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Lampiezza dorizzonte evocata dal titolo impone in primo luogo di delimitare in modo
rigoroso il campo di indagine: in questo lavoro si prenderanno pertanto in considerazione
solo le seguenti raccolte novellistiche, di cui si d, di seguito, ledizione di riferimento:
Novellino, in Novelle italiane. Il Duecento, il Trecento, a cura di L. Battaglia Ricci, Milano,
Garzanti, 1995 3, pp. 79-189; G. B OCCACCIO , Decameron, a cura di V. Branca, Torino,
Einaudi, 19997; SER GIOVANNI, Il Pecorone, a cura di E. Esposito, Ravenna, Longo, 1974; F.
SACCHETTI, Trecentonovelle, a cura di V. Marucci, Roma, Salerno, 1996; G. SERCAMBI,
Novelle, a cura di G. Sinicropi, Firenze, Le Lettere, 1995. Poich queste opere si presentano
molto ricche di dettagli gastronomici, non sar possibile offrirne in questa sede una rassegna
esaustiva: pertanto si esamineranno solo i casi pi significativi ai fini di questa analisi, allo
scopo di esemplificare un metodo di lettura e di lavoro. Dato il taglio specifico della ricerca,
inoltre, ci si occuper qui delle sole vivande a base di animali, tralasciando le altre, sebbene
la loro presenza sia molto rilevante in questi testi; si esamineranno altres solo le vivande preparate con le carni degli animali e non i loro prodotti (uova, formaggio ecc.), che meriterebbero un discorso a parte.
In questo lavoro riprendo e rielaboro alcuni concetti espressi in Anguille, capponi, gru e
galline: gli animali come vivanda nelle novelle medievali, in corso di stampa presso
Italianistica.
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1) riferimenti che riguardano la diffusione della vivanda, le sue caratteristiche, le modalit di preparazione e i luoghi di vendita;
2) allusioni ai significati simbolici sottesi al consumo della vivanda;
3) rilevanza narrativa della vivanda, che diviene il perno centrale attorno a
cui ruota la novella.
Fin dallinizio, il lettore viene coinvolto dallatmosfera gastronomica della
storia: dopo aver immediatamente istituito il parallelismo tra la cattura dellanguilla e la cattura del gentiluomo, motivo portante della vicenda, lautore
introduce il personaggio, il cui nome, Minestra, gi evocativo, presentandolo come uomo grosso e con corto vedere, [] molto goloso (3). Segue unaccurata descrizione dellanguilla che i messi prendono da un pescatore: una
anguilla viva di circa due libbre, che ripongono in uno orciuolo dacqua (5).
Si noti lattenzione prestata a due dettagli molto precisi, ovvero il peso del
pesce che doveva certo far ricordare ad un lettore medievale esperienze direttamente vissute di vita quotidiana e le modalit di trasporto.
Sebbene il pesce fosse uno degli alimenti pi richiesti e consumati nel
medioevo, soprattutto nei periodi di magro, quando era bandito luso della carne
e delle uova, le difficolt di trasporto di questo animale facevano s che le
variet impiegate non fossero numerose: languilla, tuttavia, per la sua capacit
di sopravvivenza allinterno di ceste piene derbe 2 per parecchi giorni, riusciva
ad essere trasportata pure nelle zone pi lontane dalle coste e dai laghi 3; anche
per questo motivo, dunque, doveva essere tra i pesci pi consumati sulle tavole
medievali, con la lampreda e la tinca4.
Lannotazione successiva presenta un altro riferimento puntuale: la cattura
dellanguilla risulta infatti molto difficoltosa per la fante di Minestra, a causa
della scivolosit dellanimale, dettaglio confermato dallesperienza quotidiana.
2
Questi pesci erano abituati ad essere conservati in peschiere per molto tempo e potevano essere trasportati, vivi, anche per lunghi tratti. Cfr., ad esempio, quanto dice a questo proposito Salimbene de Adam, che parla appunto delle peschiere (SALIMBENE DE ADAM, Cronica
fratis Salimbene de Adam ordinisi minorum, Hannover et Lipsia, ed. O. Holder-Egger, 19051913, p. 586). La cronaca di Salimbene daltra parte un altro testo molto ricco di dettagli
gastronomici, come documenta L. MESSEDAGLIA, Leggendo la Cronica di frate Salimbene
da Parma, in Atti dellIstituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, CIII, 2, 1943-44, pp. 351426. Il particolare delle ceste piene derba confermato, oltre che dalle fonti storiche, anche
dai motivi iconografici: si pensi, ad esempio, alle immagini che corredano il Tacuinum sanitatis. Per ammirare le miniature del Tacuinum sanitatis a cui si fa talvolta riferimento nel
corso del lavoro si pu consultare: L. COGLIATI ARANO, Tacuinum sanitatis, Milano, Electa,
1979.
3
Cfr. R. VANNINI, S. STEFANINI e R. CIANCOLINI, Notae De Coquina, Prato, Horus, 2001,
p. 99.
