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Marinella De Luca
Conferenze
Cave canem!
Mosaico da Pompei.
Napoli, Museo archelogico.
Ab illo tempore
Da quel tempo.
Ad abundantiam.
In abbondanza, in aggiunta, in pi.
A divinis (mysteriis).
Dai ministeri divini.
Ad hoc.
(Esclusivamente) per questo.
Ad honorem.
Per onore.
Ad interim.
Frattanto, provvisoriamente.
Ad libitum.
A piacere, a volont.
Ad litteram.
Alla lettera.
Ad multos annos!
Ancora per molti anni.
Ad personam.
Solo per (la) persona.
Ad rem.
Alla cosa.
Ad valorem.
In funzione del valore.
Aequo animo.
Con animo giusto, sereno, imparziale.
A latere.
Al fianco.
Alias (dictus).
In altre circostanze.
Altrimenti detto.
Alibi.
Altrove.
Alter ego.
Un altro me stesso.
Ante litteram.
Lett.: "prima della lettera".
Apertis verbis.
Con parole chiare.
A posteriori.
Lett.: da ci che dopo.
A priori.
Lett.: da ci che prima.
Asinus in cathedra.
Un asino che fa da maestro.
Brevi manu.
Con mano breve (direttamente, di persona).
Busillis.
Problema spinoso e di difficile soluzione.
(in diebus illis magnis plenae indie busillis magnis plenae)
Captatio benevolentae.
Tentativo di accattivarsi la simpatia.
Caput mundi.
Capo del mondo.
Casus belli.
Evento che d origine alla guerra.
Caveant consules.
I consoli stiano attenti.
Cave canem.
Attenti al cane
Compos mentis.
Pienamente padrone della sua mente.
Currenti calamo.
Con penna veloce.
Deus ex machina
Lett.: dio (che viene) dalla macchina (= intervento inatteso e risolutore).
De visu.
Con i propri occhi.
Divide et impera.
Dividi e domina.
Do ut des.
Io do affinch tu dia.
Eiusdem furfuris.
Della medesima crusca.
E pluribus unum.
Da molti, uno.
Erga omnes.
Nei confronti di tutti.
Ex abrupto.
All'improvviso, di colpo.
Ex aequo.
A parit di merito, alla pari.
Ex cathedra.
Dallalto della cattedra.
Exempli gratia.
Per esempio.
Ex lege.
Secondo la legge.
Ex professo.
Di proposito, intenzionalmente.
Ex ungue leonem.
Il leone (si riconosce) dalle unghie.
Ex voto.
A seguito di un voto.
Factotum.
Colui che fa tutto.
Forma mentis.
Forma (idea, impostazione) della mente.
Hic et nunc.
Qui ed ora.
Honoris causa.
A motivo di onore.
Imprimatur.
Si stampi, venga impresso.
In cauda venenum.
Il veleno () nella coda.
In fieri
In divenire.
In extremis.
Allultimo momento.
In itinere.
Durante il percorso.
In pectore.
Lett.: nel petto, nel (segreto del) cuore (= designazione non ancora ufficiale ad un incarico).
In primis.
Tra le prime cose, soprattutto..
Insalutato hospite.
Non (avendo) salutato l'ospite.
Intra moenia.
All'interno delle mura della citt.
In vino veritas.
Nel vino c' la verit.
In vitro.
Sotto vetro.
Lectio brevis
Lezione breve.
Lapsus (calami).
Errore della penna.
Lapsus linguae.
Errore della lingua.
Maiora premunt.
Ci sono cose pi urgenti da fare.
Manu militari.
Con luso della forza armata.
Mea culpa.
Per mia colpa.
Memento mori.
Ricordati che devi morire.
Minus habens.
Minorato, stupido.
Modus operandi.
Modo di operare o modalit operativa.
More maiorum.
Secondo il costume degli antichi.
More uxorio.
Secondo il costume matrimoniale.
Mutatis mutandis.
Lett.: Cambiate le cose che devono essere cambiate (= fatte le debite mutazioni).
Nihil obstat.
Niente si oppone.
Nomen omen.
Il nome () un presagio.
Nosce te ipsum
Conosci te stesso.
Obtorto collo.
Lett.: con il collo storto (= contro la propria volont).
Omissis.
Tralasciate (le altre informazioni).
Opera omnia.
Tutte le opere.
Ore rotundo.
A bocca tonda.
Palmars.
Eccellente.
Passim.
Qua e l.
Perinde ac cadaver.
Allo stesso modo di un cadavere.
Per os.
Per bocca.
Post mortem.
Dopo la morte.
Post scriptum.
Scritto dopo.
Pro forma.
Per formalit.
Pro memoria.
Per la memoria, per ricordare.
Prosit.
Auguri, salute!
Punica fides.
Fedelt cartaginese.
Quorum.
Dei quali.
Rebus.
Mediante le cose.
Redde rationem.
Rendimi conto.
Referendum.
Da riferirsi (al popolo sovrano).
Relata refero.
Riferisco ci che mi stato detto.
Repetita iuvant
Le ripetizioni aiutano.
Semper fidelis.
Fedele per sempre.
Sic.
Cos.
Sic et simpliciter.
Cos e semplicemente.
Status quo.
Nella condizione in cui (si trovava).
Sua sponte.
Di sua volont.
Sui generis.
Di un genere tutto suo.
Suo tempore.
A suo tempo.
Sursum corda.
In alto i cuori.
Tabula rasa.
Tavoletta liscia, cancellata (su cui non c nulla).
Toto corde.
Con tutto il cuore.
Ubi consistam.
Lett.: dove io mi possa appoggiare (= un punto di appoggio).
Ultima forsan
Forse lultima (ora).
Una tantum.
Una soltanto.
Urbi et Orbi.
Alla citt (di Roma) e al mondo.
Vade mecum.
Vieni con me.
Vexata quaestio.
Argomento gi dibattuto e discusso.
Vis comica.
La forza comica.
Viribus unitis.
Con le forze unite.
[I, 1] Era per l'addietro verit inconcussa che la fortuna concedesse in dono regni ed imperi, nonch
gli altri beni cui gli uomini aspirano avidamente: perch, conferiti quasi a capriccio, si vedevano
spesso in mano di uomini indegni, ed alcuno mai li aveva conservati integri. [2] Ma l'esperienza ha
dimostrato vera la massima di Appio, che cio ciascuno artefice della propria fortuna: e questo
nel caso tuo in particolare, che hai spinto tanto innanzi la tua superiorit sugli altri che la gente si
stancata prima di esaltare le tue gesta che tu di compiere imprese lodevoli. [3] lnoltre, tanto i
prodotti dell'arte quanto le conquiste del valore vanno conservati con la massima diligenza, perch
non abbiano a guastarsi per l'incuria e a vacillare sino alla rovina totale.
(Pseudolo, da solo). Santi numi, quell'uomo con la sua venuta stato la mia salvezza: col viatico
che porta mi ha rimesso dallo smarrimento sulla via giusta. L'Opportunit in persona non sarebbe
giunta pi opportunamente di quanto mi giunta opportuna questa lettera. Perch questa la vera
cornucopia e dentro c' tutto quello che voglio: ci sono i tranelli, c' il denaro e c' l'amante del
padroncino. Ed io ho buon motivo di farmene tanto albagioso e di rizzar la cresta. Gi avevo nella
testa tutte le mariolerie che dovevo fare per portar via la ragazza al ruffiano: tutto era organizzato,
tutto era pronto e congegnato secondo il mio genio, tutto sistemato e messo a punto. Ma bisogna
riconoscerlo: basta una sola dea, la Fortuna, a superare le architettazioni di cento sapientoni. E
anche questa pura e santa verit: se uno ha la fortuna dalla sua e fa parlare di s, ecco noi tutti ad
esaltarlo come un cervellone. Basta che gliene va bene una e gi lo proclamiamo un uomo di genio;
se invece la sgarra, ci diventa un imbecille. Lasagnoni come siamo, non ci rendiamo conto che
errore mettersi a desiderare una cosa che non possiamo sapere se per il nostro bene o no.
Perdiamo il certo, mentre corriamo dietro all'incerto. E tutto questo tra mille tribolazioni ed
affanni finch non ci acchiappa la morte. Ma ora basta con la filosofia: ho sproloquiato troppo e
troppo a lungo. Santo cielo! che bugia da pagare a peso d'oricalco quella che mi inventai su due
piedi, quando mi venne detto di dichiararmi servo del ruffiano! Ora con questa lettera ne potr
uccellare tre: il padrone, il lenone e quello che me la diede. Evviva! ecco qua un'altra bella
occasione che tanto desideravo: ecco che sta arrivando Calidoro e conduce con s non so chi.
File. Suvvia, ora sbrigati: Scafa, porgimi lo specchio e il cofanetto dei gioielli. Voglio farmi bella di
tutto punto per l'arrivo di Filolachete, la passione mia.
Sc. Dello specchio hanno bisogno le donne che non hanno fiducia in se stesse e nella propria
giovinezza. Ma tu che te ne fai? il vero specchio sei tu, lo specchio degli specchi.
Filo. (a parte). Per una battuta cos graziosa, cara Scafa, e perch non si dica che tu l'hai
pronunziata ad ufo, oggi regaler una bella somma... a te, mia Filemazia.
File. E i capelli, sono tutti a posto come si deve? Guarda un po'.
Sc. Se sei a posto tu, credi pure che sono a posto anche i capelli.
Filo. (a parte). Puah! ve la sapete immaginare una cosa peggiore di codesta donna? un momento fa,
le faceva il contraddittorio, ora non fa che assecondarla, la birbacciona!
File. Porgimi il bianchetto!
Sc. Che te ne fai del bianchetto?
File. Mi do una passatine alle guance.
Sc. Sarebbe come se tu, la mia signora, volessi imbiancare l'avorio con l'inchiostro.
Filo. (a parte). Brava Scafa, ti meriti un applauso. Questa trovata dell'avorio e dell'inchiostro
davvero carina.
File. Be, allora dammi il rossetto.
Sc. Non te lo do. Bella furberia voler imbrattare con un piastriccio d'accatto il meraviglioso
capolavoro del tuo viso! Alla tua et non c' bisogno di ricorrere alle tinture, n al bianchetto, n
alla biacca di Melo, n ad altri impiastri.
File. E allora dmmi lo specchio (ci si guarda e lo bacia).
Filo. (a parte) Ah, povero me, ha dato un bacio allo specchio! Come vorrei sottomano un ciottolo
da spaccar la testa a quello specchio!
Sc. Piglia il fazzoletto e pulisciti le mani.
File. O perch, di grazia?
Sc. Siccome hai toccato lo specchio, temo che le mani ti possano odorare d'argento: cos Filolachete
potrebbe sospettare che abbia preso denaro da altri.
Filo. (a parte) Mi sa di non aver mai vista una mezzana pi furbacchiona di costei. Che idea fina,
che sottile ciurmeria l venuta in testa sullo specchio a questa birbante.
File. E non credi sia il caso che mi passi un po' d'unguento?
Clear. (uscendo di casa) Neanche a suon di filippi darei via, se ci fosse un compratore, una sola di
codeste tue parolacce. Gli improperi che ci scagli addosso sono tutt'oro e argento di coppella. Il tuo
cuore qui, appiccicato alla nostra porta: stato il dio dell'amore a inchiodarvelo. Ora prova a
fuggire: forza coi remi, forza con la vela! quanto pi cercherai di correre al largo, tanto pi il flutto
della passione t ricaccer in porto.
Diab. Per io, corpo di Bacco, al doganiere di questo porto non pagher pi dazio. D'ora in poi
voglio usarti il i6o trattamento che meriti da me e dalla mia borsa. Del resto sei proprio tu che non
mi tratti come merito. Mi cacci perfino di casa!
Clear. Eh, lo sappiamo bene! Questa roba che si dice con la lingua, ma poi non se ne fa nulla.
Diab. Senti, sono stato l'unico a sollevarti dalla desolazione e dalla miseria. E se ora dovessi essere
l'unico a godermi tua figlia, non ti saresti sdebitata abbastanza.
Clear. L'unico? ma s! Per dovresti essere in grado, da solo, ir; di dare tutto quello che ti chiedo.
Diab. Dare, dare... ma c' un limite? sei proprio insaziabile! Hai finito appena d'insaccare che sbito
pensi a rinnovare le tue richieste.
Clear. E c' un limite quando meni via la tua bella e quando ci fai all'amore? forse che ti sazi? Me
l'hai appena riaccompagnata e sbito mi chiedi di rimandartela.
Diab. Ma io quello che avevo pattuito te l'ho ben dato!
Clear. Ed io ti ho mandato la ragazza. Siamo pari: tanto denaro, tanto servizio.
Diab. Fai male a mercanteggiare con me.
Clear. Perch mi rimproveri, se faccio il mio dovere? Vedi, n la scultura, n la pittura, n la
letteratura hanno mai pensato ad una mezzana che, intenzionata a rimpannucciarsi, si metta a far la
beneficenza con questo o quel giovanotto.
Diab. Ma infine tu stessa hai l'interesse di trattarmi bene, se vuoi farmi durare.
Clear. Non sai? chi tratta bene un amante, tratta male s stessa. L'amante per la mezzana come
il pesce: cattivo, se non fresco. Fresco, invece, una delizia, un lacchezzo! Lo puoi preparare
Merc. Ma insomma! Comunque sia, non avrai da me il becco d'un quattrino, finch non sar
Demeneto a ordinarmelo.
Leon. Fa' come ti pare. E ora su, cammina, aria! Oltraggi gli altri, e non vuoi che non ti si risponda
per le rime? Io sono un uomo n pi n meno che te.
Merc. Questo si capisce.
Leon. Vieni qua, seguimi dunque. Modestia a parte, posso dirti una cosa. Finora nessuno ha avuto
motivo di accusarmi e oggi ad Atene non c' un altro, in cui la gente abbia pi stima e
incondizionata fiducia che in me.
Merc. Pu darsi. Tuttavia oggi non mi convincerai mai ad affidarti questo denaro senza conoscerti.
Quando un uomo non si sa di che pasta sia, non un uomo, ma un lupo per l'altro uomo.
Leon. Ah, vedi? ora cominci ad adularmi. Sapevo che avresti dato soddisfazione a quell'omiciattolo
che sono per il torto arrecatomi. Anche se ti sembro sbricio, sono un galantuomo io e ho denaro da
non potersi contare.
Cr. vero che questa nostra conoscenza piuttosto recente - ed esattamente da quando hai
comprato il podere qui vicino -, e che tra di noi non c' stato nulla di pi; eppure, sar per le tue
doti, sar per il vicinato, una cosa che io considero al confine con l'amicizia, io mi sento indotto a
consigliarti, con franchezza e familiarit, perch mi pare che tu, per la tua et, lavori troppo e pi di
quanto lo richieda la tua condizione. In nome degli di e degli uomini, a che cosa miri? Che cosa
vai cercando? Avrai sessant'anni, o forse pi, immagino; nessuno, in questa zona, ha un podere
migliore e pi pregiato; un sacco di servi; e, come se non ne avessi neanche uno, ti metti a fare tu
stesso, con tanto accanimento, le cose che toccano a loro. Mai ch'io esca tanto presto la mattina, o
rincasi cos tardi la sera, senza che ti veda l nel fondo a scavare, ad arare o a trasportare qualcosa.
Amantes amentes
Amanti pazzi.
(Terenzio, Andria, v. 218)
Amantium irae amoris integratio est.
Le ire degli amanti sono un rinnovamento dellamore.
(Terenzio, Andria, v. 555)
De. Quanti fastidi e quante preoccupazioni mi procura mio figlio, mettendo nei guai me e lui con
queste nozze. E non si fa neppure vedere da me, perch almeno io sappia che cosa dice e cosa pensa
di questa storia. (A Geta) Va' a vedere se gi tornato a casa o no.
Ge. Vado. (Entra in casa).
De. Vedete a che punto la cosa. Che devo fare? Dimmi. Egione.
Eg. Io credo che Cratino potrebbe, se tu sei d'accordo...
De. Dimmi, Cratino.
Cra. Vuoi che io...
De. S.
Cra. Io direi che devi fare quello che meglio per te, Per me, io la vedo cos. Quello che tuo figlio
ha fatto qui durante la tua assenza, mi pare giusto e corretto che torni com'era prima. E l'otterrai.
Ecco tutto.
De. Di' tu ora, Egione.
Eg. Io credo che lui (indica Cratino) abbia detto una cosa esatta. Ma poi, cos: quante teste, tanti
pareri. Ognuno la vede a modo suo. A me non pare che quello che stato fatto per legge lo si possa
annullare. Tentarlo una cosa che non fa onore.
De. Di' tu, Critone.
Cri. Io penso che bisogna riflettere un po' di pi: il caso grave.
Eg. Ti serve altro da noi?
De. Siete stati perfetti: sono molto pi indeciso di prima. (Si allontanano).
Ge. (uscendo di casa) Dicono che non tornato.
De. Devo aspettare mio fratello. Seguir il consiglio che mi dar lui su questa storia. Andr al porto
per sapere quando ritorna. (Si allontana).
Ge. Io intanto cercher Antifone per fargli sapere cos' successo qui. Ma ecco che lo vedo arrivare,
proprio al momento giusto.
Desinas ineptire
Smetti di fare follie!
(Catullo, c. 8, v. 1)
Carme 8
1. Miser Catulle, desinas ineptire,
2. et quod vides perisse perditum ducas.
3. Fulsere quondam candidi tibi soles,
4. cum ventitabas quo puella ducebat,
5. amata nobis quantum amabitur nulla.
6. Ibi illa multa tum iocosa fiebant,
7. quae tu volebas nec puella nolebat.
8. fulsere vere candidi tibi soles.
9. Nunc iam illa non vult: tu quoque, impotens, noli;
10. nec quae fugit sectare, nec miser vive,
11. sed obstinata mente perfer, obdura.
12. Vale, puella, iam Catullus obdurat,
13. nec te requiret nec rogabit invitam.
14. at tu dolebis, cum rogaberis nulla.
15. Scelesta, vae te! quae tibi manet vita?
16. quis nunc te adibit? cui videberis bella?
17. quem nunc amabis? cuius esse diceris?
18. quem basiabis? cui labella mordebis?
19. At tu, Catulle, destinatus obdura!
Carme 70
1. Nulli se dicit mulier mea nubere malle
2. quam mihi, non si se Iuppiter ipse petat.
3. Dicit: sed mulier cupido quod dicit amanti,
4. in vento et rapida scribere oportet aqua.
Carme 76
1. Siqua recordanti benefacta priora voluptas
2. est homini, cum se cogitat esse pium,
3. nec sanctam violasse fidem, nec foedere in ullo
4. divum ad fallendos numine abusum homines,
5. multa parata manent in longa aetate, Catulle,
6. ex hoc ingrato gaudia amore tibi.
7. nam quaecumque homines bene cuiquam aut dicere possunt
8. aut facere, haec a te dictaque factaque sunt.
9. omnia quae ingratae perierunt credita menti.
10. quare cur tete iam amplius excrucies?
11. quin tu animum offirmas atque istinc te ipse reducis
12. et dis invitis desinis esse miser?
