che tornava. Evidentemente vi erano gravi notizie da riferire.
Entrati che furono nella citt, il loro comandante corse da Sandokan e disse una sola
affannata parola:
- Vengono!
Sandokan chiese:
- Quanti pensi che siano?
- Non lo so mio sultano. Vi una schiera immensa, della quale si vede l'inizio ma non
la fine. La polvere smossa dalla loro avanzata si alza in cielo come un uragano. La terra
trema come se corressero delle torme di elefanti. Uccelli ed animali da pelo fuggono
come se fossero spaventati da un incendio.
Sandokan dette allora l'ordine di suonare le trombe dell'allarme generale onde far
rientrare in citt anche gli altri esploratori che erano dislocati attorno alla capitale in
altre direzioni.
Dopo alcune ore, che parvero per tutti un'eternit, le schiere nemiche apparvero alla
vista dei difensori. Poco a poco dilagarono nelle campagne attorno alla citt sino ad
estendere la loro presenza sui tre lati terrestri della capitale, rimanendo per ben lontani
e comunque molto fuori dalla portata di ogni arma da fuoco.
108

Si trattava, come tutti i difensori ormai sapevano, di gente di ogni razza dell'arcipelago
malese, raccolta per ogni dove in oriente. Tra quelle migliaia di attaccami, che
brulicavano nelle campagne come api attorno al miele, vi era un buon nerbo di daiacchi
bornesi, di quelle trib che per prime si erano ribellate al potere di Sandokan, ma
questi erano certamente una minoranza, anche se tali combattenti rappresentavano
sicuramente i pi solidi e coraggiosi uomini della raccogliticcia armata nemica. Ed
erano questi i guerrieri che Sandokan temeva di pi. Pure dalla parte del lago si
videro apparire i nemici a bordo di alcune barcacce, che affondarono le loro ancore al
largo, anch'esse fuori dalla portata di eventuali tiri di offesa. Sul far della sera i nostri
amici poterono agevolmente notare che nel campo avversario si montavano tende e si
costruivano capanne. Una cerchia di fal venne accesa ed arse per tutta la notte, che
trascorse comunque senza alcun atto di ostilit da ambedue le parti.
La mattina seguente alcuni uomini a cavallo mossero verso la porta principale della
citt. Portavano una bandiera bianca issata su di una lancia, che veniva agitata
forsennatamente forse per paura che i difensori non vedendola cominciassero a far
fuoco. Venne dato l'allarme e tutti si radunarono sugli spalti. Sandokan diede il
permesso ai parlamentari di avvicinarsi. Giunti che furono nei pressi della porta, questa
fu aperta e colui il quale sembrava essere il rappresentante di quel gruppo entr in citt,
dando per segni di gran timore. Sandokan, attorniato dai suoi familiari e dai vari
luogotenenti mosse incontro al nuovo venuto e gli ordin di parlare. L'inviato del
campo nemico, senza scendere da cavallo, con voce che voleva essere ferma disse:
- Vengo da parte del rappresentante della grande Inghilterra. Si chiama mister Hold e ha
ricevuto il mandato, per conto di quella potenza straniera, del sultano di Varauni e di
quello di Sarawack, a presentarti un piano di pace, ma alle seguenti condizioni: dovrai
deporre le armi e consegnarci tutti i tesori della corona . . . .
- Come osi presentarti a parlar di pace - lo interruppe irato Sandokan - dopo che avete
distrutto le mie terre e trucidato migliaia di abitanti? Con quale coraggio prospetti a me
delle condizioni? Ti dimentichi che sono il sultano del Sabah, il rajah del Kina-Balu, il
re Muluder? Come ardisci parlare di grande Inghilterra a me che non ho dato mai
fastidio a quella nazione? Ti vanti di essere inviato di Varauni? Ma sai che quello
spregevole individuo ha pi volte invaso il mio regno, saccheggiando i villaggi di
frontiera ed uccidendo la mia gente?
Con gli occhi infiammati dall'ira per le parole oltraggiose pronunziate verso di lui,
Sandokan scatt verso il cavallo del parlamentare, lo prese per le narici, stringendole
cos forte da far cadere in ginocchio la povera bestia. Immediatamente afferr l'uomo e
l o sollev di peso, come se fosse un leggero fardello, e lo scagli nella
polvere, facendolo ruzzolare pi volte. L'uomo spaventato da tanta forza,
dolorante per il capitombolo subito e terrorizzato dall'aspetto inferocito del rajah,
implor:
- Non vorrai far del male ad un ambasciatore? Non sai che la mia persona sacra?
- Ascolta bene, lurido impostore! - gli grid invece Sandokan con fare minaccioso Vai
da quell'assassino del tuo padrone e riferiscigli che se si arrende prima di sera,
sciogliendo il suo esercito di straccioni eviter di farlo decapitare dal boia di corte e gli
garantir un lasciapassare sino alla frontiera senza che nessuno gli torcia un capello. Ed
ora vattene in fretta prima che mi venga voglia di farti fustigare!
11parlamentare, ben lieto di cavarsela cos a buon mercato, risal a cavallo e si allontan
tutto tremante di paura, raggiungendo i suoi accompagnatori con i quali ripart alla volta
del campo nemico. I soldati reali richiusero con fragore la porta della citt e la serrarono
ben bene.
109

Sandokan intanto, seguito dai suoi familiari, era tornato alla reggia. Si mise quindi a
pensare circa la sfrontatezza delle richieste di Hold. Quello che maggiormente adirava il
prode eroe era la prosopopea e l'arroganza del nemico, il quale credeva potesse bastare
lo spiegamento del proprio esercito per incutere terrore nel sultano ed indurlo ad
arrendersi subito. Come poteva pensare di strappare la corona di testa al rajah senza uno
scontro diretto dei due eserciti? Questa eccessiva sicurezza nella vittoria mandava su
tutte le furie Sandokan, che continu a pensare a quel colloquio per tutta la giornata.
Anche la notte che segu trascorse senza nessun altro allarme.
Ma alle prime luci dell'alba le sentinelle avvertirono uno strano movimento nel campo
avverso. Si udivano squilli di ramsinga, prodotti con una specie di tromba di rame
rulli di tamburi, un insolito vociare ed un gran fermento di uomini. Era chiaro che si
stava preparando un attacco generale. Fu dato l'allarme e tutti i soldati si precipitarono
sugli spalti.
Anche Sandokan, subito accorso, not che le bande dei nemici si stavano radunando
verso il lato sud della citt. Agun, che si trovava dietro a lui, disse:
- Il capo degli insorti non uno sciocco, poich tra i tre lati a disposizione preferisce
attaccare da quello, in modo che noi avremo il sole agli occhi.
Vennero allora fatti confluire da quella parte circa mille armigeri in pieno assetto
di battaglia, mentre le rimanenti truppe erano state lasciate a guardia degli altri lati
della citt. Ogni uomo era risoluto a vendere cara la propria pelle, sapendo bene che
quella che si accingevano a combattere sarebbe stata una lotta senza tregua,
poich, se il nemico si fosse impadronito della capitale, nessuno sarebbe stato
risparmiato.
I rivoltosi, frattanto, incoraggiandosi con urla selvagge e con un frastuono tremendo,
prodotto da strumenti a fiato e a percussione, si stavano avvicinando a Kin. Era un vero
formicolio di persone, migliaia e migliaia di uomini che avanzavano in maniera
compatta. Erano armati chi di fucili, chi di cerbottane, chi di sole armi da taglio o di
lance. Sembravano persone veramente eterogenee tra loro; parlavano lingue e
dialetti differenti, e forse nemmeno capivano perfettamente gli ordini impartiti dai
comandanti supremi. Anche i loro scopi e i fini che li sospingevano a quella guerra
dovevano essere dissimili tra loro: i daiacchi, per esempio, venivano sospinti
dal desiderio di indipendenza, mentre altri intravedevano solo il miraggio di
guadagnare oro e denaro; taluni erano invece accecati dall'odio contro i Muluder,
come lo sarebbero stati contro ogni altro sultano o rajah, giacch ritenevano la
famiglia regnante fonte di oppressione, mentre tal'altri si muovevano innanzi per il solo
gusto di uccidere, di decapitare, di fare violenza contro il prossimo, spadroneggiando
poi per la citt, tutto bruciando e tutto devastando.
I difensori della capitale, nonostante l'enorme inferiorit numerica, non
dimostravano paura, in quanto si sentivano ben protetti dietro i loro ripari e
ritenevano la palizzata e le opere a difesa, realizzate le settimane precedenti,
molto robuste ed insormontabili.
Ben presto i rivoltosi, continuando ad avvicinarsi molto lentamente, pur non essendo
ancora a tiro d'arma da fuoco, avevano iniziato a far tuonare i loro fucili, facendo
per solo un gran baccano senza alcun danno.
Sandokan non aveva ancora dato il segnale di sparare: non voleva sprecare inutilmente
le munizioni, che potevano un giorno scarseggiare. Aveva provveduto invece a far
collocare su quella parte di palizzata tutti i cannoncini in suo possesso; tali
bocche da fuoco, essendo abbastanza leggere, erano facilmente e velocemente
trasportabili; ogni bocca da fuoco venne caricata a mitraglia, cio con pezzetti di
piombo e con frammenti di vetro.
110
Pag. 111 - ..inizi cos un furioso combattimento..
111

Quando il sultano ritenne che le orde nemiche fossero alla portata dei piccoli pezzi
ordin il fuoco. Inizi cos un furioso bombardamento: dalle gole dei piccoli cannoncini
di bronzo uscirono fuoco e fiamme miste a denso fumo, mentre le loro voci rombanti
accompagnarono le scariche di mitraglia che cominciarono a cadere sulle prime file
nemiche, storpiando e ferendo numerosi nemici. Ma nonostante un iniziale scompiglio
tra i selvaggi, alcuni dei quali non avevano mai visto o sentito il rombo dei cannoni,
l'attacco continu impetuoso.
Allora Sandokan , rivolto ai suoi uomini, con una voce che copriva il tuonare
dell'artiglieria, grid:
- Non vi trattengo pi, miei prodi; spazzatemi questi immondi banditi che hanno gi
ucciso uomini e donne della nostra razza! Fuoco a volont!
I rajaputi, che non vedevano l'ora di scatenarsi, fecero fuoco tutti contemporaneamente.
I fucili fecero udire il loro secco crepitio; tutta la cinta avvamp: le mille carabine
iniziarono una musica infernale, di morte sicura per le orde avverse. Questo fuoco di
sbarramento provoc una vera decimazione tra gli attaccanti: decine e decine di uomini
iniziarono a cadere a grappoli, come se un'enorme falce tagliasse delle spighe mature. I
rivoluzionari presi d'infilata dai tiri sempre pi precisi da parte di quei mille fucili e
dalle scariche di mitraglia, che gli artiglieri continuavano a sparare, non riuscivano ad
avvicinarsi vivi al primo sbarramento costituito dai terrapieni. Veri mucchi di
cadaveri si accumularono in breve sulla piana, mentre chi sopravveniva doveva
rallentare il passo per oltrepassare l'ostacolo costituito dai corpi dei propri
commilitoni. I soldati reali, continuavano a bruciare cartucce senza economia,
provocando una vera cortina di fumo e fiamme che avvolgeva la citt come una bocca
eruttiva di un vulcano: prendevano la mira con freddezza e precisione, come se stessero
a sparare durante una esercitazione. Ricaricavano e premevano di nuovo il grilletto con
fredda determinazione, esultando ad ogni nemico colpito.
Le schiere nemiche parvero ad un certo punto vacillare, prese d'infilata da quel fuoco
infallibile, mentre un certo panico cominciava a serpeggiare, per tale micidiale
carneficina. Ma i vuoti venivano rapidamente colmati dalle centinaia di assalitori che
sopraggiungevano senza posa, mentre le grida e gli incitamenti dei loro capi
sospingevano tutti ad andare innanzi. Iniziarono ad un certo punto a suonare le
trombe: immediatamente le migliaia di assalitori cominciarono a correre in avanti,
con uno scatto velocissimo, verso le prime trincee fatte erigere da Agun nei giorni
precedenti. I selvaggi, accortisi dell'ostacolo cercarono di scavalcarlo, facendo dei balzi
in avanti. Nessuno riusciva per a saltare quei quattro metri di vuoto e cadeva quindi
dentro le trincee, trafiggendosi sui pali aguzzi piantati sul fondo. Chi tra i pi agili
riusciva a scavalcare il fossato si ritrovava a dover superare la piccola collina, ricavata
dallo sterro della fossa, piena di spine e rovi, che dilaniavano le loro carni nude.
Mentre erano tutti presi a superare questo secondo ostacolo venivano maggiormente
presi di mira dai fucilieri reali, i quali li abbattevano pi agevolmente in quanto i
rivoltosi si erano praticamente arrestati su quel baluardo.
In breve il fossato si riemp di morti o feriti, in modo tale che quasi non rappresentava
pi un ostacolo: i pali erano completamente pieni di corpi trafitti e chi sopraggiungeva
poteva oltrepassare quasi agevolmente lo scavo calpestando quei cadaveri straziati che
fungevano quasi da tappeto.
Fu cos che alcuni selvaggi, superato l'ostacolo primario, poterono cominciare a menare
tremendi colpi di parang sulla seconda barriera, sciabolando con rabbia furibonda rovi,
spine, e paletti acuminati, onde aprire dei passaggi sufficienti per spingersi innanzi.
Sandokan e i suoi luogotenenti, vedendo che il nemico, anche a prezzo di perdite
enormi, stava comunque avanzando, gridarono ai rajaputi:
- Dirigete il tiro solo sulle trincee! Spezziamo loro le prime file!
112

Tutto il fuoco di difesa fu quindi diretto in quella direzione. La strage era paurosa:
centinaia e centinaia di selvaggi stavano cadendo a terra feriti dai rovi, mitragliati dai
cannoncini, uccisi dalle pallottole dei fucilieri.
Nonostante ci, come se gli assalitori fossero sotto l'effetto di potenti droghe che li
facessero sentire invulnerabili, riuscirono ad arrivare, anche se con perdite ormai non
pi colmabili, al terzo sbarramento escogitato dal principe Agun: la barriera delle frecce
piantate a terra ed intinte col succo di upas. Infatti, quando i selvaggi cominciarono a
calpestare tali aculei, le loro carni provarono immediatamente l'effetto micidiale di quel
potente veleno. I primi che avevano iniziato a percorrere quella fascia di terreno, furono
presi subitaneamente dagli spasmi del dolore ed iniziarono a cadere a terra,
contorcendosi ed ululando come fiere colpite a morte. Agitavano pazzamente gambe e
braccia, invocando dai compagni un aiuto che mai sarebbe arrivato, mentre le pallottole
dei rajaputi continuavano implacabili ad accarezzare i loro corpi.
Le orde degli assalitori che sopraggiungevano, capirono subito che quella caduta
generale dei loro compagni era da attribuirsi agli effetti di qualche veleno e
cominciarono ad indugiare non sapendo pi se andare ancora innanzi o no, mentre le
scariche di fucileria dei difensori continuavano implacabili. Anche lo sprono dei loro
capi era venuto a mancare poich molti di essi erano caduti a terra morti o feriti. Il
panico si produsse allora tra tutti, ben comprendendo che non potevano oltrepassare
quel campo avvelenato, non avendo ai piedi nessuna protezione. Siccome indugiare,
anche pochi secondi, sotto l'incessante fucileria del sultano, significava la morte sicura,
in men che non si dica i selvaggi iniziarono ad indietreggiare. L'esempio di alcuni si
diffuse a macchia d'olio verso chi seguiva, e tra clamori ed urla, che nulla avevano
d'umano, gli attaccanti cominciarono a ripiegare.
In breve la ritirata si trasform in una fuga precipitosa: chi non era lesto a scappare
veniva travolto da chi era dietro, rimanendo cos schiacciato da cento e cento piedi. Il
fuoco dei difensori, lungi dallo smettere, perseguit le bande avverse, sinch l'ultimo
uomo in fuga usc dal raggio di azione delle armi da fuoco reali.
La battaglia era per il momento terminata ed un immenso grido di gioia e di trionfo si
alz, come liberatorio, tra i soldati di Sandokan.
Le truppe del rajah avevano resistito meravigliosamente bene al primo attacco
avversario, con poche perdite, dovute pi che altro alla temerariet dei combattenti che
non sempre si celavano prudentemente dietro agli appositi ripari. Furono contati venti
morti ed una trentina di feriti.
Le perdite degli attaccanti, in quell'intera mattinata di ininterrotto combattimento, erano
invece ingentissime poich sul terreno si potevano contare un migliaio di caduti, tra
morti e feriti. Questi ultimi cercavano ora di trascinarsi verso il proprio accampamento
ben sapendo cosa ora sarebbe accaduto. Infatti i rajaputi, disobbedendo agli ordini,
peraltro non troppo convinti dei loro comandanti, aprirono la porta della citt e si misero
ad irrompere per la piana, volendo completare la strage nemica. Tra le loro vene scorreva
ancora il sangue selvaggio dei feroci abitatori del Borneo, e, spinti quindi da un impeto
inarrestabile, presero a finire tutti i feriti che si trovavano al di qua del fossato,
decapitandoli con micidiali fendenti di kampillang o infilzandoli nelle lunghe lance.
Finito questo scempio si dettero a sparare contro i sopravvissuti che si trovavano al di l
del fossato e che cercavano di fuggire a quella furia e a quell'accanimento. Sandokan,
che deprecava quello sterminio, non volle dar fondo alla sua autorit nell'impedire
tale carneficina, giacch sapeva quanto gli animi dei suoi soldati fossero troppo esasperati.
Molti di essi avevano perso l'intera famiglia ed ogni bene, distrutto da quegli implacabili
selvaggi.
In meno di un'ora nessun nemico che si trovava nella valle era pi in vita: quell'orgia di
vendetta era conclusa.
113

Sandokan ritenne opportuno convocare subito una riunione tra i vari luogotenenti.
- Dite a tutti i miei soldati, - inizi il giovane rajah - che sono molto contento del loro
valore, della disciplina e del tiro preciso delle loro armi da fuoco. Credo che per qualche
giorno il nemico star rintanato a leccarsi le proprie ferite. Ma non crediate che siano
cos stupidi a farsi continuare a massacrare come oggi. Sicuramente cambieranno
metodo di attacco. Per cui non facciamoci prendere da facili entusiasmi per questa
vittoria. La guerra solo all'inizio. E non seguitiamo ad esporci, per sprezzo del
pericolo, ai tiri nemici: non voglio che ci siano inutili sacrifici. Provvediamo a dare
sepoltura ai nostri morti, mentre dovremo decidere di ripristinare le opere di difesa
distrutte nell'attacco. In particolare dovremmo ricostruire il fossato, gli sbarramenti e la
zona con le frecce avvelenate.
Dopo aver discusso di altre cose secondarie, i sottocapi dettero la loro piena
disponibilit: quindi la riunione si sciolse e finalmente tutti godettero del meritato
riposo notturno.
Il giorno successivo, come molti altri che seguirono, ci si dette da fare per ripristinare le
linee difensive distrutte. Sotto la diretta responsabilit di Agun, che si dimostrava
veramente all'altezza di un generale del genio, si provvide innanzi tutto a dare sepoltura
ai propri morti, in un piccolo campo fuori le mura della citt. In quello stesso luogo, ma
in fosse davvero grandi vennero interrate le centinaia di nemici uccisi in combattimento.
Fu questo un lavoro davvero massacrante, che dovette eseguirsi per forza, poich nelle
ventiquattro ore che seguirono quei corpi gi emanavano un puzzo insopportabile, a
causa del gran caldo e dell'umidit di tali regioni. Fu davvero faticoso trasportare su dei
graticci, essendo quel terreno impraticabile ai carri, quell'enorme numero di cadaveri.
Anche lo scavo e il rinterro delle fosse richiese uno sforzo eccezionale, al quale
dovettero partecipare tutti i soldati disponibili.
Compiuto questo necessario lavoro, onde evitare lo scoppio di qualche pestilenza, si
dette mano alle opere di ripristino delle linee difensive: vennero sistemate di nuovo le
trincee, i terrapieni, i pali aguzzi; furono allestiti nuovi sbarramenti, con altri rovi, spine,
aculei avvelenati.
Non contento di ci, Agun, da persona saggia e previdente convinse Sandokan a
permettergli di preparare una seconda linee difensiva, questa volta all'interno della citt,
in modo che, se i nemici avessero varcato la palizzata principale, i superstiti si potevano
rifugiare in un pi piccolo fortilizio interno, che corrispondeva, all'incirca, allo spazio
ora occupato dalla reggia e dal suo parco. Infatti il palazzo del sultano era costeggiato
da vasti terreni, accuratamente coltivati, protetti da un palancato di cinta in legno, alto
quattro metri, dotato di torrette ed in alcuni tratti di camminamenti e casematte, sui quali
potevano trovar riparo gli estremi difensori in caso di ritirata.
Agun quindi dispose di far trasferire una buona quantit di armamenti, soprattutto
munizioni e scorte di viveri, all'interno del palazzo reale, dove vi erano enormi
magazzini, che in parte risultavano gi colmi di ogni grazia di Dio.
Agun, non pago di ci, domand il permesso al sultano suo fratello di far costruire un
cunicolo sotterraneo che potesse mettere in comunicazione la reggia con le rive del lago.
Questa specie di passaggio segreto avrebbe permesso ai difensori, se assediati all'interno
del palazzo reale, e solo se ridotti allo stremo, di scappare arrivando ad un boschetto in
riva al lago, dove tale cunicolo sarebbe dovuto terminare. In quel luogo si sarebbero
nascoste delle scialuppe, che avrebbero permesso ai fuggitivi di allontanarsi sulla via
d'acqua.
Sandokan, pur non condividendo questo progetto di Agun, che paventava la fuga con il
conseguente abbandono della reggia, spinto solo dal desiderio di proteggere la madre e
le sorelle, decise di approvare l'idea del fratello, che venne subito posta in esecuzione
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dai soldati, che ben si adattavano a lavorare, anche per distrarsi dall'inattivit cui
erano condannati, vista la misteriosa inerzia del nemico.
Infatti la tregua si protraeva da una settimana, senza che nessun incidente intervenisse a
modificare quella calma apparente. Ma anche nel campo nemico non si riposava: vi era
invece un andirivieni di uomini, si sentivano rumori sordi, si vedevano tagliare alberi e
cespugli nelle immediate vicinanze dell'accampamento. Se i nostri amici avessero
potuto osservare pi da vicino cosa succedeva avrebbero visto che tutti quei lavori erano
volti alla costruzione di decine e centinaia di ripari, alcuni atti a proteggere un sol uomo,
altri pi grandi che potevano garantire sicurezza ad un gruppo di attaccanti. Si stavano
realizzando, con l'aiuto di primitive seghe, con asce ed accette, una serie di lunghi
tavolacci, con i quali si contava di superare indenni sia le fosse, sia i cespugli spinosi sia
anche i terreni avvelenati.
Tali lavori, per i difensori e per gli attaccanti, si protrassero per molti giorni ancora. Il
nemico non aveva fretta alcuna, anzi il tempo giocava in suo favore.
Questa forzosa inattivit bellica permise cos alle truppe di Sandokan di procedere
nei lavori per il completamento della recinzione del piccolo fortilizio che avrebbe
difeso la reggia e del passaggio sotterraneo. Tutti, meno le sentinelle, si
trasformarono in carpentieri, picconatori e scavatori.
Per quanto riguarda il cunicolo esso venne iniziato partendo dalle segrete che si
trovavano nel sottosuolo della reggia. Contemporaneamente, per abbreviare della met
il tempo di scavo, si principi anche dal punto dove il sotterraneo sarebbe dovuto
finire, e cio in prossimit di un boschetto sulle rive del lago. Il terreno non presentava
grandi difficolt ad essere intaccato dagli arnesi a disposizione dei lavoratori, in quanto,
sotto il parco che divideva la reggia dalla riva, era molto friabile, almeno sino ad una
profondit di quattro metri. Al di sotto di questa quota vi era della dura roccia, ma il
progetto di Agun prevedeva di scavare sino a raggiungere lo strato di pietra e poi
continuare su di essa in linea orizzontale.
Nel giro di sette giorni i duecento metri che dividevano il palazzo reale dal boschetto
erano stati scavati. Si stavano approntando le ultime rifiniture a questo lavoro, come ad
altri, quando le sentinelle lanciarono l'allarme: il nemico aveva rotto la tregua e stava
attaccando.
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CAPITOLO UNDICESIMO

STRENUA DIFESA

Tutti si precipitarono quindi sulle palizzate impugnando le armi. In quel momento il
nemico si avanzava all'attacco. Questa volta si muoveva lentamente giacch i ribelli
erano gravati dal peso dei ripari terminati di costruire la sera innanzi. Il lato della citt
verso la quale si dirigeva quella moltitudine di persone era sempre la parte a sud: forse i
ribelli credevano che le difese parzialmente distrutte nel precedente attacco non fossero
state rinnovate.
Quando gli attaccanti arrivarono a portata d'arma da fuoco si fermarono, distendendosi
a terra, e si ripararono dietro o sotto le loro protezioni: scudi di cuoio, utili per
difendersi dalle frecce ma non dalle fucilate, fastelli di legna, palancati e tavole. Chi non
trasportava nulla cominci a sparare, magari appostato dietro qualche roccia o qualche
altro riparo di fortuna.
Sandokan ordin subito il fuoco ed i due eserciti si scambiarono a lungo colpi su colpi.
Solo i piccoli cannoncini avevano per la meglio, poich sia gli assediati sia gli
attaccanti erano abbastanza protetti.
Al sultano fu subito chiaro che i ribelli questa volta avevano fatto avanzare solo chi
era dotato di bocche da fuoco, evitando di esporre sia chi non aveva di che sparare, sia
chi non era dotato di protezione. Era evidente che i rivoltosi avevano cambiato strategia:
preferivano ora un fuoco di logoramento, forse anche per far consumare inutilmente le
munizioni del sultano. Poteva anche darsi che i selvaggi volessero fiaccare ed uccidere
un gran numero di difensori prima di lanciare un attacco generale pi massiccio, con
tutti gli uomini ancora a loro disposizione.
Tale disegno, ordito sicuramente dallo stesso Hold, fu subito compreso dal rajah, che
dette ordine di sospendere il fuoco delle carabine e di mantenere invece quello dei
cannoncini, gli unici che potevano avere la meglio su quegli strani ripari: Sandokan
ordin addirittura di far scendere dai camminamenti tutti i soldati, esclusi quelli che
servivano i pezzi di bronzo: era inutile esporre i propri uomini ad un rischio evitabile.
Agun, che si trovava accanto al sultano, celato dietro un riparo di legno, disse:
- Come ben vedi, Sandokan, questi dannati selvaggi tirano come i coscritti nel primo
giorno d'arruolamento, ma hai fatto bene a dare quest'ordine, in quanto, magari per
sbaglio, qualche palla pu anche arrivare a segno. D'altra parte se il nemico non avanza
bastano i cannoncini a tenere a bada i ribelli.
Sandokan rispose:
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- Quando capiranno che il loro fuoco perfettamente inutile, si decideranno a sferrare
un altro attacco, e se . . . .
La sua frase venne interrotta da alcuni spari che provenivano dal lago.
Contemporaneamente, alcuni cavalieri reali, lanciati al galoppo, giunsero sotto la ridotta
occupata dal rajah, gridando.
- Ci attaccano dal lato del fiume! Urgono rinforzi!
Sandokan diede severi ordini ad alcuni luogotenenti e, pochi minuti dopo, part lui
stesso con Agun e con una cinquantina di uomini alla volta del porticciolo che
distava solo poche centinaia di metri dal luogo ove si trovavano.
Nel giro di poco tempo arrivarono a destinazione e si appostarono dietro ai tronchi del
piccolo boschetto, in modo da poter osservare senza esser visti. Da lontano, sulle acque
tranquille ed un poco palustri, si vedevano una cinquantina di natanti nemici, tra barche,
canoe e zattere, cariche di selvaggi, che si dirigevano, arrancando furiosamente, verso il
lato della citt non protetto dalle palizzate, costituito appunto dalla riva e dal boschetto,
davanti al quale vi erano per le barche dei Muluder.
I soldati del sultano, che si trovavano a bordo di quella decina di imbarcazioni a guardia
del porto, si erano gi messi in allarme, disponendosi sdraiati dietro ai fianchi dei propri
natanti, pronti a far fuoco, dopo aver tolto gli ormeggi onde esser pi preparati ad
eventuali manovre. Sandokan, essendo le barche a portata di voce, segnal al loro
comandante di tenersi pronto a respingere qualunque attacco e di operare come gi
previsto.
Non appena i nemici, che si erano ulteriormente avvicinati, furono alla portata giusta, il
luogotenente di Sandokan, imbarcato sul galleggiante che fungeva da ammiraglia,
comand il fuoco.
II combattimento cominci subito da ambo le parti con molto accanimento. Frattanto
Sandokan aveva fatto disporre distesi a terra i rajaputi che aveva seco, protetti dagli
scogli e dagli alberi, ma per ora non aveva dato loro nessun altro ordine poich l'attacco
si svolgeva ben lontano e in ogni caso fuori della portata delle loro armi.
Frattanto gli altri cento rajaputi, imbarcati in ragione di dieci su ogni natante, sparavano
all'impazzata contro i sopravvenuti, che venivano spesso colpiti da quei tiri infallibili.
Ci nonostante la situazione dei difensori si stava facendo di momento in momento pi
critica. Infatti le circa cinquanta barche dei ribelli si stavano avvicinando rapidamente,
accerchiando completamente la postazione reale e tra breve sarebbero arrivati
all'abbordaggio, cosa questa da evitare, poich in un corpo a corpo i nostri eroi
avrebbero avuto sicuramente la peggio, in quanto inferiori nettamente di numero. Allora,
seguendo gli ordini ricevuti precedentemente dal sultano, il comandante di quei marinai
diede disposizione di iniziare a rovesciare in acqua i barili che avevano a bordo. Ogni
botte aveva una capacit di circa cinquanta litri ed il liquido oleoso, scuro e
maleodorante che contenevano cominci a disperdersi in acqua. Il petrolio, all'epoca
ancora non utilizzato, era stato scoperto da lunghi anni in alcune pianure ad est della
capitale. Fuoriusciva da alcune zolle di terra e formava un piccolo laghetto, evitato
accuratamente da uomini ed animali. Un giorno qualcuno scopr che imbevendo uno
straccio con quell'elemento ed avvicinandolo ad una fiamma si accendeva. Non
emanava molta luce, ed al contempo produceva invece uno sgradevole fumo, motivo per
il quale non era stato mai utilizzato come forma di illuminazione. Era stata di Agun l'idea
di racchiudere una grossa scorta di quel prodotto in otri e botti, onde, all'occorrenza,
poter essere usato come liquido incendiario. Era ora giunto il momento di servirsene, e
gli uomini del sultano eseguirono a puntino quanto era stato loro detto da Agun.
Rovesciarono quindi tutto il contenuto dei recipienti in acqua. Molto lentamente il
petrolio si diffuse nel lago, allargando sempre di pi la propria superficie sul pelo
dell'acqua lacustre. La corrente era quasi impercettibile e quindi quel prodotto, pi
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leggero dell'acqua, non correva il rischio di essere trascinato a valle nel fiume, estuario
del lago Kin.
Quando i soldati ebbero terminato di vuotare i fusti in acqua, i fucilieri abbandonarono
le armi ed impugnarono i remi, dirigendosi a tutta forza verso la riva, allontanandosi da
quella pericolosa macchia opaca.
Non appena i natanti furono fuori della zona in cui il petrolio si era allargato sul lago, in
quella vi entrarono le barche avversarie, ignare del grave pericolo rappresentato da quel
materiale infiammabile.
Ad un cenno del comandante da ognuna delle dieci imbarcazioni di Sandokan si
levarono due arcieri: avevano teso degli archi incoccando delle frecce, la cui punta
cosparsa di resina, era stata accesa. Tosto i dardi saettarono in aria, descrivendo,
velocissimi, una lieve parabola. Ricaddero quindi sul lago nel mezzo della macchia
oleosa, che d'improvviso s'infiamm in punti diversi. Le fiamme istantaneamente si
propagarono su tutta la superficie del liquido gettato in acqua ed altissime avvolsero le
canoe avversarie.
Intensi clamori si levarono tra i selvaggi, che immediatamente cominciarono ad urlare,
prima di spavento e subito dopo di dolore perch avvolti nella morsa delle vampe di
fuoco. Tutto bruciava nel raggio di oltre cento metri, a semicerchio attorno al
piccolo porto. Quasi tutte le imbarcazioni nemiche erano state avvolte dalle fiamme.
Quelle che per loro fortuna ne erano fuori fecero una rapida inversione di marcia,
sottraendosi a quell'inferno di acqua mista a fuoco.
Ora tutto sembrava una bolgia infernale. Fiamme, gemiti, urla disumane, uomini che
credendo di salvarsi si gettavano in acqua, piroghe che bruciavano come zolfanelli,
mentre attorno si diffondeva una terribile puzza di carne bruciata ed un fumo nero,
appiccicoso, denso, rendeva la respirazione sempre pi difficile.
Nel breve volgere di pochi minuti la tragedia era consumata. Poco dopo le fiamme si
affievolirono e si spensero, lasciando sulla superficie del lago centinaia di corpi bruciati
ed anneriti.
Dei galleggianti avversari solo sei o sette si erano potuti sottrarre a quella funesta
combustione. Considerando che in ognuno dei circa quaranta natanti distrutti vi erano in
media dieci uomini, le forze avversarie avevano perso in pochi minuti oltre quattrocento
uomini.
I superstiti, dopo essersi accertati che nessun loro compagno era scampato a
quell'immenso braciere, arrancarono con forza sui remi e scomparvero quasi subito alla
vista dei difensori.
- Una vera strage - comment Sandokan, che sempre si rattristava a vedere enormi
masse di uomini, anche se sudditi o traditori, perire cos miseramente.
Tutti i suoi rajaputi erano l fermi, quasi impietriti di fronte ai risultati di quella loro
azione bellica. Erano stupefatti di quanto potesse essere devastante la forza di quel
liquido che sperimentavano per la prima volta ed al contempo provavano un vero senso
di ammirazione per Agun, che aveva partorito quella brillante idea. A dire il vero i
soldati di Sandokan imbarcati sulle canoe volevano inseguire i fuggitivi per farne una
strage, ma Sandokan li trattenne con autorit: questa volta la prudenza consigliava di
avere sottomano tutti gli uomini disponibili in caso che l'attacco sul fronte terrestre
prendesse dimensioni pi allarmanti. Il rajah dette nuove disposizione al comandante
della sua piccola flottiglia, che tosto riprese il largo sul lago, raggiungendo la posizione
avuta prima del combattimento. Quando Sandokan vide che tutto era tornato tranquillo
si decise ad allontanarsi con i suoi cinquanta cavalieri, tornando sugli spalti, dove era
ancora in corso il conflitto a fuoco.
Arrivati che furono, si accorsero che gli attaccanti, vista l'inutilit dei loro
sforzi, avevano deciso di ripiegare. Forse i capi degli insorti avevano
architettato quel
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diversivo per poter attaccare dal lago, ed apprendendo della relativa strage, avevano
deciso di far desistere l'attacco terrestre.
A ripiegamento avvenuto i difensori contarono sul campo una cinquantina di selvaggi
falciati dalle palle e dalle schegge a mitraglia sparate dai cannoncini, che avevano
compiuto veri miracoli di precisione.
Quella sera Sandokan decise di festeggiare quella duplice vittoria con tutti i membri
della famiglia reale, radunati a cena nella grande sala da pranzo della reggia.
Il salone, adibito ai ricevimenti e ai rinfreschi, era molto grande e lussuosameme
arredato, anche se il vecchio rajah, che l'aveva fatto costruire da valenti architetti e
bravissimi artigiani, era stato dell'idea di evitare ogni sfarzo eccessivo, caratteristico
invece di ogni corte orientale.
Dai vetri delle finestre, fatti di onice, filtrava una luce rosa pallida, in quanto il sole, che
stava per tramontare, inondava la reggia dei suoi raggi rossastri.
Sandokan apr una di queste finestre e si affacci in una vasta veranda che cingeva il
salone come in un abbraccio. La veduta era stupenda in quanto si ammirava la
lussureggiante vegetazione che abbelliva i giardini reali, ricchi di palme e fiori, di
cespugli profumati, di felci, di alberi da frutto.
Dal soffitto dell'enorme sala invece pendevano alcune ghirlande di fiori profumatissimi,
mentre delle multicolori lanterne mescolavano il loro chiarore alla luce del giorno che
scemava sempre di pi. Su delle mensole vi erano alcune piccole bacinelle realizzate
con gusci di noce di cocco tagliate a met, dentro alle quali bruciavano dei candelotti
che emettevano un piacevole odore. Le pareti erano arricchite da preziosi fregi di legno
scuro, inframmezzati da diverse sculture rappresentanti scene di caccia o lotte tra dei e
demoni della religione locale. Al centro della sala vi erano dei bassi divani di velluto a
grossi fiori, mentre in un lato troneggiava un gran tavolo di marmo rosa con bellissime
striature pi scure, circondato da una decina di monumentali sedie con lo schienale
altissimo fatto anch'esso di marmo, sicuramente preferibile, a quelle latitudini, a
qualunque spalliera tradizionale. Alcuni servi stavano apparecchiando la tavola con una
tovaglia di seta ricamata in oro, sulla quale facevano poi splendida mostra numerosi
pezzi di argenteria e porcellana, assieme a dei segnaposto di pietre preziose, sotto i quali
erano stati messi i rispettivi tovaglioli.
Su altri piccoli tavoli addossati alle pareti alcuni cristalli, racchiusi in cornici lignee,
diverse tappezzerie di seta colorata, con disegni di animali o di vegetali e due
ventilatori, agitati da un meccanismo inventato da Agun, che rendevano pi
sopportabile la temperatura ancora molto alta all'interno della sala, completavano
l'arredo. Quando Sandokan fin di passeggiare sul terrazzo, abbracciato alle due sorelle,
rientr nel salone, e dette un piccolo colpo con un martelletto di legno ad una lastra di
bronzo appesa ad un telaio d'oro massiccio: quello era il segnale che dava il via alla
cena.
Mentre tutti si sedevano alcune ragazze, dai neri capelli intrecciati con fiori, con
braccialetti e collanine che diffondevano un delizioso tintinnio al loro muoversi,
entrarono portando grossi vassoi contenenti le varie portate del pasto serale. I cuochi
cinesi, al servizio del rajah, avevano, come il solito, lavorato molto sapientemente,
secondo i gusti dei loro sovrani.
Come antipasto furono serviti dei pasticcini di zucchero, cavallette fritte, frutta secca ed
ostriche. Quando tutti i commensali ne ebbero gradito fu la volta di alcuni piatti
contenenti uova di pavoncella, di piccioni, e di anatre, ricoperte da caviale e zenzero.
Contorni e pietanze erano bellissimi a vedersi, ancor prima di essere gustati, in quanto si
presentavano all'occhio in maniera accattivante poich guarniti di erbe verdi e rosse,
con sughetti e salse arancioni, marroni e gialle.
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Poi i cuochi fecero servire fricassea di rane di lago, occhi di bufalo in salsa zuccherata,
code di gambero di fiume al sugo, nidi di rondini salagane con uova sode, germogli di
bamb, tuberi cotti sotto la cenere, ravioli di carne e mandorle con contorno di alghe
fritte.
Tutti mangiarono con grande appetito, messi di buon umore sia dagli esiti favorevoli dei
due combattimenti, sia da quella grazia di Dio che si era reperibile solo in un banchetto
reale.
Quando ognuno fu sazio di quelle portate, le giovani e belle ancelle avvicinarono alla
tavola dei cesti con frutta fresca: ananas, manghi saporosi, papaye, noci di cocco ed
arance cinesi.
Tutta la cena era stata innaffiata con vino novello, birra e bevande colorate molto
dissetanti con l'aggiunta di sidro di mele.
La conversazione fu molto animata in quanto ognuno raccontava agli altri le novit
della giornata: anche le donne erano state utili alla causa comune, poich avevano
curato i feriti del combattimento iniziale ed avevano immagazzinato nelle cantine una
partita di pesci pescati ed affumicati da alcuni pescatori sul lago.
Finalmente venne il momento di alzarsi da tavola, non perch le vivande fossero
terminate, ma perch i conviviali erano talmente sazi da rifiutare qualunque altro cibo.
Quindi tutti si levarono in piedi felicitandosi con i cuochi ivi sopraggiunti per il
raffinato e fin troppo abbondante pasto.
Sandokan, dopo averli elogiati, gli fece un bonario rimprovero:
- Se non ci uccideranno le palle nemiche, moriremo a tavola per il troppo cibo
ingurgitato.
Un cuoco, con un lunghissimo codino nero, e il viso giallo limone, sprofondandosi in un
inchino per i complimenti ricevuti, rispose con una massima cinese:
- Il cibo serve non solo a riempire lo stomaco ma soprattutto a rallegrare l'animo,
cacciando le preoccupazioni, mio signore e padrone.
La famiglia reale entr allora in un saloncino, attiguo alla stanza da pranzo, che aveva
tutte le pareti ricoperte di ogni tipo di armi da taglio: ve n'erano appese di bornesi,
indiane, malesi e cinesi, tutte diverse tra loro per foggia, lunghezza, valore e peso. Una
vera esposizione che avrebbe fatto la gioia di qualunque collezionista ed estimatore di
armi: sciabole arabe, tarwar indiani, parang malesi, kampillang bornesi, parang-ilang
della cocincina. Avevano tutte il manico arricchito da ogni tipo di gemme preziose, con
lame d'acciaio e affilatissimo, con intagli e cesellature per ogni dove. Ognuno si sedette
su dei comodi divanetti, molto bassi ma forniti di morbidi cuscini colorati.
Sandokan si inform da un servo se anche i soldati di guardia avessero cenato: aveva
dato disposizioni ai maggiordomi di distribuire a tutte le truppe abbondanti libagioni,
onde contribuire con un buon pasto a sollevare maggiormente il morale delle truppe,
come aveva ben detto il cuoco cinese.
La conversazione fu ovviamente incentrata sulla odierna vittoria. Agun, sempre molto
contento quando si disquisiva su argomenti bellici, disse:
- Se continua di questo passo distruggeremo le armate avversarie in poco tempo.
Calcolo che nei tre combattimenti il nemico abbia perso non meno di millecinquecento
uomini, mentre nelle nostre armate abbiamo avuto delle perdite davvero trascurabili.
- Purtroppo anche un solo uomo perso, tra le nostre truppe, non mai trascurabile
sentenzi l'anziano genitore, sempre pi addolorato per questa abominevole guerra.
- Potremmo approfittare della loro disfatta - entr a dire Selim , sempre pronto ad
intervenire quando si trattava di idee coraggiose, - per uscire dalla citt con tutte le
nostre truppe e caricarli all'impazzata. Credo che non resisterebbero ad un violento
attacco, tanto pi perch inaspettato.
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- Non diciamo pazzie - continu a rispondere il vecchio Muluder, reso pi prudente
dalla sua et avanzata e dall'esperienza di cose di guerra, - se tutte le bande nemiche
accorressero nel punto che noi dovessimo attaccare, ci ritroveremmo davanti non meno
di tremila e cinquecento uomini, mentre noi non siamo che mille e cento.
- Senza pensare - intervenne Sandokan - che sul terreno aperto saremmo oggetto di un
fuoco micidiale. Penso invece una cosa.
- Quale? - domandarono tutti.
- Penso che quel maledetto cane di Hold non sar cos stupido da continuare a
mandare allo sbaraglio le sue truppe. Anche se non avr avuto il coraggio di essere in
prima linea durante i combattimenti, per rendersi meglio conto di cosa sono le nostre
difese, pur tuttavia comprender che meglio per lui cambiar tattica. Innanzi tutto sono
certo che non attaccher pi sul lago, dopo aver visto la potenza devastatrice del
petrolio di Agun: la memorabile strage di oggi gli sar sicuramente di monito per
ulteriori avventure lacustri.
- Credo - interloqu di nuovo Agun - che l'odiato Hold non tenga in nessun conto la
vita umana, anche quella dei suoi guerrieri: la considerer solo come un basso prezzo da
pagare per tentare di ottenere qualche cosa.
- Ad ogni buon conto il morale delle nostre truppe alle stelle. Oggi - spieg
Sandokan - dopo che hanno visto la carneficina prodotta dall'incendio, tutti i rajaputi
avrebbero portato in trionfo Agun, tanto erano entusiasti della sua genialit.
- Ho gi pensato a qualcos'altro di simile, - aggiunse Agun, soddisfatto dall'encomio
del fratello - infatti ho dato disposizione di allestire dei grossi paioli vicino alla cinta
della citt. Li riempiremo di olio da cucina che metteremo sul fuoco a scaldarsi se i
nemici attaccheranno di nuovo: se riusciranno a superare i fossati ed il terreno
avvelenato e giungeranno sotto le palizzate, verseremo loro addosso il contenuto dai
pentoloni. Vedrete che danza cominceranno a fare quando le loro carni saranno condite
da quel liquido bollente!
Tutti i presenti risero di tale idea e si congratularono con il giovane Agun per
questa ulteriore difesa che arricchiva la fortificazione della citt.


* * * * * * * * * * *


Un lungo periodo di inattivit segu a quella serata.
I giorni passarono in grande pace, senza alcun attacco nemico. Gli osservatori, dall'alt o
delle loro torrette non vedevano alcuna attivit bellica nel campo avversario. I nemici
sembravano riposarsi: forse la batosta subita sul lago aveva smorzato la speranza di
avere ragione con facilit delle difese della capitale, o forse Hold credeva che si
potessero prender per fame gli irriducibili difensori di quella piazza fortificata.
Fatto sta che il tempo pass lentamente, fiaccando un poco la pazienza di Sandokan e
dei suoi soldati, che forse avrebbero preferito una battaglia a quella lunga inerzia. Le
giornate trascorrevano con grande noia generale. Non si poteva fare un gran che in
quanto tutte le difese erano state gi ripristinate: Si pot solo fortificare
ulteriormente la piccola cinta secondaria che abbracciava la reggia, mentre
il sotterraneo di fuga, anchesso completato, venne nascosto e protetto nella parte
finale con cespugli verdi ed una porta di ferro.
Quello che invece cominciava a destare preoccupazione erano i viveri che diminuivano
sensibilmente: le capienti cantine del palazzo reale subivano giornalmente un vero
assalto da parte dei cuochi, che dovevano apprestare circa milleduecento pasti
giornalieri.


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Ancora non era il caso di iniziare a fare dei razionamenti, ma certo la situazione non
poteva restare rosea per lungo tempo. Nessun approvvigionamento era possibile in
quanto le armate nemiche cingevano strettamente d'assedio la capitale per tre lati. Sul
quarto lato si vedevano, in lontananza sulle acque del lago, alcuni piccoli natanti che
fungevano da blocco navale. L'unica risorsa che arrivava in citt era costituita dalla
pesca. Infatti le dieci barche che pattugliavano al largo del porto, anche per non far
morire d'inedia i soldati che le montavano, gettavano di continuo le reti e i pesci per
fortuna non mancavano. Quindi quella era l'unica possibilit di avere cibarie fresche
per tutti gli abitanti della citt, considerando anche i pochi civili che non erano fuggiti..
Tutto dava l'idea che il nemico avesse rinunciato ad un attacco diretto e gi il sultano
stava cominciando a fare dei progetti su come uscire da quella situazione di attesa
snervante, quando una notte le vedette dettero l'allarme.
Le sentinelle avevano inteso dei colpi secchi e dei fruscii, come se qualcuno tentasse di
aprirsi un varco in mezzo agli ostacoli che si trovavano tra i fossati ed il campo
avvelenato. L'oscurit della notte, per, non permetteva di vedere nulla. Molto
furbescamente i nemici avevano lasciato tutti i fuochi degli accampamenti accesi, come
accadeva ogni notte, lasciando passeggiare dinanzi alle fiamme molti selvaggi, dando
cos l'illusione ottica alle vedette di Muluder che nel campo si cenasse attorno ai fal.
Invece, senza che nessuno se ne fosse accorto, migliaia di nemici erano avanzati verso
la citt ed avevano ormai raggiunto, non visti, i fossati. Per superarli avevano gettato
su di essi delle lunghe tavole di legno, usandole come passarelle, ed in men che non si
dica erano arrivati a ridosso del secondo ostacolo, costituito dai rovi, dalle spine e dai
paletti appuntiti posti orizzontalmente. Per tentare di superare questo sbarramento gli
uomini di Hold avevano preso a sciabolare tali siepi e nel far questo avevano fatto quel
rumore che era stato udito dalle sentinelle sparse sui fortilizi. Era stato quindi dato
l'allarme ed i difensori, prontamente accorsi sui camminamenti, avevano tentato invano
di riuscire a vedere il nemico che era invece protetto dalle tenebre di una notte senza
luna; conseguentemente non si poteva arrestarne la marcia perch non si poteva mirare
contro nessuno, complice l'oscurit.
Fortunatamente la solita intelligenza di Agun aveva supplito a quella totale impossibilit
visiva. Infatti il geniale principe aveva fatto disporre lungo la cinta esterna, ad una certa
distanza dalle palizzate, una serie di cumuli di legna ben secca, imbevuti di resine e di
cera. Agun aveva pensato a questo espediente proprio in previsione di un attacco
notturno: per non far rimanere ciechi i difensori, erano state disposte molte cataste di
legna pronte ad essere accese. Si trattava ora di indicare agli arcieri, pronti a tirare delle
frecce incendiarie, dove si trovassero con precisione quei cumuli di legna. Agun aveva
pensato anche a questo. Vennero infatti sparati in alto alcuni fuochi d'artificio: una serie
di piccoli razzi multicolori che si alzarono in alto nel cielo facendo ricadere a terra una
vivida luce che dur il tempo necessario affinch le cataste venissero individuate e
colpite dagli arcieri. I fastelli di legna presero a bruciare immediatamente e, quindi, il
terreno attorno alla citt fu illuminato a giorno, permettendo di vedere gli assalitori alle
prese con i rovi avvelenati. Sandokan comand allora un fuoco accelerato con tutte le
armi a disposizione.
Ma questa volta i ribelli avevano fatto tesoro della precedente esperienza disastrosa.
Si erano portati appresso delle lunghe tavole con le quali avevano dapprima oltrepassato
i fossati. Dopo aver sciabolato i rovi e le spine, permettendo cos di fare molte brecce in
quel secondo ostacolo, erano arrivati in prossimit del terreno con le frecce avvelenate
piantate a terra. Avevano quindi rimosso le tavole deposte sui fossati e le avevano
cominciate a gettare sui dardi con il terribile succo di upas .Il fuoco dei difensori si
abbatt quindi sugli attaccanti quando questi stavano cominciando a
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passare attraverso l'ultimo ostacolo: essendo molto vicini alla palizzata i fucili e i
cannoncini provocarono subito degli immensi vuoti. Ad ogni scarica dei piccoli pezzi di
bronzo decine di selvaggi cadevano a terra, se non uccisi sicuramente storpiati da un
uragano di schegge di vetro e pezzi di ferro: ci seminava il panico tra le schiere
nemiche ed impediva, a causa dei mucchi di caduti che si formavano, il passaggio a chi
veniva dietro, sugli stretti camminamenti delle passarelle. Anche le palle delle carabine
provocarono una decimazione terribile: i bersagli erano visibilissimi in quanto i fal
illuminavano in pieno gli assalitori che venivano colpiti con estrema facilit. Quel
luogo si stava trasformando in una scena davvero infernale. Sembravano tanti diavoli,
vomitati dal centro della terra, che, correndo e cadendo, urlando e gemendo,
dimenandosi e contorcendosi dal dolore delle ferite ricevute, spingendosi gli uni con gli
altri, intenti a raggiungere i difensori per trascinarli poi negli inferi. Il buio della notte
era rotto, oltre che dai fal, che continuavano a bruciare, anche dalle centinaia di
fiammate dei fucili e dei cannoni. Un odore acre di polvere da sparo rendeva l'aria
irrespirabile. Il fumo prodotto dalla combustione della legna ed il polverone alzato dallo
scalpiccio di chi correva su quell'arido terreno contribuivano a rendere quella scena
diabolica degna di un girone dantesco.
Comunque, nonostante la precisione del fuoco difensivo, malgrado le prodezze dei
rajaputi, Sandokan ed i suoi si resero conto che questa volta il nemico, sebbene stesse
avendo perdite ingentissime, stava oltrepassando l'ultima difesa a terra. Inoltre per ogni
nemico che cadeva, altri ne sopraggiungevano dalle retrovie: i nuovi venuti, pur di
avanzare, non si curavano minimamente di calpestare chi stava a terra ferito. Quella
fiumana di persone sembrava non aver termine e gi i primi assalitori stavano
raggiungendo la base della palizzata, tentando di drizzare delle rudimentali scale a pioli
che si erano portati appresso, quando Sandokan, resosi conto del pericolo che stavano
correndo i difensori, per un probabile sfondamento della porta d'accesso della citt,
diede ordine di portare sugli spalti l'olio, che nel frattempo era stato messo a bollire sin
dall'inizio dell'attacco.
Agun coordinava i passaggi: alcune donne, con delle capienti cucchiaie, versavano il
liquido in recipienti con dei manici che venivano presi dagli uomini disponibili e dai
servi del palazzo reale e portati sugli spalti.
Era tempo. Le orde nemiche, nonostante la tempesta di fuoco che le scompaginava
brutalmente, erano ormai giunte in gran numero sotto le palizzate e gi numerose scale
erano state drizzate e su di esse vi si stavano arrampicando decine di daiacchi, che Hold
aveva scelto per questo compito pi decisivo.
Sandokan, con il volto infiammato dall'ardore della lotta, con i lunghi capelli corvini
sciolti sulle spalle, essendogli caduto a terra il ricco turbantino che aveva sul capo
perch colpito da una palla di fucile avversario, con il kampillang nella destra ed una
pistola nella sinistra, impartiva gli ordini, urlava incoraggiamenti ai propri soldati,
inveiva contro gli assalitori. Aveva gli occhi fiammeggianti e la fronte imperlata di
sudore, ma era calmo e rassicurante, non volendo dare segno di preoccupazione per la
grave situazione del momento.
E mentre i primi assalitori stavano per scavalcare le balaustre a difesa degli spalti, il
sultano dette ordine di rovesciare i secchi che a decine avevano trovato posto sopra al
punto ove le scale erano state innalzate. Centinaia di litri di olio bollente vennero quindi
rovesciati addosso al nemico che saliva e a chi stava sotto a regger le scale. Urli
laceranti e disumani coprirono ogni altro clamore: chi era stato inondato di olio
bruciante abbandonava il proprio appiglio e si faceva cadere nel vuoto, rotolando
addosso a chi sopraggiungeva e piombando sulle spalle di chi stava a terra a reggere le
scale. Nel frattempo altri paioli giungevano sulle palizzate pronti ad essere gettati di
sotto.
123

L'effetto devastante di quel micidiale liquido si fece vedere immediatamente: tutte le
scale venivano abbandonate da chi vi saliva e si rovesciavano a terra; decine e decine di
selvaggi si dibattevano per le orribili scottature, mentre brani della loro pelle si
distaccavano e pendevano lungo i loro corpi. Da quelle enormi ustioni affiorava la carne
viva, rossa, pulsante. Altri daiacchi si provarono a drizzare di nuovo le scale, ma
raffiche di piombo e mitraglia infilavano tutte quelle centinaia di persone ammassate e
ferme sotto le palizzate, che offrivano un bersaglio davvero sicuro per i rajaputi. Anche
l'olio seguitava copioso a precipitare senza misericordia su chi si accalcava accanto alle
scale, creando immensi vuoti tra gli attaccanti i quali dopo un po' che si trovavano presi
tra il fuoco e il liquido bollente, si risolvettero a fare marcia indietro. Le sorti della
battaglia mutarono cos a favore dei difensori, poich il morale degli attaccanti era stato
di nuovo compromesso: malgrado gli incitamenti dei loro capi, che ordinavano loro un
ultimo sforzo, lo slancio si arrest dinanzi a quel nuovo formidabile potere devastante.
Il panico ebbe quindi il sopravvento ed il nemico mostr presto le terga, correndo a
perdifiato verso il proprio accampamento, abbandonando armi, scale, passarelle, feriti e
moribondi.
Anche questa volta i difensori, scordando le raccomandazioni dei luogotenenti del
sultano, si calarono con ogni mezzo gi dalle palizzate, servendosi anche di quelle
stesse scale lasciate appoggiate dal nemico, per raggiungere il campo di battaglia a
sciabolare senza misericordia i selvaggi feriti. Invano, dall'alto dei camminamenti si
urlava loro di risalire. Un centinaio di rajaputi, resi furiosi dall'accanimento dimostrato
dal nemico che per poco non era riuscito a scavalcare la cinta, intendevano
contrattaccare con ferocia pari a quella dimostrata dai selvaggi stessi. Occorse tutta
l'autorit di Sandokan e dei due fratelli per indurre quegli indisciplinati a riguadagnare
la zona pi vicina al recinto, abbandonando il loro proposito di gettarsi sulle orme dei
fuggitivi. Ma quando desistettero dall'inseguire il nemico, nel tornare indietro,
pensarono bene di passare per le armi tutti i feriti che giacevano attorno alla citt. Il
rajah, pur disapprovando tale ferocia, e pur biasimando la loro disobbedienza, non
volle punire quelle insubordinazioni, ben conoscendo lo spirito indocile e vendicativo
dei propri uomini, non ancora del tutto civilizzati, i quali ritenevano che il nemico vinto
doveva essere annientato, al fine di evitare che poi riprendesse vigore o che rimettesse
in campo i feriti stessi. Secondo quegli uomini un ferito ucciso era un avversario di
meno che non avrebbero dovuto incontrare nel combattimento successivo. Quando la
calma e l'ordine tornarono tra i difensori si procedette a curare i feriti e a seppellire i
propri morti. Questa volta, purtroppo le perdite nelle schiere dei nostri eroi erano state
notevoli. Le frecce avvelenate, scagliate con maestria dai daiacchi assalitori avevano
colpito molti rajaputi, uccidendoli. Erano trenta i morti ed una decina i feriti, colpiti da
proiettili di ogni genere.
La mattina successiva fu impiegata, come lo fu la volta precedente, a seppellire anche i
morti nemici. Infatti i capi degli assalitori si guardavano bene dal venire a reclamare i
propri soldati uccisi: ci era dovuto sia al fatto che in quelle regioni non c'era un vero e
proprio culto dei morti, come avviene ad esempio in India ove vengono bruciati o gettati
nei fiumi sacri, sia alla speranza che tali cumuli di gente uccisa potesse far scoppiare
qualche terribile epidemia tra le truppe reali.
Quindi si scavarono, anche questa volta, enormi buche che accolsero le spoglie di circa
trecento selvaggi. Tutti poi si dettero da fare per ripristinare le opere di difesa. Furono di
nuovo accumulati fastelli di legna, che erano stati di un'utilit determinante per
individuare gli assalitori nel buio della notte, e poi riempiti i contenitori di olio,
elemento questo che aveva deciso le sorti della battaglia, nel momento in cui
sembravano gravemente compromesse.

124

Nei giorni seguenti il sultano si rec a visitare tutti i punti della citt che riteneva pi
deboli o dove era necessaria una maggiore difesa, non trascurando di visitare n gli
uomini imbarcati sulle scialuppe nel lago, n i feriti ricoverati in una sala della reggia
trasformata in ospedale.
In una di queste ispezioni incontr Agun, che si dava da fare come non mai per
sopperire ad ogni necessit di difesa.
Il fratello minore si rivolse al rajah dicendogli.
- Caro fratello, ritengo doveroso da parte mia invitarti a pensare ad un problema che
maggiormente mi preoccupa.
- Parla Agun - rispose Sandokan.
- Mi riferisco alle munizioni: non potranno certo durare all'infinito; si stanno
consumando in fretta e, nonostante le ingenti scorte, non potranno bastare che a
respingere un paio di attacchi ancora.
Il sultano lo guard fisso, impensierito per questa prevedibile osservazione. Poi rispose:
- Sapevo che prima o poi avremmo fatto i conti con le scorte in nostro possesso, solo
non pensavo che ci saremmo dovuti preoccupare cos presto. E' molto grave la
situazione, fratello mio?
- No, Sandokan. Ma ti voglio consigliare che bene ordinare ai soldati di sparare solo a
colpo sicuro. Solamente nell'ultimo attacco, il deposito della casamatta centrale si
quasi esaurito! E' vero che abbiamo altre polveriere in citt, ma nessuno di noi sa
quanto durer questo assedio.
- Cosa mi consigli di fare, Agun?
- Forse si potrebbero mandare degli inviati a far incetta di polvere e pallottole. Ma dove
mandarli? In che direzione? Chi ci pu aiutare? Forse il rajah di Labuk?
- L'idea non malvagia, caro Agun. Vado a dare subito disposizioni in merito. Ordiner
a due barche della nostra flottiglia di discendere il fiume sino alla foce e di recarsi da
quel piccolo sultanello onde acquistare da lui, anche a peso d'oro, quante pi munizioni
possibile. Li far partire oggi stesso.
Dopo poche ore, le barche al largo del piccolo porto erano stare allertate circa la delicata
missione. Sul far della notte due di queste, comandate dall'intrepido ed ormai fidato
Pilerong si sarebbero mosse alla volta di Labuk. Si contava che in dieci giorni
potessero essere di ritorno con gli importanti acquisti. Dopo aver fornito Pilerong di
una piccola borsa ricolma di stupendi diamanti, del valore di milioni di rupie, Sandokan
ordin la loro partenza, che avvenne in perfetto silenzio, approfittando del buio pi
totale, in quanto il cielo era ricoperto di densi nuvoloni, che presagivano un imminente
temporale.
L'atmosfera si stava caricando di elettricit e lo stesso sultano ne risentiva, diventando
ancora pi preoccupato. Era questa, infatti, la prima notte di pioggia da quando era
cominciato l'assedio e nulla poteva essere pi favorevole per un attacco nemico di un
eccezionale temporale con un buio pressoch totale. Infatti a quelle latitudini i fortunali
erano di breve durata ma di fortissima intensit.
Un vento furioso cominciava a sollevarsi, alzando nell'aria un enorme polverone che
accecava gli occhi e rendeva difficile il respiro.
Il sultano invece di recarsi a dormire si diresse di nuovo verso gli spalti, onde
raccomandare alle sentinelle la massima sorveglianza, poich quella notte poteva
rappresentare una ghiotta occasione per il nemico, il quale non aveva pi dato segni di
attivit ormai da tanti giorni. In effetti avrebbe potuto eludere la sorveglianza delle
guardie che non erano in grado di percepire eventuali rumori prodotti dagli attaccanti, in
quanto il rombo dei tuoni e la caduta della pioggia avrebbe coperto ogni altro
rumore dei dintorni. Pioggia che in effetti non si fece attendere. In pochi minuti da



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una pioggerella di lieve intensit si pass ad un autentico diluvio. Sembrava che si
fossero aperte delle cateratte dal cielo e che una fiumana d'acqua precipitasse su quel
lembo di territorio, dove non pioveva da diverse settimane. La visibilit era diventata
nulla e non si vedeva ad un palmo dal naso. Sandokan, vedendo cadere quella
enorme massa d'acqua, accompagnata da continui colpi di tuono, che sembravano lo
sparo di centinaia di cannoni, decise di dare l'allarme generale ai soldati, poich
presagiva che quella notte avrebbe portato grossi pericoli.
Montato a cavallo, con una grande preoccupazione nell'animo, avvoltosi in un mantello
che lo stringeva in tutta la sua persona, nell'intento di ripararsi un poco da quel turbinio
d'acqua e da quell'uragano di vento, cominci a fare il giro della cinta attorno alla citt.
Ogni volta che raggiungeva una casamatta dove alloggiavano i soldati, dava ordini
precisi: tutti i rajaputi dovevano uscire dai ricoveri e salire sulle palizzate, come se vi
fosse un attacco in atto. Pi passava il tempo, pi rinforzava di uomini i camminamenti,
e pi aumentava nell'animo del sultano una specie di presentimento: quella poteva
essere una notte fatale, durante la quale il nemico era in grado di arrivare sin sopra la
cinta di difesa della citt senza esser visto. Pi pensava a questa cosa pi si convinceva
che Hold doveva per forza approfittare di simile favorevole occasione, che forse non si
sarebbe pi ripetuta per diversi giorni, non essendo quel periodo la stagione delle
piogge.
Alcuni lampi che balenavano in cielo, illuminavano a giorno la regione circostante,
facilitando la vigilanza dei soldati, che cercavano di aguzzare la vista nel tentativo di
scorgere qualche nemico. L'impresa non era facile in quanto il diluvio di pioggia
rendeva assolutamente impossibile alla vista di spaziare in giro. Fortunatamente Agun
aveva fatto montare, sin dall'inizio delle ostilit, delle tettoie per riparare i cannoncini e
le munizioni, onde avere almeno quelle armi in grado di funzionare anche sotto una
pioggia battente. In verit il fortunale non accennava a diminuire, cosa un poco strana,
in considerazione che in quella regione e a quelle latitudini le piogge sono molto intense
ma di breve durata. Invece quel terribile diluvio durava ormai da oltre un'ora. Sandokan
aveva appena terminato il suo giro di perlustrazione quando alcune fucilate scoppiarono
in lontananza. Il sultano aveva un udito finissimo e non poteva ingannarsi, nonostante il
turbinio del vento e il boato dei tuoni. Gli era sembrato di udire dei colpi di fucile
sparati in direzione ovest. Si slanci quindi al galoppo per raggiungere la palizzata
occidentale. Le strade della cittadina erano completamente deserte in quanto la
popolazione aveva da tempo abbandonato la capitale; quindi il cavallo corse senza
temere ostacoli e raggiunse, in meno di un minuto, un punto della cinta dove regnava
una strana agitazione tra i soldati sugli spalti.
Con uno strattone delle briglie fece fare al cavallo una brusca frenata, che solo un
cavallerizzo provetto poteva compiere senza cadere a terra, e rivolto ai soldati radunati
sui camminamenti, che sembravano intenti a fissare qualcosa fuori dalla citt, grid:
- Cosa sta succedendo?
- Abbiamo visto fuggire qualcuno che si era avvicinato furtivamente. Si allontanava di
corsa. Qualcuno di noi ha sparato ma con questa oscurit non sappiamo se lo abbiamo
colpito oppure no - risposero alcuni guerrieri.
- C' qualcosa che brucia ai piedi della palizzata - grid un soldato.
Sandokan cap che qualcosa di grave stava succedendo. Smont quindi da cavallo e si
slanci su di una scaletta in legno che menava in cima ad una torretta, dalla quale si
accedeva ai camminamenti lungo la cinta.
Non aveva nemmeno potuto salire tre gradini che una vibrazione del suolo, seguita da
una tremenda esplosione, lo rovesci a terra, facendolo ruzzolare a gambe levale. Nel
contempo un'improvvisa fiammata, come se fosse stata prodotta da un'eruzione
vulcanica, avvolse la palizzata.
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Era scoppiata una potente mina, collocata evidentemente da chi si era poi allontanato di
corsa, appena scorto dalle sentinelle. La palizzata era stata divelta per un largo tratto e
molti tronchi e pali che ne formavano la nervatura, erano volati in frantumi per parecchi
metri.
Un enorme polverone, con schegge di legno, pezzi di pietra misti a terra, si era
sollevato in ogni dove, mentre il legname cominciava ad essere avvolto dalle fiamme
solo in parte represse dalla pioggia battente che continuava imperterrita a cadere.
Appena l'ultimo frammento di quel grosso tratto di palizzata ebbe finito di cadere a
terra un vociare gigantesco scoppi fuori dalla citt, talmente intenso da coprire i tuoni
del temporale e le urla dei soldati feriti che rantolavano sotto le macerie: era il nemico
che attaccava, approfittando del temporale e del varco che l'esplosione aveva creato nella
cinta cittadina.
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CAPITOLO DODICESIMO

L'ATROCE INGANNO

Sandokan, ripresosi immediatamente dalla tremenda esplosione, che lo aveva quasi
tramortito, si rese subito conto che la situazione era precipitata e che l'invasione della
citt era ormai prossima. Con quanto fiato avesse in gola, cominci a gridare:
- Allarmi! Tutti gli uomini a fermare l'invasore! Portate qua sotto i cannoncini e
piazzateli davanti alla breccia! Non vi spaventate, poich ricacceremo indietro il nemico
anche questa volta!
Ma la drammaticit del momento si fece subito evidente. I soldati del sultano non
avevano ancora fatto in tempo a riprendersi dalla sorpresa e dal crollo causato dallo
scoppio, che gi i primi assalitori si stavano presentando dinanzi al varco prodottosi
nella palizzata. Lo squarcio nella recinzione aveva una larghezza di circa otto metri.
Sotto le macerie erano rimasti dilaniati dall'esplosione o schiacciati dal crollo una
cinquantina di rajaputi: tra questi vi erano ancora dei feriti che per nessuno poteva
soccorrere. Sugli spalti regnava una gran confusione, in quanto nessuno si aspettava
che il nemico avesse gi superato tutti gli ostacoli. I luogotenenti del rajah
rimbalzavano gli ordini di Sandokan, mentre decine di uomini correvano sui
camminamenti in direzioni opposte: chi andava a prendere le armi, chi si recava a
smontare i cannoncini, chi portava la polvere, chi discendeva a precipizio le scalette
per far fronte al nemico incombente che si stava affacciando all'interno della citt.
Il solo che conservasse una calma perfetta era Sandokan che si era posto sopra i detriti
causati dalla mina ed, impugnate le armi, scaricava pistolettate addosso ai primi nemici
che apparivano alla sua vista, facendoli cadere a terra morti o feriti.
Attorno a lui si radunarono finalmente i primi soccorsi, che fecero muro contro gli
invasori; dall'alto delle fortificazioni i fucili avevano buon gioco contro il nemico che
ora appariva pi visibile in quanto la pioggia era finalmente cessata, quasi
d'improvviso.
Un'orribile mischia si cre fra le rovine. Il varco a disposizione degli assedianti era
comunque ostruito dai detriti, cosa questa che restringeva ad imbuto laccesso dentro la
citt delle migliaia di attaccanti che confluivano a ridosso della cinta. Per cui i soldati
reali avevano buon gioco a fermarli, anche se a prezzo di grossi perdite, in quanto
ogni tanto un difensore cadeva a terra, ferito da qualche pallottola vagante o da
qualche freccia avvelenata. Il corpo a corpo divent sempre pi furibondo mentre
dall'alto delle palizzate i rajaputi avevano sempre pi difficolt a colpire il nemico
poich il combattimento era diventato talmente confuso che si poteva correre il pericolo
di colpire i propri compagni.
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Purtroppo anche la difesa con l'olio bollente era rimasta impraticabile in quanto non
c'era stato il tempo di mettere tale liquido sul fuoco, perch con la legna
completamente fradicia era impossibile accenderlo.
Sandokan e la sua gente, ben esperta nell'uso delle armi bianche, avevano buon gioco
contro quelle bande raccogliticce. Era un turbinio di colpi che avvolgeva il nemico:
cadevano teste spiccate dal busto, braccia e mani, troncate dalle affilatissime
scimitarre, abilmente manovrate da mani sicure e provette, si aprivano petti o stomaci,
squarciati dai pugnali o dalle lance dei difensori. Ma nonostante le prodezze e
malgrado il valore dei rajaputi, lo sforzo era davvero disperato e la lotta impari. Per
ogni uomo caduto tra i selvaggi altri dieci ne sopravvenivano. A terra vi era ormai una
montagna di cadaveri, tra i quali, purtroppo diversi difensori, ormai oppressi da un
nemico sempre pi galvanizzato da un successo che poteva essere ormai a portata di
mano. Gli uomini di Hold spingevano le truppe di Sandokan sempre pi indietro onde
poterle allontanare dallangusto squarcio nella staccionata e poter, di conseguenza,
allargare il fronte del combattimento. Nel frattempo il nemico aveva impegnato i
difensori anche sugli altri lati della citt, al fine di impedire agli stessi di convergere
tutti nel luogo della breccia.
Il combattimento era diventato totale. Ogni uomo era oppresso da un nemico sempre pi
accanito che aveva, a poco a poco, scavalcato tutte le difese poste attorno alla citt e
stava scalando le palizzate, non pi ostacolato da quell'accanita difesa alla quale si
erano abituati poich ormai molti soldati reali si trovavano fuori combattimento, morti o
feriti.
I cannonieri e i fucilieri, dall'alto della cinta non potevano pi fare uso delle loro bocche
da fuoco in quanto il nemico aveva raggiunto infine le palizzate stesse e su di esse si
stava sviluppando un corpo a corpo micidiale. Ogni rajaputo faceva dei veri prodigi,
riuscendo ad abbattere dieci nemici prima di cadere trafitto, stretto da ogni parte, ma
sembrava che questo sforzo fosse inutile visto l'interminabile afflusso di nuovi selvaggi.
Piano piano i difensori iniziarono a retrocedere, consentendo cos agli assalitori di avere
pi spazio nell'accedere dal passaggio nella palizzata, il quale sembrava una bocca che
vomitava una massa veramente inesauribile di rivoltosi. Ad un certo punto l'occhio
attento di Sandokan cap che il nemico, aumentato a dismisura e penetrato per ogni dove
grazie all'arrivo di continui rinforzi, stava per aggirare i difensori e prenderli alle
spalle. Il sultano pronunci quindi, con un dolore immenso, quelle parole che mai aveva
pensato di proferire:
- In ritirata! Rifuggiamoci nella kotta che protegge la reggia!
Lentamente i suoi uomini, ormai ridotti alla met e stremati dal corpo a corpo contro un
nemico sempre pi copioso e sempre pi fresco, ripiegarono lentamente verso il palazzo
reale, che da quel punto distava solo alcune decine di metri. Alcuni soldati del rajah
diffusero l'ordine della ritirata con dei tar, una specie di trombe di rame che erano
anche usate per trasmettere dei messaggi, affinch anche i rajaputi che si trovavano
all'altro capo della citt potessero comprendere tale decisione.
Purtroppo era ben difficile che tutti i difensori, contemporaneamente, potessero
confluire nel palazzo reale e chiudere le porte d'accesso onde tener fuori i nemici, anche
perch questi stavano dilagando come fossero le acque di un fiume che, rotti i propri
argini, invadevano ogni luogo ed ogni recesso della citt.
Infatti mentre le truppe pi prossime allo squarcio nella palizzata avevano meno strada
da percorrere per raggiungere l'accesso della kotta, vi erano altre centinaia di rajaputi,
dislocati ancora sui camminamenti o in diverse zone della citt che si trovavano invece
molto distanti. Si correva quindi il pericolo di chiudersi dentro la reggia lasciandovi
fuori una alto numero di commilitoni. La situazione era davvero drammatica,
specialmente per il sultano che aveva ben capito il rischio che correvano.
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In quel momento una nutrita scarica di moschetteria accolse i nemici che tallonavano i
difensori: erano i soldati che stavano sulle barche che, prontamente avvisati da una
staffetta, avevano nascosto a riva le imbarcazioni e si erano precipitati a difendere la
famiglia reale che gi si trovava nella kotta sin da prima che scoppiasse la mina Questo
aiuto fu tanto inatteso quanto indispensabile per frenare lo slancio dei selvaggi: decine e
decine di essi caddero a terra, dando modo alle truppe di Sandokan di impugnare a
loro volta le pistole e di fare una scarica generale.
Questa seconda raffica di piombo arrest lo slancio degli assalitori disorientandoli per
alcuni minuti, quel tanto che bast ai vari soldati di Sandokan, sparsi in citt di
accorrere all'ingresso della kotta e di rifugiarcisi dentro. Il portone, cotruito con robusti
tronchi di tek sovrapposti ed incrociati, venne chiuso con fragore, mentre tutti i difensori
salirono di corsa sui piccoli ridotti, sulle terrazze della reggia o sui camminamenti di
quella piccola cinta fortificata. Purtroppo non tutti i rajaputi erano riusciti a salvarsi.
Una compagnia dislocata nella parte opposta della citt, accerchiata da oltre
quattrocento selvaggi era stata annientata dopo un eroico combattimento, che aveva
visto comunque soccombere un numero doppio di rivoltosi.
Il nemico, quando si rese conto che i fuggiaschi si erano barricati dentro quell'estremo
rifugio, decise sul momento di non attaccare la reggia, anzi se ne allontan onde non
subire inutilmente il fuoco avverso, e pens invece a disperdersi per il resto della citt.
Iniziarono quindi devastazioni ed saccheggi sistematici in ogni abitazione, in tutti i
magazzini, nelle polveriere, nei negozi e nelle botteghe in tutta la citt. Ogni porta
veniva gettata a terra ed una turba di scatenati metteva a soqquadro ovunque, cercando
e trovando ci che i cittadini fuggitivi non avevano potuto portare seco. Grida di giubilo,
ululati di contentezza, risate sguaiate, colpi di arma da fuoco, piccoli incendi ed
esplosioni accompagnarono quel momento di festa da loro tanto attesa e bramata. E
mentre i difensori si sistemavano in quel nuovo piccolo recinto fortificato, i vincitori si
abbandonarono ad un'orgia pantagruelica, devastando tutti i magazzini di viveri che
trovavano in citt, ubriacandosi e mangiando a crepapelle, uccidendo sia i cavalli che i
rajaputi non avevano fatto in tempo a portarsi appresso nella precipitosa ritirata, sia i
vari cani che abitavano nella capitale. Canti e frastuoni , fracassi e strepiti,
trasformarono in breve quella ridente citt in un luogo orripilante, in una nuova
Sodoma e Gomorra, nella quale spesso si accendevano risse e liti furibonde tra i
vincitori, che si disputavano anche con le armi questo o quell'alimento, questa o quella
botte di vino. I soldati del rajah, che non avevano potuto rinchiudersi nella kotta perch
tagliati fuori dalla ritirata e tutti i feriti che avevano avuto la sfortuna di cadere vivi in
mano a quei diabolici selvaggi, furono immediatamente uccisi e i loro corpi decapitati
vennero inchiodati sulle palizzate o sui muri della citt come trofei di vittoria. Il
rimanente della notte e la giornata successiva bastarono appena ai rivoltosi per
visitare ogni casa, ogni capanna, ogni baracca. Ma nessuna abitazione venne incendiata,
salvo sporadici casi. Evidentemente Hold aveva dato ordini severissimi di non
distruggere quella che si apprestava forse a divenire la sua citt, che voleva consegnare
il pi possibile integra al sultano di Varauni o all'eventuale governatore inglese che ne
sarebbero poi venuti a prender possesso .
Intanto Sandokan ed i suoi familiari avevano passato la notte con la morte nel cuore.
Nessuno poteva descrivere i sentimenti di rabbia, di delusione, di tristezza che
albergavano nel cuore di tutti. Unico sollievo era il ritrovarsi tutti uniti, con la famiglia
reale che si era potuta salvare al completo da quell'improvvisa disfatta. Il sultano pass
in rivista le forze che gli restavano. Tra superstiti e feriti erano circa duecentoventi gli
uomini scampati all'attacco e alla strage che ne era seguita. Quasi tutti gli assenti erano
morti nella battaglia appena terminata.
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Alcune decine di rajaputi, nell'impossibilit di unirsi al resto delle truppe e per non esser
inutilmente trucidati dal nemico erano riusciti a raggiungere il lago e si erano
abbandonati alle sue acque sperando di arrivare a nuoto o in barca verso luoghi pi
tranquilli e sicuri. Sandokan dispose immediatamente le sentinelle sulla palizzata che
cingeva la reggia. Il perimetro non era molto vasto ed una ventina di guerrieri erano in
grado di sorvegliare con facilit ogni direzione. Il sultano riun i suoi familiari e i pochi
luogotenenti rimasti ancora in vita e cos disse loro:
- Valorosi compagni, cari congiunti, il nemico, non potendo batterci in un
combattimento leale, ricorso ad una mina di spaventosa potenza per penetrare in
citt dove altrimenti non sarebbe mai riuscito ad entrare. Ora la nostra forza si
ulteriormente assottigliata e di tutto il nostro regno non ci rimane altro che il palazzo
reale ed il suo parco. Ben poca cosa, ma nulla abbiamo da rimproverarci, sia sul come ci
siamo difesi sia sulla abnegazione di chi ora non pi con noi. Quello che adesso vi
chiedo un parere sulle decisioni da prendere per l'immediato futuro. Dobbiamo,
secondo voi, fuggire, passando per il tunnel segreto che saggiamente fece costruire
Agun, ed imbarcarci, abbandonando per sempre la nostra terra natale, oppure dobbiamo
resistere sino all'ultimo colpo, sino all'ultimo uomo per difendere l'estremo lembo del
nostro avito regno? Parlate vi prego.
Il tono usato dal rajah era molto triste, ma non rassegnato. Tutti i presenti si rendevano
ben conto che la situazione era disperata e che solo un miracolo poteva ormai sottrarli
ad una morte sicura, poich le soverchianti forze nemiche potevano assaltare e
conquistare la reggia in poco tempo. Per primo prese la parola il vecchio Muluder che
disse con tono grave:
- Il sultano ha parlato bene; dobbiamo purtroppo rassegnarci alla caduta di questo nostro
baluardo, del trono e della nostra dinastia. E' stato davvero doloroso per me vedere la
strage che si compiuta oggi, che l'ultima di una lunga serie di eccidi per i quali sono
davvero disgustato. Il susseguirsi di questi tragici avvenimenti con il progressivo
abbandono da parte nostra di tutte le citt stato per me un colpo al cuore; era meglio
che oggi una palla mi avesse trapassato la testa. Non resisto a questa situazione. Il mio
sogno di morire felice lasciando un regno al mio primogenito e la serenit al resto della
famiglia si infranto definitivamente con quella dannata esplosione. Per quanto
riguarda l'immediato futuro penso che dovremmo mettere in salvo tutti i feriti, mia
moglie e le due figlie. Io rimarr invece sulla cinta della kotta e morir avvolto nella
nostra bandiera con la spada in pugno. Non abbandoner questo posto ove sono vissuto
e dove sono nati tutti i miei antenati .........
La commozione gli fece interrompere il discorso. Approfitt allora Agun per intervenire
dicendo:
- Credo che oltre alle persone ricordate da nostro padre dobbiamo allontanare dalla
reggia il tesoro reale, per non far cadere nelle mani del nemico anche quello. Servir per
far vivere dignitosamente chi riuscir a sfuggire al prossimo massacro.
Selim aggiunse:
- Morir accanto a mio padre e gli far scudo con il mio corpo. Meglio morire da prodi
che fuggire.
Sandokan a questo punto chiese:
- Quanti nemici pensate che abbiamo ucciso oggi?
Il parere di tutti fu concorde: non pi di trecento potevano essere stati i caduti, in quanto
si era fatto poco uso dei fucili e dei cannoni, che fortunatamente erano stati tutti
trasportati all'interno del recinto ed ora si stavano gi posizionando sulle palizzate.
Comunque il numero dei nemici, che si stimava fossero presenti ora in citt, era sempre
imponente, poich poco meno di tremila uomini contro lo sparuto gruppo dei
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soldati reali rappresentava uno squilibrio davvero enorme. Sandokan, resosi ben conto
di tale disparit si risolvette di accettare i consigli ricevuti dai familiari. - Oggi stesso -
ordin ai luogotenenti - il tesoro della corona, racchiuso in dieci pesanti cofani, sar da
noi trasportato, attraverso il sotterraneo sino al porto, ove col favore delle tenebre
verr imbarcato assieme alle donne e ai feriti. Le barche si dirigeranno verso la costa;
se qualcuno di noi rester in vita dopo l'attacco finale dovr raggiungere questo luogo
dove ci aspetteranno i fuggitivi.
A questo punto Coruma e le due sorelle di Sandokan fecero sentire la propria voce,
reclamando il permesso di poter esprimere il loro parere.
I presenti ascoltarono allora la regina madre che espresse, anche a nome delle figlie,
un gentile ma secco rifiuto all'idea di abbandonare la capitale e fuggire lontano dai
familiari. L'infinito amore non permetteva loro di abbandonarli, ben sapendo che non
si sarebbero pi rivisti. Disse che era meglio la morte, abbracciati assieme, piuttosto che
un addio senza speranza. Sandokan e gli altri uomini non si sarebbero mai aspettato un
coraggio ed una audacia cos ferma e decisa, cosa questa che li port a decidere di
tenerle presso di s, magari nella speranza di farle fuggire nel momento decisivo. Fu
cos che quella notte stessa il tesoro e i feriti partirono dalla reggia. Alla fine del
sotterraneo le barche, nascoste in un vasto canneto, furono equipaggiate, riempite delle
casse del tesoro, dei feriti e di alcuni rematori validi, che si misero ai remi e subito
partirono. Fu fissato un punto d'incontro alla foce dell'estuario del fiume, sul mare che
lambiva le coste del Borneo: se qualcuno fosse riuscito a sfuggire alla morte si
sarebbe ricongiunto con quei fidi rajaputi disponendo poi delle casse del tesoro.Il
comando venne affidato ad un luogotenente di nome Pull (1), al quale Sandokan disse:
- Nel tesoro reale che ti affido vi un oggetto al quale tengo moltissimo: il mio scettro.
Sappi che se dovessi sapere che te ne approprierai ti cercher, ovunque tu ti fossi
nascosto, e ti uccider.
- Fidati di me, o sultano! fu la risposta rassicurante del soldato.
Il giorno seguente e gli altri che seguirono dopo videro i rivoltosi saccheggiare
completamente la citt, riuscendo a depredare tutto ci che poteva essere asportato e
trasportato. Anche le pagode ed i templi della citt non furono risparmiati: dai tetti
spioventi vennero sottratte lamine d'oro e grondaie di rame; dall'interno statue e monili
di pietre preziose, paramenti sacri con ricchi tessuti, piatti, brocche, calici e teiere di
ogni tipo, quadri, arazzi, tappeti, drappi; furono addirittura divelti intarsi e sculture,
bassorilievi e colonne, insomma ogni cosa che poteva essere poi rivenduta nei porti o
nei centri di scambio di quell'enorme isola.
La soddisfazione e la gioia pi sfrenata per tali ingenti prede avevano completamente
fatto dimenticare alle bande degli assalitori che il nemico non era ancora completamente
sconfitto e che bisognava intraprendere una decisiva battaglia finale. Molte bande, per,
erano state duramente decimate e la conquista della citt era costata ben cara agli
attaccanti, o per lo meno a quella parte di essi che non era mossa da fini politici o da
bramosia di potere ma solo dal desiderio del saccheggio.
Inoltre le ingenti perdite, gi subite in questi mesi di duri scontri e quelle che ancora
avrebbero sofferto durante il futuro combattimento, avevano alquanto fiaccato il
desiderio di liquidare definitivamente il rajah e i suoi seguaci. A tali reittosit si