4
Cfr. G. REBORA, La cucina medievale, Genova, Universit Dipartimento di storia moderna e contemporanea, 1996, pp. 85 ss.
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Alla notizia, Minestra dapprima non crede alle parole della donna, affermando
che deve essersi trattato di una serpe e non di unanguilla5, ma poi attirato
dalla possibilit che sia davvero quel pesce e decide di catturarlo con un bucinetto che avea in casa da pigliare passere alle buche (9).
Anche lo scambio di battute tra Minestra e il messo a sfondo culinario:
Padella!, afferma Minestra, subito smentito dalla comparsa di Mazzone, il
quale, afferrandolo, ordina: Tu non la mangerai sanza me: alla cattura dellanguilla pare dunque corrispondere, metaforicamente, la cattura di Minestra.
Disseminate nel testo si trovano ancora allusioni al pesce (e cos gli cost
cara languilla), che diviene lo spunto per concludere la novella, proponendo
una lunga riflessione sui metodi utilizzati dal demonio per catturare le anime
servendosi della gola, ed usando in particolare anguille e lamprede 6: non un
caso che questi due pesci, come detto, i pi desiderati7, siano qui citati in coppia.
Non sembra casuale neppure il fatto che sia languilla ad offrire loccasione
per riflettere sul demonio, se vero che questo pesce era molto legato alla satira
anticlericale, che associava le grasse anguille alle facce rubiconde dei monaci e
dei canonici8, tanto che la ricetta degli Spiedini danguilla alla san Vincenzo
pare trarre origine da una storia narrata dal Sermini, autore qui escluso dallanalisi, il quale descrive appunto la voracit di un curato, ser Meoccio, nei confronti di una grossa anguilla9; non sappiamo se questa storia gi circolasse nel
secolo precedente, che qui si sta esaminando, ma il fatto suona comunque a conferma del collegamento tra questo pesce 10 e il clero.
Il rapporto tra il pesce e la cultura religiosa risulta tuttavia ambiguo: fin dalle
origini la civilt monastica aveva opposto alla cultura della carne tipica della
societ pagana e guerriera quella del pesce, simbolo di astinenza e morigeratezza11, ma era talvolta difficile considerare lutilizzo di questo alimento come
5
Poich i due animali hanno un aspetto simile: dettaglio non insignificante dal punto di
vista simbolico, ma di questo pi avanti.
6
Lautore cita lesempio di un certo Nozzino Raugi, il quale invent una nuova vivanda,
una lampreda avvolta intorno al cappone, chiamandola baccalare cinghiato, ma poi mor
nella miseria; anche in altri contesti Sacchetti propone un nome inventato per una vivanda:
della gattaconiglio e dei topistornelli si parler pi avanti.
7
Cfr. REBORA, La cucina medievale, cit., p. 85.
8
Cfr. O. REDON, F. SABBAN e S. SERVENTI, A tavola nel Medioevo, Roma-Bari, Laterza,
2001, p. 15.
9
Ibidem, pp. 156-158.
10
La forma simile a quella di un serpente, inoltre, pare suggerire la blasfema ipotesi di
un peccato ideale per la Quaresima, periodo di magro (ibidem, p. 194).
11
Anche la tradizione iconografica lo conferma: si pensi allInferno di Taddeo di Bartolo
(cattedrale di san Gimignano), che rappresenta i golosi di fronte ad una tavola su cui si vede
del pane, del vino, e, al centro, un animale simile ad un cappone.
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Chiesa ed osservando lalternanza dei periodi di magro e grasso, lungi dal vedere nel pesce un simbolo religioso, i personaggi delle novelle ne considerano,
molto pi semplicemente, la prelibatezza e il sapore; spetta allautore il compito
di intervenire e trarre spunto da questi dettagli per riflettere sugli ulteriori significati morali del testo.
Una semplice novella, allora, offre contemporaneamente informazioni concrete circa limpiego di alcune vivande nella gastronomia medievale e allusioni
simboliche che rimandano ad unaltra e pi alta sfera di conoscenza, oltre ad
utilizzare il tema del cibo come fulcro narrativo del testo.
Procederemo pertanto lungo questi tre binari: da un lato esamineremo le
novelle interrogandole sui dati storici, sociali, geografici ed economici; dallaltro proveremo a verificare in quale misura lutilizzo di certe vivande sia connesso con precisi significati morali e simbolici, per interrogarci, infine, sulla rilevanza narrativa assunta dal cibo nelleconomia della novella.
Come sar evidente proseguendo nella disamina delle novelle, la suddivisione tematica in tre percorsi ha soltanto lo scopo di agevolare lanalisi, nella consapevolezza che riferimenti quotidiani, istanze simboliche ed esigenze narrative
costantemente si amalgamano nel testo, rendendo impossibile, oltre che metodologicamente scorretta, una catalogazione rigida delle novelle nelle tre categorie individuate: lappartenenza della novella ad una di esse, dunque, sta solo ad
indicare che in quella novella parso pi significativo evidenziare uno dei tre
aspetti sopra citati.