13. difficilest longum subito deponere amorem,
14. difficilest, verum hoc qua libet efficias:
15. una salus haec est, hoc est tibi pervincendum,
16. hoc facias, sive id non pote sive pote.
17. di, si vestrumst misereri, aut si quibus umquam
18. extremam iam ipsa in morte tulistis opem,
19. me miserum aspicite et, si vitam puriter egi,
20. eripite hanc pestem perniciemque mihi,
21. quae mihi surrepens imos ut torpor in artus
22. expulit ex omni pectore laetitias.
23. non iam illud quaero, contra me ut diligat illa,
24. aut, quod non potis est, esse pudica velit:
25. ipse valere opto et taetrum hunc deponere morbum.
26. Di, reddite mi hoc pro pietate mea!
Odi et amo.
Odio e amo
(Catullo, c. 85, v. 1)
Carme 85
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
Odio e amo. Forse ti chiedi perch io lo faccia (oppure: come sia possibile)
Non lo so, ma sento che accade e mi tormento.
Anacreonte
.
Amo e non amo,
sono pazzo e non sono pazzo. (fr. 46 Gentili)
Intanto scoppi la guerra tra l'Egitto e la Persia. Gli Ateniesi erano alleati con Artaserse, gli
Spartani con gli Egiziani; dai quali Agesilao, loro re, traeva enormi guadagni. Cabria, considerando
questo e non volendo essere in nulla inferiore ad Agesilao, di sua iniziativa partito in loro aiuto, si
mise a capo della flotta Egiziana, mentre Agesilao era a capo delle truppe di terra.
Allora i satrapi del re persiano inviarono ambasciatori ad Atene a protestare del fatto che Cabria
conducesse la guerra insieme agli Egiziani contro il re. Gli Ateniesi fissarono a Cabria un giorno,
entro il quale se non fosse tornato in patria, gli notificarono che lo avrebbero condannato alla pena
capitale. A questo messaggio egli ritorn ad Atene, ma non rimase l pi a lungo di quanto fu
necessario. I suoi concittadini infatti non lo vedevano di buon occhio: viveva sfarzosamente e si
dava troppo alla bella vita perch potesse sfuggire al mal volere della gente. questo vizio comune
a tutti gli Stati grandi e liberi, che l'invidia sia compagna della gloria e che volentieri screditino
coloro che vedono levarsi troppo in alto e che i poveri non guardino con animo sereno la fortuna
degli altri che sono ricchi. E cos Cabria, finch le circostanze glielo permettevano, se ne stava
assente il pi a lungo possibile. E non era lui solo a stare volentieri lontano da Atene: fecero lo
stesso pressoch tutti i capi, perch ritenevano che sarebbero stati lontani dalla invidia nella misura
in cui fossero stati lontani dai loro concittadini. Cos Conone visse per lo pi a Cipro, Ificrate in
Tracia, Timoteo a Lesbo, Carete al Sigeo; molto diverso Carete da questi e per vicende e per
costumi, ma tuttavia in Atene onorato e potente.
Inoltre fu facondo tanto che nessun Tebano gli fu pari per eloquenza, felice nelle brevi risposte
quanto elegante nel discorso continuo. Ebbe come calunniatore un certo Meneclide, anche lui di
Tebe, suo avversario nell'amministrazione dello Stato, abbastanza abile oratore, come Tebano,
evidentemente: infatti in quel popolo posta pi forza fisica che ingegno. Costui, poich vedeva
che Epaminonda eccelleva nell'arte militare, soleva esortare i Tebani ad anteporre la pace alla
guerra, affinch non fosse richiesta la sua opera di comandante. Epaminonda gli disse: "Inganni i
tuoi concittadini con quello che dici, dal momento che li allontani dalla guerra: infatti in nome della
pace procuri loro la schiavit. La pace nasce dalla guerra. Perci quelli che vogliono godere di
una lunga pace devono essere esercitati alla guerra. Quindi, se volete essere i primi della Grecia,
dovete usare l'accampamento, non la palestra".
Motti simili:
Aggiungi che sperdono le forze e si logorano con le fatiche; aggiungi che al cenno imperioso d'altri
si trascorre la vita. Frattanto il patrimonio si dilegua e si trasforma in tappeti d'oriente; i doveri
sono trascurati e ne soffre il buon nome, che vacilla. Ma scintillano unguenti, e intorno ai piedi
ridono leggiadri sandali di Sicione e, s'intende, grandi smeraldi dalla verde luce sono legati in oro,
la veste color di mare consunta dall'uso continuo e strapazzata s'imbeve di sudore amoroso. Gli
onesti guadagni dei padri diventano bende e diademi, talvolta si mutano in pepli e in stoffe di
Alinda e di Ceo. Si apprestano conviti con splendide coperture e portate, giochi, tazze sempre
colme, profumi, corone e ghirlande invano, perch di mezzo alla fonte delle delizie rampolla non
so che amaro, e stringe alla gola perfino tra i fiori, o quando a volte l'animo consapevole si rode di
trascorrere oziosa la vita e di perdersi con la lussuria, o perch essa una parola in senso ambiguo
Marinella De Luca - Detti e motti latini (usi e abusi) 35
gettando ha lasciata, che confitta nel cuore innamorato si avviva come fiamma, o gli pare che lanci
troppe occhiate o fermi lo sguardo su un altro, o vede nel suo volto il lampo d'un sorriso.
E questi mali s'incontrano in un amore appagato e sommamente felice; ma in una passione
avversa e disperata ce ne sono infiniti, che puoi cogliere anche a occhi chiusi. Meglio essere prima
vigilanti, nel modo che ho detto, e badare a non essere adescati. Evitare d'esser gettati nelle reti
d'amore non cos difficile come uscirne una volta irretiti, e districarsi dai tenaci nodi di Venere.
Eppure anche impigliato e avviluppato potresti sfuggire al nemico, se proprio tu non ti opponessi
ostacoli, e specialmente non ti nascondessi tutti i vizi dell'animo o i difetti del corpo di colei che
vagheggi e vuoi tua. Questo fanno di solito gli uomini accecati dal desiderio, e accordano ad esse
quei pregi che in verit non hanno. Perci vediamo femmine per molti aspetti brutte e deformi,
teneramente amate e superbe di altissimo onore. E poi ridono un dell'altro e si esortano a rabbonire
Venere, perch un brutto amore li affligge; e spesso non vedono, miseri, i propri mali enormi. La
mora ha il colore del miele, una sudicia e lercia veste negletto, se ha occhi verdi il ritratto di
Pallade, tutta tndini e stecchi una gazzella, piccolina - una nana - una delle Grazie, tutta
sale, enorme e sgraziata stupenda, piena di maest. La balbuziente non pu parlare,
cinguetta, la muta cos riservata!, l'impetuosa petulante e ciarliera diventa una Fiammetta.
un esile amorino quando la consunzione l'uccide, e se gi muore di tosse un po' gracilina.
La pingue dal seno enorme Cerere sgravata di Bacco, la camusa una cilena o una Satira,
la labbrona una voglia di baci. E la farei troppo lunga se volessi esaurir l'argomento. Ma sia pur
bella in viso quanto vuoi e il richiamo di Venere sorga possente da tutte le sue membra: certo ve ne
sono anche altre; cero senza di lei siamo vissuti finora; certo fa, e lo sappiamo, tutto quello che fa la
brutta e da s, poverina, sammorba di odori ripugnanti, mentre le serve fuggono lontano e
scoppiano in risate furtive.
Neppure questo fa meraviglia, come il sole, che tanto piccolo, possa emettere tanta luce da
colmare, inondandoli, tutti i mari e le terre ed il cielo e diffondere su tutte le cose il caldo suo alito.
Forse di l sapre sul mondo ununica fonte, che sgorga e riversa con getto copioso la luce, perch
da tutto il mondo gli elementi di fuoco si raccolgono dogni parte, e il loro impeto confluisce per
modo, che qui da una sola sorgente scaturisce il calore. Non vedi per quanto spazio una piccola
fonte d'acqua talvolta irriga i prati e trabocca nella pianura? 0 forse anche, dal fuoco non grande del
sole una vampa di ardente calore infiamma l'aria, se per caso l'aria cos opportunamente disposta,
da accendersi appena colpita da lieve calore; come talvolta vediamo nelle spighe e nelle stoppie
per vasto tratto nascono incendi da una sola scintilla. O forse, il sole che sfolgora in alto con rosea
fiaccola, ha intorno a s molto fuoco dal fervore invisibile, che non rivelato da nessuno sprazzo di
luce, e diffonde un calore che accresce solo la potenza dei raggi.
Orazione che Cicerone scrisse nel 57 a.C. quando, grazie allintervento di Pompeo, pot tornare a
Roma e, nonostante le difficolt, ottenne di ricostruire la casa sul palatino che Clodio gli aveva fatto
demolire.
(1) Tra le numerose istituzioni che gli di, o pontefici, hanno ispirato ai nostri antenati, non ce n'
una che sia pi bella della loro volont di affidare agli stessi uomini e il culto degli di immortali e i
supremi interessi dello Stato, perch i pi autorevoli e illustri cittadini assicurassero col loro buon
governo il mantenimento dell culto e con una saggia interpretazione delle norme religiose quello
dello Stato. E se ci fu mai altra occasione in cui una causa importante fu affidata al giudizio e al
potere dei sacerdoti del popolo romano, questa di certo di tale importanza che tutto il prestigio
dello Stato, la sicurezza, la vita, la libert, gli altari, i focolari domestici, gli di penati, i beni e le
sostanze di tutti i cittadini sono - ben evidente - rimessi e affidati alla vostra saggezza, alla vostra
scrupolosit, al vostro potere.
10. Ma come si pu chiamare ingiusta la morte inferta a chi ci tende insidie e ruba le nostre
sostanze? E, ditemi, come si spiegano queste nostre scorte armate di pugnali? ovvio che, se non
fosse permesso in alcun caso di usarle, non sarebbe permesso nemmeno di tenerle. Esiste, dunque,
giudici, questa legge non scritta, ma insita in noi, che non abbiamo letto o imparato sui banchi di
scuola n ereditato dai padri: al contrario, l'abbiamo desunta dalla natura, assimilata completamente
e fatta nostra: non ce l'hanno insegnata, ce la siamo presa ed ormai connaturata in noi. Cos, se
dovessimo subire un agguato, una violenza, magari anche armata, per opera di un brigante da strada
o di un avversario politico, ogni mezzo per salvare la nostra vita sarebbe lecito.
11. Le leggi, infatti, tacciono in mezzo alle armi e non prescrivono di affidarsi a loro, perch chi
decidesse in tal senso dovrebbe comunque subire una pena immeritata prima di avere giustizia. Se
vogliamo, c' una legge che tutela la legittima difesa: essa, nella sua oculatezza, seppure
implicitamente, non proibisce di uccidere un uomo, ma vieta che si vada in giro armati con
l'intenzione di uccidere. E dunque, quando si indaga sulle cause e non sull'arma del delitto, chi ha
usato un'arma solo per difendersi, non deve essere imputato di avere avuto con s l'arma con
l'intenzione di uccidere. Perci, giudici, vorrei che questa mia riflessione restasse un punto fermo
nel corso del dibattito; infatti, sono sicuro di convincervi con le mie parole di difesa, a patto che
teniate sempre presente un dato che non si pu dimenticare: si pu legittimamente uccidere chi
tende insidie.
Quousque tandem?
Fino a quando?
(Cicerone, Catilinaria, I, 1)
[1] Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? quam diu etiam furor iste tuus nos
eludet? quem ad finem sese effrenata iactabit audacia? Nihilne te nocturnum praesidium Palati,
nihil urbis vigiliae, nihil timor populi, nihil concursus bonorum omnium, nihil hic munitissimus
habendi senatus locus, nihil horum ora voltusque moverunt? Patere tua consilia non sentis,
constrictam iam horum omnium scientia teneri coniurationem tuam non vides? Quid proxima, quid
superiore nocte egeris, ubi fueris, quos convocaveris, quid consilii ceperis, quem nostrum ignorare
arbitraris?
(33) Passiamo dunque ad abbozzare quel tipo di oratore che noi cerchiamo e a rappresentarlo
ormai ora fornito di quelleloquenza che Antonio non ha riscontrato in nessuno. Mi accingo a
un'impresa veramente importante e ardua, o Bruto; ma non c' nulla di difficile, a mio avviso, per
chi ama. Perch io amo e ho sempre amato il tuo talento, i tuoi gusti e il tuo carattere. Sento ogni
giorno di pi la tua mancanza e mi struggo di desiderio, pensando ai nostri incontri, ai nostri
rapporti, alle tue dotte conversazioni. Mi commuove anche l'incredibile fama delle tue meravigliose
virt, che, opposte all'apparenza, sono unite dalla tua saggezza. (34) Che cosa c' di pi diverso
della severit e della gentilezza? Eppure, chi stato mai giudicato o pi retto o pi affabile di te?
Per chi deve giudicare processi in cui sono coinvolte pi persone, nulla tanto difficile quanto il
farsi amare da tutti. Eppure tu riesci a rimandare soddisfatti e sereni perfino coloro contro i quali hai
emesso una sentenza. Cos, pur non facendo tu nulla per guadagnarti dei fautori, ottieni che riesca
gradito tutto ci che fai. Per questo tra tutte le regioni la sola Gallia immune dall'incendio che
ovunque divampa: tu vi raccogli il frutto delle tue virt, al cospetto dell'Italia, vivendo in mezzo a
cittadini ragguardevolissimi per dignit e potenza. E che dire del fatto che, pur occupato da s grandi
problemi, non tralasci un istante i severi studi, ma sei sempre intento a scrivere qualcosa o esorti me
a scrivere!
Cicerone, De officiis, I, 33
(33) Existunt etiam saepe iniuriae calumnia quadam et nimis callida sed malitiosa iuris
interpretatione. Ex quo illud summum ius summa iniuria factum est iam tritum sermone
proverbium. Quo in genere etiam in re publica multa peccantur, ut ille, qui, cum triginta dierum
essent cum hoste indutiae factae, noctu populabatur agros, quod dierum essent pactae, non
noctium indutiae. Ne noster quidem probandus, si verum est Q. Fabium Labeonem seu quem alium
- nihil enim habeo praeter auditum - arbitrum Nolanis et Neapolitanis de finibus a senatu datum,
cum ad locum venisset, cum utrisque separatim locutum, ne cupide quid agerent, ne adpetenter,
atque ut regredi quam progredi mallent. Id cum utrique fecissent, aliquantum agri in medio
relictum est. Itaque illorum finis sic, ut ipsi dixerant, terminavit; in medio relictum quod erat,
populo Romano adiudicavit. Decipere hoc quidem est, non iudicare. Quocirca in omni est re
fugienda talis sollertia.
(33) Si commettono spesso ingiustizie anche per una certa tendenza al cavillo, cio per una troppo
sottile, ma in realt maliziosa, interpretazione del diritto. Di qui il comune e ormai trito proverbio:
somma giustizia, somma ingiustizia. A questo riguardo, si commettono molti errori anche nella
vita pubblica; come, per esempio, quel tale che, conclusa col nemico una tregua di trenta giorni,
andava di notte a saccheggiar le campagne, col pretesto che il patto parlava di giorni e non di notti.
Non merita lode neppure, -se il fatto vero -, quel nostro concittadino, sia egli Quinto Fabio
Labeone o qualcun altro (io non ne so pi che per sentito dire). Il senato l'aveva mandato ai Nolani
e ai Napoletani, come arbitro per una questione di confini. Venuto egli sul luogo, parl
separatamente agli uni e agli altri, raccomandando che non trascendessero in atti di avidit e di
prepotenza, anzi volessero piuttosto retrocedere che avanzare. Cos fecero gli uni e gli altri, e un bel
tratto di terreno rimase libero nel mezzo. Allora egli fiss i confini dei due popoli come essi
avevano detto; e il terreno rimasto nel mezzo, l'assegn al popolo romano. Questo si chiama
ingannare, non giudicare. Perci, in ogni circostanza, conviene evitare simili furberie.
Modus vivendi.
Correntemente: modo di vivere; originariamente: equilibrio nel vivere.
(Cicerone, De re publica, I, 51)
(51) ... se ci far per sorte, sar travolto tanto presto quanto una nave, nel caso che si metta al
timone uno dei passeggeri estratto a caso. Che se liberamente il popolo sceglier quelli cui affidarsi,
e sceglier, se pur vuole essere salvo, i migliori soltanto, di certo la salvezza della citt viene ad
identificarsi con le deliberazioni degli ottimi, soprattutto perch la natura stessa comporta questo,
che non soltanto i sommi per virt ed animo governino i pi deboli, ma che anche costoro vogliano
obbedire ai sommi. Ma questa ottima condizione essi dicono che venne sconvolta dai pregiudizi
falsi degli uomini, che ignorando la virt, la quale si trova in pochi e da pochi quindi giudicata e
vista, stimano che siano ottimi ora i ricchi ed i plutocrati, ora gli aristocratici. Per questo errore del
volgo, da quando incominci ad essere padrona dello Stato non la virt ma la potenza di pochi,
Ipse dixit.
Lha detto lui.
(Cicerone, De natura deorum, I, 10)
(10) Quanto poi a coloro che si danno da fare per conoscere la nostra personale opinione su ogni
singolo problema, debbo dire che se ne preoccupano pi del necessario; nelle discussioni si deve
cercare non il peso dell'autorit, ma la forza degli argomenti. Per lo pi, anzi, l'autorit di coloro che
si proclamano maestri un ostacolo per quelli che desiderano imparare; sotto il suo peso cessano di
esercitare la loro facolt di giudicare e ritengono incontestabilmente valido il giudizio di colui che
apprezzano e stimano. Non mia abitudine esaltare il metodo dei Pitagorici, dei quali si racconta
che, se in una discussione veniva fatta un'asserzione e qualcuno chiedeva che venisse giustificata
razionalmente, erano soliti rispondere: L'ha detto lui. Questo lui era Pitagora: tanto grande era
il peso di un'opinione preventivamente fissata come vera, che l'autorit prevaleva anche
prescindendo dalla possibilit di dimostrarla razionalmente.
(3) Nella cultura e in ogni genere letterario la Grecia ci era superiore; ma era facile vincere chi non
contrastava. Infatti, mentre in Grecia antichissimo il culto della poesia, se vero che Omero ed
Esiodo vissero prima della fondazione di Roma ed Archiloco al tempo di Romolo, noi abbiamo
appreso pi tardi l'arte poetica. Livio Andronico, che fu anteriore a Plauto e a Nevio, diede una
rappresentazione teatrale circa cinquecentodieci anni dopo la fondazione di Roma, e precisamente
sotto il consolato di Gaio Claudio, figlio di Appio Claudio Cieco, e di Marco Tuditano, l'anno prima
della nascita di Ennio. Tardi fu dunque conosciuta, o meglio accolta, la poesia fra noi. Per quanto, si
legge nelle Origini di Catone che i convitati solevano nei banchetti cantare accompagnati dal flauto
le virt degli uomini illustri; che per non fosse tenuto in pregio questo genere letterario lo dichiara
il medesimo Catone in un discorso in cui rinfacci a Marco Nobiliore di aver condotto dei poeti
nella sua provincia, come se si trattasse di un'azione vergognosa: come si sa, egli quand'era console
aveva condotto Ennio in Etolia. Pertanto, quanto meno si onoravano i poeti, tanto minore era
l'interesse per la poesia; pur tuttavia sorsero alcuni grandi ingegni poetici, che non sfigurano del
tutto di fronte alla gloria dei Greci.