(1) Vedi, in seguito, come si concluder la vicenda con Pull nel ciclo di Luigi Motta ed Emilio
Salgari dal titolo La Tigre della Malesia, Lo scettro di Sandokan, La gloria di Yanez e Addio
Momracem, per i quali Marco Pavone ha creato con questa vicenda uno spunto iniziale e un
collegamento.
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aggiunga che ora tutti gli assalitori possedevano un pingue bottino ed un discreto tesoro
e quindi ognuno voleva godere il frutto di tante battaglie senza esporre ulteriormente la
propria vita per conquistare cose che non potevano pi trasportare via e che comunque
non ambivano pi.
Gi dal terzo giorno dopo la disfatta del sultano alcune centinaia di selvaggi si erano
allontanati dalla citt sia perch paghi della vittoria, sia perch desiderosi di portarsi via
l'ingente bottino, sia perch ormai in possesso delle armi da fuoco che Hold aveva
donato loro e di tante altre conquistate ai soldati del rajah caduti in combattimento. Lo
stesso Hold dovette fare molta fatica per impedire che altri gruppi di rivoltosi si
sbandassero abbandonando l'assedio. Per infervorare di nuovo gli animi e per saggiare
la reale volont di continuare il combattimento, Hold convoc tutti i capi delle trib
daiacche, sia quelle dell'interno, sia quelle della costa, e tutti i comandanti delle bande
che aveva reclutato nei mesi precedenti per ogni dove. Quando Hold ebbe tutti davanti a
se, cos parl loro:
- Valorosi guerrieri, voi che avete cos coraggiosamente attaccato pi volte il rajah di
Sabah e che ora lo avete battuto, voi che avete espugnato la citt, voi che avete gi colto
il frutto di tali successi, non pensate che sia giunto il momento di entrare in trionfo nella
reggia dei Muluder, infliggendo al sultano l'estrema sconfitta ed uccidendo i suoi ultimi
soldati e tutta la sua famiglia? Non volete voi abbattere definitivamente la potenza dei
Muluder che tanto male vi fece negli anni?
Dopo alcuni istanti di silenzio, Monah, il capo della trib daiacca che per prima si era
sollevata contro il principe Selim, fece alcuni passi innanzi e rispose:
- Prode inviato di Varauni, ti rispondo a nome di tutti i capi daiacchi che sono qui al tuo
cospetto e con i quali ieri ho a lungo parlato. I nostri uomini sono stanchi, molti sono
stati uccisi e da troppe lune siamo in guerra lontani dai nostri villaggi e dalle nostre
donne, che abbiamo lasciati esposti ad attacchi di altri nemici, ora pi pericolosi di
Sandokan e cio di quei popoli oltre i confini orientali che spesso invadono le nostre
terre. Crediamo inoltre che il sultano abbia ricevuto una memorabile lezione che non
scorder mai pi. Avr certo ben compreso che non si sfidano impunemente le trib del
Kini-Balu e quelle della costa. Il suo esercito praticamente annientato e da oggi in poi
non potr pi crearci fastidio alcuno. Per di pi abbiamo raccolto una ingentissima
preda di guerra che porteremo nelle nostre terre con grande fatica. Infine sono oltre
mille le teste che abbiamo spiccato dal busto dei nostri nemici e che rappresentano per
noi il trofeo pi ambito. Tutto ci ci basta. Da domani ci ritireremo nei nostri territori.
Cos abbiamo deciso.
- Ma come! - e qui Hold scatt in avanti come morso da un serpente, tanto la sua ira era
scoppiata violenta all'udire quel discorso - Un grande capo come te, parla in questo
modo? Ma dimentichi che nella kotta il sultano ha un immenso tesoro, frutto di secoli di
angherie a danno della vostra gente? Non sapete che potremo tra breve far prigioniere
tutte le serve del sultano e tutte le donne della citt che si sono racchiuse l dentro?
Potremmo farne tante schiave e tu sarai il monarca pi invidiato tra tutti i daiacchi!
Perch vuoi interrompere la guerra ad un passo dalla vittoria finale? Con la perdita di
poche altre decine di uomini avremo in mano tutto!
- Ascolta bene! - gli rispose seccato Monah, indispettito per il tono usato dallinglese -
Dei favolosi tesori non sappiamo che farcene, ammesso che si trovino ancora nella
reggia. Conosco Muluder e se non uno stupido avr gi pensato a farli trasportare
altrove. Armi e polvere ne abbiamo a sufficienza; riguardo alle schiave ti dico che
donne allinterno della reggia non ce ne sono pi, poich fuggite da tempo e poi
noi non usiamo servi e serve. Per ultimo aggiungo che chi come noi vive ai confini
del regno di Sabah poco importa se questo sultano viene cacciato o viene ucciso. Ad esso
se ne sostituir sempre un altro che torner poi a chiederci pi pesanti tributi. Saremo
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quindi costretti ad intraprendere ulteriori sommosse finch non imparer a
temerci anche il futuro rajah. Ora Sandokan ha compreso la lezione e forse, se seguiter
a regnare, non ci dar pi fastidio, avendo paura della nostra forza. Con un altro sultano
dovremo ricominciare da capo. Quindi preferiamo non annientare questa dinastia. Spero
di essere stato molto chiaro, uomo bianco.
Mister Hold si era letteralmente infuriato, non avendo ben compreso il ragionamento
logico ed utilitaristico del gran capo, il quale non aveva poi, dal suo punto di vista, tutti
i torti. L'inglese avrebbe volentieri schiacciato quel selvaggio, ma, mentre stava per
rispondergli, tutti i capi daiacchi, senza aggiungere altre parole, si allontanarono da quel
luogo, abbandonando cos la riunione. Subito dopo radunarono i sottocapi impartendo
loro gli ordini per una pronta partenza da quella citt.
L'avventuriero inglese era fuori di se dalla rabbia: avrebbe volentieri comandato agli
uomini che gli erano rimasti fedeli di lanciarsi sui daiacchi, ma ben sapeva che una lotta
del genere avrebbe scompaginato il suo esercito anche nel morale, senza alcun beneficio
per la sua causa, anzi correndo il rischio di una crudele decimazione reciproca, in
quanto i daiacchi che stavano per abbandonare la citt erano davvero tanti e non era
quindi il caso di attaccarli.
Hold allora rivolgendosi agli altri capi che erano rimasti di fronte a lui nella riunione,
domand:
- Quanti uomini ci restano ora per l'attacco finale?
- Orange - rispose un malese grosso e basso dalla muscolatura possente - credo che con
la partenza delle bande di Monah non avremmo pi di ottocento uomini- .
- Ma come! Cos pochi?
- Orange, molti si sono sbandati, altri, paghi del pingue bottino, sono tornati al loro
luogo di origine, non avendo la possibilit di trasportare altro con se. Moltissimi sono i
feriti non ancora in grado di combattere. Infine altri ancora, vedendo i daiacchi
abbandonare la partita, si scoraggeranno e fuggiranno. Non certo il coraggio che
abbonda tra le tue truppe.
Hold non poteva certo dare torto al suo fido aiutante. Ben sapeva che la forza di quel
poderoso esercito era solo nel numero. Venuto a mancare quello scompariva anche il
coraggio.
- Se mi permetti di darti un consiglio - prese a dire un luogotenente cinese - ti
suggerirei di attaccare subito il nostro nemico. Probabilmente molti si rifiuteranno di
spingersi in avanti, ancora presi dal saccheggio, ma se aspettiamo qualche altro giorno
degli ottocento uomini che abbiamo non ci rimarranno nemmeno quelli sufficienti a
respingere un contrattacco del sultano.
Hold a sentire queste giuste considerazioni prefer cominciare a pensare piuttosto che a
parlare ancora. Per abbattere le ultime difese del suo mortale nemico poteva benissimo
ordinare l'attacco generale con le forze che gli rimanevano. Ma il rischio era questo: se
non avessero sfondato al primo slancio, e se fossero poi costretti a ripiegare, non
avrebbero mai pi tentato una seconda volta. Tutti si sarebbero fatti prendere dallo
scoraggiamento e allora per Hold, per le sue idee, per le sue speranze, ormai quasi
tradotte in certezze, sarebbe stata la fine. Occorreva quindi farsi venire un'idea nuova:
forse non era una migliore strategia militare quella che ora occorreva, ma una sorta
di astuzia od uno stratagemma che potesse essere pi determinante della forza.
Conged tutti i sottocapi, poich voleva restare da solo a pensare. Trascorse cos una
notte intera nella quale l'inglese non chiuse occhio, tutto intento a partorire un'idea
geniale e risolutiva. Anche se si doveva ricorrere ad un nuovo crimine, ad una strage o
ad una vigliaccheria non avrebbe certo avuto rimorsi di coscienza, lui un avventuriero
che era giunto a quel punto solo grazie ad astuzie diaboliche e a tradimenti di ogni
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genere. Qualunque mezzo sarebbe stato buono per raggiungere il suo folle scopo e i suoi
pazzeschi sogni di gloria.
A poco a poco un nefasto progetto cominci a delinearsi nella sua mente malata. Prima
per sommi capi, poi nei dettagli pi minuti, cercando di prevedere ogni contromossa del
nemico. Infine lo riesamin nei minimi particolari nell'intento di renderlo perfetto.
Solo nel momento in cui ci che aveva pensato gli piacque e solamente quando fu ben
sicuro di avere buone possibilit di riuscita, si risolvette di metterlo in esecuzione. Il
suo umore adesso era diventato allegro ed ottimista: Hold era felice perch aveva
partorito un' idea mostruosa, che se riusciva poteva dargli la vittoria definitiva senza pi
perdere un sol uomo e senza alcuna ulteriore battaglia. Era lusingato che la sua furbizia
avesse potuto generare un progetto veramente diabolico, che aveva per bisogno anche
di un pizzico di fortuna: ma la dea bendata gli era stata sempre accanto negli ultimi anni
e quindi confidava ancora in questa protezione.
Quando fu ben sicuro che non dovesse aggiungere altro alla sua macchinazione chiam
un suo aiutante di campo e parl a lungo con lui. Dopo un'ora abbondante di colloquio,
il suo gregario, che altri non era se non il parlamentare che all'inizio dell'assedio aveva
incontrato Sandokan per intimargli la resa, si mosse alla volta della reggia , sventolando
una straccio bianco legato all'asta di una lancia. Le sentinelle sugli spalti, che ben
vegliavano, lanciarono subito l'allarme e tosto Sandokan accorse, salendo su una
torretta che sovrastava l'ingresso del recinto fortificato.
Vedendo avanzarsi quel parlamentario di cui ben si ricordava, il rajah ebbe un
sentimento di fastidio e di disprezzo, ma si guard dal cacciarlo. Dette quindi ordine di
socchiudere le porte del recinto, anche se con molta cautela, nel timore che quello
fosse uno stratagemma del nemico per penetrare nei giardini della reggia.
Questa volta l'inviato di Hold us un tono e un linguaggio meno provocatorio rispetto
all'incontro precedente, forse per paura di essere di nuovo malmenato dal suo regale ma
irascibile interlocutore, e con voce pacata, quasi affabile, cos parl: -
- Prode sultano, il mio comandante ti manda a dire quanto segue. La guerra costata gi
migliaia di morti, con fortissime perdite da ambo le parti. I nostri uomini sono pronti
all'attacco finale anche se in tutti noi vi una grande ammirazione e rispetto per il
coraggio e la forza dimostrate da te, o signore, e dai tuoi guerrieri. La prossima battaglia
coster sicuramente altre centinaia di vittime e questo provoca dispiacere e tristezza da
parte di mister Hold. Inoltre lui stesso mi ha confidato di essere rimasto molto turbato
da un sogno che ha avuto questa notte. Si trattava di una visione nella quale si trovava a
pranzo con te e con la tua famiglia. Durante il colloquio tu lo degnavi della tua
attenzione e lo insignivi del grado di governatore delle provincie dell'est. Interpretando
questo sogno come una premonizione Hold ti prega di dimenticare, se puoi, gli orrori di
questa guerra, magari solo per un attimo, e di vedere in lui non un tuo nemico, ma un
sagace condottiero che ha capitanato e organizzato una rivolta solo per poterti
dimostrare la sua intelligenza e il suo genio guerriero. D'altra parte la rivolta non nata
solo da lui; anzi a fare questo passo molta della colpa da attribuire a Monah, il quale lo
ha convinto a prendere il comando dell'insurrezione, e ai daiacchi, insofferenti alla
sudditanza dei Muluder. Hold infine ti chiede di essere introdotto al tuo cospetto come
aspirante generale, ora pentito di tanti lutti e di tali rovine, dovuti anche ai sultani tuoi
vicini, come il perfido sultano di Varauni e l'intrigante rajah di Sarawack, ai quali Hold
non vuole pi ubbidire, e che sono stati i finanziatori della spedizione. Da oggi Hold
desidera cessare ogni combattimento perch ha imparato a stimarti e a rispettarti.
Inoltre vorrebbe stringere con te un patto di sottomissione onde addivenire subito ad
una tregua. Se tu l'accetterai leveremo subito l'assedio. Anzi per dimostrarti quanto
voglia la pace e come ti parla con il cuore in mano, ancor prima di conoscere se tu vuoi
benignamente accettare questo accordo, ha disposto di far allontanare tutte le bande
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daiacche dalla citt, quelle che osteggiano maggiormente la tua dinastia, ordinando loro
di tornare nei villaggi dell'est. In un incontro che ha avuto con quei capi proprio ieri, e
nel quale li avvisava che ti avrebbe fatto oggi questa proposta, Monah e i suoi sottocapi
dissero di esser contrari ad ogni accordo. Ha quindi deciso di cacciarli non volendo pi
avere nel nostro esercito gente cos sanguinaria ed ostile ad una eventuale
riappacificazione. Se non credi a ci il mio padrone invita alcuni tuoi osservatori a
recarsi nel nostro campo; essi si potranno accertare della veridicit di quanto sto
dicendoti e vedere le trib daiacche che gi da questa mattina hanno iniziato ad
allontanarsi. Se tu, o sultano, volessi accettare benevolmente questa proposta Hold dar
ordine ai suoi uomini di sciogliersi, di deporre le armi in segno di sottomissione e di
restituire ci che hanno razziato nella citt. Se vorai addivenire quindi ad un accordo
una grande festa ed un luculliano banchetto potranno sancire questa soluzione
negoziale. Il convivio si potrebbe fare non appena i tuoi osservatori avranno riferito che
i daiacchi hanno lasciato la citt e quindi domani l'altro si potrebbe preparare la
memorabile festa di riconciliazione.
Finalmente il parlamentario tacque.
Sandokan aveva ascoltato in silenzio e con grande attenzione questo fiume di parole.
Assieme a lui avevano sentito anche gli altri membri della famiglia reale, che si
trovavano vicino al sultano sul parapetto della casamatta.
Sandokan era trasecolato e sconcertato. Il pi vivo stupore era segnato sul suo volto e
per parecchi secondi nulla rispose all'inviato di Hold.
Ma come, pensava Sandokan, ad un passo dalla probabile vittoria finale, il suo aborrito
avversario, dopo aver portato innanzi una guerra di totale sterminio, con una serie di
stragi, di trucidazioni, di genocidi, gli tendeva la mano? Dopo essere ricorso per mesi a
subdoli inganni, a corruzioni, a tradimenti, a diserzioni di massa ora gli proponeva un
patto di sottomissione e di sudditanza?
Il sentimento che il sultano provava nei confronti di quel bianco non poteva che essere
di avversione, di disprezzo e di ripugnanza. Tuttavia non poteva liquidare questa offerta
in modo troppo veloce con un secco rifiuto, decisione che poi avrebbe potuto
rimpiangere, non tanto per la propria vita, ma per quella di tutti i suoi amati familiari e
per i rajaputi che lo servivano fedelmente e che molto stimava per coraggio e lealt
dimostrata in quegli ultimi mesi.
Quindi se il cuore del giovane rajah era per uno sdegnoso rifiuto il suo cervello
propendeva per una ragionata e serena discussione con i suoi parenti e luogotenenti:
occorreva quindi prendere tempo.
Rivolto allora all'indiano che era rimasto in paziente attesa, appoggiato al bastone della
sua bandiera, disse:
- Va dal tuo padrone e riferiscigli che ho bisogno di pensare per soppesare quanto tu mi
hai detto. Domani alle prime luci dell'alba ti mander a chiamare per darti una risposta.
Intanto invier una decina di osservatori tra le tue schiere per controllare se quello che
asserisci vero. Conto sulla vostra lealt. Se ad uno di essi sar torto un solo
capello la mia risposta sar fuoco e fiamme. Ora vattene!

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CAPITOLO TREDICESIMO

UNA STRAGE ORRENDA

Dopo che l'inviato di Hold si fu ritirato, il sultano dispose che una decina dei suoi fidi
uscisse in perlustrazione onde visitare le file degli insorti.
La piccola compagnia, montata a cavallo, con le ultime bestie che stavano nelle scuderie
della reggia, con lance ed uniformi, con bandiere e vessilli onde farsi ben notare dai
ribelli, usc dal recinto della reggia e si diresse verso il nemico senza che nessun atto di
ostilit fu loro mosso contro. Il drappello gir in lungo ed in largo la citt, spingendosi
anche fuori della cinta, fino alle campagne pi vicine. Quegli esploratori poterono cos
accertare ci che in sostanza era l'unica cosa veritiera del racconto del parlamentare e
cio che i daiacchi dell'est si stavano velocemente ritirando. Le ultime bande lasciavano
in quel momento la capitale.
I rajaputi seguirono, da lontano, queste centinaia di uomini, carichi di ogni ben di dio
frutto del saccheggio della capitale, sin oltre l'accampamento nemico. Quando furono
ben sicuri sulle loro reali intenzioni, tornarono nella kotta, verso il pomeriggio avanzato,
riferendo al sultano quanto avevano visto e sentito.
Solo dopo aver appreso che almeno una parte dell'offerta di Hold corrispondeva al vero,
Sandokan si risolvette di radunare un consiglio di guerra nella sala principale della sua
reggia, invitando anche la madre e le due sorelle.
II Rajah riassunse ai presenti quanto era stato offerto da Hold e poi chiese a tutti di
intervenire sul problema, esponendo liberamente il proprio pensiero in merito; alla fine
lui avrebbe deciso.
Per primo prese la parola il comandante delle guardie reali:
- Mio sultano - disse - gli uomini possono resistere ancora a lungo, ma se il
coraggio non manca a nessuno, quello che gi scarseggia sono le munizioni. I nostri
inviati, spediti a comprare polvere e piombo, non sono ancora tornati. Non so se
potremmo sopportare un attacco in grande stile senza un adeguato rifornimento.
Prese a parlare poi un altro comandante che rifer sulle provviste da bocca:
- Abbiamo ancora cibi e bevande in abbondanza, ma le scorte non possono bastare
all'infinito. Al massimo tra una settimana saremo costretti a razionarle.
Agun, a sua volta, intervenne:
- Siamo rimasti in circa duecento uomini. Anche se i daiacchi si sono ritirati siamo
sempre molto inferiori di numero. La kotta un fortino molto resistente ma se ci
attaccassero da ogni lato potremmo capitolare in breve tempo. I nostri uomini sono
molto coraggiosi, questo vero, ma quello che i luogotenenti non hanno detto,
forse per orgoglio di comandanti, che essi sono demoralizzati. Cosa si aspettano
ancora? Anche se i nostri fidi che abbiamo mandato a Labuk tornassero non credo che
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muterebbe l'esito del combattimento finale. Anche questi rifornimenti finirebbero
prima o poi e quindi non ci resterebbe altro che morire in combattimento o fuggire dal
sotterraneo.
A questo punto parl Selim:
- Io penso che potremmo passare dal sotterraneo, ma non per scappare, bens per
prendere il nemico alle spalle. Sono certo che nessuno resisterebbe ad una carica furiosa
dei nostri soldati se alla loro testa vi Sandokan!
Muluder intervenne:
- Credo che dobbiamo pensare anche al vostro avvenire; ormai sono vecchio e l'unica
mia felicit di vedere i miei cinque figli viveri felici e tranquilli. Il nemico ci sta
offrendo l'unica possibilit di uscire dignitosamente da questa pessima situazione. Forse
potremmo accettare per poi, una volta ripreso il potere sull'intero sultanato, ridiscutere
gli accordi con questo maledetto uomo bianco.
Selim, trasportato dal suo carattere focoso volle intervenire di nuovo:
- Gi! Potremmo fingerci d'accordo per riprendere le forze, ricostituire l'esercito e
ripristinare il controllo su tutte le regioni. Poi si potrebbe far arrestare l'odiato inglese,
processarlo e condannarlo a morte!
Muluder prese di nuovo la parola:
- Saggio l'uomo che resiste, ma ancor pi saggio chi si adegua ad una situazione
difficile!
Sandokan era rimasto sino a quel momento in silenzio ad ascoltare i pensieri di tutti.
Ritenne quindi, visto che nessun altro parlava, di intervenire:
- Chi esplicitamente, chi indirettamente, escluso l'impetuoso Selim, siete d'accordo con
le proposte del nemico. Personalmente non sono d'accordo. Ritengo detestabile
abbassarsi a trattare con chi ha commesso ogni tipo di atrocit contro il nostro popolo.
Per quanto riguarda una eventuale fuga, davvero poco dignitosa, non mi sentirei pi un
uomo d'onore e tantomeno un sultano rispettabile se decidessi di abbandonare la reggia,
fuggendo di nascosto come un ladro. Non volger mai le spalle al nemico. Se non
avessimo con noi madre e sorelle sarei dell'avviso di resistere eroicamente sino alla
morte, oppure attaccare come suggerisce il generoso Selim. Purtroppo non posso
disporre della vita di chi ho pi caro al mondo. Costringerei volentieri madre e sorelle a
sfuggire all'assalto finale imbarcandosi subito, ma so che sono contrarie e non voglio
usare loro una violenza n farle soffrire comunque. Infatti se tutti morissimo e loro
fossero fuggite, quante lacrime verserebbero sapendo che l'intera famiglia stata
distrutta? Quindi non ritengo giusto imbarcarle a forza, anche in considerazione che il
nemico potrebbe intercettare la loro barca, farle prigioniere od ucciderle. Sono d'altra
parte convinto che se rimaniamo asserragliati qua dentro la nostra fine segnata in
quanto nessun atto di eroismo n l'idea di Selim di prendere il nemico alle spalle
potrebbe mai farci uscire vincitori. Forse avete ragione quando dite che si potrebbe
approfittare di questa occasione che ci si offre per riprendere il regno nelle mani e poi
far giustiziare il perfido bianco. Ma mi ripugnerebbe dare una parola e poi non
rispettarla. Quello che invece mi domando se possiamo fidarci delle profferte di pace
di quello spregevole individuo. Potrebbe infatti essere solo un tranello per farci
abbassare la guardia e prenderci poi di sorpresa. Non vi nascondo di essere tormentato
da questo dubbio.
- Ascolta Sandokan - lo interruppe il vecchio padre - Prendiamo tempo: comunichiamo
che tra un paio di settimane decideremo. Se non altro in questi quindici giorni i soldati
godranno di un meritato riposo mentre i nostri inviati saranno quasi sicuramente di
ritorno. Potremmo anche chiedere di visitare di nuovo il campo avverso per vedere se i
daiacchi per caso non siano ritornati e sapere se e quanti guerrieri avrebbe ancora a
disposizione il nostro nemico.
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- Forse disse il giovane rajah - questo il partito migliore da prendere e credo che . . . .
Sandokan interruppe la sua frase in quanto dal vestibolo proveniva uno strano vociare.
Tosto fu bussato ed un servo annunci che un uomo, uno dei rajaputi inviati i giorni
innanzi in cerca di nuove munizioni, era tornato ed attendeva di essere ricevuto.
Sandokan lo fece subito entrare.
Una volta al loro cospetto l'uomo, tutto coperto di polvere e sporco di fango, con le
vesti a brandelli ed una ferita lacero contusa sul capo, con voce concitata, disse:
- Mio signore, non siamo riusciti a compiete in pieno la missione che ci affidasti ma
solo a met.
- Siediti e raccontaci tutto con calma - gli disse il sultano.
L'uomo tracann in fretta un bicchiere d'acqua che Selim gli aveva porto e riprese il
racconto:
- Con i miei compagni eravamo discesi lungo il fiume senza incidenti. Avevamo
raggiunto poi Labuk dove il sultano aveva subito aderito alla nostra richiesta di fornirci
una adeguata scorta di polvere e proiettili. Tutto fu imbarcato sulle scialuppe e con esse
tornammo indietro risalendo la corrente del fiume. A due ore di voga dal lago fummo
colpiti da una scarica di fucileria che proveniva da una sponda del fiume. Uno dei nostri
cadde ucciso ma riuscimmo a spostarci verso la riva opposta. Purtroppo,
contemporaneamente, un albero, tagliato alla base, precipit addosso alle barche. Una di
esse venne centrata in pieno dal tronco e col a picco in mille pezzi, con tutto il carico e
con ogni uomo che la montava. Con la mia barca aumentai la voga ma fummo presi di
mira da altri selvaggi che ci scagliarono addosso un nugolo di frecce avvelenate. Alcuni
dei miei uomini vennero uccisi, ma nonostante ci riuscii a condurre avanti la barca e
con questa mi sono ormeggiato al piccolo porto. Siamo sbarcati e, non visti dal nemico
siamo riusciti a far entrare nel sotterraneo e a portare sino alla reggia il nostro carico di
munizioni.
Sandokan abbracci l'eroico luogotenente. Il soccorso auspicato era arrivato, ma solo
a met. Infatti Sandokan aveva sperato che il sultano di Labuk, reso edotto dal rajaputo
circa la gravissima situazione nel regno di Sabah, potesse inviargli aiuti non solo in
munizioni, per altro acquistate a peso d'oro, ma anche in soldati del proprio esercito.
Invece aveva appreso, interrogando ulteriormente il suo emissario, che il sultano di
Labuk aveva fatto finta di non comprendere l'angosciante situazione e i progressi
dell'insurrezione. Quindi Sandokan non poteva pi attendersi alcun aiuto
dall'esterno. Ormai ebbe la totale consapevolezza che i Muluder erano davvero soli di
fronte al nemico. Decise quindi di continuare la riunione che si era interrotta con
l'arrivo del suo soldato. Occorreva quindi decidere circa l'offerta che Hold gli faceva.
- Rinviare la decisione - riprese a parlare il rajah - pu sembrare sintomo di debolezza o
di irrisolutezza. Inoltre Hold potrebbe riprendere le ostilit cos stranamente interrotte.
Non vi nascondo che la notizia di aver ricevuto un considerevole rifornimento di
munizioni non mi colma completamente di gioia, poich avevo dato ai nostri uomini un
altro incarico, che per avevo mantenuto segreto a tutti. Non dovevano andare a Labuk
solo per comprare munizioni ma anche per indurre quel piccolo sultano a venire in
nostro soccorso. In cambio gli promettevo di versargli la met del nostro tesoro reale.
- Che cosa ti ha risposto quel sultanello? - chiesero a Sandokan tutti i presenti.
- Ha fatto finta di non capire il nostro disperato bisogno di aiuto, dimostrandosi codardo
e vigliacco oltre che miope. A questo punto, non potendoci aspettare aiuti dall'esterno
credo che aderir - e qui la voce di Sandokan sembr tremare - all'offerta di quel lurido
verme inglese. Domattina, con le dovute cautele mi accerter circa l'autenticit delle
sue promesse. Ora vi prego di andare tutti a coricarvi. Lasciatemi solo!
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Tutti si ritirarono in silenzio consci del difficile passo compiuto dal valoroso Sandokan
che, con la morte nel cuore, si disponeva ad accettare un compromesso forse
estremamente pericoloso con il suo mortale nemico.
Durante la notte il rajah non chiuse occhio: era tormentato da un dubbio atroce. Faceva
bene a fidarsi di Hold aderendo a quanto gli veniva proposto? C'era da credere in
un nemico implacabile ed infido, dietro al quale si celavano gli espliciti interessi
inglesi? Forse se avesse recepito pi risolutezza da parte dei familiari e dei suoi
luogotenenti avrebbe soprasseduto ad ogni risposta positiva ad Hold. Ma non poteva
non considerare i consigli avveduti del padre, di Agun e dei due sottocapi. In tutti
trasudava il desiderio di un accordo, di una tregua, di una pausa, dopo mesi di
combattimenti e di assedio, anche a prezzo di accordi dolorosi ai quali avrebbero
seguito cessioni di territorio o quanto meno una diminuzione del proprio prestigio
personale e dei Muluder in generale.
D'altra parte la situazione era davvero disastrosa. Di un intero regno, vasto quanto un
terzo del Borneo, non gli restava che una reggia, cinque costruzioni ed una polveriera.
Come pensare di prendere di nuovo il sopravvento contro un nemico che in pochi mesi
lo aveva in pratica relegato in un piccolo angolo di un vasto impero? Come non sentirsi
gi detronizzato? Era giusto seguitare a combattere disponendo della vita dei suoi
familiari? Era giusto perseverare a difendersi strenuamente, con cibo limitato, con
munizioni scarse e con pochissime risorse umane? Forse no!
La notte pass lentamente, ma alfine arriv il mattino e con esso la decisione definitiva.
Diede ordine ai propri cannonieri di scaricare per tre volte un cannoncino, onde attirare
l'attenzione del nemico. Poi fece scendere e risalire per tre volte la bandiera dei
Muluder sulla palizzata, segno che aveva qualcosa da comunicare agli assalitori e poi
aspett.
Questo segnale era atteso. Subito un gruppo di persone si avvicin alla reggia e tra
questi l'indiano del giorno prima. Il portone venne aperto e quello entr. Sandokan gli si
fece incontro e gli disse;
- Dirai al tuo padrone che accetto la sua proposta. Quando vorr potremo incontrarci e
decidere in merito a tutti i problemi da risolvere.
- Il mio padrone ti ringrazia e ti prega di partecipare ad un sontuoso banchetto che terr
in tuo onore. Non volendo offenderti con la sua presenza all'interno della tua reggia, ti
chiede di poterlo far allestire qui dinanzi all'ingresso della kotta, innalzando un tendone
nel quale mangerete. I tuoi guerrieri sono invitati a controllare sia dentro che fuori la
tenda onde nessuno possa pensare ad un tranello o ad una scusa per far avvicinare alla
recinzione qualcosa o qualcuno che ti possa poi attaccare. Alcuni tuoi rajaputi
potranno vigilare sui cuochi onde non si pensi che ti si possa avvelenare. Al banchetto
ovviamente saranno invitati tutti i membri della tua famiglia e tutti i generali del tuo
esercito. Il mio padrone vorrebbe fare il banchetto questa sera stessa, onde accelerare il
processo di pace.
- Va bene - rispose Sandokan, in parte soddisfatto in quanto ogni sua possibile
obiezione era stata prevenuta con offerta di grande trasparenza e sicurezza - ma ricorda
al tuo padrone che se mi si volesse ingannare lo ucciderei dinanzi a tutti i suoi selvaggi.
L'inviato si inchin e quindi usc dal recinto.
Sandokan comunic ai suoi familiari l'accordo e disse loro di preparasi al banchetto,
chiedendo se volessero mettere in atto qualche altro controllo per rendere pi sicura la
partecipazione alla festa che si sarebbe tenuta fuori dalla kotta stessa.
Agun stesso volle disporre una attenta sorveglianza, impartendo severe istruzioni a tutti
i rajaputi perch vigilassero sia durante i preparativi del banchetto sia durante la festa
stessa.
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Alcuni soldati di Sandokan scortarono fuori della cinta il cuoco cinese ed alcuni suoi
aiutanti onde controllassero la manipolazione dei cibi, sin da subito, mentre un cordone
di guardie reali circond il posto dove doveva sorgere il tendone per il pranzo, luogo
che si decise fosse a venti metri dall'ingresso della kotta.
Durante la mattinata alcuni uomini di Hold innalzarono un grosso padiglione al centro
della piazza cittadina antistante il portone del recinto reale. Come era nei desideri di
Sandokan si controll che nella tenda non si introducessero n guerrieri n armi. Tutto
dava ad intendere che nessun tradimento si nascondesse dietro a quella cerimonia che
altro non doveva essere che un pranzo di lavoro dove si sarebbero sanciti i termini degli
accordi di pace.
All'interno di quella specie di padiglione vennero distesi dei tappeti, portati dei mobili,
degli arazzi, molte lampade, e venne trasferito un gruppo di grossi tavoli che avrebbero
formato l'assito per il desco sul quale fu distesa una bellissima tovaglia di seta ricamata.
Accanto vennero disposti dei comodi sedili con dei soffici cuscini. Un'enorme quantit
di fiori trov posto sulla tavola, attorno ad essa e nel tendone stesso. Furono poi portate
botti di vino, un braciere, una cucina da campo ed una quantit enorme di frutta di ogni
tipo. La tavola fu guarnita di preziosi bicchieri di cristallo, di argenteria, di vasi, brocche
ed anfore e d'altri recipienti di ogni forma, genere e dimensione sui quali i cuochi
avrebbero poi servito delicati manicaretti e tipici piatti bornesi. Insomma era un vero
addobbo reale quello apprestato per tale cerimonia.
Nel pomeriggio si allestirono dei grossi bracieri ove cominciarono a cuocere vivande di
ogni tipo: interi babirussa, zampe di rinoceronti, quarti di bufali, selvaggina di penne la
pi svariata. La quantit delle vivande in preparazione era tale da soddisfare l'appetito
di oltre cento persone, in modo da offrire almeno un piatto caldo anche agli uomini di
Sandokan che avrebbero potuto cos partecipare alla festa pur seguitando a rimanere di
guardia ognuno al proprio posto.
Gi dal pomeriggio un invitante odore si era diffuso tutto attorno, facendo accrescere
l'appetito in chi da tempo si cibava solo di carne affumicata o conservata. Una schiera di
servi faceva la spola per portare al desco ogni cosa che potesse rendere pi gradita e
pi invitante la breve permanenza degli augusti ospiti. Si provvide anche ad illuminare
la tenda: delle lampade ad olio e a talco vennero poste per ogni dove, appese a ganci o
attaccate a lunghe aste, sia dentro che fuori il tendone. Una piccola banda musicale,
composta da sei elementi si dispose in un angolo, seduta in terra, preparando strumenti
a fiato, a percussione o a corda.
Evidentemente l'inglese voleva colpire i suoi regali invitati con una perfetta ospitalit,
degna di una reggia orientale in grado di offrire grande opulenza e non afflitta da una
guerra civile in corso come invece era. Oppure voleva fugare ogni ragionevole dubbio,
esibendo un confortevole ed accogliente luogo, ove tutto fosse molto curato, onde il
rajah pensasse che Hold teneva in gran considerazione i suoi convitati. Sandokan aveva
in quelle ore tentato di convincere la madre, le sorelle ed il vecchio padre a non
partecipare alla cena, in quanto riteneva inutile esporli ad un possibile pericolo. Ma il
vecchio sultano intendeva invece dare con la presenza di tutta la famiglia reale pi
autorevolezza e prestigio all'incontro, anche per conservare quel poco di carisma che era
rimasto tra i rajaputi dopo la cocente disfatta della citt. Inoltre voleva colpire
l'aborrito nemico con una imponente e sontuosa regalit al fine di cercare di irretirlo e
ricondurlo a pi miti consigli. Quindi il vecchio Muluder convinse Sandokan che era
meglio che partecipasse tutta la famiglia ed anche i pochi generali che erano rimasti
ancora in vita. Il corteo reale sarebbe stato composto quindi di undici persone. Sandokan
a malincuore accondiscese proprio per non privare il padre di quella piccola
soddisfazione dopo tanti rovesci, umiliazioni e dolori.
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Arriv finalmente la sera.
Sandokan dette severe disposizioni ai suoi seguaci affinch la vigilanza fosse ferrea e
l'attenzione massima. Ognuno doveva vegliare sulla sicurezza comune, poich era
meglio non fidarsi delle buone intenzioni del nemico.
Intanto gli invitati impiegarono le ultime ore per fare toletta e vestirsi degli abiti
migliori del proprio guardaroba. Sandokan calz alti stivali di pelle nera, larghi
pantaloni rossi e una variopinta camicia coperta da un gilet senza bottoni. Un turbante
bianco con un ricco brillante appuntato sotto la piuma gli cingeva la testa. Ai fianchi
aveva una scimitarra tempestata di pietre preziose , due pistole dalla lunga canna e un
krss: non voleva certo recarsi all'incontro disarmato. Anche gli altri componenti della
famiglia avevano scelto sfarzosi vestiti. Le due sorelle in particolare sfoggiavano
eleganti dooty arancioni ed avevano i capelli imperlati di piccoli fiori bianchi che ben
spiccavano sulle loro capigliature scure.
I quattro luogotenenti, che accompagnavano la famiglia reale, si erano anch'essi
coperti di ricche giacche rosse, proprie della divisa dell'esercito dei rajaputi.
Quando arriv l'ora convenuta, preceduti da un drappello di soldati armati di tutto
punto, il corteo si mosse verso la tenda. Le guardie di vedetta sugli spalti avevano
tranquillizzato Sandokan, avvertendolo che nessun movimento sospetto era stato notato
durante tutti i preparativi. Inoltre alcuni soldati avevano visitato or ora la tenda per
accertarsi che sotto di essa non si celassero insidie o tradimenti.
II drappello che accompagnava il seguito reale si dispose come un cordone attorno alla
tenda, mentre gli ospiti si diressero al suo ingresso davanti il quale li attendeva l'uomo
bianco. Vestiva per l'occasione un completo di flanellina con un cappello a
larghe tese. All'avvicinarsi del corteo si scopr il capo abbozzando un goffo inchino.
Sandokan ed il suo seguito non si degnarono nemmeno di rispondere a quel saluto ed
entrarono nella tenda sedendosi al desco. Il rajah ad una capo della tavola e Hold
all'altro. Parenti e luogotenenti si disposero dove meglio credettero.
Anche l'avventuriero sedette e batt le mani: tosto entrarono una dozzina di servi
portanti caraffe di ottimo vinello di palma da offrire come aperitivo. All'esterno altri
servitori offrirono copiose bevande agli uomini di guardia, sia a quelli attorno alla tenda
sia alla guarnigione sulle palizzate. Avevano infatti portato delle botti di vino davanti
all'ingresso della kotta. Ma i soldati, molto diffidenti pretesero giustamente che i
servitori assaggiassero quel prodotto prima di berlo loro stessi. I servi non si fecero
pregare e ne bevvero tutti un buon bicchiere. Rassicurati da quel gesto e vedendo che
nessun effetto negativo produceva sui servitori, dopo una buona mezzora anche i
rajaputi presero parte a quella bevuta generale, attingendo copiosamente da quelle
botti il generoso vino di palma.
Nella tenda, dove la cena era frattanto iniziata, nessuno parlava. Il silenzio era rotto da
una dolce e suadente musica che proveniva dagli strumenti abilmente manovrati dalla
banda che riusciva a dare prova della propria eccellente bravura. Comunque l'atmosfera
attorno al tavolo era molto tesa. Hold cerc a pi riprese di iniziare un discorso, almeno
con i quattro luogotenenti di Sandokan che gli sedevano vicino, interrogandoli sul cibo
o sulla musica offerti in sala.
La cena si prolung per una buona ora: ognuno cercava di mangiare con appetito, anche
se questo mancava in quasi tutti i commensali, preoccupati e tesi per quella delicata ed
imbarazzante situazione che mal si conciliava con quei piatti prelibati ed eccellenti.
Comunque il pasto volse alla fine. Ora era stata servita la frutta, offerta da dodici
servitori, i quali si erano portati ognuno dietro un invitato, per porgere un piatto con
grossi ananas da aprire.
Proprio in quel momento Sandokan, approfittando di uno spiraglio dell'uscio della
tenda lasciato aperto per un attimo, vide che un rajaputo di guardia barcollava come se
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fosse stato ubriaco. Non sapendo come spiegare questo strano comportamento del suo
soldato, fece un cenno con la mano ad un luogotenente che era seduto a tavola poco
discosto, come per dirgli di andare a controllare.
Ma nel medesimo tempo accadde una cosa davvero improvvisa: i servi che si trovavano
dietro ai commensali intenti a sporzionare alcune noci di cocco, tagliandole con dei
grossi coltelli, ad un colpo di tosse di Hold, segnale evidentemente convenuto, fecero
cadere a terra i piatti ed i coltelli ed impugnarono dei corti tarwar che avevano nascosto
nelle loro larghe tuniche. Sandokan, avvedutosi per primo di questo inatteso
atteggiamento offensivo e pericoloso, si alz di scatto in piedi, rovesciando la sua
seggiola, tosto seguito da tutti gli altri commensali. Nello stesso istante i traditori
alzarono le piccole scimitarre roteandole sulla testa degli invitati. Purtroppo, nonostante
che ognuno si fosse alzato in piedi, l'azione dei seguaci di Hold fu troppo fulminea per
porvi rimedio e non tutti riuscirono a schivare i primi fendenti che si abbatterono
addosso ai Muluder. La madre e le sorelle di Sandokan, impacciate dai lunghi vestiti,
non riuscirono ad allontanarsi in tempo dai loro assassini che fecero cadere su di esse
dei fendenti che le raggiunsero sul collo, sulle spalle e sulla testa: caddero a terra
urlando di dolore, colpite purtroppo a morte. Sandokan emise un urlo che nulla aveva di
umano, mentre gli altri familiari gridavano per far accorrere i rajaputi che credevano
ancora di guardia fuori la tenda. Ognuno cerc di impugnare un arma per difendersi
dagli assalitori, mentre un parapiglia generale animava quella scena che trasudava vilt
e tradimento. Sandokan, grazie alla sua agilit, riusc a schivare due fendenti a lui
diretti, fece un passo indietro ed impugn le due rivoltelle che aveva alla cintura e che
erano per fortuna gi cariche. Ognuna di esse aveva due colpi. Puntarle su altrettanti
nemici e far fuoco fu l'affare di un solo istante. Nonostante non avesse mirato, tre
uomini caddero a terra col cranio fracassato. Contemporaneamente grid, con una voce
che sembrava un colpo di tuono:
- Cani traditori! A me rajaputi! Scappiamo da questa trappola!
I suoi soldati purtroppo non potevano sentirlo poich un potente narcotico, mischiato
alle bevande che avevano tracannato con ingordigia poc'anzi, aveva prodotto in loro un
subitaneo torpore e poi uno svenimento. E proprio un rajaputo che cadeva a terra era
quello che in Sandokan aveva acceso il dubbio del tradimento.
Mentre Sandokan uccideva i tre traditori, gli altri Muluder tentavano di giocare le loro
ultime difese. Il vecchio sultano si era slanciato con il suo kampillang contro il
diabolico Hold. Il bianco, alzatosi in piedi, con una pistola in pugno la scaric in pieno
petto al padre di Sandokan fulminandolo. Il povero vecchio si port le mani al cuore,
lanci uno sguardo di profondo odio al suo assassino e cadde prima in ginocchio e poi in
terra a faccia in gi senza emettere nemmeno un rantolo.
Contemporaneamente un selvaggio combattimento, un corpo a corpo, spasmodico, era
stato ingaggiato dagli altri commensali contro i servi, il cui numero si era accresciuto
per l'arrivo dei cuochi e degli inservienti della cucina, armati di spiedi, di coltellacci e
di grossi randelli. Presi alle spalle caddero ad uno ad uno i quattro luogotenenti del
rajah, ma solo dopo aver ucciso altrettanti uomini. Rimanevano allora in vita soltanto i
tre fratelli che, con il volto trasfigurato dall'orrore e dal tremendo dolore per il massacro
dei propri congiunti, mulinavano le loro scimitarre con grande maestria, resi pi temibili
dal pericolo di essere tutti trucidati. Saltavano come scoiattoli sopra il tavolo,
impugnavano bottiglie e piatti lanciandoli addosso ai nemici, rovesciavano sedie, si
slanciavano a destra e a sinistra evitando di essere colpiti dai numerosi proiettili che
Hold, circondato dai musicisti che gli facevano barriera, scaricava dalle sue pistole.
Dopo alcuni minuti di questa furibonda lotta, i tre Muluder si ritrovarono addossati ad
un lato della tenda stretti da un muro di coltelli e sciabole che tentavano di colpire quei
tre eroi. Si erano appoggiati al tendone per poter avere nemici solo di fronte e non
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anche dietro le spalle e tenevano testa a tutti con grande coraggio. Ma il numero dei
nemici era enorme. Inoltre Hold, che aveva potuto evidentemente ricaricare le sue
pistole continuava a far fuoco contro di loro senza curarsi se nel parapiglia generale per
sbaglio feriva o uccideva anche i suoi uomini. Agun, con un fendente tent di
stracciare la tenda alle sue spalle. In parte vi riusc, ma la resistenza che oppose
quel pesante tessuto gli fece perdere qualche secondo prezioso che venne messo a
frutto dai suoi nemici che con un colpo di tarwar gli mozzarono un braccio. Pur
cos orrendamente mutilato, sapendo ormai di essere spacciato si slanci a corpo
morto contro il suo assalitore, spaccandogli la testa con una vigorosa sciabolata. Ma
un colpo di lancia lo raggiunse in pieno petto, abbreviando cos la sua sofferenza.
Anche Selim, sopraffatto dal numero venne ferito da una piattonata alla testa. Si
accasci al suolo urlando:
- Salvati Sandokan e vendicaci tutti!
Tre nemici gli si slanciarono sopra colpendolo a morte senza misericordia. Il cerchio
di lance, di scimitarre e di coltelli si volse allora tutto contro l'unico superstite,
il quale vedendo la fine miseranda degli ultimi due familiari, cominci a gridare
come un ossesso, raddoppiando e triplicando la sua energia. I nemici che stava
uccidendo non si contavano pi. I selvaggi cominciavano a pensare che fosse un genio,
una deit o un demone, tanto era forte ed invincibile. Ora spaccava la testa ad un
assalitore, ora spezzava un braccio ad un altro, ora colpiva al cuore un terzo, ora si
abbassava e velocissimamente feriva un quarto nel ventre.
Ma in quel mentre uno spettacolo ancora pi terribile colp il suo occhio, una visione
forse pi tremenda dell'assassinio dei suoi familiari: alcuni nemici, che erano entrati di
rinforzo avevano decapitato i morti ed stavano infilzando le loro teste sulle punte delle
lance, che presero ad agitare di fronte a Sandokan, in una macabra danza. Sandokan
vide la testa del padre, della madre, delle sorelle, con l'espressione del terrore pi vivo
ancora scolpita su quei lineamenti contratti.
Allora il rajah, comprendendo che nulla pi poteva fare per difendere i suoi congiunti,
orribilmente massacrati, decise di sganciarsi dal nemico. Ululando come un lupo e
ruggendo come un leone, con gli occhi fuori dalle orbite, coperto di sangue dei nemici
in varie parti del corpo, con i capelli scarmigliati e gocciolanti sudore, con una bava
sanguigna alla bocca e con i lineamenti del viso sconvolti dalla rabbia, si slanci a corpo
morto sul nemico, che nonostante fosse in numero schiacciante fu costretto ad
indietreggiare. L'impeto del sultano, accompagnato da una forza centuplicata dal cieco
furore, gli fece compiere una prodezza impossibile ad altri: si apr cos il passo
attraverso la schiera dei nemici, come un cuneo, lasciando dietro di se una scia di
sangue e di morte. Nessuno poteva resistergli. Dopo aver spezzato la lancia ad un
nemico che gliela puntava al petto e dopo aver abbattuto con un colpo di kriss, un
selvaggio che gli si era parato innanzi si slanci fuori della tenda verso la reggia.
Arrivare al portone, chiuderlo e sprangarlo fu l'affare di un momento.
Riprese un attimo fiato e si osserv attorno, chiedendosi come mai nessuno dei suoi
uomini fosse intervenuto in loro difesa.
Vide allora ci che era accaduto e cap. Giacevano tutti a terra o sui camminamenti,
addormentati e narcotizzati dall'oppio che evidentemente era stato sciolto nel vino.
Come era potuto accadere ci, considerando che le bevande erano state assaggiate
dai servi di Hold prima che fossero distribuite ai soldati di Sandokan? La
spiegazione era sconcertante ma semplice: allinsaputa dei suoi stessi servi, che in
buona fede avevano bevuto vini e liquori Hold aveva fatto mischiare alle bevande
un forte sonnifero a base di oppio, che agiva sullorganismo dopo una decina di
minuti. I primi a cadere addormentati furono proprio i servi delluomo bianco, ma
ormai le bevande erano state tracannate da tutti i soldati ed il danno era purtroppo
compiuto!

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Accanto ai soldati di Sandokan vi erano moltissimi nemici che li stavano
vigliaccamente uccidendo: Il rajah cap, solo allora, che era stato ordito un
inganno perfetto, degno di una mente diabolica allenata ad ogni sorta di terribile
e abominevole azione.
Gli stessi nemici sugli spalti, vedendo Sandokan interruppero il loro lavoro e si
slanciarono gi dalle scale per catturare il sultano.
Il rajah, veloce come una gazzella si slanci all'interno della reggia, raggiungendo le
cantine. Di l imbocc il tunnel segreto che portava al piccolo molo. Corse al buio come
un gatto, ben sapendo che lo scavo procedeva dritto e senza ostacoli. In breve raggiunse
l'uscita, vide una barca seminascosta tra le alte erbe di un canneto, la spinse in acqua e
si iss a bordo, Prese un remo e la diresse verso il largo. Poi trov un altro remo, lo
mise in acqua e cominci a vogare con rinnovato vigore, imprimendo subito una
considerevole velocit al natante.
Quando era gi lontano dalla riva si cominci ad alzare una leggera nebbiolina che
ammant la visione della reggia illuminata di una sorta di velo biancastro ed irreale. Si
vedevano i fuochi e le lanterne ancora accese in quello che era il suo mondo, la sua
casa, il suo tutto. Una lacrima e poi un'altra cominciarono a scendere sulle guancie del
fuggitivo, rigando quel volto bruciato dal dolore che forse da quando era bambino non
conosceva il pianto.
E mentre piano piano i contorni di quel panorama triste e ormai spaventevole perdevano
nitidezza e si confondevano col buio, Sandokan il prode guerriero ormai solo, colpito
nel pi profondo dell'animo, con la morte nel cuore, si alz in piedi sulla barca e,
tendendo i pugni verso i suoi nemici, incurante della possibilit di essere sentito,
individuato ed inseguito, grid:
. Torner dannato uomo bianco, distruttore della mia famiglia, e ti manger il cuore!
Poi si chin nuovamente sui remi e continu a vogare.
Dove andava? Presso chi si dirigeva? Nemmeno lui lo sapeva.
Un futuro davvero incerto e pericoloso lo attendeva.
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PARTE SECONDA

ALLA RICONQUISTA DI UN

TRONO


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CAPITOLO PRIMO

UNA CACCIA SPIETATA

Sandokan era come impazzito dal dolore. Il suo cervello non ragionava pi; non riusciva
a pensare a nulla: aveva stampato negli occhi le tremende immagini della strage appena
compiuta.
L'ignobile tradimento ordito dall'inglese era riuscito alla perfezione. L'intera famiglia
dei Muluder era stata sterminata al completo, senza possibilit d'alcuna speranza che
qualcuno fosse rimasto anche solo ferito da quelle mani assassine: Sandokan, infatti,
mentre si creava un varco tra le schiere nemiche, aveva assistito impotente all'efferata
decapitazione dei suoi genitori, delle sorelle e dei fratelli. La ripugnante scena delle loro
teste appena staccate dal busto, con il sangue ancora pulsante e con i tratti del volto
atrocemente sconvolti, infilate nelle lance e portate come trofeo dagli ignobili assassini,
era ormai scolpita indelebilmente nella mente del rajah e mai pi si sarebbe cancellata,
per quanto tempo potesse poi passare da quello spaventoso momento. Con questi
terribili pensieri nella testa il sultano vogava sul battello senza alcuna direzione.
Una, cinque, dieci volte Sandokan si era fermato con l'intenzione di tornare indietro per
raggiungere l'odiato bianco e trafiggerlo col suo kriss. Ma poi il fuggitivo riprendeva a
remare, per fermarsi di nuovo dopo alcuni minuti. Sapeva bene che tornare alla reggia
significava una morte certa per lui. Comprendeva che il suo gesto, seppure coraggioso,
era perfettamente inutile. Ma cosa gli importava oramai? Pi nulla lo legava a questo
mondo. Orbo degli affetti pi cari, privato del sultanato, con gli amici pi fedeli
uccisi o catturati, cosa pi lo teneva in vita? Forse solo l'odio profondo ed
inestinguibile verso l'esecrabile individuo fonte di tante disgrazie, forse solamente il
desiderio di rivincita o la speranza di riconquistare il regno. Ma su chi contare? A chi
chiedere aiuto ora che si trovava completamente solo, senza un uomo di scorta, privo
della pi piccola sussistenza in un paese che gli sembrava immenso e per giunta
attraversato dalle bande dei rivoltosi?
Come poter sperare di riconquistare il sultanato ora che non disponeva nemmeno di una
piccola parte degli immensi tesori della corona? Come poter ipotizzare di riorganizzare
un esercito o anche un gruppo d'armati con i quali tornare verso la sua citt natale?
Questi erano i pensieri che si rincorrevano nella mente sconvolta del rajah, come un
vortice pazzesco, annebbiato dal dolore per la morte dei suoi cari.
Un velo gli era sceso davanti aglio occhi, una specie di nebbia che gli offuscava la vista
impedendogli di vedere quello che il buio della notte gi gli nascondeva. Erano lacrime?
Era collera? Era furore? O forse era il dispetto per essersi messo lui stesso, con le
proprie mani in balia del nemico partecipando a quell'assurda cena alla quale non
avrebbe mai dovuto aderire?
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Passarono parecchie ore della notte in questo turbinio impetuoso di pensieri e di
sentimenti.
Sandokan aveva smesso di remare, lasciandosi trasportare dalla debolissima corrente del
lago in direzione del suo estuario, che, trasformatosi poi in largo fiume, dopo centinaia
di chilometri conduceva al mare.
Finalmente il sultano si scosse da quel torpore, anche perch aveva sentito un forte
vociare; si guard attorno e si avvide che la profonda oscurit era rotta, in lontananza da
moltissimi puntini luminosi, come delle fiammelle. Si accorse anche che alcune di
queste si trovavano dietro di lui e si muovevano, segno evidente che qualcuno, a bordo
d'imbarcazioni, lo inseguiva. Probabilmente anche sui bordi del lago si facevano delle
ricerche per rintracciarlo e catturarlo.
A questo punto nell'animo del nostro eroe prevalse la voglia di sottrarsi alla cattura:
questo desiderio vinse cos su quello di tornare indietro ed attaccare a corpo morto il
nemico, anche a costo della vita. Ci che lo spinse a questo passo non fu certo il
pericolo imminente di essere catturato o ucciso, ma solo la smania, la selvaggia
bramosia di recuperare in qualche modo una situazione ormai persa. Aveva finalmente
deciso: sarebbe andato nelle foreste, sino al mare, per radunare i pochi fidi che lo
aspettavano con i tesori della corona nel luogo stabilito e fissato prima che le barche
contenenti anche i feriti partissero dalla reggia alcuni giorni avanti dell'attacco finale.
Con quei denari avrebbe radunato dei soldati, ed avrebbe organizzato una resistenza
armata al nuovo rajah, sia questo fosse stato Hold, sia che al suo posto gli inglesi
avessero messo un altro uomo.
E mentre Sandokan riprese a remare con rinnovato vigore, i suoi pensieri seguitavano a
muoversi nella mente: cercava di decidere quale soluzione prendere per sfuggire ai suoi
inseguitori. Cos facendo non si accorse nemmeno che la notte era quasi trascorsa e che
tra breve il buio avrebbe lasciato il posto all'alba.
Era stato sveglio tutta la notte ma non era pervaso da alcuna stanchezza. Nonostante
loscurit due imbarcazioni continuavano ad inseguirlo ad una distanza di circa duecento
metri. Ad un certo punto le tenebre furono rotte dallaurora e Sandokan comprese che
gli inseguitori non solo potevano ora vederlo bene ma erano in grado anche di
raggiungerlo poich non era in grado di competere con una decina di remiganti. Per
questo motivo Sandokan decise di accostare alla riva sinistra di quello che ormai si
era trasformato in fiume. Infatti il lago Kin si era rimpicciolito nella sua punta
occidentale e si era ristretto talmente da trasformarsi in un largo corso d'acqua che altro
non era se non l'estuario del lago stesso. Sandokan quindi si avvicin a quella sponda
sia per sfuggire alla caccia degli inseguitori, sia per prendere un poco di riposo: erano
oltre quaranta ore che non prendeva sonno. Impresse quindi una direzione diversa alla sua
imbarcazione che tosto si avvicin alla riva. Scese da questa e la nascose sotto un
cumulo di canne e palettuvieri, che abbondavano su quel punto del fiume; poi fece
pochi passi verso l'interno finch trov un buon nascondiglio sotto un ammasso di
calami e di foglie secche, probabilmente ammonticchiate da una piena del fiume o dal
vento dell'ultimo temporale. Da quel luogo poteva osservare bene chi fosse che lo
inseguiva e di quanti uomini era costituito tale gruppo. Dopo un quarto d'ora i due
natanti raggiunsero il luogo ove Sandokan era celato. I vogatori rallentarono
l'andatura per individuare il punto ove il fuggitivo era scomparso. Ma quale fu la
sorpresa del rajah nel vedere che quelle persone che pensava fossero una banda di
rivoltosi, altri non erano che alcuni rajaputi, che aveva lasciato la sera prima a guardia
della reggia! Temendo per un nuovo tradimento e rammentando che tanti altri suoi
fedeli soldati erano passati ad ingrossare le file del nemico, tradendo senza tanti
problemi la propria bandiera, si fece guardingo evitando per il momento di richiamare su
di se l'attenzione dei sopravvenuti. Aguzzando l'udito riusc a percepire il seguente
discorso:
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- Mi era sembrato di vederlo - diceva un uomo.
- Forse ti sei sbagliato - rispondeva un altro.
- Anch'io ho visto il nostro amato sultano dirigersi da questa parte - interloqu un terzo.
- Dividiamoci - riprese la prima voce - chi lo rintraccia cercher di avvisare gli altri.
Ma mi raccomando, non sparate se non in caso di necessit. I nostri maledetti
persecutori ci stanno inseguendo e non il caso di indicare loro la nostra presenza in
questo luogo.
Tali parole rassicurarono Sandokan, facendogli comprendere che quegli uomini erano
sopravvissuti alla strage come lui e che erano anch'essi dei fuggitivi. Decise quindi
di mostrarsi loro. Uscito allo scoperto ed avvicinatosi al gruppo che stava per
allontanarsi grid:
- Amici, sono qui!
Tutti lo riconobbero ed accostati i canotti alla riva sbarcarono in fretta circondandolo
con grida di giubilo:
- Evviva il Sultano! Lunga vita al nostro signore!
Sandokan li ringrazi con gioia, poi li preg di non fare troppo rumore e decise quindi
di imbarcarsi assieme a loro, facendo prendere a rimorchio il suo natante. Tutti
risalirono a bordo e le tre scialuppe ripresero il largo, continuando a scendere la
corrente. Nel frattempo Sandokan aveva riconosciuto in quegli uomini un gruppo di
soldati fidatissimi che aveva posto a guardia dell'appartamento della madre e delle
sorelle. Si trattava di dodici uomini molto robusti e ben armati. Li comandava un
malese, un certo Raput, un uomo basso come tutti quelli della sua razza, ma con delle
braccia talmente muscolose che sembravano tronchi d'albero. Completamente calvo,
aveva il capo tinto con olio di noce di cocco, come il resto del corpo, coperto solo da un
sottanino e da una casacca senza maniche. Aveva circa venti anni ed era stato proprio il
sultano ad arruolarlo quando alcuni anni prima si era recato sulla costa bornese dove
aveva conosciuto Raput.
Una volta allontanatisi dalla riva diressero i natanti al centro del fiume, onde essere pi
distanti dalle due sponde in modo da rimanere fuori della portata almeno delle
cerbottane se non dei fucili, essendo in quel punto il fiume largo non pi di cinquanta
metri. Mentre gli uomini remavano nel pi completo silenzio, rotto solo dallo sciabordio
dei piccoli legni, che fendevano le acque limpide e piene di pesci, e dal rumore dei remi
che s'immergevano nel liquido elemento, Sandokan si era posto seduto sulla prua di uno
dei canotti con le gambe incrociate e le braccia conserte: sembrava un Buddha in
meditazione. Gli occhi fissi sul fiume, il volto segnato da un dolore immenso, i capelli
lunghi mossi da una leggera brezza che li scompigliava, il sultano spodestato sembrava
completamente assente. Nessuno degli uomini osava interrompere quel mistico
raccoglimento.
Ad un tratto un avvenimento ruppe il silenzio ed i pensieri di tutti: sul lato sinistro del
fiume apparvero dei selvaggi che sembravano correre a gran velocit con la stessa
andatura delle barche lungo il fiume. Erano diverse decine d'uomini che ora
scomparivano, coperti dalla lussureggiante vegetazione, ora ricomparivano alla vista dei
fuggitivi. Evidentemente il perfido Hold, non contento di aver distrutto la potenza del
rajah e l'intera famiglia reale, stava disperatamente cercando anche l'ultimo
sopravvissuto, sulle cui tracce aveva scagliato le centinaia di selvaggi che ancora gli
rimanevano.
Sandokan ordin ai remiganti di gettarsi verso la riva opposta sia per sottrarsi alla vista
di chi li stava cercando, sia per mettersi al sicuro da eventuali scariche di fucileria. Ma
purtroppo dei clamori assordanti si levarono dalla riva ove si erano visti quegli
uomini correre, segno evidente che i fuggitivi erano stati scorti.
- Allungate le battute e spingetevi al largo! - ordin Sandokan ai rajaputi.
152