Gli animali come vivanda: ricette, luoghi di vendita e altri dettagli
Le novelle offrono in primo luogo una precisa testimonianza sui piatti diffusi
nelle cucine medievali.
Oche ripiene di allodole e altri uccelletti grassi (Trecentonovelle, CLXXXVI
2)17, carne dagnello (Novelle, LXXXXVII 17), crostata di anguilla (Novellino,
XCII), capponi e quaglie arrosto (Pecorone, II 2 288), spiedo di capponi e starne (Trecentonovelle, XXXIV 6) e tante altre vivande 18: una veloce ricognizione
17
Una riflessione sui temi gastronomici del Trecentonovelle, con una scelta antologica, si
trova in F. SACCHETTI, Tables florentines: ecrire et manger avec Franco Sacchetti, traduction
et presentation sous la direction de J. Brunet et O. Redon, Paris, Stock, 1984.
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molto difficile proporre una panoramica completa degli studi sulla cucina medievale,
tema che continua a suscitare linteresse di critici e di letterati, nonch di cuochi e di gastronomi. Si fornir pertanto solo lelenco dei testi consultati per questa ricerca: MAESTRO
MARTINO, Libro de arte coquinaria, a cura di L. Ballerini e J. Parzen, Milano, Guido
Tommasi Editore, 2001; REBORA, La cucina medievale, cit.; REDON, SABBAN e SERVENTI, A
tavola nel Medioevo, cit.; VANNINI, STEFANINI e CIANCOLINI, Notae De Coquina, cit. Di recen-
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Lattenzione allolfatto compare anche altrove nella raccolta: in LXXX messere Migliore Abati sostiene che i profumi dellambra e dellaloe fanno perdere il buon odore naturale, perch la femina non vale neente se di lei no viene come di luccio passetto, cio di luccio un po stantio.
25
Si noti che qui languilla compare con un altro dei pesci pi diffusi, la tinca.
26
Cfr. REDON, SABBAN e SERVENTI, A tavola nel Medioevo, cit., p. 27; M. T. CACIORGNA,
Il lago di Perugia, in Medioevo, 9 (32), settembre 1999, p. 85 e J.C. MAIRE-VIGUEUR,
Pesca regolamentata, in Medioevo, 9 (44), settembre 2000, p. 59.
27
Per la Commedia si fa riferimento al testo critico stabilito da G. Petrocchi nelledizione
a sua cura, Milano, Mondadori, 1966-1967.
28
Cfr. SIMONE DE PRODENZANI, Sollazzo e Saporetto, a cura di L. Reale, Perugia, Fabbri,
1998.
29
In questo contesto Torello sembra utilizzare la tecnica delluccisione con colpo al
cuore, documentata anche dai motivi scolpiti, ad esempio, sullarchivolto del portale maggiore di s. Marco a Venezia: cfr. Porci e porcari nel Medioevo. Paesaggio economia alimentazione, a cura di M. Baruzzi e M. Montanari, Bologna, 1981, p. 45.
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che lanimale cominci a gridare e laltro porco accorra in suo aiuto, creando un
tafferuglio. Ironica la conclusione dellautore, che non risparmia dettagli economici: Or questo risparmio fece questo valente uomo che porci valeano
forse dieci fiorini 30 ed egli ne spese poi forse altre tanti [] (14-15). In appendice alla novella Sacchetti narra quanto accaduto ad un altro giovane, il quale fu ferito da un porco che tentava di uccidere e che gli mise a soqquadro la cucina.
La cattura degli animali destinati alla cucina non doveva dunque essere agevole, soprattutto nel caso di bestie cos irrequiete.
Tenere i porci in citt poteva causare qualche problema: in alcuni casi non
era proibito lasciarli per le vie, purch avessero un anello al naso che consentisse di tenerli a bada, in altri era permesso percorrere con essi solo le strade che
portavano al mercato. Con lo statuto del podest del 1325 si impose a Firenze il
divieto di lasciare oche, maialini e porci per le strade, per motivi di decoro e di
sicurezza31; lo stesso provvedimento era stato adottato dal comune di Bologna,
con alcune variazioni, nel 1288 32. In altri contesti, invece, i porci avevano la
funzione, per cos dire, di spazzini, ed erano adibiti alla pulizia delle strade,
di cui raccoglievano, mangiandoli, i rifiuti33.
Nella novella CX un gottoso vorrebbe uccidere uno dei porci di s. Antonio34,
ma gli animali si ribellano e lo riducono in fin di vita; nella novella CII un beccaio compra un porco di quattrocento libbre 35: una mattina, dopo averlo ucciso,
abruciato e concio, lo vorrebbe appiccare alla caviglia e levarlo da terra
(4) 36, ma ci riesce solo con laiuto di alcuni giovani ai quali promette i migliacci
del porco.
Questa novella, oltre a soffermarsi su un aspetto che riguarda la conservazione del porco, ci offre un altro dettaglio gastronomico, ovvero la possibilit di
ricavare da questo animale i migliacci, dolci a base di sangue di maiale 37. Con il
30
utile sottolineare lattenzione prestata al valore economico dellanimale, dettaglio
che torna, come si vedr pi avanti, anche in altri contesti.