(4) Del resto, se Fabio, nobilissima persona, fosse stato onorato come pittore, non sarebbero forse
stati numerosi anche da noi artisti come Policlito e Parrasio? L'onore alimenta le arti, e tutti sono
invogliati agli studi dal desiderio di gloria, mentre dovunque resta trascurato ci che stimato senza
valore. Per i Greci era indice di profonda cultura saper cantare e suonare uno strumento a corda;
pertanto si dice che Epaminonda, a mio parere il primo dei Greci, era un ottimo suonatore di cetra,
mentre Temistocle e alquanti anni prima fu ritenuto poco colto perch in un banchetto aveva
dichiarato di non saper suonare la lira. In Grecia dunque la musica fu in onore e tutti la imparavano,
e chi la ignorava era stimato di scarsa cultura.
Cicerone, De officiis, I, 77
(77) Illud autem optimum est, in quod invadi solere ab improbis et invidis audio "cedant arma
togae, concedat laurea laudi". Ut enim alios omittam, nobis rem publicam gubernantibus nonne
togae arma cesserunt? Neque enim periculum in re publica fuit gravius umquam nec maius otium.
Ita consiliis diligentiaque nostra celeriter de manibus audacissimorum civium delapsa arma ipsa
ceciderunt. Quae res igitur gesta umquam in bello tanta? qui triumphus conferendus?
(77) Ottima quella mia sentenza, contro la quale, a quel ch'io sento, si scagliano i soliti maligni e
gl'invidiosi: " Le armi cedano alla toga, ceda l'alloro (del capitano) alla gloria civile" . Per
tralasciare altri casi, quando io reggevo il timone dello Stato, forse le armi non cedettero alla toga?
Mai lo Stato corse pi grave pericolo e mai godette pi sicura pace. Con tanta prontezza, in virt dei
miei provvedimenti e della mia vigilanza, caddero da se stesse le armi dalle mani di temerari e
facinorosi cittadini. Quale impresa cos grande, dunque, fu mai compiuta in guerra? Quale trionfo di
capitano pu paragonarsi con questo di magistrato?
(20) In un passo, poi, del tuo discorso, hai voluto pure fare lo spiritoso: quanto a sproposito, di
buoni! E un po' di colpa ce l'hai, dato che un po' di spirito avresti potuto prenderlo da quell'attricetta
di tua moglie. Cedano le armi alla toga. Ebbene? Forse che allora non hanno ceduto? Ma in
seguito la toga ha ceduto alle tue armi. Vediamo dunque un po' cos' stato pi utile: che le armi dei
criminali cedano alla libert del popolo romano, oppure che la nostra libert ceda alle tue armi. Per
quanto poi riguarda i miei versi, non mi dilungher oltre nella mia risposta; accenner solo che tu
non t'intendi n di poesia n in generale di letteratura, assolutamente; io invece, che pure non ho
mai mancato ai miei doveri n verso lo stato n verso gli amici, con i miei componimenti di ogni
genere, scritti nei ritagli di tempo, ho tuttavia ottenuto il bel risultato che la mia attivit letteraria,
per la quale ho sottratto del tempo al sonno, procurasse qualche vantaggio e qualche gloria alla
nostra patria. Ma queste questioni sono attualemente fuori posto; passiamo a problemi ben pi
importanti!
E cos, difficilissimo trovare vere amicizie in chi vede nella carriera politica una ragione di vita.
Dove trovare chi preferisca alla propria affermazione quella dell'amico? E, per passare ad altro,
come risulta gravoso e difficile, ai pi, condividere gli insuccessi altrui! Non facile trovare
persone disposte ad abbassarsi a tanto. E bench Ennio abbia ragione nel dire: L'amico certo si
scopre nella sorte incerta tuttavia due sono le situazioni che dimostrano la leggerezza e
l'incostanza dei pi: se disprezzano gli amici nel momento del successo o se li abbandonano nelle
difficolt. Chi, in entrambi i casi, si mostrer amico serio, coerente e stabile, dobbiamo considerarlo
di una stirpe umana rarissima, quasi divina!
(1) La composizione dei templi risulta dalla simmetria e gli architetti devono conservare in modo
estremamamente scrupoloso i principi di essa. Ed essa nasce dalla proporzione, che in greco
detta analogha. La proporzione la commensurabilit sulla base di un'unit determinata delle
membrature in ogni impianto e in tutta quanta tale opera, con cui viene tradotto in atto il criterio
delle relazioni modulari. E infatti non pu alcun tempio avere un principio razionale della
composizione senza simmetria e proporzione, se non l'ha avuto aderente al principio razionale
precisamente definito proprio delle membra di un uomo dalla bella forma.
(2) Infatti il corpo delluomo cos composto per natura che nella testa il volto dal mento alla
sommit della fronte e all'inizio inferiore dei capelli sostituisce la decima parte, cos pure il palmo
della mano dal polso all'estremit del dito medio altrettanto, la testa dal mento alla sommit
del cranio l'ottava, dalla sommit del petto son la parte pi bassa del collo alle radici inferiori dei
capelli la sesta, dal petto alla sommit del capo la quarta. E della stessa altezza del volto la parte dal
limite inferiore del mento a quello delle narici la terza, il naso dal limite inferiore delle narici al
tratto intermedio della linea delle sopracciglia altrettanto. Da tale linea all'inizio inferiore della
chioma la fronte resa pure terza parte. E il piede la sesta parte dell'altezza del corpo, il cubito la
quarta, il petto pure la quarta. Anche le altre membra hanno le loro proporzioni reciprocamente
92. Dam. Voi che cogliete i fiori e le fragole basse sul terreno,
93. scappate via, ragazzi: una fredda serpe si nasconde nellerba.
94. Men. Restate indietro, pecore, la riva non solida.
95. Persino il capro si sta ancora asciugando.
Meri
Ci penso, Lcida, e in silenzio medito
se riesco a ricordarmi: non un canto da poco.
Vieni qui, mia Galata: che diletto c' fra fonde?
Qui purpurea primavera, qui la terra
in riva ai fiumi fa sbocciare tanti fiori; e sulla grotta
Mirabile dictu.
Mirabile a dirsi.
(Virgilio, Eneide, II, v. 26)
Parce sepulto.
Risparmia un cadavere.
(Virgilio, Eneide, III, v. 41)
Auri sacra fames.
Esecrabile fame di oro.
(Virgilio, Eneide, III, v. 57)
(1-3) Come si spiega, o Mecenate, che nessuno al mondo vive contento della sua condizione
(labbia egli scelta a suo talento, o glielabbia posta innanzi il destino) e ritiene felice chi svolge
attivit diverse dalla sua? (...)
(92-112) Infine, per metter punto il ragionamento, quando gi possiedi pi del bisogno,
abbi mulo timore della povert e, ottenuto quanto desideravi, comincia a riposarti dalle
fatiche; per non fare come Ummidio (non lungo il racconto) il quale, essendo tanto ricco,
da misurare le sue monete a staia, e cos taccagno, da non vestir mai meglio d'un servo, fino
agli ultimi anni temeva di morire per mancanza del vitto: ma una liberta, emula della
Tindaride pi vigorosa (= Clitemnestra, moglie di Agamennone e sorella di Elena), con un
colpo di scure lo divise a mezzo. Che mi consigli allora? ch'io segua nella vita l'esempio di
Nevio (= famoso per la sua spilorceria), o quello di Nomentano (= famoso per la sua
prodigalit)? Tu insisti a metter di fronte tra loro due modi, che sono agli antipodi. S'io
t'impedisco di diventare avaro, non ti ordino gi d'esser prodigo e scialacquatore.
C una misura nelle cose; esistono insomma limiti precisi, oltre i quali, dall'una e
dall'altra parte, non pu trovarsi la rettitudine. E torno al punto di partenza: che, a
somiglianza dell'avaro, nessuno soddisfatto del proprio stato, e leva al cielo quello degli
altri; si affligge che l'altrui capretti riporti la mammella pi gonfia, e non paragona s stesso
con la folla dei meno abbienti, ma cerca sempre di avanzar questo e quello.
Qui ci eravamo dato convegno con l'ottimo Mecenate, e Cocceio, incaricati l'uno e l'altro di mansioni
importanti, soliti com'erano a rappattumare gli amici che erano in rotta fra loro. Attendevo appunto
a ungere, per la mia cispa, gli occhi con un denso collirio, quando arrivano Mecenate e Cocceio, e
con essi Fonteio Capitone, uomo fino allunghia (= gentiluomo raffinato) e amico di Antonio, quanto
altri mai.
Vi sono di quelli a cui sembra che io nella satira sia troppo mordace e che trapassi la misura; altri
ritiene che quel che ho scritto sia privo di vigore e che dei versi simili ai miei si possono scodellare
mille al giorno. Consigliami o Trebazio (= dotto e stimato giureconsulto, amico e coetaneo di
Cicerone), ci che ho da fare. E tu stattene quieto Dici che io non faccia pi versi? Proprio
cos Mi venga un malanno se questo non sarebbe un ottimo partito, ma che io non posso
dormire. (...).
O Giove, padre e re nostro, tu fa' che quest'arma irrugginisca, n alcuno cerchi di far male a me, che
voglio la pace! Ma, se qualcuno si attenter a stuzzicarmi (meglio non far la prova, ve lo avverto!)
avr da piangere, e diverr la favola della intera citt.
Cervio quando va in bestia, minaccia ricorsi alle leggi e ai tribunali; Canidia minaccia ai suoi
nemici i veleni di Albuzio; Turio una sequela di malanni a chi gli cpiti in qualche processo sotto le
grinfie. Ciascuno cerca di spaventare gli avversari con i mezzi, di cui dispone; e come ci sia
imposto dalle leggi ineluttabili di natura, convieni con me per queste considerazioni, il lupo assale
con i denti, il toro con le corna: da dove proviene ci se non dallistinto? (...)
Per non farla lunga, sia che mi attenda una tranquilla vecchiezza, sia la Morte mi voli intorno con le
sue nere ali; ricco o povero, sia che io rimanga a Roma, sia che il destino mi getti dun tratto in
esilio; qualunque sia il mio genere di vita, io continuer a scrivere.
Orazio, Odi, I, 1
1. Maecenas atavis edite regibus,
2. et praesidium et dulce decus meum:
3. sunt quos curriculo pulverem Olympicum
4. collegisse iuvat metaque fervidis
5. evitata rotis palmaque nobilis
6. terrarum dominos evehit ad deos;
7. hunc, si mobilium turba Quiritium
8. certat tergeminis tollere honoribus;
9. illum, si proprio condidit horreo
10. quidquid de Libycis verritur areis.
11. gaudentem patrios findere sarculo
12. agros Attalicis condicionibus
13. numquam demoveas, ut trabe Cypria
14. Myrtoum pavidus nauta secet mare;
15. luctantem Icariis fluctibus Africum
16. mercator metuens otium et oppidi
17. laudat rura sui: mox reficit rates
18. quassas indocilis pauperiem pati.
19. est qui nec veteris pocula Massici
20. nec partem solido demere de die
21. spernit, nunc viridi membra sub arbuto
22. stratus, nunc ad aquae lene caput sacrae;
23. multos castra iuvant et lituo tubae
24. permixtus sonitus bellaque matribus
O Mecenate, disceso da antenati che furono re, o mio sostegno e dolce ornamento mio: vi son
di quelli a cui piace la polvere raccolta con la biga nelle gare olimpiche, e cui la mta sfiorata
con le ruote roventi e la palma della vittoria solleva agli di, dominatori del mondo. Questi
felice, se la folla dei volubili Quiriti gareggia per innalzarlo alle tre maggiori magistrature
l; quegli, se pot radunare nel proprio granaio tutto il frumento che si spazza dalle aie della
Libia. Chi gode a sminuzzar col sarchiello le zolle del campo ereditato dal padre, neppure
col miraggio delle ricchezze di Attalo 2 tu lo ndurrest a solcare con un legno di Cipro,
timido navigante, il mare mirtoo. Il mercante, sbigottito dal libeccio in lotta con le onde
icarie, loda la pace e le campagne del suo paesello; ma sbito dopo, insofferente delle
strettezze, ripara le barche sconquassate dalla tempesta.
C' chi si diletta a, vuotare tazze di annoso Messico e ad accorciar la giornata di lavoro,
sdraiato ora sotto un verdeggiante corbezzolo, ora presso la tranquilla sorgente d'un sacro
fiume. A molti piacciono l'accampamento e il suono della tromba, misto a quello del
lituo, e le guerre detestate dalle madri. Il cacciatore, dimentico della tenera sposa,
pernotta sotto il cielo gelato, sia che i suoi bracchetti fedeli abbiano scovata una cerva,
sia che un cignale marsico abbia spezzate le attorte reti. Me le corone di edera, premio
delle dotte fronti, congiungono agli d superni; me il bosco ombroso e le danze leggre delle
Ninfe con i Satiri distinguono dal volgo, se Euterpe non arresta le melodie del flauto e
Polinnia non rifiuta di accordare la lira di Lesbo. Che se tu mi poni nella schiera dei
poeti lirici, io lever il capo fino a toccare le stelle.
Orazio, Odi, I, 4
1. Solvitur acris hiems grata vice veris et Favoni
2. trahuntque siccas machinae carinas,
3. ac neque iam stabulis gaudet pecus aut arator igni
4. nec prata canis albicant pruinis.
5. iam Cytherea choros ducit Venus imminente luna,
6. iunctaeque Nymphis Gratiae decentes
7. alterno terram quatiunt pede, dum gravis Cyclopum
8. Volcanus ardens visit officinas.
9. nunc decet aut viridi nitidum caput impedire myrto
10. aut flore, terrae quem ferunt solutae.
11. nunc et in umbrosis Fauno decet immolare lucis,
12. seu poscat agna sive malit haedo.
13. pallida Mors aequo pulsat pede pauperum tabernas
14. regumque turris. o beate Sesti,
15. vitae summa brevis spem nos vetat inchoare longam;
16. iam te premet nox fabulaeque Manes
17. et domus exilis Plutonia; quo simul mearis,
18. nec regna vini sortiere talis
Col dolce arrivo della primavera e del favonio, si dissolve l'aspro inverno, e scivolano sui rulli le
navi che erano all'asciutto. Oramai non gradita la stalla al bestiame, n il focolare al bifolco; n
pi biancheggiano i prati di candide brine. Gi Venere, la dea di Citera, guida le danze al lume della
luna e le Grazie leggiadre, traendo per mano le Ninfe, battono con piede alterno la terra; mentre
Vulcano, rosso in volto, sorveglia le faticose officine dei Ciclopi I. Ora conviene intrecciare i
capelli profumati o col verde mirto, o con i fiori nati sulle zolle sciolte dal gelo; ora sacrificare nei
boschi ombrosi a Fauno, sia che domandi un'agnella, sia che preferisca un capretto. La pallida
Morte bussa con piede imparziale ai tuguri dei poveri e ai palazzi dei prncipi. O ricco Sestio, la
breve durata della vita non ci permette di concepire una lunga speranza. Presto graveranno anche su
te le tenebre e i favolosi Mani e la squallida dimora di Plutone; dove, una volta entrato, non sarai
pi eletto co' dadi re del convito, n potrai pi ammirare l'avvenente Licida, per cui adesso arde
tutta la giovent e, quanto prima, proveranno amore le fanciulle.
Carpe diem.
Cogli lattimo (= cogli la giornata doggi)
(Orazio, Odi, I, 11, v. 8)
Orazio, Odi, I, 11
1. Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
2. finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
3. temptaris numeros. ut melius, quidquid erit, pati.
4. seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
5. quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
6. Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi
7. spem longam reseces. dum loquimur, fugerit invida
8. aetas: carpe diem quam minimum credula postero.
Non domandare, o Leuconoe (ch saperlo non lecito), qual termine gli di abbiano assegnato a
me, quale a te; e non consultare le cabale babilonesi. Quanto meglio prendere in pace tutto quello
che ha da venire! Sia che Giove ci abbia concessi molti inverni, sia che l'ultimo sia questo, che ora
fiacca sugli opposti scogli il mare Tirreno, tu sii saggia. Filtra il vino da bere e restringi in un
mbito breve le lunghe speranze. Mentre noi parliamo, sar gi sparita l'ora, invidiosa del nostro
godere. Cgli la giornata d'oggi e confida il meno possibile in quella di domani.
Ora si deve bere, o compagni, ora si deve battere con piede sfrenato la terra, ora si deve imbandire
il banchetto di ringraziamento agli di con vivande degne dei Salii (era da tanto che saspettava!):
Aurea mediocritas.
Aurea mediocrit.
(Orazio, Odi, II, 10, v. 5)
Feriunt summos fulgura montes.
I fulmini colpiscono le vette dei monti.
(Orazio, Odi, II, 10, vv. 11-12)
Vivrai pi rettamente, o Licinio, se non ti spingerai di continuo in alto mare, n, ad evitar cauto le
tempeste, rasenterai troppo da vicino il lido insidioso. Chi si compiace dell'aurea mediocrit, resta
lontano, senza preoccupazioni, dal luridume d'una dimora cadente, e lontano, senza intemperanze,
da un palazzo, che desti l'invidia. Pi spesso squassato dai venti il gigantesco pino, e con rovina
maggiore crollano le alte torri, e i fulmini colpiscono le vette dei monti
Nelle avversit spera una fortuna migliore, nelle prosperit teme il mutar della sorte l'animo bene
apparecchiato. Giove apporta gli sgraditi inverni, e Giove li scaccia. Se per il momento le cose
vanno male, non sar cos in altro tempo. Non sempre Apollo sta con larco teso, ma talvolta ridesta
con la lira la Musa sopita. Tu mstrati coraggioso e forte nelle strettezze; saggio del pari,
ammainerai le vele, quando saranno gonfie dal vento troppo favorevole.
Ahi, Postumo, veloci scorrono gli anni, n la religione porter alcuna remora alle rughe e alla
vecchiezza incalzante e alla morte ineluttabile; neanche se con trecento tori, quanti sono i giorni
dellanno, tu plachi linflessibile Plutone (...).
L'oro riesce a farsi strada attraverso le scolte armate e a frantumare le rupi, con maggior forza di un
colpo di fulmine. Per l'oro, cadde la casa dell'ugure di Argo z, sommersa nella rovina; coi doni, il
re Macedone infranse le porte delle citt e tolse di mezzo i suoi rivali; i doni stringono nei lacci i
feroci capitani delle navi. Ma al denaro che s'accumula tien dietro l'ansiet e la cupidigia di
ricchezze sempre maggiori: per questo, o Mecenate, onore dei cavalieri, io giustamente mi sono
rattenuto dal sollevare il capo troppo in alto.
Quante pi cose uno sapr rifiutare a s stesso, tante pi ne otterr dagli di. Io voglio entrar
disarmato nel campo di chi nulla desidera, e mi affretto ad abbandonare, qual disertore, le file dei
ricchi; (...).