Subito il ritmo delle vogate aument mentre le tre barche si portavano velocemente
dalla parte opposta del fiume, inoltrandosi sotto un dedalo di piante fluviali. Questa
manovra fece s che i nostri eroi si sottrassero alla vista dei rivoltosi, giacch gli enormi
alberi che fiancheggiavano quella via d'acqua, con i loro rami ricurvi realizzavano un
immenso sipario, poich le foglie e le liane arrivavano quasi sull'acqua. Quella piccola
volta di verde fu imboccata dalle tre barche che vi si misero sotto come una sorta di
barriera protettiva. Era ora necessario accumulare pi distanza possibile tra i fuggiaschi
e gli inseguitori, stando per bene attenti a non incagliarsi nei frequenti banchi di sabbia
che si trovavano lungo il percorso vicino alla riva.
Ma in quel momento un rullio di tamburi lontani trasmise qualche messaggio sotto la
foresta. Dopo neanche un minuto un identico tambureggiare si ud dalla sponda opposta,
cio da quella pi vicina agli uomini in fuga, segno evidente che i nemici erano riusciti
a corrispondere con altri guerrieri sparsi nelle foreste vicine. Un'imprecazione sfugg
dalla bocca del rajah, il quale poi disse:
- Siamo stati scoperti. Tra poco saremo oggetto di un attacco da ambedue i lati del
fiume. La nostra salvezza sta ora nelle vostre braccia. Cercate di volare sull'acqua. Gli
uomini non si fecero ripetere l'ordine, imprimendo maggiore velocit ai piccoli
legni, che cominciarono a filare come rondini marine. I muscoli dei vogatori erano tesi al
massimo e parevano volessero scoppiare fuori da quelle braccia, per quanto erano gonfi,
mentre i remi venivano tuffati e poi estratti dal fiume con una velocit impressionante.
Anche se la stanchezza cominciava a pesare su quei corpi, che da troppo tempo ormai
non mangiavano e non dormivano, pure ognuno dava gran prova di forza e di resistenza.
Dopo un'ora circa, durante la quale erano stati percorsi diversi chilometri, quando gi i
fuggitivi credevano di aver ben distanziato il nemico e stavano sensibilmente
rallentando le battute, mentre tutti i loro corpi erano bagnati fradici dal sudore emesso
per quella grossa fatica, si ud sulla riva del fiume pi vicina alle barche un rumore
come di un corpo legnoso che si spezzi, e prima ancora che a qualcuno dei fuggiaschi
fosse venuto in mente la necessit di scostarsi da quella sponda, un enorme albero, alto
pi di venti metri, s'inclin e precipit nel fiume.
Gli uomini di Sandokan si avvidero del pericolo immediato e cercarono di porvi riparo
deviando il percorso delle imbarcazioni; ma, sia a causa della mancato coordinamento,
sia a causa di uno spostamento nella caduta dell'albero, una scialuppa fu centrata in pieno
da quell'enorme massa. Con un tonfo sordo l'albero la distrusse completamente. Gli
occupanti vennero chi schiacciati dall'albero, chi trascinati sott'acqua dai rami della
pianta e chi tramortiti dal colpo. Fatto sta che non uno degli occupanti si salv. Gli altri e
lo stesso Sandokan cercarono i corpi degli amici ma dovettero subito desistere da tale
pietoso compito poich altri alberi, recisi alla loro base da mani esperte,
cominciarono a cadere in acqua per ogni dove. Nel poco volgere d'alcuni minuti una
ventina di grossi vegetali si abbatterono nel fiume, sollevando grosse ondate che per
poco non travolsero i due natanti del rajah. Un'indovinata manovra dei rematori
allontan le due barche dal punto pi pericoloso, facendo s che raggiungessero di
nuovo il centro del fiume.
Trovato in quel punto una momentanea sicurezza, ai fuggitivi non rimase altro che
piangere i valorosi uomini che erano rimasti uccisi in questa nuova imboscala.
Sandokan soffriva molto di questa sua impotenza, resa pi grande dall'impossibilit di
uccidere uno solo dei nemici, occultati com'erano dal folto bosco e dalla lussureggiante
vegetazione che proteggeva le due rive del fiume.
Il sole si era fatto nel frattempo alto sull'orizzonte riversando tutto il suo calore per ogni
dove, mitigato solo in parte dalla distesa d'acqua che circondava i nostri eroi, che
avrebbero voluto ripararsi lungo le rive sotto le enormi chiome degli alberi; ma
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Sandokan non si azzardava a fare tale manovra per non incorrere ancora in micidiali
ulteriori attentati. Comunque al centro del fiume la corrente era pi veloce, cosa questa
che permise a tutti di abbandonare i remi ed assaporare un poco di riposo dopo tante
traversie. Si pens solo di mantenere le due imbarcazioni al centro del fiume, il pi
possibile lontane dai pericoli delle due rive. Durante questa pausa, che ci si augurava
fosse pi duratura possibile, si fecero sentire in tutti i morsi prepotenti della fame: infatti
il digiuno era durato troppo a lungo. S'imponeva quindi uno sbarco su una delle due
rive per una breve partita di caccia. Ma come azzardarsi ad accostarsi su una sponda
dopo il pessimo benvenuto dei nemici che era costato la perdita di sei uomini?
Seguitando a pensare a questi problemi la navigazione si era fatta pi spedita: il fiume
stava diventando sempre pi largo e la corrente anzich diminuire sembrava
aumentasse, continuando a far scendere le barche senza bisogno di remare. Sandokan,
sollecitato anche dai suoi uomini, che non nascondevano pi il loro desiderio di
scendere al pi presto a terra, anche a costo di incappare in un'altra imboscata,
acconsent a tale impellente necessit: ordin di accostare quindi alla riva sinistra. In
breve le imbarcazioni, con molta circospezione e procurando di vedere se sotto la
verzura ci fossero gli implacabili nemici, presero terra, in mezzo ad una fitta cortina di
bassi alberi, le cui radici lambivano il pelo dell'acqua. Sembravano dei tentacoli di
qualche orrida piovra che volessero scendere nel fiume: erano color marrone, pieni di
piccole radici laterali, sporchi di terra e ricoperti di un verde muschio. Subito due
uomini scesero e s'inoltrarono sotto il bosco in un ginepraio tale di piante e liane da
scomparire subito alla vista dei compagni, che erano rimasti sui legni con le carabine
puntate verso terra. Sandokan approfitt della sosta per ordinare a due uomini di salire
stabilmente sulla piccola barca che era stata di Sandokan e che fino ad ora era stata
rimorchiata senza occupanti a bordo.
Il rajah aveva pensato che era meglio suddividere le esigue forze per offrire un minore
bersaglio ad eventuali tiri dei nemici.
Si ud poco dopo uno stormire di foglie, segno evidente che qualcuno avanzava sotto il
bosco. Tutti puntarono le armi, pronti a far fuoco; ma fu inutile poich erano i due
compagni che tornavano dopo il giro di perlustrazione.
Avevano con loro un giovane babirussa che avevano catturato con un laccio, evitando di
tirare con i fucili per non richiamare l'attenzione dei nemici che potevano essere forse
vicini, nonostante che ormai una gran distanza separasse il gruppo dei fuggitivi dalla
capitale.
Mentre due uomini accendevano un piccolo fuoco, anche Sandokan scese a terra e
dispose gli altri rajaputi di sentinella per evitare qualunque assalto improvviso. In men
che non si dica l'arrosto era pronto. Fu diviso in parti uguali, lasciandone una buona
met per la sera e riponendolo nel barchino. Tutti quindi si saziarono di quell'eccellente
pasto, con soddisfazione grandissima in quanto erano davvero affamati e sfiniti. Il
pasto fu divorato in un baleno. Sandokan decise quindi di non riprendere subito il fiume
per due motivi: per primo voleva far riposare i suoi sei uomini, al fine di far loro
recuperare le forze, cos duramente messe alla prova in quella furiosa vogata di tante
ore e, in secondo luogo, voleva evitare che venissero scorti da qualche spia scaglionata
lungo il corso d'acqua. Era quindi consigliabile attendere il calar del sole, nascosti
com'erano sotto i palettuvieri delle rive.
Si accoccolarono a terra cercando di prendere sonno. Avrebbero navigato per tutta la
notte ed era meglio essere riposati il pi possibile.
Era molto bello stare sotto quegli alberi frondosi, dove il caldo torrido di quelle
latitudini era molto mitigato. Sdraiati a terra gli occhi di tutti si puntarono verso l'alto:
non era possibile scorgere l'azzurro cielo in quanto la vegetazione era davvero fitta e
sovrapposta. Il silenzio era rotto da un gracidare di rane che si tuffavano in
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continuazione in acqua e dal gracchiare di centinaia di pappagalli multicolori che
svolazzavano da un ramo all'altro, rincorrendosi e giocando allegramente. Da lontano si
udivano alcune scimmie che sembravano abbaiare. Questo quadro idilliaco ben
conciliava il sonno che non si fece di certo attendere, nonostante in ognuno dei nostri
amici fosse presente il timore di un improvviso attacco.
Erano gi trascorse due ore in un piacevole riposo, quando si ud un clamore lontano,
come un boato prolungato. Tutti lo intesero e scattarono in piedi in preda ad una viva
inquietudine. Da dove proveniva? Chi lo aveva emesso? Perch?
Queste domande furono subito soddisfatte, purtroppo. Infatti, poco dopo apparvero al
centro del fiume delle piroghe, una dozzina circa, montate da selvaggi, le quali si
dirigevano a tutta forza verso il luogo dove i nostri amici erano accampati. Come
avevano potuto vederli? Chi li aveva traditi? Forse il fumo del fuoco che era occorso per
cucinare il pasto? Nessuno aveva ovviamente il tempo di rispondere a questi
interrogativi. Gli uomini si guardarono l'un l'altro. Raput chiese al suo sultano:
- Che cosa dobbiamo fare, signore?
Sandokan, valutando che non si poteva pi prendere il largo con i due canotti, essendo
ormai il nemico troppo vicino, soppes quale partito dovessero prendere in quel
frangente cos pericoloso, decidendo di conseguenza fulmineamente.
- Abbandoniamo la riva ed inoltriamoci di corsa nella foresta, cercando di far perdere le
nostre tracce. Se ci dovessimo separare ci rivedremo domani in questo medesimo luogo
all'imbrunire. E' preferibile comunque rimanere vicini, perch chi rimane indietro
perduto.
Detto questo raccolse le sue armi, mentre gli altri uomini facevano lo stesso, prendendo
anche dal canotto i resti del pranzo. Poi tutti si inoltrarono nella foresta, correndo a pi
non posso. Sandokan in testa a tutti apriva la strada, cercando di dirigersi in direzione
opposta al fiume. Non era una cosa semplice, perch il sottobosco era davvero fitto, con
delle gigantesche macchie di mussenda profumata e di felci dai mille rami. Macchioni
di bamb o inestricabili cespugli di spine, liane o gruppi d'alberi cresciuti vicinissimi
tra loro, rendevano quantomeno complicata una marcia, figuriamoci quindi una corsa.
Inoltre era quasi impossibile mantenere una linea retta, non potendo i fuggitivi
orizzontarsi col sole, essendo la foresta cos folta da nascondere qualunque raggio
dell'astro diurno. Ci nondimeno i seguaci di Muluder, correvano come lepri, anche se
le armi e le provviste che portavano seco rallentavano quella fuga disordinata nel bosco.
Avevano gi percorso pi di un chilometro, correndo a perdifiato e saltando di quando
in quando gli ostacoli che si frapponevano davanti a loro, quando imboccarono un
sentiero largo un paio di metri che si inoltrava nella foresta nella stessa direzione da loro
seguita. Ci avrebbe facilitato enormemente il loro progetto di fuga, aumentando la loro
andatura e facendo risparmiare tempo e fatica. Presero cos a percorrere quella pista
aperta, chiss da quanto tempo, forse da un elefante o da un rinoceronte. Che si
trattasse di una vecchia strada era facilmente comprensibile perch le erbe o i rami
spezzati erano ben secchi, segno evidente che chi era passato su quel suolo lo aveva
fatto parecchio tempo prima.
Anche se i fuggitivi dovevano comunque evitare qualche ostacolo, saltando alcuni
grossi tronchi o numerosi rami abbattuti, tuttavia la loro andatura si era fatta molto pi
celere. A Sandokan dispiaceva moltissimo intraprendere quella corsa nella foresta, che
lo allontanava dalla meta prefissata, quella di raggiungere la foce del fiume ed
incontrarsi coi rajaputi che avrebbero dovuto portare in salvo il tesoro reale, pur
tuttavia il rajah si rendeva conto che quella fuga era l'unica soluzione per ovviare
all'esser catturati o uccisi da quelle bande scatenate che sembravano essere ovunque in
quella pur vastissima foresta.
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Mentre Sandokan pensava a queste cose, continuando a correre a perdifiato, come
d'improvviso il suolo manc sotto i suoi piedi. Sembrava che si fosse aperta un'enorme
trappola ed infatti precipit assieme ai detriti che coprivano la fossa, in una profonda
buca scavata nel terreno da mano umana. Con lui caddero altri tre guerrieri, quelli che
gli stavano dietro e che non avevano potuto arrestare la loro corsa. I rimanenti,
rimasti un poco distanziati, riuscirono ad arrestare in tempo il loro slancio, fermandosi al
bordo dello scavo.
Sandokan, dopo un volo di sei metri, era atterrato su di un mucchio di terra soffice che
aveva attutito considerevolmente la caduta, che altrimenti avrebbe potuto avere
conseguenze funeste. I suoi compagni, ben pi sfortunati, di lui erano invece rimasti
infilzati in alcuni tronchi appuntiti che si ergevano dal fondo della buca, che
evidentemente era stata scavata da alcuni cacciatori. Infatti in quei paesi per cacciare la
grossa selvaggina si era soliti realizzare una profonda fossa proprio su una pista battuta
da animali. In fondo ad essa venivano collocati dei pali aguzzi ed acuminati, lasciati in
piedi in modo tale che gli animali cadendo rimanessero trafitti nelle punte dei legni e
vi morissero dissanguati. In questo modo venivano catturati sia elefanti sia rinoceronti,
poich nessuno si salvava da quei pali micidiali.
La buca era stata abilmente mascherata da un fitto strato di bamb ricoperti di terra e
foglie. Sandokan, seppure intontito dalla caduta, si rialz quasi subito, giusto in tempo
per veder spirare i suoi disgraziati compagni che erano rimasti feriti mortalmente dai
pali appuntiti che avevano attraversato parti vitali dei loro corpi. Il sultano a quella vista
mand un urlo di disperazione, che risuon lugubre nella jungla. Ancora sangue,
ancora morte per i suoi fedeli: la sua schiera si assottigliava sempre pi. Nel frattempo
Raput e i due rajaputi rimasti fuori dalla trappola avevano reciso con i kriss alcune
liane annodandole tra esse e gettandone poi un capo all'interno della buca. Sandokan,
lesto come una scimmia si aggrapp ad esse issandosi su in un battibaleno. Appena ne
fu uscito disse:
- Scendete gi, staccate dai pali i nostri poveri compagni ed issateli fuori; daremo loro
una degna sepoltura.
Mentre due rajaputi stavano cominciando a scendere nella fossa udirono alle loro spalle
dei rumori nella foresta. Sandokan tese l'orecchio e comprese il motivo di tale strepito:
un gruppo di nemici si stava celermente avanzando in direzione della buca, lanciando
grida acute. Evidentemente gli assalitori, forti del numero, si ritenevano ormai ben
sicuri di catturare i nostri eroi, che erano stati fermati da quell'ennesima disgrazia.
Urgeva quindi lasciare a se stessi, ancora una volta, gli amici appena morti, per fuggire
al pi presto. Nonostante il rajah fosse commosso per quell'abbandono forzoso ed
amareggiato per l'ennesima fuga dinanzi al nemico incombente, non esit certo a
rimanere in quel luogo. Ma dove fuggire? Ebbe appena il tempo di gettare uno sguardo
in giro che scopr un nuovo mezzo per una fuga ancora pi celere anche se
maggiormente faticosa: si aggrapp ad una liana che scendeva, assieme a decine di
altre, come festone dagli alberi pi vicini e vi si iss a forza di braccia. I suoi uomini
seguirono quell'esempio senza nemmeno che Sandokan glielo dovesse dire. In breve,
imprimendo degli ondeggiamenti a quelle funi naturali, riuscirono a raggiungere delle
liane poco distanti slanciandovi su di esse. Poi di nuovo si gettarono verso allre di
queste corde, pendenti da alberi un poco pi discosti, e cos via. In questo modo,
comportandosi come quadrumani, con un'agilit da far invidia a quegli animali,
riuscirono ad allontanarsi da quel luogo.
Quella faticosa ginnastica aveva tre fattori positivi: era del tutto silenziosa, non lasciava
traccia al suolo, evitava di tagliare le piante che sbarravano la via. Infatti non era pi
consigliabile continuare a percorrere il sentiero tracciato nel bosco perch i nemici non
avrebbero tardato a raggiungerli.
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Sicuramente i selvaggi non erano riusciti a comprendere n in che direzione si erano
slanciati e nemmeno quale mezzo avevano usato per dileguarsi cos in fretta. Ed infatti i
nemici, sopraggiunti sul luogo qualche secondo dopo, poterono costatare solo che tre
persone si trovavano nella fossa infilzate nei pali. Subito si dettero a cercare in giro
qualche traccia ma non riuscirono a trovare ovviamente segno del loro passaggio. Ne
dedussero quindi che i fuggitivi erano forse solo i tre uomini appena trovati, anche se
le orme lasciate al suolo sembravano appartenere a pi persone.
Intanto Sandokan e i suoi tre compagni seguitavano ad allontanarsi molto velocemente
continuando a servirsi di liane e calamus, trasferendosi da un albero all'altro nella
direzione desiderata. Ma dopo una mezz'ora di quell'anomalo esercizio dovettero
scendere a terra, abbandonando la fuga aerea. Questo non certo perch avessero
terminato le loro energie ma semplicemente perch non vi era pi una foresta tanto folta
da avere gli alberi continuamente prossimi gli uni agli altri. Difatti i quattro uomini
avevano raggiunto i margini estremi di quel bosco; poco pi innanzi si estendeva una
gran vallata nella quale la vegetazione dalto fusto si faceva molto rada. Ci
preoccupava non poco il giovane sultano perch un terreno privo di grosse piante
impediva loro di celarsi al nemico che poteva di nuovo individuare i fuggitivi, grazie
alle spie che forse erano sparpagliate per quei luoghi. Eppure bisognava continuare in
quella direzione per avere qualche speranza di raggiungere il mare. Di conseguenza
Sandokan, seppur a malincuore, decise di proseguire allo scoperto, scendendo il
dolce declivio che li menava nella vallata.
Il terreno cambiava rapidamente aspetto. Non pi alti e frondosi alberi, non pi buia e
impenetrabile foresta, non pi sottobosco inaccessibile, ma una lunga distesa coperta da
altissime erbe frammezzate a rari cespugli. Il suolo non era pi umido e morbido ma
duro e secco. Fortunatamente gli uomini di Sandokan erano dotati di robuste scarpe,
mentre il rajah aveva ai piedi stivaloni di pelle, alti e resistenti, in modo che i piedi
erano protetti da quel pietrisco aguzzo e tagliente che ricopriva quella valle.
Camminando ad un'andatura sostenuta raggiunsero, dopo alcune ore, una minuscola
collina che si ergeva per una decina di metri su quel mare d'erbe. Si fermarono e si
sedettero a terra per una piccola pausa, ormai necessaria giacch erano stanchi morti. Il
panorama era bellissimo: il sole ormai al tramonto lanciava l'ultima luce della serata su
quel vasto spazio. Le erbe, verdi, alte e flessuose si muovevano al vento che imprimeva
loro un andamento simile a quello che provoca su una superficie liquida. Sembrava un
lago agitato da una forte brezza. Le erbe piegandosi cambiavano un poco di colore
passando da un verde pallido ad un verde giallognolo: era un vero spettacolo osservare
dal piccolo monticello quella vallata nella quale fortunatamente sembrava non esserci
alcuno.
I rajaputi tolsero da un sacchetto di tela i resti del babirussa consumato durante il
pranzo ed in pochi bocconi divorarono quel piccolo pasto, annaffiandolo con alcuni
sorsi d'acqua da una borraccia. Terminato quella frugale cena si misero a dormire
istituendo dei turni di guardia. Ovviamente si guardarono bene dall'accendere un fuoco,
perch su quell'altura sarebbe stato individuato immediatamente dagli uomini di Hold.
La notte trascorse tranquilla: nessuna fiera si fece sentire n vedere. Alle prime luci
dell'alba Raput, al quale era spettato l'ultimo turno di guardia, svegli gli altri. Tutti si
alzarono e si rimisero quindi in marcia. Era loro intenzione affrettare il passo per
raggiungere prima possibile il termine di quella vallata che li esponeva troppo ad una
facile individuazione da parte dei nemici, che sicuramente erano ancora numerosi
in quella regione.
Dopo un'altra ora di cammino cominciarono ad intravedere delle colline boscose
all'orizzonte. Ma tra esse e i nostri eroi si frapponeva un piccolo affluente del fiume
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Kin, un torrentaccio non pi largo di una decina di metri, ma incassato in una gola
molto pi bassa della vallata circostante. Raput lo conosceva perch in tempi lontani si
era spinto in quella provincia per una battuta di caccia e si ricordava quindi quale punto
si poteva guadare senza pericolo. Arrivati che furono sul bordo di quella scarpata si
resero conto che non era cosa semplice scendere quella parete a picco sul fiumiciattolo.
D'altra parte il luogo del guado conosciuto da Raput si trovava molto pi ad oriente,
forse troppo lontano da raggiungere. Sandokan ritenne allora inopportuno trovare quel
guado che poteva distare qualche chilometro ancora e quindi ordin di scendere nella
gola, usando per tutte le precauzioni possibili.
Ma prima di intraprendere quella strada decise di troncare alcune decine di bamb, che
si trovavano in un boschetto nei pressi, onde costruire una piccola zattera che li
traghettasse all'altra sponda. Abbattute le canne riuscirono a trovare una specie di
piccolo sentiero che portava verso il fondo di quella forra; bisognava per fare molta
attenzione perch la pendenza era molto forte. Tutti cominciarono quindi a scendere,
aggrappandosi di quando in quando a qualche ramo o a qualche radice del terreno onde
sorreggersi per evitare di scivolare in basso: una caduta da quell'altezza avrebbe avuto
conseguenze disastrose.
Stavano quindi tutti intenti a compiere questa difficile operazione, con gli occhi rivolti
in basso, per cercare punti solidi ove mettere i propri piedi quando, all'improvviso, una
scarica di fucileria si fece udire vicino a loro: sul lato opposto di quella gola, ad una
quindicina di metri di distanza, vi era appostato un piccolo gruppo d'esploratori
nemici, capitanati da un luogotenente di Hold, tutti muniti di fucili. Avevano potuto
osservare, non visti, l'avvicinarsi di quei quattro uomini, tra i quali avevano subito
riconosciuta l'inconfondibile figura del sultano. Si erano quindi appostati puntando le
armi da fuoco, attendendo il momento migliore per fare una scarica. Tale occasione era
arrivata ed avevano quindi sparato contro l'ultimo gruppetto di sopravvissuti reali, i
quali furono investiti in pieno dalle palle a loro dirette, che purtroppo colpirono i tre
uomini della piccola scorta di Sandokan. Solo il rajah rusc a non essere ferito, poich in
quel momento si era avvinghiato ad un albero per non scivolare e quel tronco lo aveva
protetto provvidenzialmente dal fuoco nemico.
I tre rajaputi, pur colpiti a braccia e gambe non abbandonarono gli appigli, nonostante i
dolori lancinanti provocati dalle ferite. Cercarono tutti di ripararsi per evitare di
ricevere altre pallottole: infatti i nemici ricaricavano in fretta i loro fucili, sperando di
seguitare quel tiro a bersaglio cos facile e ravvicinato.
Purtroppo, salvo l'albero di Sandokan che era sufficiente a ripararlo quasi totalmente,
gli altri erano quasi allo scoperto e i pochi secondi a loro disposizione non
permisero loro di risalire la china.
Un'altra scarica di proiettili li invest in pieno. Comprendendo di essere stati colpiti a
morte, nell'ultimo anelito di vita che restava loro, gridarono al sultano:
- Signore vendica le nostre vite.
Sandokan che si teneva celato dietro l'albero che di nuovo lo aveva protetto da quella
disastrosa fucileria, rispose loro:
- Vi vendicher, poveri amici miei.
Sembrava che quelle giovani vite aspettassero quella promessa per abbandonare gli
appigli a cui si tenevano. Infatti immediatamente dopo lasciarono la presa facendosi
scivolare nella gola, e cadendo con tre tonfi sordi tra le spumose acque del torrente che
li inghiott in un attimo.
II rajah, inebetito da quella fine miseranda, come se i suoi soldati lo potessero ancora
sentire, disse:
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- Giuro sui miei genitori e sui miei fratelli che non avr pace, che non morir senza
avervi vendicato, voi, tutta la mia famiglia e il mio popolo, barbaramente massacrato da
questi malfattori.
La voce di Sandokan era coperta da una mestizia infinita, mista a profonda rabbia. I suoi
uomini, i suoi ultimi rajaputi, uno dopo l'altro, erano stati uccisi dal micidiale fuoco
nemico, che non aveva risparmiato nemmeno quell'estremo pugno d'eroi, quell'ultimo
lembo di popolo o di esercito del suo sultanato che si portava appresso. Il principe emise
allora un ruggito di belva ferita a morte, che risuon lugubre tra quella gola,
amplificandone il suono; poi una voce che sembrava provenire dal fondo di una
caverna, url a quei barbari persecutori:
- Dite a quel dannato bianco, che ha venduto la libert del mio popolo agli stranieri, che
torner e vi sterminer tutti!
Detto questo, ben comprendendo che la sua posizione era del tutto precaria visto che
non poteva certo risalire la china sotto il tiro di quei persecutori, n scenderla per non
rompersi le ossa, prese l'unica decisione possibile, l'ultima iniziativa che gli restava da
fare, una sfida pazzesca contro ogni prudenza: con uno scatto fulmineo si allontan dal
tronco, si pie g sulle gambe per ottenere il massimo slancio e spicc un salto acrobatico
nel baratro sottostante.
Dopo un volo di una trentina di metri il suo corpo cadde pesantemente nelle acque
sottostanti, sollevando un formidabile spruzzo. Il liquido elemento si richiuse subito su
quel corpo che scomparve in un batter d'occhio alla vista attonita dei selvaggi che, presi
alla sprovvista da quel pazzesco tuffo, nulla avevano potuto fare per sparare di nuovo
con i fucili.
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CAPITOLO SECONDO

DUE TENTATIVI FALLITI

Alcune voci molto velate e confuse giunsero flebilmente alle sue orecchie. Non capiva
bene cosa dicessero: il cervello non riusciva a comprendere quasi nulla a causa di una
specie di nebbia che gli offuscava ogni ragionamento; il corpo sembrava essere
adagiato sopra una nuvola, tanto pareva morbido il giaciglio sul quale era steso; uno
strano torpore, una specie d'apatia, attanagliava le sue membra eccessivamente rilassate.
Poi sent che qualcuno si avvicinava a lui, gli sollevava la testa e gli introduceva in
bocca un liquido tiepido, leggermente dolciastro che, a mano a mano che gli scendeva
nello stomaco, cominciava a bruciargli scuotendolo dalla torpidezza e facendo
riacquistare velocemente forza al suo stanco corpo. Poi lentamente riapr gli occhi: un
velo copriva la sua vista, ma come quando la nebbia si dissolve al mattino lasciando via
via spazio alla luce e permettendo una definizione migliore di ci che s'intravede, cos,
a poco a poco, quella cortina d'ombra si sollev.
A Sandokan, avrete capito che era lui la persona colpita da questa strana letargia o stato
di sfinimento, apparve dinanzi un gigantesco dayacco dalla pelle grigiastra, con le
braccia grosse quanto quelle di un gorilla, ricoperte di monili e d'anelli di rame; attorno
al collo aveva una collana con denti di tigre, pezzetti di vetro, ciuffi di capelli e
conchiglie. Era di statura molto alta, con il capo accuratamente rasato e cosparso, come
il resto del corpo, d'olio di cocco. Un corto sottanino, fatto con erbe secche gli cingeva i
fianchi. Stava curvo sul rajah ed aveva in mano una bottiglietta quasi vuota che
conteneva un liquido rossastro; quello che mancava l'aveva fatto deglutire, dopo
averglielo versato in bocca, allo stesso Sandokan.
L'ormai deposto sultano, con grande sforzo, si mise seduto e si guard attorno: si
trovava all'interno di una capanna di paglia e fango alle cui pareti erano appese vecchi
fucili ad avancarica o tromboni, scimitarre pistole, scuri e kriss malesi. Per terra vi era
un tappeto fatto con fibre di palma e di cocco. Il pagliericcio ove Sandokan si trovava
disteso, era formato da fieno, paglia ed alcune penne d'uccelli, molto soffice, e
costituiva il letto in quella povera abitazione.
Il principe si volse verso il dayacco lanciandogli uno sguardo indagatore che gli penetr
sino nel cuore.
- Dove mi trovo? Chi sei? - chiese Sandokan a quell'uomo.
- Mi chiamo Siki e ove tu ti trovi un villaggio di dayacchi della costa - rispose
il gigantesco individuo.
- Ci troviamo nel regno di Muluder?
- No. Questo un villaggio indipendente. Paghiamo dei tributi al Sultano di Varauni. Tu
chi sei?
Sandokan, invece di rispondere, lo incalz con un'altra domanda:
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- Come mai mi trovo nella tua capanna?
- Un praho ti ha raccolto sul fiume Kin, poco prima dell'estuario. Eri svenuto ma non
sembravi ferito. Stavi certamente in acqua da parecchio tempo. La barca ha veleggiato
lungo la costa e ti ha sbarcato in questo villaggio. La mia donna ti ha curato come un
fratello ed io ti accolgo in pace.
- Dimmi chi mi ha salvato e ti prego di farmelo conoscere onde io lo possa ringraziare.
- Chi ti ha salvato lo hai dinanzi a te!
-Tu?
- Si, io!
Sandokan, con un grande sforzo si alz in piedi e disse:
- Ti debbo la vita e ci non lo scorder mai. Ti ringrazio.
- Ora dimmi tu chi sei! - chiese di nuovo il dayacco
Sandokan torn a scrutare l'uomo che aveva davanti. Sicuramente aveva dichiarato la
verit circa la sua appartenenza ad una trib che si trovava fuori dal regno di Sabah;
quindi nulla aveva a che fare con la rivoluzione. Decise quindi di potersi fidare di quella
gente anche perch il dayacco sembrava una brava persona dall'aspetto onesto e buono.
Sandokan si mise di nuovo a sedere, giacch aveva avuto un leggero giramento di testa,
ma subito si riprese: la sua forte fibra robusta aveva il sopravvento sulla spossatezza e
sulla stanchezza provocata dagli ultimi avvenimenti.
Parve raccogliere le idee, poi finalmente rispose alle domande curiose che quel dayacco
gli aveva posto, anche se il ricordare quei terribili accadimenti gli procurava un
malessere ed una tristezza infiniti.
In poche parole raccont della rivolta, dell'assedio alla capitale, del nefasto eccidio
della famiglia, della fuga nei boschi e dello sterminio dei suoi ultimi soldati.
Quando termin il racconto il suo volto si era infiammato d'ira: aveva lo sguardo fisso
nel vuoto come se vedesse l vicino il suo odiato nemico inglese.
Il dayacco ascolt in silenzio quell'orribile racconto; quando Sandokan ebbe finito
disse:
- Avevo avuto alcune notizie circa la rivolta in atto nel sultanato, ma non sapevo che
questa fosse terminata a tutto svantaggio della casa regnante. Non sapevo per che a
capitanare questa rivoluzione fosse un bianco e per giunta inglese, una razza questa che
odiamo con tutto il cuore.
- Perch la odiate voi? - chiese Sandokan che pareva calmarsi di quel fremito che lo
aveva preso.
- Devi sapere che anche io ho una confidenza da farti, orange. Anni addietro il nostro
era un villaggio di poveri pescatori. Oltre le barche da pesca non possedevamo altro. Ma
eravamo felici, poich stavamo in armonia tra di noi. Ogni tanto dovevamo respingere
certi attacchi dei dayacchi dell'interno che venivano a fare scorribande sulla costa per
procurarsi carne umana, ma ci accadeva raramente. Un'unica afflizione ci colpiva: il
dover dare dei forti tributi al sultano di Varauni. Nonostante il nostro villaggio sia oi
vicino al sultanato di Labuk, Varauni impone tasse e gabelle a tutti i villaggi costieri,
pena deportazioni di massa o supplizi atroci. Alcuni mesi addietro un altro nemico si
fatto avanti. Si avvicin, un giorno, una cannoniera inglese che sbarc una cinquantina
di marinai. Il comandante di quel raggruppamento ci venne a dire che prendeva
possesso di queste terre a nome dell'Inghilterra. Noi protestammo la nostra
indipendenza o comunque l'appartenenza al sultano di Varauni. Allora ci disse che
Varauni aveva ceduto queste terre e tante altre zone del Borneo, con il consenso anche
del sultano di Labuk, di Brunei e del rajah di Sarawack, i quali autorizzavano
l'Inghilterra e l'Olanda ad esigere tributi e prodotti del sottosuolo da ogni popolo
isolano. Per chi si rifiutava vi era l'immediata impiccagione o la devastazione dei
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villaggi. Di fronte a cinquanta fucili spianati fummo costretti a cedere e consegnammo
ai britannici quel poco di rame o d'argento che avevamo.
- Che maledetti pirati! - esclam Sandokan.
- Partiti che furono, decidemmo per il futuro di opporre resistenza ad altri sbarchi.
Circa tre mesi dopo si avvicinarono due brigantini, uno olandese ed un altro inglese.
Due scialuppe puntarono verso il nostro piccolo porto. Tutti noi ci trincerammo dietro
le rocce della costa, mentre mio fratello si rec a parlamentare con il comandante di quel
corpo di spedizione che era appena sbarcato. Quando leuropeo apprese del nostro
rifiuto ad altre ruberie, mio fratello venne impiccato ad una palma della spiaggia.
Immediatamente le nostre cerbottane scagliarono un nugolo di frecce avvelenate su quei
dannati invasori, molti dei quali caddero a terra moribondi. Gli altri s'imbarcarono in
fretta e raggiunsero tosto le loro navi che aprirono un fuoco infernale con i cannoni.
Nonostante fossimo protetti dalle rocce molti di noi morirono mentre il villaggio fu
interamente distrutto.
Sandokan ascoltava questo racconto fremendo d'indignazione e stringendo i pugni.
- Nei giorni seguenti continu il daiacco - sapemmo da altri pescatori che tale
ignobile comportamento era stato lo stesso per altri villaggi. Andammo allora a
protestare presso i vari sultani locali chiedendo protezione, poich avevamo sempre
pagato loro i tributi e le decime. Tutti i rajah ci dissero che non potevano opporsi a tali
ingiustizie poich gli stranieri avevano promesso loro denaro ed armi. Inoltre gli
inglesi si erano espressi a favore del mantenimento di una formale
indipendenza per ogni sultanato che fosse stato accondiscendente verso i loro
torpidi progetti di penetrazione nel Borneo; in cambio era stato promesso agli
stranieri mano libera sui popoli costieri e su quei sultanati dell'interno troppo
fieri da sottomettersi a questo gioco. Nessuno avrebbe aiutato nella lotta contro gli
inglesi i sultani che avessero osato ribellarsi.
- Quindi o si accettava una sorta di protettorato o si sarebbero destituiti i rajah
recalcitranti? - domand Sandokan.
- Esatto - rispose Siki - Quei rajah che non volevano rischiare guerre contro queste
potenze accettarono una specie di protezione. Chi invece era troppo fiero o troppo
potente per piegarsi subiva eccidi di massa ed invasioni territoriali.
- Com' accaduto nel mio stato! - esclam il deposto principe, che ora cominciava a
veder chiaro e a comprendere il vero motivo della sollevazione contro la sua famiglia e
del perch Hold fosse stato prezzolato dai due stati europei e da Varauni.
Intanto Seki continu il racconto:
- Una notte, assieme ai malesi del villaggio abbordammo un praho in avaria che si
trovava vicino alla costa. Era un legno di Varauni e fummo quindi doppiamente contenti
di quella conquista. Ora con quel praho e con altri di alcuni miei amici malesi ci
dedichiamo, qualche volta, alla pirateria. Assaltiamo prevalentemente giunche di ricchi
mercanti di Sarawack, del Brunei o di Varauni, ma quando capita non abbiamo paura di
dare addosso anche a piroscafi inglesi o olandesi. Queste due nazioni ci danno una
caccia accanita: ogni tanto arrivano dal mare aperto delle cannoniere britanniche che,
senza alcun preavviso e senza che ci sia da parte loro la certezza che noi si sia pirati,
bombardano le nostre barche e i nostri villaggi. Spesso le giacche rosse inglesi sbarcano
e devastano i nostri territori, non risparmiando n donne n bambini. Hanno distrutto le
nostre capanne, bruciato i raccolti, razziato il bestiame.
Sandokan aveva ascoltato con molto interesse questo racconto e rifletteva di
conseguenza su quanto udito. Evidentemente gli inglesi erano una razza maledetta
che si accaniva contro qualunque popolo. Quindi non era stato un caso che un inglese,
Hold appunto, incoraggiato dagli olandesi, avesse mosso guerra ad uno stato
sovrano del Borneo, cio quello dei Muluder. Era dunque una complessa strategia,
portata innanzi dai governi europei in diverse direzioni e in svariati luoghi contro le

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popolazioni al fine di spogliarle dellindipendenza e di ogni avere. Quindi la caduta del
suo regno era null'altro che un tassello, un momento di questa conquista che si sarebbe
presto estesa per ogni dove. Il principe di Sabah sapeva inoltre, perch glielo aveva
raccontato Agun, il pi istruito nella sua famiglia, che altri regni, una volta indipendenti
erano passati sotto il dominio britannico, che allargava i propri possedimenti per ogni
dove. Ora era stata la volta del regno di Sabah: gli inglesi si erano furbescamente
avvalsi di un sobillatore, lo stesso Hold, e di alleanze strumentali con i potentati locali,
come Varauni e Sarawack, affinch il tutto potesse sembrare una bega interna a quello
stato o una guerra tra sultanati di quella regione, mentre invece altro non era che una
vergognosa invasione ordita da uno stato straniero.
Pi Sandokan ragionava su tali accadimenti pi vedeva chiari i motivi della rivoluzione:
nulla entrava in quella il malcontento del popolo o lo spirito di indipendenza dei
dayacchi, o comunque solo marginalmente. Nulla avrebbero avuto quindi da
rimproverarsi Muluder e i suoi familiari, se ancora fossero stati in vita. Si trattava solo
di un intrigo internazionale abilmente mascherato.
Ora che in Sandokan si era fatta una certa luce circa quest'oscura macchinazione, adesso
che forse finalmente capiva certi meccanismi avvolti nel mistero, si convinceva sempre
di pi che il suo desiderio di vendetta era sacrosanto, come fosse stato un atto dovuto
contro un sopruso di altre nazioni, contro le quali non esisteva nessun tribunale umano
in grado di difenderlo. La giustizia l'avrebbe dovuta cercare nella sua forza, nella
propria intelligenza e nell'indomito coraggio che mai lo abbandonavano. Mentre faceva
questi ragionamenti era uscito dalla capanna con il suo salvatore, che lo voleva portare a
fare un giro per il modesto villaggio, il quale era costituito da una ventina di solide
capanne che si affacciavano in una piccola baia dotata di un minuscolo porticciolo, al
quale stava attraccato un praho. Questa imbarcazione, tipica di quelle regioni, di
piccolo cabotaggio, ovvero di un centinaio di tonnellate di stazza, era bassa di

scafo,
snella, leggera, con vele di forma allungata, dotata di due alberi. Aveva un bilanciere
cio una sorta di doppio palo che, fuoriuscendo dalla fiancata di babordo si appoggiava
sull'acqua su di un altro legno che vi galleggiava: serviva per dare maggiore stabilit alla
barca, permettendo di stringere meglio il vento e di navigare bordeggiando, con pi
sicurezza e senza la possibilit di rovesciarsi su di un lato in caso di bolina. I prahos
erano imbarcazioni molto veloci, guidate di solito da abili marinai che si dedicavano
con quelli alla pesca o alla pirateria, molto fiorente in quei mari e in quell'epoca
storica.
La popolazione di quel villaggio indipendente ammontava ad un centinaio di persone tra
uomini, donne, vecchi e bambini. Alcuni erano malesi, dalla carnagione olivastra, bassi
di statura ma robusti, con lineamenti feroci e piuttosto brutti; altri erano appartenenti
alla razza dayacca, molto alti, dai lineamenti del viso e dalle forme del corpo
discretamente belle e proporzionate. Le donne dayacche erano letteralmente ricoperte
d'anelli, bracciali e ciondoli di rame. Quelle malesi invece sembravano meno desiderose
dindossare questi orpelli, mentre erano pi curate nel vestiario e nella pulizia ed
acconciatura dei capelli.
Queste due razze, a volte acerrime nemiche tra loro, coesistevano pacificamente in quel
villaggio, consapevoli che solo la loro armonia poteva essere una valida garanzia contro
attacchi nemici.
Quando il giro per il villaggio fu terminato, Siki invit il suo ospite a conoscere sua
moglie, tutta intenta in quel momento a lavare alcuni panni sulle sponde di un piccolo
ruscello dalle acque cristalline, che allietava quella parte di costa. La donna di Siki era
una bella ragazza di forse quindici anni, con un corpo flessuoso, occhi grandi e neri, con
una capigliatura opulenta ed anch'essa scura. Era vestita con una tunica di un colore cne
forse una volta era amaranto.
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Sandokan la ringrazi per le amorose cure che gli aveva prestato durante la sua breve
convalescenza nella loro capanna. La coppia aveva un figlio in tenera et chiamato Ragj,
che si trastullava con dei giochi vicino ad alcuni animali da cortile.
A sera il nostro eroe aveva fatto conoscenza con tutti gli altri componenti del villaggio,
che lo salutarono con molta gentilezza e deferenza, rimanendo colpiti dal fiero aspetto e
dal fascino che emanava tutta la sua persona.
Il giovane sultano, al termine di una modesta cena a base di pesce e di frutta, alla quale
avevano partecipato tutti i capofamiglia del villaggio, chiese di parlare e con voce
vibrante e stentorea disse:
- Chi vi parla ha comandato un regno ed un intero esercito sino a pochi giorni addietro.
Purtroppo la vilt e il tradimento, tramati a mio danno dall'Inghilterra e dall'Olanda,
con l'ausilio d'uomini vigliacchi e prezzolati, in alleanza con Varauni e con Sarawack,
hanno rovesciato il mio trono. Un orrendo inganno ha attirato la mia famiglia fuori
dall'ultimo rifugio e ne ha fatto strage. I miei valorosi compagni sono stati uccisi uno ad
uno in imboscate e tranelli. Ora sono solo ma animato dal desiderio di vendicare i miei
cari, cos barbaramente trucidati e di riconquistare il regno del Kini-Balu. Leggo nei
vostri volti forza, coraggio e lealt. Volete voi aiutarmi in quest'impresa, schierati dalla
parte del pi debole contro un nemico numeroso, possente, appoggiato da nazioni che
possiedono oro, cannoni ed armate in numero illimitato? Volete voi collaborare in una
lotta che ci far correre il rischio di venire schiacciati, ma alla quale dedicher tutto il
mio sangue, sino all'ultima goccia e tutti i pochi averi che mi rimangono?
Alcuni dei presenti a quell'accorato e vibrante appello levarono in alto le braccia,
alzandosi in piedi, gridando:
- Morte all'usurpatore! Vendetta per il giovane sultano.
Altri uomini rimasero per in silenzio, non partecipando al giubilo dei compagni.
Sandokan, ben comprendendo che non poteva lasciare dubbi tra i presenti e pensando
che se non li avesse fugati, gli indecisi potevano poi indurre gli altri a tornare sulle
scelte prese, pens bene di insistere e disse:
- Chi vuole sapere qualcosa di pi si faccia avanti e io gli risponder. Cosa non vi
convince di ci che ho appena finito di dirvi?
Un vecchio malese, dalla pelle grinzosa e piena di cicatrici, si avanz verso lo
spodestato rajah e chiese:
- Orange, prendo io la parola, forse a nome di chi ha delle perplessit, per domandarti in
che modo potremo combattere e vincere i nostri comuni nemici. Noi non abbiamo molte
armi, i nostri fucili sono vecchi, a volte ci esplodono in mano e non facile trovare le
relative munizioni. Quel poco che possediamo lo abbiamo depredato ad alcune giunche
abbordate negli ultimi tempi ma, come forse ti sarai accorto, potremmo essere solo un
piccolo esercito di straccioni. E poi se partissimo per l'interno chi si prenderebbe cura
delle nostre donne, dei figli e dei vecchi? Che ne sarebbe poi del nostro villaggio se lo
abbandonassimo per qualche mese? Anche noi abbiamo dei nemici che spesso vengono
in questi posti e ci attaccano. Sarebbe per loro sin troppo facile assalire un villaggio
sguarnito di guerrieri: farebbero una strage generale, depredando i nostri animali e i
nostri poveri averi. Io non ho paura di andare a combattere una guerra nel tuo sultanato:
ho il corpo coperto di vecchie ferite che indicano come ho combattuto contro animali ed
uomini di continuo. Quello che ti dico, i miei dubbi e le mie perplessit non sono dettate
da timore. Noi siamo gente di mare, abituati a fare i marinai e non ci piacciono le
regioni interne del Borneo, le paludi, le jungle e le foreste, nelle quali ci troviamo come
pesci fuori dall'acqua.
- E' vero! - lo interruppe un dayacco che aveva alla cintola un vecchio parang dalla
lama in pi punti rovinata. Noi siamo pronti ad ogni abbordaggio, siamo in grado di
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manovrare qualsiasi legno per ogni mare, ma non siamo abituati ad attaccare un
kampong o di fare interminabili marce nelle foreste.
Sandokan, pur colpito da queste giuste e sentite osservazioni, non attese a lungo per
rispondere loro.
- Ascoltate il mio piano senza interrompermi. A due giorni di navigazione da questo
villaggio, in direzione sud, nel piccolo sultanato di Labuk, ho concordato appuntamento
ad alcuni miei fidi che hanno seco una notevole somma di denaro, scampata alle ruberie
dei rivoltosi. Con queste rupie acquister armi in gran quantit, con tutte le munizioni
possibili e relative provviste, che ci occorreranno per un lungo viaggio, onde non
doverci fermare per cacciare lungo il tragitto. E' mia intenzione di reclutare un piccolo
esercito di mercenari disposto ad iniziare una campagna militare contro l'usurpatore.
Parte delle armi e delle munizioni le destiner a voi, sia che vogliate aiutarmi
nell'impresa di riconquista del regno sia che vi limitiate ad accompagnarmi con il vostro
praho a Labuk. Ho bisogno di una scorta che mi aiuti a proteggere i miei piccoli averi in
attesa di essere spesi per l'acquisto di quanto dettovi; poi, se vorrete, potrete
seguirmi: sarete la mia guardia scelta e fidata, un manipolo di nuovi rajaputi nel futuro
esercito che arruoler. Vi prometto pero che se il mio progetto di riappropriarmi del
sultanato fallisse, il mio unico scopo nella vita sar di far pagare ben caro agli inglesi,
agli olandesi e al sultano di Varauni la parte che hanno avuto nella congiura contro di
me e le continue ruberie ed attacchi di cui siete costantemente vittime. In ogni caso
torner in questo villaggio e mi metter, se vorrete, alla vostra testa, per ingaggiare una
lotta senza quartiere contro il comune nemico. Se mi aiuterete nel mio desiderio di
riconquista del trono, e se riuscir nel mio intento, vi ricompenser adeguatamente,
mettendo il vostro villaggio sotto la protezione del mio esercito e del mio sultanato. Per
quanto riguarda il problema delle vostre genti, esse sono comunque esposte
giornalmente alle vendette dei vostri nemici. Anche quando vi recate per giorni interi a
pesca, le capanne e le donne corrono rischi giornalieri. Conviene quindi che il villaggio
venga spostato in un altro luogo pi inaccessibile e comunque sconosciuto a probabili
assalitori, e che non possa essere bombardato dal mare. Infine vi assicuro che potremmo
penetrare nella capitale con qualche furberia senza fare un assalto diretto contro il
kampong. Comunque il problema ben diverso: voi non dovreste pi vivere
nell'angoscia continua di ritorsioni e vendette da parte di chicchessia. Potreste essere
voi, invece, ad incutere paura agli altri. Dovreste imparare a farvi rispettare e temere per
la vostra forza e la vostra astuzia, cercando degli alleati in altri villaggi che hanno il
vostri stessi problemi, con i quali instaurare un patto di mutua assistenza e difesa
reciproca, rivolta contro gli oppressori della Malesia siano essi europei o bornesi stessi,
come Varauni e Sarawack.
- E come? - chiese il malese di prima.
- Dovreste diventare il centro di una federazione di villaggi rivieraschi che porteranno
innanzi una rivolta generale che invece stata per lunghi anni troppo frammentaria e
pessimamente organizzata, divisa in attacchi non coordinati tra loro e quindi dispersivi;
dovrebbe invece essere fatta una lega, tutta tesa, quindi, a raggiungere obiettivi
importanti tali da impensierire gli oppressori, che per anni hanno dissanguato le vostre
tasche e vi hanno resi simili ad animali impauriti. Solo l'unione da la forza.
Quando Sandokan fin di pronunciare questo lungo discorso, una vera ovazione di grida
di giubilo si alz da decine e decine di bocche: un coro unanime di consensi anche da
parte di chi, poc'anzi, si era mostrato molto tiepido nei suoi riguardi. I dayacchi
agitavano in alto le scimitarre in segno d'assenso, mentre i malesi scaricavano in aria i
loro vecchi moschetti.
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Un pallido anelito di rivolta si era incuneato tra quelle menti semplici e finora
scoordinate: quello che poteva essere il primo vagito di un popolo che ha deciso di dare
una scrollata a quei meccanismi ormai consolidati dai secoli di sfruttamento e
sopraffazione verso i pi deboli.
Le parole ed il pensiero del rajah avevano colpito quei rudi uomini ed avevano fatto
nascere la speranza che qualcosa potesse cambiare, magari sotto la guida di un uomo
come Sandokan. Si convenne quindi che l'indomani all'alba il praho, imbarcati i pi
forti e valorosi combattenti di quel minuscolo stato, avrebbe fatto vela per Labuk, con
l'intenzione di rintracciare i compagni di Sandokan con i tesori della corona. Con tali
averi si sarebbe potuto arruolare un esercito e comprare il relativo armamento e
vettovagliamento per una lunga campagna di guerra.
Il giorno dopo, all'alba, il legno bornese, montato da una trentina di dayacchi e malesi,
volse la prua a sud, verso questo nuovo obiettivo strategico.
Il cielo era limpido, l'aria vivificante e fresca, mentre il mare era stupendamente
calmo e trasparente. Un leggero venticello gonfi subito le vele, rendendo la navigazione
discretamente veloce.
Sandokan gi molte altre volte aveva solcato il mare, in quanto si era trovato con Agun
ad assolvere diverse missioni, sia diplomatiche sia economiche, per l'acquisto di
materie prime che il sottosuolo e l'agricoltura del regno di Sabah non producevano; si
intendeva, dunque, abbastanza bene di cognizioni nautiche, di traversate e
d'esplorazioni marine.
Aveva, infatti, viaggiato alla volta della Cina, dell'India, dell'arcipelago malese, con
puntate alle Celebes, a Giava, a Sumatra, a Bali. Non era sicuramente un lupo di mare
ma si era dimostrato abile, avveduto ed accorto sia nelle manovre tecniche delle navi
che aveva anche pilotato, sia nell'apprendere le rotte, onde impartire i relativi ordini
all'equipaggio.
In quel piccolo viaggio di due giorni verso il luogo dell'appuntamento Sandokan si mise
diverse volte alla ribolla del timone, sal sul sartiame, corresse la rotta, ammain la vele,
dimostrando ai suoi nuovi compagni di non essere solo un sultano abituato a comandare
ma anche a dare il buon esempio e a trarsi d'impiccio in ogni frangente. Questa cosa
riscosse molto apprezzamento nell'equipaggio che cominciava a vedere in lui non solo
un predicatore e un trascinatore di entusiasmi ma anche un uomo avvezzo a stare
assieme ai propri sudditi e a dividere con loro i pi piccoli problemi.
Dopo una felice navigazione il legno giunse al porto di Labuk, ove attracc ad una
modesta e sudicia banchina dove sonnecchiavano diversi marinai in cerca di ingaggio.
La banchina e la cittadina di Labuk che dava sul porto erano gremiti di gente. Si
vedevano dei grassi arabi vestiti con ricche e lunghe casacche di seta a righe di tinte
vivaci con ai piedi delle comode scarpe bianche con suola di feltro, che cercavano di
attirare i visitatori nelle loro piccole botteguccie, dove si poteva acquistare ogni
scrta di mercanzie. Camminavano con aria grave dei mandarini cinesi, con le teste
semi pelate, ma adorne di lunghe code, con gli zigomi del viso assai sporgenti, dalle
tinte pi o meno giallastre e coperti da grandi cappelli di fibra di rotang in forma di
giganteschi funghi. Passavano allegri ragazzi schiamazzanti quasi completamente
nudi, che gettavano in acqua sassolini e pezzetti di legno. Seduti su delle casse si
vedevano dei meticci con delle tuniche abbottonate sui fianchi, con babbucce aventi
la. punta all'ins. Dei barcaioli robusti, malesi dalle facce quadre e ossute con
gradazioni di colore olivastro e verdastro, con gli occhi sempre minacciosi e feroci e la
cintura armata dell'inseparabile kriss, si dondolavano lungo la banchina trasportando
cordami e bauli provenienti da qualche vicino magazzino. A gruppi si intravedevano in
quella folla cosmopolita, dei tagali, indigeni delle Filippine, veri pezzi di giovanotti,
dal colorito rossastro, adorni di colorate camicie di cotone svolazzanti sopra
pantaloni ricchi di ricami. In mezzo a
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Pantaloni ricchi di ricami. In mezzo a quell'orda di cappellacci smisurati, di codini
svolazzanti, di gente che correva o gridava, stazionavano saltimbanchi e venditori di
ogni genere. Ognuno magnificava la propria mercanzia esagerandone le qualit e
gridandone il prezzo.
Sandokan, dopo averli adeguatamente istruiti. invi diversi compagni in molteplici
direzioni onde ricercare i suoi rajaputi che si sarebbero dovuti trovare in quella cittadina
come convenuto. Descrisse agli esploratori gli uomini che avrebbero dovuto
rintracciare, e li invit ad andarli a cercare nelle bettole ed osterie, sia in periferia sia nel
centro della citt: dovevano domandare per ogni dove se qualcuno avesse veduto o
sentito che degli stranieri provenienti dal fiume Kin fossero sbarcati nelle ultime
settimane
Appena gli uomini addetti a questa ricognizione furono sbarcati anche Sandokan discese
dalla nave poich era sua intenzione recarsi alla corte del sultano della cittadella per
chiedergli protezione e per domandargli suggerimenti dove reclutare mercenari da
arruolare. Ma nell'animo del deposto rajah vi era una fugace speranza: quella che il
sultano di Labuk, spinto da una sorta di mutualit nei confronti di Sandokan, gli offrisse
un corpo di spedizione formato da soldati reali del sultanato stesso. Mentre Sandokan si
cullava in queste rosee speranze, arriv nella piazza centrale della piccola citt ove
sorgeva appunto la reggia. L'edificio non era molto grande in verit, ma sembrava
comunque magnifico, come lo erano tutti i palazzi reali orientali. Era stato costruito con
un'architettura che si era servita di marmi rosa per le pareti esterne e di granito bianco e
grigio per la pavimentazione e per le scale di accesso. Era guardato da molti soldati,
armati di alabarde e corte scimitarre, vestiti con un gonnellino ed un copricapo color
cremisi. Sandokan, accompagnato da Siki e dal vecchio malese, di nome Makkri. I due
uomini fungevano da scorta e con loro si avvicin all'entrata principale, un'imponente
portale con un arco formato da grossi massi di roccia nera con striature bianche,
dirigendosi verso un soldato che sembrava essere il comandante del piccolo corpo
di guardia che stazionava all'ingresso. Il deposto rajah sii rivolse quindi a lui
dicendogli:
- Sono Sandokan, figlio di Muluder, sultano del Kini-Balu e del regno di Sabah. Voglio
parlare al sultano tuo signore. Annuncia la mia visita.
Il soldato si inchin leggermente e rispose:
- Entra, o rajah: accomodati nella sala di attesa, mentre io ti annunzier al mio sultano.
Sandokan e la sua scorta salirono una grande scalinata, i cui parapetti erano abbelliti da
monumentali vasi di fiori variopinti e vigilati da soldati armati di tutto punto.
Vennero accompagnati in un vasto salone molto luminoso con onici ed alabastri che
impreziosivano l'architettura interna.
Attesero, seduti su monumentali sedie di pietra solo alcuni minuti, perch subito lo
stesso comandante delle guardie li avvert che il rajah li stava aspettando.
Sandokan segu l'ufficiale che lo introdusse in una sala che era lo studio privato del
sultano, mentre il malese ed il daiacco attendevano fuori.
Seduto su un ricco sof trov il sultano di Labuk, un uomo sulla quarantina, basso e
grasso con una barbetta nera che gli incorniciava il volto. Non era solo poich al suo
fianco vi erano due luogotenenti, che sembrava stessero parlottando a bassa voce tra
loro, un poco discosti dal loro rajah.
Entrato che fu, il figlio di Muluder fece un leggero inchino al sultano di Labuk
dicendogli:
- Ti saluto con rispetto, o rajah! Spero che Allah e gli dei tutti ti conservino in felicit e
salute.
Il sultano rispose con un cenno della testa indicandogli di accomodarsi a sedere su un
basso divano di fronte a lui.
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- Che cosa ti ha spinto a farmi visita o principe di Sabah? Ho saputo che nel tuo regno vi
stata una rivoluzione e che un bianco si impadronito del potere facendo una strage
immensa. So anche che il mio vecchio amico Muluder con tutta la tua famiglia caduto
massacrato, vittima di un tradimento.
- Quello che hai saputo vero. - rispose Sandokan con vece commossa - Un uomo,
venuto dal nulla ma incoraggiato e pagato dagli stranieri, ha portato il mio regno alla
rivolta. Io vengo a te per chiederti aiuto. Vorrei, con il tuo permesso, comprare armi e
munizioni ed arruolare qualche migliaio di uomini per ritornare sulle mie terre e
riconquistarle all'usurpatore.
Il rajah di Labuk cominci ad allisciarsi la corta barbetta con fare pensoso. Sembr
riflettere per alcuni istanti, che a Sandokan parvero eterni, poi infine disse:
- Caro amico, non so se posso aiutarti. Infatti, dall'inizio della rivolta vennero qua alla
reggia degli ambasciatori del sultano di Varauni e della grande Inghilterra a pregarmi di
non immischiarmi nelle faccende del tuo stato. Quando tu mandasti degli emissari a
comprare armi io, contrariamente a ci che avevo promesso ti ho rifornito di quello
che ti abbisognava. Ora la situazione cambiata. Purtroppoadesso non sei pi un sultano,
cosa che comunque mi addolora moltissimo, e quindi non voglio correre il rischio di
guastare i buoni rapporti che ho con Varauni, con Sarawack e con il nuovo sultano del
Kini-Balu e non....
All'udire quest'improvvida frase, certamente inopportuna, Sandokan scatt in piedi
come se fosse stato morsicato da un serpente. Si precipit accanto al sultano di Labuk,
fin quasi a sfiorarlo e gli url in faccia:
- Il nuovo sultano, hai detto? Ma quale sultano? In conformit a che diritto? Io sono
l'unico e vero principe con quel titolo, perch discendo da un sultano, che stato il pi
potente del Borneo. Quell'impostore bianco, avanzo di galera, avventuriero prezzolato
dall'oro inglese, hai il coraggio di chiamarlo sultano? Questa un'offesa nei miei
riguardi, tanto grave che . . . .
Ma si dovette interrompere in quanto i due luogotenenti del sultano di Labuk, vedendo
Sandokan farsi sempre pi minaccioso nei confronti del loro sovrano, avevano snudato
le scimitarre e stavano per puntarle addosso al figlio di Muluder. Ma Sandokan,
avvedendosi di quell'atto d'ostilit, anche se compiuto in difesa del loro sultano, che
forse reputavano in pericolo, li prevenne scattando verso di loro come una tigre.
Afferrare alla cintola uno di essi, sollevarlo in aria, rotearlo come se fosse un peso di
pochi chili e scagliarlo violentemente addosso al suo compagno, facendoli
capitombolare entrambi a terra, fu l'affare di un sol momento.
Allarmati dalle grida di Sandokan, i suoi due accompagnatori, dando una doppia spinta
alle guardie ferme dinanzi allo studio del sultano, erano entrate sfoderando le loro
pesanti sciabole proprio in tempo per ammirare la forza e l'agilit del principe mentre
s'imponeva agli attendenti del rajah.
Nel giro di qualche minuto, a seguito delle urla e dei rumori, accorsero altre guardie e
numerosi servi i quali, vedendo ed ascoltando quello che era successo, fecero per
scagliarsi su Sandokan e sui suoi due accompagnatori ma furono fermati da un gesto del
loro sultano che al contempo grid:
- Fermi! Quest'uomo un rajah e nessuno pu toccarlo, almeno finch sotto questo
tetto.
Poi rivolgendosi a Sandokan gli disse:
- Amico, non roviniamo la nostra amabile conversazione. Tu devi purtoppo capire che
la situazione davvero mutata. Anche se chi salito al trono, al tuo posto, un
impostore, ragioni di sicurezza territoriale e di buon vicinato m'impongono alcune
prudenze. Mi guarder bene, quindi, da compiere atti ostili verso Hold. Il venderti armi
e munizioni o il permettere che tu possa arruolare truppe nel mio stato, potrebbe
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significare un atto d'ostilit contro il mio vicino e conseguentemente contro Varauni e
l'Inghilterra e l'Olanda. Non voglio certo guastare i miei buoni affari e le ottime
relazioni che ho con i miei potenti vicini e i loro alleati per . . . .
- Per causa mia! - lo interruppe Sandokan - Ma ormai ho compreso tutto. Quando un
vecchio amico diviene scomodo, quando un sultano detronizzato, quando viene ordito
un massacro di un'intera famiglia reale, non ci si pu pi immischiare. Gli inglesi
offrono di pi e minacciano meglio. Ma verr il giorno che anche tu pagherai quest'atto
di disaffezione che considero un vero tradimento d'amicizia ed alleanza.
E prima di attendere una risposta del suo illustre interlocutore, Sandokan e i suoi
si ritirarono, uscendo dalla stanza e poi dalla reggia.
E mentre camminavano il figlio di Muluder pensava a quest'ultima
umiliazione subita, a questo scacco ulteriore che lo lasciava ancora pi amareggiato e
solo: un'ennesima delusione. Non potendo contare nemmeno su quest'ultimo appoggio,
come avrebbe potuto continuare a sperare? Come coltivare i suoi sogni di
riconquista del suo regno? Dove poter arruolare uomini e dove acquistare armi e
munizioni? Questi pensieri cos funesti lo accompagnarono sino al luogo ove aveva
convenuto di rivedersi con i malesi, che aveva sguinzagliato sulle tracce dei suoi
vecchi soldati e dei tesori che aveva loro lasciato. Ma un'altra delusione lo attendeva.
Le bettole e le taverne della piccola cittadina erano state accuratamente visitate senza
risultato. Non solo non vi era alcun rajaputo ma mai ne erano stati visti. Nessun
straniero di passaggio, rispondente ai connotati forniti da Sandokan, era stato veduto
in citt, neanche una barca proveniente dal fiume Kin era attraccata nelle ultime
settimane, nemmeno si avevano notizie recenti della rivoluzione appena conclusa con
la disfatta delle truppe reali. Era quindi da pensare che il piccolo gruppo di rajaputi
fosse stato catturato dai nemici o fosse naufragato sul fiume. Queste notizie
gettarono ulteriore sconforto nel nostro eroe, che vedeva cadere tutte le sue speranze
residue per una pronta riscossa. A questo punto Sandokan decise di far ritorno sul
praho ove sottocoperta cos parl ai suoi nuovi compagni:
- Cari amici, ormai diffido di tutti. Se il rajah di questa citt mi ha rifiutato
l'appoggio potrebbe anche decidere di farmi arrestare. Chiss che premio gli
darebbero se mi consegnasse ad Hold o al sultano di Varauni. Per cui ritengo
opportuno salpare al pi presto. Nulla pi ci trattiene in questo posto. Per
l'immediato futuro ho partorito il seguente piano per la riuscita del quale faccio
grande conto sul vostro aiuto.
- Parla Sandokan - disse Siki.
- Ho pensato di accompagnare sei di voi alla foce del fiume Kin. Con il piccolo canotto
potreste in un paio di settimane o forse anche meno raggiungere la capitale del mio
regno. Appena arrivati vi dividerete in tre gruppi. Il vostro incarico in quel luogo sar
molteplice: dovreste sapere se e quanti popolani sono rientrati in citt dopo la
fuga generale, ascoltare gli umori degli abitanti, diffondere malcontento, sobillare gli
animi, cercare vecchi amici ed alleati grazie ad una lista che vi fornir. Sia nel
viaggio d'andata che di ritorno fermerete pi barche e pi persone che potrete, magari
visitando qualche villaggio del lago, spacciandovi per mercanti desiderosi di aprire
una linea di navigazione commerciale tra la capitale e la costa, per conto di un facoltoso
indiano che ha preso alloggio nel vostro villaggio. Quando avrete raccolto pi
notizie possibili tornerete indietro. Vi attender con ansia tra un paio di mesi. Che ne
pensate?
- Mi sembra un ottimo piano - sentenzi Makkri - e voglio essere uno dei sei
uomini che partiranno. Ma ci occorrer del denaro per convincere la gente a parlare.
Sandokan pens di procurarsi i denari necessari alla missione vendendo le sole cose
preziose che aveva conservato con lui: il kriss tempestato di rubini e la scimitarra
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impreziosita di smeraldi. Fece scendere a terra tre uomini che si recarono da un
ebreo che comprava e vendeva oggetti preziosi. Il commerciante dette loro
centomila rupie, ritenendo che tali oggetti valessero ben oltre la cifra offerta.
Appena tornati a bordo il praho part ed in men che non si dica raggiunse la foce
del fiume Kin. Un piccolo canotto venne calato dai paranchi. Vi presero posto i sei
uomini ai quali Sandokan aveva dato cinquantamila rupie. In realt tale somma poteva
far cadere in tentazione i nuovi possessori, che avrebbero anche potuto approfittare di
questa piccola fortuna per scappare col denaro, abbandonando la missione. Ma
Sandokan aveva voluto dare a tutti la massima fiducia, che sarebbe dovuta essere alla
base di un reciproco rapporto di collaborazione.
Il canotto si allontan, risalendo a forza di remi la corrente, approfittando dell'alta
marea che rendeva questo compito assai pi facile. Dopo qualche minuto
l'imbarcazione spar dietro un isolotto ed il praho si rimise alla vela in direzione del
villaggio di Saki.
Le settimane d'attesa cominciarono a passare lentamente. Ma Sandokan non fece
trascorrere inutilmente quel tempo senza far nulla. Infatti organizz un intelligente
tentativo di avvicinare altri gruppi di malesi che di tanto in tanto approdavano al
villaggio con le loro barche da pesca o con prahos dediti alla piccola pirateria. Il
progetto che aveva in mente era semplice: si trattava di entrare in contatto con pi
uomini possibili, che possedessero imbarcazioni o altri mezzi navali, con i quali poter
risalire, al momento opportuno, il fiume Kin, onde trasportare l'eventuale esercito di
liberazione che il deposto rajah aveva in mente di arruolare, prima o poi. Solo
trasportandolo via fiume si sarebbe potuto risparmiare tempo e pericoli d'imboscate,
riducendo la possibilit di essere notati da spie o contadini lungo la strada per terra.
Quindi Sandokan si rec con Seki ed un paio di uomini in un villaggio limitrofo ove
riusc ad acquistare un piccolo praho da un vecchio pescatore. L'imbarcazione venne
ancorata nel piccolo porticciolo di quella che ormai considerava la sua base operativa,
ove sub molte riparazioni e diverse migliorie. Vennero alzati i sabordi, rafforzate le
murate, installati alcuni cannoncini che aveva fatto acquistare da Seki nella lontana
Sarawack, rafforzate le sartie e le opere morte, irrobustito il timone, creato un piccolo
cassero prodiero, allungato il bilanciere. Questi lavori trasformarono la barca da pesca
in un piccolissimo legno da guerra, che se non poteva sfidare le cannoniere inglesi
poteva certo difendersi ottimamente da attacchi provenienti da altri prahos.
In altri successivi viaggi a Sarawack, intrapresi sempre da Seki, in quanto Sandokan
poteva essere riconosciuto, fece acquistare polvere, palle, cartucce, una certa quantit di
fucili, rivoltelle e proiettili. Questa piccola dotazione di materiale bellico permise al
deposto rajah di armare adeguatamente i malesi e i daiacchi del villaggio. In successivi
viaggi lungo la costa, sia ad oriente sia ad occidente, grazie alle numerose conoscenze
che Seki aveva nei diversi villaggi malesi e daiacchi, il deposto sultano pot arruolare
una trentina d'uomini. Anche essi vennero dotati di rivoltelle e fucili, polvere e
proiettili. Vennero acquistati anche generi alimentari, onde i nuovi arruolati, una volta
raggiunto il villaggio base delle operazioni, non gravassero sugli altri membri della
collettivit e sulle magre risorse in loro possesso.
Vennero anche costruite delle nuove capanne dove far alloggiare tutta questa gente che
fortunatamente non cre nessun problema con i vecchi residenti.
In un paio di mesi Sandokan dimostr che sapeva mantenere le promesse fatte ai
membri di quella collettivit quando si era impegnato a fornire ogni mezzo perch si
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potesse costituire un piccolo ma agguerrito corpo di spedizione, armato di tutto punto e
composto da uomini coraggiosi ed intraprendenti.
Trascorsero cos i due mesi d'attesa che il rajah aveva previsto per il ritorno dei sei
emissari. E se Sandokan aveva messo a frutto quel periodo per meglio dotarsi di un
piccolo manipolo di seguaci, ora l'attesa si faceva di giorno in giorno ansiosa, non
essendoci altro da fare che aspettare. Per un uomo d'azione, qual era il figlio di
Muluder, non era piacevole stare senza far niente. Aveva in qualche modo provato ad
ingannare il tempo istruendo i suoi uomini al combattimento: aveva allestito un campo
di tiro onde farli esercitare con i fucili e con le pistole, poi era riuscito ad organizzare
una sorta di scuola di scherma, al fine di insegnare a tutti quei magistrali colpi di difesa e
d'attacco che solo Sandokan conosceva.
In questo modo pass una altro mese. Pi trascorrevano i giorni e pi il nostro eroe si
incupiva. Non bisognava certo essere pessimisti per cominciare a temere che qualcosa
fosse andato storto ai suoi inviati: potevano aver fatto naufragio risalendo o discendendo
il fiume; era possibile che fossero stati attaccati da qualche banda di pirati di fiume o di
banditi di terra; era anche probabile che fossero stati scoperti dalle guardie del nuovo
rajah e giustiziati.
Comunque Sandokan non disperava di rivederli e si augurava che sarebbero comparsi il
giorno dopo o quello ancora successivo.
Seki, pensando che la permanenza di Sandokan si sarebbe prolungata a lungo nel suo
villaggio, e volendolo trattare se non come un sultano almeno come il personaggio pi
importante del villaggio, volle costruire una capanna per lo spodestato rajah. Venne
realizzata con canne di bamb, intrecciate fortemente tra loro in modo da costituire
l'ossatura principale del manufatto. Attorno ad esse vennero poste innumerevoli foglie
di palma, legate con dei rotang e della paglia. Il tetto fu invece fatto con giunchi
mischiati a fango argilloso in modo che la pioggia non potesse penetrarvi all'interno.
Quando fu ultimata venne inaugurata con grande contentezza di Sandokan che
comprese ancor di pi quanto fosse stato ben accolto da quei semplici ma fieri pescatori.
Gi stava trascorrendo il quarto mese, con un apprensione ed un'angoscia sempre pi
grande non solo nel sultano ma anche negli amici e nei familiari degli stessi esploratori,
quando una sera, poco prima che si andasse a dormire, si ud un tramestio nel villaggio
e delle urla che invocavano aiuto.
Tutta la popolazione di quel minuscolo paese si rivers fuori dalle abitazione appena in
tempo per assistere ad uno spettacolo veramente penoso: un uomo si trascinava tra le
capanne in ginocchio, appoggiandosi al braccio destro, mentre quello sinistro era ridotto
ad un moncherino; aveva gli abiti a brandelli, era lordo di polvere, di fango e di sangue
raggrumato.
Tutti si fecero vicino a quel relitto umano e subito lo riconobbero: era il vecchio malese
Makkri che era partito ormai da quattro mesi. Ma come era irriconoscibile, con il volto
contratto da una maschera di stanchezza, con gli occhi stravolti ed una schiuma che gli
usciva dalla bocca. Immediatamente venne soccorso: Sandokan lo prese in braccio come
un bambino, lo port nella capanna in cui abitava e lo distese sul pagliericcio che
fungeva da letto. Con l'aiuto della moglie di Seki si mise a lavarlo, a disinfettarlo con
una bottiglia di liquore e a fasciargli le ferite pi vistose, sparse per tutto il corpo; tra
queste vi erano delle piaghe sulla schiena che sembravano delle cicatrici prodotte da
colpi di frusta. Inoltre sui polsi e sulle caviglie presentava dei segni violacei che
denotavano come fosse stato lungamente legato.Venne fatto bere: prima un fiaschetta
d'acqua per estinguere la sete e poi un bicchiere di toddy, un liquore in uso in quelle
regioni costiere, per fargli riprendere forza.
Dopo qualche ora di queste amorevoli cure, si cap che il povero uomo era soltanto
enormemente stanco e ancora febbricitante per l'amputazione del braccio sinistro, dal
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gomito in gi, accaduta probabilmente alcune settimane prima ma non ancora
cicatrizzata perch mal curata e certamente non suturata; su tale ferita e sulle altre Seki
vi mise un impasto di foglie che solo quegli indigeni conoscevano. Le propriet
medicamentose, antidolorifiche e antiinfiammanti erano portentose in quanto in pochi
giorni agirono sulle parti lese, cicatrizzando i tessuti ed evitando l'insorgere di
pericolose infezioni.
Sandokan dovette tener freno alle domande che voleva rivolgergli in quanto Makkri non
era certo in condizione di poter rispondere. Venne fatto mangiare, sostanze molto
nutrienti, imboccandolo come un bambino. Il resto della notte trascorse in una specie di
veglia di preghiera attorno al suo capezzale.
Verso mezzogiorno il malese si svegli, e chiese da bere. Stava gi molto meglio e
subito domand di Sandokan, che si precipit nella capanna assieme a Seki e ad un altro
paio di daiacchi.
Il giovane sultano, molto desideroso di ascoltare notizie del suo amato regno, fece
accomodare seduto il malese e gli chiese:
- Cosa ti accaduto, mio povero Makkri?
- Perdonami, o signore, di aver impiegato tanto tempo per tornare indietro ma per puro
miracolo che sono ancora vivo. Purtroppo i miei compagni sono stati tutti uccisi.
Sandokan fremette di rabbia e di dolore: ancora morti per causa sua!
- Ti prego racconta tutto sin dal principio e cio da quando vi lasciammo sul canotto
mentre risalivate il fiume Kin.
- Ecco quello che ci accaduto. Avevamo compiuto abbastanza celermente il nostro
viaggio, raggiungendo il lago Kin senza alcun incidente. Nessuno ci aveva disturbato o
fermato. Lungo la strada ci eravamo imbattuti in diversi contadini o cacciatori ai quali
avevamo chiesto notizie. Ci venne detto che la vita nel sultanato era ripresa molto
lentamente ma che si viveva nel terrore in quanto il nuovo sultano era inflessibile e
crudele. Tentammo di incuneare nelle varie persone incontrate il germe della rivolta, ma
tutti sembravano stanchi di guerre e di povert. Quasi ci cacciavano ogni volta che
tentavamo di sobillarli contro Hold. Giungemmo infine alla citt del lago Ma
nell'entrarvi, alla porta d'ingresso, fummo interrogati dal capoposto delle guardie che
vigilavano sull'accesso dei forestieri nella capitale. Sar stato perch il comandante era
particolarmente zelante o perch avesse sospettato qualcosa dall'accento del nostro
dialetto, che denotava come fossimo bornesi della costa e non dell'interno, fatto
sta che ci fece perquisire, nonostante le nostre pi vive proteste. I nostri sacchi da
viaggio furono aperti ed immaginatevi quale fu la sorpresa delle guardie nello scoprire
che possedevamo tutte quelle migliaia di rupie, una somma ingentissima che una
persona del nostro rango non poteva certo guadagnare. Allora ci separarono e ci
interrogarono singolarmente per sapere come mai portavamo tanto denaro
appresso. Come tu ci avevi ben istruito, o mio signore, gli rispondemmo che
quel denaro serviva per noleggiare dei battelli fluviali, o per costruirne, e per
intraprendere con essi un trasporto fisso di merci e persone verso il mare. Sembr che
queste nostre spiegazioni avessero soddisfatto la loro curiosit perch fummo tosto
liberati e ci furono restituiti in nostri averi. Entrammo quindi in citt e cominciammo,
come tu ci avevi detto, a compiere la nostra missione. La capitale era stata in parte
ricostruita, e quasi non rimaneva pi traccia della lunga guerra. Quasi tutti gli abitanti vi
erano tornati, attirati da un'amnistia generale e dalla promessa, rivolta a chi avesse
ripreso possesso della propria casa od a chi fosse tornato alla sua occupazione
lavorativa, di un grossa ricompensa in denaro, in armi o in viveri. Facemmo quindi il
giro delle osterie, delle taverne, delle botteghe, dei mercati, spingendoci in periferia e
nelle campagne circostanti. Purtroppo non ci avvedemmo che eravamo costantemente
seguiti da alcune spie che le guardie ci avevano messo dietro ............
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- Saccaroa! - esclam Sandokan stupito da tanta furberia dimostrata dalla polizia
segreta di Hold. - Forse avrei fatto meglio a mettervi sull'avviso che il perfido inglese
avrebbe attuato la massima sorveglianza per prevenire un mio ritorno. Continua a
raccontare, mio buon Makkri.
Il malese aveva approfittato di quell'interruzione per bere qualcosa di rinfrescante che
gli era stato porto dalla moglie di Seki. Si trattava del liquido proveniente dall'interno di
una noce di cocco, corretto con alcune gocce di toddy, che venne tracannato d'un sol
fiato dall'assetato vecchio, che cos continu:
- Per quanto usassimo ogni prudenza nell'avvicinare le persone e per porre loro le
domande, era chiaro che, attaccando discorso con popolani tanto diversi tra loro,
qualche sospetto dovesse sorgere nella mente di quelle spie. Infatti chi voglia
intraprendere una qualche attivit di trasporto non va girando per ogni dove, ma si
indirizza verso un solo settore lavorativo.
Inoltre la polizia segreta del sultano, interrogando a sua volta le persone che noi
fermavamo, veniva poi a sapere che le nostre richieste erano di natura tutt'altro che
commerciale. La conseguenza di ci fu che dopo una decina di giorni fummo avvicinati
da un uomo che sembrava un battelliere: ci disse che voleva proporci un affare e ci
indusse a seguirlo, a me e al compagno che avevo appresso, fin dentro una cantina. Qui
quest'uomo, che altro non era se non uno sgherro della polizi, ci fece un sacco di
domande, alcune molto specifiche, riguardanti il nostro lavoro alle quali non sempre
sapevamo rispondere con la dovuta professionalit. Fatto sta che, da dietro ad alcune
botti che si trovavano in quel luogo, ci balzarono addosso alcuni soldati che ci
arrestarono disarmandoci.
Il giorno seguente anche gli altri due gruppi, composti dai quattro compagni con i quali
avevamo fatto il viaggio, vennero attirati nella medesima imboscata e tradotti in carcere.
Fummo tutti interrogati da un uomo che sembrava pi un aguzzino che un comandante
di polizia. Il nostro gioco era ormai scoperto, ma noi non confessammo. Volevano
sapere il nome di chi ci aveva mandato in citt. A me chiesero anche se questo si
chiamasse Sandokan.
- Maledizione! interruppe ancora il deposto rajah, scattando in piedi Hanno proprio
un ottimo intuito e stanno evidentemente sulla difensiva, aspettandosi un mio ritorno!
Ora il mio gioco stato scoperto, dunque! Maledizione a Garuda e a tutti i demoni!
Il malese, che si stava stancando per quel lungo racconto, essendo ancora febbricitante,
parve prendere fiato e, non appena Sandokan si fu di nuovo messo seduto, riprese con
voce affaticata:
- Non collaborando e non confessando nulla fummo privati del cibo e dell'acqua. Ci
dissero che il digiuno ci avrebbe aiutato a ricordare. Dopo lunghi giorni di stenti, ti basti
pensare che per dissetarci leccavamo le gocce di umidit che trasudavano da una parete
della cella, fummo di nuovo condotti dal nostro torturatore che ci inflisse prima una
serie di frustate, nella speranza che parlassimo. Ma perdurando noi nel nostro silenzio,
ci affid al carnefice affinch ci giustiziasse. L'esecuzione era fissata per la settimana
successiva. Nella piazza della citt fu innalzato un palco e noi sentivamo gli operai
lavorare ed insieme ridere e scherzare circa lo spettacolo che il nuovo sultano avrebbe
offerto alla popolazione: si trattava della nostra decapitazione o di qualche altro
supplizio. Eravamo legati nelle celle come salami ed i miei polsi portano ancora le
cicatrici dei legacci che ci torturavano le carni. Quando giunse il giorno dell'esecuzione,
fummo portati nella piazza, scortati da numerosi soldati, ma con nostra grande sorpresa
non fummo fatti salire subito sul palco. Al nostro posto vi erano altri uomini, almeno
una trentina, che attendevano l'arrivo del boia. Un inviato del sultano lesse i loro capi di
imputazione: si trattava degli ultimi realisti, una banda di rajaputi a te ancora fedeli che
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era stata catturata in un'imboscata. Vennero decapitati uno ad uno e morirono
pronunciando il tuo nome, o signore.
Sandokan si copr il volto con le mani, mentre un ruggito, che si tramut in singhiozzo,
usc dalle sue labbra. Ancora una scia di sangue che accompagnava, ormai da troppo
tempo, la sua esistenza; ancora morti. Ancora una vittoria dell'odiato Hold. Poi si fece
forza e disse, con voce fioca:
- Termina in breve questo straziante racconto, ti prego!
- Fummo accompagnati, per meglio dire spinti e strattonati, verso il boia il quale, uno ad
uno giustizi i miei infelici compagni. Io ero l'ultimo della fila e gi stavo per disporre
la testa sul ceppo del patibolo, quando il boia mi fece prendere il braccio sinistro da un
suo aiutante, me lo fece distendere e me lo mozz con la sua accetta. Svenni dal dolore.
Quando ripresi i sensi mi avevano immerso l'arto nell'olio bollente, onde arrestare
l'emorragia di sangue. Mi fecero bere un cordiale, non certo per compassione ma solo
perch io udissi bene quello che lo stesso Hold mi venne a dire di persona. Mi si
avvicin con un sogghigno sulle labbra e mi invit a riferirti che ero stato tenuto in vita
solo perch potessi tornare da te a raccontarti che la nostra spedizione era fallita, che
nessun nemico sarebbe potuto entrare in citt senza essere scoperto e che sulla tua testa
era stata posta una taglia di un milione di rupie; aggiunse anche che molte squadre di
selvaggi e avventurieri, attratti dal magnifico premio, stanno cercandoti per catturarti o
ucciderti.
- Un'ultima domanda e poi ti lascer riposare. - disse Sandokan al malese - Prima che
vi catturassero eravate riusciti a sobillare qualcuno? Avevate radunato qualche
conventicola di leali sudditi a me favorevoli? Cosa pensava la popolazione di Hold e
della strage della mia famiglia?
- Abbiamo interpellato un buon centinaio di persone. Tutte ti ricordano con molto
affetto e sono disgustate di quello che accaduto a te e ai tuoi cari. Me nessuno pensa a
ribellarsi, n siamo riusciti ad armare chicchessia. Tutti hanno una maledetta paura delle
spie e della polizia che giornalmente conduce sul ceppo del boia diversi uomini o
donne, rei solo di aver criticato Hold o di non essersi assuefatti alle nuove leggi. La
gente rassegnata e terrorizzata. Un'eventuale riscossa non potrebbe mai avere come
promotori quei tuoi sudditi.
Il rajah era annichilito da simili notizie. Di nuovo un macigno si abbatteva sulle sue idee
di rivincita, schiacciandole in un lago di sangue. Non solo i suoi inviati erano stati
massacrati, ma il livello di guardia nella polizia era talmente elevato che ben
difficilmente si poteva tentare un colpo di mano. Nessuno aveva abbracciato la sua
causa, ma anzi il detestabile sultano stava passando al contrattacco, scatenandogli
appresso bande di cacciatori di taglie per ucciderlo o catturarlo. A tanto arrivava la
bramosia del potere o il timore che Sandokan potesse di nuovo tornare pericoloso!
Il principe di Sabah ringrazi il povero monco di tanto coraggio ed abnegazione,
giurandogli che la vendetta sarebbe arrivata esemplare per qui carnefici.
Il rimanente della notte il figlio di Muluder tent di chiudere occhio ma senza riuscirci.
Davanti a lui si agitavano le ombre dei suoi amici massacrati da quei masnadieri. Gli
sembrava di vedere il padre o i fratelli invocare una rivincita che appariva sempre pi
difficile e problematica.
Il sorgere del sole lo vide ancora sveglio in preda a mille pensieri.