31
Cfr. F. BOCCHI, Porci con gli anelli, in Medioevo, 5 (16), maggio 1998, p. 74.
32
Cfr. Porci e porcari, cit., p. 70.
33
Cfr. A. e C. FRUGONI, Storia di un giorno in una citt medievale, Roma-Bari, Laterza,
1997, pp. 68-73.
34
Come la tradizione iconografica conferma, infatti, questo animale legato al santo
sulla base di varie leggende: cfr. F. ROSSETTI, Animali che vissero con i santi, Assisi, La
Porziuncola, 1995, pp. 15-18 e Porci e porcari, cit., pp. 64-65. Famosa poi la testimonianza
dantesca: cfr. Paradiso XXIX 122: Di questo ingrassa il porco santAntonio.
35
Si noti, come gi accaduto per la vicenda dellanguilla, lattenzione al peso dellanimale.
36
Questo modo di appendere i porci documentato anche dalle miniature presenti nel
Tacuinum e nei calendari.
37
Sulla tecnica di raccolta del sangue cfr. Porci e porcari, cit., pp. 47-48.
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sangue del porco, amalgamato alla farina, si cucinavano anche alcune torte,
oppure lo si mescolava a miele o grasselli e frattaglie per preparare particolari
insaccati 38: di questo animale, infatti, si usavano tutte le parti, come si impara,
ad esempio, dalla lettura del Testamentum porcelli, opera della tarda antichit
tramandata per tutto il medioevo, nella quale un porco spartisce le parti del suo
corpo lasciandole a diverse categorie sociali; anche in una novella di Sacchetti
apprendiamo che Giotto giustifica un porco di s. Antonio che lo ha fatto cadere
sostenendo che lanimale ha ragione, in quanto egli non gli ha mai dato una scodella di brodo, pur avendo guadagnato molti denari grazie alle sue setole
(LXXV)39.
Dal maiale si ottenevano pure il lardo e lo strutto, ampiamente utilizzati in
varie ricette: lallevamento suino era daltra parte diffusissimo in molte zone, e
famosa era la figura del porcaro, che godeva di una particolare stima professionale40; nei grandi monasteri benedettini altomedievali esisteva il lardarium,
locale destinato alla preparazione e alla conservazione dei grassi animali e del
lardo, frequentemente impiegato come fondo di cottura delle carni41.
Una volta catturato, lanimale doveva essere conservato in condizioni adeguate; se si osservano le miniature riportate nei calendari dellepoca si nota che
la scena pi di frequente utilizzata per la pagina del mese di dicembre quella
che vede un uomo impegnato nella preparazione del porco.
La conservazione veniva in genere effettuata con lausilio del sale42; si doveva ovviamente prestare attenzione a questa fase, per evitare inconvenienti simili
a quello che accade al protagonista della novella CCXIV del Trecentonovelle, il
quale guasta i porci e la ronzina che li trasporta.
Chi riusciva ad eseguire una corretta conservazione dellanimale poteva procedere alla vendita. Questo dettaglio riportato da numerose novelle, che testimoniano come gli animali fossero oggetti di commercio: in Novelle, XXXVIII
Daniello compra una coda di castrone; Cilastro decide invece di uccidere il frate
che gli ha sottratto gli unici quattro porci che ha salato quellanno e che egli
deve vendere (LXXXXV). Alcuni malintenzionati derubano Giannozzo dei
38
Cfr. MONTANARI, Gli animali e lalimentazione umana, cit., pp. 627 ss.; A. BARLUCCHI,
Divin porcello, in Medioevo, 3 (26), marzo 1999, p. 78.
39
Una vescica di maiale pu inoltre diventare un giocattolo con cui un bambino si diverte, come ci mostra una miniatura dal Breviarium di Ercole dEste: Modena, Biblioteca
Estense, ms. V. G. 11 = lat. 424, f. 6v. Cfr. A. e C. FRUGONI, Storia di un giorno in una citt
medievale, cit., p. 133.
40
Cfr. Porci e porcari, cit., pp. 31-32; MONTANARI, Gli animali e lalimentazione umana,
cit., p. 623.
41
Cfr. A. BARLUCCHI, Grasso che cola, in Medioevo, 3, aprile 1997, pp. 66-69.
42
Cfr. VANNINI, STEFANINI e CIANCOLINI, Notae De Coquina, cit., pp. 211 ss.; Cfr. Porci e
porcari, cit., pp. 57-58.
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98
Carnevale, o, pi genericamente, festa. interessante notare che una delle interpretazioni etimologiche del termine deriva da carne, vale, quale addio alla carne, imposto
appunto dalla Chiesa per il periodo successivo, quello della Quaresima: cfr. G. CIAPPELLI, Si
sazi chi pu, in Medioevo, 3 (14), marzo 1998, pp. 14-20.
49
Cfr. VANNINI, STEFANINI e CIANCOLINI, Notae De Coquina, cit., p. 92.
