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JOHN RONALD REUEL TOLkiEN

RAccONTi iNcOmpiUTi
di Númenor e della Terra di mezzo
A cura di Christopher Tolkien

Traduzione di Francesco Saba Sardi


riveduta e aggiornata in collaborazione
con la Società Tolkieniana Italiana

i LiBRi Di
J.R.R. TOLkiEN
Titolo originale
Unfinished Tales of Númenor and Middle-Earth

Unfinished Tales © The J. R. R. Tolkien


Copyright Trust and C. R. Tolkien, 1980

Copyright © 1980, George Allen & Unwin (Publishers) Ltd.


George Allen & Unwin Ltd.
40, Museum Street, London WCI
All rights reserved
®
e ‘Tolkien’® sono marchi registrati della J.R.R. Tolkien
Estate Limited.

Traduzione di Francesco Saba Sardi


riveduta e aggiornata in collaborazione
con la Società Tolkieniana Italiana

ISBN 978-88-452-7403-9

© 2001/2013 Bompiani/RCS Libri S.p.A.


Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano

II edizione Tascabili Bompiani dicembre 2013


Introduzione
di
Christopher Tolkien

Chi sia responsabile degli scritti di un autore de-


funto, si trova a dover affrontare problemi di difficile
soluzione. E in circostanze del genere si può anche de-
cidere di non predisporre nessun testo per la pubbli-
cazione, tranne forse quelli che erano già virtualmente
terminati alla morte dell’autore. Questa può sembrare
a prima vista la soluzione migliore nel caso degli scritti
inediti di J.R.R. Tolkien, dal momento che egli stesso,
assai critico ed esigente per quanto riguardava il pro-
prio lavoro, non si sarebbe neppure sognato di con-
sentire che anche il racconto più completo riportato in
questo volume venisse pubblicato senza ulteriori per-
fezionamenti.
D’altro canto, la natura e l’ampiezza della sua opera
mi sembra che pongano in una luce particolare per-
sino le storie da lui lasciate a mezzo. Che Il Silmaril-
lion restasse sconosciuto, era per me impensabile, e
questo nonostante lo stato farraginoso in cui si tro-
vava e le ben note, anche se in larga misura inattuate,
intenzioni di mio padre di rimaneggiarlo; e in quel
caso ho ritenuto opportuno, dopo lunghe esitazio-
ni, di presentarlo, non già in forma di studio storico,
quale un insieme di testi disparati legati da un com-
mento, bensì come un’entità completa e coerente. Le
narrazioni contenute nel presente volume appaiono
invece di altro tipo: nel complesso non costituiscono
un tutto uniforme, e il libro null’altro è che una rac-
colta di scritti diversi per forma, scopo, completezza
e data di stesura (oltre che per la mia rielaborazione

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degli stessi), riguardanti Númenor e la Terra di Mez-
zo. Ma i motivi a favore della loro pubblicazione non
sono diversi nella sostanza, anche se meno cogenti,
di quelli che mi hanno indotto a dare alle stampe Il
Silmarillion. Tutti coloro che non vorrebbero vedersi
privati delle immagini di Melkor che con Ungoliant
osserva dalla cima di Hyarmentir “i campi e i pasco-
li di Yavanna, dorati dall’alto grano degli dei”; delle
ombre dell’esercito di Fingolfin proiettate dalla prima
luna nuova in Occidente; di Beren in foggia di lupo
acquattato sotto il trono di Morgoth, o ancora della
luce dei Silmarils balenante improvvisa nell’oscurità
della Foresta di Neldoreth, costateranno, credo, che
le imperfezioni formali di questi racconti sono con-
trobilanciate dalla voce (qui udibile per l’ultima vol-
ta) di Gandalf che punzecchia il superbo Saruman
alla riunione del Bianco Consiglio l’anno 2851, o che
in Minas Tirith, conclusasi la Guerra dell’Anello, rac-
conta come fu che spedì i Nani alla celebre festa di
Saccoforino; dall’emergere, dal mare di Vinyamar, di
Ulmo Signore delle Acque; da Mablung del Doriath
nascosto “come un topo” sotto le rovine del ponte in
Nargothrond, o dalla morte di Isildur mentre cercava
di uscire dai fanghi dell’Anduin.
Molte parti di questa raccolta sono rielaborazioni
di vicende narrate in forma più concisa o per lo meno
accennate altrove, e va subito detto che in parte questo
libro sarà ritenuto scarsamente remunerativo da lettori
del Signore degli Anelli i quali, convinti che la struttura
storica della Terra di Mezzo sia un espediente e non
un fine, la modalità dell’esposizione e non il suo scopo,
sentono punto o poco il desiderio di un’ulteriore ricer-
ca fine a se stessa, né ambiscono sapere come fossero
organizzati i Cavalieri del Mark di Rohan, e vorrebbero
lasciare gli Uomini Selvaggi della Foresta di Drúadan
esattamente dove li hanno trovati. Di certo mio padre
non avrebbe dato loro torto. Scriveva, in una lettera

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del marzo 1955, prima della pubblicazione del terzo
volume del Signore degli Anelli:

Come vorrei non aver mai promesso le appendici!