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CAPITOLO TERZO

DISFATTA TOTALE

II giorno seguente Sandokan fece una lunga passeggiata nel villaggio: era molto
pensieroso e le ultime disavventure toccate a quei sei uomini inviati verso il regno di
Sabah gli martellavano la testa, poich si riteneva responsabile della loro fine e di quella
degli altri trenta suppliziati sul patibolo, quei poveri realisti che si erano immolati in
nome della fedelt ai Muluder.
Il giovane sultano gioc un poco col piccolo Ragj, al quale si era molto affezionato e
verso cui nutriva della simpatia spiccata in quanto era un bambino sempre allegro ed
intelligente.
Nei giorni seguenti non riusc a prendere nessuna decisione, anzi s'isol dal resto della
comunit, per una sorta d'autopunizione.
Di notte aveva dei terribili incubi: in sogno si agitavano le ombre dei suoi familiari che
gli apparivano tutti imbrattati di sangue e col volto sofferente, come quando li vide
appena assassinati, durante il fatale banchetto. Il padre e i fratelli lo imploravano di
riprendere la lotta contro l'usurpatore e di vendicarli. Poi rivedeva i luoghi piacevoli
della sua fanciullezza, il bellissimo parco dove giocava con le sorelle o i luoghi che
frequentava nella reggia da giovinetto. E mentre sognava Sandokan si agitava, sudava
ed urlava frasi sconnesse, come se fosse in preda ad un delirio di febbre altissima.
Per molte notti ebbe questi orrendi sogni e per parecchi giorni non si fece vedere dai
suoi compagni nel villaggio. Aveva detto a tutti che non voleva essere disturbato e
nessuno os interrompere questo desiderio di solitudine.
Passarono cos alcuni mesi, durante i quali i nuovi affiliati alla banda di Sandokan
ebbero modo di fare amicizia con i dayacchi e con i malesi che gi risiedevano nel
villaggio. Erano tutti ben felici di essere stati assoldati dal sultano che, se anche non
dava loro del denaro, vista la totale inazione, li manteneva sia nel mangiare sia nel bere.
Nel frattempo, grazie a frequenti viaggi intrapresi con il praho di Seki, vennero
acquistati, con i denari offerti dal giovane rajah, altri approvvigionamenti di viveri,
fattiin vista della spedizione che ancora non si era svolta. Infatti la caccia e la pesca
non potevano certo bastare da sole a sfamare quella moltitudine d'uomini che ormai
era di gran lunga superiore a quello che la piccola comunit poteva offrire.
Sandokan trascorse tutto questo tempo a rimuginare piani su piani, volti alla
sollevazione delle popolazioni dell'interno, onde riprendersi l'avito sultanato, ma non
riusciva a trovare un'idea particolarmente buona o convincente.
Non era certo il coraggio che mancava al giovane figlio di Muluder, ma un'azione di
forza era da escludere non essendo il suo gruppo in numero sufficiente per ipotizzare di
battere militarmente l'esercito di Hold. Bisognava quindi ricercare qualche piano ardito
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o trovare un'astuzia che potesse sopperire alla pochezza d'uomini da impiegare
nell'azione. Ma per quanto s'ingegnasse nulla di particolarmente promettente veniva
nella sua mente. D'altronde non voleva arrischiare altre vite umane nel tentativo di
carpire notizie utili od aggiornate; quindi non invi pi esploratori o informatori verso il
Kina-Balu.
Ma quest'attesa, quest'impotenza, quest'inerzia lo divoravano. Sandokan si struggeva
al pensiero che nulla stava intraprendendo e niente di serio aveva in programma.
Passarono cos lunghi mesi in quest'inutile e vana attesa di una qualche azione che
nemmeno il giovane principe sapeva cosa potesse essere. Pi il tempo trascorreva e pi i
malesi arruolati e la popolazione del villaggio si annoiavano. Non si potevano nemmeno
compiere le imprese di pirateria tanto care a quegli uomini, poich Sandokan non voleva
perdere inutilmente i pochi seguaci che gli erano vicini; ci rattristava quei rudi bornesi
che non si rassegnavano a stare con le mani in mano. Nessuna azione di guerra come
aveva loro promesso Sandokan quando li aveva ingaggiati. Quindi anche il loro morale
ne risentiva e tutti pensavano d'essere inutili in questa perniciosa aspettativa. Un giorno,
finalmente, il principe del Kina-Balu ritenne di mettere fine ad ogni indugio, decidendo
di intraprendere quella che sperava essere l'unica azione possibile. Radun quindi attorno
a se tutti gli uomini del villaggio e cos parl loro:
- Malesi, dayacchi, giunto il momento di tentare un'iniziativa contro l'usurpatore.
Partiremo oggi stesso con i due legni e risaliremo il fiume Kin sin dove sar possibile.
Maschereremo i prahos in mezzo alla verzura e continueremo il viaggio a piedi, divisi in
piccoli gruppi. Credo che, dopo circa un anno dalla nostra ultima azione, la sorveglianza
della polizia nel paese si sar senz'altro rallentata ed attenuata. Quindi, cercando di non
dare nell'occhio, ci avvicineremo alla capitale. Tra meno di un mese si celebra, in quella
regione, la festa del dio Garuda e molti pellegrini raggiungono la capitale, da ogni parte
del regno, per rendere omaggio a quel dio nel grande tempio votivo che sorge nei pressi
della citt. Cercheremo un momento favorevole per fare il colpo di mano necessario,
che forse si presenter se Hold si recher, in segno d'omaggio, a visitare quel luogo
sacro. Se ci accadr noi tenderemo un agguato al corteo reale e salteremo addosso a lui
e alla sua scorta. Faremo in pochi minuti un vero macello dei suoi soldati ed io mi
occuper di uccidere l'impostore. Una volta morto lui, effimero capo del regno, sar un
gioco per me far passare dalla mia parte i vari comandanti e tutto l'esercito,
promettendo perdono e denaro per tutti.
Il piano del rajah sembrava semplice ed attuabile, ma in realt Sandokan era cosciente
che avrebbe giocato cos la sua ultima carta. Era un rischio mortale per tutti, perch si
sarebbero in quel modo gettati nelle fauci del nemico, con enormi difficolt di fuga se
qualcosa fosse andata storta. Ma tutti i presenti, forse anche sospinti dal desiderio di
uscire fuori da quel letargo che durava ormai da troppo tempo, esultarono alla proposta
ed accettarono entusiasticamente la notizia della partenza.
Vennero fatti i preparativi, imbarcando sui due legni tutto ci che poteva essere utile per
una spedizione che poteva durare forse due o tre mesi.
Il problema principale, sul quale si era lungamente discusso in tante settimane di forzata
inattivit, era se portarsi o meno appresso le donne, i vecchi e i bambini. Essi avrebbero
sicuramente rallentato la marcia e sarebbero stati d'impaccio in caso di una fuga
generale. Ma potevano servire benissimo come copertura. Infatti chi mai avrebbe potuto
pensare che un corpo di spedizione si tirasse appresso le donne, i vecchi e la prole? Chi
avesse incontrato quella gente durante il tragitto, da quando fossero scesi dai prahos, sin
nei dintorni della capitale, li avrebbe scambiati benissimo per pellegrini che si
dirigevano al santuario del dio Garuda. Inoltre questi esseri indifesi non sarebbero
rimasti soli nel villaggio per tutto quel tempo esposti ad assalti di terra o di mare.
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Si convenne quindi che sarebbero partiti tutti abbandonando completamente il villaggio
in mano a quattro vecchi, uomini e donne troppi anziani per intraprendere una
spedizione cos disagiata. La partenza avvenne il giorno appresso.
Dopo aver costeggiato per un largo tratto la spiaggia ed il litorale del Borneo, le due
imbarcazioni imboccarono il fiume Kin e cominciarono a risalirlo. La marea era a loro
favorevole in quanto in quel momento saliva e ci permise di vincere la corrente del
fiume , visto che il vento era quasi assente.
Ben presto si perdette di vista l'estuario e la spedizione, superate le prime due curve del
fiume, si trov a viaggiare in prossimit di zone ove i contadini di un vicino villaggio
avevano allestito immense risaie, tutte rigorosamente tagliate in quadrati, con accanto
piantagioni di canna da zucchero. Qui alcuni uomini, cotti da un sole feroce, lavoravano
indefessamente, poco curandosi di quelle due navi che si vedevano sul corso d'acqua.
Trascorse alcune ore di navigazione, il paesaggio cambi radicalmente: non pi risaie o
zone agricole coltivate intensivamente o luoghi abitati con misere capanne, ma rive
coperte da una lussureggiante vegetazione. Questo era il regno che serviva da asilo a
migliaia d'uccelli e a frotte di lucertole volanti, che si slanciavano arditamente da un
ramo all'altro di quei superbi alberi, sempre pi fitti e pi alti.
Il fiume che era sempre larghissimo, formava di frequente delle curve molto strette ove
spesso la corrente creava dei pericolosi mulinelli che facevano sbandare un poco quei
legni carichi allinverosimile di persone ma comunque ben manovrati da bravi timonieri.
La giornata trascorse felicemente e quando il sole volse al tramonto Sandokan ritenne
pi prudente, per evitare possibili inconvenienti con banchi di sabbia invisibili,
accostare a riva per accamparsi.
Dopo l'ennesima curva fu individuata un'insenatura ed un piccolo spiazzo erboso sulla
riva, posto ideale per gettare gli ormeggi e scendere a terra. Cos fu fatto. Il luogo era
bellissimo; una corolla d'alberi di cocchi piegava i propri rami, carichi delle loro enormi
noci, fin quasi a toccare il pelo dell'acqua. Al centro del fiume una miriade di
trampolieri scendeva dal cielo, dirigendosi poi verso un gruppo di canne e bamb per
trovarvi rifugio per la notte che stava calando rapidamente.
Alcuni malesi accesero i fuochi per proteggere l'accampamento da eventuali attacchi di
fiere che sicuramente abbondavano sotto quelle foreste.
Sandokan ed una decina d'abili cacciatori, approfittando degli ultimi minuti di luce, si
inoltrarono nella boscaglia per cercare di uccidere qualche capo di selvaggina.
Spararono alcuni colpi contro certi uccelli, raccolsero qua e l alcune banane ben
mature, poi tornarono verso il campo ove i fuochi appena accesi rischiaravano
l'avvenuta oscurit, sopraggiunta rapidamente, come accade in quelle regioni ove non
esiste tramonto o alba, ma si passa dal giorno alla notte in pochi minuti. La cacciagione
venne messa ad arrostire, mentre i dayacchi avevano gi posto sul fuoco un enorme
pentolone dove bolliva una grande quantit di riso. Una volta cotto venne condito con
un terribile intruglio di piccoli pesci fradici ed erbe aromatiche con spezie decisamente
piccanti. Era un cibo molto apprezzato da quegli indigeni del quale sono veramente
ghiotti. I malesi avevano raccolto anche grossi manghi, con polpa abbondante,
succosa e gialla, priva di quello sgradevole profumo che li rende spiacevoli all'olfatto.
Tutti non mancavano d'appetito e si sedettero attorno a delle stuoie variopinte che
servivano da tovaglia, facendo largamente onore a quel pasto. La notte trascorse
tranquillamente senza nessun allarme.
Sandokan non attese l'alba per alzarsi in quanto, era molto ansioso di riprendere la
navigazione.
Finalmente la luce del giorno fug le tenebre in maniera repentina e alla fresca
brezzolina notturna, carica del profumo di mille piante in fiore subentr il solito caldo
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soffocante sempre pregno d'umidit. Gli uccelli cominciavano a cinguettare sulle cime
pi alte degli alberi; le gazze aprendo le ali macchiate d'azzurro iniziavano a gettarsi nel
vuoto; gli aironi si sgranchivano le zampe allungandole, mentre delle splendide
colombe con delle piume color oro si preparavano ad innalzarsi in volo; grossi calao dal
becco enorme ed appuntito, facevano udire le loro grida sgradevoli, simili al cigolio di
porte non oliate.
Dato il segnale della partenza tutti s'imbarcarono di nuovo sui due legni. Il viaggio
prosegu celermente in mezzo a quella foresta vergine che copriva le due rive e
formava una volta di verzura su buona parte dell'acqua.
Proseguendo la navigazione e penetrando nell'interno, la minuscola formazione navale
inizi a trovare maggiori difficolt sulla via acquea. Il fondo diminuiva sensibilmente,
ma i dayacchi, esperti di quel fiume, avvertirono che, passato un tratto pieno di
bassifondi, avrebbero trovato il corso fluviale pi largo e senza possibilit di toccare con
la chiglia i banchi di sabbia che erano presenti per ogni dove.
Per lunghi tratti di navigazione i prahos erano accompagnati da bande di scimmie che
saltavano da un albero all'altro con velocit prodigiosa. A volte si vedevano dei
quadrumani chiamati dai dayacchi bacantan dal corpo svelto e dalla lunga coda, dal
pelame morbido di color bruno chiaro, alti pi di un metro e mezzo: avevano sul muso
una barbaccia gialla, il labbro superiore leporino ed un grosso naso rosso vermiglio ed
appuntito. Non mancavano neanche i monjet, grossi macachi barbuti, dal pelame
verdastro, colla testa piatta, che si divertivano a percuotere con dei bastoni le grosse
canne di bamb che coprivano le rive del fiume.
Ci vollero alcuni giorni di navigazione per risalire il Kin, in quanto un recente
temporale, forse scoppiato alle sorgenti del fiume, aveva trascinato a valle ogni sorta di
detriti, fasci di canne, animali morti, frammenti di costruzione, residui erbosi e diversi
tronchi abbattuti, rendendo cos pi lenta la navigazione.
Il fiume, a mano a mano che lo si risaliva, si stava riducendo ad un grosso torrente, ma
grazie all'aumento della portata d'acqua per quel probabile temporale, era ancora
navigabile. La sua corrente si era accresciuta per cui i malesi furono costretti a far uso
oltre che delle vele, di rami e pertiche di legno.
L'acqua era molto trasparente ed il letto del fiume appariva privo di sabbia e ciottoli. La
volta della vegetazione copriva ormai interamente il cammino della spedizione, ma in
uno squarcio di questa apparve la sagoma di una montagna che sbarrava l'orizzonte.
Come le altre montagne del Borneo anche quella sorgeva improvvisamente dal suolo e
quindi era logico supporre che tra breve il torrente si sarebbe ulteriormente ristretto. E
cos fu: poco pi innanzi, i prahos toccarono il fondo con le chiglie e quindi il viaggio
fluviale fu interrotto. Tutti scesero, mentre i legni furono tratti verso la riva destra e
ricoperti totalmente da una montagna d'erbe e frasche, in modo da passare inosservati
anche a chi avesse attraversato quel tratto di foresta. Da quel momento il tragitto si
sarebbe svolto a piedi nella jungla. Lasciarono quindi alle loro spalle il fiume: sembrava
scintillare come una colata di bronzo fuso, con dei bagliori rossi, dovuti alla luce del
sole che stava tramontando, ma che venivano interrotti dalle ombre d'alcuni uccelli
svolazzanti sulle rive.
Alle ultime luci del giorno il drappello si inoltr nella foresta, cercando di fare meno
rumore possibile. Il silenzio era rotto dalle urla delle fiere che sin dal principio della
notte uscivano dai loro covi per mettersi in caccia. Ma non erano solo urla di belve
quelle che echeggiavano sotto gli alberi. Ora erano fischi stridenti che si succedevano
con fantastica rapidit, ora un abbaiare confuso, come se centinaia di cani corressero per
ogni dove, ora dei barriti intensi che dimostravano la presenza di qualche branco di
pachidermi. Sandokan ed i dayacchi abituati a quei rumori non ne avevano alcuna
preoccupazione, ma i malesi, gente non avvezza alle foreste, erano turbati e spaventati
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Pag. 180 - ..si decise di far uso delle scimitarre per aprire un varco tra vere siepi di
liane e sipari
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al punto che ad ogni istante armavano le carabine, temendo un improvviso attacco
d'animali. In questo modo, tra tanti falsi allarmi, il viaggio d'avvicinamenio alla
capitale prosegu lentamente.
Ad un tratto l'avanguardia spar alcuni colpi di fucile, gettando l'allarme in tutta la
colonna. Il principe Muluder si precipit davanti a tutti, chiedendo cosa fosse successo.
In realt si trattava di un falso allarme: alcuni malesi, molto impauriti da quel concerto
notturno avevano visto nel fitto del bosco saltellare, come delle rane, parecchi animaletti
alti quindici o venti centimetri, forniti di grandi occhi tondi che emanavano una luce
giallastra, come quella delle civette, e vedendo queste apparizioni misteriose avevano
fatto fuoco. Sandokan rassicur tutti spiegando che si trattava di tarsi spettri, animali
stranissimi che formano una vera bizzarria e che sono gli esseri pi singolari dell'intero
Borneo. Questi mammiferi sono piccoli animali notturni, che vivono nascosti nei
boschi; hanno la testa rassomigliante alle rane, ma col muso triangolare, una grossa
bocca e due larghi occhi gialli fosforescenti che sembrano emanare dei fasci di luce, che
provocano spesso paura negli indigeni che li identificano con spiriti maligni o geni del
male, cos che li fuggono o li uccidono da lontano sparandogli contro.
Dopo questo incidente la marcia fu ripresa nel pi profondo silenzio. Cespugli e
ammassi d'erbe rallentavano per il cammino al punto che si decise di far uso delle
scimitarre per aprire un varco tra vere siepi di liane e sipari di piante spinose Ogni tanto
qualcuno inciampava nelle radici affioranti dal terreno od urtava nei vari tronchi che
l'oscurit regnante in quel labirinto vegetale gli impediva di scorgere. Ognuno dei
viaggiatori si scorticava le mani sui margini taglienti delle erbe o si lacerava i vestiti
sulle invisibili spine che proteggevano certi fiori profumati, tipici della jungla bornese.
Alle prime luci dell'alba la colonna si arrest ai margini di una radura, sia perch
ognuno era molto stanco, sia perch era pi prudente non farsi notare durante la giornata
da contadini e spie del nuovo rajah.
Una ricca colazione a base di banane, di durion, di pombo, di manghi rimise in forze
tutta la banda, che si gett poi a terra, cercando di approfittare del tempo d'attesa per
fare un lungo e riposante sonno.
Arriv quindi l'ora del pranzo. Tutti mangiarono con appetito, mentre Sandokan
lanciava alcuni esploratori a visitare le foreste circostanti. Tornarono dopo un paio d'ore
riferendo che tutto era tranquillo e che la jungla era deserta. Anche il pomeriggio
trascorse nel riposo e nel silenzio pi assoluto. Il caldo soffocante, dovuto alla
mancanza di circolazione d'aria sotto quell'intrico di vegetali, era almeno mitigato dal
fatto che l'ombra era completa ed assoluta.
Giunse quindi la sera e l'ora della cena. Si decise di mangiare e poi di partire. Siccome
si sarebbe dovuto marciare per tutta la notte si pens bene di cucinare un copioso pasto:
quattro donne servirono due maiali selvatici cucinati interi, mentre dei ragazzi
distribuirono il contenuto d'alcuni vasi costituito, da larve di termiti e da piccoli
crostacei seccati e ridotti in polvere, mischiati a pesci lasciati al sole, durante tutta la
giornata appena trascorsa, a fermentare e a corrompersi. Questi erano i piatti
maggiormente apprezzati dai dayacchi ed anche Sandokan ed i malesi non li
disprezzavano. In alcune tazza d'argilla venne poi servito del kalapa, una bibita
rinfrescante, poi dell'eccellente bram, liquore fortissimo ricavato dal riso fermentato e
dal succo di certe palme; infine a chi voleva fumare fu servito del buon tabacco.
La marcia fu infine ripresa. Le donne e i ragazzi non erano poi tanto d'impaccio, perch
avevano capito che la riuscita della spedizione dipendeva anche dalla loro resistenza. Le
donne, poi, molto energiche, portavano sul capo dei cesti con le provviste o con le
coperte, molto utili per combattere il freddo notturno assai intenso.

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Spesso esse si preoccupavano di caricarsi in braccio i bambini pi piccoli che non
erano in grado di camminare, onde non rallentare la marcia.
Anche quella notte fu trascorsa in un lungo ed estenuante cammino. Appena sorse
l'alba, la banda si arrest per il meritato riposo, mentre alcuni cacciatori, armati di sole
frecce e lance, per non fare rumori inutili, si recarono a rinnovare le provviste di carne
fresca. Infatti, nonostante le scorte dei viveri che quella colonna si portava dietro, era
facile comprendere che non si poteva dar da mangiare a circa centotrenta persone, senza
esaurire ogni scorta in pochissimi giorni. I cacciatori stanarono grossi volatili, come gli
argus e i tucani giganti, i buceros, poi dei cervi, dei babirussa e persino delle scimmie.
Le donne dayacche, sempre infaticabili, avevano fatto raccolta di legna per il fuoco che
venne tosto acceso; ben presto un delizioso profumino si diffuse per l'aria, mettendo di
buon umore tutti. La colazione fu divorata in pochissimo tempo e, poste alcune
sentinelle ai margini dell'accampamento, tutti caddero in un sonno profondo e
ristoratore, vinti dagli sforzi giganteschi delle camminate notturne, complice il gran
caldo che conciliava benissimo il dormire.
L'avanzata riprese la notte successiva e tutto procedette bene per alcuni giorni. Non
vennero fatti incontri di nessun genere, perch la foresta , che aveva preso il posto della
jungla, era molto fitta e non permetteva alcun tipo d'agricoltura o di pastorizia ai sudditi
dello stato del Kini-Balu.
La mattina del ventesimo giorno, dopo l'ennesima notte trascorsa a camminare, la
colonna incontr una radura, malamente dissodata ed in parte coltivata: ci fece capire a
tutti che si era in vicinanza di qualche villaggio e della stessa capitale. Sandokan che
aveva girato quelle foreste in lungo e in largo, sin da quando era bambino, non aveva
avuto difficolt ad orizzontarsi in quell'inferno verde, ma non poteva sapere con
esattezza quale luogo poteva essere quello.
Alcune coppie di scimmie buto, che saltellavano sopra i rami di un banano, fecero udire
la loro voce, non spaventandosi affatto dalla presenza di tante persone, segno evidente
che erano abituate a vedere l'uomo. Poco pi innanzi qualche gek-ko, o lucertola
cantatrice, eman un debole grido, mentre una decina di chalcostetha, piccolissimi
uccelli dai colori accesi e con riflessi quasi metallici, lanciarono dei pispigli. Nelle
vicinanze di quella radura vi era un leggero declivio che portava ad una vallata, interrotta
solo da gruppetti di palme e di pombo, coltivata a zenzero con delle piante alte quanto
un uomo.
La colonna approfitt della notte successiva per attraversare questi primi campi
coltivati, per poi addentrarsi in vastissime risaie, veri laghetti dove le piccole pianticelle
di riso, appena cresciute, facevano una timida apparizione fuori dal pelo dell'acqua.
Sandokan a quel punto pens che era giunto il momento di dividere la sua colonna,
poich ora aumentava il pericolo di incontrare contadini, cacciatori o polizia locale, che
non avrebbero mancato di notare quella grossa compagnia di persone, suscitando cos
gravi sospetti. Attu quindi il suo progetto che gi a suo tempo aveva comunicato ad
ognuno: la colonna si sarebbe dovuta dividere in gruppi di tre o quattro individui. Questi
si sarebbero poi introdotti in citt od avrebbero trovato rifugio nelle sue immediate
vicinanze, chi chiedendo ospitalit a contadini, chi rivolgendosi alle locande presenti
dentro la cinta cittadina, chi accampandosi nella campagna, come se fossero onesti
viandanti o infervorati credenti, appena arrivati nella zona per rendere omaggio e
pregare il potente dio bornese
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Le donne e i bambini sarebbero invece rimasti nel luogo ove si trovavano in quel
momento: si trattava di un fitto boschetto di bamb cinto da una piccola palude, dove
forse nessuno sarebbe andato a curiosare. Avrebbero atteso tranquillamente il ritorno
degli uomini a missione terminata.
Sandokan aggiunse altri dettagli ai suoi amici: i trenta malesi arruolati e i quaranta
dayacchi e malesi del villaggio si sarebbero dovuti mischiare alla folla di fanatici che
avrebbe seguito in processione la statua del dio Garuda; con molta attenzione si
sarebbero dovuti avvicinare lentamente alla scorta dell'usurpatore, come per ammirarlo
o salutarlo, per poi scagliarsi addosso ai soldati ad un gesto di Sandokan, appositamente
convenuto. La cosa pi difficile era forse il potersi rivedere in mezzo a quella probabile
marea di fedeli: occorreva darsi un appuntamento di massima che fu fissato davanti alla
pagoda dello stesso dio Garuda. Il piano sembrava semplice, ma i rischi erano tanti e
tutti lo sapevano. Ad ogni buon conto ognuno fece quello che Sandokan aveva
comandato e la compagnia si polverizz in minuscoli gruppi, che partirono ad intervalli
di tempo regolari, in direzione diverse.
Sandokan frattanto, cambiatosi d'abito ed opportunamente trasformatosi nell'aspetto
fisico, sembrava ora un'altra persona e difficilmente si sarebbe potuto riconoscere per
l'ex sultano del Kina-Balu: portava una giacca di tela bianca con alamari di seta rossa,
fascia larghissima ai fianchi, ricamata in oro, e calzoni marroncini, larghissimi; sul capo
portava un turbantino bianco ed una lunga scimitarra al fianco.
Sul viso e sulle braccia scoperte aveva passato una specie di tintura molto scura che lo
faceva rassomigliare pi ad un indiano che ad un bornese. I suoi capelli erano ora
raccolti in treccine numerose, come vengono portate da parecchi abitanti dell'India.
Operata questa trasformazione anche Sandokan si mise in cammino verso la citt in
compagnia di Seki e Makkri.
Questa volta l'accesso alla citt fu molto semplice e procedette senza intoppi, grazie ad
una fortunata combinazione: la sera successiva vi sarebbe stata la processione del dio
Garuda e quindi le guardie non potevano certo controllare migliaia di pellegrini.
Erano quindi giunti appena a tempo per fare il colpo.
Per le varie porte della capitale entravano ed uscivano vere moltitudini di persone. Data
l'ora, era circa mezzogiorno, e in considerazione del giorno particolare, vi erano frotte
d'uomini, donne, bambini, stranieri, contadini, commercianti, sacerdoti, fakiri, saniassi
mendicanti, saltimbanchi, che entravano ed uscivano per i motivi pi disparati. Vi era
chi conduceva capre, zeb, cavalli, vitelli, maiali al mercato degli animali, chi era a
bordo di carretti o a cavallo di bestie da soma trasportando legna o fieno, chi portava in
spalla varie masserizie, chi passava suonando strumenti a fiato o percuotendo enormi
tamburi, chi chiedeva l'elemosina.
Cos la colonna di Sandokan divisa in vari gruppi si fece trasportare dalla fiumana dei
visitatori che ad ondate successive premeva per accedere attraverso le porte d'ingresso.
Le guardie erano ai lati dei portoni ma non facevano gran che caso a chi entrasse.
L'unica loro preoccupazione era di non farsi travolgere da quella marea umana. D'altra
parte non avrebbero certo potuto fermare i passanti per identificarli: ci avrebbe
significato, di fatto, interrompere l'ingresso a chiunque.
Anche Sandokan e i due fidi, Makkri e Seki, passarono in quell'accesso.
Con quanta commozione Sandokan aveva varcato quella porta! Con quale emozione
camminava per quelle strade, ora traboccanti di persone festose ma due anni addietro
piene solamente di soldati preoccupati per l'assalto finale! Che fremiti nel corpo del
giovane principe, nell'osservare i suoi vecchi sudditi che sembravano assuefatti ai vari
cambiamenti e felici di trovarsi in quella citt col nuovo sultano.
Ma la pena maggiore Sandokan l'ebbe nel rivedere la sua reggia, dove era nato,
cresciuto e vissuto felice con la sua famiglia! Che desiderio di entrarvi e di cacciar via
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tutti ed affrontare a viso scoperto il suo mortale nemico! Fortunatamente Seki e Makkri
compresero quale stato d'animo e quali foschi pensieri albergassero nell'animo
di Sandokan e lo distolsero in tempo da pericolose idee chiedendogli:
- Possiamo alloggiare in quella locanda, o signore?
Sandokan osserv un drago rosso, un'insegna che troneggiava sulla parete esterna di
una casetta in mattoni: era una vecchia taverna che ben conosceva. Vi entrarono e
trovarono la stanza ricolma letteralmente di gente festante e vociante.
Riuscirono a farsi dare dall'oste una lurida stanzetta al piano superiore, ove si
accomodarono a sedere su di una panca. Si fecero portare da bere e da mangiare. Non
volendosi far troppo notare in giro, il principe ritenne di passare il pomeriggio
cercando di riposarsi su alcuni pagliericci che giacevano a terra agli angoli di quello
stanzino: bisognava recuperare le forze nell'attesa del colpo di mano dell'indomani.
Arriv alfine la sera e quindi decisero di recarsi in strada. Da alcuni sacerdoti di
passaggio si fecero indicare luogo ed ora della cerimonia e del passaggio della
processione. Seppero anche ci che pi li interessava e cio che Hold vi
avrebbe partecipato, seguendo il carro del dio con un palanchino personale, sotto buona
scorta. Il nuovo sultano voleva offrire al dio Garuda doni e preziosi di vario genere per
ingraziarsi la popolazione e la chiesa locale, onde acquistare maggiormente amici e
devoti.
Sandokan allora si rec nel luogo indicatogli onde predisporre meglio il piano gi
ideato. Arrivati che furono in una vasta spianata fuori della citt. In vista della pagoda di
Garuda, la cui cupola si stagliava nel cielo, Sandokan decise il da farsi. Convenne con
alcuni dei suoi seguaci, che nel frattempo gi si erano radunati poco discosti, dove
attaccare la regale processione e dove fuggire in caso d'insuccesso.
Dopo aver studiato bene la situazione Sandokan dette ai convenuti appuntamento per
l'indomani alla stessa ora, invitando i presenti a diffondere tale accordo a tutti i
congiurati che in quel momento non erano l presenti.
Dopodich tutti si dispersero per non dare nell'occhio.
Sandokan con Seki e Makkri tornarono alla locanda ove vi passarono la notte ed il
giorno seguente. Fu un'estenuante attesa, poich erano tutti ansiosi e nervosi, che si
protrasse per tutto il giorno. Nessuno usc dalla stamberga al fine di evitare
possibili incidenti o riconoscimenti.
Arriv quindi l'ora dell'azione. I nostri tre amici uscirono dalla locanda dopo aver
pagato il dovuto all'oste. Quando furono in strada s'incamminarono verso la periferia
della citt onde uscire dalla porta pi vicina e dirigersi al tempio di Garuda.
Sopraggiungendo la sera e con il calare delle tenebre, furono accese, nelle varie stradine
della citt, centinaia di lumini, costituiti da mezze noci di cocco riempite d'olio, con
degli stoppini che vennero incendiati. In altre parti vi erano delle fiaccole gi
predisposte sui muri delle case che vennero incendiate. Molte lanterne erano invece a
talco, con delle bizzarre raffigurazioni sui lati fatti di carta oleata. Contemporaneamente
tutte le migliaia di visitatori, anch'essi sparsi per ogni dove cominciarono a confluire
verso la spianata, accendendo anch'essi torce d'ogni genere. Tali fuochi, pur
rischiarando la notte, creavano dei paurosi giochi d'ombre e di luce sui bassorilievi
scolpiti sulla facciata della pagoda, che s'innalzava a forma di piramide tronca, o
sui colonnati contornati di teste d'elefanti, di divinit minori col corpo
mostruoso o d'animali grotteschi, anneriti dal tempo. Quel tempio, davanti al
quale si stava per dirigere la processione, era la stessa pagoda che visitammo
all'inizio del racconto, quando seguimmo Batik, il servo traditore che, assieme al
generale di Sandokan, ebbe un abboccamento con lo stesso Hold. Nel frattempo bande
di suonatori avevano cominciato a percuotere tamburi, tamburelli e tam-tam, lacerando
gli orecchi ai convenuti , o pizzicando strumenti a corda come il
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sitar, o battendo furiosamente gong d'ogni dimensione. Il rumore era assordante, ma
sembrava eccitare maggiormente i presenti, alcuni dei quali, danzatrici e ballerini, si
dimenavano in una forsennata serie di volteggi, agitando per aria veli trapunti d'argento,
ventagli di seta o bandiere multicolori. I rumori, i canti, le danze, le luci, la mole
immane di persone, i fumi delle fiaccole rendevano quella festa uno spettacolo davvero
indimenticabile per chi, europeo o asiatico, vi si fosse trovato coinvolto per la prima
volta.
Usciti dalla citt, Sandokan, Seki e Makkri si diressero verso il luogo
dell'appuntamento con gli altri membri della colonna, alcuni dei quali s'intravedevano
in quella fiumana di persone.
Non fu facile raggiungere i dintorni del tempio, ma alfine vi arrivarono; attesero quindi
l'ora prefissata per agire.
Ad un certo punto si sent un vociare altissimo di canti e preghiere: da lontano, dalla
porta principale della citt era uscita la processione, ma era difficile intravedere
qualcosa in quella folla di teste e di bandiere agitantesi. I suonatori e una lunga fila di
sacerdoti salmodianti, si facevano largo tra quella folla scomposta, mentre moltissimi
dei presenti si univano alla processione, chi ai lati chi dietro di essa. Altri invece si
flagellavano con delle fruste, strappandosi lembi di carne, senza per gettare un lamento
o una lacrima. Altri ancora si esibivano in una peggiore punizione corporale che
rasentava la pazzia pi totale: si gettavano sotto alle ruote del carro del Dio Garuda che
avanzava. Si trattava di fakiri, di saniassi, di santoni o d'esaltati, ubriachi o sotto
l'effetto di sostanze oppiacee, note agli abitanti di quelle regioni, che procurano,
specialmente queste ultime, delirio e furore, trasformando chi se ne serve in un pazzo
esaltato e scatenato. Alcuni di questi pseudo-sacerdoti, dicevamo, avevano preso a
saltare dinanzi al carro che trasportava il dio Garuda, facendosi schiacciare piedi, gambe
e braccia dalle ruote pesantissime che maciullavano arti o frantumavano membra. Ma
anzich gridare di terrore o scappare, quei pazzi ridevano e si facevano amputare
quell'arto o quella mano, come se non provassero alcun dolore. Cadevano svenuti o
esamini al suolo e venivano poi soccorsi da altri fakiri che li trasportavano lontano dalla
folla in un disperato tentativo di evitarne la morte. Questi esagitati, nella loro credenza
religiosa, simile a quella degli indiani, erano sicuri di poter raggiungere il paradiso di
Garuda, immolandosi a quella maniera sotto il suo carro.
Pi la processione avanzava verso la pagoda, e quindi verso il luogo ove si trovavano
Sandokan e la sua colonna, pi la folla ondeggiava, come un mare d'erbe scosso dal
vento, mentre sempre pi fedeli cominciavano a ballare, a sgambettare e a contorcersi
assumendo le fogge pi strane e ridicole.
Piano piano che trascorreva il tempo la danza si faceva pi diabolica; al contempo i
suonatori battevano con maggior lena sui tamburi e i loro volti si contraevano,
assumendo un aspetto tragico e comico al contempo. Poi uomini e donne si
abbandonavano a vere scompostezze che rasentavano uno stato di completo delirio
collettivo.
Questo stato d'ebbrezza veniva reso ancor pi grave grazie alla distribuzione di nuove
bevande eccitanti, che alcuni uomini dispensavano a tutti con la massima prodigalit.
Chi non partecipava alla danza sembrava estasiato al solo guardare quei ballerini e quei
suonatori e li incitava a mettere pi vigore nei loro virtuosismi.
Nel frattempo la statua continuava ad avanzare, tirata da una doppia coppia di zeb,
e sorretta dalle corde dei portantini, che forse erano le uniche persone sobrie di quella
folla, altrimenti la statua si sarebbe gi capovolta a causa di quel terreno disuguale e
pieno d'avvallamenti. La danza collettiva divent parossistica: un furore selvaggio si era
impossessato di tutti i ballerini, che sembravano avere degli attacchi epilettici,
strabuzzando gli occhi e cacciando tutta la lingua fuori della bocca. Tutti ora urlavano
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come ossessi, agitando le torce e le fiaccole, che colorivano di una tinta rossastra quella
scena, che gi presentava un aspetto di bolgia demoniaca.
Il rumore diabolico, prodotto da quegli urli e da quegli strumenti a fiato e a percussione,
stordiva chiunque era presente, compresi gli uomini dello spodestato rajah.
Specialmente i malesi, non avvezzi a simili spettacoli, si sentivano irretiti e preoccupati
di trovarsi assieme a quella folla tumultuante ed esaltata. Nonostante che si facessero
forza a suon di spintoni, gomitate e calci, non potettero evitare di essere sospinti
verso il tempio, ove riuscirono a raggiungere una sorta di piccola altura, una
specie di terrazza naturale, alta due o tre metri rispetto al terreno circostante. Il caso
aveva voluto che i malesi raggiungessero quella posizione davvero favorevole, in
quanto potevano vedere meglio il passaggio del palanchino del sultano, che di l a
poco doveva transitare.
In quel momento la statua era arrivata sotto quella piccola altura. Una vera muraglia
umana impediva ai buoi asiatici di procedere oltre. Allora alcuni sacerdoti presero a
menare tremendi colpi di frusta su quei fedeli, con l'intenzione di aprire un varco e far
passare il carro. Uno squarcio si verific allora tra la folla, dentro al quale
s'introdussero i fanatici sacerdoti che seguitavano a dispensare frustate e
bastonate a destra e sinistra, ricevendone in cambio osanna e benedizioni.
La statua di Garuda, raffigurante un gigante che lottava contro un enorme serpente, fatta
di rame dorato, adagiata su un palancato ricoperto di tappeti e fiori d'ogni tipo e colore,
pass sotto gli occhi di Sandokan e dei suoi.
Di seguito venivano decine di baiadere, i musici, e poi un drappello di soldati, che
aprivano la strada e proteggevano il nuovo rajah del Kina-Balu.
L'odiato usurpatore era seduto su un palanchino sorretto da dodici servi, adagiato su
morbidi cuscini ed attorniato da ministri e segretari, che procedevano chi a piedi, chi a
cavallo dietro di lui o al suo fianco. Sandokan lo vide e il suo corpo n'ebbe una violenta
scossa, come se qualcuno gli avesse accostato dei carboni ardenti. Le sue mani
si contrassero, stringendo convulsamente la scimitarra ed il kriss, mentre un velo
gli appannava la vista.
Anche se l'oscurit era rotta dalle lucerne e dalle fiaccole, anche se il continuo passare
innanzi di gente gli impediva una chiara visione del volto, sembrava proprio lui,
l'assassino della sua famiglia, colui che lo aveva privato del trono, del sultanato, quello
che aveva sterminato i suoi soldati e i suoi migliori generali.
Un lampo di fuoco usc dagli occhi di Sandokan, che emise un grido che sembr il
ruggito di una tigre in furore:
- Andiamo!
I suoi settanta uomini si spinsero all'unisono in direzione del carro e della portantina,
che distava solo pochi metri, ma non fu facile a tutti seguire Sandokan che
sembrava un cuneo che schizzava in avanti.
Molti malesi vennero trattenuti da quel muro umano, che non si poteva abbattere se non
sparando ed uccidendo.
Ci nonostante il nostro eroe, che non era solito valutare la sproporzione numerica od
accertarsi di essere seguito dai suoi fedeli, comand:
- Tirate sui soldati di scorta, mentre io mi occupo di chi monta il palanchino, poi
caricate all'arma bianca senza piet.
Date queste raccomandazioni, Sandokan e i suoi si prepararono al combattimento,
mentre il Rajah inglese si avvicinava sempre di pi. Purtroppo mentre Sandokan
avanzava nella folla il suo gruppo si disperdeva sempre di pi giacch era impossibile
procedere tutti assieme.
Sandokan, pur accorgendosi che non tutti lo avevano potuto seguire, abbracci con lo
sguardo quello che tra poco sarebbe diventato il campo di battaglia, misur la distanza
186

tra il posto dove si trovava e il percorso del corteo, che distava ormai solo poche decine
di metri, lanci un'occhiata d'incoraggiamento ai suoi seguaci, controll le cariche delle
pistole che aveva ai fianchi, quindi fece cenno ai malesi di disporsi in gruppo pi
serrato, onde far conto sulla maggior parte del suo drappello. Si trattava di far fuoco
tutti assieme per abbattere pi nemici possibili.
Finalmente il corteo cominci a sfilare proprio dinanzi a dove si trovavano: era quello il
momento dell'attacco.
Con un gesto fulmineo il figlio di Muluder estrasse le pistole e le scaric in mezzo al
gruppo di guardie. Lo stesso fecero gli uomini che erano riusciti a seguirlo e cio solo
una cinquantina.
La nutrita scarica, che gett a terra una ventina di soldati e tutti i servi che portavano il
palanchino, produsse l'effetto di una bomba nel rimanente della folla che cominci a
disperdersi per ogni dove, sospingendo e mandando a gambe levate centinaia di persone
che rischiavano di essere travolte da chi correva in tutte le direzioni. Sandokan non
perse tempo ad ammirare gli effetti di ci che aveva prodotto quella sorpresa e si gett
a corpo morto contro i pochi restanti soldati, che si erano stretti attorno al palanchino
allo scopo di difendere il loro rajah.
Come una falce in un campo di grano che abbatte tutte le spighe mature, gli uomini di
Sandokan percorsero in un lampo il terreno che li separava dal carro, tutto travolgendo.
Con uno slancio da vera pantera il giovane rajah, dopo aver spaccato la testa con un
poderoso fendente ad un soldato che lo voleva fermare, balz sulla portantina che si era
appoggiata a terra ed afferr per il ricco vestito il rajah, che nel frattempo si era armato
di una pistola a canne lunghe.
Il figlio di Muluder riusc, con un colpo di piatto della sua scimitarra a disarmare il
sultano, facendogli volare lontano la rivoltella che impugnava, poi lo afferr stretto,
puntandogli il kriss affilatissimo sul cuore.
Solo in quel momento, alla luce lunare che lo rischiar in pieno volto, si accorse che
l'uomo che teneva in pugno non era Hold bens il servo traditore Batik. Infatti, complice
il buio, la lontananza, una vaga rassomiglianza con l'usurpatore, una barbetta posticcia,
il turbantino che gli copriva la fronte, chiunque si sarebbe ingannato sulla vera identit
di quell'uomo che veniva trasportato a braccia sul palanchino reale come un sultano.
Evidentemente Hold aveva preparato questa messa in scena allo scopo di cautelarsi da
eventuali attentati alla sua persona.
Avvedutosi dell'errore, e comprendendo di essere probabilmente caduto in un tranello,
ben ordito dal rajah, spinton Batik e lo mand a cadere malamente fra le zampe dei
buoi che spaventatisi lo calpestarono ferendolo gravemente.
I malesi della scorta di Sandokan, avendo nel frattempo ucciso tutti i soldati di Hold, si
raccolsero attorno a Sandokan per difenderlo dalla folla che, impazzita di terrore,
correva per ogni dove. Accanto ai malesi sopraggiunsero anche i dayacchi che erano
rimasti tagliati fuori dall'azione di poco prima.
- Fuggiamo! - disse Sandokan - II colpo non riuscito. Torniamo al luogo convenuto e
poi decideremo il da farsi.
Mentre si allontanavano di gran carriera si udirono degli squilli di tromba ed un rumore
che sembrava aumentare. Erano alcune compagnie di soldati che, uscite dalla capitale,
accorrevano sul luogo della battaglia appena conclusasi.
I malesi e i dayacchi si slanciarono quindi a perdifiato nella campagna che circondava il
tempio, cercando di raggiungere, senza essere visti, il boschetto di bamb ove erano
attesi dalle donne e dai bambini. Non era facile far perdere le loro tracce poich la notte
era ora molto luminosa ed impediva loro di celarsi alle truppe nemiche, alcune delle
quali erano montate in groppa a veloci destrieri.
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Certo era strano che appena compiuto il colpo, per altro fallito, una compagnia di soldati
si fosse lanciata subito al loro inseguimento. L'azione di Sandokan era stata fulminea e
quindi era da pensare che quelle truppe fossero state preparate per sedare eventuali
disordini tra i fedeli e non per fronteggiare colpi di mano di nemici di Hold.
Lavorando molto di gambe, dopo una buona mezz'ora di corsa sfrenata, i nostri eroi
raggiunsero il boschetto ove avevano piantato il campo. Trovarono le donne gi sveglie
e pronte a prendere immediatamente la via della fuga.
E cos fecero. Volsero le spalle alla pianura ed iniziarono a correre per le risaie. Era
tempo. Gi si udiva un galoppo precipitoso avvicinarsi alle loro spalle: erano i soldati
che si stavano appropinquando.
Sandokan comprese subito che sarebbero stati tosto raggiunti e quindi ordin:
- Le donne e i ragazzi ci precedano nella fuga. Gli uomini con me. Facciamo una scarica
generale e cerchiamo di fermare il nemico.
Tutti obbedirono. E mentre le donne prendevano la strada verso una foresta non molto
lontana, trascinando con loro i ragazzi e i bambini pi piccoli, gli uomini si
accucciarono in mezzo ai cespugli e ai fossati che delimitavano una risaia, caricando i
fucili e le pistole.
Fecero appena in tempo a nascondersi che i cavalieri li raggiunsero: erano circa una
cinquantina. I malesi fecero prontamente fuoco. Quasi tutti i nemici caddero, mentre i
sopravvissuti girarono i cavalli e fuggirono in fretta cercando rinforzi.
Gli uomini di Sandokan, approfittando di questa pausa, si sganciarono dal
combattimento inoltrandosi nella risaia e cercando di raggiungere le loro donne.
Trascorsero alcune ore in un corsa frenetica. Purtroppo il bosco cominciava ad infittirsi
e la luce lunare non filtrava attraverso le fronde copiose.
A questo punto Sandokan credette di aver perso la strada. Purtroppo la corsa sfrenata
ed il buio sotto quei fitti macchioni gli avevano fatto smarrire l'orientamento. Da
lontano si sentivano tanti rumori che indicavano che il nemico si stava appressando.
Il principe ritenne allora di poter effettuare la stessa azione di poco prima. Ordin
alle donne di andare avanti e fece distendere gli uomini dietro i tronchi degli alberi
per cercare di fermare il nemico. Ma questa volta l'impresa era disperata giacch i
soldati del rajah avevano ricevuto molti rinforzi ed ora contavano cinquecento
uomini. Cosa potevano fare i settanta seguaci del principe contro un cos gran numero di
nemici?
Sandokan, abituato a non contare gli avversari, non si perdette d'animo. Punt la sua
arma verso le compagnie che avanzavano in una radura fuori del bosco e che ancora
erano visibili perch si trovavano sotto la luce lunare e fece fuoco.
Immediatamente anche i suoi fidi fecero lo stesso.
Una cinquantina di assalitori caddero a terra morti o feriti. Gli altri, alcuni dei quali
erano a cavallo, si precipitarono addosso ai nostri eroi che per riuscirono a fare una
seconda scarica servendosi delle pistole.
Altri soldati caddero ma la gran parte dei nemici si slanci a corpo morto contro i
fuggiaschi. S'impegn allora un'epica lotta nell'oscurit quasi totale che regnava sotto
quel bosco. Gli uomini di Hold, anche se superiori di numero non erano i pi favoriti,
come lo sarebbero stati in campo aperto, alla luce del giorno. Infatti, i soldati del
deposto rajah colpivano anche i cavalli, ben pi esposti dei cavalieri, facendo cadere a
terra i loro padroni, mentre gli attaccanti confusi da quel buio si sparavano addosso gli
uni con gli altri
Per, pur compiendo miracoli di eroismo, Sandokan ed i suoi seguaci erano destinati a
piegarsi di fronte allo sproporzionato numero degli assalitori. Lo stesso principe aveva
ricevuto una ferita provocata da un colpo d'arma da fuoco che lo aveva raggiunto al
braccio sinistro; ci gli impediva di adoperarlo, rinunciando cos all'uso del kriss che
abitualmente maneggiava con la sinistra. Il kampilang, che manovrava con la destra
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compiva per benissimo il suo lavoro. Ad ogni momento colpiva un nemico, ferendolo
od uccidendolo. Sembrava un vero diavolo scatenato che atterrava ogni persona che
aveva la sventura di porsi di fronte a lui. L'oscurit sembrava non gli impedisse di
individuare i suoi assalitori e riusciva a vederli come se fosse dotato degli occhi di un
felino. Ma nonostante la sua bravura e il suo ardimento, sebbene attorno a se avesse
fatto il vuoto e quantunque la sua voce e il suo esempio rassicurassero i suoi compagni,
questi cadevano uno ad uno, uccisi implacabilmente dai soldati di Hold. Ad un certo
punto, mentre il deposto sultano atterrava un nemico con un vigoroso colpo della sua
sciabola, si sent afferrare al braccio ferito. Pensando che qualcuno lo stesse prendendo
a tradimento, sollev ancora il pesante kampilang, pronto ad uccidere chi lo stesse
trattenendo, ma tosto si ferm. Appena in tempo per ascoltare una flebile voce che
diceva:
- Sandokan, vendicami!
Si ferm e distinse, piegato in ginocchio, il prode Seki: aveva il petto squarciato da un
terribile taglio, dal quale usciva il sangue in una quantit impressionante.
- Ti prego - soggiunse quel povero uomo - raggiungi mio figlio e mia moglie. .
difendili. . te li affi. . . .
Non pot terminare la frase. Un getto di sangue gli usc dalla bocca: era morto. Con un
tonfo cadde a terra. Sandokan atterrato per quest'incolmabile perdita, per la morte di
quel nuovo fedele amico, che lo aveva salvato nel fiume dall'annegamento, si chin su
di lui, gli diede un bacio sulla fronte e disse:
- Prender cura dei tuoi cari. Te lo giuro. Sandokan che, chinandosi per
soccorrere l'amico, era stato evidentemente confuso, complice l'oscurit, con un
corpo che stava per morire, colpito anch'esso, nel vedere i nemici precipitarsi dietro
alle donne ed i bambini, url:
- Tornate indietro, sono qui!
Sandokan voleva morire, pur di distogliere l'attenzione di quelle belve sanguinarie dai
fuggiaschi e per ritardare la possibile strage che avrebbero compiuto nei confronti di
quelle persone inermi.
Tuttavia nessuno lo intese, perch il suo grido era stato coperto dalle urla degli stessi
vincitori che si stavano inoltrando nel bosco. Allora il principe del Sabah, si scagli a
corsa pazza dietro al nemico, ma cadde malamente al suolo a causa dello sfinimento
provocato dalla copiosa perdita di sangue dalla ferita al braccio.
Ma lo svenimento dur molto poco, poich si rialz dopo un solo minuto riprendendo la
corsa dietro al nemico, che per doveva aver preso gi un discreto vantaggio, anche
perch il nostro eroe provava un acuto dolore al braccio. Inoltre il buio della notte
rallent la corsa del sultano, che cadde un'altra volta a terra, inciampando in un corpo di
un nemico ucciso.
In breve Sandokan non ud pi neppure il rumore della truppa che lo precedeva. Il bosco
inghiottiva sia gli urli dei soldati, sia il galoppo dei cavalli.
Dopo un paio d'ore, un leggerissimo chiarore si diffuse sotto la coltre di verzura: era il
giorno che avanzava. Tra poco sarebbe sorto il sole.
Sandokan rallent la corsa: era sfinito. Alle prime luci del giorno scopr le tracce del
nemico: impronte di zoccoli, rami spezzati, erbe calpestate.
Era stato fortunato: qualunque altro non solo avrebbe perso ogni contatto con i fuggitivi,
ma si sarebbe certo smarrito in quell'intrigo di vegetali, nel buio pi fitto.
Approfitt della prima luce del giorno per esaminare la sua ferita. Si alz la manica e
vide un solco sanguigno: una palla o un colpo di coltello lo avevano colpito, ma solo di

Mentre accadeva questa toccante scena i nemici, confusi dall'oscurit e non avendo pi
nessuno di fronte che potesse attaccarli, si erano lanciati sulle orme dei fuggiaschi.
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striscio. Il sangue ora non usciva pi ma un forte dolore gli impediva di muovere l'arto.
Forse era stato leso qualche muscolo; la ferita era molto fastidiosa ma non grave. Il figlio
di Muluder, nel mentre che seguitava a penetrare nel bosco vide alcune erbe
medicamentose. Si ferm e strapp dallo stelo alcune foglie. Se le mise in bocca e le
mastic per alcuni minuti. Poi sput nella mano destra quell'intruglio e lo applic alla
ferita, fasciando il tutto con un fazzoletto che strinse con i denti. Presso quelle
popolazioni, ove non esistevano n medici n medicine ognuno conosceva dei rimedi
naturali e vegetali per l'automedicazione e spesso queste cure erboristiche avevano
successo.
Riprese il cammino, ma fatti pochi passi si arrest. Poco pi innanzi aveva visto un
corpo in terra. Si avvicin con circospezione ma subito si avvide che altri non era
che un uomo a lui ben noto. Aveva la testa spaccata da un colpo di scimitarra. Anche
questa volta Sandokan emise un grido di disperazione poich quel corpo immobile
apparteneva a Makkri, il vecchio malese che era riuscito a sfuggire alla morte dei
soldati di Hold durante il suo primo viaggio nella capitale, ma questa volta la seconda
spedizione gli era stata fatale.
Poco pi in l vi erano altri corpi che giacevano a terra: erano donne, vecchi e bambini
del villaggio che avevano seguito la sua sfortunata avventura. Avevano i volti sconvolti
dalla paura e dal dolore di una morte atroce e per tutti prematura. I soldati di Hold
avevano compiuto un'altra assurda strage di persone inermi, la cui unica colpa era stata
quella di seguire il figlio del vecchio Muluder. Sandokan si guard intorno, come
inebetito da tanta ferocia compiuta a danno di povere donne, di tanti bambini e ragazzi
e di vecchi e vecchie: un vero genocidio. Ad un tratto si avvide che un corpo ancora
sussultava: era la moglie di Seki. Aveva una chiazza di sangue sulla schiena. La rigir
con delicatezza. Sotto di se aveva suo figlio Ragj. Cadendo, colpita alle spalle, aveva
voluto proteggerlo dalla morte e vi era riuscita. Il piccolo dormiva grazie all'invitante
contatto con il calore materno, ignaro di quanto era accaduto.
Sandokan sollev la testa della giovane donna appena in tempo perch in un ultimo
anelito di vita, lei gli dicesse:
- Signore, proteggi mio figlio.. . Dimmi. . . . il mio Seki dov' ? . . . . E' morto
vero?
Il principe pieg il capo in senso affermativo, non trovando parola alcuna. Allora la
donna domand:
- Prendi Ragj e portalo con te........
Sandokan, allora, sentendosi in debito per aver contribuito all'annientamento di quella
famiglia, le disse:
- Mia buona donna, ti giuro su tutti gli dei che condurr con me tuo figlio e diventer
per lui come un padre. Gli vorr bene e l'amer come un figlio. Lo far studiare e
dar a lui tutte le mie ricchezze(1). Ti chiedo ora perdono per averti trascinato in
quest'assurda e tragica guerra.
La donna sorrise e con quel gesto di perdono si abbandon tra le braccia di Sandokan:
era spirata, contenta di aver lasciato il suo piccolo figlio in buone mani. Sandokan le
chiuse gli occhi, mentre una lacrima gli solcava il viso sconvolto da un dolore
immenso. Era come se gli fosse venuta meno una delle sue sorelle. Si rialz, raccolse
alcuni veli della donna morta, vi avvolse il piccolo Ragj, lo prese in braccio e lo
strinse forte al petto.
(1) Anche in questo caso lautore ha voluto dare una spiegazione al personaggio di Ragj che il lettore
incontrer poi solo unaltra volta nel libro Sandokan rajah della jungla nera di Motta e Salgari. Quel
Ragj vi apparir infatti gi giovinetto senza mai essere comparso prima.



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II ritorno alla costa per lui e per il piccolo Ragj fu veramente una fatica improba. Per
alcuni giorni Sandokan cammin di continuo, facendo a ritroso il tragitto dell'andata,
percorrendo il sentiero che attraversava la foresta e che era ancora visibile in quanto
aperto colle scimitarre, solo alcuni giorni prima.
Si fermava solo per bere o per cibarsi di qualche frutto, che ovviamente divideva col
fanciullo. Ma dopo due giorni Ragj cominci a lagnarsi, sia perch aveva fame, sia
perch quella marcia senza sosta l'aveva sfinito, nonostante Sandokan lo portasse
sempre in braccio. Fortunatamente l'ex sultano non aveva abbandonato le sue armi e
con esse riusc ad abbattere un babirussa, grazie ad un tiro magistrale. Le parti pi
tenere di quell'animale furono destinate al bambino che se ne cib avidamente.
Dopo alcuni giorni di questa massacrante maratona nei boschi, finalmente raggiunsero il
luogo ove erano stati ormeggiati i due prahos. La portata del fiume, improvvisamente
diminuita aveva fatto arenare uno dei due legni, mentre l'altro era ancora in perfette
condizioni. Sandokan, allora, imbarc Ragj, chiudendolo per sicurezza nella piccola
cabina che si trovava sotto il cassero prodiero, e tosto ridiscese a terra per fare una
piccola battuta di caccia; infatti, se era davvero problematico governare da solo una
imbarcazione cos grossa, sarebbe stato ben pi difficile accostare a terra per cacciare e
poi riprendere il largo.
Uccise quindi due splendidi uccelli, due aironi e li trasport sul battello,
imbarcando anche alcune erbe medicamentose, che dovevano calmare un poco il
bambino, tremendamente spossato per la traversata effettuata.
Quando torn al praho fu oltremodo stupito e felice di incontrare un vecchio dayacco
che, ferito anche lui ad un braccio, era riuscito a tornare indietro, seguendo casualmente
Sandokan e raggiungendo quel luogo, dove pensava che avrebbe potuto rivedere
qualcuno scampato al massacro.
Si abbracciarono, felici entrambi di non essere pi soli: decisero anche di attendere in
quel posto , ancora tre giorni, nel caso qualche altro sopravvissuto, o perch ferito o
perch sbandatosi durante il tremendo eccidio, avesse pure esso deciso di raggiungere
quella base d'appoggio.
Purtroppo quei pochi giorni trascorsero inutilmente senza che nessun altro si facesse
vivo, segno evidente che la strage era stata completa.
Sciolsero allora gli ormeggi, facendo scostare il praho dalla riva e inserendolo nella
corrente onde poterla sfruttare senza remare, ed evitando anche di alzare le vele. Il legno
inizi a filare celermente tra due rive sinuose
Mentre il tempo passava Sandokan pensava che ora aveva un altro dovere da portare
innanzi, prima ancora di continuare la lotta contro lusurpatore: doveva salvare il
bambino e condurlo subito al villaggio per trovare qualcuno che si occupasse di lui.
Poi avrebbe dovuto mantenere la promessa appena fatta alla madre morente.
Quando finalmente la discesa sul fiume termin il praho, innalzando la sola vela di
trinchetta, non potendo le sole due persone d'equipaggio fare di pi, si diresse verso il
piccolo porto del villaggio.
Sandokan manovrava il timone, mentre il dayacco sorvegliava il bimbo, che conosceva
sin da quando era nato.
Dopo altri due giorni di lenta navigazione il praho arriv alla meta.

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CAPITOLO QUARTO
L'INIZIO DELLA PIRATERIA

II villaggio era deserto, poich quasi tutti avevano seguito Sandokan nella sventurata
spedizione. I quattro vecchi rimasti stavano evidentemente al lavoro nei campi.
Il sultano spodestato ormeggi il praho e scese a terra con Ragj e l'anziano compagno.
Dovettero attendere la sera prima che gli assenti tornassero dai lavori agricoli nei vicini
terreni coltivati.
Quale fu la costernazione dei pochi rimasti nell'apprendere la triste fine della sfortunata
colonna facile da immaginarsi: era il completo annientamento dellintera comunit.
La disperazione si impadron di ognuno; solo il piccolo Ragi mangi, mentre gli altri
erano troppo annichiliti per toccare cibo. Per Ragj fu molto piacevole vedere qualche
figura femminile, che ben conosceva, vicino a se. Era troppo piccolo per rendersi
conto di essere rimasto privo di genitori, anche se con lo sguardo pareva spesso cercarli;
durante il viaggio di ritorno aveva detto quelle pochissime parole che gi sapeva
pronunciare, chiedendo proprio di loro. Sandokan con una pietosa bugia aveva risposto
che erano partiti e che sarebbero tornati tra breve.
Negli occhi tristi di quel pargoletto Sandokan leggeva un atto d'accusa: gli sembrava di
essere proprio lui stesso la causa di quella tragedia, sia della perdita dei genitori del
bimbo sia dell'intera popolazione di quel villaggio che ora era del tutto deserto. Forse,
pensava, se fosse stato pi accorto, se avesse condotto solo gli uomini e non le donne e
i ragazzi, se avesse atteso pi tempo, cercando di ingrossare la sua colonna con altri
rinforzi, se avesse manovrato in maniera pi prudente. . . . forse la strage non
sarebbe avvenuta o non avrebbe avuto tale portata e cio quella di uno sterminio totale,
di un genocidio di quel minuscolo stato.
Il cuore del principe era gonfio di dolore, di pena e di cordoglio per la miseranda fine di
tutti. Si riteneva direttamente responsabile di tale disfatta che questa volta era totale.
Ci nonostante non aveva abbandonato del tutto i propositi di rivincita e di riscatto. Ma
una cosa aveva compreso quel figlio di rajah, quell'indocile giovane, che aveva nel
sangue la schiatta degli eroi e dei coraggiosi: aveva capito che se avesse continuato
nella medesima strategia d'attacco non avrebbe concluso nulla di buono. Era
stata, infatti, una vera fortuna che anche lo stesso Sandokan non fosse rimasto lui pure
vittima di quel massacro, nonostante avesse tentato in tutti i modi di rimanere ucciso
sotto il fuoco dei nemici o di restare vittima dei soldati del nuovo rajah. Aveva
cercato in mille modi la morte ma questa non l'aveva voluto.
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Aveva anteposto alla vita di una intera comunit la riuscita dell'impresa, ma il
progetto non era riuscito. Occorreva farsene una ragione, girare pagina e pensare a
qualcos'altro.
Forse bisognava cambiare strategia ed attendere un momento migliore o pi fortunato.
Cos, senza nemmeno accorgersene, lentamente cominci a subentrare in Sandokan
un desiderio insolito: aspettare qualche elemento nuovo o qualche aiuto diverso,
che favorisse o sostenesse questo suo nuovo pensiero, circa la riconquista del regno.
Il principe, approfittando cos del dovuto riposo che fu costretto a prendere al ritorno
dalla sua spedizione, dedic molto tempo a queste meditazioni: stava subentrando nel
suo animo la convinzione che l'attesa poteva essere sinonimo di saggezza e di
assennatezza, e questo era gi un fattore positivo per quell'animo irruente e certo poco
prudente.
E pi pensava, durante il suo lungo riposo, pi congetturava nuove metodologie di
rivalsa contro Hold, pi si convinceva che occorreva riconvertire ogni azione offensiva.
Pi faceva progetti nuovi e pi ponderava che nessuno di essi era attuabile in quella
situazione contingente. Quindi risolse di cambiare totalmente obiettivo.
E per compiere questo passo fu decisivo, nell'animo del principe, il ripensare a quanto il
povero Seki gli aveva raccontato.
Il compianto amico gli aveva spesso narrato le devastazioni operate dagli inglesi sulle
coste bornesi e malesi, la mania di potenza del leopardo inglese e dell'alleata
Olanda in quella guerra di espansione coloniale.
Lo stesso era accaduto nel suo regno dove le mire delle potenze europee si erano
apertamente palesate, attraverso l'avventuriero Hold, anima dannata degli inglesi ed
olandesi.
Di conseguenza Sandokan, poco a poco, cominci a capire che Hold in fondo non era
altro che un esecutore di ordini, certamente un abominevole furfante, ma nient' altro che
uno spregevole sicario. Chi era veramente il mandante di questo criminale disegno
di conquiste territoriali a danno del suo sultanato erano solamente l'Inghilterra e
l'Olanda, che erano riuscite nel loro intento grazie, non solo ad Hold, ma al tacito
assenso del sultano di Labuk, di quello del Sarawack e principalmente del
confinante rajah di Varauni. Quindi nella mente di Sandokan, l'odio smisurato verso
Hold si spost anche verso queste altre potenze. Occorreva quindi vendicarsi e
riscattare le perdite umilianti subite negli ultimi tre anni rivolgendo i suoi attacchi
armati contro questi altri soggetti.
E se era certamente impensabile muovere guerra all'Inghilterra e all'Olanda o ai tre
sultanati che contavano eserciti numerosi ed agguerriti, superiori certo a quello di Hold,
occorreva studiare un modo per nuocere ai loro interessi commerciali e marittimi senza
scontrarsi direttamente con le loro flotte o con le relative forze di terra.
Quindi consider che, alla luce di quanto appena detto, la proposta che Seki gli aveva a
suo tempo sottoposto, e cio di darsi alla pirateria, non era poi tanto da scartare.
Ora la prospettiva era diversa: gli atti di pirateria compiuti ai danni delle due aborrite
nazioni europee e dei tre sultanati, atti che fino a quel momento riteneva essere
disdicevoli e disprezzabili, perch pregni solo di violenze, ruberie e barbarie, ora
gli apparivano avere una piena giustificazione.
In altri tempi il rajah decaduto, uomo di alti principi, di schiatta reale, di onesti
propositi, di nobilt d'animo, mai avrebbe avuto per la mente di ricorrere a mezzi
banditeschi ed esecrabili o ad azioni violente, coercitive e deprecabili come la pirateria.
Si sarebbero, infatti, dovute usare brutalit e sopraffazioni per attuare ruberie e
saccheggi, che si potevano realizzare solo con ferocia o crudelt.
Ma ora vi erano delle condizioni ben diverse da quelle di un tempo, che certamente
permettevano di vedere quel contesto in maniera differente.
194

La nuova situazione, che spingeva Sandokan a prendere in considerazione la
pirateria non come scelta di vita ma come mezzo per raggiungere lo scopo di avere
maggiori possibilit per riconquistare il regno perduto, lo obbligava a ragionare in
modo diverso da quanto aveva sempre pensato ed agito sino ad ora.
C'era poi un'altra considerazione da fare: non potendo il giovane rajah muovere
guerra ad un intero esercito, cos come si era illuso di poter fare sino ad ora
contro Hold, avrebbe avuto pi possibilit di riuscita in piccoli scontri, sul
mare come sulla terraferma, attaccando obiettivi pi limitati e pi facilmente
raggiungibili.
Ora la cosa che doveva decidere, e di cui doveva esser ben sicuro, onde non
sacrificare altre vite umane, era se iniziare questa nuova belligeranza in mare
oppure sulla terraferma.
Escluse per ora di dedicarsi ad azioni di brigantaggio alle frontiere del regno di
Varauni o di Sarawack, cos come aveva pensato in un primo momento. Questa
decisione era dovuta al fatto che riteneva ripugnante e spregevole depredare
oneste carovane di commercianti o poveri villaggi imbelli abitati da selvaggi, che
nulla avevano avuto a che fare con tradimenti o rivoluzioni.
Il suo obiettivo doveva essere quello di attaccare gli interessi economici o militari di
chi frequentava quei mari, tra gli stati citati innanzi.
Ora questi nemici potevano essere colpiti solo danneggiandone i commerci,
attraverso abbordaggi e conquiste di piroscafi o trasporti commerciali, mentre, in
un momento successivo, gli stati nemici nel Borneo potevano essere attaccati anche per
terra.
Sandokan decise allora di procedere in tal senso, mettendo da parte tutti i suoi dubbi e
i suoi scrupoli su quelle azioni che, una volta, avrebbe ritenuto di mai compiere ma
che ora reputava come dovute, come atti di guerra in risposta ad azioni di guerra
subite dai Muluder che avevano portato alla distruzione di un regno e alla
scomparsa di una dinastia.
Perci Sandokan divis che questa era l'unica ed ultima strada da percorrere
per continuare la sua lotta contro i nemici, vicini o lontani che fossero.
La conclusione di questo ragionamento, al quale era finalmente arrivato, rese il
principe, per la prima volta negli ultimi tre anni, felice e contento: aveva
individuato con chiarezza quale doveva essere il suo futuro per l'immediato e la
strategia relativa da intraprendere, in alternativa a quella perdente praticata sin a quel
momento, da quando il rajah era stato spodestato.
Ora che l'avvenire era ben definito nei suoi contorni di massima, rimaneva
da realizzarlo nei particolari esecutivi, con dei mezzi che al momento non solo non
aveva, ma nemmeno lontanamente pensava dove poterseli procurare.
Sapeva, anche perch glielo aveva detto Seki e gli altri sfortunati malesi che
aveva condotto nella fallita spedizione, che le popolazioni costiere del Borneo e della
vicina Malesia erano in odio contro gli stranieri, da parecchi anni, e molte di
queste genti, anche se male armate e pessimamente addestrate, avevano attrezzato dei
prahos e delle giunche, quasi sempre piccole e malconce imbarcazioni, e si erano dati
alla pirateria. A volte con successo, come lo era stato per gli uomini di Seki, pi
sovente con insuccessi che si erano poi trasformati in catastrofi: chi non veniva ucciso
negli scontri con navi da guerra era impiccato senza alcun processo.
Ci nonostante tale fenomeno, lungi dal contrarsi o dal diminuire, si estendeva
a macchia d'olio, ingigantendosi.
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Sandokan risolse, quindi, di cavalcare il desiderio che le popolazione della Malesia
avevano di affrancarsi dal dominio britannico e decise, di conseguenza, di partire
lindomani, per raggiungere un qualsiasi villaggio costiero del regno di Sarawack,
onde poter contattare qualche banda di pirati e mettersi alla loro testa, offrendo in
cambio la sua persona, la sua audacia e non ultimo i due prahos del villaggio, sia
quello che aveva riportato indietro dalla spedizione sia quello abbandonato alle
sorgenti del fiume, che bisognava comunque andare a riprendersi.
Si rec allora dai pochissimi sopravvissuti del villaggio comunicando loro la sua
decisione. Tutti furono dispiaciuti che Sandokan partisse, come lui stesso lo era, anche
perch doveva lasciare il piccolo Ragj. Il principe promise al bambino, e si
ripromise, di tornare non appena avesse goduto di una nuova tranquillit. Lo baci e lo
abbracci, separandosi da lui a malincuore.
Non potendo manovrare da solo il praho decise di recarsi a piedi alla ricerca di un
villaggio i cui abitanti potessero essere interessati alla sua proposta. Quindi l'indomani
alle prime luci del giorno, part, con una piccola provvista di cibo e di acqua. Cammin
per due giorni, lungo la riva del mare, in direzione nord-ovest.
Durante il terzo giorno, mentre il nostro eroe si trovava gi ad una buona distanza dal
luogo da dove era partito, sempre marciando tra le dune della spiaggia, si accorse che
qualcuno stava urlando. Si ferm per ascoltare meglio, potendo darsi che la risacca
avesse provocato un tale rumore, simile ad un grido rauco e prolungato. No, vi era
qualche uomo che gridava l nei pressi. Raggiunse la sommit di una piccola altura e
guard intorno: vide poco pi in basso, sulla spiaggia, una testa che sporgeva dalla
sabbia. Non si scorgeva il corpo a cui appartenesse quella estremit, dalla cui bocca
uscivano le grida intese prima.
Sandokan strabuzz gli occhi, chiedendosi se fosse vittima di un'allucinazione. Poi si
avanz lentamente, forse un poco turbato da quella strana apparizione. La testa urlava e
si dimenava, in avanti ed indietro da un lato e dall'altro, non allontanandosi per dal
posto in cui stava.
Attorno ad essa volteggiavano diversi uccellacci da preda, impazienti di fare un buon
banchetto.
Finalmente, quando giunse a pochi passi da quell'appendice umana, il prode figlio di
Muluder comprese: la testa era di un uomo, interamente sepolto nella sabbia, del
quale non spuntava fuori altro che il cranio, completamente privo di capelli. Si trattava
di un malese, a giudicare dal colore della sua pelle e dal dialetto con il quale si
esprimeva per chiedere aiuto.
Quest'uomo, sentendo che qualcuno si avvicinava volse leggermente la testa, per quel
poco che quella scomoda ed insolita posizione glielo permettesse, ed esclam:
- Aiutami, signore, sto morendo di sete!
Sandokan, senza nemmeno chiedergli chi fosse o chi lo avesse sotterrato, si inchin e
prese a scavare con le mani, aiutandosi anche con la scimitarra, a mano a mano che,
affondandosi, la sabbia diventava pi dura perch compressa ed umida. In men che non
si dica riusc a disseppellire il malese fin sotto le braccia. Aveva le mani legate dietro
il dorso: II principe recise quei legacci con un colpo di kriss. A quel punto il sepolto
vivo, avendo le braccia libere, punt le mani sui bordi della buca e si sollev in fretta.
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Era un giovanottone, enormemente muscoloso con delle braccia molto
grosse e con delle mani che sarebbero riuscite a schiacciare una noce di cocco con
facilit, tanto erano enormi e possenti. Vestiva un corto sottanino ed un paio di
stivaloni, segno evidente che era un marinaio. Il suo volto bonario esprimeva appieno
esultanza e riconoscenza per essere stato salvato dal principe bornese.
Infatti, appena fu in piedi si inginocchi dinanzi al rajah, portando le labbra alla
estremit dei suoi calzoni ed inizi a baciarli sull'orlo.
- Mi hai donato la vita, orange! Se non fosse stato per te quegli uccellacci mi avrebbero
strappato gli occhi e scarnificato il cranio. Finora ero riuscito a tenerli lontano con dei
sonori strilli, ma la sete, il caldo ed il sole picchiante mi hanno reso la bocca arsa e non
avrei potuto urlare ancora a lungo.
Sandokan lo invit a rialzarsi, porgendogli una fiaschetta piena d'acqua. L'uomo vi si
gett avidamente sopra, portandosela alle labbra e tracannando una serie di sorsate. Poi
la restitu al suo salvatore dicendo:
- Grazie. Da oggi mi puoi considerare un tuo schiavo. Ti seguir ovunque andrai e ti
sar fedele per sempre. Mi chiamo Sambigliong e sono, come avrai capito, malese.
- Chi ti ha seppellito sotto la sabbia?
- E' una lunga storia, padrone. Se avrai un poco di pazienza te la narrer.
- Certo, ma mettiamoci all'ombra di quei palmizi e festeggiamo il nostro incontro con
uno spuntino. Non ho molto appresso, ma divideremo il tutto in parti uguali, anche se,
penso, tu devi avere una fame invidiabile.
- Certo, padrone. Sono due giorni che non mangio - rispose il malese.
Si sedettero quindi sotto ad alcuni alberi e cominciarono a sbocconcellare il magro
pasto, mentre Sambigliong iniziava il suo racconto.
- Abitavo in un borgo rivierasco nello stato di Varauni. Facevo il pescatore e ho passato
la mia fanciullezza, sin da quando avevo sei anni, su diversi prahos. Con la
pesca guadagnavo abbastanza bene e mi sarei accontentato per anni di quella vita,
se non fossero accaduti tremendi fatti. Un brutto giorno, infatti, arrivarono al villaggio
alcuni dazieri del sultano, dicendoci che dovevamo pagare delle pesanti gabelle sul
prodotto ittico pescato. Erano delle nuove tasse che si aggiungevano ad altre che finora
eravamo riusciti a pagare regolarmente, anche se con grandi sforzi. Ci rifiutammo di
corrispondere quella nuova tassa e cacciammo via in malo modo quei messi di Varauni.
Ma il sultano pens bene di far pesare la sua ferrea disciplina sulle nostre genti: un
nutrito gruppo di soldati reali ci attacc di notte, mettendo a ferro e fuoco il villaggio.
Fuggimmo tutti rifuggiandoci sulle nostre barche da pesca e raggiungendo, dopo un
paio di giorni di navigazione, una piccola isola a nord di Labuan. I natii la chiamano
Mompracem altri la chiamano Praciam. Nonostante le sue coste irte di scogliere vi
approdammo. Gli indigeni ci fecero una buona accoglienza e quindi decidemmo di
restarci. Alcuni di quegli abitanti praticavano la pirateria: erano uomini di razze diverse,
ma principalmente malesi e dayacchi. Ci proposero di unirci a loro ma noi preferimmo
esercitare ancora il nostro antico mestiere. Un brutto giorno, mentre stavamo con il mio
praho lontano parecchie miglia dalla isola in questione, si avvicin una cannoniera
inglese. Con un colpo di cannone, sparato molto vicino alla nostra prua, ci intim di
arrestarci.Ammainammo le vele. La nave si avvicin. Il suo comandante, dopo aver
fatto schierare sul ponte fucilieri e cannonieri, ingiunse la resa. Io, facendomi coraggio e
reprimendo il mio stupore, chiesi perch. Il capitano rispose che ci ritenevano pirati e
che se non ubbidivamo avrebbero fatto fuoco su di noi con tutti i cannoni di bordo.
- E voi? - chiese Sandokan che ascoltava con viva attenzione quell'interessante
racconto.
- Noi tentammo di rimettere al vento la nostra imbarcazione, ma lo straniero fu pi
veloce di noi: sebbene fossimo senza cannoni e con pochi fucili e nonostante non
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accennassimo a nessun atto di ostilit, una cannonata venne tirata nella nostra direzione,
colpendoci sulla prua. Poi molte altre ci piovvero addosso, mentre noi impotenti non
riuscivamo n a fuggire n a rispondere al fuoco. Poco a poco tutti i miei compagni
vennero colpiti: il loro sangue si sparse sulla tolda, finch fuoriusc dagli ombrinali. Io
fui colpito da un pennone che mi cadde in testa e mi tramort. Quando rinvenni mi
trovai in mare, aggrappato ad un pezzo di murata. Rimasi in acqua per parecchio tempo.
Stavo per morire di sete quando fui scorto da un praho, montato da alcuni uomini del
mio villaggio. Mi vennero a raccogliere. Quando mi fui dissetato raccontai loro
l'assurda vicenda. Tutti gli uomini dell'equipaggio avevano, tra i caduti della mia nave,
o un parente o un amico, per cui ognuno fu doppiamente colpito da quella strage
assurda ed illegale. Nulla avevamo fatto di male contro gli inglesi e nessuno dava a loro
il diritto di comportarsi in quella maniera, da veri banditi o corsari. Tornati che fummo
sull'isola di Mompracem e fatti partecipi le nostre genti, decidemmo all'unanimit di
darci anche noi alla pirateria, per vendicare i compagni barbaramente massacrati. Mi
imbarcai su un legno di un mio parente ed assieme ad un altro praho montato da malesi
cominciammo a battere il mare in tutte le direzioni. Assaltavamo solo bastimenti
inglesi. Quando incrociavamo navi di altra nazionalit ci allontanavamo senza dare loro
alcun fastidio. Tutto and liscio per diversi mesi, fino a quando, tre giorni addietro,
incontrammo una cannoniera olandese. Era molto grossa e correva come una rondine
marina. Subito, appena ci ebbe scorti, si avvicin a noi a tiraggio forzato. Non avendo
nulla da temere da navi di quella nazionalit, poich mai compimmo gesti di ostilit
contro piroscafi che battevano quella bandiera, attendemmo sereni che si avvicinassero.
Ma senza alcun motivo e senza nemmeno sparare un colpo in bianco, la cannoniera fece
fuoco con il cannone di prua: la palla cadde sul ponte storpiando un paio di miei
compagni. Non potendo fuggire in quanto non eravamo in grado di competere con la
velocit della nave nemica, decidemmo di accettare battaglia e ci disponemmo per
l'abbordaggio. Per tre volte tentammo di avvicinarci ad essa e per tre volte ci sfugg:
preferiva cannoneggiarci da lontano ed evitare cos un corpo a corpo con noi, ben
sapendo che all'arma bianca i malesi valgono il doppio. Ad un certo punto una
cannonata ci colp sotto la linea di galleggiamento. In breve il legno imbarc
molt'acqua e non potemmo pi manovrare. Una bordata di mitraglia uccise parecchi
miei compagni. Eravamo ormai ridotti in pochi, quando la cannoniera ci abbord. I
fucilieri inglesi uccisero tutti i miei camerati. Alla fine anch'io fui ridotto all'impotenza,
in quanto una granata scoppiatami vicino, pur non ferendomi, mi aveva tramortito. Fui
portato a bordo del legno nemico ed imprigionato.
Sandokan, che continuava a seguire il racconto con viva attenzione, gli chiese:
- Di solito i pirati vengono impiccati senza nessun processo. Perch non ti fecero
seguire quella sorte?
- Perch volevano impiccarmi nella piazza di qualche villaggio malese, onde ci fosse
di esempio e di monito per altri pirati. Per, quando rinvenni, riuscii a spezzare le catene
che mi avvinghiavano le mani; stavo per gettarmi in acqua quando fui scoperto da due
sentinelle. Allora le colpii con due pugni, cos tremendi che rimasero uccise all'istante.
Ma le loro grida avevano richiamato l'attenzione delle guardie di quarto che, scendendo
nel boccaporto, mi saltarono addosso. Non so quanti altri soldati accoppai prima che
riuscissero a ridurmi all'impotenza.. Allora il capitano, furente per i danni che avevo
procurato ai suoi uomini, mi disse che l'impiccagione sarebbe stata una morte troppo
dolce per me. Decise quindi di seppellirmi vivo su una vicina spiaggia. E cos fecero:
scavarono una fossa e mi ci buttarono dentro, lasciando scoperta solo la testa. Volevano
farmi morire di sete o farmi spolpare vivo dagli uccelli predatori che frequentano questi
posti. E difatti molti di essi, in breve, si radunarono attorno a me. Gli olandesi si erano
gi allontanati da tempo, imbarcandosi di nuovo sulla loro nave, quando giungesti tu a
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liberarmi da questa incomoda posizione, e da una fine davvero terribile. Grazie ancora,
mio signore. Ma ora dimmi, se vuoi, chi sei e perch ti trovi solo in questa zona.
Sandokan, ancora sbigottito da quel racconto e dalla ferocia dimostrata dagli olandesi,
cos rispose:
- E' una lunga e dolorosa storia la mia! Speravo di non doverla pi raccontare per non
evocare tristi ricordi, ma siccome tu mi hai fatto partecipe dei tuoi guai, anch'io ti
narrer tutto. Ascolta.
E Sandokan espose al suo nuovo amico tutti gli eventi degli ultimi tre anni. Nel
rievocare l'efferata fine dei suoi familiari il giovane principe si rattrist moltissimo,
mentre anche Sambigliong prese parte al vivo dolore del discendente dei Muluder.
Quando Sandokan termin il racconto, Sambigliong disse:
- Prendimi con te, padrone. Io odio gli inglesi come te e potr servirti con lealt e con
coraggio, mettendo a tua disposizione la mia forza e l'esperienza che ho del mare e dei
nostri comuni nemici
Sandokan, ben contento di quella profferta, gli stese la mano e quella stretta suggell
quel loro nuovo rapporto. Sambigliong allora chiese:
- Dove stavi andando ora padrone?
- Mi stavo recando nel piccolo regno di Labuk o di Brunei per vedere se potevo
arruolare degli uomini. A Labuk gi vi sono stato, un anno fa, a chiedere aiuto al
sultano ma con nessun risultato. In caso negativo sarei andato sino a Brunei o a Varauni,
anche se nel far ci, rischierei di essere riconosciuto ed arrestato dalle guardie di quei
maledetti sultani, che hanno sempre odiato la mia famiglia, sino al punto di allearsi con
l'aborrita Inghilterra.
- Scusa, padrone, se ti contraddico lo interruppe il malese ma io credo sia inutile
compiere una cos lunga marcia. Non pi lontano di due ore di cammino, verso l'interno
della regione, esiste un villaggio di dayacchi della costa, il cui capo ben conosco . Essi
possiedono alcuni prahos: sono sicuro che conoscendoti e spiegando loro i tuoi
progetti diventerebbero tuoi alleati. Sarebbe per il caso di presentarsi a loro non a
piedi bens a bordo di un tuo praho, visto che ne possiedi un paio!
Sandokan accolse il consiglio di Sambigliong e gli propose di accompagnarlo a
prendere la sua piccola nave al villaggio ove aveva lasciato Ragj e i quattro malesi
superstiti.
E cos fecero. Tornati che furono, grazie al valente aiuto del suo nuovo amico
Sandokan riusc a salpare e dirigere il suo legno verso il villaggio di dayacchi
indicatogli da Sambigliong.
La navigazione procedette molto lentamente in quanto riuscirono a spiegare una sola
vela. Poi Sandokan chiese a Sambigliong di mettersi al timone in quanto il malese era
un profondo conoscitore di quelle coste
Dopo aver imboccato un piccolo fiume e dopo averlo risalito per alcune ore, favoriti
dalla marea che montava, raggiunsero il villaggio in questione. Infatti dopo unultima
ansa del corso dacqua apparve all'improvviso un grosso villaggio fortificato.
Un'alta recinzione lo difendeva da eventuali attacchi di uomini o fiere. Si
intravedevano delle capanne, costruite su alte palafitte, onde renderle pi sicure in caso
di allagamento o straripamento del fiume. Uomini e donne erano intenti al loro lavoro.
Alcuni spingevano dei carretti fuori dal recinto, altri dissodavano dei piccoli pezzetti di
terra che forse fornivano agli abitanti preziosi ortaggi.
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Altri erano intenti a costruire dei vasi di argilla su delle primitive macchine rotanti.
Infine vi erano gruppi di persone occupate ad impagliare cesti di vimini: avevano una
manualit davvero straordinaria assieme ad una notevole velocit.
Appena il praho comparve alla vista quasi tutti interruppero i loro lavori e si radunarono
allimbarcadero senza dimostrare alcuna ostilit.. Inoltre Sambigliong, ben noto a tutti,
faceva larghi gesti di saluto con le braccia. Alcuni guerrieri, riconoscibili per lunghe
lance e giavellotti che portavano seco, lo riconobbero e lo salutarono a loro volta.
Una decina di donne ornate di grossi bracciali e di bellissime collane di corallo e
pezzetti di vetro ripresero a preparare da mangiare, attorno a dei fuochi sui quali
arrostivano delle vivande.
Sambigliong, appena sceso dallimbarcazione, si diresse, seguito da Sandokan, nel
punto centrale del villaggio, ove, quello che doveva essere il capo, riconoscibile per
delle coloratissime penne di pappagallo che gli cingevano la testa, discuteva
animatamente con dei sottocapi.
Il malese si avvicin a quel gruppo facendo a tutti dei cenni di saluto con la mano
destra. Poi disse:
- Ti saluto Mayala e saluto anche te, Kai-Mal. Sono reduce da una brutta avventura.
Per poco non venivo ucciso dagli olandesi, che mi avevano condannato a morire
seppellito vivo nella sabbia. Quest'uomo, un principe di sangue reale, il sultano del
regno del Sabah, ora spodestato dagli inglesi e da Varauni, mi ha salvato.
- Evviva il principe di Sabah! - gridarono gli indigeni, che si erano nel frattempo
radunati attorno ai nuovi venuti.
- Ora - continu Sambigliong - sono rimasto senza il mio praho, in quanto quello che
montavo stato affondato dagli olandesi. Mi sono, per, appena imbarcato su quello del
sultano, ma essendo senza equipaggio siamo venuti a proporre limbarco ad una
ventina di uomini sia per poter governare la nave sia per poterci difendere in caso
di attacco nemico. A chi posso chiedere di salire sul praho?
Rispose per tutti Mayala:
- A nome della mia gente ti informo che rifiutiamo l'imbarco a chi ce lo viene a
proporre: ognuno di noi vuole essere indipendente e non ama essere al soldo degli
altri, anche se questi un principe della nostra stessa isola.
Sandokan, che fino a quel momento aveva preferito far parlare il suo nuovo amico,
prese parola dicendo:
- Valorosi guerrieri, tutti noi abbiamo subito la violenza e l'aggressione di un nemico
straniero che viene da lontano e che sta trasformando le nostre terre in propri domini. Io
ero sultano della regione del Kini-Balu, ma sono stato spodestato e la mia famiglia
stata sterminata dalle forze dei nostri nemici. Inoltre - incalz il bornese, che ormai si
stava abituando a tenere questi discorsi agli abitanti di quei posti - necessario che
superiamo la cattiva abitudine che ci vede divisi in trib o in razze diverse, dove ognuno
pensa esclusivamente ai propri interessi o vede solo i suoi problemi. Se il nemico uno
solo ed offende la sicurezza e la dignit di tutti, sterminando le nostre genti, dobbiamo
superare ogni divisione interna per unirci tutti, dayacchi, malesi, bornesi, per fare un
fronte comune contro l'aggressore ed l'oppressore. Finch saremo divisi il nemico ci
annienter uno dopo l'altro, non potendo noi opporre che una debole resistenza. Tutto
l'Arcipelago Malese e la nostra grande isola del Borneo, si devono unire sotto un unico
vessillo, quello della rivolta contro lo straniero, che ci ha costretto sempre a subire.
Volete voi unire queste forze assieme alle nostre? A me Sambigliong ha detto di
200

avere molti compagni disposti anche a morire pur di far trionfare la causa comune. Che
cosa volete fare?
Questa volta prese la parola Kai-Mal:
- Le tue parole, orange, sono molto sagge e profonde, ma ci suonano come nuove e la
nostra gente ha bisogno di riflettere su queste proposte. So bene che malesi e dayacchi
hanno spesso combattuto assieme, su navi pirata, ma so anche che, altrettanto sovente,
queste due razze si sono scontrate tra loro, lasciando un solco di sangue che ha impedito
di fare causa comune contro il bianco. Per ora accontentati di avere seminato nei nostri
cuori questo germe della riscossa comune. Perdonaci se nessuno di noi ti seguir a
bordo. Sandokan, molto dispiaciuto per questo rifiuto, replic:
- Ma come faremo noi due soli a manovrare una nave, per quanto piccola essa
sia in mare aperto? Noi siamo venuti qui da voi costeggiando la riva. Non potremo
mai spingerci in alto mare e nemmeno attaccare una nave nemica!
Rispose Mayala:
- In questi giorni dovrebbe arrivare un praho malese per portarci armi e munizioni in
cambio di viveri freschi, acqua e mercanzie varie. Chiedi a loro se sono disposti a
dividere con te una parte del loro equipaggio.
Sandokan, rassegnato per queste tiepide risposte alle sue richieste di aiuto, chin la
testa e sia allontan in direzione del molo ove avrebbe atteso quellarrivo. Per ingannare
lattesa ordin a Sambiglion di pitturare sulle fiancate di prua del suo praho il nome
della nave: Malesia.
- Questo nome sar di auspicio per l'unione del nostro popolo.
E Sambigliong url:
- Evviva la Malesia, evviva capitan Sandokan!
Trascorsero cos alcuni giorni che non furono certo di riposo per i due
uomini:impiegarono questo tempo per rafforzare le manovre del Malesia, sia quelle
fisse sia quelle mobili. Imbarcarono viveri in quantit, pennoni, sartie, gomene di
ricambio, oltre ad arnesi da carpentiere per eseguire eventuali riparazioni. Di
notte Sandokan e Sambiglion dormirono in due piccolissime cabine del sottoponte di
prora, che furono sistemate con decoro e pulizia.
Finalmente, sul calar della sera del quarto giorno di attesa, arriv al molo un vecchio
praho, molto grosso, che attracc subito a riva.
Tutti i dayacchi del kampong andarono al porticciolo ed iniziarono a scaricare casse di
armi e munizioni che il legno portava in abbondanza, all'interno della capiente stiva.
Sandokan venne fatto salire a bordo e presentato al capitano della nave, di nome Aier-
Duk.
Era un giovane dal fisico ben solido, colla pelle color oliva, con lo sguardo franco ed
intelligente.
Sandokan, non perdendo tempo in preamboli, gli disse subito il motivo di quella visita a
bordo. Si mise poi d'accordo con lui per l'acquisto di quaranta carabine indiane, armi di
lunga gittata e di grande precisione; di un ugual numero di pistole, di parang, di
pugnali, di kriss, di munizioni e pallottole. Inoltre comper polvere e proiettili per
l'unico cannoncino che si trovava a bordo della Malesia. ;
Domand poi, anche a lui, il permesso di arruolare qualche uomo per il suo equipaggio.
Ma su questo desiderio Aier-Duk si mostr molto reittoso. Acconsent solo, ma molto di
malavoglia e grazie allintercessione di Sambiglion, al fatto che Sandokan parlasse
201



all'equipaggio. Cos quando gli uomini, dopo aver scaricato la nave di ci che il
principe aveva comperato, furono radunati sul ponte del praho, Sandokan parl loro,
usando le stesse vibranti offerte di poter militare sotto un'unica bandiera per la
liberazione della Malesia. Ma anche in quest'occasione le risposte furono prive di
fervore, poich pure quegli uomini erano dediti solo ad una pirateria connessa e
finalizzata alla bramosia di ricche prede, da qualunque parte potessero venire, in odio e
spregio a tutte le nazioni naviganti in quei mari. Solo due malesi accettarono di
passare a bordo del Malesia, spinti solo dallidea di militare sotto un sultano,
seppure spodestato. Sandokan, al quale urgeva avere a bordo chi potesse aiutarlo
almeno alla manovra delle vele fu comunque contento di quei nuovi arrivi.. Gli
altri non furono interessati da quelle parole.
Giunse cos la mattina seguente, giorno stabilito per la partenza. La Malesia, con a
bordo tutto l'occorrente per una lunga crociera, anche se priva di un numero sufficiente
di uomini, si prepar a salpare.
Anche il praho malese era in procinto di togliere l'ancora, mentre i dayacchi del
kampong avevano approfittato delle prime luci dell'alba per allestire pure loro la
partenza a bordo di tre prahos. Forse la curiosit di vedere quel coraggioso bornese,
alle prese con una nave priva del minimo di uomini di equipaggio, affrontare il mare
aperto o magari correre il rischio di incontrare qualche cannoniera olandese od
inglese, aveva mosso i capi dayacchi a seguire la Malesia, almeno per un po' di
miglia, sino al mare aperto. Cos quel concerto di legni si mosse molto lentamente,
allontanandosi dal piccolo porto. In breve raggiunse la foce molto pittoresca di quel
piccolo fiume.
Le due rive erano assai basse, ingombre di splendidi alberi dalle foglie gigantesche le
quali proiettavano una cupa ombra sulle acque limpide sin al centro del fiume. Isole ed
isolotti somiglianti ad enormi tartarughe, sorgevano qua e l, ricettacolo di milioni di
uccelli costieri che vi nidificavano, i quali svolazzavano mandando gioiose grida
stridule. Nell'acqua che in quel punto si mischiava con quella salata saltavano
numerosi pesci che si gettavano tra la schiuma prodotta dalle navi stesse. Vi erano
coppie di diodon pesci molto strani che sono numerosi in quella zona di mare, che
nuotavano con la pancia rivolta verso l'alto e che ogni tanto ingoiavano una buona
provvista d'aria diventando allora tondi e grossi come vere palle piene di aculei, in
quanto gonfiavano numerose spine biancastre a macchie nere e violacee; dietro di
loro vi erano dei serpenti di mare lunghi pi di un metro, di forma cilindrica con la
pelle grigiastra e con la coda piatta, del tutto innocui poich la loro bocca talmente
stretta che non pu aprirsi per mordere, ma che invece sono letali a mangiarsi; ancora
pi avanti si incontravano dei banchi di meduse con la testa punteggiata di
granulazioni nere che si mischiavano al rosa dei loro corpi. Non sempre quei pesci
erano per inoffensivi: infatti la chiglia della nave di Sandokan veniva spesso
attraversata dai pescicane, molto pericolosi, lunghi sei o sette metri con delle bocche
enormi con denti affilati ed aguzzi, capaci di tagliare in due pezzi anche l'uomo pi
robusto. Erano occupati ad inseguire dei pesci volanti, che si allontanarono in
direzione obliqua rispetto alla rotta della nave.
Era intento di Sandokan fare vela verso l'isola di Mompracem, che si trovava, come gli
aveva spiegato Sambigliong, al largo del Borneo, onde imbarcare almeno i compagni
del malese che erano rimasti nell'unico villaggio esistente su quel lembo di terra. Il
praho di Sandokan teneva bene il mare, nonostante le onde fossero abbastanza alte,
segno evidente che il tempo, al largo, era stato brutto durante la notte, essendoci ora un
cielo terso e sereno come non mai.
Alla ribolla del timone si era posto lo stesso principe, mentre i rimanenti tre uomini di
equipaggio erano indaffaratissimi a sbrogliare vele, a tendere funi, ad orientare al vento
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i vari pennoni, cosa questa che normalmente richiedeva il lavoro di almeno una decina
di uomini.
Ad un certo punto Sandokan ud una voce urlare da non molto lontano:
- Aspettami, Sandokan!
Il bornese si volse e vide che un giovane malese a bordo del praho che seguiva pi da
vicino la Malesia, si sbracciava nella sua direzione. Appena accortosi che il principe
aveva inteso il suo grido, quel giovane si tuff in mare e si mise a nuotare in direzione
del praho dei nostri eroi. Le due navi non erano molto distanti ed il giovane, abile
nuotatore, non ebbe nessuna difficolt a superare quella piccola distanza. Sambigliong
gli lanci una gomena, non appena fu sotto bordo, ed il malese, lesto ed agile come uno
scoiattolo, si iss a bordo. Inzuppato d'acqua sal sul piccolo cassero dove si trovava il
figlio di Muluder e disse:
- Capitano, tu sei troppo impavido per poter essere lasciato quasi da solo su questo
mare. Vorrei essere tra i valorosi che hai a bordo.
Sandokan, commosso da quel gesto e da tali parole, stacc per un attimo le braccia dal
timone per poggiarle sulle spalle dell'intrepido dayacco.
- Grazie, mio audace amico; come ti chiami? - gli domand.
- Hirundo - rispose.
- Benvenuto a bordo. Ora posso dire di avere un equipaggio, per quanto ridottissimo,
che rappresenta le due razze oppresse dagli inglesi. Evviva il Borneo! Evviva la
Malesia!
- Evviva la Malesia! - gridarono i quattro uomini a bordo.
Ed in segno di giubilo scaricarono in aria alcuni colpi di fucile, agitando le braccia in
alto per la gioia.
Una brezza sostenuta gonfi le vele del piccolo legno, imprimendo ad esso una discreta
velocit. E mentre la prua fu messa a nord, anche il nuovo venuto si adoper alla
manovra con gli altri uomini di bordo.
Sandokan era molto contento, anzi, forse per la prima volta, dimentic per qualche
istante, la sequela tragica delle disgrazie e delle disfatte che lo avevano perseguitato in
quei tre funesti anni.
Adesso era in mare e volgeva le spalle, alla sua terra natia, alle foreste, alle sterminate
pianure, alle alte montagne che avevano accompagnato la sua vita e fatto da cornice alla
sua giovane esistenza sino ad ora.
Ma non stava abbandonando quella terra, non lasciava quei posti in modo definitivo,
non tagliava il cordone con la sua vita passata, no! Quella sarebbe stata solo una pausa
per poter organizzare una seria resistenza contro dei nemici per ora troppo forti.
Sarebbe tornato un giorno nel regno del Sabah, nel sultanato del Kini-Balu
sotto i Monti Cristallo, per riconquistare il trono dei Muluder, ora perduto.(1)
Sandokan si volse allora verso la terra amata, i cui tratti si scorgevano ancora alti
sull'orizzonte In un baleno gli tornarono alla mente tutti i fatti accaduti in quei tragici
anni che gli passarono veloci davanti agli occhi, i quali si velarono di un qualcosa di
umido che forse erano lacrime. E mentre, piano piano, quella stupenda distesa di verde
e di spiagge color oro sfumava in lontananza, con una voce che nulla aveva di umano,
Sandokan grid:
- Torner, Hold, torner. E tutti sarete vendicati!