A chi molto chiede, molto manca: avventurato colui, al quale la divinit larg con mano misurata
quel tanto, che sufficiente per lui.
Motti simili:
Orazio, Epistulae, I, 11
1. Quid tibi visa Chios, Bullati, notaque Lesbos,
2. quid concinna Samos, quid Croesi regia Sardis,
3. Zmyrna quid et Colophon, maiora minorane fama?
4. cunctane prae campo et Tiberino flumine sordent?
5. an venit in votum Attalicis ex urbibus una?
6. an Lebedum laudas odio maris atque viarum:
7. 'scis, Lebedus quid sit: Gabiis desertior atque
8. Fidenis vicus; tamen illic vivere vellem
9. oblitusque meorum, obliviscendus et illis,
10. Neptunum procul e terra spectare furentem'?
11. sed neque qui Capua Romam petit, imbre lutoque
12. adspersus volet in caupona vivere; nec qui
13. frigus collegit, furnos et balnea laudat
14. ut fortunatam plene praestantia vitam;
Che t' parso, o Bullazio, di Chio e della famosa Lesbo? che dell'adorna Samo, che di Sardi, gi
reggia di Creso, e di Smirne e di Colofone? son esse maggiori o minori della fama loro? Forse tutte
a confronto del nostro Campo di Marte e del fiume Tevere impallidiscono, o t' rimasta in cuore
qualcuna delle citt di Attalo? oppure, stanco dei viaggi per mare e per terra, tu preferisci Lebedo?
Sai bene quello che Lebedo: un villaggio pi deserto di Gabii e di Fidene Pure, vorrei vivere col
e, dimentico de' miei, sperando anche d'esser dimenticato da loro, osservare da un punto remoto
della costa le tempeste del mare
Ma non vorr il viaggiatore diretto da Capua a Roma, fradicio dalla pioggia e pieno di
zacchere, rimanere tutto il tempo all'osteria; n chi soffre di reumi loder i baghi e le terme,
come se quelle potessero apprestargli la vita beata in tutto e per tutto; n tu, se il violento
scirocco t'abbia sballottato in alto mare, venderai per questo la nave, trovandoti ancora oltre
l'Egeo. All'uomo sano, per quanto belle, Rodi e Mitilene si confanno, come d'estate un
tabarro, alle brezze invernali una maglietta, un bagno in dicembre e il caminetto in agosto.
Finch ci dato e la fortuna ci fa buon viso, si lodino, rimanendo a Roma, Samo e Chio e
Rodi, di lontano. Tu, qualunque ora felice ti sar largita dagli di, accettala con grato
animo, e non attender l'anno venturo per goderne; acciocch tu possa dire d'esser vissuto
lietamente dovunque ti trovassi. Poich, se il senno e la ragione han forza di rimuovere gli
affanni, e non il luogo che domina l'ampia distesa delle acque, coloro che varcano il mare
mutano il cielo, non l'animo. Noi affatica un'accidia irrequieta. Inseguiamo su navi e su
quadrighe la felicit: ma quel che tu cerchi qui; ad Ulubra , se non ti manca l'animo
equilibrato.
De lana caprina.
(Questioni) di lana caprina.
(Orazio, Epistole, I, 18, v. 15)
La Grecia conquistata conquist il suo fiero vincitore, e introdusse le arti nel Lazio, dedito
all'agricoltura. Cos scomparve quell'orrido verso saturnio, e le eleganze scacciarono la pesante
rozzezza: ma tracce di rusticit sopravvissero per lungo tempo, e oggi ancora sopravvivono, perch
tardi il Romano volse il proprio acume alle opere dei Greci e, solo dopo le guerre puniche, cominci
riposato a considerare qual frutto potevano arrecargli Sofocle e Tespi ed Eschilo.
Motti simili:
Ascolta ora quali siano le esigenze del popolo e le mie. Se vuoi che lo spettatore ti apllaudisca e si
trattenga per tutta la rappresentazione, e resti a sedere fino a quando il cantore dica: Applaudite, a
Il fine dei poeti di giovare, o di dilettare, o di dire a un tempo cose piacevoli e utili alla vita.
Nell'impartir precetti sii breve; che la mente del discepolo li afferri sbito e li ritenga tenacemente:
tutto ci ch' superfluo trabocca dall'intelletto ricolmo. Le cose immaginate allo scopo di dilettare
siano verosimili; n il dramma esiga che si presti fede a qualsiasi panzana; n dal ventre della
strega, che l'ha divorato, estragga il bambino vivo e verde. Le centurie degli anziani deridono i
drammi, che non contengano ammaestramenti; i cavalieri boriosi disprezzano le composizioni serie.
Raccoglie tutti i suffragi chi abbia contemperato con l'utile il dilettevole, offrendo spasso al
lettore e insieme istruendolo. Un libro di siffatto genere frutter ai Sosii 23 buona moneta; varcher
il mare, e assicurer per gran tempo la fama al celebrato scrittore.
Vi sono tuttavia alcune mancanze, alle quali vorremmo perdonare; perch non sempre la corda
produce il suono che vogliono la mano e l'intenzione del sonatore; ma rende spessissimo una nota
acuta a chi richiede la grave; n sempre la freccia colpisce il bersaglio. Per in un canto, dove
risplendano parecchie bellezze, io non avr fastidio di poche mende causate da una svista, o non
avvertite dalla debole natura umana. E che perci? Come non merita venia un copista che, bench
ammonito, ricade ancora nel medesimo errore, ed esposto ai fischi un citaredo, che intoppa
sempre sulla medesima corda; cos per me chi troppo trascurato rassomiglia a quel famoso
Cherilo, i cui pregi son mosche bianche, e che mi procura stupore e riso; mentre mi fa dispiacere se
talvolta sonnecchia il valente Omero. Se non che in un'opera lunga meritevole di scusa il
lasciarsi cogliere dal sonno.
La poesia come la pittura. Vi sono quadri, che ti colpiscono di pi, se li osservi da vicino, e altri,
se resti un po' lontano; l'uno ama la penombra, l'altro, che non teme lo sguardo acuto di un esperto,
vuol esser posto in piena luce; questo piaciuto una sola volta, e questo piacer, anche se riveduto
dieci volte.
Ma tu non dirai, n farai cosa alcuna contro la volont di Minerva (= contro la tua indole
naturale): tanto il tuo criterio, tanta la tua saggezza! e, se pure talvolta avrai scritto qualcosa,
passi prima per la trafila di Mezio e di tuo padre e mia, e sia trattenuta per nove anni riposta nel
cassetto: quello che non avrai messo fuori, potrai sempre ricorreggerlo; ma le parole, una volta
uscite, non possono tornare indietro.
Vae victis.
Guai ai vinti.
(Livio, Ab urbe condita, V, 48)
(48) Ma pi che da tutti i mali dell'assedio e della guerra, entrambi gli eserciti erano tormentati dalla
fame e i Galli anche da un'epidemia dovuta al fatto che il loro accampamento si trovava in un punto
depresso in mezzo alle alture, bruciato dagli incendi e pieno di esalazioni, dove bastava un alito di
vento per sollevare polvere e cenere. I Galli, non riuscendo a sopportare quelle esalazioni proprio
perch erano un popolo abituato al freddo e all'umidit, morivano soffocati dal grande calore mentre
il contagio si diffondeva come se si fosse trattato di bestiame, per pigrizia di seppellire i cadaveri ad
uno ad uno li bruciavano a mucchi accatastati alla rinfusa, rendendo cos in seguito famoso quel
luogo col nome di Tombe dei Galli. Venne poi stipulata una tregua con i Romani e, con
l'autorizzazione dei comandanti, si iniziarono colloqui. Ma dato che durante queste conversazioni i
Galli non perdevano occasione per rinfacciare agli avversari la fame che pativano e li invitavano ad
arrendersi piegandosi a questa necessit, pare che per far loro cambiare idea a tale riguardo venne
gettato gi da molti punti del Campidoglio del pane in direzione dei posti di guardia nemici.
Soltanto che ormai la fame non poteva pi n essere dissimulata n tollerata a lungo. E cos, mentre
il dittatore era impegnato a realizzare di persona una leva militare ad Ardea, e dopo aver ordinato al
maestro di cavalleria Lucio Valerio di marciare da Veio a capo di un esercito disponeva e preparava
le truppe per affrontare i nemici in condizioni di parit, nel frattempo gli uomini attestati sul
(55) Pare che il discorso di Camillo, sia nell'insieme, sia soprattutto nella parte attinente alla sfera
religiosa, suscitasse grande commozione. A dissipare ogni dubbio residuo furono per delle parole
pronunciate in maniera tempestiva: mentre, poco dopo, il senato era riunito nella curia Ostilia per
deliberare circa questo problema, e alcune coorti, di ritorno dai posti di guardia, attraversavano per
puro caso a passo di marcia il foro, un centurione grid nella piazza del comizio: O alfiere, pianta
l'insegna: qui staremo benissimo. Udita questa frase, i senatori uscirono dalla curia e gridarono
all'unisono di voler accettare l'augurio e la plebe, accorsa tutta intorno, approv. Respinta quindi la
proposta di legge, si inizi a riedificare la citt senza un preciso progetto. Le tegole per i tetti
vennero fornite a spese dello stato. Ognuno venne autorizzato a prender pietre e tagliar legname
dovunque avesse voluto, a patto per di completare gli edifici entro la fine dell'anno. La fretta liber
dalla preoccupazione di tracciare vie diritte, e tutti, non essendoci pi alcuna distinzione tra le
(18) Mentre i disordini causati da Manlio si stavano aggravando, verso la fine dell'anno ci furono
delle elezioni nelle quali risultarono eletti tribuni militari con potere consolare Servio Cornelio
Maluginense, Publio Valerio Potito, Servio Sulpicio Rufo, Gaio Papirio Crasso, Tito Quinzio
Cincinnato (tutti per la seconda volta) e Marco Furio Camillo (per la quinta). La pace esterna della
(19, 1) Restano da confrontare le forze messe in campo dalle due parti: il numero e la qualit degli
uomini, l'entit dei contingenti ausiliari. Nei censimenti di quell'epoca i cittadini romani
ammontavano a 250.000 unit: di conseguenza, anche nell'eventualit che tutti gli alleati latini si
fossero dissociati in massa, la sola leva dei cittadini romani avrebbe permesso l'arruolamento di
dieci legioni. In quegli anni spesso accadeva che partissero per il fronte quattro o cinque eserciti per
volta, in Etruria, in Umbria (dove ai nemici si erano aggiunti i Galli), nel Sannio e in Lucania. In
sguito, in tutto il Lazio, con i Sabini, i Volsci, gli Equi, nell'intera Campania, in parte dell'Umbria e
dell'Etruria, tra i Piceni, i Marsi, i Peligni, i Vestini e gli Apuli, e lungo tutta la costa tirrenica
abitata da Greci, da Turi fino a Napoli e Cuma e di l fino ad Anzio e Ostia, Alessandro avrebbe
trovato validi alleati oppure nemici gi sconfitti in guerra. Quanto a lui, avrebbe attraversato il mare
Da Roda, col vento favorevole, si giunse a Emporie. Qui vennero sbarcate tutte le truppe ad
eccezione dei marinai alleati.
Gi allora Emporie era formata da due citt divise da un muro. L'una era occupata da Greci oriundi
di Focea, come i Marsigliesi, l'altra da Ispani; ma la citt greca, completamente esposta sul mare,
aveva un giro di mura di meno di quattrocento passi, mentre la cerchia di mura degli Ispani, pi
lontano dal mare, era lunga tremila passi. Un terzo gruppo di abitanti, dei coloni romani, vi furono
aggiunti dal divino Cesare dopo la sconfitta dei figli di Pompeo. Ora sono stati fusi tutti quanti in
una sola popolazione, dato che stata concessa la cittadinanza romana prima agli Ispani, poi ai
Greci.
Catone, trattenutosi col per pochi giorni, il tempo necessario per scoprire dove fossero e quante
fossero le forze nemiche, perch neppure questo tempo di attesa trascorresse nell'inerzia lo impegn
completamente in esercitazioni della truppa. Era proprio la stagione in cui gli Ispani avevano il
grano nelle aie; perci, dopo aver proibito ai fornitori di farne provvista ed averli rimandati a Roma,
disse: La guerra si nutrir da s. Partito da Emporie incendia e devasta il territorio nemico
spargendo ovunque terrore e fuga.
C una tutti quelli che vorranno conoscere una mezzana stiano a sentire c una vecchia di
nome Dipsa. Il nome le viene da una caratteristica: non mai riuscita senza essere ubriaca a vedere
la madre (= Aurora) del nero Mmnone (= re dellEtiopia) sui suoi rosati cavalli. Lei conosce le arti
magiche, le parole di Circe, e con artifici fa rifluire alla fonte le limpide acque. (...) Il caso mi ha
fatto testimone del discorso; lei dava tali consigli (due porte mi tenevano nascosto): Sai che ieri, o
luce mia, hai conquistato un giovane ricco? rimasto fisso e continuamente incantato sul tuo volto.
E perch non dovresti piacergli? La tua bellezza non seconda a nessuna ma ti manca - me
La giovane donna di Creta augura alleroe figlio dellAmazzone quella salute di cui ella stessa sar
priva, se tu non gliela darai. Leggi questa lettera fino in fondo, qualunque cosa valga: che male
potr farti la lettura? In essa pu esservi qualcosa che piaccia anche a te. Con questi segni si portano
i segreti per terra e per mare: anche il nemico esamina le parole ricevute da un nemico. Per tre volte
ho tentato di parlare con te, ma per tre volte la lingua si incepp, incapace, e per tre volte la voce si
spense a fior di labbra.
Finch si pu ed lecito, amore e pudore si devono unire; l'amore mi ha ordinato di scrivere
quello che ebbi pudore di dire a voce. Tutto quello che l'amore ordina, prudente non disde-
gnarlo: egli comanda ed esercita la sua legge anche sugli di sovrani. Egli dunque impose a me, che
dapprima ero incerta, di porre i miei sentimenti per. iscritto: Scrivi: quel crudele si arrender! n
Ali assista l'amore e come scalda le mie viscere col fuoco che divora, cos pieghi il tuo cuore ai miei
desideri. Io non romper per cattiveria il patto che mi lega a te: la mia fama - vorrei che ti
informassi - senza macchia. L'amore tanto pi profondo quanto pi tardi giunge; io ardo
dentro, ardo e il mio petto ha una ferita nascosta. Certo, come il giogo per la prima volta irrita i
giovani giovenchi, e un puledro preso fuori dalla mandra a stento tollera il freno, cos un cuore
inesperto con affanno e fastidio sopporta il primo amore e questo fardello grava importuno sul mio
cuore. La passione amorosa diviene un'arte quando si impara dai teneri anni; se essa coglie quando
l'et matura, si ama con maggiore pericolo.
Egli ha diretto le vele verso Creta col favore dei venti: ma tu non credere per questo che ti sia lecito
tutto. Mio marito lontano di qua, ma tale da custodirmi, anche se assente. O non lo sai che i re
hanno braccia lunghe? Anche la fama un peso; quanto pi costantemente sono lodata dalla tua
bocca, pi giustamente egli teme. Quella stessa gloria che ora mi piace mi poi di danno; meglio
sarebbe stato raggirare la fama.
Non meravigliarti che in sua assenza mi abbia lasciato qui con te: egli si fidato del mio carattere e
del mio comportamento. Teme per il mio aspetto ma ha fiducia nella mia condotta: l'onest lo fa
sicuro, la bellezza lo inquieta. Tu mi esorti a non perdere un'occasione inaspettatamente offerta e a
usare della compiacenza di, un uomo ingenuo. Mi seduce la proposta e mi fa paura: la volont non
ancora decisa a sufficienza; il mio cuore erra nel dubbio. Mio marito lontano e tu dormi senza la
sposa e, vicendevolmente, la tua bellezza prende me e te la mia; le notti sono lunghe e gi a parole
siamo uniti; tu sei, me infelice!, seducente; comune la casa; possa io morire se tutto non ci spinge
al peccato; tuttavia mi trattengo non so per quale paura. Oh, se tu potessi costringermi senza colpa a
quello cui mi induci con colpa! La mia ritrosia dovrebbe essere vinta con la violenza. L'offesa a
volte utile a quelli che la subiscono: almeno sarei costretta a essere fortunata. Combattiamo
l'amore, finch nuovo, piuttosto che quando cominciato; una fiamma recente si spegne anche
versandovi sopra poca acqua. L'amore degli ospiti non duraturo: va in giro, come loro e quando
pensi che non esiste nulla di pi sicuro, si allontana. (...)
Circa quello che chiedi, cio discutere questi problemi di nascosto e di presenza, so che cosa intendi
e cosa chiami colloquio; ma corri troppo e la tua messe ancora erba: questa dilazione forse
favorevole ai tuoi desideri.
Basta; la lettera, consapevole di un piano furtivo, poich la mano stanca, sospenda il suo nascosto
lavoro. Diciamoci il resto per mezzo di Clmene ed Etra, mie compagne che sono entrambe mie
amiche e consigliere.
Se qualcuno tra questa gente non conosce la scienza dellamore, legga questopera poetica e, dopo
averla letta, ami con competenza. Con la scienza si muovono le navi veloci a vela e coi remi, con la
scienza gli agili cocchi: con la scienza bisogna guidare Amore. (...)
Anche le lacrime servono; con le lacrime muoverai le rocce: se puoi, fa in modo che lei veda
guance umide: se ti mancheranno le lacrine infatti non sempre vengono al momneto giusto
tccati gli occhi con la mano bagnata.
Si inganna uno che ricorre alle arti emonie e offre la sostanza che toglie dalla fronte di un giovane
cavallo. Non faranno durare l'amore n le erbe di Medea n i canti marsici uniti a suoni magici: la
donna del Fasi avrebbe trattenuto il figlio di Esone e Circe Ulisse, se l'amore si potesse conservare
solo con gli incantesimi. Non serviranno a niente i filtri che fanno impallidire, somministrati alle
fanciulle; i filtri fanno male alla mente e dnno la pazzia. Stia lontano ogni mezzo illecito ! Per
essere amato, sii amabile; e questa dote non te la daranno n l'aspetto n la sola bellezza fisica.
Anche se tu fossi Nireo amato dall'antico Omero o il delicato Ila portato via dalla colpa delle
Naiadi, per conservarti la tua donna e non avere la sorpresa d'essere stato abbandonato, aggiungi
alle bellezze del corpo le doti dello spirito. La bellezza un bene fragile: quanto pi va avanti con
gli anni, diminuisce e viene consumata dal suo stesso durare. Le viole e i gigli aperti non sempre
sono in fiore e, sfiorita la rosa, si irrigidisce e rimane il ramo spinoso; anche a te, bell'uomo, presto
verranno bianchi i capelli, presto verranno le rughe a solcarti il corpo. Ormai educa il tuo spirito,
che resista, e uniscilo alla bellezza fisica: solo quello rimane fino al rogo dell'ultimo giorno. E sia
un serio impegno ornare la mente con le arti liberali e imparare bene le due lingue. Ulisse non era
bello, ma era facondo, e pure fece struggere d'amore le de del mare.