Ritengo infatti che una loro pubblicazione in forma
incompleta e condensata non soddisferà nessuno: e
senza dubbio non me, e, come chiaramente risulta
dalle lettere (una massa impressionante) che ricevo,
neppure coloro che amano questo genere di cose, e
che sono straordinariamente numerosi; mentre coloro
che apprezzano il mio libro solo come “ciclo epico”
e che considerano “scorci inesplicati” parte integrante
dell’effetto letterario, trascureranno, assai appropria-
tamente, le appendici.
Per il momento non sono affatto sicuro che la tendenza
a trattare l’insieme come una sorta di grande gioco sia
davvero accettabile − di certo non per me che trovo il
genere fin troppo fatalmente affascinante. Suppongo
lo si debba alla singolare efficacia che ha una storia
quando si basi su meccanismi assai elaborati e parti-
colareggiati di carattere geografico, cronologico e lin-
guistico, che molti proclamerebbero mera “informa-
zione” o “erudizione”.

E in una lettera dell’anno successivo:

… mentre molti al pari di lei richiedono mappe, altri


desiderano indicazioni geologiche anziché geogra-
fiche; molti esigono grammatiche, fonologie e par-
ticolarità degli Elfi; certuni pretendono metrica e
prosodia… i musicisti vogliono conoscere melodie e
annotazioni musicali, gli archeologi ceramica e metal-
lurgia, i botanici più accurate descrizioni del mallorn,
di elanor, niphredil, alfirin, mallos e simbelmynë; gli
storici, più precisi elementi sulla struttura sociale e
politica di Gondor; e altri, più genericamente, infor-
mazioni sui Carrieri, su Harad, sull’origine dei Nani,

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sui Morti, sui Beorniani e sui due stregoni mancanti
(dei cinque).

Ma, quale che sia l’opinione in merito, per alcuni,


e io tra essi, c’è ben più che non la scoperta di par-
ticolari curiosi quando apprendiamo che Vëantur il
Númenóreano condusse la sua nave Entulessë, il “Ri-
torno”, ai Porti Grigi sui venti primaverili il seicente-
simo anno della Seconda Era, e il cenotafio di Elendil
l’Alto venne eretto da Isildur suo figlio in cima al Colle
Halifirien, che il Cavaliere Nero scorto dagli Hobbit
nella nebbiosa oscurità sull’altra riva del traghetto di
Buckburgo era Khamûl, capo degli Spettri dell’Anello
di Dol Guldur, o magari che la mancanza di figli di
Tarannon, da dodicesimo Re di Gondor (particolare
ricordato nell’Appendice al Signore degli Anelli), aveva
a che fare con i finora misteriosissimi gatti della Regina
Berúthiel.
L’organizzazione del volume è stata ardua, con la
conseguenza che esso appare alquanto complesso. I
racconti sono tutti “incompiuti”, ma in misura varia-
bile e nelle diverse accezioni del termine, e hanno ri-
chiesto interventi di carattere differente; più avanti, mi
soffermerò brevemente, volta a volta, su ciascuno di
essi, qui limitandomi a richiamare l’attenzione su alcu-
ni aspetti generali.
Quello di maggior momento è la questione della “co-
erenza”, che trova la migliore illustrazione nella parte
intitolata “La storia di Galadriel e Celeborn”. Si tratta
di un racconto “incompiuto” nel senso ampio del ter-
mine: non è una vicenda bruscamente interrotta, come
nel caso di ‘Tuor e il suo arrivo a Gondolin’, e neppu-
re una serie di frammenti, come in “Cirion ed Eorl”,
bensì una prima descrizione della Terra di Mezzo che
mai ha avuto un’elaborazione e tanto meno una stesura
definitive. L’inserimento dei racconti e abbozzi inediti
sull’argomento comporta fin dall’inizio l’accettazione

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della storia, non già come una realtà fissa, esistente di
per sé, che l’autore “riferisce” (nella sua maschera di
traduttore e redattore), bensì come un parto della sua
mente in continua crescita e cambiamento. Dacché
l’autore ha cessato di dare personalmente le sue opere
alle stampe dopo averle sottoposte alla propria attenta
critica comparativa, le notizie sulla Terra di Mezzo re-
peribili nei suoi scritti non pubblicati possono spesso
apparire in conflitto con quanto è già “noto”; e l’inseri-
mento di nuovi elementi preesistente in casi del genere
contribuisce, più che alla storia del mondo inventato in
quanto tale, alla storia della sua invenzione. Nel pre-
sente libro ho accettato a priori che così dovesse essere;
e, eccezion fatta per particolari di minor conto, come
a esempio divari nella nomenclatura (dove attenersi al
manoscritto avrebbe significato eccessiva confusione o
spiegazioni troppo prolisse), non ho apportato cambia-
menti in nome della coerenza con le opere pubblicate,
ma ho preferito richiamare l’attenzione su contraddi-
zioni e variazioni. Sotto questo profilo, dunque, Rac-
conti incompiuti differisce sostanzialmente dal Silmaril-
lion, dove l’obiettivo primario ancorché non esclusivo
del curatore consisteva nel pervenire a una coerenza
sia interna che esterna; e, eccezion fatta per pochi casi
specifici, in effetti mi sono valso del Silmarillion così
com’è stato pubblicato come di un punto di riferimen-
to fisso, della stessa valenza degli scritti pubblicati da
mio padre, indipendentemente dalle innumerevoli
scelte “spurie” tra varianti e versioni contrastanti che
ne hanno contrassegnato la compilazione.
Quanto a contenuto, il libro è da cima a fondo nar-
rativo (o descrittivo), nel senso che ho espunto tutti
gli scritti sulla Terra di Mezzo e su Aman di natura
principalmente filosofica o speculativa, e quando qua e
là emergessero aspetti del genere, li ho trascurati. Ho
dato all’opera una struttura semplice, di comodo, divi-
dendo i testi in parti corrispondenti alle prime Tre Ere