(1) Vedi: Sandokan alla riscossa di E. Salgari

204

PARTE TERZA

SECONDA PATRIA


206

CAPITOLO PRIMO

LA NASCITA DELLA TIGRE

II tempo era magnifico ed il mare perfettamente calmo; in cielo pochi cirri color rosa.
Sulla distesa marina non si vedeva n una vela n un filo di fumo che denotasse una
nave all'orizzonte. L'immensa superfcie d'acqua di un azzurro cupo era liscia come
una tavola, nonostante un leggero venticello gonfiasse le vele della Malesia.
Quel luogo aveva il fondale bassissimo perci Sambigliong si era posto sdraiato
accanto al bompresso per segnalare l'eventuale presenza di banchi di sabbia, che
avrebbero potuto far arenare l'imbarcazione.
Ogni tanto la prua della nave veniva attraversata da alcuni cefalopodi, muniti di lunghe
braccia piene di ventose, che si gettavano gli uni addosso agli altri, come se
giocherellassero. Erano dei polipi, per i quali malesi e dayacchi andavano ghiotti e ne
facevano un consumo enorme in quanto era molto facile pescarli. Vi erano anche coppie
di graziosi pesci dalle scaglie azzurre a riflessi metallici chiamati dalle popolazioni
locali pomacentras, che guizzavano tra le alghe del fondo mentre stuzzicavano delle
del sole a picco su quei pochi metri d'acqua marina limpidissima. Vi erano poi una sorta
di pesci luna, larghi e piatti, le cui carni sono anch'esse molto apprezzate da quelle
popolazioni costiere.
Poco dopo il fondale si abbass e la navigazione pot procedere senza ulteriori pericoli.
Gli altri prahos, che seguivano il legno di Sandokan erano molto distanti e a volte
scomparivano alla vista.
Il deposto sultano aveva ceduto il timone ad Hirundo e si era messo a scrutare
l'immenso spazio marino con un cannocchiale da marina che aveva trovato nella cabina
del suo natante.
Un uomo, dall'alto della coffa dell'albero maestro, osservava anch'esso l'orizzonte,
girando tutto intorno il suo vigile sguardo.
In quel silenzio magnifico, rotto solo dallo strillio o dallo sbattere d'ali di qualche
albatro che volava alto nel cielo o che si posava su qualche pennone della nave per un
giusto riposo, si udiva solo lo sciabordio del mare tagliato dalla prua della nave che si
avanzava allegramente tra le piccole onde di un mare pi che tranquillo. Il sole era
accecante ma l'aria pregna di salsedine serviva a tonificare i corpi gi accaldati e sudati
per il gran caldo.
Ad un tratto quella maestosa pace venne rotta da un rombo e poi da un altro, a breve
distanza di tempo dal primo.
207

Tutti gli uomini tesero le orecchie. I boati si ripeterono. D'alto dell'albero la vedetta
url:
- A nord-est si combatte!
- Timoniere fai rotta verso quella direzione - ordin Sandokan.
Hirundo ritocc d'alcuni gradi la direzione dello scafo che si diresse a rapida
velocit verso il punto di mare dove forse si combatteva.
I colpi continuavano ad udirsi sempre pi distinti, finche l'uomo di guardia sulla coffa
dell'albero maestro lanci un altro grido:
- Fumo a tribordo; vele di un praho a tribordo!
Sandokan, come pure i suoi compagni, volse lo sguardo, in quella direzione. Dopo
pochi minuti tutti intravidero sulla linea dell'orizzonte due navi: una a vapore, di
piccolo tonnellaggio ed un'altra a vela con bilanciere. Questa seconda era sicuramente
un praho malese.
Il legno del principe bornese si avvicin ai due contendenti e dopo una buona mezz'ora
poterono tutti vedere che una cannoniera, sul cui albero sventolava una bandiera a
strisce inglese, sfruttando la potenza delle proprie macchine a vapore, girava attorno ad
un praho, che non poteva pi governare, forse a causa di un qualche guasto al timone. Il
praho, pur sparando con i suoi due cannoncini di bordo, non riusciva a colpire la
cannoniera in quanto questa si manteneva ad una distanza tale che la scarsa gittata di
quei piccoli pezzi non riusciva a superare, non potendo avvicinarlesi.
La cannoniera invece, con cannoni pi moderni e con una portata superiore, poteva
colpire con facilit quel legno ormai impotente. Gli uomini che si trovavano a bordo del
praho erano malesi che cercavano in tutti i modi di difendersi da quel grandinare di
palle, proteggendosi chi dietro le murate, chi ponendo davanti a se mucchi di cordami o
di brande. Ma ogni riparo era inutile poich il ferro nemico tutto distruggeva, facendo
anche scempio di quei corpi.
Ci nonostante quei valorosi, invece di gettarsi in mare o di fuggire con l'unico canotto
ancora illeso che si trovava a bordo, rispondevano con tiri di fucile e con i due lil che
si trovavano a prua, affatto inutili vista la distanza della nave inglese.
Sandokan, comprendendo che quei prodi erano destinati a sicura morte e disgustato
dalla vigliaccheria degli inglesi che preferivano sparare da lontano per evitare un
pericoloso abbordaggio, prese subito una decisione: attaccare la cannoniera e prendere
perci le difese di quei malesi che stavano per essere oppressi dalla potenza del nemico.
Pensava Sandokan, in quel momento, mentre decideva di impartire quell'ordine, che
quest'azione avrebbe fatto di lui un alleato di quegli uomini che sicuramente erano
pirati? Aveva meditato che comandando il fuoco contro la regia marina britannica
avrebbe scavato un solco tra il passato, vissuto da persona di discendenza reale, ed il
futuro che lo avrebbe visto accanto a pirati e corsari? Aveva ponderato che la linea che
stava per varcare divideva un'esistenza basata sulla legalit, con una nuova vita lontana
dalle leggi? Aveva soppesato che il passo che stava per compiere lo avrebbe relegato
tra la schiera di chi sarebbe stato ricercato e, se catturato, processato e poi condannato
dai tribunali internazionali o dall'opinione pubblica di quello stato cui la cannoniera
apparteneva?
Sandokan aveva avuto un lasso di tempo cospicuo per decidere, tre lunghissimi anni
durante i quali tutti questi rischi erano stati messi in debito conto, ma poi
definitivamente accantonati ed offuscati dal sentimento di vendetta e di ricerca di una
giustizia, che voleva darsi da solo senza attendere quella divina, forse troppo lunga ad
aspettarsi.
208

Cos il figlio di Muluder, svincolandosi da ogni rapporto col mondo civile, da quella
sbandierata civilt che gli aveva tolto l'intera famiglia e tutto il suo regno, dette quel
terribile ordine, dopodich non si poteva pi tornare indietro:
- Attacchiamo quei cani d'inglesi!
La sua microscopica ciurma ebbe un attimo di dubbio. Ma come? Era possibile che
avessero udito bene? Il loro capo comandava di attaccare una nave, a bordo della quale
si trovavano sicuramente un centinaio d'uomini, forse anche di pi, e magari di
abbordarla con soli cinque uomini d'equipaggio? Ma l'esitazione ed l'incertezza durarono
pochissimo. Infatti, l'ordine fu ripetuto:
- Barra sottovento! Sambigliong fai fuoco col cannone di bordo e mira alla ruota di
dritta della nave nemica!
Tutti ubbidirono prontamente a quell'ordine pazzo e temerario. Dire che la lotta era
impari era voler significare poco.
A bordo del bastimento inglese, nel frattempo, nessuno si era accorto dell'avvicinarsi di
quel piccolo legno, poich i soldati erano tutti intenti ad osservare il praho che avevano
di fronte, mentre la nave di Sandokan proveniva alle spalle della cannoniera. Sambigliong,
molto esperto in quel ruolo di cannoniere, corse al cannone e lo caric con cura,
mettendoci dentro molta polvere. Poi mise nella bocca del pezzo una piccola palla
d'alcune libbre, di ferro pieno, e si pose dietro al mirim, puntandolo contro
l'obiettivo prefissato. Corresse pi volte la mira, finch poggi la fiamma, che teneva in
mano, all'esca sopra il cannoncino. Poi un bagliore brill dalla bocca del piccolo pezzo
ed un sordo boato si diffuse sul mare. Un attimo dopo la palla, magistralmente diretta,
and a colpire la ruota motrice che si trovava sul lato della cannoniera rivolta verso il
praho. Alcune pale si spezzarono come pure lo stesso asse della ruota. La conseguenza fu
che la nave cominci a girare in tondo, in quanto l'altra ruota, sulla fiancata opposta,
continuava a camminare. Solo allora gli inglesi si accorsero del nuovo nemico che
sopraggiungeva a vele spiegate. Al principio nulla poterono fare, in quanto il moto
circolare del loro naviglio impediva di puntare i cannoni di bordo. La nave aveva
cominciato anche a vibrare, segno evidente che la palla aveva colpito anche una delle
due caldaie a vapore.
Sambiglion esaltato da quel suo primo successo e galvanizzato dai complimenti che gli
aveva subito rivolto Sandokan, si ripet nel tiro immediatamente successivo: un'altra
palla del suo cannone colp alla base l'albero di maestra del legno avversario che,
spaccato ad un metro d'altezza dal ponte, cominci ad oscillare lentamente, per poi
cadere violentemente in coperta con tutti i suoi pennoni, cordami e vele, travolgendo e
schiacciando una parte dell'equipaggio, preso alla sprovvista da quel preciso e rapido
cannoneggiamento.
Un doppio urlo di gioia era uscito dalle gole dei cinque attaccanti, al quale fece eco un
grido ancora pi potente: quello degli occupanti del praho immobilizzato che, stupefatti
per quel provvido ed inaspettato soccorso, che in pratica aveva immobilizzato con soli
due colpi l'avversario, misero subito in acqua dei lunghi remi, cominciando a vogare di
gran lena, nell'intento di raggiungere il nemico.
Orbene tutta questa scena era stata notata dai tre prahos dayacchi e da quello malese
che, attirati anch'essi da quel cannoneggiamento, si erano avvicinati, non visti, alla zona
di guerra.
Lo sbalordimento degli occupanti di queste quattro navi era al massimo. Avevano
osservato con la massima meraviglia il praho di Sandokan dirigersi senza esitazioni in
aiuto dei soccombenti, e poi aprire il fuoco contro gli inglesi, in quella maniera cos
precisa ed al contempo micidiale da rimanere esterrefatti da tanto coraggio. Ma quello
che stava per accadere li lasci poi addirittura a bocca aperta.
209

Infatti, il deposto rajah, senza attendere l'arrivo del praho che procedeva a remi, diresse
il proprio legno a ridosso della fiancata della cannoniera che nel frattempo era riuscita a
fermare le macchine. Ora non girava pi in cerchio ma si era vista costretta a spengere
le caldaie e a rimanere immobile, offrendosi ad un facile arrembaggio. E difatti Sandokan
url:
- All'abbordaggio, miei prodi! Facciamo vedere che i malesi e i dayacchi non contano il
numero dei loro nemici.
Ed in men che non si dica, con un vigoroso colpo di barra, Hirundo devi la
direzione del praho in modo tale da non farlo schiantare con la prua addosso alla
cannoniera, ormai vicinissima, ma di accostarlo bordo contro bordo. Subito gli altri
quattro uomini gettarono i grappini d'arrembaggio che legarono solidamente i due
natanti.
- All'assalto uomini della Malesia! Morte agli inglesi! - grid il principe bornese. E
mentre urlava con quanto fiato aveva in gola, si raccolse su se stesso, cos come fanno gli
oranghi che stanno per lanciarsi addosso alle prede, si attacc ad una fune che pendeva
da un pennone dell'albero di maestra schiantatosi sulla cannoniera, e si arrampic. Salt
cos a bordo del legno avversario, con un'agilit da far invidia ad una scimmia. I suoi
quattro compagni, spronati da quell'esempio, esaltati da quell'atto di sprezzo del
pericolo, incuranti della propria vita, si scagliarono anch'essi sul legno nemico,
faticando per pi del loro comandante ad issarsi sul ponte avversario, in quanto la
cannoniera era molto pi alta di bordo del piccolo praho.
Con un pazzo furore i cinque impavidi si slanciarono contro i marinai inglesi, che per
alcuni preziosi secondi li guardarono attoniti, non riuscendo a comprendere come
avessero potuto comparire cos all'improvviso sul loro ponte. Tale stupore aument
quando videro che gli attaccanti erano solo cinque uomini, che pur urlando per venti,
rappresentavano un numero del tutto inferiore rispetto all'equipaggio, seppur decimato,
della cannoniera.
Questi attimi di sbigottimento furono ben impiegati da Sandokan e dai suoi pirati che ne
approfittarono per arrivare a contatto con i soldati inglesi senza che questi pensassero di
scaricare i propri fucili. Il cozzo fu violento: cominciarono a cadere a terra i primi inglesi
colpiti dal principe ora pirata e dagli altri quattro diavoli che erano con lui. Nel frattempo
anche l'altro praho aveva raggiunto la cannoniera e l'abbord a babordo: i grappini
furono gettati con grande maestria, di gente avvezza a quel mestiere, e una ventina di
pirati, dopo essersi arrampicati su varie funi e gomene, si scagliarono in coperta,
sparando pistolettate a destra e manca. Incredibile a dirsi ma gli inglesi erano stati presi
tra due fuochi, anche se di modesta entit. Sandokan, precipitatosi innanzi con pazza
temerariet, aveva gettato nello scompiglio i difensori, che non erano stati ancora in
grado di organizzare una valida difesa contro quell'incredibile sorpresa.
- Arrendetevi! - ebbe l'ardire di gridare Sandokan, abbattendo due soldati con altrettanti
micidiali fendenti della sua affilatissima scimitarra.
I suoi malesi e quelli dell'altro praho urlavano come ossessi al fine di incutere maggior
timore nelle file avversarie, ed infondersi scambievolmente maggior coraggio. Le loro
vociferazioni assordanti selvagge, rimbombavano tutto intorno, coprendo persino le
detonazioni delle armi da fuoco. Tra quei clamori si udivano le grida di dolore dei feriti
e i rantoli dei moribondi, che gi si ammassavano sul ponte, cadendo da ambo le parti.
Bench gli inglesi ricevessero perdite crudeli, la loro disciplina e la loro calma
proverbiale ebbero il sopravvento sui primi sbandi iniziali. Si erano ammassati sotto il
cassero e si difendevano abilmente respingendo gli attacchi avversari. Nonostante
Sandokan si battesse come una tigre ed avesse gi ucciso un numero impressionante di
nemici, che si trovavano ora a terra presso di lui, gli inglesi decisero il contrattacco e
210

lentamente ma inesorabilmente cominciarono a decimare gli assalitori, che cadevano ora
in gran numero.
Nel frattempo i quattro prahos che avevano assistito alla battaglia, sino a quel momento
senza prendervi parte, si erano ulteriormente avvicinati alle tre navi, ormai cos
saldamente ancorate tra loro.
Sia i malesi sul praho che i dayacchi sui tre altri legni nel vedere tanto coraggio e cos
sprezzo del pericolo da parte di quei prodi, si erano subito infiammati. Nellassistere poi
al l ento ma inesorabile decli no dell a spi nta d' att acco i nizial e e qui ndi a
quell'indietreggiamento continuo sul ponte della cannoniera, dovuto alla riscossa degli
inglesi, la loro fermezza nel non seguire il prode figlio dei Muluder fu notevolmente
scossa. La loro irremovibilit nel non volersi immischiare nei propositi del principe
detronizzato, circa le sue idee di rivincita contro il comune nemico, vacill. Nei propri
animi si sentirono vigliacchi e traditori nell'essere solamente spettatori passivi di quella
probabile disfatta. Forse non si poteva restare imbelli di fronte a quella imminente
carneficina di loro fratelli senza aiutarli. Nel cuore di tutti vibr un qualcosa che
forse era un misto d'amor proprio e di senso di collaborazione reciproca. Ognuno in
animo suo voleva schierarsi finalmente dalla parte del principe, che cos magnanimamente
stava mettendo a rischio la propria vita, per quell'idea pazza ma meravigliosa di fare
una lega tra tutte quelle forze finora frammentate di fronte l'oppressore.
Qualcosa si mosse dentro quegli uomini rudi e selvaggi, qualcosa di nuovo che non
avevano mai provato sino a quel momento. Ad un certo punto Mayala grid:
- Prode gente del Kabutuan e del Borneo, volete voi far causa comune con quel pugno
d'uomini che si stanno battendo come tigri?
- All'attacco! Arrembiamo la cannoniera - fu il grido di risposta che usc dai loro petti.
- Avanti allora. Dimostriamo al principe Sandokan che siamo tutti fratelli e che ci
battiamo contro un solo nemico! All'assalto!
Fece subito imbuto con le mani per trasmettere la loro decisione agli altri due prahos
che camminavano di conserva, suscitando negli occupanti lo stesso frenetico
entusiasmo.
E subito le tre navi, mossero verso la cannoniera inglese, mentre tutti i dayacchi si
disponevano all'attacco, armandosi di tutto punto e preparando i grappini
d'arrembaggio per il prossimo aggancio. Cominciarono anche a sparare delle cannonate
sulla carena della nave avversaria, evitando accuratamente di colpire il ponte onde non
rischiare di abbattere i loro compatrioti.
Vedendo muovere i tre legni dayacchi alla volta della cannoniera ed udendo il loro urlo
di guerra, anche i malesi a bordo del quarto praho, che non era molto discosto,
provarono un brivido di commozione e compresero che era giunto il momento di non
essere pi impotenti davanti a quel dramma che comprometteva ormai la loro coscienza.
Si trattava ora di passar all'azione, facendo causa comune con i dayacchi e soprattutto
col rajah, che il giorno prima avevano quasi snobbato.
Il capo di quei malesi, Aeir-Duk, come scotendosi da un torpore durato troppo a lungo,
disse a voce alta, in modo da essere udito da tutto il suo equipaggio:
- Fummo forse sordi per non sentire la voce di Sandokan che ci invitava alla ribellione?
Fummo forse ciechi nel non vedere in lui, valoroso principe e sultano spodestato, il
nostro potenziale capo supremo per una riscossa di tutti i figli della Malesia contro
l'odiato oppressore?
- Che Allah perdoni della nostra stoltezza! - Risposero alcuni uomini dell'equipaggio.
- Ed ora - continu Aier-Duk, sempre pi esaltato - di fronte alla battaglia che abbiamo
davanti, siamo forse divenuti vili e paurosi per non gettarci anche noi nella mischia?
211

Tutti i malesi che stavano a bordo, avendo ben compreso questo ragionamento che li
aveva colpiti come una corrente elettrica, furono scossi nel pi profondo del cuore ed
urlarono:
- Morte agli Inglesi! All'arrembaggio!
- Barra a dritta! Pronti con i grappini!- grid Aier-Duk
E cos anche il praho malese si mosse in direzione del luogo della battaglia.
Ed ora sembrava di assister ad una gara per chi primo arrivasse alla meta tra quei quattro
legni. E fu quello malese, che si trovava pi vicino alla cannoniera, a vincere quella corsa
frenetica: l'albero di bompresso del piccolo legno diede un cozzo tremendo nella fiancata
del naviglio inglese, che si vide abbordata ora da quattro prahos.
Immediatamente dopo arrivarono anche gli altri tre legni i quali non potendo pi gettare i
grappini d'abbordaggio verso la cannoniera, che era cinta ormai dalle altre navi che le
facevano corona, si dovettero accontentare di agganciarsi agli altri prahos e passare su
quei ponti per raggiungere quello della nave britannica.
Ogni equipaggio che si slanciava all'arrembaggio emetteva urli quasi disumani per
intimorire il nemico, mentre calava su di esso ormai da ogni parte. In pochi minuti
l'inaspettato aiuto di quei circa duecento uomini capovolse drasticamente le sorti della
battaglia che volgeva al peggio per Sandokan.
La coperta della nave inglese formicolava ora d'uomini, armati di lance, di parang, di
giavellotti, di tarwar, di kampillang, di kriss, che strinsero in una morsa di sangue i
marinai dell'odiata nazione europea.
Oppressi ora dal numero preponderante, assordati dall'urlio feroce dei loro assalitori,
consapevoli di non poter lottare contro un nemico che li stringeva per ogni dove, gli
inglesi cadevano uno ad uno, con le armi in pugno, disposti a farsi trucidare sino
all'ultimo piuttosto che gettare le armi.
Nonostante che parecchi malesi e dayacchi cadessero morti o feriti con braccia e gambe
staccate dal busto non si fermavano e si spingevano sempre pi innanzi con vigore e
coraggio.
Sandokan, prima molto stupito per quell'aiuto che veniva

per di pi inaspettato e
poi felicissimo per quello che tale gesto poteva significare, si era slanciato anche lui al
contrattacco tutto travolgendo.
In poco tempo i nemici vengono quasi tutti sterminati. Quando sulla tolda non
rimanevano che cinque inglesi, accerchiati da tutti i malesi e i dayacchi, Sandokan grid
ai suoi adepti:
- Fermi tutti! Risparmiamo la vita a questi uomini!
Tutti abbassarono le armi, compresi i britannici, meno un dayacco, che con un ultimo
colpo di parang tagli netto la testa dal busto di un avversario che aveva deposto la sua
sciabola.
Sandokan con lo sguardo feroce, si diresse verso chi aveva disobbedito il suo ordine e
disse:
- Perch hai ucciso quell'uomo, visto che si era arreso ed aveva abbassato la spada?
Il dayacco rispose, con un tono di voce che voleva giustificare quell'atto:
- Era un inglese. . . .
Sandokan lo rimbecc con asprezza:
- Ebbene? Pensi forse che anche io non odio questa razza maledetta che ha distrutto
interamente la mia famiglia e mi ha privato del sultanato? Nondimeno da vili uccidere
un uomo che si arrende. Inoltre se vi ho chiesto di cessare il combattimento pretendo di
essere ubbidito. Infine dico a voi tutti - e qui si gir verso tutti quelli che lo
circondavano - vi un altro motivo per cui risparmieremo la vita a questi soldati.
212

Si diresse allora verso i sopravvissuti e disse loro in cattivo inglese, non avendo parlato
quella lingua che per pochissimo tempo con un commerciante di stoffe indiano che veniva
spesso alla sua reggia:
- Io sono Sandokan, rajah spodestato del Kina-Balu e del regno di Sabah. L'Inghilterra
ha contribuito con armi e danari alla mia detronizzazione e allo sterminio della mia
famiglia. Ora voi andrete liberi e riferirete ai vostri superiori e a chiunque incontrerete
che il popolo della Malesia e del Borneo, stanco delle prepotenze e delle angherie del
leopardo inglese, ha deciso di ribellarsi ad ogni potenza straniera. Direte che i popoli,
una volta separati ed in odio tra loro, gli abitanti della Malesia, dell'arcipelago, del
Kabutuan, e del Borneo hanno finalmente fraternizzato e fatto causa comune contro tutti
i violentatori di questa razza. Da oggi la potente Inghilterra dovr vedersela non pi con
dei gruppi male organizzati ed in antagonismo reciproco, non pi con delle genti che si
disputano la sopravvivenza con piccole razzie quotidiane, ma con una nuova progenie
d'uomini che si batteranno sotto un unico capo e all'ombra di un solo vessillo che
raccoglier tutta la nostra razza in una gigantesca sollevazione, che vi far maledire il
momento nel quale decideste di sbarcare su queste coste per depredare i suoi abitanti e
farne strage. Ascoltate o leopardi inglesi! E' nata oggi una belva, ben pi feroce di
quelle delle jungle, che vi azzanner alla gola con ferocia mai vista: nata la Tigre della
Malesia.
A questo punto Sandokan si volse in giro, fissando uno ad uno i malesi ed i dayacchi
che facevano circolo attorno a lui, e che lo avevano ascoltato estasiati, come se fosse un
potente dio della guerra che parlasse, e non pi l'uomo che non pi tardi del giorno
innanzi avevano lasciato partire a bordo di una nave con soli quattro compagni di
viaggio, ed aggiunse:
- E voi, voi che avete dimostrato oggi di amarvi come fratelli di una stessa famiglia, voi
che in questa battaglia avete cementato un'unione di razze, diverse come colore di pelle
ma al contrario uguali perch offese dallo stesso nemico, che siete in armi
esclusivamente perch difendete le vostre famiglie e le vostre terre, . che avete
soccorso i vostri stessi compagni, che li avete salvati da sicura morte, che avete
piegato, solo perch finalmente tutti uniti, una potente nave inglese, che avete
offerto il vostro sangue per una causa comune. . . ad ognuno di voi chiedo ora questo:
volete essere tutti uniti sotto il mio comando? Volete combattere sotto una sola
bandiera, che oggi sceglieremo assieme, per la rivincita dei nostri popoli? Volete essere
voi, da oggi, i miei tigrotti della Malesia! ;
Un urlo gigantesco, un vociare scalmanato e festoso, un agitare di mani, braccia,
scimitarre, una raffica di colpi sparati in aria, accolse quel commovente ed
entusiasmante discorso.
Era un vero tripudio di gioia, un abbraccio infinito, un atto d'amore per questa nuova
causa comune, che vedeva molti uomini con le lacrime agli occhi per quelle parole cos
profonde pronunciate da quel nobile principe, che mai nessuno aveva detto loro. Un
coro di evviva entusiastici, si propag nel silenzio di quella distesa marina:
- Evviva la tigre della Malesia! Viva Capitan Sandokan! Evviva i tigrotti della Malesia!
Morte agli oppressori!
Un tripudio unanime sanc definitivamente questo patto tra quei popoli cos diversi tra
loro. Ormai un accordo si era stretto tra quelle genti, galvanizzate e fuse assieme sotto
un unico capo che li aveva cos sapientemente elettrizzati e fatti sentire, per la prima
volta, un solo popolo, un'unica nazione.
Tutti gli uomini, che si trovavano sul ponte della nave conquistata o che erano saliti
sulle griselle degli alberi o sul cassero, per meglio udire le avvincenti e commoventi
parole del loro nuovo capo, si agitavano pazzamente, colti da un delirio di gioia
irrefrenabile e di completa soddisfazione, ben difficili da spiegare o da immaginare.
213

Tutti scaricavano in aria i propri fucili o sparavano raffiche di pistolettate, tutti
muovevano in aria asce, pugnali, sciabole o lance, facendo a gara per urlare pi forte.
Ognuno voleva dimostrare pi degli altri la propria esaltazione: sembravano ebbri di
ardore e di fervore per questa guerra cos nuova e diversa che si preannunciava contro
l'odiato nemico, ben spiegata da Sandokan. Il principe dur fatica per calmarli e per
riprendere la parola. Quando torn un poco di silenzio, riprese:
- Come volete che sia la nostra nuova bandiera?
Tanauduriam, un malese erculeo che comandava uno dei tre praho dayacchi, propose:
- Rossa, come il sangue che abbiamo versato per tanti anni!
- S rossa - gli fece eco Ragno di mare, un altro marinaio di quelle navi - con al centro
una testa di tigre che raffiguri che tu sei la Tigre della Malesia, o prode sultano!
- Evviva la bandiera rossa! Evviva la Tigre della Malesia! - sentenziarono tutti,
gridando ed agitandosi come ossessi.
- Molto bene - intervenne Sandokan, raggiante per come si erano messe le cose
- qualcuno trovi l'occorrente per fare queste bandiere, che si dovranno inalberare su
tutte le nostre navi.
Poi rivolto agli inglesi, che erano rimasti annichiliti di fronte a tale bolgia di
entusiasmi e a quella che sembrava una vera e propria dichiarazione di guerra, il
sultano disse:
- Voi, ora, imbarcatevi su di una scialuppa. Vi saranno dati viveri sufficienti per non
morire di fame e sete nella breve traversata che compirete per raggiunger il porto pi
vicino. Riferirete quanto avete visto ed udito, aggiungendo che la Tigre della Malesia
attende il Leopardo inglese per morderlo alla gola e bere il suo sangue. Direte che da
oggi nascono i Pirati della Malesia, che assaliranno solamente bastimenti e navi
mercantili inglesi od olandesi, e tutte le navi da guerra di queste due nazioni. Questi
pirati deprederanno ogni tipo di merc in refusione dei danni sopportati dai popoli
dell'Arcipelago da parte delle vostre nazioni. Andate e non fatevi pi vedere, poich la
prossima volta non saremo pi cos indulgenti.
Gli inglesi superstiti, lieti di farla franca, non si fecero certo ripetere l'invito e discesero
subito in una scialuppa che era stata gi calata in mare. Si gettarono quindi sui remi e si
allontanarono in fretta, inseguiti dagli urli di gioia dei nuovi pirati. A quel punto
Sandokan ordin:
- Spogliate la nave di tutto ci che contiene; caricate sui nostri legni armi, polvere,
cannoni, spingarde e tutto ci che pu essere utile, compresi ovviamente i viveri.. Poi
date fuoco alla nave e ciascuno ritorni sulla propria imbarcazione.
- Capitan Sandokan - obiett Kili-Dal, un negrito dellinterno del Borneo - perch
perdere questo scafo e non farlo nostro?
La Tigre della Malesia gli rispose:
- Questa nave ha delle macchine azionate a carbone. Una volta terminata la provvista,
dove ci potremmo rifornire di quel combustibile? E poi, come fare a riparare i guasti
prodotti dalla cannonata inferta alle pale laterali?
- Hai ragione Tigre, sono uno sciocco! - concluse il negrito.
Quando lo scafo inglese fu spogliato di ogni cosa, tutti abbandonarono la nave che
tosto venne incendiata. Era stato gettato dell'olio di lampada su alcuni stracci: le
fiamme si propagarono al legno circostante ed in breve vampe altissime si levarono
per ogni dove.
Le navi dei pirati si erano ovviamente portate a distanza di sicurezza onde evitare che
qualche scintilla, sollevata dal vento, potesse cadere sulle immense vele degli alberi.
Mentre la connoniera britannica veniva progressivamente distrutta dal fuoco, anche un
praho malese si inabissava nelle onde del vasto mare: era la nave che per prima aveva
subito l'attacco dello scafo da guerra britannica. I danni provocati dal combattimento
214

erano troppo gravi da poter essere riparati; inoltre le perdite subite tra i pirati avevano
diradato gli uomini necessari alle manovre e al combattimento dei vari legni mentre il
praho di Sandokan difettava completamente di un equipaggio. Per questo motivo gli
uomini della nave appena colata a picco passarono a bordo della Malesia, ben
contenti di servire come equipaggio al prode condottiero bornese.
A questo punto la Tigre della Malesia credette opportuno riunire sul suo praho tutti i
capi delle cinque navi pirata.
E cos, mentre la cannoniera nemica continuava a crepitare sotto l'azione distruttrice
delle fiamme, tingendo di rosso il mare circostante, Mayala, Kai-Mal, Kara-Olo, Aier
Duk, Tanaudurian e Kili-Dal salirono a bordo della Malesia.
Sul mare era scesa rapida la notte. La distesa d'acqua illuminata dal fuoco che
consumava la cannoniera, diventata ora un'enorme fiaccola, assumeva riflessi infuocati
tutto attorno per diverse centinaia di metri. Un turbine di scintille, innalzate da un vento
abbastanza forte, si sparpagliava per ogni dove, mentre dei rumori sordi provenivano
dall'interno della nave.
Ad un tratto l'affondante vascello, si spacc in due parti con un rimbombo immenso, ed
una lingua di fuoco gigantesca si slanci verso il cielo, scagliando a destra e a sinistra
miriadi di rottami infuocati: era scoppiata la caldaia a vapore. In un batter d'occhi o
l'acqua ebbe la prevalenza sul fuoco e un intenso vapore acqueo, prodotto dalla
vaporizzazione del mare, venuto a contatto con i carboni ardenti, si sollev attorno con
fragore simile ad una caldaia sotto pressione. Subito dopo la povera nave si inabiss in
un enorme gorgo. I pirati soddisfatti da quello spettacolo si erano letteralmente divorati
con gli occhi quella terribile scena.
Frattanto gli uomini saliti abordo della Malesia, si sedettero sul piccolo cassero del
praho, adagiandosi chi su un cumulo di cordami, chi su un mucchio di vele di
ricambio, chi appoggiandosi alla murata, chi a qualche pennone in disuso.
Sandokan seguito da Sambigliong, si era posto al centro di quegli uomini per
chiedere loro:
- Vorrei sentire il vostro parere su ci che vi ho detto poc'anzi circa l'immediato futuro.
Vorrei aggiungere che - e qui Sandokan si interruppe un secondo, come se volesse
riordinare le proprie idee - se vogliamo costituire una vera minaccia alla potenza
inglese ed olandese, abbiamo bisogno di un luogo ove trovare rifugio, tra un'impresa e
l'altra. Ci occorre un posto sconosciuto, il pi possibile scomodo ad arrivarci, per i
nostri nemici, ma non tanto lontano dalle rotte commerciali che vorremmo attaccare.
Dovrebbe essere anche un rifugio facilmente difendibile: non ci scordiamo che se
costituiremo un pericolo per quelle nazioni, non tarderanno a riunire una flotta per
venirci a snidare. Ho perci pensato di andare a dare un'occhiata all'isola di
Mompracem, da dove proviene il mio fido Sambigliong. Da come me l'ha descritta
sembra che faccia al caso nostro. L'andremo a visitare, scendendo a terra ed andando a
parlare con chi ci abita. Sembra che vi siano solo un paio di piccoli villaggi. Se quella
gente vorr, e se voi accetterete, costruiremo l la nostra base operativa, creando dei veri
e propri fortini, con opere di protezione da eventuali sbarchi di truppe nemiche. Una
volta attrezzato quel rifugio, ognuno di voi si recher in giro per l'Arcipelago ad
arruolare altri compagni, disposti a battersi contro il comune nemico sotto il nostro
nuovo vessillo. Tra breve gli uomini che ho incaricato avranno finito di dipingere questa
nuova bandiera che ognuno di voi dovr innalzare sull'alto dell'albero di maestra.
Appena l'isola di Mompracem, sempre che sia a noi congeniale, sar fortifcata,
potremo cominciare a battere il mare in cerca di prede. Cose ne pensate di questo
programma?
Tutti i convenuti ebbero parole di elogio e di assenso per ci che Sandokan aveva loro
proposto. Sembravano entusiasti di tante idee ed erano pi che soddisfatti di essere
215

interpellati nei programmi futuri. Quel bornese, che sino a poco tempo prima era
un'illustre sconosciuto, del quale non si fidavano, rispondeva invece appieno nell'ideale
di capo che ognuno aveva sempre voluto avere. In lui c'era la nobilt d'animo mista
all'autorit usata non da despota, come se fosse un tronfio sultano, ma intelligente e
democratica. Poi vi era in lui quella forte personalit, quegli occhi magnetici che
mettevano addosso una specie di fuoco sacro, una dose di esaltazione e di coraggio che
tutti affascinavano. Infine erano attratti dalle sue parole piene di saggezza, di
ponderatezza unite al grande desiderio di rivincita militare e di riscatto politico.
Quindi tutti accettarono incondizionatamente quello che Sandokan diceva.
Tanaudurian disse:
- Perdonaci se ti abbiamo fatto attendere la collaborazione che desideravi. Avevamo
bisogno di vedere le prodezze che hai compiuto per cominciare a scommettere su di te.
Aier-Duk volle aggiungere:
- Scusaci se non abbiamo compreso subito la trasparenza delle tue parole ed il tuo
sguardo di fuoco: ma per molti anni non abbiamo mai incontrato un principe cos
giovane, cos coraggioso e cos saggio.
- Hai parlato con il cuore - prese a dire Kili-Dal - ed hai toccato i nostri desideri
nascosti.
- Da oggi in poi - rincar Kai-Mal - tu deciderai e noi eseguiremo!
- E' vero! - terminarono Mayala e Kara-Olo - tu sarai per noi il nostro signore e
padrone. Tutti ti obbediremo ciecamente.
Sandokan, commosso da tanta disponibilit e considerazione dimostrata nei suoi
confronti, conged i capi ricordando loro la rotta da seguire per raggiungere
Mompracem. Ognuno torn sul proprio legno e comunic ai compagni cosa si era
convenuto nella riunione appena conclusasi. Dalle acclamazioni che scoppiarono a
bordo di quei legni si pot comprendere quanto tutti fossero d'accordo su ci che era stato
deciso. Il giorno dopo, verso le prime luci dell'alba, come si era convenuto, sulla vetta di
ogni albero maestro delle cinque navi, che continuavano a procedere in fila indiana come
un lungo convoglio, venne issato un drappo rosso al cui centro vi era pitturata, con rara
maestria, una testa di tigre ruggente.
Appena le bandiere vennero spiegate da un fresco vento mattutino, una salva di colpi di
cannone veniva sparata da bordo dei prahos, tra acclamazioni di giubilo di quel piccolo
popolo festante: ogni pirata commosso gridava di gioia scaricando verso l'alto pistole e
carabine.
Tutti gli occhi di quei rudi uomini eran rivolti verso questo nuovo simbolo della
pirateria malese e si velarono per la profonda commozione mentre ogni cuore batteva
forte nel petto.
Anche Sandokan non riusc a sottrarsi all'emozione di quel magico momento ed il suo
sguardo si rivolse verso l'orizzonte, in direzione del Borneo, della sua amata isola,
ormai non pi visibile, dove aveva lasciato il cuore ma nella quale contava di tornare in
un prossimo futuro.
216

CAPITOLO SECONDO

MOMPRACEM

II mare della Malesia, terso come un cristallo, era leggermente corrugato da piccole
onde, che non impensierivano certo quei fieri naviganti anche perch il cielo era puro e
senza nuvole.
Il vento soffiava dall'est e gonfiava le immense vele dei cinque legni che solcavano,
come uccelli marini, quelle vaste praterie azzurre. Era bello vedere quei velieri che,
seppure di basso bordo e di piccolo tonnellaggio, navigavano uno dietro l'altro, ad una
distanza uguale tra loro, con gli uomini alle manovre correnti: sembrava di assistere ad
una parata di una squadra navale di qualche nazione europea, ben abituata a fare
manovre navali, mentre altri non erano che pirati malesi, anche se esperti forse pi di
qualunque altro marinaio a navigare quei mari e a guidare quei natanti.
- Terra a babordo - url una vedetta, che si trovava sulla coffa pi alta.
Quasi immediatamente le vedette degli altri legni gridarono la stessa cosa.
Tutti i marinai si riversarono verso le murate puntando gli sguardi in direzione di
quella terra.
Sambigliong, che si era messo a fianco della Tigre, disse:
- Quella che vedi laggi, padrone, la nostra isola. Come hai capito fuori delle rotte
commerciali e presto ti accorgerai che non facile accostarvisi.
Sandokan fiss con grande attenzione quel lembo di terra selvaggia, che vedeva per la
priva volta. Il mare immenso lambiva unisola dalle splendide foreste che sembravano
antiche quanto la creazione del mondo, con una corona di spiagge che a quella distanza
sembravano di polvere d'oro. Il cuore del nostro eroe dette un guizzo, come se provasse
un sentimento strano, di grande amore per qualcosa che gi si conosce.
- Strano - disse il principe - non ho mai visto quest'isola e gi mi sembra di amarla,
come se vi fossi stato chiss quante volte. Certo che sembra un posto piacevole ed
incantevole!
Dopo circa un'ora quella terra era ben visibile. Si trattava di un'isola non molto grande,
coperta di lussureggiante vegetazione, ma anche di brulle montagne. Una spiaggia
profonda alcune decine di metri lasciava poi il posto ad una magnifica boscaglia con
delle piante maestose e ricche d'enormi foglie. Sembrava completamente deserta: forse
nemmeno gli abitanti erano penetrati tra quelle piante, ove non v'erano tracce
d'insediamenti umani di sorta. Null'altro che alberi tra i pi pregiati e i pi splenditi
della flora malese. In quel caos primordiale di tronchi, di cespugli, di calamus e di
rotang apparivano da una parte molti lauri dalla scorsa aromatica, macchie di noci
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moscate, di tamarindi, di mangifere ricoperte da ammassi di piante del pepe, piene d
grappoletti rossi serpeggianti, ora al suolo ora pendenti, pari a festoni, dai tronchi pi
annosi e pi grossi, come gli alberi della canfora, misuranti non meno di cinque metri di
circonferenza. Da un'altra parte si intravedevano gruppi di sag, contenenti la preziosa
fecola con la quale si fa un ottimo pane; gruppi di certe specie di pini dai quali, facendo
un'incisione sulla corteccia, si ricava un essenza odorosa, chiamata benzoino; poi
splendidi palmizi sostenenti alle loro estremit quel tipo di mandorle lunghe un metro
chiamate cavoli palmisti, poi alberi di sandalo, che producono una polvere
odorosissima, tek immensi, ebani, mangostani carichi di frutta squisita che in bocca si
fonde come se fosse il nostro gelato, ed un numero ragguardevole d'arnci dalle frutta
grosse e succose. La variegata mescolanza di piante, proprie di quelle isole, davano
limpressione di essere in un vero paradiso terrestre, rallegrato dalla presenza di
splendidi volatili che chiacchieravano e cantavano a gola spiegata, ben tranquilli di non
essere disturbati. Si vedevano stupendi fagiani dalle penne giallo dorate; superbi
angang, chiamati anche uccelli rinoceronti poich hanno sul becco una specie di
protuberanza cornea che d loro un aspetto alquanto strano; colombe coronate, di un
azzurro cupo; magnifici epicamus dalle piume che sembravano di struzzo col petto d'un
bel verde bottiglia; vicinnurus regi, grandi quanto una pernice e talmente belli che
spesso i rajah orientali li tengono nei propri palazzi: vedendoli volare sotto il sole, la
luce si rifletteva sulle loro penne dando l'idea che fossero di tutti i colori dell'iride. Su
alcuni scogli poco distanti nidificavano delle ardee dalle gambe lunghissime con le
penne grigiastre sul dorso e bianche sotto il ventre; dei chionis, specie di colombe un
po' pi grosse di quelle europee con le penne biancastre; delle bellissime kakatoe di un
color abbagliante ma tutte col ciuffo rosso. Tra l'isola e gli scogli facevano la spola dei
rapaci forse dei falchi con la testa grossa ma elegantissimi nel volo che ogni tanto si
lanciavano sulle prede che invano cercavano di fuggire.
Quantunque Sandokan fosse abituato a vedere quelle bellezze della natura nelle
splendide foreste del suo regno, tuttavia rimase estasiato ad ammirare quel tripudio di
colori, di suoni e di profumi che arrivavano sino sulle navi al largo. Le coste dell'isola
sembravano invece inavvicinabili perch erano a picco sul mare almeno per il lato
visibile dalle imbarcazioni. Sambigliong interruppe l'osservazione del suo capo per dirgli:
- Prendo io la ribolla del timone, se tu me lo permetti, padrone.
Poi grid in direzione della nave che pi lo seguiva da presso:
- Copiate le stesse manovre che far, con la massima attenzione. Vi sono scogli non
visibili e si corre il rischio di naufragare! Passate parola agli altri!
Ci detto cominci a dirigere la nave con grande sicurezza. Alcuni malesi si trovavano a
prua pronti a segnalare eventuali pericoli. I cinque legni ridussero la velatura
ammainando le grandi gabbie e terzaruolando le altre vele.
Ad un certo punto alle orecchie degli occupanti la Malesia giunse quello sciabordio
caratteristico del mare che si infrange contro gli scogli.
- Attenzione a prua! - url qualcuno che era disteso sull'albero di bompresso.
- Mare rotto - grid un secondo.
- Scogli a tribordo di prua - tuon un terzo.
Sambigliong, con accanto Sandokan, che voleva imparare a manovrare senza pericolo,
per avvicinarsi all'isola vir leggermente a babordo. Immediatamente dopo manovr di
nuovo, descrivendo un audace zig-zag, tosto seguito dalle altre navi, i cui piloti
effettuavano fedelmente le medesime manovre.
Gli scogli non erano visibili, ma dal muggito della risacca non si poteva sbagliare: quel
tratto di mare era pieno di acuminate madrepore, di aguzzi scogli, veri rasoi per ogni
tipo di nave.
218

All'intorno il mare spumeggiava, ma nessuna punta di roccia si scorgeva fuori dalle
onde, rendendo ancora pi insidioso l'avvicinamento sotto costa.
- Un vero labirinto di scogli; - disse Sandokan - ammiro la tua perizia.
Sambigliong, al quale il complimento era diretto, ne fu orgoglioso.
Solamente navi con un pescaggio limitato, come i prahos, sarebbero potute entrare in
quel dedalo di scogli. Qualsiasi altro bastimento avrebbe dato di cozzo con la chiglia. Ad
un centinaio di gomene dalla prua si vedevano delle catene di frangenti affioranti e
poco pi in l su alcuni di essi vere colonie di uccelli vi nidificavano.
Tra le cavit di quelle rocce, alcune delle quali alte una ventina di metri sul mare,
avevano posto la loro dimora, al sicuro dalle ondate, un'intera colonia di colombi e
colombacci.
Dietro a codeste punte aguzze si pot finalmente scorgere la costa dell'isola, che in tal
punto era molto bassa e formava una specie di baia, al centro della quale si
dondolavano, sulle piccole onde, quattro grossi prahos, sui cui ponti non si scorgeva
nessuno.
A terra si vedevano invece, sotto l'ombra di una folta vegetazione, costituita da palmizi
tara, numerose capanne e dei solidi fabbricati che sembravano magazzini. Poco pi in l
vi era una rupe a picco sul mare, come se fosse stata la torre di avvistamsnto di
quell'isola, i cui bastioni di difesa erano rappresentati da tutta quella miriade di scogli
che la cingevano quasi completamente.
Le cinque navi, avanzando a ridottissima velocit, con grande maestria dei timonieri, si
avvicinarono a quel sicurissimo porto naturale.
Sandokan era visibilmente soddisfatto da ci che aveva veduto: era praticamente
impossibile avvicinarsi all'isola, non solo da parte di grossi bastimenti da guerra, ma
anche da parte di lance a motore, poich avrebbero dato di cozzo sulle rocce a meno che
non avessero conosciuto quei passaggi che solo dei marinai pratici dei luoghi potevano
imparare. Ci poteva scoraggiare qualunque attacco di sorpresa e dei cannoni piazzati
sapientemente sulla riva o sulle immediate alture nell'interno avrebbero reso assai
difficoltoso se non impossibile qualunque sbarco di genti non desiderate.
Sambigliong diede ordine ad un malese di scaricare in aria, per cinque volte consecutive
la sua carabina.
A quel segnale seguirono due spari che provenivano dall'alto della rupe dove
evidentemente qualcuno era di vedetta. Sambigliong fece sparare altri due colpi
in risposta.
Quello era evidentemente un segnale convenuto per avvertire a terra l'avvicinarsi di
qualche legno amico. Immediatamente il villaggio si anim.
La gente, informata dallavvicinarsi di navi sospette, si era ritirata dietro le rocce ed
aveva atteso, ma ora che gli spari avevano segnalato degli amici, tutti uscirono dai
nascondigli.
Si trattava di un'ottantina di uomini e di altrettante donne e bambini.
Alcuni erano figli della Malesia di color olivastro, nerboruti ma bassi di statura; altri
erano dayacchi, bellissimi di forme con folte piume addosso e sul capo, ricoperti di
anelli di rame, denti di tigre, pezzetti di vetro.
Vi erano anche dei cinesi, riconoscibili per i lunghi codini e per i baffi spioventi, dei
giavanesi, dei negritos, degli indiani, dei macassaresi, dei bughisi, dei mindanesi.
Tutti tenevano i volti e gli occhi fissi su quelle navi, cercando di riconoscere qualche
persona nota.
Sandokan li osservava con attenzione in piedi su di una murata, reggendosi alle sartie
dell'albero di trinchetto.
Poi comand:
219

- In mare la scialuppe con tutti i sottocapi!
Poco dopo tutti i capi della pirateria si ritrovarono sulla spiaggia, tosto circondati dai
vari abitanti del villaggio.
Due uomini si staccarono da quel grosso gruppo, movendo loro incontro.
Sambigliong, rivolto a quei due disse:
- Salute a te Giro Batol ed anche a te Patan. Sono salvo per miracolo. Il Principe
Sandokan, - e qui indic il nostro eroe - rajah spodestato di una regione del Borneo, il
regno di Muluder, mi ha salvato da una morte terribile.
I due malesi salutarono con deferenza Sandokan, invitando lui e i suoi uomini ad
entrare nel villaggio e ad accomodarsi sotto un largo attap, una specie di riparo fatto
di bamb e grosse foglie di banano, che doveva proteggerli dai cocenti raggi solari.
Quando tutti furono seduti e mentre delle fanciulle servivano in caraffe di fine
cristallo, frutto sicuramente di qualche abbordaggio, delle bevande colorate e fredde,
Sambiglion, con dovizia di particolari raccont le gesta di Sandokan ed il miracolo
che aveva compiuto di far alleare guerrieri di differenti razze per indurli a combattere
assieme contro l'oppressore.
I due abitanti di Mompracem ascoltarono con grande attenzione ci che il loro
compagno andava narrando, dimostrando con sorrisi e segni di approvazione che le
nuove idee della Tigre della Malesia erano ben accettate da loro stessi. Bastarono altre
poche parole, espresse dai dayacchi e dai Malesi scesi dai prahos assieme a Sandokan,
per convincere i due capi che la Tigre della Malesia poteva essere il comandante
ideale che forse inconsapevolmente avevano sempre desiderato. D'altronde
Sambigliong, che era molto considerato e stimato, aggiunse altre notizie e nuovi
particolari che resero il principe del Sabah ancora pi bene accetto agli isolani. A
questo punto lo stesso Sandokan intervenne:
- Valenti capi malesi, - incominci - quello che avete sentito pu essere l'inizio della
riscossa del nostro popolo, da troppi anni soggiogato dagli stranieri. Vi propongo di
unire le vostre forze alle nostre: come avete visto abbiamo cinque prahos carichi di
merce proveniente dal saccheggio di una cannoniera, armi e munizioni in quantit ed
un centinaio di uomini veramente coraggiosi che ho gi visto all'opera. Quest'isola mi
piace, come anche i suoi abitanti, ma soprattutto ritengo eccezionale la posizione di
questa terra. La natura l'ha dotata per buona parte di coste talmente alte dove ogni
accesso o sbarco nemico sarebbe impossibile. Scogli e frangenti difendono il resto del
perimetro. Se voi siete disposti a ospitarci, noi erigeremo delle difese tali da farla
diventare inespugnabile. Se volete che ci avvenga dovremmo lavorare sodo; mentre
alcuni prahos andranno per l'arcipelago ad arruolare nuovi pirati, altri si potrebbero
recare in mercati lontani ad acquistare armi, polvere e cannoni onde costruire quei
fortilizi che vi mancano.
Gli occhi di quei due pirati di Mompracem scintillarono per l'interesse che suscitavano
in loro le parole di quel principe dal fiero aspetto e dallo sguardo che mandava lampi e
bagliori tali da far penetrare immediatamente nei loro cuori gli stessi sentimenti che
avevano fatto breccia negli animi degli altri capi malesi e dayacchi. Non sembrava
loro vero! Un sultano, anche se spodestato, voleva mettersi alla loro testa! Portava
inoltre uomini, navi ed armamenti! E tutto in cambio del permesso di stabilirsi su quel
loro fazzoletto di terra? Tuttavia, anche se gi convinti ad accettare quell'alleanza,
ebbero il senso pratico di porre una domanda un poco delicata, ma di fondamentale
importanza al loro ospite:
- Ma, Tigre, come faremo a comperare le mercanzie che ci occorrono se non abbiamo
una rupia ? - chiese Giro Batol
- Con queste pietre preziose - rispose Sandokan.
220

E cos dicendo si tolse dalla fascia che gli cingeva la vita un sacchetto dove si trovavano
alcuni gioielli, che lo stesso principe aveva scoperto negli effetti personali del
comandante della cannoniera appena conquistata.
Lo apr e ne vers il contenuto nelle mani di Patan, che guardava allibito.
Ne uscirono tre smeraldi e due rubini.
- Varranno un milione di rupie. Con queste cominceremo a vivere e a mantenerci
esclusivamente con i proventi della pirateria.
Giro-Batol allora disse:
- Cos sar fatto Tigre. Domani mattina presto tutti i nostri prahos si metteranno alla
vela e si recheranno a Batavia, a Singapore ed in altri porti di nostra conoscenza.
Compreranno in ognuno di essi poche merci onde non destare sospetti ed evitare che ci
possano rifiutare grandi o copiose compere di armi o polvere. Quindi non ti preoccupare
di questo. Vorremmo poi dirti che stasera organizzeremo una festa in tuo onore,
anche per ringraziarti di averci scelto come tuoi nuovi sudditi e come guerrieri per
questa grande offensiva contro il comune nemico. Ti daremo quindi il benvenuto: cos
come si festeggia la nomina o l'elezione di un nuovo re o di un grande comandante,
altrettanto noi vogliamo fare per rappresentarti tutta la nostra gioia e il nostro piacere.
Era molto tempo, in effetti, che cercavamo qualcuno che potesse unire il nostro popolo,
troppo diviso e frammentato da secoli. Nessuno fino ad oggi ci apparso cos prode,
audace e carismatico come te: forse ci dipende dal fatto che sei stato un sovrano. Ma ti
prego, e qui sono sicuro di parlare a nome di tutti gli abitanti dell'isola, di continuare a
considerarti anche presso di noi come un re per il quale noi saremo i leali sudditi.
- No - lo interruppe Sandokan - non sudditi ma amici: ho avuto sudditi infedeli e
traditori che hanno contribuito con la loro vigliaccheria a farmi perdere il trono! Voglio
invece dei compagni fedeli per una grande lotta, per il risveglio del nostro popolo.
Soltanto con l'unione delle due razze principali, la malese e la dayacca si riuscir a
battere il nemico. Ti ringrazio delle tue belle parole. So che sono dettate dal cuore.
Stasera parler a tutti. Anticipa ai tuoi amici i miei sentimenti di ringraziamento e di
gratitudine per l'accoglienza.
Terminato questo incontro tutti gli isolani, informati dello speciale evento e dell'ospite
illustre che aveva chiesto un alleanza militare, si dettero a preparare la festa.
Le donne si ornarono di fiori, e con essenze floreali vennero addobbate le capanne sia
dentro sia fuori.
Uomini e donne si dettero a preparare il banchetto serale. Vennero uccisi molti animali;
furono raccolte grosse quantit di frutta; dai magazzini uscirono enormi botti di vino di
palma o di liquore; si disposero numerosi lumi, che sarebbero stati accesi di l a poco.
Al centro del villaggio i ragazzi schiamazzavano, consapevoli che tra breve sarebbe
iniziata una festa come di rado accadeva.
I suonatori prepararono gli strumenti mentre alcune danzatrici si agghindavano per
qualche voluttuoso ballo. Grossi fal furono accesi per cucinare le varie pietanze.
Ognuno faceva o preparava qualcosa: anche i nuovi venuti aiutavano e fraternizzavano
con gli isolani.
Sandokan era molto felice di come era stato accolto: sicuramente in una maniera
superiore ad ogni pi rosea previsione. Era rimasto soprattutto colpito da quella gioia,
da quel trasporto, da quel lavoro collettivo: era una cosa mai vista, nemmeno presso il
suo popolo aveva mai assistito ad un cos grande coinvolgimento generale, una tale
partecipazione di massa.
Avrebbe voluto aiutare anche lui a fare qualcosa. Ma Patan e Giro BatoI glielo
impedirono dicendo :
- Siamo felici che tu stia qui insieme a noi ad osservarci mentre lavoriamo per essere
degni di questo grande giorno e della tua venuta.
221

Sandokan si port allora in riva al mare, dove il dolce suono della risacca ed un leggero
venticello accompagnavano la scomparsa del sole.
Guardando il tramonto Sandokan vide, come in un sogno, passargli dinanzi gli ultimi
avvenimenti, alcuni molto tragici: l'ennesima disfatta attorno alla citt di Kin,
l'annientamento dei suoi compagni, la morte della madre e del padre di Ragj, la sua
fuga nella foresta e poi per ultimo la partenza con la promessa di un rapido ritorno.
Si, Sandokan si riprometteva di tornare in quel villaggio, a lui caro, ove era stato curato
e dove aveva continuato a cullarsi nei suoi sogni di rivincita, di ritornare per rivedere
quel bambino, verso il quale aveva un debito da pagare, visto che era per colpa sua
che il povero Ragj era divenuto orfano.
Voleva andare prima o poi in quel piccolo luogo per toglierlo dalla miseria, per
farlo allevare in un ambiente pi sicuro e per farlo poi studiare. E giacch non sarebbe
stato possibile avere dei maestri o precettori nella foresta si riprometteva di mandarlo in
qualche grossa citt, per fargli dare una cultura ed un'educazione speciale.
Si riprometteva di comportarsi con lui come un padre, di prenderlo come un figlio a tutti
gli effetti.
Cos pensando non si accorse che era gi arrivato il momento dell'inizio della festa. Si
volse e vide che tutto era pronto. Si avvicin e subito un dolce suono, una musica
celestiale, cominci ad accompagnare la danza di alcune leggiadre e giovani dayacche
che ballavano al centro del villaggio.
Un profumo invitante accarezzava le nari di tutti, mentre delle fiaccole e dei lumi
ricavati da noci di cocco, riempite d'olio, diffondevano una luce crepuscolare nel buio
della notte. . . .
Tutto in tondo sostavano gli abitanti del luogo e gli equipaggi dei prahos.di Sandokan
che nel frattempo erano scesi a terra. Il figlio di Muluder sedette su una stuoia
intrecciata di giunchi, alla moda orientale e cio incrociando le gambe.
Tutti si accomodarono e si diede inizio al banchetto. Le portate non erano numerose, ma
molto abbondanti e ben presentate. Le vivande erano portate da giovani ragazzi su
grosse foglie di palma. Numerosi i fiori anche per cingere come corolle le pietanze che
venivano servite a quel piacevole desco.
E cos tra danze, canti e musiche il mangiare venne consumato in grande allegria,
copiosamente innaffiato da deliziose bevande di diverso tipo.
Quando il pasto fu terminato tutti gli uomini della trib vennero a rendere omaggio alla
Tigre: tutti si inginocchiavano e promettevano fedelt per s e per la propria famiglia.
Sandokan fu piacevolmente colpito e commosso da tanta devozione che forse non aveva
trovato di eguale neanche quando era rajah.
Anzi ripensando alla festa per la sua successione al trono, quando il padre Muluder gli
lasci il sultanato, le promesse di fedelt che gli vennero rivolte dai vari capi trib non
erano certo improntate a tanta lealt o genuinit, come poi la subitanea rivoluzione pot
dimostrare in modo tanto evidente.
Sandokan ricambi queste manifestazioni con altrettanto trasporto. Si alz in piedi e
disse a voce alta, in modo da essere udito da quelle genti l assiepate:
- Sono molto felice di aver trovato presso di voi, che fino a ieri mi eravate sconosciuti
ed io a voi, tanto sincero affetto e cos grande segno di attaccamento. Vi dimostrer con i
fatti quello che ora vi dico a parole: da oggi eleggo come mia patria, come unico luogo
che avr sacro nel mio cuore questa isola, cos accogliente e cos ricca di umani
sentimenti. Come i vostri capi vi avranno detto io sono nato nel Borneo; pur amando
quella terra ove hanno distrutto la mia famiglia e mi hanno detronizzato, vi giuro
solennemente che dar tutto il mio sangue e la mia vita per difendere Mompracem e tutti
i suoi abitanti.
222

Un grido immenso, lanciato da cento e cento petti interruppe il suo discorso. Tutti lo
acclamavano con grida di vero giubilo. Donne e bambini urlavano mentre gli uomini
scaricavano in aria moschetti e pistole.
Ad un certo punto vennero lanciati in aria dei fuochi d'artificio scovati chiss dove. Una
pioggia di scintille di molteplici colori illumin a giorno quella grande festa ormai
giunta al termine. Patan e Giro Batol condussero Sandokan nella capanna pi grande e
pi bella del villaggio. L pot riposare in quella prima notte di quiete sull'isola di
Mompracem.
L'indomani, appena sorto il sole i quattro prahos che erano alla fonda nella baia e che
vennero montati dai pirati nativi dell'isola, salparono verso quattro direzioni diverse,
cos come stabilito il giorno innanzi.
A Mompracem invece venne dato immediatamente il via ai lavori di fortificazione; sotto
la direzione di Sandokan furono organizzate quattro squadre, ognuna composta da una
ventina di uomini. La prima aveva l'incarico di scavare dei profondi terrapieni sia
dinanzi la baia sia in altri punti esposti ad un eventuale sbarco nemico. Lo scavo doveva
essere profondo almeno quattro metri e largo dai quattro ai cinque metri, onde renderlo
invalicabile. Per far questo avevano a disposizione numerosi picconi e pale; purtroppo
nessuno possedeva la dinamite, per cui i punti ove sotto uno strato di sabbia o terra si
incontrava la roccia, lo scavo sarebbe stato lungo e faticoso; ma nonostante ci tutti si
misero al lavoro con gran lena. Una seconda squadra doveva costruire una serie di
palizzate immediatamente oltre lo scavo in modo da rendere ancora pi insuperabile tale
sbarramento. Il legname ve ne era in abbondanza e bastava tagliarlo. Ovviamente si
abbatterono le piante all'interno dell'isola e non quelle che vi erano sulla costa: queste
dovevano e potevano servire da riparo e copertura al villaggio che sarebbe stato
trasferito un poco pi all'interno per non essere visto dal mare e facilmente bombardato
in caso di attacco. E questo era il lavoro a cui fu adibita la terza squadra. L'ultimo
gruppo di lavoro invece avrebbe dovuto costruire una capanna in cima ad una rupe a
picco sul mare: sarebbe diventata l'abitazione della Tigre della Malesia.
Sandokan aveva scelto quel luogo sia per la posizione elevata, che gli permetteva di
abbracciare un vasto orizzonte sul mare e verso l'interno dell'isola, sia perch aveva
stabilito di non vivere nel villaggio ma un poco appartato da esso.
Aveva cos deciso non certo per stare distaccato dai suoi nuovi sudditi e tenerli a
distanza, ma solo perch amava stare in solitudine per meglio meditare sul passato o per
architettare con maggiore tranquillit i piani futuri; voleva poi evitare l'eccessiva
confusione del borgo.
Per erigere una capanna in quel posto cos impervio, sarebbe stato necessario praticare
nella viva roccia una scala, scolpita nella pietra che permettesse di salire sin lass.
Quindi quella quarta squadra sarebbe stata occupata soprattutto ad incidere quell'arduo
sentiero, poich per costruire poi una semplice abitazione fatta di legno, non sarebbe
stato necessario che un sol giorno per quei venti uomini.
I lavori iniziarono con grande alacrit. Tutti, compreso Sandokan contribuirono al
lavoro: le donne pensavano a preparare da mangiare, i ragazzi si occupavano di
attingere acqua da bere in un vicino ruscello o a tagliare legna per ardere, i capi
seguivano e consigliavano tutti, mentre Sandokan decideva dove e come realizzare
quanto la sua mente aveva progettato.
II tempo pass veloce: era trascorso un mese da quando i pirati avevano cominciato
ad innalzare le fortificazioni, quando una vedetta, posta sul punto pi alto
dell'isola, accanto alla rupe ove Sandokan aveva scelto di abitare, avvist due
prahos che puntavano verso Mompracem.
223

Erano due dei quattro legni spediti a far incetta di quanto occorreva ai pirati per la loro
guerra. In men che non si dica le due navi attraccarono e, dopo i saluti e i convenevoli,
Sandokan apprese che tutto era andato come previsto. In particolare il carico della stiva,
completamente piena, era costituito da polvere da sparo e da munizioni, sia per
spingarde, sia per fucili, sia per pistole.
La Tigre della Malesia si compliment con i capitani e gli equipaggi dei due legni e
diede ordine che il carico venisse trasportato a terra ed immagazzinato in alcuni
capannoni adibiti a polveriere.
Quando tutto fu al sicuro vennero avvistati gli altri due navigli, che procedendo di
conserva si stavano avvicinando a Mompracem.
Allorch raggiunsero felicemente la baia, anche da parte loro pervennero buone notizie:
la missione era pienamente riuscita senza nessun sospetto suscitato nei porti frequentati;
le navi erano colme di cannoni, di spingarde, di fucili, di pistole e di viveri.
Il denaro, ricavato dalla vendita dei preziosi, era stato speso tutto sino all'ultima rupia.
Le uniche notizie non buone che portavano riguardavano il non reperimento di altri
uomini: ci era dovuto anche ad una sorta di reittosit dei capi che non si fidavano di
arruolare gente di cui non erano completamente sicuri: si poteva correre il rischio di
accogliere spioni pagati dagli inglesi. Sandokan lod questa prudenza e disse:
- Vedrete che quando le nostre gesta saranno conosciute arriveranno a centinaia e
centinaia; non ci dobbiamo preoccupare.
Detto questo Sandokan chiam attorno a s i capi delle varie bande per fare questo
discorso:
- Da oggi inizia la nostra campagna contro il nemico. Attualmente abbiamo cinque
prahos di piccola stazza, quelli con i quali siamo approdati sull'isola, e quattro di media
grandezza, in uso al villaggio. Oggi ci dedicheremo ad attrezzare tutti questi legni:
monteremo i cannoni e le spingarde, caricheremo polvere e palle, rafforzeremo le
alberature e le murate, faremo provviste di viveri e di acqua. Quando questi preparativi
saranno conclusi partiremo. Un solo praho rimarr qui a Mompracem; lasceremo la
Malesia, che il pi piccolo , ma forse anche il pi veloce. In caso di necessit ci
potr raggiungere. Il nostro teatro delle operazioni sar per ora al largo, sulle
rotte commerciali tra la Cina e la penisola di Malacca. A Mompracem rimarr Aier-
Duk che dovr difendere con la sua banda di venti uomini la nostra terra, le donne, i
vecchi e i fanciulli che rimarranno nel villaggio. Gli altri otto prahos veleggeranno a
coppie, ma in modo da non essere troppo distanti le une dalle altre, onde potersi prestare
aiuto reciproco in caso di bisogno. Ed ora vi dico questo: evviva Mompracem, evviva i
tigrotti di Mompracem!
- Evviva la Tigre della Malesia! Evviva Mompracem! - Fu la risposta di quegli
uomini ormai completamente devoti al loro capo.
La riunione si sciolse e tutti dettero mano ai lavori, realizzando in giornata il volere del
giovane comandante: le navi furono attrezzate e rifornite di tutto ci che occorreva per
una lunga campagna di guerra.
L'indomani all'alba, tra gli addii commossi di chi rimaneva a terra, le bande si
imbarcarono e sciolsero le vele.
- Sciogliete le vele! - comand Sandokan.
Con un vento favorevole gli otto prahos si allontanarono da Mompracem, evitando con
destrezza le scogliere madreporiche che rendevano inaccessibile l'ingresso alla baia
da parte delle grosse navi, mettendo la prua verso la costa del Borneo, per poi deviare
verso Capo Sirik.
Sandokan e Sambigliong, con il fedele Hirundo erano a bordo di un bel praho, che era
stato ribattezzato "Tigre della Malesia", stazzante circa un'ottantina di tonnellate.
224