50
Ibidem, pp. 68 ss.
51
Cfr. P. GALLONI, Storia e cultura della caccia, Roma-Bari, Laterza, 2000, cap. III; A.
CORTONESI, Riserva di caccia, in Medioevo, 2 (13), febbraio 1998, pp. 72-80; MONTANARI,
Lalimentazione contadina, cit., pp. 261 ss., dove si leggono interessanti riflessioni sulle
distinzioni sociali, qualitative e quantitative, che caratterizzano i cibi nel medioevo.
52
Si noti il ritornare di particolari su cui ci siamo gi soffermati: lindicazione topografica che indica il luogo in cui si vende il pesce e la precisazione sul fatto che ci si trovi in
periodo di quaresima.
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che effettivamente si offrono, ovvero cece, sorra e pesce dArno. Tutta la beffa
si gioca pertanto sui particolari culinari, elencati con precisione: non a caso, le
lamprede e lo storione dovrebbero essere destinati a certi gentili uomini (7).
Le fonti storiche confermano che un posto particolare tra le specie ittiche pi
apprezzate era quello occupato dallo storione, spesso oggetto di doni preziosi:
ad esempio, labate di s. Giustina, a Padova, nel 1239 aveva fatto portare da
Ferrara degli storioni di grandi dimensioni per offrirli allimperatore Federico
II; i Commentarii di Pio II, della seconda met del XV secolo, ricordano invece
lofferta di sette storioni al pontefice mentre si trovava a Ostia53.
I personaggi delle novelle paiono dunque consapevoli del valore dei cibi,
come dimostra Noddo dAndrea (Trecentonovelle, CXXIV), goloso che ben
conosce la differenza tra un busecchio pieno di non so che (2) e larista e il
lombo 54.
La novella si presenta ricca di altri riferimenti, quale, ad esempio, lentrata
sulla scena della figura del fornaio. Nel medioevo, poich il pane si preparava in
casa, il fornaio era colui che materialmente cuoceva la pasta fatta dalle donne,
che gli lasciavano una parte del prodotto per venderlo: il forno era allora uno
dei poli della citt medievale, come documentano le miniature del Tacuinum
sanitatis che descrivono le fasi di cottura e vendita del pane. il fornaio fiorentino Cisti, protagonista di una novella del Decameron (VI 2), a far risaltare una
sagacia che doveva appartenere anche ad altri esponenti della categoria: numerose sono le notizie sui tentativi di truffa operate dai fornai, i quali talvolta
aggiungevano acqua al pane per farlo sembrare pi pesante, o mischiavano la
farina con altre sostanze, non del tutto innocue 55.
Anche se la successione delle portate negli usi medievali era diversa da quella di oggi 56, pare opportuno concludere questa breve rassegna culinaria con un
dolce preparato, seppure solo in apparenza, con gli animali.
In Decameron, VIII 10 24 si afferma che Salabaetto, entrando nella camera,
sente odore di legno alo e di uccelletti cipriani. Questa espressione stata
variamente decodificata57, ma si riporta qui, com ovvio, linterpretazione pi
53
Cfr. M. T. CACIORGNA, Sulla mensa del Papa, in Medioevo, 9 (32), settembre 1999,
p. 83.
54
Queste due pietanze erano tra le ricette preferite, come sottolineano i trattati di cucina
e le ricette: cfr. VANNINI, STEFANINI e CIANCOLINI, Notae De Coquina, cit., p. 77.
55
Cfr. A. BARLUCCHI, Dacci il nostro pane quotidiano, in Medioevo, 8, settembre
1997, pp. 81-83.
56
Cfr. REDON, SABBAN e SERVENTI, A tavola nel Medioevo, cit., pp. 17-19.
57
Cfr. M. WIS, Uccelletti cipriani, in Neuphilologische Mitteilungen, LVIII, 1957, pp.
6-13; G. VIDOSSI G. BARBERI SQUAROTTI, Uccelletti cipriani (Decameron, gior.VIII, nov.
X), in Giornale storico della letteratura italiana, CXXXV, 1958, pp. 363-369; R. CESERANI,
Ancora sugli uccelletti cipriani, in Giornale storico della letteratura italiana, CXXXIX,
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1962, pp. 478-479; G. BARBERI SQUAROTTI, Ancora sugli uccelletti cipriani, in Giornale storico della letteratura italiana, CXL, 1963, pp. 308-309.
58
Cfr. M. PASTORE STOCCHI, Note e chiose interpretative, in Studi sul Boccaccio, II,
1964: 2. Uccelletti cipriani, pp. 239-244.
59
Cfr. MAESTRO MARTINO, Libro de arte coquinaria, cit., p. 72.
60
Cfr. REDON, SABBAN e SERVENTI, A tavola nel Medioevo, cit., p. 37.
61
Ibidem, p. 13.
62
[] che sia ben pasciuto e allevato in campagna. Cfr. VANNINI , S TEFANINI e
CIANCOLINI, Notae De Coquina, cit., p. 43.