Anzitutto conquista i cuori una mitezza accorta; l'asprezza suscita odio e risse feroci. Odiamo lo
sparviero, poich vive sempre in lotta, e i lupi, che sono soliti assalire il gregge timoroso; ma la
rondine, che mite, non conosce le insidie degli uomini e gli uccelli dei Caoni (= popolazione
dellEpiro) hanno le colombaie che possono abitare senza timore. State lontani, litigi e contrasti di
pungente linguaggio: il delicato amore deve essere nutrito con parole dolci. Con i litigi le mogli
scaccino i mariti e i mariti le mogli, e vicendevolmente credano che il vantaggio sia sempre il loro:
questo si addice alle mogli: dote della donna sono i litigi; l'amante ascolti sempre le parole
desiderate. Voi non vi siete uniti in un unico letto per ordine della legge; in voi l'amore che agisce
in funzione di legge. Prtale delicate carezze e parole che piacciano alle orecchie, cos che ella sia
lieta del tuo arrivo. Io non vengo maestro d'amore per i ricchi; chi fa regali non ha bisogno per
niente della mia scienza. Ha con s la capacit colui che, quando gli fa piacere, pu dire: Prendi;
mi tiro indietro: egli piace pi dei miei ritrovati. Io sono poeta per i poveri, perch ho amato da
povero; non potendo offrire regali, offrivo parole.
Mettiamo che ti abbia detto: Vinimi incontro in quel posto: rimanda tutto; corri, e la folla non
ritardi la tua strada gi iniziata. Di notte, dopo aver banchettato, dirigendosi verso casa, lei dovr
tornare: anche allora, se ti chiama, vieni, al posto di un servo. Sar in campagna e ti dir: Vieni!;
Amore odia gli inerti: se non avrai un cocchio, fa' la strada a piedi. Non ti facciano ritardare n il
cattivo tempo n la riarsa Canicola n una strada divenuta bianca per la neve caduta. L'amore una
forma di servizio militare: allontantevi, uomini pigri; questi non sono stendardi che devono essere
difesi da uomini paurosi. La notte, l'inverno, i lunghi viaggi, i dolori crudeli, ogni tipo di fatica c'
in questo accampamento sentimentale. Spesso sopporterai la pioggia lasciata cadere dalle nubi del
cielo e spesso, intirizzito, giacerai sulla terra nuda.
Sono chiamato ad argomenti pi vicini: chiunque amer con saggezza vincer e dalla mia
scienza otterr quel che desidera. Non sempre i solchi rendono con linteresse quel che
stato loro affidato; non sempre il vento favorisce le navi incerte: quello che favorisce gli
amanti poco; pi quello che loro nuoce: si mettano in testa che devono sopportare molte
cose. Quante sono le lepri che pascolano sul monte Atos, quante le api sull'Ibla, quante
bacche ha l'albero argenteo di Minerva (= lulivo); quante sono le conchiglie sulla
spiaggia, tanti sono i tormenti in amore; le frecce che riceviamo sono intrise di molto
fiele. Ti sar detto che lei andata fuori, e tu forse la vedrai in casa: pensa che sia andata
fuori e di vedere il falso. Dopo che ti era stata promessa una nottata, ti sar chiusa la porta:
sopporta anche di posare il corpo sul terreno sporco. Forse una serva bugiarda con faccia
insolente dir anche: Perch costui assedia la nostra porta?. Tu supplice rivolgi
lusinghiere parole alla soglia e alla donna crudele e deponi sulla porta le rose tolte dal capo.
Quando vorr, entrerai; quando ti eviter, te ne andrai: non bello che uomini bene educati
siano importuni.
Il primo amore di Febo fu Dafne figlia di Peneo: lo suscit non la cieca Fortuna, ma la feroce ira di
Cupido. Apollo, fiero per la vittoria sul serpente, lo aveva poco prima visto mentre cercava di
piegare l'arco tirando a s la corda e cos gli disse: Che cosa hai da fare con le forti armi, o
fanciullo arrogante? codesti pesi si addicono alle nostre spalle, noi che possiamo infliggere ferite
mortali alle fiere, ferite ai nemici, noi che poco fa abbiamo abbattuto con migliaia di dardi il
minaccioso serpente che occupava con il suo fetido ventre molti iugeri di terra. Tu accontentati di
suscitare con la tua fiaccola non so quali amori e non attribuirti i nostri meriti. A lui il figlio di
Venere: O Febo - disse - il tuo arco trafigga pure ogni cosa, ma il mio colpisca te, e di quanto tutti
gli esseri animati sono inferiori a un dio, di tanto minore; la tua gloria della mia. Fin di parlare e
muovendo rapido le ali fende l'aria e si ferma sulla cima ombrosa del Parnaso e tira fuori dalla
faretra, due dardi dagli effetti opposti: ch uno suscita l'amore, l'altro lo impedisce; quello che fa
innamorare dorato e risplende nella sua punta aguzza, smussato invece quello che tiene lontano
l'amore e con la punta di piombo. Quest'ultimo il dio conficc nel corpo della ninfa Peneia, mentre
con laltro trapassandogli le ossa fer fin nelle midolla Apollo: subito uno si innamora, laltra ha
orrore del nome dellamore, allietandosi dei recessi dei boschi e delle spoglie delle fiere catturate,
emula della vergine Diana; una fascia tratteneva i capelli scomposti.
(...)
Febo arde d'amore e brama l'unione con Dafne appena vista, e spera d'avere ci che desidera e resta
ingannato dai suoi stessi oracoli; come la secca stoppia va in fiamme una volta mietute le spighe,
come bruciano le siepi per una fiaccola qualora un viandante casualmente ve l'abbia accostata
troppo o l'abbia abbandonata sul far del giorno: cos il dio fu in preda del fuoco, cos arde in tutto il
cuore e nutre un vano amore continuando a sperare. Guarda i capelli che le scendono spettinati sul
collo e si chiede Che cosa sarebbero, se venissero acconciati?; guarda gli occhi luminosi simili
alle stelle, guarda la boccuccia, che non si sazia di rimirare; ammira le dita, le mani, i polsi e le
braccia scoperte pi che a met: e le parti nascoste se le immagina pi attraenti. Ma quella fugge pi
veloce del vento leggero e non si ferma a queste parole da lui dette per richiamarla:
Orbene, quando essa vide Narciso che vagava per le campagne solitarie, se ne innamor e si mise
furtivamente sulle sue orme, e quanto pi lo segue, pi intimamente brucia del fuoco d'amore, non
diversamente di quando lo zolfo infiammabile spalmato sulla sommit delle fiaccole, capta il fuoco
che gli stato accostato. O quante volte avrebbe voluto avvicinarlo con parole carezzevoli e
porgergli supplichevoli preghiere! ma la sua natura si oppone non permettendole di iniziare il
discorso; invece, essa - questo le viene permesso - preparata ad ascoltare solo suoni, cui rinviare
da parte sua le parole. Per caso il giovinetto., allontanatosi dalla schiera dei fedeli compagni aveva
gridato Chi mai qui? a cui Eco aveva risposto qui. Egli si stupisce e volgendo gli occhi
verso ogni dove grida a gran voce vieni: quella gli rivolge lo stesso invito. Guarda di nuovo e
poich non vede venire nessuno Perch - disse mi fuggi? e risent altrettante parole di quante
ne aveva dette. Insiste e, ingannato dal riflesso della voce alternantesi con la sua, Incontriamoci
qui disse, ed Eco, che a nessuna voce mai avrebbe risposto pi volentieri; ripet incontriamoci:
asseconda allora le proprie parole e uscita dalla selva si avvia a gettare le braccia a quel collo
Gi i Minii solcavano il mare con la nave armata a Pagase e avevano visitato Fineo che trascinava la
sua misera vecchiaia in una perpetua cecit e i giovani figli di Aquilone avevano allontanato dal
volto dell'infelice vecchio gli uccelli dal sembiante di fanciulle; dopo molte fatiche quelli
finalmente, sotto la guida dell'illustre Giasone, avevano toccato le acque impetuose del limaccioso
A te, che i leggi questo mio lavoro senza malevolenza, sia dato di giungere al termine della vita
senza disgrazie: possano realizzarsi per te quei miei voti, che per me non hanno potuto commuovere
gli di implacabili! Finch sarai incolume, conterai molti amici: se invece il tempo si rannu-
voler, rimarrai solo. Vedi come le colombe vengono nelle candide casette, mentre la squallida torre
non ospita alcun uccello. Le formiche non si dirigono mai verso i granai vuoti: mai un amico si
recher dove scomparsa la ricchezza. Come l'ombra accompagna quelli che camminano sotto i
raggi del sole, e quando questo si nasconde coperto dalle nubi, quella sparisce, cos il volgo
incostante va dietro lo splendore della Fortuna: appena questa si oscura per il calare della notte, si
dilegua. Io mi auguro che queste considerazioni possano sempre sembrarti false: ma per mia espe-
rienza si deve riconoscere che sono vere. Finch fui in auge, la mia casa, conosciuta certo, ma non
fastosa, era frequentata da un buon numero di gente. Ma appena sub il colpo, tutti temettero la
rovina e tutti insieme, in fuga, volsero prudentemente le spalle.
Quello che leggi, o Severo, il pi grande poeta dei grandi re, ti viene dai Geti dai lunghi capelli: mi
vergogno di aver finora taciuto il tuo nome nei miei libri, se solo mi permetti di dire la verit.
Tuttavia, la nostra amichevole corrispondenza, anche con lettere senza ritmi, non si mai interrotta.
Solo poesie non ti ho dedicato ad attestare il mio vivo ricordo. Perch dovrei dare quello che fai tu
stesso? Chi darebbe miele ad Aristeo, vino falerno a Bacco, grano a Trittolemo, frutti ad Alcinoo?
Tu possiedi uno spirito fecondo e fra tutti i poeti che coltivano l'Elicona a nessuno nasce una messe
pi abbondante che a te. Inviare versi a un tale poeta sarebbe stato come aggiungere foglie alla
foresta. Questo stato il motivo del mio ritardo, o Severo. Il mio talento, tuttavia, non mi risponde
pi come prima, ma sto arando un'arida riva con uno sterile vomere. Certo, come il fango ostruisce
le vene dell'acqua, e come l'acqua si arresta, quando non fluisce per un impedimento alla fonte, cos
il mio cuore viziato dal fango dei miei mali e i versi fluiscono con una vena pi povera. Se
qualcuno l'avesse posto in questo paese, persino Omero, credimi, come me sarebbe diventato un
Geta. Perdonami se ti confesso che ho allentato il morso anche del mio zelo e le mie dita scrivono
ben poche lettere. Quello slancio sacro che nutre il cuore dei poeti e che un tempo solevo avere in
Questa la sesta estate che io passo sulla riva cimmeria, in mezzo ai Geti vestiti di pelli. Quale
selce, quale ferro, mio caro Albinovano, puoi confrontare con la mia resistenza? La goccia d'acqua
scava la pietra, l'anello si consuma con luso, il vomere adunco si logora affondato nel suolo.
Dunque, il tempo divoratore distrugge ogni cosa, non me; la morte stessa disarma, vinta dalla mia
resistenza. Si cita come esempio di estrema pazienza Ulisse, sballottato sul mare incerto per due
lustri. Tuttavia, egli non pot sopportare continuamente tutte le prove del destino; ebbe sovente
momenti di riposo. O forse gli fu penoso accarezzare sei anni la bella Calipso e coricarsi con la dea
del mare? Fu accolto dal figlio di Ippota, che gli diede in regalo i venti, perch un soffio favorevole
dirigesse le sue vele gonfie. Non fu per lui una fatica ascoltare il bel canto delle fanciulle n fu per
lui amara bevanda il loto. Questi succhi, che fanno dimenticare la patria, se solo me li dessero, io li
comprerei con una parte della mia vita.
Seneca, Apocolokyntosis, 1
Quid actum sit in caelo ante diem III idus Octobris anno novo, initio saeculi felicissimi, volo
memoriae tradere. Nihil nec offensae nec gratiae dabitur. Haec ita vera. Si quis quaesiverit unde
sciam, primum, si noluero, non respondebo. Quis coacturus est? Ego scio me liberum factum, ex
quo suum diem obiit ille, qui verum proverbium fecerat, aut regem aut fatuum nasci oportere. Si
libuerit respondere, dicam quod mihi in buccam venerit. Quis umquam ab historico iuratores
exegit? Tamen si necesse fuerit auctorem producere, quaerito ab eo qui Drusillam euntem in
caelum vidit: idem Claudium vidisse se dicet iter facientem non passibus aequis. Velit nolit,
necesse est illi omnia videre quae in caelo aguntur: Appiae viae curator est, qua scis et divum
Augustum et Tiberium Caesarem ad deos isse. Hunc si interrogaveris, soli narrabit: coram pluribus
numquam verbum faciet. Nam ex quo in senatu iuravit se Drusillam vidisse caelum ascendentem et
illi pro tam bono nuntio nemo credidit quod viderit, verbis conceptis affirmavit se non indicaturum
etiam si in medio foro hominem occisum vidisset. Ab hoc ego quae tum audivi, certa clara affero,
ita illum salvum et felicem habeam.
I fatti che si svolsero nei cieli il tredici ottobre dell'anno di grazia, primo di un'era di beatitudine,
ecco quanto voglio tramandare alla storia. Qui non si far posto n ai risentimenti n alle simpatie.
Se per caso qualcuno domander come faccio a sapere le cose cos precise, prima di tutto, se non
mi garba, non risponder. Chi mi pu obbligare? So pure di essere diventato un uomo libero sin da
quando fin i suoi giorni colui che aveva confermato la verit del proverbio: O si nasce re o si
nasce cretino. Se mi piacer di rispondere, dir quello che mi viene alla bocca. Gli storici? Chi
ha mai preteso da loro dei testimoni giurati? E poi, se proprio bisogner mettere avanti la fonte,
domandatelo a quello che vide Drusilla salire al cielo: lui vi dir magari anche di aver visto fare a
Claudio "trimpellando coi suoi passetti" quello stesso viaggio. Volere o no, gli tocca pure di vedere
tutto quello che succede in cielo; soprintende alla via Appia, che presero, lo sai, anche Augusto e
Tiberio Cesare, per andare fra gli di. Se lo domandi a lui, a quattr'occhi, te lo dir: davanti a pi
persone non si lascer cavare una parola: perch dal giorno che in senato giur di avere visto
Drusilla salire in cielo, e, per ringraziamento di una notizia cos bella, nessuno volle credere quello
che egli aveva pur visto, proclam solennemente che non avrebbe fatto pi rivelazioni neanche se
avesse visto ammazzare un uomo nel mezzo del foro. Quanto seppi da lui allora, io ve lo riporto
pari pari, per quanto mi caro saperlo contento e in buona salute.
Non bisogna dire quello che abbiamo fatto di bene: chi lo ricorda chiede il contraccambio; non
bisogna insistere, non bisogna risvegliarne il ricordo, a meno che tu non lo faccia con un altro dono.
E non dobbiamo neppure raccontarlo ad altri: chi ha fatto un beneficio taccia; parli chi lo ha
ricevuto.
(9) Eppure, perch Dio fu tanto ingiusto nel distribuire il destino da assegnare agli uomini buoni
povert, ferite e acerbi lutti?.
Lartista non pu cambiare la materia. Il primo patto questo: certe cose non possono essere
separate da certe altre cose: sono loro connesse e formano un essere solo. Le personalit
insignificanti, destinate al sonno o ad una veglia molto simile al sonno, sono un tessuto di elementi
inerti. Per fare un uomo, che debba essere nominato con rispetto, ci vuole un ordito pi resistente. E
non camminer in pianura: dovr salire e scendere, sentirsi sbattuto dai flutti e pilotare la nave nella
tempesta, dovr tenersi in rotta contro la sorte avversa. Simbatter in tante difficolt ed asprezze,
ma dovr essere lui ad ammorbidirle e ad appianarle. (10) Il fuoco prova loro, la sventura gli
uomini forti.
(1) La maggior parte dei mortali, o Paolino, lamenta la taccagneria della natura: nasciamo destinati
ad una vita molto breve ed il tempo che ci stato assegnato scorre tanto veloce, tanto in fretta che,
fatte ben poche eccezioni, la vita pianta tutti in asso proprio nel momento in cui s'apprestano a
viverla. Di questa presunta calamit, non si lamenta soltanto il volgo irriflessivo; un'impressione
che ha indotto a lagnarsi anche uomini celebri. Esce da qui l'esclamazione del pi grande tra i medi-
ci: La vita breve, l'arte () lunga. (2) Da qui nata anche la sentenza, per nulla degna di un
saggio, con la quale Aristotele ha condannato la natura: Agli animali ha concesso una vita lunga
quanto basta a raggiungere la quinta o la decima generazione, mentre all'uomo, che nato per molte
immense imprese, stato assegnato un limite ben pi ristretto.
(3) Non vero che abbiamo poco tempo: la verit che ne perdiamo molto. Ci stata concessa una
vita sufficientemente lunga, bastevole al conseguimento degli ideali supremi, purch la sappiamo
impiegare tutta a dovere. Invece, dopo che l'abbiamo lasciata trascorrere nel lusso e nell'ignavia,
dopo che non l'abbiamo impegnata in nessuna impresa degna, quando, alla fine, si presenta la
necessit ineluttabile, ci accorgiamo che passata senza che ne avvertissimo il trascorrere.
(4) cos: la vita non l'abbiamo ricevuta breve, ma l'abbiamo fatta diventare tale, ed in ci non
siamo dei poveri, ma degli sciuponi. come una ricchezza: anche se immensa e degna di un re,
quando cpita nelle mani di un padrone inetto, finisce dissipata in un attimo, mentre, anche se
modesta, ma affidata ad un depositario capace, cresce con l'uso. cos che la nostra vita riesce
molto lunga a chi la sa ordinare bene.
(1) Se vogliamo essere giudici giusti di tutte le situazioni, in primo luogo dobbiamo convincerci che
nessuno di noi senza colpa. Lo sdegno maggiore nasce da questa mentalit: Non ho commesso
colpa e Non ho fatto niente. No: che non confessi nulla! Ci sdegniamo se ci stata inflitta
unammonizione o una pena e, nello stesso tempo, pecchiamo di nuovo, aggiungendo al male fatto
larroganza e la ribellione.
(7) Ma un giudice cos giusto, dove lo troverai? Colui che non desidera una donna, se non moglie
di un altro, e ritiene che l'esser la donna altrui sia motivo sufficiente per innamorarsene, non
permette a nessuno di guardare sua moglie; lo sleale il pi esigente nel pretendere la lealt; il
calunniatore non sopporta assolutamente che gli si faccia causa e colui che non ha alcun riguardo al
proprio pudore, non vuole che s'attenti a quello dei suoi schiavetti.
(8) Abbiamo davanti agli occhi i vizi degli altri, i nostri ci stanno dietro la schiena: ed ecco che
un padre, pi intemperante del figlio, ne rimprovera i banchetti troppo prolungati, che non perdona
nulla all'altrui lussuria quel tizio che nulla nega alla propria, che il tiranno s'adira contro l'omicida
ed il sacrilego punisce i furti.