Possedeva una carena molto stretta, con una prua abbastanza alta, tanto da formare un
piccolo cassero sul quale avevano trovato posto due cannoncini. Sul cassero di poppa
invece era stato montato un cannone su di un perno di ferro girevole, in modo da battere
in ogni dove. Sia a babordo sia a tribordo vi erano due grosse spingarde, che potevano
sparare sia a palla sia a mitraglia.
Anche le altre navi erano armate alla stessa maniera.
Ma la Tigre della Malesia aveva, nascosto nel casotto di poppa, un grosso mortaio,
che poteva sparare ad una grossa distanza.
- Se questo vento non scema, tra due giorni potremo essere in vista delle coste di
Sarawack - disse Sandokan al fido Sambigliong.
- Speriamo di incontrare una grossa nave onde poterne fare una ricca preda - rispose il
malese.
Il vento era molto buono ed anche costante, per cui dopo alcune ore furono avvistate un
gruppo di isole, chiamate Romades. Il giorno successivo all'orizzonte apparve la costa
del Borneo. Trascorsero quarantotto ore prima che venisse segnalata la punta di capo
Sirik.
Mentre i due prahos stavano per doppiare quella grossa roccia protesa verso il mare,
sulla linea ove l'oceano si univa all'orizzonte una vedetta segnal una vela.
- Nave in vista a tribordo di prua - url dall'alto della coffa.
Tutti gli uomini dei due equipaggi si affacciarono alle murate di tribordo. In poco tempo
apparve anche a loro la nave segnalata. Era un brigantino a palo, ovvero un brigantino -
goletta con tre alberi. La bandiera non era ancora molto visibile giacch leggermente
afflosciata.
- Da come pesca quella nave si direbbe che sia molto carica - sentenzi Sandokan.
- E' vero, Tigre - rispose Sambigliong che lo seguiva come un'ombra - la "pescagione"
talmente immersa che non si vede pi.
- Bracciate i pennoni - ordin il deposto rajah agli uomini dell'equipaggio.
Questo ordine, rivolto ai marinai che erano inerpicati sui pennoni e a quelli che si
trovavano sul ponte ad accudire alle manovre, significava che bisognava orientare i
pennoni, sui quali erano distese le vele, onde prendere maggior vento possibile.
- Tutti alle manovre ! - url di nuovo - Issate gli scopamari!
A questo punto tutti gli uomini disponibili si precipitarono sulle griselle, distendendo le
vele che ancora erano legate ai pennoni; in poco tempo la nave acquist grande
velocit, cos come fece l'altro praho che navigava di conserva al primo, dirigendo
incontro al brigantino.
Questa manovra non era certo sfuggita al capitano e all'equipaggio della nave verso la
quale Sandokan si dirigeva, il quale, non fidandosi di incontrare dei prahos,
notoriamente condotti da pirati, aument la sua andatura, dispiegando altre vele sui
propri alberi.
Sandokan, desideroso di avvicinare quel legno, la cui bandiera non si riusciva ancora a
vedere comand:
- Issate i coltellacci, la brigantina e la civada.
Tutte queste vele, di rinforzo a quelle gi dispiegate al vento che erano comunque
numerose, fecero acquistare ai prahos una velocit impressionante. I legni, molto leggeri
ed affilati, sembravano ora volare sulle onde, quasi sfiorando quella immensa distesa
marina.
Finalmente dopo circa mezz'ora la distanza diminu al punto che tutti poterono
scorgere i colori della bandiera: era inglese, non vi erano dubbi.
- Tutti ai posti di combattimento! - ordin la Tigre della Malesia. - In alto la nostra
bandiera!
225

Malesi e dayacchi corsero ognuno al suo posto: chi dietro ai cannoni chi vicino alle
spingarde, chi dietro le murate imbracciando fucili e pistole.
Alcuni uomini si arrampicarono sulle coffe onde poter lanciare sul ponte nemico, una
volta avvenuto l'abbordaggio, granate e bombe; altri si diedero da fare per rafforzare le
opere di difesa, accumulando cordami e pagliericci a protezione dei fucilieri. Mentre
diversi negritos si indaffaravano a portare polvere e palle accanto alle bocche da fuoco,
Sandokan si accorse che i suoi uomini non erano certo dei novizi e che ognuno sapeva
cosa fare nel migliore dei modi, senza dover ricevere ulteriori comandi.
- La prua sulla nave nemica, tagliamole la via di fuga! - grid al timoniere.
I due prahos, che indubbiamente erano pi veloci del brigantino, ben pilotati dai
timonieri, si frapposero alla rotta del legno avversario, il quale per evitare una
collisione, fu costretto a compiere una leggera virata, uscendo cos fuori rotta.
- Un colpo di cannone in bianco per intimare la resa - grid Sandokan a Sambigliong,
che si trovava dietro al cannone di bronzo.
II malese, che gi aveva accesa la miccia fece partire il colpo.
Sul ponte nemico si videro i marinai correre verso i cannoni, segno evidente che ci si
preparava alla difesa.
Sandokan, che voleva evitare di essere preso di mira da cannoni di certo pi potenti dei
suoi ordin:
- Pronti all'arrembaggio!
Ma il brigantino, con un'abile manovra riusc a sottrarsi alla stretta dei pirati, evitando
cos laffiancamento da parte delle navi corsare.
Contemporaneamente due cannonate risuonarono: una di esse and a bucare una vela
del praho di Sandokan mentre l'altra decapit un malese che si teneva in piedi sulla
murata prodiera.
La morte di uno di loro scaten l'ira dei suoi compagni, che si dettero a chiedere a
Sandokan il permesso di sparare.
- Artiglieri e fucilieri, non vi trattengo pi - ordin il pirata.
I due piccoli pezzi del praho avvamparono nello stesso istante, mentre le spingarde
fecero anch'esse sentire la loro voce, facendo tremare tutta la nave.
Anche dall'altro praho inizi la stessa musica infernale. I fucilieri, nascosti dietro le
murate, avevano a loro volta aperto il fuoco, facendo delle scariche nutrite.
II brigantino rispose al nemico, scaricando prima i pezzi di tribordo, che erano tre, e poi,
dopo aver effettuato una rapida virata, quelli di babordo, offendendo, in maniera non
grave i due legni pirati.
Palle e granate cominciarono cos a cadere in gran numero sui tre navigli, scheggiando i
ponti, massacrando uomini, rovinando manovre, e smussando pennoni. Lo stesso
Sandokan, non volendo rimanere inoperoso, aveva preso a manovrare un
cannoncino, servito da due malesi, che lo rifornivano di polvere e proiettili, con grande
alacrit.
Una fitta nuvola di fumo avvolgeva i tre legni, mentre il fracasso era divenuto cos
assordante da non far pi intendere le grida dei comandi o i gemiti dei feriti.
Le granate, lanciate dai pi moderni cannoni inglesi, scagliavano in alto getti di fiamme,
che incendiavano vele o rovinavano le sartie. Anche le spingarde malesi non stavano
certo ferme: ad ogni tiro lanciavano sul ponte avversario nembi di mitraglia, pezzetti
di ferro, di vetro e di piombo che, se non uccidevano, certo storpiavano chi veniva
colpito.
Sandokan, comprendendo che la potenza di fuoco avversaria era superiore a quella delle
sue navi, abbandon il cannoncino e corse sul casseretto per impugnare il timone.
Voleva al pi presto venire all'abbordaggio, prima che il nemico potesse colpire a morte
i suoi legni, che gi cominciavano ad essere seriamente danneggiati.
226

Con un magistrale colpo del timone, la Tigre della Malesia riusc a tagliare la rotta del
brigantino, incastrando il bompresso del suo praho tra le opere morte e il barcarizzo
della nave inglese. Nonostante il praho fosse di gran lunga pi basso rispetto al legno
britannico, furono subito gettati i grappini d'arrembaggio, che fissarono cos le due navi
in una morsa ferrea. Anche l'altro praho, approfittando del fatto che la nave nemica era
stata bloccata, come un uccello fermato in volo, si gett anch'esso contro il suo fianco
sinistro. Ma sia che il pilota non avesse ben calcolato la distanza sia perch l'angolo di
impatto era troppo elevato si ud uno schianto pauroso: la prua del praho si era
completamente sfasciata addosso a quella avversaria.
Sandokan, abbandonando il timone, si slanci con un impeto irresistibile verso il legno
inglese. Facendo dei salti , degni di un felino, si aggrapp ad alcune funi che pendevano
dalla murata del brigantino scalando in un momento l'alto sabordo e raggiungendone il
ponte. Appresso a lui tutta la turba di malesi e dayacchi, che erano stati superati in
agilit dal loro capitano. Urla furibonde si odono da ogni parte, emesse dai pirati sia per
spaventare maggiormente il nemico sia per infondersi maggior coraggio. Alcuni pirati,
dalle coffe di trinchetto e di maestra, cominciano un fitto lancio di granate sul ponte
nemico, l dove non sono ancora arrivati i propri compagni. Le granate, pur non
uccidendo gli inglesi provocano grande scompiglio ferendo ad ogni lancio diversi
malcapitati. Appena giunti sul ponte avversario Sandokan e i suoi vengono affrontati
da un gruppo di inglesi, che tosto disperdono.
Ma dietro questa tenue resistenza incontrano il fuoco di fila dei fucilieri asserragliati sul
cassero di poppa. Molti malesi cadono, falciati da terribili scariche. Ma nessuno si perde
d'animo.
- Avanti figli della Malesia - grida Sandokan galvanizzando i dayacchi che seguitavano
ancora a salire dal praho.
Ma una nuova scarica blocca l'impeto dei pirati, scompaginando il loro attacco. Non
semplice procedere verso il cassero, molto pi alto del ponte, ove i fucilieri si trovano
ben riparati, protetti da murate e brande distese a mo' di barricata. Anche i gabbieri
malesi, che dall'alto degli alberi lanciano le micidiali granate, vengono fatti tacere uno
ad uno da precisi tiri degli inglesi.
La situazione si fa disperata per i pirati i quali sono senza alcun riparo sotto le fucilate
degli inglesi.
Sandokan consapevole del tragico momento dove un'ulteriore indecisione pu essere
pagata a caro prezzo: i suoi uomini si trovano disorientati e forse stanno per ripiegare
verso il praho per trovarvi rifugio. Il deposto sultano comprende al volo tale rischio e,
pur sotto lo stillicidio dei colpi avversari, si avvicina ai grappini che tengono legate le
due navi e con alcuni colpi di parang ne decapita i ganci. Cos i leggeri ponti di legno
che rinserravano i due natanti e che potevano servire per riguadagnare il praho cadono
in mare, liberando immediatamente l'abbraccio con quella che poteva essere la salvezza
per i malesi.
- Ora o vinciamo o ci facciamo uccidere su questa nave - grida Sandokan ai suoi
uomini, mentre il praho, libero dalla stretta con la nave inglese si allontana leggermente.
I malesi comprendono quel gesto temerario del loro capo e si slanciano a corpo morto
contro il cassero.
Un'altra scarica falcidia ancora le loro file, ma come un fiume in piena che non trova
nessun argine in grado di contenerlo, gli uomini di Sandokan arrivano sotto il cassero e
con uno sforzo supremo si issano verso la meta.
227

Sandokan alla loro testa ed incute un coraggio da leoni, un folle sprezzo del pericolo.
L'odore del sangue li inebria e l'aria carica di polvere da sparo bruciata, provoca negli
animi di tutti una specie di ebbrezza che impedisce loro di sentire dolore o di avere
paura. Con un ultimo impavido slancio scavalcano la murata ed irrompono sul cassero.
Il loro numero ormai ridotto a una decina, ma sono dieci tigri assetate di sangue e
bramose di vendetta che fanno paura a vedersi.
Gli inglesi, in numero dieci volte superiore ne hanno paura. Ma nel momento del cozzo
supremo tra quel manipolo di eroi e l'equipaggio del brigantino ecco un fatto imprevisto
che pu capovolgere la situazione. Gli uomini dell'altro praho, che si era quasi
affondato nello scontro con il fianco del brigantino, avevano raggiunto, non visti alcune
funi pendenti proprio dal cassero dove si erano trincerati i britannici e si erano serviti di
queste per issarsi sul brigantino. Si erano poi avvicinati in silenzio ai nemici, certi di
non essere visti n intesi dagli inglesi, troppo presi a fronteggiare il nemico che
avevano davanti per pensare a quella nave che credevano fosse affondata o andata alla
deriva.
Un grande ululato di gioia risuona dai petti dei nuovi arrivati. Poi scaricano pistole
e fucili sul nemico, provocando una carneficina ed un parapiglia generale. Quindi si
slanciano all'arma bianca contro di esso. Il cozzo tremendo. Le schiere britanniche
ondeggiano, il combattimento si frammenta in dieci, cento duelli. Chi combatte con il
kriss, chi con le baionette, chi con i parang, chi con le sciabole, chi con lance, chi con i
bolos. Sandokan ed i suoi, ben felici di quell'aiuto, nel momento peggiore del loro
assalto, raddoppiano il vigore e lo slancio incuneandosi nelle file nemiche. Alla loro testa
vi la Tigre della Malesia, che sembra invincibile. Ad ogni colpo di parang atterra
un avversario: nessuno gli resiste, sembra una macchina di morte che falcia
inesorabilmente chi gli si frappone dinnanzi.
Ad un certo punto l'antico principe di Sabah si trova sulla sua strada il comandante
della nave. Un fiero inglese, con il volto tirato dalla stanchezza e macchiato di sangue.
Non pi giovane, avendo circa una ventina di anni pi del bornese. Ci non dimeno si
scaglia addosso a Sandokan impegnandolo in un combattimento senza esclusione di
colpi. Il pirata, stupito di trovarsi di fronte una furia scatenata come quella, lo attacca
anche lui, aumentando la gragnola di sciabolate. L'inglese in breve comprende di avere
a che fare con un abile schermitore ma continua a difendersi, mentre al suo fianco i suoi
soldati cominciano a cadere a uno a uno. Il combattimento in breve volge al termine. Gli
inglesi, pur difendendosi da leoni non resistono all'impeto delle tigri, le cui pesanti
sciabole hanno la meglio su quelle ben pi leggere dei marinai inglesi . A poco a poco
tutti i britannici cadono a terra morti o feriti. Resta solo il comandante inglese a
combattere contro Sandokan ma ad un certo punto con uno scatto si sottrae al duello
facendo un balzo indietro . Poi, con mossa fulminea getta la sua sciabola di ordinanza in
mare, incrocia le braccia sul petto e con il volto pallido grida a Sandokan:
- Uccidimi perch avendo perso tutti i miei uomini e la mia nave non merito pi di
vivere.
Sandokan frena il suo slancio e si arresta. Guarda in volto l'avversario, poi abbassa il
parang e dice:
- Maledetto inglese, io odio la tua razza, che distrusse ci che avevo di pi caro al
mondo , ma so riconoscere il valore di un combattente. Non meriti di morire!
Poi rivolto a Sambigliong aggiunse:
- Fai imbarcare questo sfortunato comandante su una baleniera, assieme ai suoi
compagni feriti. Da loro dei viveri, dei remi e delle armi per difendersi assieme ad una
bussola.
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II comandante inglese, stupito di tanta generosit disse:
- Credevo che tutti i malesi fossero degli assassini mentre tu ti comporti in maniera pi
che nobile. Perch ?
- Sono un principe di sangue reale ed avevo sotto di me un enorme territorio nel Borneo.
Sono stato spodestato dagli inglesi che mi hanno mosso guerra senza alcun preavviso e
senza che avessi mai provocato il loro intervento. Successivamente ho deciso di darmi
alla pirateria per vendicarmi. Diffondi la notizia che ora il vostro incubo maggiore sar
la Tigre della Malesia. Va, sei libero.

230

CAPITOLO TERZO

VITTORIE NAVALI E
TERRESTRI
Mentre la scialuppa inglese si allontanava con il suo triste carico di inglesi feriti nel
corpo e nell'anima per la disastrosa sconfitta, i pirati festeggiavano la vittoria
scaricando in aria moschetti e pistole ed urlando a piena gola tutta la loro soddisfazione.
Sandokan, per, interruppe subito quelle manifestazioni euforiche, ordinando invece di
prestare soccorso ai numerosi feriti, che erano ancora distesi lungo la tolda della nave,
gementi ed urlanti per i colpi ricevuti. Allora malesi e dayacchi, dispiaciuti di non aver
pensato immediatamente a soccorrere i propri compagni, si accinsero ad assistere i feriti,
trasportandoli sul praho e cominciando a medicare le ferite o a tamponare il sangue
copioso che sgorgava da quei corpi offesi dall'acciaio nemico. Altri pirati iniziarono a
sgombrare il campo dai morti che, chiusi in diverse amache, vennero gettati in mare
con una palla di cannone attaccata a quegli insoliti feretri, onde, andando rapidamente in
profondit, non diventassero cibo per i numerosi pescicani che si trovano sempre
numerosi in quei mari: questo rituale rappresentava per i marinai d'allora l'unico modo
per seppellire i propri morti in alto mare, non potendo certo attendere di poter arrivare a
terra per tali inumazioni,
Nel frattempo gli altri legni pirati, attratti da quel furioso cannoneggiamento, si erano
avvicinati al luogo della battaglia ed avevano agganciato il brigantino, su precisa
disposizione della Tigre cui premeva che venisse trasportato a Mompracem come preda
di guerra tutto quello che contenevano le sue capienti stive. Cos decine e decine di
uomini, come se fossero delle laboriose formiche, scesero nelle capaci stive del piccolo
bastimento, portando sul ponte casse, colli, bauli, cofani e materiali i pi variegati e
disparati. Vennero trovate stoffe indiane, pregevoli capi di abbigliamento cinesi, perle di
Ceylon, preziosi broccati, bellissimi tappeti persiani, vasi pieni di olio, spezie, bottiglie
di vino portoghese, una partita di medicinali, ed una quantit inverosimile di armi da
taglio e da fuoco: una vera manna per i pirati. Nella cabina del capitano fu trovata la
cassa di bordo che conteneva mille sterline e mezzo milione di rupie. Il tutto venne poi
diligentemente trasportato sui prahos e stivato accuratamente. I legni, pieni fino a
scoppiare, ultimato il carico, si allontanarono diretti a Mompracem, dopo aver spostato
una parte dei loro equipaggi a rinforzo degli uomini che sarebbero dovuti restare sul
brigantino. Infatti, i malesi ed i dayacchi che si erano lanciati dietro a Sandokan
231

all'abbordaggio erano stati duramente decimati dal fuoco nemico, poich si contavano
ben trenta morti e quaranta feriti pi o meno gravi. Inoltre il principe Muluder aveva
perduto, perch inabissatosi in quel momento, il suo praho che era entrato in collisione
col legno inglese. Ma nel cambio vi aveva guadagnato, giacch la nave assaltata, pur
essendo molto pi lenta di un praho, era meglio armata, con sei cannoni moderni, e
molto pi robusta, con doppio cassero ed alti sabordi.
Il capo dei pirati dette quindi ordine di riprendere la navigazione, mentre alcuni marinai
si davano da fare per riparare alcuni guasti arrecati alle alberature, alle vele e alle
murate.
Sandokan voleva ora gettarsi sulle rotte commerciali, tra l'India e il Sarawack o tra la
Malesia e la Cina, onde poter infliggere un duro colpo alla Compagnia delle Indie,
inglese, che gestiva buona parte di questi traffici commerciali.
La prua del legno venne diretta verso sud, spiegando una parte della numerosa velatura
presente sugli alberi alti e massicci della nave.
I malesi e i dayacchi avevano il morale alle stelle per come si stavano mettendo le cose.
In poco meno di un mese, sotto la guida del loro nuovo comandante erano riusciti a
conquistare una cannoniera ed un brigantino da guerra, difesi da numerosi marinai e da
molti cannoni, cosa che non erano mai riusciti a realizzare in tanti anni di pirateria. E
poi il prezzo pagato in termini di vite umane era stato relativamente basso. Infine il
valore delle merci depredate sui due legni era di gran lunga superiore come quantit e
come corrispettivo in denaro a ci che era stato il frutto di tanti abbordaggi precedenti,
diretti contro le piccole navi che erano riusciti ad assaltare sino a quel momento.
Queste notizie, sospinte ed ingigantite dalla gioia di chi ora militava sotto la bandiera
della Tigre della Malesia, si sarebbero presto diffuse per l'arcipelago; la Tigre sperava
di creare cos vasti consensi e bramosia di arruolarsi nelle bande di Sandokan da parte di
quelle genti.
Frattanto il principe bornese aveva deciso di comunicare al proprio equipaggio i suoi
progetti per l'immediato futuro. Li radun perci sul ponte e stava per parlare loro
quando dall'alto della coffa la voce di una sentinella si fece sentire:
- Una giunca a proravia!
Tutti gli sguardi si volsero verso quella parte. Si trattava di un naviglio cinese, parecchio
pesante, molto lento, con grandi vele fatte con vimini intrecciati, sul quale viaggiavano
sicuramente i figli del celeste impero.
In breve la grossa nave da carico cinese, che inconsapevolmente incrociava la rotta del
legno pirata, fu a portata utile per i cannoni dei nostri eroi.
L'equipaggio di Sandokan, immaginandosi che si sarebbe andati verso un nuovo
abbordaggio, si scald immediatamente pregustando un altro combattimento ed un
pingue bottino.
Sandokan si volse allora ai suoi uomini e disse:
- Tigri di Mompracem, sotto il mio comando vi guider molte altre volte alla vittoria,
ma dovete comprendere che noi non possiamo e non vogliamo muovere guerra al
mondo intero. Voglio dire che non desidero abbordare legni di nazioni pacifche che
nulla hanno fatto contro di noi. Non voglio essere un pirata che abborda qualsiasi nave
che passa a tiro. Il nostro odio contro gli inglesi e i loro alleati e non contro tutti.
Quindi spegnete i vostri sguardi di bramosia e lasciamo in pace quei poveri cinesi. Ora
noi ci dirigeremo verso Varauni, passando per Labuk. Questa nave, che mascherer il
nostro vero essere, batter bandiera spagnola. Daremo un nuovo nome a questo legno e
ci fingeremo pacifici trafficanti. Ci avvicineremo cos alle coste di quel sultanato e
metteremo a ferro e a fuoco i villaggi costieri di Varauni, onde il sultano, vendutosi
agli inglesi, ci abbia a conoscere. Ho dato appuntamento agli altri prahos in un punto
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prestabilito ove ci ricongiungeremo e dove trasborderemo nelle loro stive quanto
andremo a depredare. Siete d'accordo miei tigrotti?
Un immenso grido di giubilo si lev da quei cento petti, esaltati all'idea di cotanto
ardire e di cos numerose prossime avventure.
I cinesi della giunca, che avevano udito quel vociare vigoroso, credettero che fosse il
preludio ad un attacco e corsero ad armare il loro piccolo cannoncino prodiero,
puntandolo sul brigantino assieme ai loro vecchi ed arrugginiti archibugi.
Sandokan, invece, ritenne opportuno non solo tranquillizzare quei marinai ma affidare
loro un preciso messaggio.
Dette ordine quindi di abbassare la bandiera e di rialzarla per due volte, in segno di
saluto. Poi inerpicatosi sulle griselle dell'albero di trinchetto e messe ambedue le mani
accanto alla bocca per far sentire meglio la propria voce ai cinesi, disse in malese e con
qualche parola di cinese che conosceva:
- Non abbiate paura amici; i Pirati di Mompracem assaltano solo i nemici della razza
malese, indiana e cinese: voi non siete inglesi e non avete nulla da temere. Anzi,
diffondete la notizia che i carichi di tutte le giunche del celeste impero possono da oggi
viaggiare ben sicure. I tigrotti della Malesia non solo vi rispetteranno ma, quando sia
possibile, proteggeranno i vostri traffici dalla cupidigia di quei pirati che non
rispetteranno questi patti. Andate e fate buon viaggio!
I gialli figli della Cina, stupefatti al massimo da tali parole, esultarono di gioia,
scaricando in aria i loro fucili, in segno di amicizia e di ringraziamento.
Le due navi si allontanarono presto l'una dall'altra in direzioni divergenti. La mossa di
Sandokan, oltre che strategica era stata anche politica ed opportunistica: aveva pensato di
far capire alle numerose navi straniere che nulla avevano da temere per i loro traffici dai
Pirati della Malesia. Questo sia per non avere nemici ovunque, sia perch all'occorrenza si
poteva contare cos almeno sulla benevola amicizia dei fieri marinai cinesi che si
trovano ovunque, avendo numerose colonie in tutti i porti e le citt dell'oriente.
Sarebbero magari diventati utili in caso di eventuali sommosse da scatenare negli stati di
Varauni o Sarawack (1).
Dopo un giorno di tranquilla navigazione la nave, ribattezzata "Espana", con la
bandiera spagnola issata sull'albero di maestra, giunse in vista di Labuk. Sandokan aveva
fatto eseguire alcuni lavori per camuffare il legno inglese e farlo sembrare un onesto
mercantile: i cannoni erano stati mascherati, molte balle di mercanzia erano state
issate sul ponte, onde far immaginare che la nave era carica all'inverosimile di merci,
mentre una mano di vernice aveva ravvivato le fiancate ed il cassero prodiero. Sulle
vele erano state pitturate le insegne tipiche dei velieri spagnoli, cio quelle immense
croci color rosso che sono il simbolo di quella nazione cattolica, mentre l'intera nave era
stata pavesata a festa, con bandierine multicolori che le davano un aspetto vivace ed
innocente al contempo. Cos camuffata, a nessuno sarebbe venuto in mente che era
montata da quei fieri corridori del mare malese.
L'"Espana" ridusse la velatura e si avvicin tranquillamente alla baia.. Quando il
brigantino arriv quasi a toccare il fondale, furono ammainate tutte le vele e calate le
ancore. Per raggiungere Labuk si doveva risalire il fiume che sfociava in quel piccolo
golfo, ma la nave pescava troppo e non avrebbe potuto passare, altrimenti


(1) Vedi ne I Pirati della Malesia di E. Salgari, quanto utile fu questa decisione che port
allalleanza con la popolazione cinese contro Brooke!
233

avrebbe corso il rischio di andare ad incagliarsi in qualche banco di sabbia, che sono di
solito numerosi in prossimit delle foci dei fiumi.
Lo spodestato sultano fece scendere in mare due scialuppe, delle quali una era dotata di
un piccolo motore a vapore, armata con una spingarda sulla prua. Vi fece passare venti
malesi, armati sino ai denti e, calatosi lui pure, dette ordine di dirigersi verso l'estuario
di quel piccolo fiume, largo un'ottantina di metri.
Le sue acque erano trasparenti, talmente pulite da permettere di vedere con facilit le
alghe che ne ricoprivano il fondo.
Pesci di ogni colore brulicavano e serpeggiavano tra le piccole onde che le due barche
producevano.
Sia a destra che a sinistra, sulle due rive, vi erano alberi a profusione, che allungavano i
loro rami in ogni direzione, intercettando i raggi del sole.
Anche la fauna vi era ben rappresentata, specialmente quella alata: un'infinit
d'uccelli, dalle piume variopinte, si libravano con grazia tra quel mare verde di foglie. Si
vedevano strillanti pappagalli di diverse taglie e di tutti i colori, snelle colombelle
dalle piume azzurre, decine di alude dalle penne di un cupo blu e tucani con un becco
grande come l'intero corpo che s'innalzavano in volo appena sentivano il rumore del
motore della barcaccia.
Poi, dopo una svolta del fiume, apparvero sulla riva destra una trentina di capanne, di
forma cubica costruite di bamb e ricoperte di enormi foglie di banano ed una piccola
costruzione pi rifinita e pi solida, abitata forse dal governatore di quel villaggio. Sul
tetto vi sventolava una specie di straccio colorato, che una volta doveva essere stato una
bandiera, e cio il vessillo del rajah di Labuk.
All'apparire dei due piccoli legni gli abitanti del villaggio, uomini, donne, vecchi e
bambini, cominciarono a dare segni di inquietudine, impauriti forse dalla presenza della
spingarda e dall'aspetto feroce di quei malesi e dayacchi che componevano i due
equipaggi.
Le barche attraccarono ad un minuscolo porticciolo, fatto con pesanti tavole di legno
grezzo, mezze infradiciate e tarlate dal tempo. Dal gruppo di abitanti si stacc un uomo
e si fece incontro ai nuovi arrivati. Era un bornese con uno scolorito giubbotto ed un
cappello a cono con penne di tucano infilate sopra. Chiese ai sopravvenuti:
- Chi siete e cosa volete?
Sandokan rispose con un'inflessione della voce particolare che risuonava dura e
metallica, che incuteva paura:
- Sono la Tigre della Malesia e comando i Pirati di Mompracem. Siamo venuti a dare
una lezione al tuo rajah, che si dimostrato prono e succube degli inglesi, al punto da
negarmi aiuto per la riconquista del trono del regno di Sabah, dal quale appunto gli
inglesi mi hanno allontanato. Consegnaci tutta la merc che hai nei magazzini e tutto ci
che devi mandare al tuo signore.
II governatore per tutta risposta fece uno scarto indietro e si and a nascondere oltre
uno steccato di bamb gridando:
- Uccidete questi miserabili pirati!
Subito da alcune capanne sbucarono diverse decine di uomini, forse una cinquantina,
che sembravano attendessero, nascosti, un ordine del loro governatore. Puntarono
quindi contro i tigrotti i loro vecchi fucili e si apprestarono a sparare contro i malesi. Ma
Sambigliong, gi avvisato da Sandokan, che si poteva ricevere qualche sorpresa, fu
pronto a fare fuoco con la spingarda, che aveva diretto verso quei soldati. Un nembo
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di mitraglia colp parecchi uomini, gettandoli a terra, morti o feriti. Contemporaneamente
tutti i malesi, che si trovavano anch'essi sull'avviso, fecero fuoco prima che i difensori
si potessero avvicinare alla portata dei loro vecchi fucili, portando morte e scompiglio
tra quei sudditi del sultano, che certo non si aspettavano tanta prontezza di riflessi.
I sopravvissuti a quelle scariche che cominciarono a susseguirsi con micidiale
precisione, buttarono a terra le loro armi e si dettero a precipitosa fuga.
Sandokan immediatamente si slanci a terra con tutti i suoi fidi, gettandosi
all'inseguimento del governatore, che si era prima nascosto dietro una capanna e poi si
era rifugiato sotto un boschetto di palmizi tara. In pochi minuti quell'uomo fu
raggiunto e catturato. La Tigre della Malesia, puntandogli al petto la sua preziosa
rivoltella gli intim:
- O parli o sei morto! A te la scelta.
L'uomo gi spaventato per essere stato catturato, vedendosi minacciato di morte da quel
fiero malese, si fece terreo in viso sudando copiosamente. Balbettando rispose:
- Domanda o principe:
- Cosa contengono i magazzini?
- Ottone in verghe, olio commestibile, polvere da sparo.
- Sono di propriet del villaggio o del rajah?
- Ho acquistato tali merci da alcuni trafficanti cinesi, giunti al villaggio ieri l'altro per
conto del mio signore.
Allora Sandokan rivolto ai suoi, disse:
- Caricate sulle due scialuppe quanto pi potete. Poi date fuoco ai magazzini e a quanto
vi rimane dentro. Badate bene a non toccare merci o capanne di questa povera gente che
non ci ha fatto nulla di male.
Il governatore, con voce piagnucolosa, disse:
- Oh non farlo o principe, te ne prego. Cosa mi dir il rajah quando apprender questo
scempio? Forse mi far tagliare la testa!
E Sandokan di rimando:
- Ringrazia Garuda ed Allah che ti tengo in vita e che potrai raccontare quest'avventura!
Un altro, al mio posto, ti avrebbe ucciso visto che poco prima hai dato ordine di spararci
addosso.
Mentre cos parlava il pirata abbass l'arma che teneva puntata sul bornese.
- Te ne puoi andare, se vuoi. Potrai dire cos che la Tigre della Malesia non uccide i
prigionieri.
II governatore, comprendendo che poteva cavarsela cos a buon mercato, si alz in piedi
e se la diede a gambe senza nemmeno voltarsi indietro.
I malesi intanto avevano cominciato a svuotare i magazzini di tutto ci che vi era in
essi; furono imbarcati barilotti di polvere da sparo, damigiane di olio, casse piene di
verghe e barre di ottone e stagno, viveri e bevande alcoliche.
In poco tempo le due imbarcazioni furono caricate ben oltre la loro massima possibilit:
sembrava che stessero per affondare.
Molte altre mercanzie furono lasciate purtroppo dentro ai magazzini poich non era
possibile caricare oltre le scialuppe. Venne accesa una miccia appesa ad un barilotto di
polvere lasciato appositamente per far saltare tutto all'interno di quel fabbricato.
Dopodich i malesi si ritirarono salendo sulle due barche. Sandokan accese la miccia,
sal a bordo e grid, ben sapendo che il governatore per quanto allontanatosi, era ancora
a portata di voce:
- Dite al vostro dannato rajah che questo solo l'inizio. Cos imparer a vendersi agli
inglesi e a rifiutare aiuto ad un principe della sua stessa isola!
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La scialuppa a vapore, che non aveva certo spento la sua caldaia, e laltra
imbarcazione fecero rapidamente marcia indietro scostandosi dal piccolo molo. La
miccia bruciava rapidamente, ma i due natanti ebbero comunque il tempo di porsi a
distanza di sicurezza, raggiungendo il centro del fiume.
Ad un tratto un'esplosione vivissima scosse l'intero villaggio. Le capanne vennero
strapazzate dallo spostamento d'aria danneggiandosi notevolmente, mentre un fumo
biancastro si alz tutto intorno per poi lasciare posto ad altissime lingue di fuoco: erano
i materiali di costruzione dei magazzini e le mercanzie ancora in essi contenuti che
bruciavano con crepitii e piccole esplosioni.
Sandokan e i pirati, soddisfatti da questa incursione ridiscesero velocemente il fiume,
raggiungendo in poco tempo la loro nave che placidamente li attendeva dondolandosi
sul limpido mare.
Risaliti a bordo ed issate sui paranchi le scialuppe, l'"Espana,, tolse gli ormeggi,
sciolse le vele e si diresse al largo, mettendo la prua verso il sultanato di Varauni,
prossima meta prevista dal piano di Sandokan.
Dopo circa due giorni di lenta navigazione, essendo quasi scemato del tutto il vento, il
brigantino arriv in vista della citt di Varauni che si affacciava nella vasta baia di
Brunei.
Qualcuno ha paragonato Varauni a Venezia in quanto ambedue sorgono sull'acqua.
Infatti, la capitale del sultanato omonimo, era costituita, all'epoca, da capanne grandi e
piccole, da magazzini e da piccoli fondaci, edificati su palafitte piantate nei bassifondi
marini e collegate le une alle altre con pittoreschi ponticelli di rotang e bamb, che
permettevano il passaggio della popolazione ammontante in quegli anni gi a diecimila
anime.
Una parte della citt era costruita, come appunto Venezia, su piccoli isolotti, sui quali
erano stati innalzati il palazzo reale ed un paio di moschee. Erano edifici di stile arabo-
indiano di marmo bianco e rosa con vastissime terrazze e ricercati porticati abbelliti da
piante e fiori multicolori.
Il palazzo reale era contornato da ricchissimi giardini, con palme e prati ben curati, sui
quali si notavano dei gazebo e delle piccole statue di Garuda e Brahama. Poco pi in
alto su di un piccolo promontorio a picco sul mare, sorgeva un vecchio forte, molto
malconcio, con mura cadenti e torrette sbriciolate dal tempo, ma ancora in funzione a
giudicare da una bandiera, quella del sultano, che sventolava su di un'asta di ferro e da
alcuni soldati che vigilavano sporgendosi dai merli con un cannocchiale. La nave pirata si
avvicin al porto ove sostavano innumerevoli navigli: vi erano grosse e panciute giunche
cinesi, pinasse indiane, giongs dalle vele variopinte, svelte flit sciarra bengalesi,
padevekan macassaresi, prahos malesi e tanti altri natanti d'ogni forma e dimensione.
Al centro di questo arcipelago d'imbarcazioni troneggiava una vecchissima e
sgangherata cannoniera, che costituiva probabilmente l'ammiraglia della flotta del
sultano.
All'approssimarsi della nave di Sandokan, che batteva bandiera spagnola, dall'unico
cannone di bordo piazzato sulla prua di detta nave, part un colpo in bianco, poi un altro,
quindi un terzo. Era un omaggio in segno di saluto,.una sorta di benvenuto ai visitatori
iberici.
Sambigliong ricambi il saluto con il pezzo da caccia prodiero per altrettante volte.
Percorsi ancora un centinaio di metri, la nave dei pirati comp un breve semicerchio,
ormeggiandosi molto vicino alla cannoniera, che nulla poteva sospettare sulla vera
nazionalit dell'equipaggio che montava quel brick.
Ma quando i marinai della cannoniera videro il colore della pelle dei malesi e dei
dayacchi, che non potevano essere certo bianchi come gli spagnoli
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cominciarono a domandarsi il perch di quello strano equipaggio, ecco che, ad un cenno
di Sandokan, la bandiera spagnola cal rapidamente innalzandosi in sua vece quella
rossa con una testa di tigre al centro, nuovo ed inconfondibile simbolo della pirateria
malese.
Contemporaneamente le bocche da fuoco dell'"Espana", vennero scoperte dai teloni che
le nascondevano e cominciarono ad eruttare proiettili in direzione della vicinissima
cannoniera. L'equipaggio di questa, ben lungi dal sospettare un attacco, si lasci
massacrare in buona parte, prima di potersi riprendere dalla sorpresa e prima che il
comandante ordinasse una qualsiasi resistenza.
I proiettili abilmente sparati da Sambigliong, vista l'estrema vicinanza con
l'obiettivo, non andavano certo perduti. Anche Sandokan si era messo dietro una
bocca da fuoco, poich voleva essere in prima persona a portare la morte e la
distruzione a quel suo mortale nemico.
In breve il piccolo naviglio del rajah di Varauni, crivellato di colpi, alcuni dei quali
indirizzati sotto la linea di galleggiamento, si pieg di un fianco mentre un denso fumo
si lev dal suo interno. L'equipaggio superstite, preso dal panico, cominci a gettarsi in
mare abbandonando la nave ormai condannata..
Sandokan allora, considerando che l'unico avversario in grado di contrastare i cannoni
del suo legno era ormai fuori gioco, ordin di indirizzare i proiettili dei pezzi centro la
reggia del sultano e contro il vecchio forte sulla collina. L'"Espana" quindi, si allontan
da quel luogo, virando leggermente di bordo, sia per essere pi a tiro dei nuovi
obiettivi prefissati, sia per spostarsi dal punto ove la cannoniera stava affondando. I
cannoni dei pirati alternavano palle a mitraglia, sorprendendo sia la guarnigione del
fortino sia le guardie dislocate all'interno della reggia, che si trovavano senza ripari,
esposte sui terrazzi o sui portici ai tiri micidiali di quegli abili artiglieri.
La nave avvampava come un vulcano ed eruttava fuoco e fiamme in quantit
impressionante e tale da far pensare che dovesse saltare in aria da un momento all'altro.
Tutti gli abitanti della citt, dopo il primo momento di stupore e d'indecisione, serano
fatti prendere dal terrore di un imminente massacro; cominciarono quindi a scappare da
ogni parte, urlando di spavento e tutto travolgendo. Le numerose navi attraccate al
porto, intimorite da quella incredibile azione di guerra, presero a sciogliere gli
ormeggi onde tentare di allontanarsi per non rimanere colpite da quel diluvio di ferro e
piombo. Finora nessuna di queste era stata colpita, anzi sembrava che i colpi non
fossero minimamente diretti contro le navi all'approdo, ma i loro comandanti non
vollero n restare in quel posto n partecipare alla lotta: d'altra parte erano pacifici
trafficanti e mercanti e non volevano certo immischiarsi nel combattimento operato da
quella nave a loro sconosciuta, battente una bandiera che non avevano mai visto.
II forte che avrebbe dovuto proteggere la citt si opponeva al fuoco nemico solo con
radi colpi d'artiglieria. In realt il comandante della piazza, riavutosi dallo stupore,
aveva dovuto faticare non poco a radunare i soldati e a trovare gli artiglieri. Ancora pi
arduo fu reperire palle e polvere per quei vecchi cannoni, che non erano stati pi usati
da molti anni. Anzi, si aveva il timore che potessero saltare in aria al primo colpo. Per
questo motivo aveva impartito ordine di rispondere al fuoco della nave pirata con poca
determinazione e con molta lentezza.
Vedendo che dal fortino provenivano pochi proiettili che per giunta non raggiungevano
nemmeno la sua nave, che si era spostata al centro del piccolo golfo appunto per
allontanarsi dalla gittata di quei cannoni, Sandokan allora grid ai suoi:
- Dirigiamo ora il nostro fuoco solo sulla reggia, non curandoci pi di quel nemico. E
cos quell'uragano di ferro e piombo si abbatt esclusivamente sul bellissimo edificio
reale. Il fuoco si fece impressionante, anche perch, vista la vastit dell'obbiettivo,
era difficile sbagliare la mira. Ora saltava una torretta, ora crollava un
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tetto, ora rovinava un muro, ora si sbriciolava un tratto di terrazzo, e micidiali
schegge uccidevano servi, soldati e cortigiani che non erano riusciti a fuggire.
Dopo un'ora di tale indiavolato concerto, cominciarono a scoppiare i primi incendi, che
tosto dilagarono in diversi punti della reggia alimentati dal legname, dai drappi e dai
tappeti o dalle tende che erano presenti al suo interno. I marmi biancastri della reggia si
colorarono di un rosso vivo, per poi scoppiare con gran fragore sotto la virulenza del
fuoco che tutto divorava.
Poco dopo le fiamme avevano avvolto completamente i tetti della reggia, mentre gli
interni vi crollavano un po per volta, in un turbinio di scintille e di fumo nero ed acre.
Quando la reggia altro non fu che un cumulo di rovine completamente avvolte dalle
fiamme, Sandokan fece dirigere il fuoco dei cannoni verso la citt ormai disabitata.
- Ora che sicuramente la citt priva d'abitanti la potremo demolire senza correre il
rischio di uccidere i suoi poveri cittadini, la morte dei quali mi ripugnerebbe.
I malesi cambiarono quindi obiettivo. E cos la micidiale orchestra, interrotta solo il
tempo necessario per far freddare i cannoni ormai quasi incandescenti, riprese con
terribile metodicit.
Nel frattempo i difensori del forte avevano abbandonato la difesa e la presenza sugli
spalti: i vecchi cannoni dopo una decina di tiri si erano talmente sconquassati da non
poter pi sparare con sicurezza. Il comandante aveva quindi ritenuto pi opportuno
lasciare la piazza d'armi per comandare la ritirata, vista anche l'inutilit dei tiri sino a
quel momento sparati.
Nel porto le altre navi erano fuggite a vele spiegate, poco curandosi di difendere la citt
del sultano, per il quale non nutrivano alcun attaccamento o vincolo d'amicizia. La
formidabile opera di demolizione della citt continu per ore ed ore, mentre lentamente
vi si vedevano gli effetti distruttori. I ponti che univano le varie isolette erano saltati in
aria, mentre le case, realizzare per lo pi in legno bruciavano come tanti zolfanelli,
propagando sempre di pi un vasto incendio che in breve interess tutta la citt.
Montagne di faville, spinte dal vento, superavano agevolmente i canali d'acqua che
dividevano quelle originali isolette ed appiccavano nuovi incendi. Ogni tanto saltava in
aria qualche magazzino, forse pieno di polvere da sparo o di liquori, o una casa o un
chiosco venivano a cadere in un turbinio di polvere e fuliggine. Per ogni dove ora
regnava la distruzione e lo scompiglio. I pirati ebbri di tale successo, che non era
costato nemmeno un ferito da parte loro, salutarono l'ordine di cessare il fuoco,
impartito loro da Sandokan con un fragoroso grido di vittoria:
- Evviva la Tigre della Malesia! Evviva il vendicatore! Morte e distruzione a Varauni!
Sandokan che sembrava ora pago di quella desolazione provocata in una citt che sino a
qualche ora prima era fiorente e piena di vita mentre ora pareva devastata da un
terremoto, osservava quella distesa di mura fumanti arrampicato su una grisella
dell'albero maestro, per meglio abbracciare l'orizzonte. I suoi neri capelli scarmigliati
dal vento caldo, gli svolazzavano sulle spalle. Lo sguardo acuto sembrava volesse
scrutare attraverso il denso fumo che gravava sulla citt per esaminare la mole dei danni
apportati al suo acerrimo nemico.
- La vendetta si compie - comment trucidamene. Poi alzando la voce, ordin:
- Dirigiamoci al largo, onde trascorrere la notte lontani da questa baia; non voglio
rimanere intrappolato nel caso passasse qualche incrociatore inglese. Tra un paio di
giorni, quando gli incendi si saranno smorzati, torneremo a depredare quello che resta
della citt.

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Mentre lEspana si dirigeva al largo furono avvistati due prahos delle Tigri, che si erano
avvicinati, attirati dal rumore del furioso cannoneggiamento. Lincontro fu salutato con
grande soddisfazione: infatti lapporto di altri pirati era necessario per condurre una
sistematica ricerca di eventuali tesori presso le rovine della reggia.
Sandokan diede quindi ordine che i due legni veleggiassero nei pressi della sua nave.
Dopo quarant'otto ore, il brigantino ed un prahos tornarono nella baia ed
ormeggiarono al porto. Laltro natante rimase al largo di vedetta. Se qualche legno si
fosse profilato all'orizzonte un colpo di cannone sarebbe stato il segnale per
reimbarcarsi precipitosamente e tornare in alto mare.
I pirati sbarcarono sparando in aria parecchie fucilate onde allontanare alcuni abitanti
che erano tornati in citt forse per raccogliere qualcosa scampata all'incendio.
Appena videro i pirati ed udirono la voce minacciosa di quelle carabine quei profughi
abbandonarono subito le rovine rifugiandosi nell'entroterra.
In breve gli equipaggi malesi e dayacchi dilagarono per i ruderi della citt, che in taluni
punti erano ancora fumanti e dai quali emanava un forte calore: bisognava cercare e
poi portare a bordo tutto ci che l'incendio aveva risparmiato. In particolare le
ricerche furono indirizzate verso i resti della reggia. Si cominci a scavare con pale e
picconi, con grande alacrit. Occorreva far presto perch le navi che erano fuggite due
giorni prima durante il cannoneggiamento potevano essere andate ad avvisare
qualche incrociatore olandese od inglese.
Si dovette scavare a lungo, sollevando nuvoli di cenere e di polveri fastidiose ed
ancora calde. Dopo quasi una giornata di lavoro, seppellita da cumuli di macerie, di
detriti e di carboni anneriti venne ritrovata la stanza del tesoro della sultano. Fu una
scoperta sensazionale, che gett i pirati in una gioia sfrenata. Si tratt allora di creare
una sorta di cordone di portatori che trasportasse sulle scialuppe tutto ci che a mano a
mano veniva dissepolto. Ogni altra ricerca fu sospesa e tutti i pirati si concentrarono in
quel lavoro. Le sorprese furono grandi: sotto una trave di legno bruciata comparve un
cofano colmo di pietre preziose; poi uno stipetto pieno di rupie; accanto ad una
colonna di marmo venne portata alla luce una borsa di diamanti, mentre dentro i resti di
ci che doveva essere stato un forziere si scoprirono delle verghe di argento;
contemporaneamente si scopr laccesso ad una cripta semidiroccata dove apparve un
mucchio di barre d'oro. E poi monete di rame, sterline, perle, collane di rubini e
diamanti, vasellame doro ed ancora altro ed altro ancora.
Sandokan era raggiante per questa mirabolante e fortunosa scoperta, non certo perch
si sentiva di nuovo ricco e nuovamente potente, ma per il fatto che cos toglieva al suo
nemico tutti i tesori della corona, depredandolo in un colpo solo di ogni avere
E cos una lunga fila di uomini trasport alle navi il pingue bottino.
- Sbrighiamoci a sgomberare da qui; - disse alla fine Sandokan ai suoi tigrotti - ormai
inutile cercare altri tesori o altre mercanzie preziose in citt, poich con quello che
abbiamo trovato la nostra lotta potr avere uno sviluppo ed una crescita enormi. Im
I pirati di Mompracem si disposero ad eseguire lordine della Tigre, ripiegando in fretta
verso il porto.
A questo punto il pirata volle togliersi unultima soddisfazione: scrisse un biglietto che
attacc sulla punta di una lancia che lasci infissa sulle tavole del molo. Il foglio
conteneva questo messaggio:
Al Sultano di Varauni. Io, Sandokan, rajah del Sabah e dei Monti Cristallo, spodestato
dagli inglesi con laiuto di altri sultani, come Varauni, comincio a ripagare con la stessa
moneta chi ha causato la distruzione del suo stato e lannientamento della propria
famiglia. Tremate tutti dinanzi alla Tigre della Malesia!
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Le navi sciolsero le vele, e raggiunsero laltro praho; poi si misero al
vento e si diressero verso Mompracem con un carico cos prezioso che sicuramente quei
legni non avevano mai portato.
Senza fare nessun spiacevole incontro lEspana, ora ribattezzata definitivamente
Sabah, e gli altri prahos, tornarono alla loro base. Nei pressi delle scogliere il
brigantino, non potendo avvicinarsi sino al porto naturale poich pescava ben pi degli
altri prahos, fu ancorato abbastanza al largo. Venne segnalato a terra che abbisognavano
delle piccole scialuppe o addirittura un paio di altri prahos per scaricare il pingue
bottino ed appena questi arrivarono il trasbordo ebbe inizio.
Ora che Sandokan era di nuovo ricco, subito pens a come impiegare una parte cospicua
di quella fortuna. La cosa pi saggia ed urgente da fare doveva essere l'acquisto di cibo
in abbondanza per tutti i nuovi abitanti dell'isola. Ora la popolazione si era di molto
accresciuta, sia perch i pirati venuti al seguito di Sandokan avevano raddoppiato il
numero degli aborigeni, sia perch erano cominciati ad arrivare all'isola nuovi rinforzi,
costituiti da malesi, dayacchi e da tante altre razze. Infatti, le gesta dei tigrotti di
Mompracem e del loro indomito capo, i subitanei successi operati in quei mesi e le
sonore lezioni date a Labuk e Varauni si erano gi diffuse per l'arcipelago. Diverse
imbarcazioni, approdate anche durante l'assenza dello spodestato rajah, avevano portato
decine e decine di coraggiosi, che dichiaravano di voler servire sotto la rossa bandiera.
Dunque Sandokan doveva ora pensare ad un urgente problema, quello appunto di
sfamare centinaia di persone, senza depauperare scioccamente le risorse, peraltro esigue,
dell'isola di Mompracem. Quindi, dopo alcuni giorni di riflessione Sandokan decise di
far partire tre prahos allo scopo di acquistare nei vicini mercati bornesi e malesi,
numerose derrate alimentari ed anche sementi ed attrezzature per trasformare il buon
suolo di Mompracem in ricco e dovizioso spazio per diverse coltivazioni, onde non
essere, per il futuro, sempre dipendenti dagli approvvigionamenti esterni. I prahos
avrebbero anche comperato animali da carne, come pavoni, babirussa, antilopi, porci e
capre, per allevarli e farli riprodurre, giacch bisognava sopperire anche alla scarsezza
di selvaggina, ormai quasi interamente distrutta nell'isola, proprio per sfamare un cos
grande numero di abitanti.
Insomma Sandokan voleva rendere Mompracem non solo un asilo sicuro, ma anche una
base autosufficiente, per lo meno dal punto di vista alimentare.
Trascorsero alcune settimane e finalmente i tre legni tornarono con le varie mercanzie
che erano state diligentemente acquistate. Ma i comandanti di quei prahos, che si erano
diretti in tre porti differenti per destare meno sospetti, portarono anche alcune notizie
fresche. In quei porti circolava insistente la voce che una banda numerosa di malesi e
dayacchi si era unita ad alcuni bornesi ed in particolare ad un principe spodestato, il
quale si era messo alla loro testa. Due navi inglesi erano state catturate o affondate,
proprio da questi pirati che si erano fatti chiamare Tigri di Mompracem. Inoltre avevano
messo a ferro e a fuoco le coste del Borneo centrale, distruggendo la capitale del regno
di Varauni. Gli inglesi e gli olandesi avevano gi pensato di mettere una vistosa taglia
sulla loro testa promettendo il perdono e la libert a chi, tra gli accoliti di questi pirati,
avesse tradito la Tigre della Malesia, rivelando il suo nascondiglio od uccidendolo a
tradimento.
Sandokan si rallegr molto di queste notizie che facevano a tutti loro una grossa
pubblicit. Infatti, pensava Sandokan, i popoli oppressi della Malesia, nel conoscere che
era stata inalberata la bandiera della rivolta, si sarebbero dati da fare proprio per militare
sotto le file di questi pirati.
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Inoltre il deposto rajah aveva piacere che gli odiati nemici cominciassero a temere per i
loro traffici e per i.loro possedimenti. Infine sperava che tutti questi fatti sarebbero stati di
sprono per i popoli malesi a spezzare il gioco degli invasori, ribellandosi al dominio
britannico: il sapere in quei mari della costituzione di un folto raggruppamento di
impavidi guerrieri avrebbe appunto indotto sempre maggiori persone a venire ad
ingrossare le file delle sue bande.
E cos fu, poich in breve tempo numerosi furono gli abitanti dell'arcipelago che
vennero ad arruolarsi sotto il rosso vessillo della nascente pirateria.
Nel frattempo Sandokan non rest inoperoso. Non passava giorno che i suoi prahos
andassero per i mari circostanti a fare i dovuti rifornimenti. I suoi fidati sottocapi, come
Aier-duk e Mayala si recarono di nuovo ad acquistare altri prahos. Questa volta la flotta
delle tigri si arricch di tre grossi legni, ben armati con spingarde, mirim e lil, svelti di
forme e pronti ad ospitare numerosi equipaggi.
Quando l'armata di Sandokan fu cos rinforzata, le uscite in mare si raddoppiarono; La
strategia fu di dividere la flotta a gruppi di due prahos ciascuno, onde si potessero
soccorrere a vicenda in caso fossero incappati in qualche incrociatore che sicuramente le
marine inglesi ed olandesi avevano dislocato in quelle zone, al fine di sopprimere la
piaga della pirateria.
Sandokan di nuovo a bordo del brigantino, scortato da uno dei nuovi prahos appena
acquistati, si diresse nella zona dello stretto di Balabac, che segnava il confine del mare
di Borneo con quello delle Celebes.
Questa crociera non era certo destinata ad essere noiosa. Infatti, gi nel secondo giorno
di navigazione venne avvistato un mercantile battente bandiera olandese. La Tigre della
Malesia vi si diresse contro nel tentativo di attraversagli la rotta. Ma quello vedendo
avvicinarsi un brigantino senza bandiera, ma indubbiamente ben armato, decise di
cambiare direzione alla sua prua. Ma Sandokan pur non disponendo di una nave veloce,
essendo la sua abbastanza lenta, dette ordine all'altro suo praho di tagliare la rotta al
fuggiasco, mentre lui lo tallonava da presso. Quando il capitano di quel bastimento si
accorse di non poter fuggire decise di imbrogliare le vele ed aspettare di conoscere la
nazionalit e gli intendimenti di quelle due navi misteriose, anche se gi cominciava a
sospettare che fossero legni pirati. Fece quindi fare delle segnalazioni con le bandierine
per sapere di che nazionalit fossero. Solo allora Sandokan decise di spiegare la sua
bandiera, cosa che fu subito imitata dal prode Mayala che comandava appunto l'altro
praho.
Quando le due bandiere furono visibili, gli olandesi compresero che per loro restavano
ben poche speranze. Ci nonostante il comandante di quel mercantile, impugnato un
megafono grid, rivolto alla nave di Sandokan che si era nel frattempo ulteriormente
avvicinata:
Chi osa bloccare una nave della potente e temuta marina olandese?
- Sono la Tigre di Mompracem e vi ordino di arrendervi!
- E con quale diritto?
- Con il diritto del pi forte - sentenzi il pirata.
- E se rifiutassi?
- Non esiterei a scaricare contro la vostra nave tutti i nostri cannoni e a colarvi a picco.
Il comandante olandese affranto da quella triste prospettiva si consult con i suoi
ufficiali.
Ma Sandokan, vedendo che il tempo trascorreva, incalz:
- Ors decidete e non obbligatemi ad ordinare una inutile strage. Se vi arrenderete vi
prometto a tutti salva la vita.
- Come posso credere alla parola di uno schiumatore dei mari?
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- Capitano! - grid stizzito Sandokan - Sappiate che sono un principe di sangue reale,
detronizzato dalla vostra nazione in combutta con l'Inghilterra. Sono stato costretto a
divenire pirata per dare una sonora lezione a tutti i prepotenti che si aggirano per questi
mari. Ma ora questo colloquio mi venuto in uggia. Sambigliong radimi questa
nave come un pontone!
Quest'ordine produsse una immediata risposta da parte dell'olandese, impressionato per
quello che stava per accadere.
- Ci arrendiamo! Non sparate! - disse con voce cupa e rassegnata.
- Abbordate la nave, svuotatela di ci che contiene e poi fatela saltare. Caricate i
prigionieri su di una scialuppa, date loro di che sostenersi ed una bussola; poi lasciateli
andate senza nessuna violenza! - questo ordin Sandokan ai malesi.
In poche ore tutto fu eseguito con velocit e precisione. Ogni sorta di avere venne
portato sul ponte e poi imbarcato nelle stive dei pirati: preziosi rotoli di stoffe, balle di
mercanzie varie, spezie, zucchero, tabacco e cacao, vini e liquori.
Quando il trasbordo fu ultimato la nave fu fatta esplodere. Alla penosa e terribile scena
assistettero da lontano gli ufficiali ed i marinai del piroscafo olandese, che con la
scialuppa lasciata loro da Sandokan si erano allontanati ma non di molto. E cos in men
che non si dica, il mercantile fu inghiottito dal mare della Sonda.
Il praho del fido sottocapo malese torn verso Mompracem dove avrebbe scaricato tutto
il carico appena predato, mentre il brigantino della Tigre della Malesia continu la sua
crociera.
Dopo pochi giorni il "Sabah" incontr una giunca battente bandiera di Sarawack. Fu
anch'essa fermata ed assaltata. Il carico era composto da materiali ferrosi, da chiodi ed
attrezzi da carpenteria, un carico davvero utile per costruire o rafforzare le difese
dell'isola. Quando la giunca fu spogliata di ogni sua merce venne colpita da alcuni colpi
di cannone sotto la linea di galleggiamento. In breve pure questo veliero raggiunse il
fondo di mare.
Sandokan con la sua nave colma di ogni ricchezza decise di tornare a Mompracem: in
meno di tre giorni di tranquilla navigazione la traversata fu compiuta.
L trov anche gli altri sottocapi che non si erano certo meno distinti in fatto di
arrembaggi: Kai-Mal e Kara-Olo avevano assaltato un praho di Varauni, che
trasportava un carico di ferro e piombo; Hirundo e Aier-Duk, con i loro due legni
avevano stretto da vicino una pinassa, che per sfuggire loro era finita su un banco di
sabbia arenandosi e l'avevano quindi depredata di una grossa partita di legno e di
attrezzature molto utili all'isola; Tanadurian e Kini-Dal avevano abbordato un
mercantile inglese che trasportava truppe verso i possedimenti britannici in Cina; tutti
gli occupanti erano stati imbarcati sulle scialuppe di salvataggio, mentre la nave era
stata colata a picco.
Sandokan salut con contentezza anche Giro Batol e Patan che invece erano rimasti a
Mompracem a sovrintendere ai lavori di semina dei campi e all'edificazione dei recinti
e magazzini per animali e derrate alimentari.
Tutte le merci predate furono divise in due parti: quelle da immagazzinare nell'isola in
quanto utili alla sopravvivenza e quelle che invece andavano rivendute poich inutili o
superflue.Queste ultime furono reimbarcate sui prahos pi piccoli che partirono per i
vari porti dell'arcipelago malese, onde scambiarle e cederle per avere munizioni ed altri
generi di prima necessit dei quali si aveva sempre bisogno.
E cos con questo genere di pirateria ormai ben diretta ed ancor meglio organizzata,
trascorsero diversi mesi durante i quali con molta fortuna e poco dispendio di risorse e
vite umane i successi delle Tigri della Malesia si accumularono, mentre si accresceva
la fama e la potenza di Sandokan per tutte le regioni adiacenti la sua isola.
242

Frotte di uomini di diverse razze, anche se principalmente malesi e dayacchi,
sbarcavano a Mompracem, trasportati dai prahos che vi approdavano, chiedendo di
ingrossare le file dei pirati. Si dovettero quindi costruire altre capanne per poterli far
dormire sotto un tetto.
In quel periodo vi furono anche abbordaggi di piccoli legni da guerra come cannoniere
inglesi ed olandesi, che furono attaccate, battute ed affondate in cruenti battaglie
marine.
Anche tra i pirati vi furono numerose perdite di vite umane, ma quei vuoti venivano
subito colmati da nuovi arrivi e da numerosi arruolamenti di gente proveniente dalle
isole della Sonda che altro non desideravano se non di servire sotto la rossa bandiera di
Sandokan.
In uno di questi scontri, molto sofferto ed il cui esito finale era stato in dubbio sino al
termine del combattimento, Sandokan perse il suo brigantino "Sabah", che in un
abbordaggio contro una corvetta inglese, ebbe la peggio colando a picco; ma la nave
britannica lo raggiunse tosto in fondo al mare in quanto sopraffatta, poi, da altri due
prahos malesi sopraggiunti in aiuto del pirata.
Trascorsero poi altri mesi di intensa attivit piratesca, con continui abbordaggi a legni
mercantili: tutto ci danneggi notevolmente i traffici commerciali delle due potenze
europee in quei mari.
Sandokan dal canto suo alternava lunghi periodi di mare con combattimenti continui a
periodi di riposo e di oblio nella sua capanna costruita sulla rupe pi alta di
Mompracem, dalla quale si godeva un ottimo panorama. Il pirata si rinchiudeva a volte
nella sua abitazione per giorni interi, senza voler vedere nessuno, nemmeno i sottocapi. E
l, disteso su delle ricche poltrone o su dei comodi divani, con un narghil tra le gambe
ripiegate alla moda orientale, dal quale fuoriusciva un delizioso profumo, misto all'odore
tipico del tabacco, il prode guerriero amava stare a pensare alla giovinezza spensierata
trascorsa fra le foreste del Borneo, alle cavalcate nel parco della sua reggia, ai suoi
familiari, annientati tutti dal tradimento e dall'inganno del perfido Hold, contro il quale
seguitava a nutrire un odio profondo.
Sandokan era comunque felice di questa nuova vita avventurosa, che lo vedeva ora alla
testa di una formidabile banda di pirati, che stava diventando la pi temuta dei mari
malesi e della Sonda; tuttavia rimpiangeva il suo sultanato, i suoi sudditi, le sue
sconfinate foreste, le vette immacolate dei Monti Cristallo; ma, poco per volta,
cominciava ad amare quasi alla stessa maniera quell'isola, quello scoglio bello e
rigoglioso che lo aveva accolto, come principe spodestato e quasi solo e che lo vedeva
ora potente e temuto, mentre pi di trecento uomini, di razze diverse, lo amavano e lo
rispettavano pi di un re o di un sultano, a lui grati per una vita di avventure e di agi
quali non avevano mai goduto.

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PARTE QUARTA
MALESIA IN FIAMME


246

CAPITOLO PRIMO

YANEZ DE GOMERA

Erano passati alcuni anni, anni pieni d'abbordaggi, d'azioni di guerra, di combattimenti
per terra e per mare da parte dei pirati della Malesia, che si erano fatti conoscere e
temere da parte delle marine delle due odiate nazioni europee. Anche se le imprese
guerresche riguardavano solo mercantili inglesi, olandesi e dei sultanati di Labuk,
Varauni e Sarawack, anche gli altri stati europei che avevano commerci fiorenti in quei
mari orientali, avevano ora paura di essere attaccati e spogliati dei loro numerosi
carichi.
Sandokan alla testa dei suoi tigrotti era infaticabile: appena tornava da un assalto navale
scaricava l'intero bottino a Mompracem, vi lasciava i feriti e le navi malconce,
sceglieva uomini freschi, prendeva altri velieri e ripartiva immediatamente. I suoi fidi
sottocapi per quanto volessero emulare il loro comandante non riuscivano certo a
mantenere quel ritmo, ma si sforzavano comunque per non apparire stanchi o paghi di
tanti arrembaggi nel riuscire subito per mare in caccia d'altre navi. La rossa bandiera
con la testa di tigre era ora temuta da tutti.
Era ovvio, quindi, che per frenare il dilagare di tale pirateria i governi dell'Inghilterra e
dell'Olanda avessero mandato nei mari della Malesia numerose navi da guerra con il
compito di debellare e stroncare tale pirateria.
Fin'ora le bande di Mompracem erano state ben fortunate poich soltanto poche volte si
erano imbattute nelle corvette o nelle grosse fregate delle marine di guerra di quei paesi
e quasi sempre se l'erano cavata grazie ad una buona dose d'abilit marinara, evitando
di farsi schiacciare in combattimenti che avrebbero potuto annientarli. La velocit dei
legni pirati aveva seminato i velieri nemici, lo scarso pescaggio dei prahos era stato
determinante per sfuggire a quelle cacce, gettandosi su bassi fondali o in rischiosi
passaggi su scogliere madreperlifere. Certo l'audacia e la bravura marinaresca dei pirati
non aveva impedito agli inglesi di raggiungere alcuni successi: diversi prahos delle Tigri
erano stati affondati, gli equipaggi massacrati ed i superstiti impiccati sugli alberi delle
navi britanniche. Inoltre alcuni villaggi della Malesia o del Borneo erano stati
incendiati, gli abitanti deportati e i capi trib fucilati od impiccati sulle palme costiere a
monito per tutti gli altri a non aderire ai rivoltosi. Infine il Vicer inglese di Singapore
ed il Governatore britannico a Batavia avevano preso dei seri provvedimenti: si trattava
di individuare e fermare le navi pirata anche quando si recavano nei vari porti a
rifornirsi di ci che occorreva loro o per soddisfare a quelle necessit che non potevano
essere appagate con gli abbordaggi. Avevano quindi diramato ordini precisi a tutte le
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capitanerie di porto affinch degli speciali osservatori dovessero recarsi a bordo di tutti i
prahos sospetti anche se battevano bandiere di nazioni neutrali od alleate, per controllarne
carichi, ordini d'acquisto o di vendita, carte di viaggio ed equipaggi, rifiutando od
impedendo qualunque scambio o compera di merci a persone in odore di pirateria. Queste
misure erano state talmente ben eseguite nelle settimane successive che Sandokan si ritrov
ben presto a malpartito per tutto ci che riguardava la necessit di provvedersi di generi
alimentari.
Infatti, se a tutti gli altri bisogni si poteva sopperire depredando i piroscafi nemici o
togliendo loro armi, polvere proiettili, attrezzi, generi indispensabili alla vita quotidiana,
quasi mai il frutto degli abbordaggi era costituito da viveri in quantit bastevole a
sfamare la numerosa colonia di pirati. Invero sull'isola abitavano ormai pi di mille
persone, tra le quali la maggioranza erano donne, bambini e vecchi. I guerrieri atti a
combattere erano trecentocinquanta, molti arrivati a Mompracem con moglie e figli. Tale
comunit aveva ovviamente bisogno di una quantit prodigiosa di generi alimentari,
anche se gli orientali sono conosciuti per la frugalit delle loro necessit. L'isola di
Mompracem non era molto vasta e poteva soddisfare solo in parte alle necessit
ordinarie della colonia anche se ogni terreno coltivabile era stato utilizzato per piantare
tutto quello che si poteva produrre. Ma i malesi, si sa, non sono un popolo d'agricoltori ed
inoltre chi si dedicava ai lavori nei campi erano solo le donne ed i vecchi, essendo gli
uomini validi tutti presi alla difesa dell'isola o a fornire equipaggi alle navi che
giornalmente solcavano i mari della Sonda. Alcuni prahos si recavano quotidianamente a
pesca nelle ricche distese marine dell'arcipelago e l gli equipaggi esercitavano il loro antico
mestiere di pescatori. Altri equipaggi di prahos si recavano quasi tutti i giorni ad effettuare
battute di caccia su alcune isole non troppo distanti da Mompracem, contribuendo cos ai
fabbisogni giornalieri degli abitanti dell'isola. Malgrado ci la necessit di sfamare una cos
vasta popolazione era tale che bisognava avere altre fonti d'approvvigionamento che non
potevano essere n quelle agricole proprie di Mompracem n l'allevamento d'animali che
erano stati gi impiantati nell'isola. Occorreva quindi acquistare numerose mercanzie come
pesce, carni, riso, orzo, avena, mais e quanto altro poteva soddisfare l'appetito di quei mille
pirati. Quello che mancava alla Tigre della Malesia non era certo il denaro per comprare
tutto ci bens la sicurezza e la garanzia di veder tornare le navi che tutti i giorni facevano la
spola per rifornire l'isola di cibarie.
I mari, infatti, come riferivano i tigrotti che tornavano ogni volta dai porti vicini e
lontani, erano solcati da navigli da guerra che fermavano sempre pi spesso i prahos di
Mompracem per controllarne i carichi e le carte. Non sempre si poteva fuggire od
attaccare battaglia e quindi a volte era accaduto che gli equipaggi venissero arrestati, la
merc sequestrata e il veliero portato in rada per ulteriori accertamenti. Era anche
accaduto che per la reazione d'alcuni tigrotti che non si volevano piegare a tali controlli, tutto
l'equipaggio fosse stato giudicato ed impiccato onde dare un salutare esempio per
dimostrazione che la marina inglese non scherzava. E quest'increscioso e terribile episodio
si era gi verificato due volte nell'ultimo mese. La cosa aveva sconvolto Sandokan che si
era molto rattristato per questa fine ingloriosa dei suoi fidi tigrotti.
Bisognava quindi trovare al pi presto una soluzione a simile problema onde evitare il
protrarsi di tali difficolt e di codesti irreparabili episodi.
Sandokan, di concerto con i suoi sottocapi, pens, quindi, che fosse necessario arruolare
almeno un uomo di pelle bianca, ovviamente non certo di nazionalit inglese od
olandese, che avesse desiderio di militare tra le file dei pirati, onde assumere il comando di
una loro nave, per provvedere all'acquisto di derrate alimentari in ogni porto, con la pi
totale sicurezza. Ci avrebbe soddisfatto a due prerogative: eliminare od almeno far
diminuire le ispezioni a bordo dei prahos e facilitare gli acquisti dei materiali ai
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magazzini dei vari porti e far conseguentemente cessare gli eventuali sospetti da parte di
chicchessia.
Tutto ci perch si poteva supporre che un uomo bianco non potesse essere ritenuto i
combutta con i pirati malesi.
Il capitano ideale da arruolare sarebbe dovuto essere un uomo coraggioso, esperto di
navigazione, risoluto di fronte ad ogni imprevisto e disposto ad abbracciare la causa
delle Tigri di Mompracem senza tanti problemi.
Dove trovare un soggetto del genere, con la difficolt aggiuntiva che doveva essere un
bianco? Come si poteva, infatti, trovare un europeo o un americano disposto ad entrare
in societ con gente di colore, sulla testa della quale pendevano ormai ingenti taglie?
Come trovare un avventuriero privo anche dello scrupolo di allearsi con dei pirati che
erano stati messi al bando del vivere civile e che erano perseguitati e che rischiavano la
pena di morte se catturati? In quale luogo cercare un uomo privo di remore, senza paura
e talmente generoso per sposare la causa dei rivoltosi contro la grande Inghilterra?
Sandokan, pur ritenendo davvero difficile questa ricerca, decise che tale missione
doveva essere affidata a Sambigliong, il compagno pi fidato e quello che amava di
pi.
Inoltre Sambigliong era intelligente, furbo ed accorto e sicuramente poteva riuscire dove
altri avrebbero fallito; inoltre era un esperto conoscitore di tutti i porti dell'oriente e
delle citt idonee per questa difficile ricerca.
La Tigre della Malesia comunic al suo sottocapo che la scelta per questa difficile
missione era ricaduta su di lui. Allora Sambigliong rispose:
- Comandante, sono onorato che tu mi reputi all'altezza di compiere una ricerca simile.
Io sono pronto a gettarmi nel fuoco per te, per vorrei chiederti alcune cose, ma non
vorrei che tu pensassi che sia mio desiderio evitare questo compito, del quale sono
invece fiero.
- Parla mio prode malese. Dimmi tutto e chiedimi quello che vuoi.
- Grazie Tigre. Vorrei sapere quanto tempo posso far durare la mia missione, nel caso
non trovassi subito l'uomo che ci occorre. Forse mai troveremo un soggetto simile,
disposto a dare addosso ad uomini della sua stessa razza, ad altri bianchi anche se di
nazionalit diversa. E poi come convincerlo? Con un grosso premio in denaro? Ed un
mercenario del genere, disposto a gettarsi in una simile impresa solo per guadagno, non
potrebbe poi tradirti, vendendoti agli inglesi? La taglia posta sulla tua testa non indurr
un simile avventuriero a farsi tentare da un cos facile guadagno, andando anche a
rivelare dove sia il nostro covo? E se una volta entrato nelle nostre file ti assassinasse a
tradimento? In tal caso sarei stato io ad introdurre un simile rinnegato tra le nostre
bande. Se accadesse una cosa simile, dopo averlo giustiziato con le mie mani mi
ucciderei immediatamente per aver commesso un cos madornale errore di valutazione
di un uomo sbagliato.
Sandokan parve riflettere su questi inquietanti interrogativi che diligentemente
Sambigliong aveva sollevato. Poi cos gli rispose:
- Fido Sambigliong, questi dubbi sono venuti anche a me, ma non vi modo di uscirne.
Prendi il tempo che vuoi, anche un anno se lo ritieni opportuno. Se trovi qualcuno che
risponda ai nostri fabbisogni mettilo alla prova, saggia il suo animo, valuta il suo
carattere e la sua indole. Quando tornerai, se lo avrai trovato, sapr ben io penetrare nel
suo animo e leggerne anche nei pi reconditi nascondigli. D'altronde dobbiamo rischiare
e noi viviamo giornalmente accompagnati dal fato. Che Garuda ci protegga e ci guardi
nella nostra scelta.
La Tigre aggiunse poi altre raccomandazioni al suo inviato, chiarendogli molti dubbi e
sollevandolo alla fine dai suoi timori di sbagliare persona.
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Venne poi scelto l'equipaggio che avrebbe accompagnato Sambigliong in
questa missione. Quando il veliero fu pronto per la partenza Sandokan and a salutare i
partenti dicendo loro:
- Non abbiate fretta. Battete ogni porto, anche lontano, sino in Cina se occorre,
ma tornate con qualcuno che faccia al caso nostro!
Il praho salp.
La spedizione affront cos un lungo viaggio, affondando poi le ancore nei porti di
Batavia, Canton, Singapore, Bankok, Manila, Colombo, e poi sino a Calcutta.
Sambigliong incontr ogni volta tipi sbagliati. Era un bel girare sulle calate dei
porti, nelle bettole e nelle taverne delle citt portuali. Di continuo interrogava
comandanti appena sbarcati, avvicinava capitani nell'attesa di essere arruolati,
domandava ad avventurieri o alle persone pi disparate che pi sembravano adatte
alla sua necessit.
Chiedeva anche ad uomini di colore se conoscessero un lupo di mare di pelle bianca
disponibile ad assumere il comando del suo praho che n'era rimasto privo: questa era la
scusa che adoperava per allacciare discorso con tutti al fine di evitare inutili sospetti.
Quando finalmente qualche persona si dichiarava disponibile ad accettare l'incarico,
Sambigliong approfondiva il suo accurato esame ed allora sorgevano molti problemi
che ne determinavano il rigetto.
A volte gli si presentavano cinesi, malesi, indiani. . . . A tutti specificava che preferiva
un comandante bianco giacch voleva esser pi sicuro per avere meno noie con gli
agenti portuali inglesi. Una volta si trov ad esaminare proprio un inglese, che sembrava
interessato ad accettare l'incarico. In questo caso prese tempo, assicurandogli che
avrebbe deciso l'indomani. Il giorno seguente dovette invece abbandonare quel porto
per non rischiare di suscitare inutili sospetti dovendo ovviamente rifiutare quell'uomo
proprio per la sua nazionalit.
In altri porti si presentarono a lui danesi, turchi, tedeschi, spagnoli, le nazionalit che
pi frequentavano quei porti in quei tempi: ognuno di questi aveva per qualcosa che
non andava. Chi si tirava indietro al primo accenno di possibili battaglie od azioni di
guerra, chi si rifiutava al solo sentore d'implicazioni con la pirateria malese, chi
sembrava troppo bramoso di denaro o richiedeva somme impossibili per l'ingaggio; chi
pretendeva percentuali elevatissime sulle eventuali prede conquistate o disdegnava di
comandare navi come un semplice praho; chi non voleva cimentarsi in lunghe
peregrinazioni sul mare senza mete precise o non voleva comandare malesi e
dayacchi.
Insomma fu una ricerca lunghissima piena di delusioni e che con il passare del tempo,
accennava a tradursi in un sonoro fiasco.
Dopo alcuni mesi, tanto durava ormai la sua missione, Sambigliong si trovava, come
gi detto, a Calcutta, il principale porto indiano. Aveva girato questa cittadina in lungo
e in largo con scarsi risultati e si apprestava quindi ad abbandonarla per andare
altrove, quando il caso lo mise finalmente sulla buona strada.
Era sera, e, dopo un'estenuante giornata trascorsa a camminare in citt, spostandosi da
un luogo all'altro in un eterno vagabondare, il prode malese si stava godendo un po' di
fresco sul ponte del suo praho assieme all'equipaggio. La nave era ormeggiata non
molto distante da una goletta che aveva gettato l'ancora in quel luogo la mattina
precedente. Il silenzio generale, rotto solo dallo sciabordio delle onde a ridosso delle
fiancate dei due natanti, permetteva di udire bene anche ad una certa distanza e perci i
pirati si accorsero che a bordo della goletta era scoppiata una discussione abbastanza
violenta: due uomini stavano litigando a voce molto alta. Erano il capitano ed il suo
secondo. Il primo diceva:
- Ti ordino di frustare questo naufrago!
250

Ed il secondo rispondeva:
- No, capitano! Non possiamo fare del male ad una persona se non sappiamo che sia
colpevole di qualcosa!
Sambigliong ed i suoi malesi, incuriositi da quel vociare, volendo udire meglio la
discussione, si avvicinarono alla murata affacciandosi in direzione della goletta. La
scena che videro fu la seguente: sul ponte della nave, battente bandiera portoghese, vi
era un equipaggio composto di parecchi uomini che si erano riuniti sotto il cassero di
prua onde poter assistere ad un alterco scoppiato tra il loro capitano, un uomo
dall'aspetto rude e volgare, di corporatura possente e vigorosa, ed il suo luogotenente,
un giovane dal viso franco ed intelligente. Ambedue erano sicuramente europei. Fra di
loro vi era un malese, legato e disteso su di un pancaccio di legno. Era tutto sudato ed
aveva l'aria di aver a lungo sofferto la fame; il suo volto esprimeva paura e dolore,
mentre i suoi abiti erano logori e stracciati.
La discussione avveniva in inglese, lingua che Sambigliong ed i suoi comprendevano
abbastanza bene. Il comandante, sempre rivolto al suo subordinato, gridava:
- Ma se lo ha detto lui stesso poco fa!
Il secondo rispose:
- Ma non vedete che questo povero malese ha la mente sconvolta, forse a causa del suo
lungo patire per il naufragio? Come potete pensare che abbia qualcosa da nasconderci e
non voglia dircela? Ritenerlo colpevole di ci mi sembra un'assurdit.
- Ubbie! - Rimbecc il capitano, sempre pi inalberandosi - Questo lurido muso verde
vuole tenerci all'oscuro di qualche prezioso segreto. Vi ordino quindi, per l'ultima
volta, di batterlo finch non confessi!
Il secondo parve riflettere un attimo su quello che avrebbe dovuto fare. Ribellarsi al suo
comandante, subendo le conseguenze cui sarebbe andato incontro inevitabilmente,
oppure assecondare la sua volont? E poi, pensava il luogotenente, se quel naufrago
fosse stato un uomo bianco, il capitano lo avrebbe perseguitato lo stesso alla medesima
maniera?
Dopo una breve pausa di riflessione rispose:
- Comandante, non ho intenzione di farlo. Non reputo giusto infierire su di una persona
che sembra, tra l'altro, incapace di intendere e di volere.
Il capitano, allora, reso furioso da questo diniego, prese uno scudiscio, che aveva
infilato nella cintura, ed assest una scudisciata sul volto del prigioniero, che emise uno
straziante urlo di dolore. Alz poi ancora lo scudiscio e gi si apprestava a colpire una
seconda volta, quando il suo luogotenente si scagli contro di lui, strappandogli di mano
il frustino e poi spezzandolo in due pezzi. Fatto questo disse:
- Finch rimarr a bordo impedir il verificarsi di una simile vigliaccheria, rimanendo
come semplice spettatore.
Il comandante sbalordito ed inviperito da quest'atto che riteneva
un'insubordinazione, url con quanto fiato aveva in gola:
- Questo un ammutinamento! Se fossimo in alto mare vi farei subito mettere ai ferri,
ma poich siamo in porto vi ordino di lasciare immediatamente la nave! Siete esonerato
dall'incarico!
L'equipaggio, frattanto, si era stretto minaccioso attorno al secondo dimostrandogli la
propria disapprovazione per quanto aveva appena fatto, lasciandolo cos solo contro
tutti.
Il luogotenente a testa alta e con voce sicura rispose:
- Me ne sarei andato anche senza il vostro gentile invito. Non voglio rimanere un
minuto di pi su una nave come questa!
251