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del Mondo, con la conseguenza che inevitabilmente
alcune si embricano, come a esempio la leggenda di
Amroth e quanto se ne dice nella “Storia di Galadriel
e Celeborn”. La Parte Quarta è un’appendice, di cui
forse va giustificata la presenza in un libro intitolato
Racconti incompiuti, dal momento che si tratta di un
insieme di disquisizioni di carattere generale, con po-
che o punte caratteristiche di “narrazione”. Il perché
dell’inclusione del paragrafo sui Drúedain va infatti
ricercato nella vicenda della “Pietra Fedele” che ne
costituisce una piccola porzione; e a sua volta mi ha
indotto a inserire le sezioni sugli Istari e sui Palantíri,
dal momento che in merito a questi, e soprattutto al
primo, molti lettori hanno mostrato curiosità, e il pre-
sente volume mi è sembrato il luogo adatto a esporre
quanto v’è da dire in merito.
Le note possono sembrare a volte troppo punti-
gliose, ma come si vedrà laddove sono più abbondanti
(come nel “Disastro dei Campi Iridati”) le si deve, più
che al curatore, all’autore stesso, che nella sua tarda
opera mostrava la tendenza a lavorare a questo modo,
portando avanti contemporaneamente una serie di
soggetti mediante un intreccio di note. Ovunque ho
cercato di rendere evidente ciò che è dovuto al curato-
re e ciò che non lo è. E a causa della sovrabbondanza
di materiale originario che figura nelle note e nelle ap-
pendici, ho ritenuto che la cosa migliore da farsi fosse
di non limitare i richiami alle pagine nell’indice dei
nomi ai testi stessi, ma di farlo per tutte le parti del
libro a esclusione dell’Introduzione.
Ho sempre presunto, da parte del lettore, una discre-
ta conoscenza delle opere di mio padre già pubblicate
(segnatamente del Signore degli Anelli), perché com-
portarsi altrimenti avrebbe significato una vasta dila-
tazione dell’intervento curatorio, che del resto può ap-
parire già così più che sufficiente. Ho tuttavia aggiunto
brevi indicazioni a tutte le voci principali dell’Indice

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dei nomi, nella speranza così di risparmiare al lettore
continui rimandi. Laddove le mie spiegazioni risulti-
no insufficienti o involontariamente oscure, supplirà la
Complete Guide to Middle-Earth (Guida completa alla
Terra di Mezzo) di Robert Foster, alla quale ho fatto
frequente ricorso e che considero un’impareggiabile
opera di consultazione.
Le pagine del Silmarillion cui ci si riferisce sono
quelle dell’edizione integrale; nel caso del Signore degli
Anelli, sono indicati volume, libro e capitolo.
Seguono ora annotazioni, di carattere essenzialmen-
te bibliografico, sui singoli testi.

Parte prima

i.
Tuor e il suo arrivo a Gondolin

Mio padre ha affermato più volte che “La caduta di


Gondolin” era il primo dei racconti della Prima Era
che intendeva compilare, e non c’è nulla che smenti-
sca questa sua asserzione. In una lettera del 1964, egli
ricordava di averne compiuto la stesura di “‘getto’ nel
1917 durante un congedo per malattia mentre ero sotto
le armi”, e in altre occasioni ha indicato, come data di
stesura, il 1916 o il 1916-17. In una lettera a me indi-
rizzata nel 1944, diceva che “ho cominciato a scrivere
[Il Silmarillion] in baracche dell’esercito, sovraffollate,
piene del frastuono di grammofoni”; e in effetti al-
cuni versi in cui figurano i Sette Nomi di Gondolin
sono scribacchiati sul retro di un foglio riguardante la
“struttura gerarchica di un battaglione”. Il primissimo
manoscritto esiste tuttora, e consiste di due quadernet-
ti scolastici; è stato redatto in fretta, a matita, e le righe
appaiono successivamente in gran parte riscritte a pen-
na con ampie correzioni. Sulla base di questo testo, mia

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