Ci sono moltissimi uomini che s'adirano non contro i peccati, ma contro i peccatori. Diventeremo
pi moderati, se volteremo lo sguardo a noi stessi e ci chiederemo: Non abbiamo fatto anche noi
cose simili? Non abbiamo sbagliato allo stesso modo? Ci giova condannare queste azioni?.
Quando Prometeo fabbric gli uomini, appese loro al collo due bisacce, piene luna dei vizi altrui e
laltra dei vizi propri, e quella dei vizi altrui la pose davanti, laltra la appese dietro. Da ci accadde
che gli uomini scorgono a prima vista i difetti altrui, ma non hanno mai sottocchio i propri.
(1) Mi chiedi che cosa io ritenga che tu debba soprattutto evitare? La folla.
(2) Frequentare molta gente deleterio: c sempre qualcuno che ci raccomanda qualche vizio o ce
lo inculca o ce lo attacca senza che ce ne accorgiamo. E tanto maggiore il pericolo, quanto
maggiore la gente con cui abbiamo contatto. Niente , in verit, pi dannoso per i buoni costumi
quanto lassistere oziosamente a qualche spettacolo; allopra infatti pi facilmente i vizi si insinuano
attraverso il piacere.
(7) Un solo esempio di dissolutezza o di cupidigia produce un grave danno: un commensale volut-
tuoso a poco a poco ci snerva e ci infiacchisce, un vicino che sia ricco eccita la nostra brama di
ricchezze, un compagno maligno contamina anche l'anima pi schietta ed ingenua; ora che cosa, a
tuo giudizio, accadr ai costumi di quelli, che sono assaliti dai cattivi esempi della folla? (8)
Necessariamente li devi imitare od odiare. Ma bisogna evitare l'una e l'altra cosa: non diverrai
simile ai cattivi, perch sono la moltitudine, e neppure diverrai avverso alla moltitudine, perch
diversa da te. Raccogliti in te stesso, per quanto puoi; trattienti con quelli che sono capaci di
renderti migliore, lasciati avvicinare da quelli che tu puoi rendere migliori. Queste sono cose
reciproche: gli uomini, mentre insegnano, imparano.
(1) Era abitudine degli antichi, in uso fino ai miei tempi, scrivere all'inizio delle lettere "Se tu stai
bene, ne sono contento, io sto bene". Giustamente noi diciamo: "Se ti dedichi alla filosofia, ne sono
contento", poich alla fin fine questo significa stare bene. Senza la filosofia l'anima malata; e
anche il corpo, se pure in forze, sano come pu esserlo quello di un pazzo o di un forsennato. (2)
Se vuoi star bene, dunque, cura soprattutto la salute dello spirito, e poi quella del corpo, che non ti
coster molto. sciocco, mio caro Lucilio, e sconveniente per uno studioso esercitare i muscoli,
sviluppare il collo e irrobustire i fianchi; quand'anche ti sarai ingrossato e avrai rinforzato i muscoli,
non uguaglierai n il vigore, n il peso di un bue ben nutrito. Inoltre, se il peso del corpo
eccessivo, lo spirito ne schiacciato ed meno agile. Perci riduci quanto pi puoi la cura del corpo
e lascia spazio allo spirito. (3) Se uno si occupa troppo del fisico, ha molti fastidi: per prima cosa la
fatica degli esercizi ginnici estenua lo spirito e lo rende incapace di concentrarsi e di dedicarsi agli
(1) Pensi che sia capitato solo a te e ti stupisci come di un fatto inaudito, perch, pur avendo
viaggiato a lungo e in tanti posti diversi, non ti sei scrollato di dosso la tua tristezza e il tuo
malessere spirituale? Devi cambiare animo, non cielo. Attraversa pure il mare, lascia, come dice il
nostro Virgilio, che scompaiano terre e citt all'orizzonte i tuoi vizi ti seguiranno dovunque
andrai.
(2) Socrate, a un tale che si lagnava per la stessa ragione, disse: "Perch ti stupisci se viaggiare non
ti serve? Porti in giro te stesso. Ti perseguitano i medesimi motivi che ti hanno fatto fuggire". A che
possono giovare nuove terre? A che la conoscenza di citt e posti diversi? Tutto questo agitarsi
vano. Chiedi perch questa fuga non ti sia di aiuto? Tu fuggi con te stesso. Deponi il peso
dell'anima: prima di allora non ti sar gradito nessun luogo.
(13) Perci al nostro Liberale che arde di un amore straordinario per la sua patria - e forse stata
distrutta per risorgere migliore - rivolgo queste e altre simili parole di conforto. Spesso una
disgrazia apre la strada a un destino pi felice: molte opere sono risorte pi splendide dalla loro
rovina. Timagene, ostile alla fortuna di Roma, diceva che gli incendi di quella citt lo facevano
soffrire solo perch sapeva che sarebbero sorti edifici migliori di quelli bruciati. (14) probabile
che anche in questa citt tutti faranno a gara per ricostruire edifici pi imponenti e grandiosi di
prima. Voglia il cielo che viva nel tempo e sia edificata con auspici pi fausti e durevoli! Dalla
fondazione di questa colonia sono passati cento anni, che non sono il limite massimo neppure per
un uomo. Fondata da Planco, ebbe questo aumento demografico per la sua posizione favorevole: ma
quante terribili disgrazie ha subto nello spazio di una vita umana! (15) Sappia, dunque, il nostro
animo comprendere e sopportare il proprio destino, sappia che la fortuna pu osare tutto e ha gli
stessi diritti sull'autorit e su chi la detiene e lo stesso potere sulla citt e sui cittadini. Non
indignamoci per questi fatti: sono le leggi che regolano la vita dell'universo di cui facciamo parte.
Ti va bene: accettale. Non ti va bene: vattene per la via che preferisci. Potresti sdegnarti se
l'ingiustizia fosse deliberata esclusivamente contro di te; ma se questa una necessit che vincola
tutti, dal pi piccolo al pi grande, riconcliati col destino, che tutto viola. (16) Non giudicare gli
uomini dalla diversit dei monumenti funebri e delle tombe che adornano le strade: la cenere rende
tutti uguali. Nasciamo diversi, moriamo uguali.
La saggezza una cosa pi chiara, anzi pi semplice: basta poco studio per arrivare alla saggezza;
noi, invece, disperdiamo in speculazioni inutili anche la filosofia come tutto il resto. Pure negli studi
soffriamo di intemperanza come in ogni altra attivit: impariamo per la scuola, non per la vita.
(8) La natura governa coi cambiamenti il regno che tu vedi: alle nuvole succede il sereno; il mare
calmo e poi si agita; i venti soffiano ora in una direzione, ora nell'altra; il giorno segue la notte; una
parte del cielo si leva, un'altra sprofonda: la legge degli opposti a perpetuare l'universo. (9) A essa
noi dobbiamo uniformare il nostro spirito; seguiamola, obbediamole; e ogni avvenimento
stimiamolo necessario: non rimproveriamo la natura. L'atteggiamento migliore sopportare quello
che non si pu correggere e seguire la volont di dio senza lagnarsi: tutto proviene da lui; non un
buon soldato chi segue il comandante e si lamenta. (10) Accogliamo perci gli ordini senza pigrizia,
(29) Alessandro metteva in fuga i Persiani, gli Ircani, gli Indi e tutti i popoli orientali fino
all'oceano, e ne devastava i territori, ma egli stesso, ora per l'uccisione di un amico, ora per la
perdita di un altro, giaceva nelle tenebre, afflitto dai suoi delitti o dal rimpianto; egli, vincitore di
tanti re e di tanti popoli, soccombeva all'ira e all'afflizione; aveva cercato di tenere tutto in suo
potere, ma non le passioni. (30) Quanto si ingannano quegli uomini che bramano di spingere il loro
dominio al di l del mare e pensano di essere veramente felici se occupano militarmente molte
regioni e alle vecchie ne aggiungono di nuove, e sono ignari di quale sia quello straordinario potere,
pari al potere degli di: dominare se stessi il massimo dominio.
Cui prodest?
A chi giova?
(Seneca, Medea, v. 500)
Petronio, Satyricon, 37
Uxor inquit - Trimalchionis, Fortunata appellatur, quae nummos modio metitur. Et modo modo
quid fuit? Ignoscet mihi genius tuus, noluisses de manu illius panem accipere. nunc, nec quid nec
quare, in caelum abiit et Trimalchionis topanta est. Ad summam, mero meridie si dixerit illi
tenebras esse, credet. Ipse nescit quid habeat, adeo saplutus est; sed haec lupatria providet omnia,
est ubi non putes. Est sicca, sobria, bonorum consiliorum: tantum auri vides. Est tamen malae
linguae, pica pulvinaris. Quem amat, amat; quem non amat, non amat. Ipse [Trimalchio] fundos
habet, qua milvi volant, nummorum nummos. Argentum in ostiarii illius cella plus iacet quam
quisquam in fortunis habet. Familia vero babae babae, non mehercules puto decumam partem esse
quae dominum suum noverit. Ad summam, quemvis ex istis babaecalis in rutae folium coniciet.
La moglie di Trimalcione- dice si chiama Fortunata e i soldi li conta a palate. E lo sai cos'era
fino all'altro ieri? Lasciamelo dire: era una che da lei non avresti accettato nemmeno un tozzo di
pane. Adesso, non chiedermi come n perch, ha toccato il cielo con il dito ed il braccio destro di
Trimalcione. Al punto che se a mezzogiorno spaccato lei gli dice che notte, lui ci crede anche. Lui
stesso non lo sa mica quanto ha, tanto ricco sfondato; a questa lupastra ne sa una pi del diavolo e
non le sfugge niente. Mangia poco, non beve, e ha la testa sul collo: tutto oro quel che vedi. Per ha
una lingua, una vera cornacchia! Chi ama ama, chi non ama non ama. Lui, Trimalcione, ha tante
terre che per vederle ci vorrebbero le ali di un nibbio e fa soldi su soldi. Nella guardiola del suo
portiere c' pi oro di quanto altri ne hanno in un patrimonio intiero. Circa la servit, lasciamo
perdere: ad aver visto in faccia il padrone, porcaccia la miseria, ce ne sar s e no uno su dieci.
Petronio, Satyricon, 42
Excepit Seleucus fabulae partem et Ego inquit non cotidie lavor; balniscus enim fullo est, aqua
dentes habet, et cor nostrum cotidie liquescit. sed cum mulsi pultarium obduxi, frigori laecasin
dico. nec sane lavare potui; fui enim hodie in funus. homo bellus, tam bonus Chrysanthus animam
ebulliit. modo modo me appellavit. videor mihi cum illo loqui. heu, eheu. utres inflati ambulamus.
Minoris quam muscae sumus, muscae tamen aliquam virtutem habent, nos non pluris sumus quam
bullae. Et quid si non abstinax fuisset! Quinque dies aquam in os suum non coniecit, non micam
panis. tamen abiit ad plures. medici illum perdiderunt, immo magis malus fatus; medicus enim nihil
aliud est quam animi consolatio. Tamen bene elatus est, vitali lecto, stragulis bonis. Planctus est
optime - manu misit aliquot - etiam si maligne illum ploravit uxor. quid si non illam optime
accepisset! Sed mulier quae mulier milvinum genus. neminem nihil boni facere oportet; aeque est
enim ac si in puteum conicias. Sed antiquus amor cancer est.
Petronio, Satyricon, 45
Sed subolfacio quia nobis epulum daturus est Mammaea, binos denarios mihi et meis. Quod si hoc
fecerit, eripiat Norbano totum favorem. Quod si hoc fecerit, eripiet Norbano totum favorem. Scias
oportet plenis velis hunc vinciturum. Et revera, quid ille nobis boni fecit? Dedit gladiatores
sestertiarios iam decrepitos, quos si sufflasses cecidissent; iam meliores bestiarios vidi. occidit de
lucerna equites, putares eos gallos gallinaceos; alter burdubasta, alter loripes, tertiarius mortuus
pro mortuo, qui habebat nervia praecisa. Unus alicuius flaturae fuit Thraex, qui et ipse ad dictata
pugnavit. Ad summam, omnes postea secti sunt; adeo de magna turba Adhibete" acceperant, plane
fugae merae. Munus tamen inquit, tibi dedi: et ego tibi plodo. Computa, et tibi plus do quam
accepi. Manus manum lavat.
Io sento gi il profumo del banchetto che ci offrir Mammea, e le due monete d'oro che ci
scapperanno per me e per i miei. Se lo far davvero, porter via a Norbano tutto il favore della
gente. Puoi scommetterci che per lui sar un trionfo. Ma, a conti fatti, da quello l che cosa ci
abbiamo ricavato? Ha fatto gareggiare dei gladiatori da due lire, con un piede nella bara, che li
sbattevi a terra con un soffio. In passato ho visto dei condannati che di fronte alle bestie erano molto
meglio di loro. Ha fatto ammazzare dei cavalieri da lampade, che sembravano dei galli da pollaio.
Uno era da caricarlo sul mulo, l'altro aveva i piedi piatti e il terzo, che doveva sostituire un morto,
era gi? morto pure lui con i tendini tagliati. L'unico con un po' di fiato da spendere era un Trace, ma
pure lui combatteva come se fosse in palestra. Alla fine li dovettero frustare, tanto la folla gridava
Dagli, dagli!: dei veri campioni dell'arte della fuga. Io comunque uno spettacolo te l'ho offerto,
dice lui. E io ti rispondo: Ti ho battuto le mani. Tu fatti i tuoi bravi conti, e vedrai che ti ho dato
pi di quello che ho ricevuto. Una mano lava l'altra.
(63) Rimasti tutti a bocca aperta. Con buona pace commenta Trimalcione della tua storia s che
mi venuta la pelle doca, c da credermi, perch so benissimo che Nicerone frottole non ne
racconta, anzi un tipo serio che non ama le chiacchiere. Ma una storia incredibile ve la voglio
raccontare anch'io. Un asino (che vola) sui tetti. Quando avevo ancora una testa di capelli cos, che
da ragazzo io facevo il sibarita, muore il bambino del mio padrone, un ragazzino affettuoso, per dio
una perla come non ce ne sono. Mentre quella poveraccia della madre lo stava piangendo e noi
eravamo in moltissimi l intorno a vegliarlo, ecco che all'improvviso sentiamo urlare le streghe. Era
come un cane che insegue una lepre. C'era con noi uno della Cappadocia, uno spilungone, tutto
muscoli e niente paura, e cos forte che riusciva a sollevarti un toro imbestialito. Questo qui, allora,
impugnata coraggiosamente la spada e proteggendosi con cura la mano sinistra con la veste, si
precipita fuori della porta e infilza per bene una di quelle donne, proprio qui nel nel mezzo, che dio
me lo conservi! Noi sentiamo un gemito, ma - non una bugia, ve lo giuro - delle streghe nemmeno
la traccia. Ma appena rientra dentro, il nostro marcantonio si va ad accasciare sul letto col corpo
pieno di lividi, come se lo avessero preso a frustate, perch evidentemente lo aveva toccato una
mano stregata. Sprangata la porta, noi ce ne torniamo alla nostra veglia, ma quando la madre fa per
abbracciare il corpicino del figlio, mette avanti le mani e trova soltanto un fantoccio di paglia.
Niente pi cuore, niente pi intestino, niente di niente: era chiaro che le streghe si erano portate via
il bambino e al suo posto avevano messo quel fantoccio di paglia. Vi prego, mi dovete credere:
esistono realmente queste donne che ne sanno una pi del diavolo, queste creature della notte che
sconvolgono ogni cosa. Del resto quel pezzo di spilungone, dopo il fattaccio, non ha pi ripreso il
suo colorito e, tempo pochi giorni, morto pazzo da legare.
(64) Noi rimaniamo senza fiato come se fossimo convinti e, baciando la tavola, imploriamo le
creature della notte di restare nelle loro dimore, quando di l a poco ce ne saremmo tornati dalla
cena.
Lupus in fabula
Il lupo nella conversazione
(= ecco la persona di cui si sta parlando, il cui arrivo provoca un improvviso,
imbarazzante silenzio).
La spiegazione di questa espressione proverbiale in Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, VIII, 80.
(80) Anche in Italia si crede che lo sguardo dei lupi sia dannoso e che tolgano l'uso della voce ad un
uomo, se lo fissano per primi. Africa ed Egitto li producono senza vigore e piccoli', mentre i paesi
pi freddi generano esemplari forti e feroci. Dobbiamo ritenere senz'altro falso che gli uomini
possano trasformarsi in lupi e poi tornare uomini, oppure dobbiamo credere a tutte quelle favole che
da tanti secoli sappiamo essere tali. Nondimeno indicher l'origine di questa diceria, tosi radicata
fra il popolo che l'espressione lupo mannaro si usa come insulto. (= il versipellis il
voltagabbana, insulto usato ad esempio da Plauto).
(81) Secondo Evante, che pure non disprezzabile fra gli autori greci, in Arcadia si racconta che un
membro della famiglia di un certo Anto viene tirato a sorte e condotto presso uno stagno di quella
regione. Appesa la veste ad una quercia, egli passa a nuoto lo specchio d'acqua e se ne va in luoghi
deserti e si trasforma in lupo, e rinian: per 9 anni in un branco insieme agli altri di quella specie. Se
durante questo periodo si tenuto lontano dall'uomo, ritorna poi a quello stesso stagno e,
riattraversatolo, riprende il suo aspetto umano, e alla sua antica immagine si aggiunge un
invecchiamento di nove anni. Lo scrittore aggiunge anche questo particolare, che riprende la stessa
veste. straordinario fino a che punto si spinga la credulit dei Greci. Nessuna bugia tanto
spudorata da essere priva dell'autorit di un testimone.
(147) Le noci fresche sono pi amabili; quelle secche sono pi oleose e nocive allo stomaco, di
difficile digestione; provocano mal di testa, sono controindicate a chi ha la tosse, adatte per chi vuo-
le vomitare a digiuno, per il tenesmo e la colite, in quanto espellono il muco. Mangiate in
precedenza, smorzano l'effetto dei veleni, combattono parimenti l'acidit delle cipolle e ne
addolciscono il sapore. (148) Se ne fanno applicazioni per l'infiammazione delle orecchie; con
l'aggiunta di poco miele e di ruta, per le mammelle e le lussazioni, con ruta ed olio per l'angina,
mentre con cipolla, sale e miele per i morsi di cani ed uomini. Usando il guscio di noce si
cauterizzano i denti cariati. Il guscio, bruciato e pestato in olio o vino, frizionato sul capo dei
bambini, ne nutre i capelli e nello stesso modo esso adoperato per trattare l'alopecia. Quante pi
noci si mangiano, tanto pi facilmente si espelle la tenia. Le noci molto stagionate sono una cura
contro la cancrena e le bolle nere nonch le contusioni; il mallo delle noci guarisce i licheni e la dis-
senteria, le foglie, pestate con l'aceto, il mal d'orecchi. (149) Nell'archivio segreto del potente re
Mitridate*, dopo averlo sconfitto, Gneo Pompeo trov in un registro personale, scritto di suo pugno,
la ricetta di un antidoto, composto da 2 noci secche, altrettanti fichi e 20 foglie di ruta, il tutto
pestato ed amalgamato, con l'aggiunta di un granello di sale; a chi avesse preso questo antidoto a
digiuno, nessun veleno avrebbe nuociuto durante tutta la giornata. Anche contro il morso di un cane
rabbioso le noci, masticate a digiuno e poi applicate, sono un rimedio efficace, pare.