63
Al grasso si attribuisce un valore positivo nella cultura medievale: non un caso allora che questo sia uno degli aggettivi pi frequenti che accompagnano questi piatti, a indicarne la squisitezza e la gustosit.
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significativo notare il contrasto tra questi cibi succulenti e il poco di carne salata
(12) preparata dalla donna per il marito.
70
Si noti come anche in questo caso il marito si serva del diverso grado di prelibatezza
delle vivande per evidenziare la disparit nel trattamento che la moglie riserva a lui e allamante: vd. nota precedente.
71
P. BRACCIOLINI, Facezie, introduzione, traduzione e note a cura di M. Ciccuto, Milano,
Rizzoli, 1994, pp. 142-145.
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Non sempre nel testo si precisa la modalit di cottura dellanimale: apprendiamo comunque che esso poteva essere preparato lesso (Trecentonovelle, XLI,
CXII; Novelle, LXXXVII), arrosto (Pecorone, II 2; Novelle, LXXXVII), in
spiedini con le starne (Trecentonovelle, XXXIV), o accompagnato da lasagne
(Trecentonovelle, XLI; Novelle, LX). Il tipo di cottura non era tuttavia ininfluente: la carne arrosto era preferita alle altre, non solo per ragioni di gusto, ma
anche per motivi simbolici, essendo emblema di forza e di legame con il mondo
della foresta e con lattivit della caccia, oltre che per ragioni mediche, tanto da
essere consigliata dal Tacuinum sanitatis per compensare leccesso di umori
freddi e umidi; ad essa si contrapponeva la carne lessa, cotta in maniera pi
dolce e domestica, nelle grandi pentole che lo stesso Tacuinum illustra72.
Che il cappone fosse un cibo succulento e prelibato73 confermato dalle
affermazioni di molti personaggi, i quali, per suscitare linvidia dei loro interlocutori, asseriscono di averne fatto grandi mangiate: Bucciolo, ad esempio, riferisce al maestro che la sera precedente ha cenato con la moglie del maestro mangiando un grosso e grasso cappone, accompagnato da vini (Pecorone, I 2
253); anche Acciaiuolo confida a Buondelmonte di aver mangiato capponi e
quaglie arrosto per cena, bevendo del buon vino (Pecorone, II 2). Daltra parte,
per rendere pi accattivante il suo racconto, Maso inserisce questo dettaglio,
affermando che nella contrada Bengodi, sopra una montagna, tutti cuociono i
maccheroni e ravioli [] in brodo di capponi (Decameron, VIII 3 9)74.
Una vivanda cos prelibata, ricercata da tutti, poteva essere oggetto di furto,
come avviene allo sfortunato Calandrino (Decameron, VIII 7), che la sceglie an-
72
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che come pegno di una scommessa (Novelle, LII); altre volte questo animale era
regalato come segno di riconoscenza o come mezzo per poter ottenere favori e
amicizia: cos lo stesso Calandrino, per non partorire, costretto a procurare denari e capponi al medico (Decameron, IX 3), mentre il medico offre vini e capponi a Bruno e Buffalmacco in cambio della loro amicizia (Decameron, VIII 9).
Salito a cavallo, Dolcibene vi trova due capponi appesi, in segno di ringraziamento (Trecentonovelle, CLVI), mentre il maestro Gabbadeo, pur avendone
chiesti due al contadino come ricompensa, riceve un paio di paperi (Trecentonovelle, CLXVIII).
La preparazione del cappone poteva richiedere una trafila lunga, come racconta Sacchetti nella novella del cappone tagliato per gramatica (CXXIII),
episodio presente, seppure con alcune differenze stilistico-narrative, nelle
Sposizioni (XXVI): al figlio di Vitale, che studia legge, viene chiesto di tagliare
un cappone per gramatica; il giovane suddivide allora lanimale in modo da
averne la parte centrale, quella pi consistente, e assegna le parti pi misere dellanimale agli altri componenti della famiglia sulla base di motivazioni serie
solo in apparenza.
In questo contesto sembra quasi di essere di fronte ad una riproposizione in
chiave ovviamente parodica del motivo rituale del sezionamento e spartizione
della carne, molto diffuso nellattivit venatoria75: anche nel nostro caso lassegnazione delle parti dellanimale avviene secondo motivazioni simboliche, ma
latmosfera di certo concreta e comica, cos come le spiegazioni addotte dal
giovane sono funzionali ad uno scopo pratico, quello di ottenere la parte migliore del cappone. La storia dimostra dunque che anche il metodo di tagliare la
vivanda poteva essere determinante, soprattutto se si voleva godere delle parti
pi gustose dellanimale, a prescindere dalla eventuali annotazioni simboliche,
serie o facete, sottese alla spartizione.
La novella I 5 del Decameron racconta della marchesana di Monferrato che
prepara un convito tutto a base di galline per il re di Francia, suo pretendente. Il
re, stupito, chiede alla marchesana se in quel paese nascano solo galline, senza
alcun gallo; la donna prontamente risponde di no, ma che le femine, quantunque in vestimenti e in onori alquanto dallaltre variino, tutte per ci son fatte qui
come altrove (15), riuscendo cos, con una battuta, a respingere le profferte
amorose del re76.