Detto ci, spintonando alcuni marinai che gli stavano troppo vicino, scese nella sua cabina,
prese il proprio sacco da viaggio, torn sul ponte e discese quindi dalla nave, utilizzando la
passerella che la univa al molo.
Sambigliong, intanto, che non si era persa una sola sillaba o un solo gesto di quanto era
accaduto, disse:
- Quello l'uomo che fa al caso nostro. Non me lo lascer certo scappare prima di
avergli parlato. Non debbo perderlo di vista.
Si precipit quindi anche lui a terra, mettendosi alle costole dell'europeo che intanto si era
diretto verso una bettola cinese, la cui insegna, un dragone tutto rosso, era visibile anche
da molto lontano.
Entrarono quasi assieme, al suo interno, un garzone con un codino molto lungo e con un
cerimoniale tipico dei figli del Celeste Impero, indic loro un tavolo libero. L'europeo vi si
sedette mentre Sambigliog si diresse verso il bancone che si trovava dirimpetto.
L'aria all'interno di quel locale era quasi irrespirabile. Tutti fumavano ed una coltre di
nebbia puzzolente si librava nell'aria. Probabilmente molti fumatori incalliti avevano
mischiato al tabacco alcune dosi d'oppio, droga molto usata presso quei popoli.
L'uomo bianco ordin al cinese un buona bottiglia di toddy. E mentre leuropeo si versava
da bere il luogotenente della Tigre di Mompracem ne approfitt per squadrarlo meglio.
Poteva avere circa 26 anni. Aveva una corporatura robusta, slanciato d'altezza, con un
viso bonario, simpatico e schietto. Sembrava che un eterno sorriso tra il beffardo e l'ironico
errasse sulla sua bocca. Lo aveva notato anche quando discuteva con il capitano, tant' che
in un primo momento sembrava che stesse scherzando.
A quel punto Sambigliong decise che era giunto il momento di avvicinare il suo uomo. Si
diresse quindi verso quel tavolo e gli disse con fare gentile, usando la lingua inglese,
mischiata a qualche parola di malese:
- Ehi, capitano, avrei da parlarvi. Posso sedere al vostro tavolo?
L'uomo bianco, stupito di essere stato chiamato capitano e sorpreso che qualcuno
volesse parlare con lui, in quel luogo ove non era mai stato, fece cenno al malese di sedersi
e rispose:
- Accomodati.
Sambigliong accolse l'invito e cominci subito a parlare.
- Orange, ho seguito, senza volere, il battibecco che avete avuto a bordo della nave da
dove siete appena sceso. Stavo a bordo del praho ancorato a fianco della goletta. Mi
trovo in questa citt per compiere una missione: sto alla ricerca di un uomo bianco,
coraggioso e desideroso di giustizia, che non tollera angherie e violenza ingiustificate.
Avendo visto come avete difeso un uomo della mia razza da tali prepotenze, vengo ad
offrirvi un ingaggio sulla nave del mio padrone con un premio in denaro che sar il
quadruplo di quanto abitualmente percepisce un comandante di lungo corso.
L'europeo, guard attentamente il malese, forse pensando che scherzasse o credendo di
aver mal compreso l'offerta, spiegata appunto in un miscuglio di lingua non sempre ben
decifrabile e poi domand a sua volta:
- Chi sei, chi ti manda ed in che cosa consiste questo ingaggio per il quale offri una cifra
cos generosa?
Sambigliong, che a volte dava del voi e a volte del tu a quello sconosciuto, rispose:
- Ti dir tutto, signore. Voglio proporti una nobile impresa. Si tratta di porre rimedio ad
una terribile ingiustizia, subita da un uomo per il quale lavoro Bisognerebbe
combattere, armi alla mano, per terra e per mare, per una encomiabile causa.
Il giovane uomo bianco era molto interessato a quanto il malese andava raccontando. Il suo
carattere altruista, generoso, desideroso di nuove avventure, lo rendeva da sempre propenso
a parteggiare per i deboli e gli oppressi. Nel suo animo si destarono
252

improvvisamente desideri, mai sopiti, per il rischio, il pericolo o l'avventura. Questi,
uniti al desiderio di diventare capitano di una nave e di comandarne un intero
equipaggio, veleggiando verso nuovi orizzonti, lo spingeva a prestare attenzione a
quanto gli veniva proposto, specialmente se in ballo ci potevano essere partecipazioni
risolutive a nobili imprese. Anche i toni usati dal malese ed il contegno franco che
ispirava quell'uomo dalla tinta olivastra, gli fecero aguzzare ancora di pi le orecchie.
Quindi chiese:
- Di che si tratta? Spiegati meglio, caro malese mio. Vorrei sapere tutto quello che
conosci, senza tralasciare nulla.
Il malese rispose, per, con una domanda:
- Permettimi, o mio signore, di chiederti prima di tutto come ti chiami, di che nazione
sei, e dove eri diretto. Ti prego di dirmelo in quanto, dovendoti svelare un grave segreto,
possa almeno sapere a chi lo confido.
Il bianco ritenne giusto rispondere a quella domanda, che era accompagnata da un
contegno grave e dignitoso e quindi si affrett a dargli le risposte dovute:
- Mi chiamo Yanez De Gomera, sono portoghese e da anni giro il mondo sia per
bisogno di lavorare, sia perch il mio spirito avventuroso mi sospinge per i sette mari,
che solco da quando avevo sedici anni. Ho cercato sempre d'essere indipendente e
fin'ora non ho dovuto render conto a nessuno della mia vita e delle mie azioni: per
questo ho preferito intralciare le pazzesche richieste del mio capitano sino al punto di
perdere l'ingaggio. Mi reputo un uomo libero che non ha impegni di sorta. Ed ora,
sperando di aver soddisfatto la tua legittima curiosit, spiegati bene e completamente.
A questa risposta, il fido gregario della Tigre di Mompracem, rassicurato dall'aspetto
gradevole e sereno di Yanez, sul cui volto sembrava stampato un sorriso sornione ed un
poco beffardo, dal quale trapelava schiettezza ed onest, cominci a confidargli tutto ci
che era accaduto negli ultimi anni al rajah spodestato. Parl con molto trasporto, con
voce vibrante di commozione, a volta anche rosa dalla collera nell'esporre i tradimenti
subiti dal rajah del Sabah, mentre Yanez De Gomera lo ascoltava con molta attenzione e
partecipazione.
Quando quel racconto cos tragico ma anche cos appassionante fu terminato,
Sambigliong concluse con gravita:
- Io ho votato la mia vita a Sandokan e con me centinaia di malesi e dayacchi che si
butterebbero nelle fiamme per quel prode figlio d'eroi. Volete voi, o signore dalla pelle
bianca, che avete dimostrato sensibilit ed altruismo nei confronti di un uomo della
nostra razza, rinunciando finanche al tuo posto di lavoro, difendere la causa di questo
rajah sfortunato?
Il portoghese, rapito da quel racconto ed esaltato dall'entusiasmo per un prossimo
cambiamento totale del proprio genere di vita, per questa finestra che gli si apriva su un
orizzonte cos nuovo ed affascinante, rispose con esaltazione:
- Per Giove se accetto! Non mi chiamer pi Yanez de Gomera se non aderir corpo ed
anima a questa entusiasmante lotta tra un piccolo popolo per un gigantesco ideale ed
una grande nazione che ha dimostrato un microscopico rispetto per un'altra razza. Sono
stanco anche io di tante angherie. Ma prima di venire con te, dimmi in che cosa pu
consistere il mio lavoro?
Il malese rispose immediatamente:
- Per ora, finche non sarete avvezzo a questa vita di pericoli il vostro compito consister
esclusivamente a capitanare un praho che far la spola tra l'isola di Mompracem ed i
porti del continente o delle grandi isole dei dintorni onde acquistare ogni genere di
mercanzia indispensabile alla vita dei pirati. Voi con la pelle bianca eviterete sequestri
dei carichi e magari anche ispezioni a bordo. Successivamente, ogni qual volta sar
necessario, se lo vorrete, parteciperete alla vita normale dei tigrotti, tra abbordaggi di
253

navi inglesi e spedizioni punitive nei confronti di chi ha defraudato il mio padrone del
suo regno.
- Va bene, accetto incondizionatamente. Sono pronto a partire subito, se vuoi.
- Certo, padron Yanez. Per vi debbo dire un'ultima cosa, per chiarezza e per essere
franco con voi sino alla fine.
- Parla - rispose un pochino ironico il portoghese - a quali altri esami mi vuoi
sottoporre?
E Sambigliong, non raccogliendo quella punta d'ironia, rispose.
- Non io ma il mio padrone Sandokan ti sottoporr ad un fuoco di fila di
domande, e ti scruter con il suo sguardo di fuoco che ti raggiunge il cuore ed i meandri
del tuo cervello. Ma spero che capirai l'estrema delicatezza che pu comportare
l'accogliere un uomo bianco nelle nostre bande.
- Certo, comprendo benissimo, ma non ho paura di essere scrutato, anzi. Non ho nulla
da nascondere. Il mio animo candido come quello di un bambino.
Dopo questo accordo Yanez e Sambigliong uscirono dalla taverna e tornarono assieme al
porto. Si imbarcarono quindi sul praho, decidendo di sciogliere le vele e partire
immediatamente.
254

CAPITOLO SECONDO

UNA SAGACE BEFFA

II viaggio di rientro verso l'isola dur alcune settimane, senza nessun incidente. Il
tempo fu sin troppo bello, nonostante attraversassero il mare Indiano, noto per i suoi
improvvisi cicloni e bufere marine. Il vento fu costante ed il mare eccezionalmente
tranquillo.
Yanez si fece subito apprezzare e stimare dall'equipaggio; infatti, gli uomini di mare si
sentono subito trasportati e legati verso chi li comanda se questo si dimostra un valente
navigatore, esperto conoscitore dei venti, abile nel destreggiarsi su qualunque nave,
avveduto nell'impartire gli ordini giusti, in grado di leggere le carte nautiche ed al
contempo pratico d'ogni manovra. E tale si dimostr Yanez in quelle settimane
trascorse su quel legno.
La navigazione verso il covo dei pirati si stava cos concludendo felicemente e gi si era
quasi in vista di quella terra, quando in una tiepida mattina, la vedetta grid:
- Nave a vapore a tribordo!
Tutti gli sguardi si rivolsero allora in quella direzione; appena fu possibile vedere
meglio il natante, anche con l'uso dei cannocchiali, si pot capire che si trattava di un
grosso vascello da guerra, a giudicare dai numerosi sabordi, dall'altezza dello scafo e
dalla prua tagliata ad angolo retto sul mare. Si accorsero ben presto che la nave si
dirigeva verso di loro.
Mano a mano che si avvicinava, si potettero scoprire i colori della sua bandiera: era una
fregata inglese, con il classico nastro rosso sull'albero maestro, simbolo delle navi da
guerra di sua maest la regina Elisabetta.
Tosto tra l'equipaggio serpeggi un leggero timore, poich il loro piccolo praho per
giunta poco dotato di bocche da fuoco, non avrebbe certo potuto competere con una
nave con decine di cannoni e montata da centinaia d'uomini. Sambigliong chiese allora al
nuovo comandante, che perfettamente calmo si lisciava i suoi baffetti con gesti molto
pacati, come se stesse riflettendo:
- Fuggiamo padrone. Forse possiamo battere quella nave con le nostre vele, II vento a
noi favorevole e non dovrebbe diminuire d'intensit..
Yanez, con voce perfettamente calma, come se fosse stato sempre avvezzo a vedersi
davanti possenti navi nemiche, rispose:
- Ma che dici amico mio? Non abbiamo forse noi una gran fretta, e non debbo recarmi
subito dal capitan Sandokan per essere a lui presentato?
255

Sambigliong, ed anche l'equipaggio che si era stretto attorno a loro come fossero
due punti di riferimento, lo guard con stupore.
- Ma - ribatt il capo dei malesi volete forse che ci misuriamo con quella nave? Non
capite che basterebbe una sola bordata per colarci a fondo immediatamente?
Un sorriso beffardo si disegn sul volto intelligente di Yanez, che cos rispose:
- Le nostre armi, da oggi, non dovranno essere solo coraggio e bocche da fuoco, ma
anche astuzia ed intelligenza. Seguitiamo a veleggiare sulla nostra rotta. Fate come io vi
dir. Non vi preoccupate di nulla, abbiate fiducia in me, eseguite ciecamente gli ordini
che vi dar e vedrete che ci faremo beffe dei loro cannoni.
I malesi guardarono il portoghese in maniera interrogativa, al punto che Yanez si sent
in dovere di aggiungere in tono incoraggiante:
- Dovremo recitare una bella commedia e vedrete che ce la caveremo senza che accada
nulla di spiacevole almeno a noi, mentre per l'incolumit degli inglesi non garantisco.
Dopo qualche esitazione, pi che giustificata vista la situazione precaria, ma che fu la
prima e l'ultima che quella ciurma ebbe nei confronti del nuovo comandante,
Sambigliong rispose a nome di tutti:
- D'accordo comandate pure, padron Yanez; vi ubbidiremo ciecamente. D'altra parte se
fuggissimo saremmo tosto raggiunti.
- Bene, continuiamo la nostra rotta come se niente fosse.
- Avete qualche idea padrone?
E Yanez di rimando:
- Per ora no, ma si rimedia subito.
E tratta dalla tasca interna una sigaretta se la mise in bocca e l'accese con uno zolfanello
che teneva in un taschino laterale. Aspir le prime boccate con studiata lentezza; poi si
mise ad osservare il fumo che emetteva la sigaretta e quello che usciva dalla sua bocca.
Stava pensando.
Lo stupore di Sambigliong di fronte a tanta tranquillit fu senza pari, ma non aggiunse
nulla.
Dopo alcuni minuti di riflessione, trascorsi ad aspirare voluttuosamente il dolce aroma
del tabacco, Yanez conferm:
- Si, proseguiamo per la nostra strada.
Tutti i malesi si guardarono tra loro stupiti: questa decisione significava andare incontro
alla morte, poich sarebbero stati sicuramente riconosciuti per pirati ed impiccati. Yanez
finalmente si scosse dai suoi pensieri e disse, con voce tranquilla ma che non
ammetteva replica:
- Non vi preoccupate, poich giocheremo loro un bello scherzo. Baster che mi
assecondiate in tutto e che eseguiate i miei ordini con gran celerit. Alcuni di voi
scendano con me nella stiva. Gli altri si diano un'ordinata agli abiti, indossando se
possibile delle giacchette o dei cappelli che non siano di fattura malese o cinese. Cercate
di assumere un atteggiamento tranquillo e da persone oneste.
Poi scese nel boccaporto seguito da una decina di malesi.
Yanez allora disse a Sambigliong:
- L'altra sera, quando mi raccontasti che questo praho apparteneva al sultano di
Varauni, prima che voi lo conquistaste, non mi assicurasti che in una cassa che sta qui
sotto vi erano delle divise militari del suo esercito?
- Certo padrone. La cassa l, sotto quella scala a pioli - rispose l'interrogato,
indicando un angolo buio del sottoponte.
- Fatemi luce! - ordin Yanez.
Alcuni malesi accesero delle torce, mentre altri spostarono delle botti che stavano
attorno a quel cofano. Yanez scoperchi allora un grosso baule nel cui interno si
256

vedevano divise ed abiti militari. Il portoghese cominci a svuotare il cassone di quello
che conteneva per poi dire, tutto contento:
- Questo fa al caso mio, mentre questi altri sono per voi
E nel dir questo porse ai malesi alcune divise da cipay indiani che consistevano in
giacchette rosse e pantaloni corti color marrone. Vi erano anche del berretti, tondi,
azzurri e con un pennacchio laterale alquanto bizzarro.
- Vestitevi subito e, se ne avanzano, fatele indossare agli uomini che si trovano alle
manovre.
In men che non si dica tutti gli uomini si trasformarono: ora parevano dei perfetti
soldati arruolati da qualche sultano orientale, come tanti se ne vedono presso quei
principi di tali mari. Anche il portoghese sembrava un'altra persona: si era camuffato da
autentico gentiluomo inglese. Aveva indossato un'elegantissima giacca da viaggio di
lana twidd e sotto di essa una sfarzosa camicia bianca di pizzo con uno sfizioso
fazzoletto in un taschino; poi dei pantaloni scuri stretti ai fianchi da una sciarpa rossa
con dei stivaletti neri a tacco alto. Sull'occhio sinistro aveva un monocolo, sul petto
sfoggiava una catena d'oro alla cui estremit era attaccato un antico orologio da tasca
che infil nella sciarpa, mentre sul capo si era messo un cappello coloniale, copricapo
tipico che viene usato dagli europei per preservarsi dai micidiali raggi solari di quelle
torride latitudini. Al collo aveva la croce di San Giorgio, protettore degli inglesi, appesa
ad una spilla al bavero della giacca.
Mentre intanto la nave inglese si dirigeva a tutta velocit verso di loro con la chiara
intenzione di identificarli visitando di conseguenza la nave sospetta, Yanez si fece
portare in coperta una specie di sedia a sdraio e vi si sedette sopra al centro del ponte di
comando, accendendosi una lunga pipa di porcellana che aveva trovato chiss dove,
affettando una calma perfetta, come se si fosse trovato nel salotto del circolo di bridge
londinese. Per completare la sceneggiata si fece servire del th con dei biscotti in un
prezioso servizio di porcellana cinese, apparecchiando il tutto su una tovaglia gialla a
fiori rossi, ben visibile anche da molto lontano.
Questa messa in scena rientrava in un preciso ed astuto disegno elaborato dalla sua
fervida intelligenza. Infatti, Yanez era ben sicuro che dalla nave inglese, con dei
cannocchiali, stessero gi scrutando cosa accadeva sul praho e chi lo montasse. Oltre ai
malesi ormai mascherati da marinai di Varauni, il resto dell'equipaggio si era
alquanto trasformato: tutti avevano nascosto i kriss e le sciabole d'arrembaggio, per
mettersi alla cintola dei pi discreti tarwar, piccole scimitarre che usano appunto gli
equipaggi di quel sultanato. Si erano tolti i bizzarri e stravaganti cappelli e
fazzoletti, che davano alla ciurma un aspetto banditesco per cingersi con pi opportuni
baschi blu, tutti uguali. Si erano sfilati gli alti stivali di mare per mettersi delle scarpette
di corda. Avevano infine indossato dei corti pantaloni con dei giubbetti a manica corta. A
bordo cos sembrava esservi una ciurma ed un piccolo drappello di guardie reali: i primi
addetti alle manovre, i secondi alla sicurezza di quell'eminente personaggio che stava
ben rappresentando l'intelligente portoghese. Poco meno di mezzora dopo la nave
inglese giunse a portata di tiro ed immediatamente si sent un'esplosione: un colpo di
cannone, il cui proiettile raggiunse immediatamente il mare proprio dinanzi alla prua del
praho malese, facendo ribollire di schiuma le acque circostanti.
Quell'atto corrispondeva ad un ordine preciso. Fermate la navigazione ed abbassate le
vele.
Yanez, volendo stare al gioco, ubbid ordinando ai marinai di raccogliere le vele e di
mettere la barra del timone a traverso, per fermare l'impeto della corsa. Il praho, dopo
poche decine di metri si arrest ed il vascello di linea si avvicin ulteriormente,
facendo attorno ad esso un ampio semicerchio, come fosse un gatto che
257

studia la propria preda. Finalmente si ud una voce metallica; era il comandante della
nave che parlava al megafono di bordo, ordinando con voce autorevole:
- In nome di Sua Maest Britannica nostro dovere fare un'ispezione a bordo.
E senza attendere risposta, una scialuppa con venti uomini a bordo, comandati da un
giovane ufficiale da marina, si stacc dal fianco della poderosa nave, raggiungendo
tosto il legno pirata.
In un battibaleno i soldati si issarono sul ponte del praho servendosi d'alcune funi
intrecciate a scala che i marinai malesi avevano gettato loro in segno di cortesia.
I soldati inglesi si schierarono sul ponte con fare deciso, con i fucili imbracciati e le
baionette innestate.
Per ultimo sal il tenente, davanti al quale i soldati inglesi scattarono sull'attenti
I malesi, precedentemente istruiti da Yanez si allinearono anch'essi sulla tolda della
nave, in duplice fila presentando le armi, in segno di saluto ai sopravvenuti.
Lo stesso Yanez, dall'alto del cassero, sguain una sciabola, del quale si era cinto,
irrigidendosi in un perfetto attenti, salutando la bandiera inglese che lentamente
Sambigliong stava facendo salire sull'antenna pi alta dell'albero di trinchetta. Nel
frattempo Yanez inton con voce grave l'inno inglese, cantandolo in un perfetto accento
londinese.
L'ufficiale inglese, sbigottito per tale raffinata accoglienza, che sicuramente non era
sfuggita nemmeno al comandante della vicina nave inglese, accoglienza che non si
sarebbero mai aspettati di ricevere su un legno che forse gi credevano pirata, esclam:
- Il mio comandante mi ordina di chiedervi chi siete, dove andate e di mostrarmi le carte
di bordo ed i vostri documenti personali.
Yanez, con fare impettito e tronfio, scese dal cassero e si fece incontro a quell'ufficiale
dicendo in un ottimo inglese:
- By good! Complimenti per i vostri impeccabili marinai. Si sono disposti in riga e si
sono messi sull'attenti alla perfezione. . . . Mi chiamo Edward Simpson, lord Edward
Simpson; sono nato e vissuto a Londra. Mi sto recando, con il mio equipaggio, dal
rayah di Sarawack, Muda Hassin. Mi sto col dirigendo in quanto il Lord Governatore
di Singapore mi ha nominato ambasciatore presso quell'inquieto sultano, al quale dar il
mio aiuto anche come medico.
II giovane tenente che si era leggermente inchinato nell'apprendere l'alto lignaggio del
suo interlocutore, lo interruppe dicendo:
- Oh, voi siete medico, milord?
E Yanez con molta affettatezza rispose:
- Si, mi sono laureato presso la famosa universit di Oxford ove ho ricevuto il diploma
di laurea direttamente dal primo cancelliere della nostra graziosissima Regina. Mi
toccato questo onore in quanto ero l'allievo pi giovane del corso di medicina e... .
- Milord, - lo interruppe di nuovo il giovane inglese - il mio comandante sar molto
felice di una vostra visita a bordo. Infatti da poco scoppiata una strana epidemia tra
l'equipaggio ed il medico che avevamo con noi stato il primo a morirne. Vi prego
quindi di seguirmi immediatamente.
Yanez rispose:
- Ma .........non volevate vedere le mie credenziali?
E l'altro di rimando:
- A vedere le carte c' sempre tempo. Ora meglio che voi visitiate subito i malati. Vi
prego di seguirmi.
Yanez and allora appresso all'inglese scendendo sulla scialuppa che era ancora sotto
bordo, ben felice di evitare, almeno per il momento di far vedere le carte richieste che
certamente non possedeva, anche se l'andare a fare la parte di un medico di fronte a veri
malati non lo garbasse un gran che. Anche Sambigliong lo accompagnava.
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- La faccenda s'ingarbuglia! - disse tra se - In guardia caro Yanez, poich ci stiamo
mettendo in bocca al. . . . Leopardo inglese.
Appena saliti sulla fregata l'ufficiale li condusse dinanzi al capitano, un uomo anziano
ma ancora prestante, con una gran barba bianca che gli incorniciava tutto il volto, e
disse:
- Capitano, permettete che vi presenti il lord Edwart Simpson, incaricato dal Lord
Governatore di Singapore a rappresentare l'Inghilterra presso il sultano Muda Hassin
di Sarawack.
Sia il capitano sia Yanez s'inchinarono reciprocamente. Il primo disse:
- Mi chiamo Sir James Stewart e sono ben lieto di avervi a bordo, milord, anche se non
comprendo perch il mio ufficiale vi abbia fatto salire sulla fregata.
Il suo subordinato intervenne:
-II fatto , capitano, che questo nostro connazionale un medico e . . . .
- Perbacco! Ma perch non me lo avete detto subito, tenente? Allora sono doppiamente
felice di avervi a bordo, mylord. Dovete sapere che ho venti marinai allettati. Da alcuni
giorni sono stati colti da una strana malattia. Vi prego quindi di scendere nel frapponte
per visitarli. Non avrei mai sperato di incontrare un medico in mezzo al mare del
Borneo.
Yanez s'inchin di nuovo come per far intendere che era pronto a visitare i pazienti;
pens anche di spingere ancora di pi la sua messinscena, spacciandosi per un luminare
della medicina e dandosi quindi un contegno adatto all'occasione, onde farsi
maggiormente beffa degli avversari.
Scesero allora sotto il ponte, in una camerata grande e buia, piena di cattivi odori, dove
si trovavano alloggiati una ventina di marinai. Yanez si avvicin a loro e li visit
lentamente uno ad uno, assumendo alla bisogna un atteggiamento di medico esperto: ad
alcuni auscult le spalle, ad altri guard la gola, la lingua e gli occhi, mentre ad ognuno
controll i battiti del cuore, tastandone il polso, onde verificare se avessero qualche
febbre oppure no. Mentalmente cerc di riesumare esperienze vissute in tanti anni di
navigazione: in effetti aveva visto altre volte i sintomi riscontrati in quei marinai
inglesi, e cio febbre alta, sudorazione copiosa, colorito quasi giallognolo e, da come
gli avevano riferito, diarrea e vomito, potevano essere le caratteristiche di alcune
malattie, ma non potendo ovviamente diagnosticarne una in particolare, non avendo
mai studiato medicina, azzard un nome, il primo che gli venisse in mente, ma che
aveva nulla a che fare con questa scienza:
- Ma chiaro come la luce del sole, caro capitano Stewart! Si tratta di
"Nezumia Stelgidolepis", un morbo assai raro ma non incurabile.
Poi cominci a prescrivere al comandante e agli ufficiali che lo seguivano e che lo
ascoltavano in un religioso silenzio, delle cure e delle attenzioni, che sarebbero state
appropriate ad ogni tipo di malattia, inventandosi un dotto discorso, ed atteggiandosi a
grande scienziato, abituato a sentenziare morbi, affezioni e malanni, con relativi rimedi
e terapie:
- Meteundus morbus est istud. Per evitare mors immatura occorre, repente et statim .
..- e qui Yanez, facendo un miscuglio di lingua latina con quel dialogare, dicendo cose
pi o meno esatte, ben sapendo che nessuno dei presenti poteva conoscere la lingua
degli antichi romani, alla quale invece ricorrevano sovente avvocati e dottori dell'epoca,
prese a motteggiare gli inglesi servendosi di grossi paroloni e di un discorso
magniloquente ed ampolloso.
Sambigliong aveva spalancato la bocca e non sapeva dissimulare lo stupore nel vedere il
suo nuovo capo, destreggiarsi in quel ruolo con tanta perfetta naturalezza. Il comandante
259

inglese, invece, impressionato da quel dotto e logorroico discorso, che per giunta non
aveva quasi per niente compreso, chiese preoccupato: -
- Sono gravi, dottore?
Yanez in cuor suo ipotizzava che i marinai fossero affetti da scorbuto, una malattia
molto frequente a quei tempi per chi stava a lungo su delle navi in navigazione senza
cibarsi di verdure o frutta fresche. Per cui rispose:
- E' una forma grave di scorbuto e per guarirli non v' che una sola terapia: chinino ed
aria pura. Fate trasportare i venti uomini sul ponte e distendeteli possibilmente su
brande ed amache al sole. L'aria marina, il calore del sole e la sua luce saranno
vivificanti. Cercate poi di sbarcarli nel porto pi vicino ed acquistate al pi
presto delle verdure fresche e della frutta. Se ne dovranno cibare in abbondanza. Per
quanto riguarda la febbre, occorrerebbe del chinino. Ne avete?
- Penso proprio di no! - rispose il comandante britannico.
- Permettete allora di recarmi a bordo del mio praho: tra gli innumerevoli farmaci che
ho portato con me troveremo quello che ci serve.
L'inglese rispose con tono felice:
- Andate pure dottore; nel frattempo provvederemo a mettere in pratica i vostri consigli.
II portoghese ritorn quindi al suo legno seguito da Sambigliong con la scialuppa
britannica accompagnato dai soli rematori inglesi.
Appena salito sul praho, lontano da orecchie indiscrete, Yanez chiese a Sambigliong:
- Abbiamo per caso del chinino a bordo?
- Si, padron Yanez! In caso vuole che ci sia una cassettina con quel prodotto..
Il nuovo capitano dei tigrotti trasse un sospiro di sollievo.
- Mi sarebbe dispiaciuto somministrare a quei poveri malati un intruglio che avrei
comunque potuto spacciare agevolmente per chinino, se non ne avessimo avuto. In
fondo sono poveri diavoli che stanno per morire.
And allora nella sua cabina, si mise seduto e cominci a manipolare il chinino che
Sambigliong gli aveva subito portato. Lo divise in piccole dosi, riponendolo in minuscoli
sacchetti di tela, avvolgendolo prima in fogliettini di carta. Una volta suddiviso il
prodotto in quelle che sarebbero state le dosi giornaliere di somministrazione disse:
- Bah! Non so di certo quanto possa essere una dose giornaliera, n per quanti giorni
possa essere somministrata, ma un po' di questa roba non credo faccia male a nessuno.
Comunque voglio preparare al comandante un bello scherzo che coroner tutta la beffa.
E cos preso un foglietto di carta per scrivere vi tracci il seguente messaggio: "Caro
comandante, un'altra volta si accerti bene della vera identit di chi si spaccia per
medico. Questa polvere poteva anche essere un potente veleno. Ma desideriamo che ci
si ricordi di noi non solo per le batoste inflittevi ma anche per avervi salvato la vita
.almeno per questa volta. Firmato: Lord Simpson - ovvero Yanez de Gomera,
luogotenente delle tigri di Mompracem.
Fece leggere lo scritto a Sambigliong, che gli stava sempre vicino, il quale rimase ancora
una volta a bocca aperta per lo stupore di tanto ardire. Yanez, vedendolo cos allibito, gli
disse:
- Chiudi la bocca, altrimenti vi entreranno le mosche, caro il mio malese.
Ripose poi il bigliettino in uno dei sacchetti, distinguendolo dagli altr
;
i con un segno di
penna. Numer poi i piccoli involti da uno a dieci. Quello contenente il foglietto prese
l'ultimo numero, appunto il decimo. Sambigliong, riavutosi dallo stupore, disse:
- Ma voi siete un vero mago, un attore nato, un coraggioso mai visto, un............
- Basta - lo interruppe divertito il portoghese - Gli altri complimenti risparmiateli per
quando dovrai riferire alla Tigre della Malesia il mio operato. Ma ora soprattutto
260

andiamo a finire la commedia, perch ancora non l'abbiamo scampata. Aspettiamo la
fine del secondo atto e poi esulteremo.
Risalirono sul ponte e poi si recarono di nuovo sulla fregata inglese. Qui Yanez
consegn i pacchettini al comandante dicendogli:
- Questo che vi lascio l'ultimo ritrovato della scienza medica, che ho portato
personalmente da Londra, ed un prodotto molto efficace e pi potente del chinino. Si
chiama Melanocetus Johonsoni, chiamato anche Chininus tigrum.
Ed in cuor suo Yanez rise d tutti questi nomi latini: infatti, il "Nezumia Stelgidolepis",
cos come aveva chiamato il morbo che affliggeva i marinai, ed il " Melanocetus
Johnsoni" in realt indicavano gli appellativi di due pesci abitatori degli abissi marini,
mentre il "Chininus Tigrum", significava chinino delle tigri, riferendosi non alle
abitatrici delle jungle ma ai pirati di Mompracem.
- Cominciate da oggi - prosegu il nostro eroe - a somministrare questo prodotto ai
malati, iniziando dal sacchettino numero uno dividendo la dose in venti parti.
Continuate cos per dieci giorni, seguendo scrupolosamente la numerazioni degli
involti. Non vi confondete, poich il sacchettino numero dieci deve essere l'ultimo.
Il vecchio inglese, con tono molto affabile, rispose:
- Come posso ringraziarvi milord?
Yanez rispose:
- Per la marina britannica e per i suoi coraggiosi militari, questo ed altro. Per
ringraziarmi aspettate comunque di aprire il sacchetto numero dieci. Infatti, per quel
giorno i vostri uomini staranno tutti meglio, sulla strada della completa guarigione,
mentre io e i miei uomini saremo invece arrivati a destinazione.
- Milord - disse ancora il comandante della nave - mi rincresce anzitutto di aver
interrotto la vostra crociera e poi di avervi fatto perdere tutte queste ore. Permettete
quindi che vi doni un ricordo quale segno tangibile della mia riconoscenza.
Cos dicendo fece un cenno ad un sottufficiale che si avvicin subito con una cassetta. Il
comandante l'apr e ne trasse fuori un bellissimo revolver a canna lunga con il manico
d'avorio finemente cesellato.
- E' vostro disse semplicemente, porgendolo al finto milord.
Yanez lo prese, lo impugn, lo rigir, lo soppes, osservandolo da vero intenditore.
- E' proprio un gioiello sir Stewart. Anche se non lo merito lo accetto con orgoglio.
Quando lo user contro un nemico penser a voi e grazie a questo dono mi difender
adeguatamente.
E Yanez aggiunse dentro di se:
- Penser che un inglese mi ha donato un'arma per uccidere i suoi stessi connazionali.
Poi prosegu ad alta voce:
- E' giunto il momento di congedarmi. Vi chiedo quindi il permesso di raggiungere il
mio veliero e continuare il viaggio verso Sarawack.
Il capitano inglese salut cordialmente il milord, augurandogli una buona traversata.
Yanez e il suo amico malese s'imbarcarono di nuovo sulla scialuppa che li port
sottobordo al praho. Vi salirono. I marinai tornarono presso la fregata che si rimise in
viaggio, allontanandosi a tutto vapore. Anche Yanez fece rimettere in linea il veliero
con il vento proseguendo verso Mompracem. Quando la nave inglese scomparve
all'orizzonte e fu fuori della portata dei cannocchiali, i pirati si strinsero attorno a Yanez
gridando all'impazzata ed inneggiando a quell'uomo che da quel momento avrebbero
stimato ed amato quasi al pari di Sandokan:
- Evviva capitan Yanez, evviva il nostro comandante! Urrah per il diavolo bianco!
Questo riconoscimento al suo operato, che era sancito per la prima volta da quelle grida
di tripudio, gratificava e rendeva molto felice il portoghese, facendolo ormai sentire
261

integrato in quel gruppo di persone, fino a pochi giorni addietro completamente
sconosciute ed estranee.
Il resto del viaggio prosegu senza ulteriori incidenti o brutti incontri.
Dopo alcuni giorni di tranquilla navigazione, durante i quali Yanez dette ulteriore prova
di essere un esperto capitano ed un valente lupo di mare, l'isola di Mompracem apparve
all'orizzonte.
Yanez, al grido della vedetta che l'annunciava, guard attentamente quel minuscolo
punto che emergeva lentamente dall'orizzonte sul mare.
Quando la lontananza diminu pot apprezzarne i contorni; vide un'isola quasi
interamente ricoperta di vegetazione con attorno uno splendido mare cristallino, di un
color verde smeraldo.
Yanez, uomo estremamente ottimista, non pens nemmeno per un istante che stava
andando incontro ad una nuova vita, ad un destino pieno di sorprese, forse anche
spiacevoli, ad un mondo sconosciuto ed ad un'umanit certamente diversa da quella che
aveva conosciuto sino a quel momento. Forse stava per incontrarsi con feroci pirati,
sanguinari corsari, uomini abietti e violenti? La cosa non lo preoccupava pi di tanto.
Il portoghese era un uomo molto realista e pratico. Non aveva nulla da perdere,
diceva tra se, in una eventualit del genere, sia perch era da qualche tempo in cerca
di avventure e emozioni singolari, sia perch gli uomini del praho si erano dimostrati
invece molto socievoli e rispettosi, estremamente disponibili ad essere da lui
comandati. Forse ci era dovuto al fatto che lo avevano subito apprezzato per
ingegno ed astuzia, per coraggio e sprezzo del pericolo, cose queste che i malesi
tengono in gran considerazione. E poi, tutto sommato, che cosa aveva da perdere?
Tutt'al pi la vita! E allora? Si poteva ben andare a vedere di cosa si trattasse, no?
La nave nel frattempo era giunta nel piccolo porto. Una discreta folla di donne,
bambini e vecchi si era radunata sulla riva ansiosa di vedere parenti, amici ed
avere notizie dall'esterno.
Yanez, che si era ovviamente svestito del bizzarro abbigliamento da finto inglese, si
rassett gli abiti, si mise alla cintola la pistola regalatagli dal comandante britannico e,
non appena la nave attracc, dopo aver dato le relative disposizioni per l'ormeggio,
discese la passerella accompagnato da Sambigliong.
- Andiamo subito dalla Tigre della Malesia - disse il luogotenente.
Yanez gli si mise dietro e si diressero velocemente verso la rupe a picco sul mare, dove
sorgeva la capanna del capo dei tigrotti.
Un sentiero scavato in mezzo agli scogli, s' inerpicava nella roccia con una paurosa
pendenza, tale da togliere il respiro a persone non allenate. Gli operai addetti alla
costruzione di quella dimora avevano compiuto prodigi in quei pochi mesi di lavoro.
Era stata sicuramente un'impresa titanica scavare con picconi e mine quello scoglio
compatto, per una lunghezza del sentiero di circa cento metri. Enormi gradini, ricavati
nella rupe, permettevano una veloce quanto faticosa arrampicata.
Dopo circa un quarto d'ora di questa ginnastica, apparve ai due uomini una graziosa
abitazione: era costruita in parte con legno ed in parte con muratura, sfruttando anche
una grotta preesistente che era alla base dell'ultimo contrafforte del picco. Il colore e la
forma del manufatto ben si camuffava con lo scoglio circostante. Era ad un solo piano;
alcuni gradini in legno ne permettevano l'accesso. Accanto alla porta vi erano dei
malesi formidabilmente armati.
Al sentire salire i gradini gli uomini di guardia avevano sguainato le scimitarre ed
impugnato le pistole, pronti a difendere il loro amato capo, ma subito riconobbero
Sambigliong, che disse loro:
262

- Amici sono io. Qualcuno avverta la Tigre che sono arrivato portando meco il
capitano che tanto cercavamo.
Subito un malese sollev un drappo rosso che mascherava una porta di legno
di tek quasi nera e spar all'interno della casa. Riusc un momento dopo e disse:
- Entrate, la Tigre vi aspetta.
Yanez e Sambigliong varcarono la soglia e si trovarono in un piccolo salone.
Seduto su un sof vi era Sandokan, la terribile Tigre della Malesia.

264

CAPITOLO TERZO

ASSEDIO NAVALE

I due uomini si fissarono ed i loro sguardi penetrarono ognuno nel profondo dell'altro.
A Sandokan apparve un uomo con la pelle leggermente abbronzata, come tutti gli
europei che sono stati per anni in mare, con i lineamenti del viso regolari, occhi e capelli
scuri, con due baffetti leggermente all'ins, ed un fisico snello ma muscoloso, alto circa
un metro e ottanta. Ma quello che maggiormente colp il capo malese fu ci che
esprimeva quel volto: un'indole coraggiosa ma non imprudente, un'acuta intelligenza,
sagace ed ingegnosa, ma soprattutto una sensazione gradevole e piacevole, favorita da
un sorriso cordiale, gioviale ed affabile. Tale positiva impressione si conferm
successivamente nell'animo di Sandokan sia durante il racconto di Sambigliong sia
durante il colloquio che ebbe poi con il portoghese.
Anche a Yanez non dispiacque quel primo incontro con il principe spodestato. Ci di
cui aveva fantasticato prima, nel senso di ci che si era immaginato circa quel pirata, era
uguale a quello che ora vedeva. L'alone di leggenda, di fascino e d'eroismo, cos come
glielo aveva anticipato Sambigliong, calzavano benissimo e si adattavano alla perfezione
alla Tigre della Malesia. Anche Yanez si trov a suo agio di fronte a Sandokan del quale
ricevette un'ottima impressione. E cos mentre Sambigliong, su richiesta del suo capo,
cominciava a narrare tutto ci che era accaduto, Yanez si guard intorno e vide con
stupore e meraviglia un ambiente sfarzoso e al contempo bizzarro. Mai avrebbe
immaginato di trovare in quel covo di pirati tanto buon gusto e cos gran numero
d'oggetti, d'arredi, di stili diversi. Le pareti erano ricoperte di soffici velluti e di ricchi
broccati; ogni tanto si vedevano delle mensole di legno nero sulle quali stavano
appoggiate bottiglie e bicchieri di cristallo, vasi e porcellane cinesi, arredi sacri e croci
d'argento. In alcuni angoli pendevano dai muri scimitarre con i manici finemente
cesellati, kriss di puro acciaio del Borneo con la lama serpeggiante, sciabole
d'arrembaggio con l'elsa intarsiata di rubini e smeraldi, e poi durlindane antidiluviane,
spadoni arrugginiti ed altre armi da taglio antiche.
Dai soffitti pendevano, sorrette da catenelle, lucerne ad olio e lampade a talco, che
diffondevano nella sala una luce tremolante ma al contempo calda, di cui la stanza ne
abbisognava dal momento che dalle due finestre presenti ne entrava molto poca, pur
essendo circa mezzogiorno, in quanto i vetri erano colorati di scuro e delle tende non
molto trasparenti impedivano al riverbero solare di spandersi nell'ambiente. Su di un
piccolo tavolo d'ebano, adorno di fregi d'argento, si trovava uno scrigno aperto,
pieno zeppo di sfavillanti monete d'oro, di collane di perle, di pietre preziose.
265

come turchesi, ametiste e topazi, che rilucevano in maniera particolare, proiettando sulle
pareti dei giochi di luce che sembrava si muovessero da soli.
In un pittoresco disordine, sparsi sul pavimento, vi erano preziosi tappeti persiani
trapunti d'oro, a volte non completamente svolti ed in alcuni punti laceri e consunti. Un altro
scaffale racchiudeva dei ventagli siamesi e numerosi libri, alcuni antichi ed altri addirittura
scritti a mano, rilegati con copertine polverose ed in pi parti sdrucite, mentre in una
vicina vetrina facevano bella mostra di se fucili inglesi, carabine indiane o vecchissimi
tromboni spagnoli.
Su di una specie di trespolo erano legate delle cerbottane, che contenevano
probabilmente dardi velenosi, mentre appesi a dei ganci si trovavano degli archi con le
faretre piene di frecce.
Da un baule semi aperto spuntavano svariati costumi orientali dalle fogge le pi diverse,

mentre da un altro, in parte rovesciato, apparivano delle cornici di quadri di dimensioni e
formati differenti, alcune d'argento altre d'avorio lavorato ed altre ancora di rame od oro.
Mentre Sambigliong narrava i fatti, senza nulla trascurare, Sandokan fumava attraverso un
curioso strumento chiamato narghil, una specie di recipiente di vetro chiuso, al cui interno
vi era un liquido che mischiato ad una miscela di tabacchi veniva portato alla bocca del
pirata grazie ad un lungo tubicino dal quale si aspirava il prodotto. La Tigre della Malesia
guardando divertita lo stupore disegnato sul volto dell'uomo bianco che non si stancava di
rimirare quel bizzarro arredamento, frutto di vari saccheggi, interruppe il discorso di
Sambigliong per dire al portoghese:
- Accomodatevi dove meglio credete.
Yanez si sedette su di una poltroncina con le frange qua e l strappate ma non per
questo meno preziosa delle altre presenti mentre il luogotenente continuava a narrare
enfatizzando la gherminella ai danni degli inglesi, cosa che fece ridere di gusto il prode
bornese.E mentre il racconto continuava Sandokan si alz, si avvicin a Yanez
puntandogli addosso due occhi che pareva balenassero, quindi prese posto sopra un
cuscino, incrociandovi le gambe alla moda orientale.
La Tigre ascolt tutto il racconto con viva attenzione, restando grandemente stupito
dalla sicurezza e dall'intelligenza dimostrata dal portoghese, nel beffare il capitano
britannico, ridendo ancor pi di gusto nell'apprendere del bigliettino lasciatogli
nell'ultimo sacchettino di chinino.
Terminato il resoconto si rivolse all'uomo bianco dicendogli:
- Sono lieto di avere con noi un brillante e coraggioso compagno. Avrete saputo che io
non sono diventato pirata per scelta, ma costrettovi dagli eventi: debbo ora, e lo sto gi
facendo da alcuni anni, vendicare il torto abominevole ordito dalla razza inglese, che
vuole assoggettare con ogni mezzo quella malese.
Yanez rispose:
- Sambigliong mi ha narrato, anche se succintamente, le vostre disavventure. Amerei
conoscerle con pi dettagli, purch il ricordare i tristi eventi non vi cagioni dolore o ire
inutili.
Sandokan parve riflettere un poco, dicendo poi con voce profonda:
- Ritengo doveroso narrarvi tutto, affinch voi possiate conoscere l'intero dramma
vissuto da me e dalla mia famiglia. Non voglio avere segreti con chi sar al mio fianco
per molto tempo.
Ed il bornese, con ricchezza di particolari, narr tutte le disavventure del suo regno. Yanez
segu il racconto commovendosi a pi riprese quando apprese delle numerose battaglie
e dei tentativi di rivincita naufragati nel sangue. Al termine della spiegazione il
portoghese, visibilmente coinvolto emotivamente, si alz in piedi e con ardore e slancio,
quasi fanciulleschi, disse:
266

- Sar ben lieto di mettere il mio braccio al vostro servizio. Da quel poco che avevo
capito da Sambigliong credevo che mi sarei arruolato in un esercito di rivoltosi contro
il predominio inglese; invece vi in gioco molto di pi: qui si tratta di riparare ad
enormi soprusi, a stragi efferate ed inaudite, onde ridare la dignit perduta ad un
popolo e vendicare episodi indegni per una nazione che dovrebbe essere civile come
l'Inghilterra, patria invece di spregevoli individui che si sono cos macchiati di un vero
genocidio. Se voi, altezza, mi vorrete, sar onorato di combattere sotto la vostra
bandiera rossa con in mezzo una testa di tigre.
Nel sentir cos parlare un bianco, anche Sandokan si era alzato, colpito dalla nobilt
delle parole usate dal portoghese e gli si era avvicinato tendendogli la mano:
- Sono molto felice di quello che avete detto, perch ritengo che le vostre parole
provengono dal pi profondo del cuore. Vi accolgo a braccia aperte e da oggi ci daremo
del tu, associandoti al comando delle nostre forze.
Yanez sent, per la prima volta in vita sua, un brivido di piacere corrergli per la schiena,
mentre provava un leggero giramento di testa, per questo immediato coinvolgimento da
parte di quell'uomo. Senza un attimo d'esitazione si precipit su quella mano aperta,
stringendola vigorosamente. Il colloquio era terminato.
Yanez da quella notte alloggi in una stanza attigua a quella di Sandokan, con un
ingresso indipendente.
Sin dai primi giorni di permanenza a Mompracem il nuovo arrivato fraternizz sia con i
luogotenenti sia con gli uomini che formavano il piccolo esercito di stanza su
quell'isola. Prese dimestichezza con la lingua malese, che ovviamente era la sola che
veniva parlata da quel popolo in lotta, a parte Sandokan che invece masticava un po'
d'inglese, un po' di francese ed un po' di cinese, appresi nei frequenti viaggi che aveva
compiuto da giovinetto o nei rapporti intrapresi con i commercianti stranieri che
venivano presso la reggia dei Muluder.
De Gomeira incontrava diverse volte al giorno Sandokan e cominciava cos ad affiatarsi
con lui, condividendone schemi di battaglia e metodi d'attacco, parlando sia
d'argomenti teorici riguardanti la guerra, sia d'argomenti pratici concernenti le opere di
difesa e della vita civile nell'isola.
Yanez apprese molte cose, ma altrettante ne insegn ai pirati, che in fondo erano ancora
dei semi-selvaggi: in particolare le sue cognizioni d'ingegnieristica o di meccanica
furono molto utili nella vita di tutti i giorni; infatti, riusc a ben organizzare la
distribuzione dell'acqua in alcuni fontanili presenti nel villaggio, attraverso le
condutture ricavate dai bamb che ben si prestavano a questo impiego, dovendo
affrontare delle contropendenze. In questo si avvalse delle sue conoscenze d'acquedotti
romani, un popolo, quello, all'avanguardia su tali discipline, come spiegava ai malesi,
che lo ascoltavano come degli alunni che apprendono delle lezioni interessanti a scuola.
Molti altri consigli, circa la pulizia del piccolo borgo furono subito messi in pratica:
venne costruita una specie di fogna che trasportava i liquami direttamente nel mare, ad
una trentina di metri dalla costa.
Vennero poi apportate delle variazioni al sistema difensivo, merito le buone
cognizioni che Yanez aveva in materia di gittata e di potenza di fuoco dei cannoni.
Finalmente dopo circa un mese di presenza costante sull'isola, giunse per Yanez
il momento della sua prima uscita per mare appunto per il lavoro e per l'incarico che
gli era stato richiesto e cio quello dell'approvvigionamento di generi di prima
necessita per l'isola. Si scelse quindi un equipaggio, un grosso praho da carico e part
finalmente in direzione di Sarawack dove contava di riempire le stive di prodotti
alimentari. Il viaggio fu tranquillo. In quel porto nessuno ebbe a che ridire circa
gli acquisti e soprattutto nessun ispezione sub quella nave, il cui capitano era un uomo
bianco.
267

Riempite le stive all'inverosimile Yanez fece ritorno felicemente a Mompracem senza
nessuna molestia da parte di navi nemiche. Il suo primo viaggio era stato perfetto.
A questi altri ne seguirono. Yanez era contento di assolvere quel compito, e Sandokan
poteva ritenersi soddisfatto del nuovo arruolato.
Per alcuni mesi questa nuova vita per il portoghese si svolse regolarmente, senza
incidenti. In realt Yanez avrebbe voluto partecipare a qualche abbordaggio, in quanto
la vita d'approvviggionatore gli sembrava un poco sedentaria. Ma Sandokan non voleva
che si esponesse troppo anche perch intendeva il pi possibile conservare il segreto
circa l'appartenenza di un uomo bianco nelle sue bande. Se, infatti, fosse stato visto
montare all'abbordaggio di qualche piroscafo, prima o poi si sarebbe saputo che tra le
tigri della Malesia vi era un bianco.
E' vero che Yanez con il brutto tiro del chinino giocato agli inglesi si era gi scoperto
da solo, ma era altres ipotizzabile che il comandante inglese, cos abilmente gabellato,
avesse tenuto per se quel segreto, visto che l'ammissione del vero essere del finto
mylord inglese era palesato solo nel foglietto contenuto nel decimo sacchettino di
chinino: che necessit avrebbe avuto il capitano inglese a divulgare quella beffa, che lo
avrebbe coperto di ridicolo, visto che in fondo quelluomo bianco non aveva apportato
nessun danno alla regia marina britannica?
Ed, infatti, nessuno ebbe a conoscere la notizia che un portoghese fosse in combutta
con i terribili pirati della Malesia.
Per un po' di tempo tutto trascorse serenamente a Mompracem sino a quando, una
mattina, una giunca cinese che riforniva l'isola di bevande e liquori, port una brutta
notizia: alcune navi inglesi si erano unite alla squadra olandese presente in quella zona e
veleggiavano in direzione di Mompracem. All'apprendere ci venne dato l'allarme
generale ed ognuno appront le difese sia terrestri che navali.
Sandokan dispensava ogni tipo d'ordini che i sottocapi si affrettavano a far eseguire.
Dai depositi di munizioni vennero fatti affluire nelle ridotte e nei terrapieni che
alloggiavano i cannoni i relativi munizionamenti. Sulle navi vennero caricate polvere e
palle in gran quantit, mentre gli uomini furono divisi tra chi si sarebbe imbarcato per
andare incontro al nemico, onde contrastarne l'avanzata verso l'isola, e chi sarebbe
rimasto a terra.
E qui Yanez, che era stato in silenzio ad ascoltare gli ordini della Tigre della Malesia,
pens di intervenire dicendo:
- Scusa, Sandokan se ti interrompo, ma vorrei darti un suggerimento, che spero possa
rivelarsi utile.
-Parla Yanez! Lo sai che stimo molto i tuoi consigli, specie in un momento come questo
- rispose il capo malese.
- Non credo che la nostra flotta composta da soli prahos possa fermare il nemico in un
combattimento navale. Se le informazione portate dal cinese sono vere, e nulla ci fa
supporre che non lo siano, avremo di fronte ben dodici navi, alcune formidabilmente
armate come le fregate o le corvette. Sarebbe per i nostri legni un sicuro disastro,
nonostante la bravura ed il coraggio dei nostri uomini. E questa disfatta abbatterebbe il
morale dei tigrotti rimasti a terra. Credo, invece, sia una buona mossa strategica far
allontanare i nostri velieri nella direzione opposta a quella dalla quale arrivano i nemici.
Al momento opportuno, se gli inglesi si avvicineranno, le nostre batterie costiere
apriranno il fuoco, contrastando il tentativo di sbarco delle truppe che sicuramente
verranno portate sulle nostre spiagge. Finch potremo resisteremo ai tiri nemici,
cercando di non far avvicinare le odiate navi alla costa. Se e quando ci non potr essere
pi possibile e verr deciso lo sbarco delle fanterie inglesi e al momento che le lance
e i canotti saranno in mare e le navi resteranno prive di centinaia d'uomini, atti a
difenderle, solo allora, tramite dei segnali che faremo con razzi colorati i nostri legni,
268

che si saranno tenuti a debita distanza, si muoveranno. Compieranno un larghissimo
semicerchio, raggiungendo la flotta nemica alle spalle ed abborderanno quindi le
navi avversarie i cui equipaggi restanti e le cui vedette saranno totalmente distratte nel
seguire lo sbarco in atto. Sar cos pi facile il loro compito di attaccare le navi e di
tentarne la conquista.
Sandokan ed i sottocapi presenti erano letteralmente strabiliati da questo piano, al quale
certo non avevano pensato, portati a studiare attacchi frontali e non certo simili
strategie, che denotavano grande talento militare e spiccata intelligenza. Sandokan
allora disse:
- Ritengo questo piano veramente formidabile con elevate possibilit di successo.
Faremo come tu hai detto. Che gli equipaggi si imbarchino e che le navi prendano il
largo allontanandosi il pi presto possibile. Si celeranno momentaneamente dietro
a Mompracem per poi prendere il largo e compiere un semicerchio, restando, per
quanto possibile in vista dell'isola.
Sambigliong, Tanadurian, Mayala e Kai-Mal si allontanarono allora di corsa
radunando gli uomini da imbarcare.
Yanez, aggiunse allora altri consigli:
- Caro Sandokan, siccome in guerra bisogna prevedere anche esiti negativi, onde poi
sfruttare al meglio eventuali rovesci, per trasformarli poi in vittorie, ti pregherei
di far attuare al pi presto, e se vuoi sotto la mia supervisione, un ulteriore mezzo di
difesa. Ritengo, infatti, che sia possibile uno sbarco da parte di eventuali invasori.
Potremmo quindi fare in modo che quello che a loro potr sembrare il preludio ad un
vicina vittoria si trasformi invece in un'orrenda disfatta. Penso, infatti, che sia cosa
opportuna minare alcuni tratti della costa che pi sembrano favorevoli ad uno sbarco.
Interreremo delle mine fatte con polvere da sparo racchiusa in barilotti, innescate da
micce che ci consentano di accenderle ad una buona distanza onde non essere travolti
dalle tremende esplosioni che si verificheranno. Quando i nemici vedranno che noi
abbandoniamo la prima linea crederanno di avere la vittoria in pugno e ci caricheranno
alla cieca senza tante preoccupazioni. Noi invece accenderemo le cariche e
trasformeremo la loro vittoriosa avanzata in una disfatta totale. Che ne pensi?
- Penso che questa eventualit, cio quella di un corpo di spedizione che sbarchi, sia
abbastanza remota. Le navi non possono avvicinarsi all'isola ed eventuali barche e
scialuppe sarebbero costrette a procedere lentamente, cosa che le renderebbe facilmente
vulnerabili. Per ritengo giusto essere previdenti, e siccome penso che tu sei un perfetto
stratega e che tutti noi abbiamo fatto un ottimo acquisto chiedendoti di arruolarti nelle
nostre bande, faremo come tu desideri.
Poi rivolgendosi ai suoi sottocapi, ordin:
- Giro-Batol, Patan, Hirundo, Kini-Dal seguite Yanez ed obbedite a lui come a me
stesso. Pi tardi verr anche io.
Si separarono. Yanez si mise allora alla testa di un manipolo di uomini esperti nello
scavo e nel maneggio di ordigni esplosivi. Vennero scelti alcuni punti della spiaggia ove
si poteva presumere sarebbe potuto avvenire uno sbarco, o perch la costa era bassa e
con minori scogli o perch il fondo marino era sufficientemente profondo per
l'avvicinamento delle lance cariche di uomini.
Si formarono due squadre: una di queste doveva eseguire una serie di buche ed una
sorta di traccia nel terreno in modo che ognuna di quelle fosse in comunicazione con
le altre; la seconda squadra avrebbe pensato a confezionare le mine. Le buche furono
scavate nelle rocce che si trovavano subito dopo il tratto di arenile che circondava il
luogo pi adatto ad un possibile sbarco.
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Le mine vennero confezionate per sviluppare la stessa potenza, usando quindi un
identico quantitativo di polvere da sparo, racchiusa in barattoli di ferro ben stipati, dai
quali fuoriusciva una piccola miccia.
Nel frattempo le navi pirata avevano preso il largo e si erano allontanate verso la
parte opposta dell'isola.
Il lavoro di scavo e di posizionamento delle mine dur un paio di giorni. Si lavor
giorno e notte senza posa. Ogni minuto era buono per completare l'enorme fatica alla
quale furono impiegate anche le donne.
Quando spunt l'alba del terzo giorno la vedetta, che si trovava sulla rupe pi alta
dell'isola segnal, con un ingegnoso sistema di specchi, che all'orizzonte erano in vista
delle navi nemiche.
Yanez che stava allestendo il luogo da dove si dipartivano le varie micce che si
allontanavano in direzione delle mine predisposte in luoghi lontani tra loro, trasse un
sospiro di sollievo dicendo:
- Abbiamo appena completato l'opera. Ora possiamo stare tranquilli!
Tutti puntarono lo sguardo all'orizzonte e videro prima due, poi cinque, quindi otto ed
infine dodici puntini neri, alcuni dei quali avevano una striscia di fumo. Alcune erano
quindi navigli a vapore come denotavano quegli alti pennacchi di densa caligine nera
che indicavano anche la direzione che stavano prendendo e la velocit. Alcune di esse
erano invece a vela. Pian piano si delinearono bene le loro sagome, i sabordi, le
bandiere. Erano cannoniere, corvette e fregate, probabilmente il meglio delle flotte
inglesi ed olandesi dislocate nella Malesia. Le bocche da fuoco assommavano a circa
duecento cannoni, mentre gli equipaggi non erano in numero inferiore a tremila soldati e
marinai: una bella forza d'attacco, che voleva dare un colpo definitivo a quella pirateria
nascente che gi tanto terrore e gravissimi danni aveva seminato su quei mari orientali.
A bordo rullavano i tamburi e tutti si predisponevano alla battaglia.
L'ammiraglio, che era stato nominato capo supremo di quella squadra navale, un
baronetto inglese, si trovava a bordo della fregata pi grande chiamata Tritoned
aveva gi dato l'ordine, tramite le bandiere di bordo, di far allargare a semicerchio le
navi, onde prendere nel mezzo l'isola per bombardarla per ogni dove, ma anche per
saggiare il luogo pi opportuno onde sbarcare.
Sulle navi vi erano anche giovani soldati alla loro prima battaglia o quanto meno al loro
primo sbarco come truppa d'assalto. I loro visi, ancora senza barba e con un'espressione
quasi fanciullesca, mostravano per molta determinazione e si aizzavano gli uni con gli
altri intonando inni patriottici ed invettive contro i pirati.
L'intero stato maggiore di quella flotta si era riunito la notte prima a bordo della nave
ammiraglia per concertare un piano d'attacco. In ognuno di quei rudi comandanti la
prossima battaglia era considerata come un normale avvenimento ove ciascuno voleva
dare mostra del proprio valore e di quello dei propri uomini. Tutti erano ben lieti di
poter concorrere a distruggere quella progenie di esseri spregevoli, quei schiumatori dei
mari e ci si preparava ad impartire disposizioni severissime alla truppa: assaltare sia le
postazioni militari sia quelle civili. L'ordine dato dall'Ammiragliato di Batavia per gli
olandesi e dal Vicer inglese di stanza a Singapore era di non dare quartiere ai corsari
e di radere al suolo ogni villaggio passando a fil di spada ogni abitante onde offrire
un esempio duraturo ed inequivocabile ai propri sudditi: ogni rivoltoso al regime
coloniale doveva essere giustiziato, anche se bambino, donna o vecchio.
Ed i vari capitani avevano fatto a gara, presso i propri superiori all'Ammiragliato e al
Governatorato per evidenziare la propria determinazione e il desiderio di essere ognuno il
primo a slanciare i propri fanti sulle spiagge dell'isola. Quindi era grande la trepidazione di
tutti su quelle navi ed ognuno non vedeva l'ora di sparare il primo colpo.
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Anche sull'isola dei pirati il fermento e l'ansia erano ben palpabili. Ognuno era conscio
che in caso di sconfitta la morte sarebbe stata sicura: per i pirati vi era l'impiccagione
senza alcun processo, nemmeno sommario. Quindi o si moriva sul campo di battaglia,
cosa che ognuno si augurava in caso di sconfitta, oppure si finiva appesi ad un pennone
con un nodo scorsoio al collo, cosa questa aborrita da tutti, poich era ben preferibile
una morte pi degna con il fucile in mano sotto la rossa bandiera. Nelle ridotte i tigrotti
erano pronti, ognuno al proprio posto, chi dietro ai cannoni, puntati gi in direzione
delle navi, chi dentro i terrapieni con le spingarde o i fucili, pronti a vomitare uragani
di palle contro i profanatori del sacro suolo dell'isola, chi nei fortini, pi o meno
protetti da tronchi d'albero ricoperti da terra e pietre, non disponendo i malesi n di
piastre metalliche n di cemento.
I loro animi erano talmente eccitati che ognuno voleva al pi presto scatenare un fuoco
di sbarramento contro gli invasori. Sandokan, con a fianco il portoghese, aveva poco
prima arringato i suoi tigrotti con queste infuocate parole:
- Miei prodi, tra poco palle e mitraglia dell'odiato nemico spargeranno tra di noi la
morte. Ma faremo tutti scudo, con i nostri corpi alla nostra amata isola che difenderemo
sino alla fine, impedendo con ogni mezzo l'invasione. Se dovessi essere colpito a morte
chi mi sostituir il nostro nuovo e valoroso tigrotto, Yanez, l'uomo che tanto ha gi
fatto per il nostro scoglio. Noi non temiamo la morte, anche se non vi nascondo che la
squadra navale che abbiamo di fronte potentemente armata. Ma non tremiamo, anzi
sono loro che hanno paura di noi, altrimenti non ci avrebbero inviato contro una simile
flotta. Resisteremo sino alla fine delle nostre energie e delle nostre cariche e se uno solo
di noi rester in vita dovr proteggere la nostra rossa bandiera che non sar mai
ammainata. Moriremo con un solo nome sulle labbra: Malesia. Mi giurate voi di
eseguire tutto ci?
Un boato rispose a questa domanda ed in segno di assenso cento e cento voci gridarono
il loro giuramento, levando in alto armi e braccia.
Poi ognuno corse al posto di combattimento in attesa di avere il nemico a portata di tiro.
Il cielo si era nel frattempo rannuvolato come se si fosse crucciato del triste destino che
avrebbe di l a poco crudelmente infierito su tutti quei combattenti col riuniti. Il vento
gagliardo gonfiava le vele di quelle navi favorendone l'avvicinamento all'isola. Ma ben
presto i loro comandanti si dovettero accorgere che non era per niente facile accostarsi a
quella terra. Gli scogli, come rigide sentinelle, ne impedivano il passaggio. Solamente le
cannoniere, che pescavano poco, avrebbero potuto passare fra quelle punte aguzze
seppure con difficolt.
Allora, facendo seguito ad un segnale convenuto, da quel semicerchio di navi, che
guarnivano come un anello quella verde isola, si stacc una cannoniera, la nave pi
piccola della squadra alleata. Si avvicin a piccolo vapore verso quello che poteva
sembrare un corridoio tra gli scogli, di fronte alla spiaggia principale e al porticciolo di
Mompracem. Sulla prua alcuni marinai con delle pertiche e dei scandagli si
adoperavano per misurare la profondit del mare o per individuare rocce semi
sommerse. Lentamente la nave si avvicin, sino ad arrivare a distanza utile per le
artiglierie dei tigrotti. Gi Sandokan aveva alzato in alto il braccio destro per comandare
il fuoco, quando Yanez lo trattenne dicendogli:
- Non impartire l'ordine del fuoco. Godiamoci lo spettacolo. Diamo la possibilit anche
alle difese naturali dell'isola di prestarci aiuto. Se esse fermeranno la nave vorr dire
che la sorte dalla nostra parte.
- Hai ragione Yanez, confidiamo in Allah e Garuda rispose il fiero malese.
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La nave procedeva sempre innanzi, compiendo ogni tanto dei piccoli semicerchi o delle
virate fulminee, evidentemente per evitare le punte aguzze degli scogli. Sicuramente a
bordo vi era un valente timoniere.
Gi la nave aveva oltrepassato pi della met del tragitto quando il mare che sino a quel
momento, nonostante il vento, si era mantenuto costantemente calmo, parve ribollire. Si
alzarono alcune corte onde, che sollevarono la cannoniera facendole oltrepassare alcune
formazioni corallifere, ma gettandola in un luogo ove non v'era pi possibilit d'uscita.
Allorch il comandante se ne accorse era ormai troppo tardi. Stava per comandare di
fermare le macchine quando si ud un cozzo e poi un rumore sordo ed acuto al
contempo, come di uno strappo: il fianco di tribordo, accanto alla prua aveva toccato.
Il capitano dette ordine di retrocedere, ma mal gliene incolse. Fatti non pi di venti
metri anche la poppa tocc violentemente quelle terribili madrepore, affilate come rasoi.
Questo secondo squarcio fu il pi grave: immediatamente la nave si pieg da un lato,
non rispondendo pi ai comandi del timone e delle macchine. Un'altra ondata
intervenne a risolvere definitivamente la situazione. Sollev il naviglio e, tra
spruzzi e schiuma biancastra, lo gett violentemente in mezzo a dei grossi scogli
appena affioranti. Si ud un lugubre suono, come di corpo che si spacca: la nave in
bilico su quelle formazioni corallifere si spezz in due parti, immediatamente.
L'equipaggio non ebbe il tempo di poter mettere in mare le scialuppe poich i due
tronconi di nave, pur non affondando, in quanto il fondo marino era basso, si piegarono
in acqua rovesciando all'unisono uomini, armi, cannoni, scialuppe, murate ed
attrezzature.
Un vero disastro. Alcuni superstiti si aggrapparono agli scogli, altri si diressero verso la
riva a nuoto, altri ancora si posero sopra qualche pezzo di murata o taluni pennoni che
erano caduti in mare.
Ma a questo punto intervenne Sandokan, che ritenne di non potersi pi trattenere: -
- Salviamo quegli sciagurati! Qualcuno metta in mare una scialuppa e li si vada
ad aiutare.
Ancora una volta nel suo animo era prevalso l'amore anzich l'odio. I tigrotti, che mai
discutevano i suoi ordini scattarono verso il porto, mettendo in acqua una piccola
scialuppa.
272

CAPITOLO QUARTO
INTELLIGGENZA E
CORAGGIO
Ma in quel momento dalla nave Triton venne sparato un colpo di cannone in direzione
proprio di quei generosi salvatori: la palla colp la prua della scialuppa devastando il
corpo di due malesi che vi si trovavano sopra. La piccola barca affond
immediatamente. Nel vedere quel gesto disumano, che mal ripagava la sua generosit
un urlo di tigre ferita si fece udire:
- Maledetti cani! Fuoco a volont contro quella dannata razza! Non vi trattengo pi o
miei tigrotti, uccidete tutti.
Il Portoghese, che aveva visto quell'assurda mostruosit era stato pi lesto di tutti: si era
precipitato su di un cannone, l'aveva puntato ed aveva fatto fuoco contro l'ammiraglia.
La palla del cannone spezz l'asta della bandiera facendola precipitare sul pcnte di
comando.
- Un colpo magistrale Yanez, complimenti - disse Sandokan.
Ma il suo parlare fu
interrotto dall'inizio del furioso cannoneggiamento: tutti i fortini dell'isola, vedendo
sparare dalla ridotta dove era alloggiata la Tigre della Malesia, cominciarono a far fuoco
sul nemico. Ma anche le navi inglesi ed olandesi avevano iniziato la battaglia con tutte
le bocche da fuoco delle loro fiancate, rinunciando cos ad ogni tentativo
d'avvicinamento o di sbarco immediato. La perdita della cannoniera aveva dimostrato
inequivocabilmente che non era facile avventurarsi in quel dedalo di scogli. Si prefer
quindi iniziare il bombardamento dell'isola almeno da quel lato.
Sul suolo di Mompracem iniziarono ad arrivare le prime granate. Anche le altre navi,
seguendo l'esempio dell'Ammiraglia erano avvampate come innumerevoli vulcani. In
pochi minuti tutte le artiglierie avevano cominciato a sparare sia a terra sia a bordo delle
navi da guerra. Nuvole di fumo, frammiste a fiammate avvolgevano la squadra navale,
scotendo il mare e gli stessi velieri; da terra si rispondeva con accanimento, colpo su
colpo. Centinaia e centinaia di boati riempivano l'aria: colonne d'acqua si alzavano di
continuo accanto ai velieri, facendo ricadere sui ponti potenti getti del liquido elemento,
bagnando le polveri ed infradiciando gli uomini serventi ai pezzi. Poi il fuoco dei
tigrotti si rettific e le navi inglesi ed olandesi cominciarono ad essere colpite con
precisione e ripetutamente.
E cos sul Triton cominciava a cadere un pennone, su di una cannoniera veniva colpita
la ruota del timone, su una corvetta era centrato l'albero maestro, che cadeva in mare
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274
Pag. 274 - .saltava in aria una ridottaveniva centrato un muroun
terrapieno esplodeva.