*Si tratta di Mitridate VI Eupatore, re del Ponto, morto nel 63 a.C., contro il quale Roma combatt tre guerre, finch
fu definitivamente sconfitto da Pompeo. Egli fu famoso nell'antichit per la sua grande competenza di veleni, contro
il cui effetto aveva preparato una sorta di antidoto universale (Mithridaticum antidoton) la cui formula era stata
scoperta da Pompeo e da lui fatta tradurre dal suo affrancato Pompeo Leneo.
Del resto Apelle ebbe sempre l'abitudine di non trascorrere mai un giorno tosi occupato da
impedirgli di esercitare l'arte tracciando almeno una linea, da dove il noto proverbio. Egli stesso
esponeva le sue opere finite in una loggia ai passanti, e, nascosto dietro il quadro, ascoltava le
critiche che gli venivano fatte preferendo, in quanto giudice pi diligente, il volgo a se stesso; e
raccontano che una volta fu rimproverato da un calzolaio poich nei sandali aveva fatto all'interno
un occhiello in meno; il giorno dopo, lo stesso calzolaio, inorgoglito che il difetto fosse stato
corretto in seguito alla sua osservazione del giorno precedente, voleva cavillare sulla gamba; allora
Apelle si par dinanzi al suo accusatore, e disse indignato che la sua critica non doveva salire
oltre il calzare, e anche questa espressione divenuta proverbiale.
Marziale, Epigrammi, I, 57
Marziale, Epigrammi, V, 58
1. Cras te victurum, cras dicis, Postume, semper:
2. dic mihi, cras istud, Postume, quando venit?
3. Quam longe cras istud! ubi est? aut unde petendum?
4. Numquid apud Parthos Armeniosque latet?
5. Iam cras istud habet Priami vel Nestoris annos.
6. Cras istud quanti, dic mihi, possit emi?
Qual genero mai ben accetto qui, se non arriva alla dote della fanciulla e non pareggia il suo
corredo? Quale povero compreso in un testamento? Quando mai scelto come assessore degli edili?
Da tempo i Quiriti poveri avrebbero dovuto emigrare tutti in massa. Non facile che possano
emergere coloro alle cui virt di ostacolo la ristrettezza del patrimonio domestico; ma a Roma
il loro sforzo pi duro: un miserabile appartamento costa molto, molto il mantenimento dei servi e
molto una frugale cenetta. Si ha vergogna a mangiare con stoviglie di coccio, ma non lo troveresti
disonorevole se fossi trasportato ad un tratto fra i Marsi o alla tavola dei Sabini, ove ti
Rara avis.
Uccello raro.
(Giovenale, Satire, VI, v. 165)
Quis feret uxorem cui constant omnia?
Chi potr sopportare una donna che abbia ogni virt?
(Giovenale, Satire, VI, v. 166)
Quis custodiet ipsos custodes?
Chi sorveglier i sorveglianti stessi?
(Giovenale, Satire, VI, v. 347-348)
Dunque non trovi proprio nessuna degna di te in queste schiere cos numerose? Poniamo che sia
bella, elegante, ricca, feconda: e che, pi illibata della Sabina che seppe un giorno a chiome sciolte
stroncare la guerra, ostenti nell'atrio antenati di antica nobilt (uccello raro, in verit, simile in
tutto al cigno nero!): chi potr sopportare una donna che abbia ogni virt? Preferisco allora
l'umile Venustina a te, Cornelia madre dei Gracchi, se mi porti in casa con le tue eccellenti virt un
sussiego sdegnoso e conti nella dote anche i trionfi di famiglia! Riprenditi, per piacere, il tuo
Annibale, Siface vinto nel suo accampamento e sgombra con l'intera Cartagine! Piet, Apollo ti
supplico! E tu, o dea, deponi l'arco! Questi fanciulli sono innocenti, colpite solo la madre! grida
Anfione; ma Apollo tende il suo arco. E cos Niobe seppell le schiere dei suoi figli e lo stesso padre,
per essersi creduta pi nobile dei figli di Latona e persino pi feconda della scrofa bianca. Non v'
austerit o bellezza di tanto pregio da doversela continuamente sentir rinfacciare. Anche il
piacere che pu derivare da queste virt eccelse e rare svanisce se guastato dalla superbia e viene a
contenere pi fiele che miele. Chi a tal punto succube della moglie da non odiare almeno sette ore al
giorno colei che a parole esalta? (...)
Ascolto, vecchi amici, il consiglio che mi date da tempo: Metti il catenaccio, chiudila in casa!.
Ma chi sorveglier i sorveglianti stessi? Mia moglie furba e comincia da quelli. Le pi altolocate
e le pi umili sono ormai ugualmente libidinose. Quella che calca con i suoi piedi il polversoso
selciato non migliore di quella che si fa portare sulle spalle dei lunghi schiavi siriaci.
Panem et circenses.
Pane e giochi del circo.
(Giovenale, Satire, X, v. 81)
Expende Hannibalem.
Pesa (le ceneri di) Annibale.
(Giovenale, Satire, X, v. 147)
Mens sana in corpore sano.
Uno spirito sano in un corpo sano.
(Giovenale, Satire, X, v. 356)
Questo popolo medesimo, se Norzia avesse favorito il suo Toscano e il vecchio Imperatore, ignaro,
fosse stato tolto di mezzo, in questo momento stesso proclamerebbe Seiano Augusto. Gi da tempo,
da quando non si vendono pi i voti, ha perduto ogni interesse alla politica; esso che una volta
attribuiva i pieni poteri, i fasci, le legioni, tutto, ora lascia fare e brama ansioso solo due cose: il pane
e i giochi.
Le spoglie di guerra, una corazza appesa a mutili trofei, una gorgiera che pende da un elmo rotto, un
giogo tronco del timone, l'aplustro di una vinta trireme e un prigioniero avvilito al sommo
dell'arco trionfale sono stimati beni pi che umani. A questo fine si fece forza, in questo trov
ragione di affrontare pericoli e fatiche il condottiero romano e greco e barbaro; tanto superiore la
sete di gloria a quella di virt. Toltone il profitto, chi mai abbraccia la virt per se stessa? E
tuttavia, un tempo, trasse a rovina la patria l'ambizione di pochi e il desiderio della fama o di
un'iscrizione da incidersi sulla pietra custode delle ceneri: pietra che bastano a disgregare le inutili
radici di uno sterile fico, poich anche i sepolcri hanno segnata la sorte. Pesa un po' le ceneri
di Annibale: quante libbre troverai in questo eccelso condottiero? Eppure colui a cui non basta
l'Africa battuta dall'oceano Mauro e confinante dalla parte opposta col tepido Nilo fino ai popoli
dell'Etiopia ove sono altri elefanti. Aggiunge alle sue conquiste la Spagna, oltrepassa i Pirenei. La
natura gli oppose le Alpi nevose: ed egli rimuove le rupi e disgrega la montagna con l'aceto.
ormai in Italia, ma vuole spingersi pi avanti: Non ho fatto nulla, esclama, se non rompo
Marinella De Luca - Detti e motti latini (usi e abusi) 136
le porte col mio esercito cartaginese e non pianto lo stendardo in mezzo alla Suburra! Quale
scena degna veramente di un gran quadro, l'elefante getulico che trasporta l'orbo duce. Qual
dunque la fine? O gloria! Viene battuto, naturalmente, e scappa in esilio a precipizio e l siede, cliente
nobile ed eccezionale, dinanzi alla tenda pretoria del re, fino a quando il tiranno di Bitinia si degner
di aprire gli occhi. E a quella vita che un giorno mise sossopra l'universo, non metteran fine n pietre,
n dardi, ma quel famoso anello, vindice di Canne e punitore di tante stragi. Su, dunque, o pazzo,
corri attraverso le Alpi crudeli, per divertire i ragazzi e diventare tema di declamazioni!
Gli uomini non esprimeranno dunque alcun desiderio? Se vuoi un consiglio, lascia agli di
medesimi il giudicare che cosa ci convenga e sia favorevole ai nostri interessi. Gli di infatti, invece
di ci che piace, ci daranno ogni volta ci che pi utile, luomo pi caro ad essi che a se stesso.
Trasportati dall'impulso del cuore e dal desiderio cieco e ardente noi vogliamo una moglie e dei figli:
ma essi sanno che cosa saranno i fanciulli e che cosa sar la moglie. Ma affinch tu possa
invocare qualcosa e offrire nei santuari le viscere e le sacre salsicce di un bianco porco, prega di
avere uno spirito sano in un corpo sano. Chiedi un animo virile e libero dalla paura della morte,
che conti la lunghezza della vita come l'ultimo tra i doni della natura, che sappia tollerare
qualunque fatica, che non conosca la collera, nulla desderi e preferisca i travagli e le dure fatiche di
Ercole agli amori, ai festini e alle piume di Sardanapalo. Ti ho indicato dei beni che tu stesso
puoi procurarti; un sentiero soltanto si apre ad una vita tranquilla: quello della virt. Dov' la
saggezza, non manca l'aiuto degli di: siamo noi, o Fortuna, che ti facciamo dea e ti innalziamo al
cielo.
Tienti, dunque, lontano da azioni condannabili; di ci infatti, anche se unica, hai una ragione
pressante: che i nati da noi non seguano i nostri delitti; poich tutti siamo docili nell'imitare le
turpitudini e le malvagit. Presso qualsiasi popolo, sotto qualunque latitudine tu potresti vedere un
Catilina; ma non ci sar un Bruto n uno zio di Bruto in alcun luogo. Nessuna cosa che sia turpe a dirsi
o a vedersi tocchi le soglie entro cui si trova un padre. Lontano, oh, lontano d qui le cortigiane e i
canti del parassita nottambulo! Al fanciullo si deve il massimo rispetto, se stai macchinando
qualcosa di turpe; non mancare di rispetto all'et di tuo figlio, ma proprio il figlio bambino sia di
ostacolo alla tua intenzione di peccare. Infatti, se un giorno commetter un'azione degna dell'ira del
censore e si mostrer simile a te non soltanto nel corpo o nel volto ma anche figlio dei tuoi costumi e
tale da peccare pi gravemente di te, seguendo le tue tracce, lo rimprovererai certamente e lo
castigherai con urla tremende e ti accingerai dopo di ci a cambiare il testamento. Ma da
dove trarrai l'ardire e la franchezza d un padre, quando tu, vecchio, ne fai di peggiori, e gi da un
pezzo la tua testa vuota di cervello reclama le ventose?
Tacito, Agricola, 30
Quotiens causas belli et necessitatem nostram intueor, magnus mihi animus est hodiernum diem
consensumque vestrum initium libertatis toti Britanniae fore: nam et universi coistis et servitutis
expertes, et nullae ultra terrae ac ne mare quidem securum inminente nobis classe Romana. Ita
proelium atque arma, quae fortibus honesta, eadem etiam ignavis tutissima sunt. Priores pugnae,
quibus adversus Romanos varia fortuna certatum est, spem ac subsidium in nostris manibus
habebant, quia nobilissimi totius Britanniae eoque in ipsis penetralibus siti nec ulla servientium
litora aspicientes, oculos quoque a contactu dominationis inviolatos habebamus. nos terrarum ac
libertatis extremos recessus ipse ac sinus famae in hunc diem defendit: nunc terminus Britanniae
patet, atque omne ignotum pro magnifico est; sed nulla iam ultra gens, nihil nisi fluctus ac saxa, et
infestiores Romani, quorum superbiam frustra per obsequium ac modestiam effugias. raptores
orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, mare scrutantur: si locuples hostis est, avari, si
pauper, ambitiosi, quos non Oriens, non Occidens satiaverit: soli omnium opes atque inopiam pari
adfectu concupiscunt. auferre trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem
faciunt, pacem appellant.
Quando ripenso alle cause della guerra e alla terribile situazione in cui versiamo, nutro la grande
speranza che questo giorno, che vi vede concordi, segni per tutta la Britannia l'inizio della libert.
S, perch per voi tutti qui accorsi in massa, che non sapete cosa significhi servit, non c' altra terra
oltre questa e neanche il mare sicuro, da quando su di noi incombe la flotta romana. Perci
combattere con le armi in pugno, scelta gloriosa dei forti, sicura difesa anche per i meno
coraggiosi. I nostri compagni che si sono battuti prima d'ora con varia fortuna contro i Romani
avevano nelle nostre braccia una speranza e un aiuto, perch noi, i pi nobili di tutta la Britannia -
perci vi abitiamo proprio nel cuore, senza neanche vedere le coste dove risiede chi ha accettato la
servit - avevamo perfino gli occhi non contaminati dalla dominazione romana. Noi, al limite
estremo del mondo e della libert, siamo stati fino a oggi protetti dall'isolamento e dall'oscurit del
nome. Ora si aprono i confini ultimi della Britannia e l'ignoto un fascino: ma dopo di noi non ci
sono pi popoli, bens solo scogli e onde e il flagello peggiore, i Romani, alla cui prepotenza non
fanno difesa la sottomissione e l'umilt. Predatori del mondo intero, adesso che mancano terre alla
loro sete di totale devastazione, vanno a frugare anche il mare: avidi se il nemico ricco, arroganti
se povero, gente che n l'oriente n l'occidente possono saziare; loro soli bramano possedere con
pari smania ricchezze e miseria. Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano
impero; infine, dove fanno il deserto, dicono che la pace.
Tacito, Agricola, 42
Aderat iam annus, quo proconsulatum Africae et Asiae sortiretur, et occiso Civica nuper nec
Agricolae consilium deerat nec Domitiano exemplum. Accessere quidam cogitationum principis
periti, qui iturusne esset in provinciam ultro Agricolam interrogarent. Ac primo occultius quietem
et otium laudare, mox operam suam in adprobanda excusatione offerre, postremo non iam obscuri
suadentes simul terrentesque pertraxere ad Domitianum. Qui paratus simulatione, in adrogantiam
compositus, et audiit preces excusantis, et, cum adnuisset, agi sibi gratias passus est, nec erubuit
beneficii invidia. Salarium tamen proconsulare solitum offerri et quibusdam a se ipso concessum
Agricolae non dedit, sive offensus non petitum, sive ex conscientia, ne quod vetuerat videretur
emisse. Proprium humani ingenii est odisse quem laeseris: Domitiani vero natura praeceps in
iram, et quo obscurior, eo inrevocabilior, moderatione tamen prudentiaque Agricolae leniebatur,
quia non contumacia neque inani iactatione libertatis famam fatumque provocabat. Sciant, quibus
moris est inlicita mirari, posse etiam sub malis principibus magnos viros esse, obsequiumque ac
modestiam, si industria ac vigor adsint, eo laudis excedere, quo plerique per abrupta, sed in nullum
rei publicae usum ambitiosa morte inclaruerunt.
Era ormai giunto l'anno in cui si doveva sorteggiare il proconsolato d'Africa e quello d'Asia e la
recente uccisione di Civica non poteva non essere un avvertimento per Agricola e un valido
precedente per Domiziano. Alcune persone, bene informate delle intenzioni del principe,
avvicinarono Agricola in forma ufficiosa per sondare se fosse disposto a recarsi come governatore
in una provincia. Cominciarono con aria distaccata a lodare i vantaggi di una vita tranquilla, poi
offrirono il loro interessamento per far accettare al principe la sua rinuncia e alla fine, ormai a carte
scoperte, con pressioni sfioranti la minaccia, lo condussero da Domiziano. Costui, pronto a fingere e
con tono di sdegnosa degnazione, ascolt la preghiera di esonero e, nell'accoglierla, ebbe il coraggio
di stare a sentire i ringraziamenti senza arrossire dell'odiosa sua concessione. Non offerse tuttavia
ad Agricola lo stipendio proconsolare, per consuetudine accordato e che lui stesso aveva gi
concesso ad altri: offeso forse perch nessuna richiesta era venuta da Agricola o forse per il timore
che risultasse aver egli comprato un rifiuto imposto. tipico della natura umana odiare la
persona a cui si rivolta loffesa; Domiziano, d'altra parte, pur incline per indole all'ira tanto pi
implacabile se soffocata, era in parte acquietato dalla misurata prudenza di Agricola, che non
cercava la gloria sfidando la morte con spavalderia e con vana esibizione di libert di spirito.
Sappiano coloro che son soliti ammirare i gesti di ribellione che anche sotto cattivi prncipi vi
possono essere uomini grandi e che una riservata obbedienza, se accompagnata da energica
operosit, pu innalzare al vertice di quella gloria di cui molti si ammantano ostentando il sacrificio
della propria vita, attraverso arduo percorso e senza vantaggio per lo stato.
(18) Quamquam severa illic matrimonia, nec ullam morum partem magis laudaveris. Nam prope
soli barbarorum singulis uxoribus contenti sunt, exceptis admodum paucis, qui non libidine, sed ob
nobilitatem plurimis nuptiis ambiuntur. Dotem non uxor marito, sed uxori maritus offert. Intersunt
parentes et propinqui ac munera probant, munera non ad delicias muliebres quaesita nec quibus
nova nupta comatur, sed boves et frenatum equum et scutum cum framea gladioque. In haec
munera uxor accipitur, atque in vicem ipsa armorum aliquid viro adfert: hoc maximum vinculum,
haec arcana sacra, hos coniugales deos arbitrantur. Ne se mulier extra virtutum cogitationes
extraque bellorum casus putet, ipsis incipientis matrimonii auspiciis admonetur venire se laborum
periculorumque sociam, idem in pace, idem in proelio passuram ausuramque. Hoc iuncti boves,
hoc paratus equus, hoc data arma denuntiant. Sic vivendum, sic pereundum: accipere se, quae
liberis inviolata ac digna reddat, quae nurus accipiant, rursusque ad nepotes referantur.
(19) Ergo saepta pudicitia agunt, nullis spectaculorum inlecebris, nullis conviviorum inritationibus
corruptae. Litterarum secreta viri pariter ac feminae ignorant. Paucissima in tam numerosa gente
adulteria, quorum poena praesens et maritis permissa: abscisis crinibus nudatam coram propinquis
expellit domo maritus ac per omnem vicum verbere agit; publicatae enim pudicitiae nulla venia:
non forma, non aetate, non opibus maritum invenerit. Nemo enim illic vitia ridet, nec corrumpere et
corrumpi saeculum vocatur. Melius quidem adhuc eae civitates, in quibus tantum virgines nubunt et
eum spe votoque uxoris semel transigitur. Sic unum accipiunt maritum quo modo unum corpus
unamque vitam, ne ulla cogitatio ultra, ne longior cupiditas, ne tamquam maritum, sed tamquam
matrimonium ament. Numerum liberorum finire aut quemquam ex adgnatis necare flagitium
habetur, plusque ibi boni mores valent quam alibi bonae leges.