Anche in questo contesto il cibo assume un ruolo cardine: da un lato, lautore sottolinea un aspetto verosimile, tratto dalla vita quotidiana, stante la diffu-
75
Cfr. GALLONI, Storia e cultura della caccia, cit., pp. 127 ss.
Ben illustrano questa scena culinaria le miniature che corredano i manoscritti: cfr., ad
esempio, E. KNIG, Boccaccio Decameron: Alle 100 Miniaturen der ersten Bilderhandscrift, Stuttgart Zrich, Belser, 1989, p. 50.
76
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77
Cfr. APICIO, Larte della cucina, cit., pp. 84-87; F. MASPERO, Bestiario antico, Casale
Monferrato, Piemme, 1997, p. 161; MAESTRO MARTINO, Libro de arte coquinaria, cit., pp.
120, 124, 131.
78
Cfr. W. HENSEL, Die Vgel in der provenzalischen und nordfranzsischen Lyrik des
Mittelalters, in Romanische Forschungen, XXVI, 1909, pp. 584-670, a p. 654.
79
Cfr. COTTINO-JONES, Boccaccio e la scienza, cit., pp. 363-365.
80
Cfr. La vita di frate Ginepro, in I fioretti di san Francesco, a cura di G. Davico Bonino,
Torino, Einaudi, 1974, p. 296.
81
Nel Novellino presente lo stesso racconto (LXXV), ma al posto della gru si trova un
capretto arrosto.
82
Cfr. Bestiari medievali, a cura di L. Morini, Torino, Einaudi, 1996, p. 457. Il falcone
che cattura la gru un falcone gi cresciuto ed esperto.
83
Cfr. GALLONI, Storia e cultura della caccia, cit., pp. 119 ss.
106
ta84; la modalit di cottura trova infatti il suo riscontro in numerosi libri di cucina, fin dallantichit85. Il particolare riportato dunque molto preciso86.
Si noti poi lattenzione allaspetto sensoriale, olfattivo della cottura: dalla
gru proviene infatti un grandissimo odor (7), ed proprio questo profumo che
attira Brunetta.
Il Tacuinum sanitatis riporta inoltre che le carni delle gru si possono mangiare ogni tanto, per soddisfare un desiderio, poich hanno carne nere e generano un umore melanconico87, ed quanto accade a Brunetta, donna capricciosa
che costringe Chichibo, con le minacce, ad esaudire la sua richiesta88.
Ingerire un cibo al posto di un altro, tuttavia, non aveva solo conseguenze e
ripercussioni sociali, ma poteva anche nuocere alla salute, o determinare una
certa caratteristica fisica: il Regimen sanitatis, ad esempio, ben attento a indicare quali cibi siano vietati in presenza di alcune malattie.
Nella novella II del Novelliere di Sercambi Arduigi afferma che la carne data
loro dal Cal fu allevata a latte di cagna, della quale nessuno mai sazio: nel
Regimen sanitatis, dove pure si trova una ricca rassegna di tipi di latte, il latte di
cagna pare assente 89; a prescindere dalla scientificit delle notizie, interessante
qui sottolineare come si attribuiscano ad un certo cibo determinate qualit.
Nel Novellino (III), un savio greco afferma che il cavallo che il re gli ha fatto
esaminare stato nutrito con latte dasina, poich lanimale tiene le orecchie
basse, contrariamente alla sua natura90. Sul latte dasina i trattati medici si dilungano, sottolineando come questo tipo di latte sia il pi digeribile ma anche il pi
nutriente 91. curioso notare che in questo caso lautore della novella si discosta
dalle propriet scientifiche attribuite allalimento, per proporre uninterpretazione che sia funzionale alla dimostrazione della saggezza e dellintuito del savio.
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Se si osservano i calmieri dei prezzi in vigore in molti centri cittadini dal XV secolo si
nota come queste carni fossero le pi costose: da questa novella del Pecorone apprendiamo
allora un altro dettaglio, forse pi utile agli storici delleconomia che ai letterati, ma sicuramente indicativo del metodo di lavoro dei novellieri, che fondono nel loro testo notizie e dati
provenienti da mondi diversi: il costo della vitella, un fiorino a libbra, prezzo giudicato eccessivo da tutti i mercanti; oltre alle difficolt di reperimento di certi tipi di carne, infatti, uno
degli ostacoli che gli acquirenti dovevano affrontare era il prezzo: cfr. S. COCCIA, Laffare
della carne, in Medioevo, 1, febbraio 1997, pp. 72-75.
93
Cfr. REDON, SABBAN e SERVENTI, A tavola nel Medioevo, cit., p. 14; Regimen sanitatis,
cit., pp. 110-111; COGLIATI ARANO, Tacuinum sanitatis, cit., p. 101.