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trascinando con se tutte le vele, le sartie e i paterazzi e facendo inclinare su di un fianco
la stessa nave; sopra una fregata, gli uomini cadevano a grappoli falcidiati dalla
mitraglia che infilava il ponte da prua a poppa.
Ma se Atene piange Sparta non ride. Infatti, anche su Mompracem si cominciava a
provare la bravura dei cannonieri nemici e le relative devastazioni delle micidiali bombe
e granate. Qui saltava in aria una ridotta colpita in pieno da una granata, l veniva
centrato un muro di un fortino facendolo cadere con mille schegge che uccidevano o
ferivano tutti i suoi occupanti; un terrapieno esplodeva tra una nuvola enorme di
polvere, interi scogli, che avevano resistito millenni alla furia degli elementi marini,
erano travolti da una pioggia micidiale di bombe; da un lato dell'isola intere pareti
rocciose, intaccate dai proiettili avversari, lanciavano intorno terribili frammenti che
scarnificavano le membra ai poveri difensori, in un altro luogo la terribile mitraglia
spegneva la vita a decine e decine di malesi.
Col passare del tempo la battaglia assumeva proporzioni bibliche: sia le navi che l'isola
erano avvolti in una densa cortina di fumo che precludeva la vista dei puntatori e dei
serventi ai pezzi per interi minuti; questi dovevano attendere che il vento dissipasse la
coltre fumosa, simile a nebbia, per poter di nuovo prendere la mira. Le navi alleate a
volte presentavano lo stesso fianco, ma altre volte, su ordine dei vari comandanti,
viravano di bordo per scaricare anche i pezzi della fiancata opposta onde far riposare i
cannoni, ormai diventati roventi causa i tiri incessanti.
Trascorsero cos le prime ore di quella titanica battaglia dagli esiti incerti. Da parte
inglese vi erano attrezzature ben pi moderne: cannoni potenti, obici e mortai; ma il
territorio da bombardare era vasto e nessuno poteva ben sapere dove si trovassero i
fortilizi e dove invece non vi erano le strutture offensive.
Al contrario i pirati disponevano di cannoni per lo pi antiquati, di piccole dimensioni e
di scarsa gittata; ma avevano degli obiettivi ben individuati che, per paura di incagliarsi
nei bassifondi, si trovavano pressoch immobili.
Dopo circa sei ore di questa incessante lotta i primi effetti cominciarono a vedersi. Due
cannoniere inglesi ed una corvetta olandese avevano ricevuto dei gravi danni allo scafo,
al punto che la loro linea di galleggiamento era fortemente inclinata e nelle loro stive
l'acqua cominciava ad entrare a torrenti, attraverso i numerosi squarci prodotti dai
proiettili dei pirati. Una fregata, invece era in preda alle fiamme e tutti i marinai si erano
gettati sulle pompe e sui manicotti per spegnere l'incendio, trascurando cos il
combattimento. Molti i morti, tantissimi i feriti, che cadevano in mare o sui ponti delle
navi, sui casseri o nei sottoponti ove le truppe da sbarco si erano riparate per essere
meno esposte ai colpi dei cannoni avversari. Alcuni infermieri, coordinati dagli ufficiali
medici cercavano di soccorrere pi gente che si poteva. Su ogni nave era stata allestna
una sorta d'infermeria, ove venivano trasportati i casi pi gravi.
Le rimanenti navi continuavano al contrario un fuoco d'inferno contro Mompracem,
dove i tigrotti avevano da qualche tempo cominciato a soffrire gravissimi danni ed
ingenti perdite. Sandokan, pur riparandosi nei fortini, si spostava da un luogo all'altro,
percorrendo i camminamenti che solo in parte lo proteggevano dal fuoco nemico.
Visitava le fortificazioni, incoraggiava i tigrotti, incitava gli uomini che vedeva
depressi, ordinava a tutti di creare nuovi baluardi contro quella incessante pioggia di
proiettili.
- Giro-Batol, prendi dieci uomini, sposta quelle macerie e disseppellisci quel cannone
cercando di rimetterlo in linea di fuoco! Hirundo aiutami a soccorrere questo malese,
sollevando quel trave che gli caduto addosso! Kini-Dal, bada a centrare quella nave
che mi sembra abbia i cannonieri pi bravi della flotta! Patan, seguimi, poich
dobbiamo correre al lato ovest ove poco fa ho sentito una terribile esplosione: non
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vorrei che fosse saltato il deposito delle polveri! - Cos gridava la Tigre della Malesia ai
suoi tigrotti, che prontamente lo ubbidivano con intelligenza e spirito di sacrificio. Dal
canto sufanez non stava certo inoperoso. Si trovava in una postazione ove era stato
collocato un grosso cannone, molto moderno, acquistato in un porto inglese durante
un viaggio che lo stesso portoghese aveva compiuto per rifornire l'isola. Con quello,
che aveva scelto lui stesso poich a tiro rapido e collocato su un perno girevole, aveva
preso molta dimestichezza, giacch vi aveva gi effettuato delle prove di tiro durante il
suo soggiorno a Mompracem, ed ora cannoneggiava in continuazione la flotta nemica
provocando un'infinit di danni agli scafi, alle attrezzature, ai soldati stessi, alle
alberature. Pochi erano i colpi che sprecava. Purtroppo dopo tre ore di tiro rapido il
pezzo era diventato bollente e vi era il rischio che potesse esplodergli sotto le mani. La
sua preoccupazione non era certo di morire ma di non essere pi utile alla causa comune
nel momento del maggior bisogno e cio quando il corpo da sbarco inglese avrebbe
posto piede sull'isola. Infatti, nonostante l'eroismo dei difensori, la situazione stava
volgendo al brutto per i pirati. Yanez, molto realista, comprendeva benissimo che le
forze messe in campo dagli avversari erano preponderanti, moderne e di gran lunga
superiori agli assediati. Sia il volume di fuoco degli alleati, sia il numero stesso dei
pezzi, ben pi numerosi di quelli dei pirati, dovevano alla fine fare la differenza a
scapito delle tigri della Malesia. Inoltre le bombe e le granate usate dagli inglesi
esplodevano producendo danni diretti e danni indotti, come le schegge che se non
uccidevano, mettevano fuori combattimento un gran numero di pirati, mentre le palle
degli assediati erano quasi tutte piene e non dirompenti, e quindi producevano un danno
ben pi limitato.
Anche Sandokan dovette ben presto capire che la situazione non poteva durare ancora
a lungo. Pi della met delle bocche da fuoco in suo possesso erano state costrette al
silenzio, mentre un buon numero di malesi era stato ucciso o ferito gravemente. Pi
visitava le ridotte e pi si rendeva conto che lo squilibrio delle forze andava aumentando
a tutto favore degli oppressori. Pur notando con piacere che erano ormai cinque le navi
alleate che erano uscite fuori dalla linea di battaglia perch gravemente danneggiate, in
fiamme od affondate, la situazione a Mompracem stava diventando ben pi grave. Il
fuoco di sbarramento diminuiva di minuto in minuto, cosa questa che non era certo
passata inosservata all'ammiraglio inglese, che avrebbe potuto tra breve ordinare alle
truppe da sbarco di dirigersi verso le coste dell'isola. Sandokan, pur con la morte nel
cuore nel constatare lo sfascio e la rovina delle sue opere difensive, continuava ad
infondere coraggio nelle forze superstiti. Ma quale dolore provava nel vedere decine e
decine di tigrotti uccisi o agonizzanti; che dispiacere nel sapere di quelle vite stroncate
ancora una volta dall'odiato inglese che veniva a contendergli quellestremo pzzo di
terra faticosamente acquisito come sua ultima cosa a lui pi cara. Quanta tristezza nel
contemplare il villaggio che pur lontano dalla spiaggia, colpito da qualche potente
obice, stava ora bruciando velocemente spandendo per l'aria un odore acre, misto a
quello di carne bruciata, probabilmente di qualche vecchio che non era riuscito a
sottrarsi al rogo! Che pena a vedere donne, bambini e vecchie fuggire verso l'interno
trascinandosi appresso i pochi animali superstiti ed alcune care cose, mentre i piccoli
urlavano e piangevano per lo spavento e per il dolore.
Gli sembrava di rivedere il momento indimenticabile della strage orrenda compiuta da
Hold tra le sue genti nel Borneo, quando le popolazioni delle citt e dei villaggi
venivano sterminate dalle orde assalitrici, assetate di sangue.
Ed allora, nel vedere ancora questo scempio, proprio l a Mompracem, preso da un
eccesso d'ira e di mancanza di prudenza, Sandokan si slanci verso la spiaggia, allo
scoperto, dimenando la sciabola come un forsennato ed urlando invettive contro il
nemico, come se fosse gi sbarcato.
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Yanez, poco distante da lui aveva osservato la scena e subito, con uno scatto fulmineo,
si era slanciato dietro al suo nuovo amico, nella speranza di ricondurlo alla ragione e di
salvarlo da una sicura morte.
Lo raggiunse, alfine, ma solo perch il pirata si era fermato a ridosso del mare in atto di
sfida, e si gett su di lui, facendolo piegare a terra. Proprio in quel momento una potente
granata scoppi a pochi metri di distanza, ed una marea di schegge pass sopra alle loro
teste. Sandokan cui il tremendo scoppio era riuscito a fargli tornare la ragione e la
cognizione di quello che era accaduto, si rivolse a Yanez e con profonda gratitudine gli
disse:
- Mi sono fatto accecare dall'odio e non ho pi tenuto conto della mia vita. Ti ringrazio
per avermela salvata da una morte sicura. Da oggi tu sarai per me come un fratello!
Yanez che amava sempre sdrammatizzare le situazioni, anche le pi delicate, rispose:
- Oggi a te, domani a me! Tu comunque avresti fatto lo stesso per me. D'altra parte la
tua vita sarebbe stata sprecata se fossi rimasto ucciso in questo modo. Credo che sia pi
proficuo, per te ma anche per tutti noi che tu non la sacrifichi inutilmente poich
possiamo ancora vincere.
Sandokan stava per rispondere quando il grido di un malese lo interruppe:
- Tigre, gli inglesi stanno mettendo in acqua i canotti per l'invasione!
Sandokan e Yanez si rialzarono e corsero di nuovo all'interno dei ruderi del fortino
pi vicino. Yanez, ora zoppicava vistosamente e si comprimeva la parte alta della
gamba destra. Al largo si sentivano i tamburi rullare e le trombe suonare mentre
numerose scialuppe venivano calate in mare dalle rispettive navi, anche da quelle
che erano in procinto di affondare. Il momento dello sbarco era dunque imminente.
Purtroppo dall'isola non si rispondeva quasi pi. Anche il cannone di Yanez
era divenuto inservibile poich danneggiatosi per il troppo sparare. Gli
inglesi, evidentemente stanchi di tanta resistenza, volevano affrettare i tempi della
capitolazione totale dell'isola, anche a costo di vedersi mitragliare dalle ultime
difese ancora in funzione, mostrando cos la loro fierezza e lo sprezzo per quei
rivoltosi.
Sandokan allora dovette dare quell'ordine che tanto gli bruciava in gola e che
mai avrebbe voluto impartire:
- Ritirata o miei prodi! Spostiamoci verso l'interno!
Poi rivolto a Yanez disse:
- Ho il cuore in frantumi e mi sembra di impazzire.
Yanez, che non sembrava preoccupato pi di tanto, accese una sigaretta ed aspirando
con volutt una densa boccata di fumo rispose:
- Non tutto perduto. Dimentichi forse la nostra ultima arma di difesa? Vedrai
che fuochi d'artificio accoglieranno le truppe da sbarco. Mancher solo la banda
musicale. Salteranno in aria come tanti pupazzi di paglia sollevati dal vento!
Sandokan, sia che si fosse scordato, in quel tremendo momento, dell'ultima difesa
ideata da Yanez, sia che non vi riponesse eccessiva speranza, aggiunse:
- La perdita di tanti uomini mi ha fatto scordare del tutto la tua opera. Speriamo
che funzioni, dopo questo bombardamento. Non temi che i crateri aperti dalle
granate inglesi abbiano rovinato le micce?
Il portoghese rispose, sempre con il suo solito sorriso:
- Se il diavolo non ci ha messo la coda dovrebbe andare tutto liscio. In caso contrario
avr appena il tempo di fumarmi in pace quest'ultima sigaretta. Dammi una decina
d'uomini e conduci gli altri all'interno dell'isola. Non scordare di far salire un paio di
tigrotti sullo scoglio pi alto dell'isola onde dare il segnale convenuto alle nostre navi.
Vedrai che non tutto perduto.
- Ti mando subito gli uomini, Yanez.
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Poi Sandokan si allontan scotendo la testa in senso sconsolato.
E cos mentre la Tigre della Malesia si ritirava precipitosamente con i sopravvissuti a
quel bombardamento a tappeto, che ancora non accennava a smettere, raccogliendo ed
aiutando gli uomini pi malconci, molti dei quali venivano portati a braccia dai
compagni ancora in buona salute, l'europeo si diresse in una grotta naturale, quasi in
riva al mare da dove si dipartivano le numerose micce alle quali bisognava applicare il
fuoco a tempo debito. Anche nella mente di Yanez pass il dubbio che alcune corde
incatramate, che costituivano le letali conduttrici della fiamma alle mine, si potessero
essere interrotte a causa degli enormi crateri provocati dalla pioggia di proiettili.
Intanto le scialuppe nemiche iniziarono ad oltrepassare gli scogli e da quel momento il
bombardamento cess: ovviamente non si volevano colpire i propri commilitoni; e
poi sembrava agli attaccanti che le ridotte dei pirati fossero ormai deserte visto che
nessuno pi rispondeva n con cannoni n con fucili.
Allora, a costo di essere scoperti e presi di mira quanto meno dai fucili delle truppe
nelle lance, Yanez e il manipolo di malesi strisciarono fuori della grotta per verificare se
le corde incatramate fossero ancora integre, ed eventualmente per unire con tratti di
ricambio quelle che si fossero spezzate. E ben aveva fatto il portoghese a disporre quella
verifica perch, in effetti, alcune micce si erano guastate a causa appunto delle
esplosioni. Si tratt allora di ripristinare dei tratti mancanti, congiungendo i punti
spezzati e prolungando le corde incatramate che pi non si toccavano tra loro.
Febbrilmente, per paura di non fare a tempo, si cerc di ultimare il lavoro prima che i
fanti di marina giungessero a terra. Tutti si diedero da fare ed in breve i danni furono
riparati. Fatto questo i pirati si ritirarono dentro la grotta naturale che solo in parte era
stata colpita dalle cannonate e che doveva fungere da quartier generale per quella che
sicuramente era l'ultimo atto di tale combattimento.
Yanez si affacci ad una sorta di buco che era stato ricavato attraverso lo scoglio e che
dava in direzione del mare, che era ora coperto da una innumerevole fila
d'imbarcazioni. De Gomera rifletteva dal canto suo calcolando mentalmente il tempo
che sarebbe occorso affinch le micce, consumandosi lentamente, avessero a portare il
fuoco alle polveri nascoste. Doveva al contempo calcolare anche la direzione e
l'avvicinamento delle truppe nemiche che una volta sbarcate si sarebbero introdotte loro
malgrado all'interno del campo minato. Tutto questo onde far brillare le mine al
momento giusto e cio quando le schiere nemiche vi si trovassero al centro, n prima n
dopo, onde infliggere loro il maggior danno possibile.
Intanto le imbarcazioni si stavano avvicinando alla costa; a bordo di esse i
soldati intonavano canzoni ed inni patriottici sia allo scopo di spaventare i sopravvissuti
sia per infondersi maggior coraggio. Ogni lancia conteneva circa una trentina di fanti e
le imbarcazioni erano circa quaranta; ben presto, quindi, l'isola-sarebbe stata invasa da
un corpo di spedizione di oltre milleduecento uomini, numero di gran lunga superiore
ai circa cento tigrotti che ancora restavano in forza alla Tigre della Malesia, escludendo
i feriti, le donne ed i vecchi.
Yanez guardava quelle imponenti forze per nulla spaventato. Sembrava, invece, che la
sua attenzione fosse tutta rivolta al modo migliore per rimettere assieme una sigaretta
spezzatasi in due, che aveva tratto da una delle innumerevoli tasche che possedevano i
suoi abiti. Dopo averla finalmente rabberciata, l'accese ed il suo sguardo si divert ad
inseguire le volute capricciose del fumo che veniva risucchiato dalle correnti d'aria che
s'ingolfavano in quella grotta.
Di nuovo Yanez si avvicin a quell'apertura che fungeva da spioncino per sbirciare
fuori. I nemici remavano con lena mentre sulla prua d'ogni scialuppa alcuni fucilieri
tenevano sotto tiro le rovine fumanti dei fortini che bruciavano lentamente. Mancava
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ormai poco prima che toccassero terra. Il portoghese fece allora un cenno ai suoi uomini
in modo che si tenessero pronti all'azione: il momento cruciale era ormai giunto. Le
mine che aveva depositato sulla spiaggia erano state nascoste per un raggio di circa un
chilometro, proprio in quel punto della costa ove le imbarcazioni stavano per
attraccare. Altri campi minati erano stati preparati un poco pi lontano, ma non
sembravano essere per ora la destinazione delle truppe da sbarco.
Le micce che si dipartivano dalla grotta erano circa una decina. Si trovavano
leggermente interrate e comunque protette alla vista di chiunque onde nessuno potesse
scorgerle mentre sarebbero bruciate, e si dirigevano ognuna in un punto diverso, subito
dopo la bianca spiaggia che cingeva l'isola da quel lato. A loro volta ognuna delle dieci
corde incatramate generava altre micce in modo che a raggiera le mine si sarebbero
attivate, anche se una o pi delle prime dieci micce fossero state spente od interrotte.
Finalmente la prima scialuppa prese terra. Gli uomini alzarono i remi e si disposero allo
sbarco. Scesero nell'acqua marina bagnandosi appena gli stivaletti; trassero poi
leggermente a terra l'imbarcazione onde il mare non la spingesse al largo. Un triplice
urrah usc dalle bocche di quei soldati, che per primi avevano posto piede nel covo dei
pirati. Tosto sopraggiunsero anche gli altri. Tutti scesero. Alla loro testa si posero alcuni
capitani di fanteria riconoscibili per il casco leggermente pi chiaro e per la sciabola che
avevano sguainato.
- Sparpagliatevi a raggiera e procediamo in quella direzione - dissero, indicando proprio
la zona ove si trovava la grotta occupata dal portoghese.
Quello era il momento atteso da Yanez. I tigrotti, ad un cenno della sua mano, accesero
ognuno una delle dieci corde incatramate. Subito uno schioppettio si fece udire mentre
un acre fumo si levava in aria. Le micce bruciavano velocemente e le fiamme presero
ognuna una direzione diversa, verso il campo minato. Yanez ed i malesi si affacciarono
all'apertura, con molta precauzione onde non essere scorti. De Gomera contava i
minuti. Mentalmente con grand'ansia. Sarebbe bastato che i comandanti alleati
avessero intimato l'alt alle truppe perch le mine scoppiassero anzitempo, ben prima
del passaggio dei fanti. Invece tutto procedeva bene secondo i migliori progetti
dell'intelligente portoghese. Le micce erano coperte da pietre e da rami, o camminavano
dietro piccoli avvallamenti del suolo, in modo tale che difficilmente potevano essere
scorte. E poi chi vi avrebbe fatto caso in un terreno dove qua e l bruciavano ancora
tronchi, fortilizi e barricate?
I soldati risalirono la spiaggia e si diressero verso il terreno retrostante. Si muovevano in
ranghi serrati, divisi in compagnie, seguendo i rispettivi ufficiali. Non scorgendo nessun
atto d'ostilit gli ufficiali non avevano pensato a scaglionare le truppe, facendo
allontanare un drappello da un altro, come forse una buona strategia previdente avrebbe
consigliato.
Trascorsero alcuni minuti, che per i pirati sembrarono un'eternit, poich aspettavano
da un secondo all'altro il primo scoppio programmato.
Ed ecco che, quando le truppe da sbarco si erano per bene inoltrate nel terreno minato,
una violenta fiammata, seguita subito da una potentissima esplosione fece tremare il
terreno come se vi fosse in atto un terremoto. Per decine e decine di metri innumerevoli
corpi umani straziati erano stati sparpagliati provocando morte e distruzione. I fanti che
si trovavano pi vicini alla mina erano saltati per aria, ricadendo a brandelli per ogni
dove. Altre decine d'attaccanti erano caduti a terra a causa dello spostamento d'aria.
Un'enorme cratere si era formato, mentre una nuvola densa di fumo e polvere si stava
sollevando tutto attorno. I vari comandanti, non comprendendo che si fosse trattato di
una mina o di un colpo di mortaio sparato chiss da dove, impartirono l'ordine di
gettarsi a terra. Immediatamente un'altra deflagrazione scosse il terreno, poi due, tre,
sei, dieci, venti e poi tutte le mine esplosero allo stesso momento, innalzando in cielo i
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malcapitati soldati, miriadi di schegge, di massi, di tronchi d'albero, di sabbia e terra.
Sembrava un'eruzione di un vulcano, su di uno spazio vastissimo di territorio. Chi tra i
soldati non era stato ferito od ucciso dalla potenza della deflagrazione era stato colpito
dalle schegge e chi sopravviveva a questo massacro era stato travolto da una valanga di
massi che, dopo essere volati in aria, ora ricadevano a terra sotto forma di proiettili.
Quando quel terribile e devastante tuono di morte cess, il fresco vento serale cominci
a disperdere quell'immenso pennacchio di fumo e polvere.
Yanez ed i suoi tigrotti, anch'essi gettati a terra dalla scossa delle esplosioni, ma
fortunatamente illesi perch protetti dalle rocce della grotta, si rialzarono e poterono
cominciare a rendersi conto della desolazione provocata da quelle esplosioni. Si
vedevano crateri immani, ogni forma di vegetazione distrutta, alberi a terra carbonizzati,
corpi mutilati, uomini bruciacchiati, altri che ardevano, gente che si contorceva negli
spasimi dell'agonia mentre urla agghiaccianti di dolore disumano rompevano quel
silenzio surreale. L'effetto delle bombe era stato devastante e micidiale, Lo stesso
Yanez e i tigrotti non riuscivano a rendersi ben conto dell'effetto terribile di quelle
cariche di polvere da sparo.
Il portoghese, che nel cadere a terra era rimasto dolorante, si port una mano al fianco
destro, dove una scheggia l'aveva colpito quando aveva protetto Sandokan
dall'esplosione accaduta prima, e da quella ferita era ricominciato ad uscire
copiosamente il sangue. I malesi, che gi da tempo avevano notato quelle macchie
rosse, aiutarono il loro capo a stare in piedi, in quanto l'avevano visto vacillare. Nel
contempo gridavano di gioia per il successo pieno e totale di quello sterminio. Anche
Sandokan ed i suoi uomini, che avevano udito e visto lo sfacelo provocato dalle mine, si
erano slanciati in direzione della spiaggia. E cos tutti contemplarono i risultati di
quell'ecatombe: l'intero corpo di spedizione era annientato. Solo un centinaio d'uomini,
miracolosamente sottrattisi alla morte, perch scagliati in mare dalla deflagrazione, si
aggiravano come inebetiti in quel carnaio, forse increduli d'essere ancora vivi, anche se
con le vesti a brandelli e i volti e le membra anneriti dalla polvere. I tigrotti resi furiosi
dalle ingenti perdite inflitte dagli avversari e vedendo che quei soldati erano
praticamente impotenti, corsero loro addosso con l'intenzione di trucidarli. Yanez, visto
che Sandokan taceva, ebbe un anelito di coscienza e chiese salva la vita per quei
disgraziati. A Sandokan bast alzare la mano perch i suoi tigrotti fermassero i propri
istinti bellicosi.
- Catturateli e disarmateli - comand.
Da lontano, in mare, sulle navi alleate, comandanti e marinai non credevano ai
propri occhi. Prima le orribili esplosioni: sembr loro che l'isola fosse squarciata
da un immane cataclisma; poi la consapevolezza, imposta da un attento
esame col cannocchiale, che il corpo di spedizione era stato pressoch distrutto.
In tutti loro era sceso lo sgomento e l'angoscia pi profondi.
Mentre tutti osservavano quell'isola che si era trasformata in una tomba per oltre
mille commilitoni, ebbero un'altra incredibile sorpresa: udirono un furioso
cannoneggiamento alle loro spalle. Il tempo di volgere gli sguardi in quella
direzione che un uragano di ferro, piombo e fuoco cadde sulle loro navi: era la
flotta di Mompracem, che aveva aggirato il nemico, si era avvicinata non vista
ed ora lo attaccava risolutamente, cercando di stringerlo da presso onde
abbordarlo. Ma i comandanti, abituati ad ogni sorpresa, grazie alla ben nota
disciplina ed autocontrollo propria dei britannici, riuscirono a far fronte alla
sorpresa. I pochi marinai rimasti a bordo si slanciarono chi sugli alberi per
sciogliere le vele, chi nelle sale macchine per lanciare al massimo le caldaie
che per ogni evenienza non erano certo state spente. In men che non si dica le
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navi lasciarono gli ormeggi e volsero le prue verso il mare aperto.
I prahos pirati, continuarono il fitto cannoneggiamento nell'intento di provocare
almeno pi danni possibile al nemico che fuggiva. Infatti, sia gli inglesi, sia gli
olandesi non avevano certo voglia di impegnare battaglia in considerazione dei
pochi marinai che erano bastevoli solo per le manovre dei natanti e non certo
alla difesa e all'offesa. Alcuni colpi raggiunsero le alberature e gli scafi nemici,
provocando gravi danni, ma la forza delle macchine a vapore delle moderne navi
fecero s che i prahos rimasero tosto indietro, rinunziando all'inseguimento.
Era desiderio di Sambigliong, che comandava la flotta malese, tornare al pi presto
a Mompracem in quanto non poteva aver saputo che il corpo di spedizione nemico
fosse saltato in aria quasi interamente. Era quindi preoccupato e voleva prestare
man forte ai commilitoni, che giudicava potessero trovarsi a mal partito. Anche
se aveva ben inteso il fragore delle esplosioni, ma delle quali non conosceva
l'esatto esito, si era angustiato al punto da desistere subito da ogni desiderio di
inseguire a lungo i fuggiaschi. Quindi, scambiata l'ultima salva di cannonate
all'indirizzo dei fuggitivi, il luogotenente della Tigre della Malesia fece volgere
le prue dei legni verso l'isola, dove sbarc quando era gi notte.
Sandokan frattanto aveva tributato indimenticabili lodi ed encomi solenni a Yanez
e ai suoi malesi, che avevano salvato Mompracem dalla capitolazione totale. Yanez
assistette con un sorriso di gioia alle manifestazioni d'affetto a lui rivolte dal
principe e dai tigrotti.
II capo dei pirati, davanti a tutti, compresa la popolazione che era tornata dalla
fuga verso l'interno, gli disse:
- E' grazie a te e alla tua formidabile idea se la rossa bandiera con la testa di
tigre sventola ancora sulla rupe pi alta dell'isola. Dopo avermi salvato la vita hai
liberato il mio scoglio dagli invasori. Abbiamo dato al contempo una memorabile
lezione ai nostri mortali nemici, che non scorderanno facilmente. Da oggi tu
comanderai assieme a me, e tutti voi, o tigrotti, ubbidirete a lui come a me stesso.
Ti considero come un fratello di sangue.
E detto questo lo abbracci, mentre Yanez, che voleva nascondere la sua
commozione, sciogliendosi da quell'abbraccio, fece un inchino, rivolto a
Sandokan, levandosi il cappello di paglia e dicendo:
- Grazie dei complimenti, fratellino, ma non li merito. Non devi ringraziare me ma
l'inventore della polvere da sparo, che si chiama....
Non pot continuare la celia poich si afflosci a terra svenuto.
Sandokan tent di sorreggerlo abbracciandolo di nuovo. Lo depose delicatamente a
terra, mentre alcuni tigrotti gli mettevano sotto la testa un cuscino. Solo allora il deposto
rajah si accorse che Yanez era ferito gravemente ad una gamba e ad un fianco, da dove
perdeva sangue copiosamente. Alcuni malesi raccontarono a Sandokan come e
quando era stato raggiunto dalle schegge.
Sandokan, vieppi commosso per quell'atto di eroismo, lo prese in braccio come se
fosse un fanciullo, e lo port subito verso la sua capanna sull'alto della rupe. Depostolo
su un letto gli baci la testa, dicendo:
- Non ti voglio perdere, proprio ora che ho trovato un nuovo fratello, che amo come i
miei veri parenti di sangue.
Cominci quindi a denudarlo, aiutato da Sambigliong, che era nel frattempo corso dai
suoi capi, e da alcuni malesi che s'intendevano un poco di medicazioni e di medicina.
Provvidero allora a disinfettargli la ferita, lavandola accuratamente con acqua e sale. Si
accorsero che affiorava tra le carni violacee un corpo affilato e tagliente: era una
scheggia metallica. Sandokan, che non aveva ripugnanza del sangue, prese un coltello,
282

lo disinfett alla fiamma di una torcia e lo affond nelle carni di Yanez accanto alla
ferita. Il portoghese trasse un sospiro che sembr un rantolo. La scheggia venne per
asportata. Laltra ferita era poco preoccupante perch prodotta da una scheggia che
lo aveva colpito di striscio senza penetrare nel corpo. Allora il capo dei pirati vers
sulle carni palpitanti alcuni medicinali molto efficaci offerti dalla natura locale. Si
trattava di creme e balsami cicatrizzanti, che aveva raccolto nelle foreste dell'isola e che
ben conosceva perch ne usava quando, stando alla reggia, si adoperava a curare qualche
ferito.
La parte offesa maggiormente si trovava sulla coscia esterna della gamba destra: era una
ferita profonda, ma non sembrava avesse offeso irrimediabilmente l'arto. Sandokan
riavvicin allora i lembi del profondo taglio e fasci molto
strettamente la gamba. Poi somministr all'amico un febbrifugo ed una tisana calda.
Yanez aveva perso conoscenza ma quell'infuso tiepido gli fece riaprire gli occhi. Lanci
uno sguardo riconoscente al bornese e stava per dire qualcosa quando Sandokan gli
disse:
- Non parlare fratello mio. Devi solo riposare.
Yanez sembr obbedire subito perch richiuse gli occhi e si addorment.
Durante la notte ebbe un febbrone al quale Sandokan porse rimedio, facendogli bere
un'altra dose di quella bevanda naturale.
La febbre scem poi e scomparve all'alba del giorno seguente.

284

CAPITOLO QUINTO
INTRIGHI CINESI

La mattina dopo ed i giorni che seguirono per tutti i pirati furono momenti di gran
lavoro. Bisogn innanzi tutto seppellire i propri morti, circa centocinquanta, tante erano
state le vittime di quella battaglia epocale, sia tra i tigrotti sia tra gli abitanti del
villaggio ed i circa mille inglesi ed olandesi; questi ultimi furono messi in enormi fosse
comuni. Ma prima di tutto ci si occup dei feriti che erano circa una cinquantina: i pi
gravi furono medicati e messi a riposare in amache e letti, anche loro curati con
febbrifughi e con medicine naturali. Quindi si dette mano a recuperare i pochi
cannoni e spingarde salvatisi dal fuoco nemico. Una banda di tigrotti cominci a
costruire di nuovo il villaggio, completamente distrutto dall'incendio. Infine si pens
anche a curare i feriti nemici che insieme ad altri loro connazionali erano stati catturati in
giro per lisola, sbandatisi dopo le esplosioni.
Quando questi compiti vennero completati si pens all'ultima cosa, quella che sarebbe
stata la pi lunga e laboriosa: riedificare i fortilizi e i baluardi quasi completamente
distrutti onde rendere Mompracem di nuovo inespugnabile. Yanez dopo una settimana di
convalescenza, grazie alle attenzioni di Sandokan e a quelle dei malesi e dei dayacchi che
facevano a gara per aiutarlo e per servirlo, si alz e fece i primi passi. Zoppicava
vistosamente ma la ferita si stava cicatrizzando in fretta, senza ulteriori problemi.
Sandokan era felicissimo di ci e poi era raggiante poich aveva trovato in lui un alter
ego: un prezioso alleato, coraggioso e sagace come meglio non avrebbe mai desiderato.
De Gomera, dal canto suo, era ben soddisfatto di questa nuova vita e di quella bellissima
isola che ormai considerava come se fosse il suolo natio. Amante delle avventure,
idealista e generoso, aveva sempre sognato di sposare una giusta causa per difendere i
deboli contro gli oppressori e ora si trovava bene in quel ruolo, che gli calzava a
pennello, specialmente adesso che era diventato il "fratellino" del terribile capo pirata.
Inoltre le lodi e gli onori tributatigli da Sandokan e dai luogotenenti lo avevano colmato
di felicit e fatto sentire completamente integrato in quella nuova societ, in fondo tanto
diversa dalla sua per lingua, usi, costumi, cultura e via dicendo.
In capo a dieci giorni Yanez si ristabil completamente. La ferita pi dolorosa che
pericolosa, lo aveva terribilmente indebolito, soprattutto per la copiosa perdita di sangue,
dovuta al fatto che non aveva nemmeno voluto arrestare l'emorragia per non sottrarre
istanti preziosi a quel momento cos drammatico dell'accensione delle mine.
285

Sandokan aveva molto apprezzato quel gesto ed ora che il portoghese era guarito faceva
di tutto per dimostrargli stima ed amicizia delle quali Yanez andava ben fiero.
I due capi della pirateria diressero personalmente le opere di ricostruzione del villaggio,
che era stato riedificato molto pi distante dalla baia onde non esporlo di nuovo ad un
possibile attacco futuro.
Le opere di fortificazione vennero invece portate innanzi con lentezza, poich i tigrotti
disponibili ai lavori erano solo un centinaio, pi i feriti che andavano gradualmente
guarendo, a parte una decina che aveva trovato la morte per le complicazioni causate
dalle ferite. Comunque le opere di difesa dovevano essere completate con nuove
casematte, con fortini pi grandi, con profondi fossati, con innovazioni nelle tecniche di
difesa, frutto d'invenzioni del portoghese: si trattava di montare dei pali molto aguzzi
messi in orizzontale rispetto al terreno su tre ordini di file assai strette tra loro in modo
da costituire un insormontabile baluardo ad eventuali truppe da sbarco. Non esistendo
n filo spinato, n reti di ferro, tale idea avrebbe fatto trovare di fronte al nemico
avanzante una quantit di punte acuminate che dovevano essere unite tra loro da una fitta
ragnatela di funi e di sostegni di legno o ferro.
- Nemmeno se sbarcasse un reggimento di cavalleria sarebbe facile per i quadrupedi
oltrepassare questo sbarramento - aggiunse Yanez nel sottoporre quel progetto al suo
"fratellino".
- Senza contare - seguit Sandokan - che noi non staremo certo con le mani in
mano a guardare, senza sparare loro addosso! Comunque per realizzare
quest'enorme lavoro occorreranno nuovi tigrotti che andrai ad arruolare non
appena ti sarai ristabilito.
- Quali sono i prossimi ordini che intendi dare per il futuro, Tigre della Malesia? -
chiese il fedele Sambigliong, che era presente alla discussione - Tra alcuni giorni le
tracce del furioso combattimento saranno cancellate del tutto.
- Dobbiamo mandare alcuni prahos, comandati da Yanez, a fare acquisti di nuovi
cannoni, spingarde, polvere da sparo e proiettili. Approfitterete anche per
riempire le stive di grandi quantit di viveri: le scorte sono quasi terminate anche
a causa del fatto che abbiamo dovuto nutrire quel centinaio di soldati inglesi ed
olandesi che facemmo prigionieri. Comunque la tua partenza - disse ora
rivolgendosi al portoghese - non potr avvenire prima di una decina di giorni.
- E perch, fratellino?
- Perch voglio che ti rimetta in forze completamente. La ferita si deve cicatrizzare
totalmente.
- Ma io sto benissimo! - protest il portoghese - Anzi, andare per mare giover
meglio alla definitiva guarigione. Tra l'altro vorrei dare, col tuo consenso,
disposizione a tutti i sottocapi dei vari prahos affinch prendano informazioni, le
pi dettagliate possibili, circa eventuali desideri di rivincita da parte degli inglesi.
Sar bene, inoltre, istituire una fitta rete d'osservatori o di spie che ci segnali per
tempo se altre squadre inglesi od olandesi decidano di attaccarci di nuovo.
- Non avevo pensato a questo, caro fratello, ed approvo in pieno tale idea. Saremo
meglio pronti in caso di nuovi attacchi od al contrario potremmo pensare
maggiormente alla nostra attivit d'abbordaggio a vascelli commerciali. Si tratta
ora di decidere cosa fare dei prigionieri che furono eroicamente abbandonati dalle
loro stesse navi.
- Mettiamoli a lavorare per il ripristino dei fortilizi che loro stessi ci hanno distrutto
propose Sambigliong.
286

- La cosa mi preoccupa - obiett la Tigre della Malesia - tenere ben cento uomini
prigionieri sar un compito non lieve per i miei centoventi tigrotti. Se si
ribellassero o fuggissero, sarebbe un bel problema.
- Ed allora imbarchiamoli sui prahos in partenza; - sugger il portoghese -
faremo tutti vela verso la vicina costa del Borneo ove li sbarcheremo. Poi ogni nave
prender la direzione convenuta per gli acquisti appena decisi.
- Mi sembra l'idea migliore. Ti confesso che non mi andava di veder girare per i
fortini tutti quei maledetti inglesi - concluse il principe spodestato.
Convennero quindi che i legni sarebbero partiti l'indomani, senza indugiare oltre.
E cos la mattina seguente, lasciando solo un veliero alla fonda dell'isola, per ogni
evenienza, tutti i prahos presero il largo.
La Tigre della Malesia rimase a terra per ultimare il ripristino delle difese. Le navi
con a bordo i cento prigionieri si diressero come stabilito verso la grande isola
malese, dove furono sbarcati con le scialuppe, tra le derisioni e gli insulti dei
tigrotti. Poi ogni veliero prese una direzione diversa: alcuni si diressero verso
Singapore, le isole Celebes, Timor, i rimanenti verso altri luoghi del Borneo per
visitare i porti di Labuk, Labuan, Varauni, Sarawack e Brunei.
Il portoghese si trovava a bordo di un grosso praho che aveva ribattezzato
"Bomboleta", che in portoghese vuoi dire farfalla. Ed, infatti, aveva fatto
inalberare la bandiera di quella nazione, facendo vestire alcuni dayacchi con delle
casacche appropriate che aveva scovato in un cassone, frutto dei soliti abbordaggi.
Se si fossero incontrati con qualche nave che avesse intimato loro una visita a
bordo Yanez non avrebbe certo avuto difficolt a recitare la parte del suddito della
penisola iberica.
Il mare era eccezionalmente calmo e sulla scia del veliero, tra un'increspatura
spumeggiante e l'altra guizzavano due squali, animali questi che normalmente
seguono le navi in viaggio su quei mari, sperando di potersi cibare dei rifiuti che
vengono gettati in acqua o di qualche marinaio che accidentalmente fosse caduto
nell'azzurro elemento. Le vele erano un poco afflosciate in quanto il vento non era
gagliardo, ma la meta non era lontana ed in un paio di giorni il "fratellino'" della
Tigre della Malesia contava di arrivare a destinazione. A bordo si trovavano solo
dieci uomini in quanto essendosi imbarcati su tutti legni in partenza ben novanta
uomini, a terra erano rimasti solo una trentina di malesi appena sufficienti per
ultimare le opere a difesa dell'isola. I dieci marinai erano, in effetti, il minimo di
uomini sufficienti per governare le alte alberature della nave e le rispettive
vele, ma Yanez aveva in mente un progetto. Il suo piano era di arruolare altri
uomini, malesi o dayacchi, giavanesi o sumatrini, possibilmente gente fidata, onde
poter rimpinguare le file dei pirati, pi che dimezzate dalla crudele battaglia. Anche
gli altri capi pirata avevano lo stesso desiderio: reclutare pi uomini possibile. Il
portoghese diresse quindi la "Bomboleta" verso il villaggio di Santubong, uno
dei piccoli porti che sorgevano lungo la costa della regione del Sarawack, ove in
breve arriv. Una volta sbarcato si rec a salutare il governatore di quel posto, onde
chiedergli il permesso d'acquistare le merci di cui aveva bisogno.
Il vassallo del rajah si dichiar disponibile ad indicargli i mercanti che facevano al
caso del nostro eroe. Yanez non ebbe quindi difficolt di sorta, quale suddito
portoghese a comprare una grossa quantit di riso ed un numero considerevole di
barili di polvere da sparo, con i quali riemp quasi tutta la stiva. Il governatore
del rajah era, per, un uomo molto furbo e terribilmente smaliziato e
come tale diffidava di tutto e di tutti.
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Ritenne strano che un europeo fosse a capo di un piccolo gruppo di malesi e
dayacchi e che comandasse un praho, cio un legno orientale e non un veliero
europeo. Altres non gli sembrava logico che un mercante, quale Yanez si era
professato di essere, si recasse in un piccolo scalo come il suo villaggio, e non in un
grosso porto commerciale, come il vicino centro di Kuching, che era tra l'altro
proprio la capitale del Sarawack, ove sicuramente poteva fare affari pi lucrosi e
dove gli era pi facile approvvigionarsi di generi diversi..
Per questi motivi, mentre Yanez era in trattative con i mercanti ai quali lo aveva
indirizzato, il governatore chiam un servo e gli ordin di recarsi subito da un suo
fido collaboratore, un cinese di nome Li-Sciao, ben noto negli ambienti portuali,
poich era un procacciatore di mano d'opera e dedito alla piccola pirateria. Il
governatore chiudeva un occhio per questi illeciti affari, in cambio di ogni tipo di
servizi, altrettanto illegali, per i quali spesso richiedeva l'aiuto del cinese.
Per questo motivo Li-Sciao accorse prontamente alla chiamata del tributario del
sultano.
- Comanda mio onorevole padrone, il tuo servo ti ubbidir ciecamente - cos lo
salut entrando nella dimora del suo ospite.
- Ascolta, Li-Sciao. In porto alla fonda un veliero malese, comandato da un
portoghese. La nave batte la bandiera di quella nazione. Mi sembra sospetto che
un uomo bianco faccia acquisti nel nostro piccolo villaggio: credo che abbia timore
di farsi vedere nella capitale. Potrebbe avere anche altri interessi da queste parti.
Voglio quindi che tu indaghi su di lui e scopra quale motivo lo meni da queste
parti. Sii prudente poich non voglio avere nessun problema con le potenze
europee. Se mi servirai bene e se scoprirai qualcosa il nostro sultano ci
ricompenser adeguatamente.
- Sarai servito presto e bene - rispose il cinese che non aggiungendo altro, fece un
profondo inchino e spar.
Uscito che fu dall'abitazione del preposto del rajah, fu attorniato da tre uomini della
sua stessa razza, che lo avevano scortato sin l, ai quali impart l'ordine di recarsi alle
varie bettole onde far girare la notizia che se l'europeo avesse avuto bisogno di
qualunque tipo di informazioni o di servigi, gli osti lo dovevano indirizzare allo stesso
Li-Sciao. In premio vi erano alcune decine di rupie. Nel frattempo il portoghese, che
soffriva a stare in ozio, mentre i suoi marinai stavano caricando la nave, decise di
compiere un giro per la borgata. Si arm per ogni evenienza e, scelti due malesi come
scorta, scese dal suo legno dove fervevano i lavori di ultimazione del carico acquistato e si
diresse verso le vicine case.
Cominci quindi a passeggiare sulle calate del piccolo porto, poi s'inoltr nelle viuzze
del villaggio. Erano stradine polverose, arse dal sole, frequentate da molti indigeni, tutti
dediti al commercio o alle coltivazioni agricole. Le viuzze erano puzzolenti, in quanto
quei borghi non erano certo dotati di fogne, per cui i vari rifiuti ed escrementi che
producevano gli abitanti, venivano lasciati agli angoli delle case, in attesa che topi ed
uccellacci locali se li divorassero. Vi sono in quei paesi, infatti, migliaia di grossi volatili,
chiamati marab o bozzagri, che vengono protetti da quelle popolazioni orientali in
quanto fungono da veri spazzini e scopini, poich si cibano di ogni cosa che trovano,
ripulendo cos in breve tempo ogni tipo di immondizia lasciato fuori delle case. Le
abitazioni erano costruite per lo pi con mattoni misti a legname, pitturate in parte in
bianco ed in parte lasciate color legno, mentre alcune di esse, forse di propriet di
qualche agiato mercante erano circondate da moderni giardini, rallegrati da alcuni
palmizi e da cespugli sui quali saltellavano uccellini e pappagalli multicolori.
288

Molti bambini, completamente nudi, correvano inseguendosi tra i vicoli o tra i
banchi di qualche venditore ambulante di frutta o tabacco.
Yanez acquist qualche mercanzia, pi per cercare di attaccare discorso con
qualche natio che per necessit.
Ma pur girando il piccolo borgo non incontr chi potesse rappresentare per lui un
uomo cui fidarsi a chiedere dove arruolare una ciurma per il suo legno.
In una piazzetta vide un negozio di ninnoli e cianfrusaglie, sulla cui porta era
seduto un grasso cinese che pareva sonnecchiasse.
Si avvicin e lo salut. Il cinese si alz con lentezza e si profuse in mille scuse per
non averlo visto da lontano avvicinarsi. Lo preg di entrare a visitare la sua
bottega, cosa che il portoghese fece con piacere, interessandosi ad alcuni ventagli
cinesi, molto belli con dei vivacissimi colori. Ne chiese il prezzo che pag senza
discutere, onde mettere maggiormente di buon umore il panciuto e rubicondo
cinese, al quale rivolse poi la seguente domanda:
- Senti, amico mio. Conosci malesi o dayacchi che vogliano imbarcarsi sulla mia
nave per un lungo viaggio?
- Onorevole signore - rispose il cinese, con molto garbo - Manci tutto conosce, ma
non si ricorda troppo bene. Purtroppo la mancanza di clienti ha provocato in
Manci salute e memoria cagionevole poich pochi acquirenti vuol dire poco
denaro e niente rupie significa niente salute.
- E niente salute vuoi dire niente memoria - aggiunse Yanez che voleva stare al
gioco di parole del furbo cinese.
- Molto onorevole straniero, parecchio perspicace, mi potrebbe aiutare a far
tornare memoria.
- Se ti do rupie, cio salute, tu avere di nuovo memoria? - domand celiando il
portoghese.
- Rupie ottima medicina per mia mente velata dalla vecchiaia - rispose il figlio del
celeste impero.
Al che il pirata tir fuori dal suo portafoglio un rotolino di carta moneta e glielo
mise nella mano grassoccia dicendogli:
- Ora la medicina te l'ho data. Sputa fuori tutto ci che m'interessa di sapere e
cio se e quanti uomini fidati posso arruolare e dove posso trovarli.
II celestiale rispose:
- Gli uomini che cercano lavoro sono come le api: ce ne sono tante, come attorno al
miele. Ma c' una regina che comanda le api e se questa sovrana non acconsente
nessun uomo potrai avvicinare, poich qualche pungiglione ti potrebbe arrivare.
- Ora parli anche in versi, figlio di Confucio? E chi quest'ape regina?
- E' colui che comanda tutti gli abitanti del villaggio.
- Alludi forse al governatore?
- No; lui comanda alla luce del sole, mentre chi dico io comanda sotterraneamente
- rispose con un sorriso misterioso il cinese - Si chiama Li-Sciao. Se ti recherai ad
una qualsiasi taverna del paese, ogni oste ti indirizzer da lui. Per . . . .
- Per? - lo incalz il portoghese.
L'uomo giallo esit. Si pass una mano sulla fronte, come se stentasse ad
aggiungere qual cos'altro, che forse doveva essere molto importante. Sembrava
combattuto da qualche pensiero. Poi disse:
- Non ho altri vuoti di memoria, mio onorevole ospite, ma ti potrei dire qualcosa di
molto importante che potrebbe aiutarti a preservare il tuo corpo dai pungiglioni,
solo che ci potrebbe essere di grave pericolo anche per me. E poi non sono solito
tradire i miei fratelli. Per questo segreto lo vorrei rivelare in quanto sono stato
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gravemente offeso e non ho avuto da lui altro che ingiurie e minacce al posto delle scuse.
Nessuno in questo luogo ha il coraggio o la forza di giocare un brutto tiro a questa
persona, a meno che non sia, forse, un europeo. Quindi te lo potrei anche dire, ma ad un
patto.
- Sentiamo cosa vuoi - chiese interessato il portoghese.
- Quello che domando non facile avere, come le rupie. Vorrei andare via da
questo luogo, ove gli affari sono quasi nulli e dove la prepotenza quotidiana. Se
non arrivano le tasse del sultano vi la rapina quotidiana di questo ... vampiro.
- E' singolare che un celestiale si esprima con questi termini di un suo compatriota;
- interloqu il nostro eroe Perch tu stai parlando proprio di Li-Sciao, nevvero?
- Ebbene si! - soffi con un fil di voce il panciuto individuo.
- E allora dimmi tutto; in cambio ti permetter di venire con me sulla mia nave.
Ma ti avverto! Se vuoi tendermi un tranello ti far scuoiare vivo dai miei uomini.
- Ma come far ad imbarcarmi senza essere visto dalle numerose spie che
brulicano gi al porto?
- Far venire qui al tuo negozio quattro robusti malesi della mia scorta che
caricheranno sulla nave quel grosso cassone l - e Yanez indic un baule che si
trovava sotto la finestra all'interno della bottega del celestiale- dentro a quello vi
troverai posto tu. Una volta salito a bordo non ti dovrai pi preoccupare di nulla.
- Mi fido di te, mio onorevole uomo bianco. Sai che i miei connazionali sono
tristemente famosi in tutto il mondo per le raffinate torture alle quali sottopongono
i traditori?
- Ti dico di non preoccuparti. Ho una sola parola e ti giuro che nessuno ti torcer
un capello, nemmeno belzeb in persona. Ma ora dimmi il tuo segreto, poich mi
sto spazientendo di tutte queste inutili chiacchiere.
- Ti dir tutto - sospir il cinese.
Poi si guard attorno, assicurandosi che da dove stavano discorrendo nessuno potesse
ascoltarli, quindi con voce circospetta e spaventata inizi il racconto.
- Da molti anni gli inglesi, e il rajah di Sarawack, chiamato Muda Hassin, hanno
prezzolato numerose spie, dislocate lungo i vari centri e villaggi della costa. Gli
inglesi, hanno gregari ovunque, anche nel Brunei, o a Labuk. In questo paese Li-
Sciao al soldo sia degli inglesi, sia di Muda-Hassin. Segnala loro qualunque cosa,
cospirazioni, azioni di pirati, brigantaggio, contrabbando e quant'altro possa
nuocere a chi ha il potere. Pensa che ultimamente ha fatto arrestare una decina di
malesi che volevano recarsi in un'isola a largo per arruolarsi in una banda di
pirati, capitanata da un certo Sandokan, sul quale gli inglesi hanno posto una
grossa taglia. Anche il tuo arrivo in questo posto e i tuoi acquisti di mercanzia
hanno destato dei sospetti. Un inviato di Li-Sciao venuto anche da me a dirmi di
riferirgli se tu fossi passato alla mia bottega o se avessi fatto cenno circa gli scopi
del tuo soggiorno e qualunque altra cosa che potesse interessarlo. Ma quello che
pi conta che questa sera due cinesi ti chiederanno di essere imbarcati sulla tua
nave per meglio spiarti e se del caso si adopereranno per sabotarla una volta a
largo. Successivamente si avvicineranno due giunche di pirati che di solito
abbordano le navi straniere in partenza dai porti della costa. Le giunche vengono
avvisate con dei razzi sparati dalle stesse spie. Credo di averti raccontato tutto.
- Se ci che mi hai raccontato vero - disse Yanez - e lo spero vivamente per la tua
integrit fisica, il servigio che mi rendi molto grande e vedrai che sapr
ricompensarti in misura ragguardevole, ben oltre il favore che di portarti via da
questo lurido posto. Credo sia pi prudente non prolungare oltre questo colloquio,
onde non destare sospetti su chi ci dovesse eventualmente spiare. Ora torner a bordo
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della mia nave; dopo pranzo mander i malesi a prenderti, dando loro precise
disposizioni. Tu fatti trovare pronto. Per ora ti ringrazio della tua collaborazione.
Arrivederci sul praho.
Detto questo, mentre il cinese si sprofondava in un inchino il nostro eroe usc dal
negozio sempre seguito dai suoi malesi.
Dentro di se pensava:
- Chi l'avrebbe detto? In uno sperduto porticciolo di un minuscolo villaggio,
scelto da me proprio perch avrebbe dovuto essere pi sicuro per i miei affari, chi
vi trovo? Nientemeno che una fitta rete di spie legata a doppio nodo al sultano
locale e , manco a dirlo, agli inglesi i cui loschi affari coinvolgono e controllano
come una piovra sia lavoratori del posto sia negozianti. Non solo! Ma in questa
banda vi sono oltre i briganti di terra anche i pirati di mare. Stiamo molto in
guardia caro Yanez. Qui non abbiamo di fronte gli inglesi ma un briccone di cinese
ben pi scaltro ed infido. Vedremo di gabbare anche questo uccellaccio da rapina.
E mentre cos pensava si accese una sigaretta, che ben gli conciliava la riflessione.
Quando arriv al porto non era pi meditabondo ma di nuovo gaio e giulivo: aveva
infatti escogitato un modo che forse avrebbe messo non solo al sicuro la sua
missione ma dato anche una lezione a questi nuovi nemici.
Sal a bordo della "Bomboleta" ed ordin a sei malesi di portarsi presso il negozio
del cinese, ove avrebbero dovuto caricarsi di un baule con lo stesso celestiale al suo
interno.
I malesi partirono e Yanez attese il loro ritorno controllando che il carico fosse
stivato bene.
Non dovette attendere a lungo perch in capo ad un'ora i marinai erano di ritorno,
ma senza il cassone.
Appena saliti a bordo Yanez li interrog.
- Capitano, rispose un malese - appena siamo entrati nella bottega, abbiamo visto il
cinese a terra in un lago di sangue. Era stato pugnalato al cuore. Nel pugnale vi era
incastrato questo foglio che ti abbiamo portato.
Yanez, turbato da questa notizia, prese il pezzo di carta che il malese gli porgeva e
vi lesse le seguenti parole, in parte coperte del sangue dello sventurato celestiale:
"l'uomo sciocco parla, l'uomo saggio tace".
- E' chiaro - ragion il portoghese - che qualche sgherro di Li-Sciao ci ha veduti
parlare a lungo e ne avr riferito al capo, il quale avr provveduto a far tacere per
sempre quel povero celestiale, la cui unica colpa stata di volersi confidare con me.
E questo messaggio, che in pratica una massima cinese, rappresenta un
avvertimento anche per me. Ma faremo buon uso di ci che il cinese mi ha
raccontato e giuro che lo vendicher.
Poi rivolto ai malesi che gli stavano intorno, aggiunse:
- Rafforzate la guardia e tenete gli occhi ben aperti. Ora che avete ultimato di
caricare le mercanzie non fate salire a bordo nessuno.
Detto questo scese a riva e con i soliti due marinai di scorta, armati sino ai denti; si
incammin verso una bettola che si trovava nelle vicinanze. Doveva ora assolvere la
seconda parte della sua missione, cio quella di arruolare nuovi combattenti. Ma al
contempo voleva ora dare una bella lezione a Li-Sciao.
Pi che di un'osteria si trattava di una luridissima taverna. Sporca come poche
ne aveva viste, ove probabilmente mai nessuno provvedeva a lavare per terra da anni;
aveva le pareti, il bancone delle mescite, i soffitti, le sedie e i tavoli ricoperti da una
strato di grasso che aderiva ai pantaloni o ai bicchieri che vi si posavano sopra.
Yanez, certo non schizzinoso, non vi fece soverchio caso, mente si accorse che, una
volta accomodatosi con i suoi due compagni, tutti gli occhi degli avventori si erano
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posati su loro tre. Non era una fatto quotidiano che un bianco entrasse in un posto del
genere. Il portoghese, facendo finta di non essersene accorto, chiam il
taverniere ed ordin un bicchiere di Porto per lui e per i malesi. Quando il taverniere
torn con i tre bicchieri riempiti di vino, mettendogli una sterlina in mano chiese:
- A chi mi posso rivolgere per arruolare dei marinai per il mio veliero?
Il bettoliere, alla vista di quella moneta, il cui valore era molto superiore al costo del
vino servito, si profuse in un goffo inchino e rispose con voce sdolcinata:
- Mio principe, in un posto come questo chi comanda tutti i lavoratori del porto
un certo Li-Sciao, un cinese del Tonchino che abita qui nei pressi. Se volete lo
mando a chiamare.
- Bravo! - rispose Yanez - Fa presto poich ho molta premura.
L'oste si inchin di nuovo e scomparve.
Il portoghese non aveva ancora terminato di assaporare quel vino liquoroso che gi
il cinese stava davanti a lui, sprofondandosi in molteplici inchini, come nel costume di
quei celestiali. Aveva un aspetto molto ambiguo e subdolo.
- Mi hai fatto chiamare, mio onorevole signore? Sono qua appunto per servirti
devotamente e, come Confucio afferma...
- Lascia perdere il tuo Dio - lo interruppe il nostro eroe - e siedi invece vicino a
me. Quanti uomini conosci che sarebbero disposti ad imbarcarsi sul mio praho e a
seguirmi in un lungo viaggio?
II cinese, un uomo con degli enormi occhialoni con la montatura in oro, dotato di un
lunghissimo codino e con due baffi neri e spioventi che gli arrivavano fin sul petto, gli
rispose subito:
- Da queste parti uomini valenti e robusti sono tanti come le foglie che cadono col
vento. Ma ti prego di dire al tuo umile servitore dove ti rechi, quanto sar lungo il
tuo viaggio e quando hai intenzione di salpare.
- Tu fai troppe domande - disse seccato Yanez - pi di quante non ne ha fatte lo
stesso governatore. Le persone curiose non mi piacciono. E se pur debbo dire
qualcosa lo dir agli uomini che mi vorrai indicare. Se mi andranno bene
spiegher loro i miei progetti, onde possano decidere se imbarcarsi con me oppure
no!
ll cinese, contrariato, chin la testa in atto di sussiego e si scus dicendo:
- Perdona se ardisco chiederti alcune cose, ma lo faccio solo per servirti meglio.
D'altronde un proverbio cinese dice che ...
- Ascolta amico - lo interruppe di nuovo il portoghese - non ho voglia di perdere
tempo in ciance. Ho nella tasca una decina di sterline che saranno tue se stasera
farai venire a bordo della "Bomboleta" una trentina di malesi o dayacchi. A loro
dar le indicazioni necessarie.
- Ti chiedo scusa mille volte, o venerabile padrone, - insistette Li-Sciao - ma a me
sembra che trenta uomini, pi quelli che hai a bordo sono del tutto superflui per
governare la tua imbarcazione. Anzi ti darebbero impaccio, a meno che non conti
di fare un viaggio molto breve.
A questo punto Yanez, anzich continuare a fare il misterioso, cosa che avrebbe
accresciuto i sospetti del suo interlocutore, pens bene di far finta di capitolare alle
insistenze di quella spia, svelandogli un finto segreto:
- Se ho ben capito ti preoccupi dei tuoi uomini. Mi sembra giusto. Allora ti dir, o
mio insopportabile muso giallo, che mi debbo recare a Labuan ove ho un
possedimento. Siccome ultimamente la costa della mia piantagione stata invasa da
alcuni pirati che mi hanno arrecato gravissimi danni, debbo reclutare questi
uomini che mi occorreranno sia come lavoratori sia per creare una scorta che mi
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difenda per l'avvenire. Volevo mantenere questo mio segreto, ma visto che non si pu
fare a meno di raccontarti i miei affari, pur di arruolare uomini, eccoti accontentato.
Spero che ora sarai soddisfatto e che mi manderai a bordo gli uomini richiesti.
Il cinese, che ora sembrava contento delle risposte, si inchin e promise che prima di
sera avrebbe fatto arrivare sulla nave le persone desiderate. Detto questo, sprofondandosi
in inchini, se ne and.
- Bisogna stare in guardia, caro Yanez - si disse in cuor suo l'europeo - poich non
detto che quella faccia da limone abbia bevuto simile panzana che gli ho scodellato.
Sembra davvero una spia, cos come me lo aveva ben descritto quel povero negoziante
che ha pagato con la vita la fiducia che aveva riposto in me. Vedremo chi sar il
cacciatore e chi il cacciato!

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CAPITOLO SESTO

ANCORA UN SUCCESSO

Detto questo torn a bordo del praho ed attese sino a quando, sul calar della sera si
presentarono sulla nave una ventina di malesi, una decina di dayacchi ed un paio di cinesi.
Erano tutti giovani, nerboruti e dall'aspetto deciso. Solo i due cinesi avevano un non so che
di falso e, agli occhi scrutatori di Yanez, apparvero subito sospetti. Ci nonostante il
portoghese fece a tutti il seguente discorso:
- Sono l'emissario del sultano del Kini-Balu, a sud di questa grande isola. Questo signore,
il rajah Hold vuole rinforzare il suo esercito ed aggiungere altri marinai alla flotta per
ampliare i propri territori ed, un giorno non lontano, attaccare il sultanato di Varauni. Ci
abbisognano, quindi, uomini coraggiosi ai quali daremo una paga di mille rupie l'anno.
Chi d'accordo pu rimanere a bordo: salperemo tra un'ora. Chi invece non se la sente
pu scendere dalla nave senza problemi.
Vi fu tra i presenti un mormorio di commento alla proposta. Alcuni decisero di rimanere,
mentre altri scesero dal veliero. Il portoghese vide i due cinesi confabulate a lungo, poi
uno di questi torn a terra, mentre l'altro si dichiar pronto ad arruolarsi.
Yanez allora disse tra se:
- Uno di quei volponi tornato a terra per riferire a Li-Sciao, mentre l'altro ha
preferito restare per carpire altre informazioni o per fare qualche attentato. Ho ben fatto a
raccontare quella balla su Hold cui servirebbero nuovi armati. Ora debbo fare il resto.
Dette disposizioni ai suoi dieci malesi, ai quali precedentemente si era raccomandato di
non nominare n i tigrotti della Malesia n Mompracem. Quindi dette ordine di salpare
dirigendo la rotta verso nord, in direzione dello stretto che separa il Borneo dall'isola di
Labuan. In quel luogo, infatti, aveva dato appuntamento ad un altro praho, quello di
Aier-Duk, che si era recato ancora pi a nord.
Dopo un paio di giorni di lenta navigazione, non volendo arrivare al luogo
dell'appuntamento troppo in anticipo, giunse finalmente nel tratto di mare stabilito.
Gett le ancore ed attese. Il posto era splendido. Sia sulla vicina isola di Labuan, che
aveva avvistato poche ore prima, sia sulla costa del Borneo che era ora sotto i suoi occhi,
vi era una fettuccia di sabbia bianca, interrotta da macchie di palme, mentre verso
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l'interno si vedeva una splendida distesa di verde. Grossi uccelli marini svolazzavano
sopra il suo legno, scambiando i pennoni della nave per alti alberi, sui quali poi si
posavano. Alcuni malesi avevano gettato in mare delle reti da pesca. Si voleva
ingannare l'attesa pescando del pesce fresco, sempre gradito.
La notte trascorse tranquilla. Appena sorta l'alba fu avvistata una nave in
avvicinamento. Poco dopo Yanez riconobbe in essa il praho di Aier-Duk, il quale, dopo
essersi appropinquato, accost a tribordo. Quando i due legni furono strettamente
avvinti il portoghese sal a bordo della nuova arrivata, volendo parlare con il sottocapo
lontano da orecchie indiscrete.
L'europeo gli chiese dapprima notizie. Ricevute risposte rassicuranti, sia riguardo alla
sua crociera sia in merito agli approvvigionamenti fatti, lo inform che a bordo della
sua nave vi era sicuramente una spia e quindi gli espose il suo piano per gabbarla.
Parl a lungo con il luogotenente e poi torn a bordo del suo legno tutto soddisfatto,
portando sottobraccio un foglio arrotolato in modo da far intendere che si trattasse di
una cosa molto importante.
Quindi volendo farsi deliberatamente udire dalla spia cinese disse ad alta voce, come
se fosse rivolto ad Aier-Duk, che era rimasto sul ponte della propria nave:
-Hai fatto bene a darmi questi piani. Saranno preziosissimi per Hold, il nostro amato
rajah. Ora li porto nella mia cabina per studiarli meglio. Domani mattina ne
riparleremo.
Cos dicendo si diresse verso il cassero, dette degli ordini per la giornata al suo
secondo e poscia discese nella sua cabina. Apr il rotolo di carta, si sedette e cominci
a tracciare su quella pergamena, che in realt era bianca e non scritta,una sorta di
mappa, raffigurante il regno che era di Sandokan con gli stati ad esso vicini, tra cui
Varauni, ed una serie di frecce che indicavano, almeno cos voleva far intendere l'astuto
portoghese le direttrici di una possibile invasione da parte dei propri eserciti.
Trascorse cos la giornata sinch arriv la sera. Dette disposizioni per la notte al suo
secondo, ridiscese in cabina e si coric nella brandina; poi spense la luce, mettendosi
accanto, per ogni evenienza la fida pistola regalatagli dal comandante della fregata
inglese. II gioviale portoghese che aveva architettato questa beffa, attendeva fiducioso
una visita notturna da parte della spia che supponeva di avere a bordo.
Infatti, non pass un'ora che sent un rumore sospetto. Qualcuno stava scendendo la
scaletta di legno che conduceva dinanzi alla porta della cabina. Per quante precauzioni
usasse l'ignoto visitatore notturno, non poteva impedire alle assi di flettersi,
provocando cos dei piccoli scricchiolii.
Subito dopo gli parve che la porta si aprisse. Al chiarore scialbo della luna che filtrava
dall'obl, un'ombra entr nello stanzino. Con molta prudenza ed evitando di fare
rumore quell'uomo, che altri non era che il cinese, si avvicin al piccolo tavolo e prese
la pergamena. Poi si dilegu nel buio. Yanez si alz di scatto e lo segu. Il cinese si era
diretto sul ponte da dove scivol in una piccola scialuppa che aveva precedentemente
calato in mare, grazie alla complicit di un malese di sentinella che aveva fatto finta di
stare dalla sua parte, seguendo le istruzioni che Yanez aveva dato a lui come agli altri
uomini di guardia. Nel progetto di Yanez vi era, infatti, l'idea di favorire al massimo la
fuga del cinese, consentendogli non solo di scappare dalla nave, ma dandogli anche la
possibilit di allontanarsi da essa servendosi appunto di una scialuppa: cos facendo si
sarebbe salvato ed avrebbe consegnato ai suoi mandanti la finta mappa che riportava il
simulato attacco che Hold avrebbe sferrato contro lo stato di Varauni. Cos facendo, se
il piano riusciva, vi era la possibilit che il rajah di Varauni, si difendesse da
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Hold attaccandolo per primo. In questo modo avrebbe forse favorito una guerra tra il
mortale nemico di Sandokan, appunto Hold, ed il sultano di Varauni al quale la spia
e poi Li-Sciao si sarebbero dati da fare per fargli conoscere quei piani d'attacco.
Nel veder fuggire il cinese Yanez si stropicci le mani, tutto soddisfatto, ben lieto di
aver tessuto un siffatto inganno. Dopo aver comunicato ai malesi di ronda che il suo
piano era andato in porto e che potevano fare ora di nuovo scrupolosa guardia se ne
torn a dormire. L'indomani, di conserva con il veliero di Aier-Duk, fu posta la prua
in direzione di Mompracem.
Col giunto and subito a relazionare a Sandokan circa la sua missione di
approvvigionamento che era stata portata a termine e l'interessante imprevisto del
tranello tesogli da Li-Sciao che era riuscito a ribaltargli contro.
- Sei un vero diavolo scatenato - disse la Tigre della Malesia ridendo di gusto
nellapprendere la trama ordita da Yanez ai danni dei suoi avversari. - E' chiaro che
pur augurandomi di cuore una guerra tra i miei rivali non oso sperare tanto.
Sandokan, complimentandosi ancora con il suo "fratellino" lo invit a visitare le
nuove difese dell'isola che erano state terminate.
Durante lassenza del portoghese le tracce della recente battaglia e le devastazioni
dei bombardamenti, anche grazie all'opera indefessa degli abitanti di Mompracem
erano scomparsi. Una nuova linea di difesa era pronta. Mancavano solo i cannoni e le
spingarde, che i prahos mandati in giro per i porti di quei mari non avrebbero
tardato a portare.
Le munizioni erano al completo, grazie a quelle trasportate sulla "Bomboleta", cos
come i viveri.
Nelle settimane seguenti tornarono tutti i velieri inviati a far incetta di bocche da
fuoco e di nuovi volontari. Anche gli uomini imbarcati sulla "Bomboleta", e cio quelli
mandati a bordo dal perfido cinese, erano stati rsi edotti di qual era il vero motivo del
loro arruolamento durante il viaggio di avvicinamento a Mompracem.
La prudenza aveva insegnato a tutti i luogotenenti di Sandokan, di raccontare
loro la verit prima che fossero sbarcati sullisola. con l'impegno
di riportare nei luoghi di provenienza chi non avesse deciso di restare.
Ma non uno di quelli cambi idea. Anzi, l'apprendere il vero fine del loro
reclutamento rese tutti molto pi coinvolti e contenti. Il militare sotto quel nuovo
astro nascente, alle dipendenze di tale pirata, la cui fama si stava estendendo per ogni
dove, rendeva dayacchi e malesi oltremodo soddisfatti di quella loro nuova
condizione di pirati della Malesia, di tigrotti di Mompracem. E mentre le azioni di
pirateria riprendevano nei mari circostanti con nuovi abbordaggi di mercantili
olandesi e britannici, l'amicizia tra Sandokan e Yanez si rinsaldava sempre di pi con
un vincolo di profonda stima e sincero affetto.
Avevano anche preso l'abitudine di muoversi per i mari assieme su uno stesso
legno, diventando cos inseparabili. E proprio in una di queste scorribande per le acque
attorno al Borneo fecero una scoperta veramente interessante.
Erano trascorsi circa due mesi da quando il portoghese era tornato dal porto ove
aveva preparato quel tiro mancino al cinese Li-Sciao e pi nulla avevano saputo
riguardo a quei fatti, quando una mattina la vedetta annunci che a
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proravia vi era una giunca cinese in difficolt, che faceva segnali di richiesta di
aiuto. Sandokan che non odiava i figli del celeste impero, e che non li considerava suoi
nemici diede ordine di dirigere a quella volta volendo aiutare quei poveri marinai.
Mano a mano che il praho si avvicinava alla tonda imbarcazione cinese ci si poteva
accorgere che un incendio era scoppiato a bordo. Difatta si vedevano
alte folate di fumo uscire dal frapponte mentre delle lingue di fuoco si alzavano
da dietro il cassero.
Evidentemente avevano preso fuoco le mercanzie che la nave trasportava. Molti
marinai correvano vociando su e gi per il ponte, mentre altri raccoglievano l'acqua
del mare in secchi e tinozze, scaricandoli addosso alle fiamme. Yanez additando la
giunca al capo pirata disse:
- Strano che in una cos piccola nave da trasporto vi siano tanti uomini. Non ti
pare, "fratellino"? E poi corrono come pazzi per ogni dove invece di industriarsi a
spengere l'incendio.
Sandokan rispose:
- Saranno in preda al terrore. Non vedo cosa ci sia di strano. Anzi affrettiamoci,
altrimenti bruceranno vivi e non saremo di nessun aiuto per loro.
Yanez scosse la testa. C'era qualcosa che non lo convinceva: pi il legno pirata si
avvicinava pi sentiva per istinto che anche loro stavano per correre un pericolo.
Rompendo ogni remora disse:
- Fratellino, invece di avvicinarci a quella giunca sul tribordo, dai ordine di
compiere un semicerchio, in modo da abbordarli a babordo.
- Ma perch? - chiese Sandokan.
- Saremo sopravvento e le operazioni di salvataggio saranno da noi meglio
effettuate senza essere investiti dal fumo che il vento ci rovescerebbe addosso e
senza correre il pericolo di ricevere pericolose scintille:.
- Hai ragione, facciamo come tu dici, anche se credo che tu abbia un altro
motivo per proporre questo giro.
- Non so mentirti, fratellino. Voglio, infatti, vedere quella nave dalla parte
opposta.
Il timoniere esegu l'ordine della Tigre ed in meno di un minuto il veliero pirata
comp un mezzo giro attorno alla giunca, che cos mostr repentinamente il lato destro
e non pi quello sinistro. E la cosa che i pirati videro li lasci a bocca aperta: su quel
lato i cinesi avevano posto un grande braciere dal quale uscivano lingue di fumo ed
alte fiamme, che invece sembravano uscire dal frapponte. Accanto vi erano degli
uomini che vi bruciavano degli stracci evidentemente imbevuti di sostanze resinose,
in modo da produrre fumo nero e denso. Chiunque ne sarebbe rimasto ingannato.
Accanto ai cinesi che manovravano il finto incendio videro una decina di altri seguaci
di Confucio che imbracciavano fucili e pistole.
Appena questi si avvidero che il praho malese era apparso alle loro spalle, pur
sconcertati, rivolsero contro i sopravvenuti le armi da fuoco e spararono. Una
grandine di proiettili invest i pirati che non poterono sottrarsi al fuoco proprio
perch imprevisto. Alcuni malesi ed un dayacco caddero riversi sul ponte feriti dal
fuoco avverso. Sandokan impart subito l'ordine di invertire la rotta e di gettarsi
dietro alle murate.
Appena la nave si fu adeguatamente allontanata la Tigre della Malesia url:
- Rispondiamo al fuoco! Uomini ai pezzi! Rasatemi quella dannata nave di vipere
avvelenate!
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Poi rivolto al portoghese aggiunse:
- Avevi ragione tu, Yanez. Se non ti avessi dato ascolto saremmo nei guai, perch avrei
attraccato alla loro nave con conseguenze nefaste. Ancora una volta la tua scaltrezza ci
ha salvato!
- Lascia perdere i complimenti, fratellino. Pensiamo a distruggere quei musi
gialli del malanno.
Cos dicendo Yanez si gett su di una spingarda, caricata a mitraglia e fece fuoco.
Parecchi cinesi caddero sul ponte, certamente non uccisi ma sicuramente ferit.nche i
pirati si erano armati ed avevano cominciato un fuoco d'inferno contro la giunca,
desiderosi di vendetta per essere stati cos attirati in quella trappola. ;
Ma gli uomini gialli non stavano inoperosi; avevano finito di fare la commedia del finto
incendio e si erano buttati a terra dietro le murate imbracciando fucili e rivoltelle,
tentando di rifarsi del trucco riuscito solo parzialmente. La giunca pur non essendo
molto pi grossa del praho aveva a bordo un numero di marinai senz'altro superiore
del doppio rispetto al numero dei pirati. Dal frapponte erano usciti altri uomini, che
evidentemente si erano celati in quel posto per non essere visti.
- Urlano come iene quei dannati celestiali scherzava Yanez, che anche nei
momenti di maggiore difficolt conservava un'ammirabile freddezza - ma ogni
volta che la mia mitraglia gli accarezza la schiena gridano come lupi della
Siberia.
Le due navi si fronteggiavano cos senza che nessuna prevalesse sull'altra in quanto se
i tigrotti erano pi bravi a centrare i nemici, i gialli erano molto pi numerosi e
sopperivano alle perdite senza paura.
Sandokan, desideroso di arrivare ad uno scontro all'arma bianca, sicuro della bravura
dei suoi uomini, che in un corpo a corpo non avevano uguali, disse a Yanez:
- Ora comando l'abbordaggio.
- Attendi che quella nave sia rasata come un pontone. Sto tentando di darle il
colpo di grazia con questa spingarda caricata a palla.
- Il fatto che su questo tratto di mare non mi sento sicuro. Il rumore dei cannoni
potrebbe attirare qualche nave inglese e non voglio certo rimanere
incastrato tra due fuochi.
In effetti il combattimento stava durando un po' troppo tempo ed i malesi si stavano
stizzendo dell'eccessiva resistenza che la giunca offriva al loro attacco.
Ma questa volta la fortuna dette una mano ai pirati. Infatti, sia che il finto incendio non
era stato spento totalmente, sia che un colpo dei tigrotti avesse provocato qualche
combustione accidentale, si verific un una grossa fiammata, che in breve si propag
alle vele dell'unico albero di cui era dotata quella nave.
Come tutti sanno le vele delle giunche non sono costruite con la tela, bens con vimini
strettamente intrecciati tra loro, molto leggeri ma infiammabilissimi.
Motivo per il quale, in meno di un minuto l'albero fu avvolto da unimmensa
vampata.
Allora i cinesi interruppero di sparare e cominciarono a pensare alla fuga. Alcuni si
gettarono in acqua, mentre altri alzarono le braccia in segno di resa.
- Bruciate tutti, manigoldi - url Sandokan preso dall'ira per essere stato attirato in
quel tranello e per aver perso gi una decina di uomini.
Anche i tigrotti, furiosi per l'imboscata, che avrebbe potuto avere conseguenze ben pi
funeste se non fosse stato per la furbizia di Yanez, continuavano a sparare
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addosso ai cinesi, noncuranti che ormai fossero privi di difesa: lo spirito di vendetta
aveva cos il sopravvento sui sentimenti di umanit. Ad un certo punto Yanez esclam:
- Fermiamo questo massacro, Sandokan. Catturiamo quei superstiti e facciamoli parlare.
Pu darsi che ci torni utile acquisire delle informazioni. Tutto mi lascia presupporre una
cosa . . . .
- Ebbene sia!- rispose il pirata.
Poi grid in modo da essere inteso dai suoi tigrotti:
- Interrompete il fuoco; in mare le due scialuppe. Catturate chi si arrende e giustiziate chi
tenta ancora atti di ostilit.
I tigrotti obbedirono immediatamente al loro comandante e fecero quel che voleva.
Fu cos che vennero raccolti una decina di superstiti, alcuni parecchio malconci;
furono poi portati a bordo. Nel frattempo il praho si era allontanato dalla giunca, che
ormai aveva preso fuoco completamente e bruciava facendo intendere scoppi e boati:
erano sicuramente le cariche di polvere che saltavano per aria.
Un immenso rimbombo si fece udire di l a poco: era evidentemente scoppiata la piccola
Santa Barbara, mandando la giunca completamente in frantumi. Tavole, schegge e
materiali vari volarono in aria, ricadendo poi sul mare a mo' di pioggia per un vasto
raggio; mentre un'ondata, provocata dallo spostamento d'aria, sconvolgeva il mare tutto
attorno, facendo inclinare violentemente il praho quasi fino a fargli toccare con i pennoni
il mare circostante. Appena a bordo Sandokan pass in rassegna i prigionieri. Yanez
li scrutava in volto molto attentamente. Dentro di se aveva come la certezza che
avrebbe incontrato tra di essi qualcuno. Ed infatti subito riconobbe il cinese che
era rimasto a bordo della "Bomboleta" e che gli aveva rubato la finta mappa.
Quando lo vide fece un balzo verso di lui, lo prese per un orecchio, lo tir fuori dal
gruppo, additandolo alla Tigre della Malesia:
-E'lui!
- Lui chi? - domand il pirata.
- Colui il quale, credendo di essere un gran furbo, stato invece lo strumento della mia
beffa. E' il cinese che si appropriato della pergamena su cui erano tracciate le fnte
direttrici dell'attacco che sarebbe dovuto partire dal regno di Sabah.
Sandokan squadr attentamente il prigioniero, il quale gi terrorizzato per essere stato
catturato, era ora divenuto grigiastro dalla paura per essere stato riconosciuto. Yanez cos
lo apostrof:
- Senti, figlio di Confucio. Ti ho ben riconosciuto! Tu sei la spia di Li-Sciao e con un tuo
amico sei salito a bordo del mio legno per arruolarti, un paio di mesi addietro. Invece ne
fuggisti nottetempo dopo avermi derubato di una preziosa mappa. A chi la portasti?
Il cinese pareva non comprendere ed agitava la testa gesticolando in modo strano.
Allora Yanez chiam Sambigliong, che conosceva abbastanza bene la lingua
cinese chiedendogli di tradurre quello che aveva chiesto prima in malese.
Il cinese, dopo che Sambigliong ebbe parlato, sembr comprendere il significato di quelle
parole, ma rispose che Yanez si sbagliava con qualche altro suo connazionale.
Appena il portoghese sent che negava, si accese una sigaretta e, rivolto a Sandokan,
disse:
- Fratellino, se quest'uomo parlasse ci darebbe delle preziose informazioni su come si
concluso il mio tentativo di far scoppiare una guerra tra i due stati del Borneo. Come
facciamo a farlo confessare?
Sandokan, con un sorriso che aveva qualcosa di diabolico, rispose:
- Ora vedrai!
Detto questo scambi alcune parole con Sambigliong, il quale corse sottocoperta,
tornandone immediatamente con un grosso rasoio ed un paio di forbici. Mentre il cinese
veniva disteso sul ponte ed immobilizzato da due malesi, Sambigliong, con un colpo
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di forbice tronc il codino del cinese, provocandone forti grida di rabbia. Come tutti
sanno, presso i cinesi avere un lungo codino e cio tenere i capelli legati ed intrecciati,
rappresenta una prerogativa importante ed irrinunciabile. Pi il codino lungo e
maggiormente il celestiale che lo porta stimato e rispettato da parenti, amici e
conoscenti. Se invece corto od addirittura mancante ci fonte di disprezzo e
derisione. Per cui si pu ben immaginare quanto l'atto compiuto dal malese disonorasse
quell'uomo e lo facesse urlare come se fosse stato torturato. Nel frattempo l'equipaggio
del praho, salvo chi era di vedetta, aveva fatto circolo accanto a quella gustosa
scena, che stava facendo divertire immensamente tutti gli spettatori. Sambigliong,
dopo un cenno d'intesa con la Tigre della Malesia, si arm del rasoio e cominci a
radere la testa del cinese, che urlava sempre di pi e si agitava come preso da una crisi di
pazzia. Quando fu tutto rasato Sambigliong gli chiese, su ordine del capo pirata, se
ora volesse parlare. Una terribile bestemmia fu la sola risposta dell'ostinato celestiale.
- Ah, non vuoi parlare? Tra breve implorerai che ti si ascolti. - disse Sandokan.
Poi fece un cenno ad un dayacco della sua banda, che era una specie di stregone presso
la sua trib e come tale profondo conoscitore di medicine naturali efficacissime contro
molti tipi di malattie. Quest'uomo si tolse dalla cintola, che reggeva un corto sottanino,
un kriss serpeggiante ed affilato, si avvicin al prigioniero, che lo guardava atterrito e
cominci a praticargli sul petto due leggere incisioni cutanee del tutto superficiali. Il
cinese grid, forse pi per il terrore che per il dolore, mentre alcune stille di sangue
bagnavano la sua carne. Fatto questo il dayacco cosparse la ferita di una polverina
giallastra che aveva tirato fuori da una boccetta che teneva appesa alla cintura. In un
primo momento a contatto con quella sostanza, parve che il sangue si coagulasse,
cessando di fuoriuscire. Il dayacco, allora, si ritrasse e disse:
- Ho applicato alla ferita un prodotto dei nostri boschi. E' ricavato dalla
polverizzazione di alcune foglie di una pianta che chiamiamo viscoh. Mischiata con
l'acqua serve a creare una pasta che applichiamo alle nostre imbarcazioni quando vi
sono delle piccole falle, ma che deposta su una ferita provoca dolori spaventosi. A
volte la usiamo per torturare i nostri nemici. per torturare i nostri
Ed infatti, in capo a pochi minuti, il corpo del cinese inizi a sussultare mentre dalla
bocca gli uscirono delle urla strazianti. I malesi che lo tenevano erano stati costretti
a legarlo, perch scalciava e si contraeva come se fosse stato colto da una crisi
epilettica.
Sambigliong gli si avvicin e disse:
- Ti conviene parlare. Non potrai resistere poich questa mistura ha ridato la voce ai
muti.
II cinese emise dei rantoli che nulla avevano di umano, dicendo che avrebbe parlato,
che tutto avrebbe raccontato, purch gli si levasse di dosso quella pozione diabolica.
Sandokan chiese al dayacco di ripulire la ferita. Il tigrotto, servendosi ancora del suo
pugnale, raschi la zona del petto interessata al supplizio, rimovendo sia la polvere
gialla che il sangue coagulato.
Dopo pochi minuti le urla del cinese diminuirono ed infine cessarono.. Venne fatto
bere, mentre Yanez chiese:
- Scommetto che ora non hai pi bisogno di un interprete, nevvero?
Il cinese fece un segno di assenso con la testa.
Yanez aggiunse:
- Ammetti di esserti imbarcato sul mio praho e di avermi trafugato una mappa che poi
hai portato a Li-Sciao, che una spia al soldo degli inglesi e del sultano di Sarawack?
Si - rispose l'interpellato - ho dovuto farlo perch Li-Sciao era il mio padrone ed
eravamo tutti costretti ad obbedirgli.
- E poi cosa successo?


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- Li-Sciao inform sia il rajah di Sarawack che il sultano di Varauni che lo
ricompensarono largamente per quelle preziose notizie.
- Sai se, successivamente, sulle frontiere di quei stati vi sono state delle battaglie
provocate da Hold, nuovo sultano del regno di Sabah? lo incalz Yanez.
Il cinese ebbe un profondo respiro, poi un gemito, segno evidente che la ferita gli
provocava ancora dei dolori, e poi rispose:
- Ha saputo da Li-Sciao che il sultano di Varauni decise di prendere lui l'iniziativa, ed
invece di attendere l'attacco di Hold, cominci ad ammassare soldati alla frontiera ed
invase poi il territorio del Kina-Balu. Si ebbero scontri cruenti con centinaia di morti.
Successivamente, per Hold si incontr con il suo attaccante e si stabil una tregua.
Pare che Hold non avesse mai voluto intraprendere alcuna azione di guerra contro il
suo vicino, infatti i soldati di Varauni non incontrarono nessun tipo di resistenza,
segno evidente che non vi erano truppe pronte ad una invasione.
- E quindi?
- Quindi il sultano di Varauni ritir il corpo di spedizione, regalando ad Hold alcuni
favolosi regali in segno di scusa per una guerra non voluta.
Sandokan e Yanez risero sonoramente e con gusto per questa serie di notizie
interessanti.
II principe spodestato, rivolgendosi sottovoce all'amico Yanez, onde non essere
udito dal prigioniero, disse:
- Ancora una volta le tue brillantissime idee hanno giocato un brutto tiro ai nostri nemici.
Non solo ti sei preso gioco di quel cinese, ma sei riuscito nientemeno a far scatenare
una guerra contro Hold!
- Peccato che sia gi finita - rispose il portoghese - Avrei avuto piacere che durasse
ancora e che noi si potesse intervenire per scalzare quell'assassino dal tuo trono.
- Non ti preoccupare - rispose cupo la Tigre della Malesia - quel giorno verr. Ad ogni
buon conto ha pagato con morti e feriti questa tua mossa strategica. Complimenti Yanez!
Ma il portoghese, non pago per aver conosciuto tutte queste cose, chiese ancora
all'uomo giallo: ,
- Ma come mai Hold non aveva predisposto l'attacco, come era stato invece descritto e
tracciato sulla mappa che tu mi hai rubato?
- Anche Li-Sciao si chiese questa cosa, quando seppe della tregua. Ma mentre se lo stava
ancora domandando alcune guardie del rajah di Sarawack lo arrestatarono, poich il
nostro sultano aveva fatto una pessima figura di fronte a quello di Varauni. Poi
decise di condannarlo a morte: stato giustiziato alcuni giorni fa nella piazza principale
della capitale.
A questa notizia non solo Yanez e Sandokan proruppero in una omerica risata, ma un
coro unanime di risa tra i pirati fece da corollario a questa comica burla. Yanez che aveva
gli occhi bagnati di lacrime per il gran ridere, disse:
- Ben gli sta! Questa la fine delle spie che si mettono contro la Tigre della Malesia.
Sandokan, anche lui in preda ad una irrefrenabile ilarit gli fece eco:
- E contro Yanez, che non certo da meno!
Poi grid ad alta voce:
- Evviva Yanez, la Tigre Bianca!
Tutti i pirati accolsero questo grido con un vociare festoso, con spari di pistole e fucili,
ripetendo:
- Evviva padron Yanez, la Tigre Bianca! Evviva la Tigre della Malesia! Evviva
Mompracem.
303

CONCLUSIONE

Un superbo tramonto con un sole che scendendo verso il mare infinito lo tingeva di un
rosso sanguigno, striando anche le nuvole del cielo dello stesso colore, accolse il ritorno
dei tigrotti a Mompracem.
Il praho della Tigre della Malesia approdava, seguito da altri velieri che avevano
arricchito le scorte di armi e viveri, alla propria isola con la soddisfazione immensa di
aver mosso guerra al suo mortale nemico, il perfido Hold, anche se in maniera indiretta.
Approfitt, quindi, di questo momento relativamente tranquillo per realizzare un
progetto che aveva sempre avuto in mente: andare nel villaggio di pescatori sulla costa
del Borneo, quello dove era stato accolto svenuto e semi affogato e da dove era poi
partito per la sfortunata spedizione contro il suo acerrimo nemico, a prendere il piccolo
Ragj che aveva ora circa quattro anni. Era intenzione del prode pirata pagare il debito
morale che aveva contratto con lui dopo la morte di entrambi i genitori.
Si mosse a quella volta, accompagnato dal suo "fratellino" e da tre prahos. Raggiunse
infine il villaggio e convinse i pochi rimasti a dare addio a quelle terre per venire ad
abitare definitivamente con loro a Mompracem. Avutane risposta affermativa
ripartirono tutti per la loro nuova patria.
Ora Sandokan era felice. Aveva presso di se quel bambino, che amava come un figlio.
Quando fosse stato un poco pi grande lo avrebbe mandato a studiare in Europa voleva
fare di lui un uomo istruito. A quattordici anni sarebbe poi tornato in patria ed
avrebbero deciso assieme del suo avvenire. Si accord col fido Yanez: avrebbe
accompagnato lui il bambino in quel lungo viaggio verso terre al portoghese ben note,
dove Sandokan non voleva invece mettervi piede.
Un altro motivo vera felicit era per Sandokan l'aver trovato in Yanez un sicuro
punto d'appoggio, un amico, un alleato, un validissimo stratega con il quale
avrebbe certamente proseguito il suo cammino per tentare di liberare la Malesia dal
predominio inglese e per riconquistare il trono avito nella sua regione natale.
Ma ora che era sbarcato di nuovo nella sua bella Mompracem, patria acquisita, si
sentiva a proprio agio come nella reggia dei Muluder.
E quante volte aveva ripensato al suo regno, ai suoi familiari barbaramente assassinati,
alla sua passata felicit.
Ora si trovava in guerra, contro un nemico forte ed implacabile, in una lotta senza
quartiere, un novello David contro Golia.
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Tuttavia aveva di nuovo numerosissimi sudditi, era a capo di un vero e proprio esercito,
meno numeroso di quello del suo sultanato, ma ben pi fidato, bellicoso e temerario,
creando in tutti quegli uomini una sorta di idolatria per la sua persona.
Con questi validissimi e preziosi compagni e con il "fratellino" Yanez il giorno finiva in
un bagliore sanguigno, annunciante una giornata ancora pi fulgida e radiosa, tutti
proiettati verso nuove avventure e splendide vittorie.
F I NE

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