(18) Per altro i rapporti coniugali sono severi e, nei loro costumi, nulla v' che meriti altrettanta
lode. Infatti, quasi soli fra i barbari, sono paghi di una sola moglie, salvo pochissimi, e non per sete
di piacere, ma perch, a causa della loro nobilt, sono oggetto di molte offerte di matrimonio. La
dote non la porta la moglie al marito, ma il marito alla moglie. Intervengono i genitori e i parenti e
valutano i doni, scelti non per soddisfare i piaceri femminili o perch se ne adorni la nuova sposa,
ma consistenti in buoi, in un cavallo bardato, in uno scudo con framea e spada. Come corrispettivo
di tali doni si riceve la moglie, che, a sua volta, porta qualche arma al marito: questo il vincolo pi
solido, questo l'arcano rito, queste le divinit nuziali. E perch la donna non si creda estranea ai
pensieri di gloria militare o esente dai rischi della guerra, nel momento in cui prende avvio il
matrimonio, le si ricorda che viene come compagna nelle fatiche e nei pericoli, per subire e
affrontare la stessa sorte, in pace come in guerra: questo significano i buoi aggiogati, questo il
cavallo bardato, questo il dono delle armi. Cos deve vivere, cos morire: sappia di ricevere armi
che dovr consegnare inviolate e degne ai figli, che le nuore riceveranno a loro volta, per
trasmetterle ai nipoti.
(19) Vivono dunque in riservata pudicizia, non corrotte da seduzioni di spettacoli o da eccitamenti
conviviali. Uomini e donne ignorano egualmente i segreti delle lettere. Rarissimi, tra gente cos
numerosa, gli adulterii, la cui punizione immediata e affidata al marito: questi le taglia i capelli, la
denuda e, alla presenza dei parenti, la caccia di casa e la incalza a frustate per tutto il villaggio. Non
esiste perdono per la donna disonorata: non le varranno bellezza, giovinezza, ricchezza, per trovare
un marito. Perch l i vizi non fanno sorridere e il corrompere e l'essere corrotti non si chiama
moda. Ancora pi austere sono le trib in cui solo le vergini si sposano e la speranza e l'attesa del
Tacito, Annales, I, 1
Urbem Romam a principio reges habuere; libertatem et consulatum L. Brutus instituit. dictaturae
ad tempus sumebantur; neque decemviralis potestas ultra biennium, neque tribunorum militum
consulare ius diu valuit. non Cinnae, non Sullae longa dominatio; et Pompei Crassique potentia
cito in Caesarem, Lepidi atque Antonii arma in Augustum cessere, qui cuncta discordiis civilibus
fessa nomine principis sub imperium accepit. sed veteris populi Romani prospera vel adversa claris
scriptoribus memorata sunt; temporibusque Augusti dicendis non defuere decora ingenia, donec
gliscente adulatione deterrerentur. Tiberii Gaique et Claudii ac Neronis res florentibus ipsis ob
metum falsae, postquam occiderant, recentibus odiis compositae sunt. inde consilium mihi pauca de
Augusto et extrema tradere, mox Tiberii principatum et cetera, sine ira et studio, quorum causas
procul habeo.
Roma in origine fu una citt governata dai re. L'istituzione della libert e del consolato spetta a
Lucio Bruto. L'esercizio della dittatura era temporaneo e il potere dei decemviri non dur pi di un
biennio, n a lungo resse la potest consolare dei tribuni militari. Non lunga fu la tirannia di Cinna
n quella di Silla; e la potenza di Pompeo e Crasso fin ben presto nelle mani di Cesare, e gli eserciti
di Lepido e di Antonio passarono ad Augusto, il quale, col titolo di principe, concentr? in suo potere
tutto lo stato, stremato dalle lotte civili. Ora, scrittori di fama hanno ricordato la storia, nel bene e
nel male, del popolo romano dei tempi lontani e non sono mancati chiari ingegni a narrare i tempi di
Augusto, sino a che, crescendo l'adulazione, non ne furono distolti. Quanto a Tiberio, a Gaio, a
Claudio e a Nerone, il racconto risulta falsato: dalla paura, quand'erano al potere, e, dopo la loro
morte, dall'odio, ancora vivo. Di qui il mio proposito di riferire pochi dati su Augusto, quelli degli
ultimi anni, per poi passare al principato di Tiberio e alle vicende successive, senza animosit e
senza simpatia, non avendone motivo alcuno.
(33) Nel contesto di tali discussioni, Severo Cecina propose di votare il divieto, per ogni magistrato
incaricato di governare una provincia, di farsi accompagnare dalla moglie, dopo aver per ribadito
con forza l'armonia esistente con la propria moglie, che gli aveva dato ben sei figli, e dopo aver
detto di aver gi attuato, in casa sua, quanto intendeva stabilire per tutti: aveva infatti imposto alla
sua donna di restare in Italia, bench avesse compiuto missioni nelle pi diverse province per
quarant'anni. Non certo a caso - sosteneva - gli antichi avevano fissato il divieto di tirarsi dietro
donne in mezzo agli alleati o in terre straniere; in un seguito femminile non manca mai chi ritarda la
pace per smania di lusso, la guerra per paura, e chi trasforma la marcia di un esercito romano in
un'avanzata di barbari. La femmina non solo debole e incapace di sopportare le fatiche ma, solo
(31) Come dunque fu noto che era stata respinta l'opposizione dei tribuni e che questi erano usciti
da Roma, mandate innanzi in fretta e di nascosto, perch non sorgesse alcun sospetto, le coorti,
intervenne per infingimento a un pubblico spettacolo, ed esamin il disegno di un circo gladiatorio
che voleva costruire, e secondo l'uso partecip a un affollato banchetto. Poi, dopo il tramonto,
attaccati a un veicolo muli presi l presso in un mulino, si avvi segsetissimamente con piccolo
sguito; e, uscito di strada a cagione (lei lumi spenti e vagando a lungo, finalmente trov sul far del
giorno una guida e per angustissimi viottoli se ne trasse fuori a piedi, e, raggiunte le coorti presso il
fiume Rubcone che segnava il confine della sua provincia, ristette un poco; e l, ripensando qual
grande passo egli faceva, disse volgendosi ai pi vicini: Possiamo ancora tornare indietro; ma se
passeremo il ponticello tutto sar da affidare alle armi.
(32) Mentre stava esitante gli apparve questa mirabile cosa: un uomo grande di statura e di aspetto,
seduto l presso in atto di sonare un flauto; e come accorrevano a udirlo, oltre moltissimi pastori,
anche molti soldati venuti dai loro posti, e con questi anche trombettieri, quello, presa la tromba a
imo, balz verso il fiume, e, intonato con gran fiato il segnale di battaglia, si diresse all'altra riva.
Allora Cesare esclam: Si vada l dove ci chiamano i prodigi degli Dei e l'iniquit dei nemici; si
getti il dado!.
Svetonio, Cesare, 37
Confectis bellis quinquiens triumphauit, post deuictum Scipionem quater eodem mense, sed
interiectis diebus, et rursus semel post superatos Pompei liberos. Primum et excellentissimum
triumphum egit Gallicum, sequentem Alexandrinum, deinde Ponticum, huic proximum Africanum,
nouissimum Hispaniensem, diverso quemque apparatu et instrumento. Gallici triumphi die
Velabrum praeteruehens paene curru excussus est axe diffracto ascenditque Capitolium ad lumina
quadraginta elephantis dextra sinistraque lychnuchos gestantibus. Pontico triumpho inter pompae
fercula trium verborum praetulit titulum veni, vidi, vici non acta belli significantem sicut ceteris,
sed celeriter confecti notam.
Concluse le guerre, riport il trionfo cinque volte: quattro volte nello stesso mese, ma a qualche
giorno di intervallo, dopo aver sconfitto Scipione, e una volta ancora, dopo aver superato i figli di
Pompeo. Il primo, e il pi bello, dei suoi trionfi fu quello Gallico, poi l'Alessandrino, quindi il
Pontico, dopo l'Africano e infine lo Spagnolo, ciascuno differente per apparato e variet di
particolari. Nel giorno del trionfo sui Galli, attraversando il Velabro, per poco non fu sbalzato dal
carro a causa della rottura di un assale; sal? poi sul Campidoglio alla luce delle fiaccole che
quaranta elefanti, a destra e a sinistra, recavano sui candelieri. Nel corso del trionfo Pontico, tra gli
altri carri presenti nel corteo, fece portare davanti a s un cartello con queste tre parole: Venni,
vidi, vinsi, volendo indicare non tanto le imprese della guerra, come aveva fatto per le altre,
quanto la rapidit con cui era stata conclusa.
Ad Kalendas graecas.
Alle calende greche (= mai).
(Svetonio, Augusto, 87)
Svetonio, Augusto, 87
Cotidiano sermone quaedam frequentius et notabiliter usurpasse eum, litterae ipsius autographae
ostentant, in quibus identidem, cum aliquos numquam soluturos significare vult, ad Kalendas
Graecas soluturos ait.
Le sue lettere autografe rivelano che nelle conversazioni quotidiane si serviva spesso di locuzioni
curiose, e pi di una volta, come ad esempio quando, per indicare debitori che non avrebbero mai
pagato, disse che avrebbero saldato il conto alle calende greche.
Svetonio, Claudio, 21
Gladiatoria munera plurifariam ac multiplicia exhibuit: anniversarium in castris praetorianis sine
venatione apparatuque, iustum atque legitimum in Saeptis; ibidem extraordinarium et breve
dierumque paucorum, quodque appellare coepit 'sportulam,' quia primum daturu[m]s edixerat,
velut ad subitam condictamque cenulam invitare se populum. Nec ullo spectaculi genere
communior aut remissior erat, adeo ut oblatos victoribus aureos prolata sinistra pariter cum vulgo
voce digitisque numeraret ac saepe hortando rogandoque ad hilaritatem homines provocaret,
dominos identidem appellans, immixtis interdum frigidis et arcessitis iocis; qualis est ut cum
Palumbum postulantibus daturum se promisit, si captus esset. Illud plane quantumvis salubriter et
in tempore: cum essedario, pro quo quattuor fili deprecabantur, magno omnium favore indulsisset
rudem, tabulam ilico misit admonens populum, quanto opere liberos suscipere deberet, quos videret
et gladiatori praesidio gratiaeque esse. edidit et in Martio campo expugnationem direptionemque
oppidi ad imaginem bellicam et deditionem Britanniae regum praeseditque paludatus. Quin et
emissurus Fucinum lacum naumachiam ante commisit. sed cum proclamantibus naumachiariis:
'Have imperator, morituri te salutant!' respondisset: 'aut non,' neque post hanc vocem quasi venia
data quisquam dimicare vellet, diu cunctatus an omnes igni ferroque absumeret, tandem e sede sua
prosiluit ac per ambitum lacus non sine foeda vacillatione discurrens partim minando partim
adhortando ad pugnam compulit. hoc spectaculo classis Sicula et Rhodia concurrerunt,
duodenarum triremium singulae, exciente bucina Tritone argenteo, qui e medio lacu per machinam
emerserat.
Quanto ai combattimenti di gladiatori ne diede di vario genere e in diversi posti: uno, per un
anniversario, nel campo dei pretoriani, senza caccia e senza nessun apparato; un altro, regolare e
completo, nel recinto delle elezioni; nello stesso luogo ne diede un terzo, a titolo straordinario, che
dur qualche giorno soltanto, e che cominci a chiamare sportula, perch nell'editto che
annunciava questo spettacolo dato per la prima volta, egli aveva dichiarato che invitava il popolo,
in qualche modo, ad una piccola colazione improvvisata e concordata. Non vi era tipo di spettacolo
per il quale non si mostrasse pi familiare e pi disponibile, giacch arriv a contare ad alta voce
sulle sue dita, tendendo la sinistra, insieme con il popolo, i pezzi d'oro offerti ai vincitori, e spesso
stimol le risate degli spettatori con le sue esortazioni e le sue preghiere, chiamando questi stessi
vincitori signori, con battute talvolta spiritose, lanciate da lontano; cos, quando il popolo
reclamava il gladiatore Palumbo, promise che glielo avrebbe portato, se fosse riuscito ad
acchiapparlo. Ecco pertanto una lezione salutare che seppe impartire al momento opportuno:
poich, tra gli applausi di tutti, aveva concesso la verga ad un conduttore di carro, in favore del
quale intercedevano i suoi quattro figli, fece subito circolare tra in pubblico una tavoletta che
segnalava agli spettatori come fosse necessario che allevassero ragazzi dal momento che si
rendevano conto che un semplice gladiatore trovava nei figli protettori influenti. Fece anche
rappresentare al Campo di Marte la conquista e la distruzione di una citt, con aderenza alla realt
di guerra, e pure la sottomissione del re della Britannia e presiedette allo spettacolo con il suo
mantello di generale. Per di pi, prima di liberare le acque dal lago Fucino, vi allest un
combattimento navale, ma quando i combattenti gridarono: Ave, o Cesare! Coloro che stanno
per morire ti salutano, egli rispose: Magari no! A queste parole, come se avesse concesso loro
la grazia, alcuni di loro non vollero pi battersi; allora stette per un po' a domandarsi se non dovesse
farli ammazzare tutti col ferro e col fuoco, poi alla fine si alz dal suo posto e correndo qua e l
attorno al lago, ora minacciando, ora esortando, non senza una certa esitazione ridicola, li spinse
alla battaglia. In questo spettacolo una flotta siciliana e una flotta di Rodi, comprendenti ciascuna
Svetonio, Vespasiano, 16
Sola est, in qua merito culpetur, pecuniae cupiditas. Non enim contentus omissa sub Galba
vectigalia revocasse, novas et gravia addidisse, auxisse, tributa provinciis, nonnullis et duplicasse,
negotiationem quoque vel privato pudendas propalam exercuit, coemendo quaedam, tantum ut
pluris postea distraheret. Ne candidatis quidem honores, reisve tam innoxiis quam nocentibus
absolutione venditare cunctatus est. Creditur etiam procuratorum rapacissimus quemque ad
ampliora officia ex industria solitus promovere, quo locupletiores mox condemnaret; quibus
quidem vulgo pro spongiis dicebatur uti, quod quasi et siccos madefaceret et exprimeret umentis.
Quidam natura cupidissimum tradunt, idque exprobratum ei a sene bubulco, qui negata sibi
gratuita libertate, quam imperium adeptum suppliciter orabat, proclamaverit vulpem pilum
mutare, non mores. Sunt contra qui opinentur ad manubias et rapinas necessitate compulsum
summa aerarii fiscique inopia; de qua testificatus sit initio statim principatus, professus
quadringenties milies opus esse, ut res p. stare posset. Quod et veri similius videtur, quando et male
partis optime usus est.
Il solo difetto che gli si pu rimproverare con ragione l'avidit del denaro. Infatti non contento di
aver reclamato le imposte che non erano state pagate sotto Galba, di averne aggiunte di nuove e
assai gravose, di aver aumentato, e talvolta raddoppiato, i tributi delle province, si diede anche
apertamente a speculazioni disonorevoli perfino per un semplice cittadino, acquistando merci
all'ingrosso, con il solo scopo di venderle in seguito, pi care, al dettaglio. Non esit neppure a
vendere le magistrature ai candidati e le grazie agli accusati, tanto innocenti, quanto colpevoli. Si
crede anche che, volutamente, innalzasse agli impieghi pi importanti gli agenti del tesoro pi
rapaci, proprio per condannarli quando si fossero arricchiti; cos si diceva che li utilizzava come le
spugne, che si bagnano quando sono secche e che si spremono quando sono piene d'acqua. Alcuni
sostengono che questa sua estrema avidit faceva parte della sua natura e citano il rimprovero di un
vecchio bovaro che, non potendo ottenere da lui, nonostante le suppliche, la libert a titolo gratuito,
dopo che aveva conquistato il potere, grid: La volpe cambia il pelo, ma non il vizio.
Altri, al contrario, pensano che fu costretto al saccheggio e alla rapina a causa dell'estrema povert
del tesoro e del fisco, che egli segnal fin dall'inizio del suo principato: Lo Stato, perch possa
sopravvivere, ha bisogno di quaranta miliardi di sesterzi. Questa seconda opinione resa ancora
pi verosimile dal fatto che fece buon uso di ci che aveva male acquisito.
Svetonio, Vespasiano, 23
Maxime tamen dicacitatem adfectabat in deformibus lucris, ut invidiam aliqua cavillatione dilueret
transferretque ad sales. Quendam e caris ministris dispensationem cuidam quasi fratri petentem
cum distulisset, ipsum candidatum ad se vocavit; exactaque pecunia, quantam is cum suffragatore
suo pepigerat, sine mora ordinavit; interpellanti mox ministro: Alium tibi, ait, quaere fratrem; hic,
quem tuum putas, meus est. Mulionem in itinere quodam suspicatus ad calciandas mulas desiluisse,
ut adeunti litigatori spatium moramque praeberet, interrogavit quanti calciasset, et pactus est lucri
partem. Reprehendenti filio Tito, quod etiam urinae vectigal commentus esset, pecuniam ex prima
pensione admovit ad nares, sciscitans num odore offenderetur; et illo negante: Atqui, inquit, e lotio
est.
Nuntiantis legatos decretam ei publice non mediocris summae statuam colosseam, iussit vel
continuo ponere, cavam manum ostentans et paratam basim dicens. Ac ne metu quidem ac periculo
mortis extremo abstinuit iocis. Nam cum inter cetera prodigia Mausoleum derepente patuisset et
stella crinita in caelo apparuisset, alterum ad Iuniam Calvinam e gente Augusti pertinere dicebat,
Parthorum regem qui capillatus esset; prima quoque morbi accessione: Vae, inquit, puto, deus fio.
Ma soprattutto a proposito dei profitti indegni egli ostentava tutta la sua mordacit, per attenuarne il
carattere odioso con qualche battuta e buttarli sullo scherzo.
Quando uno dei suoi servitori favoriti gli domand un posto di intendente per un uomo di cui si
diceva fratello, egli prese tempo per rispondere e fece venire di persona il candidato. Dopo avergli
fatto versare esattamente la somma che costui aveva pattuito con il suo protettore, lo nomin
immediatamente e quando, pi tardi, il servitore gli chiese notizie, gli rispose: Cercati un altro
fratello, perch quello che credevi il tuo, divenuto il mio. Durante un viaggio, poich un
mulattiere era saltato a terra con la scusa di dover ferrare le sue mule, Vespasiano sospett che
volesse dare ad un tizio coinvolto in una causa, il tempo e la possibilit di avvicinarlo; allora gli
chiese quanto gli fruttassero quei ferri e pretese una parte del guadagno.
Poich suo figlio Tito gli rimproverava di aver avuto l'idea di tassare anche le urine, gli mise sotto il
naso la prima somma resa da questa imposta, chiedendogli se fosse offeso dal suo odore e quando
Tito gli disse di no, riprese: Eppure il prodotto dell'urina.
Quando una delegazione gli annunci che si era deciso di erigergli a spese pubbliche una statua
colossale, di prezzo considerevole, ordin di farlo al pi presto e mostr loro il cavo della mano
dicendo che il basamento era gi pronto. Anche il timore della morte e la sua minaccia pressante
non gli impedirono di scherzare. Infatti quando, tra gli altri prodigi, il Mausoleo si era aperto
improvvisamente e una cometa era apparsa nel cielo, egli dichiar che il primo presagio riguardava
Giunia Calvina, discendente di Augusto, e il secondo il re dei Parti che era ben chiomato. Anche al
primo attacco della malattia disse: Accidenti! credo che sto diventando un dio?.