108
della Tosa, il quale tenea Santo Stefano in Pane 94 (2), con la promessa di
cibarsi di un coniglio in crosta, probabilmente corrispondente alla ricetta che va
sotto il nome di pasticcio di coniglio, che prevede che lanimale sia involto in
una crosta di pasta soda e cos cotto 95. In realt, sotto la crosta, c una gatta:
quando Dolcibene se ne accorge decide di vendicarsi, preparando a chi lo ha
beffato una cena a base di topi96.
interessante soffermarsi sui dettagli culinari della novella. I cibi qui presentati sono tutti in crosta, secondo unabitudine molto diffusa; a volte la degustazione di questi piatti poteva riservare delle sorprese, esattamente come avviene nella nostra novella, in quanto la crosta poteva nascondere anche animali
interi o pezzi sani: pasticci di coniglio, di capretto, di vitello o pesci in crosta
dovevano comunque comparire spesso sulle tavole 97. Apprezzato doveva essere
anche il pasticcio di piccioni 98, cos come lusanza di cucinare i pollastri in crosta99, dato su cui il piovano si informa e presente nella gi citata novella di
Sercambi, la XV.
Una precisa consapevolezza delle caratteristiche dei volatili commestibili
consente invece a Turello di beffare la fante (Novelle, LXXV)100.
Come gi detto a proposito del Novellino (XCII), nelle novelle si presta
attenzione anche alle stimolazioni sensoriali olfattive provocate dalle vivande:
nella novella CXXX del Trecentonovelle Berto Folchi decide di cuocere quattro
bellissimi tordi sugli spiedini 101; improvvisamente aggredito da una gatta102 e
se ne libera solo inebriandola con il profumo dei tordi.
94
Sar certamente un caso, ma anche nel nome della chiesa ritorna un elemento di cucina, il pane.
95
Cfr. REDON, SABBAN e SERVENTI, A tavola nel Medioevo, cit., pp. 186-187.
96
Si noti laccurata descrizione della preparazione delle vivande: [] tolse due pippioni e otto sorgi, i quali aconci per fare una crosta, levando i capi e le gambe e piedi e le code,
ar<rocchi>andogli per mezzo, s che nella crosta pareano propri stornelli; e mescol due pippioni a quarti tra essi e della carne insalata e fece fare la crosta (9). A proposito dei piccioni,
Maestro Martino propone una simpatica ricetta: Piccione, come farne uno che paia due:
MAESTRO MARTINO, Libro de arte coquinaria, cit., p. 21.
97
Cfr. REDON, SABBAN e SERVENTI, A tavola nel Medioevo, cit., pp. 175 ss.
98
Cfr. VANNINI, STEFANINI e CIANCOLINI, Notae De Coquina, cit., p. 62.
99
Ibidem, p. 72; REDON, SABBAN e SERVENTI, A tavola nel Medioevo, cit., pp. 147-148;
MAESTRO MARTINO, Libro de arte coquinaria, cit., p. 8.
100
Questa novella testimonia, come gi quella di Noddo (CXXIV), un uso dellepoca, quello
di inviare ad un forno, da cuocere, alcune vivande abbondanti o particolari: in questo caso Turello,
pur di non lasciare nulla alla fante, se ne servir anche per preparare un semplice pollastro.
101
Limpiego degli spiedini doveva essere diffuso: si pensi ai famosi spiedini di anguille
alla san Vincenzo, di cui si gi parlato, o agli spiedini di capponi e starne che cuoce la fante
in Trecentonovelle, XXXIV.
102
Daltra parte la gatta era un animale che liberamente circolava per le case medievali,
nelle quali poteva assistere alla preparazione dei cibi e alla loro cottura, magari accontentan-
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dosi delle briciole: il pittore Stefano di Antonio (1407-1438), ad esempio, inserisce nella sua
Ultima cena alcuni gatti che assistono e si nutrono dei bocconi sparsi sul pavimento (Cercina,
Firenze, SantAndrea): cfr. A. e C. FRUGONI, Storia di un giorno in una citt medievale, cit.,
pp. 32 ss.
103
Tra i piatti pi noti: cfr. REBORA, La cucina medievale, cit., pp. 80, 113, 121; REDON,
SABBAN e SERVENTI, A tavola nel Medioevo, cit., pp. 163-164; MAESTRO MARTINO, Libro de
arte coquinaria, cit., pp. 19, 91, 93, 126.
104
Dettaglio su cui ci siamo gi soffermati: cfr. Trecentonovelle, CLIX 7.
105
Cos chiosa Marucci, nelledizione a sua cura, p. 295, n. 3, ma difficile dire di cosa
si tratti effettivamente, in mancanza di ulteriori dettagli e considerata la grande variet di
zuppe medievali: cfr., ad esempio, REDON, SABBAN e SERVENTI, A tavola nel Medioevo, cit.,
pp. 81-82; MAESTRO MARTINO, Libro de arte coquinaria, cit., pp. 65, 67, 119, 130.
106
Cfr., ad esempio, C. IMBERTY, Le symbolisme du faucon dans la Nouvelle 9 de la V
Journe du Dcameron, in Revue des Etudes italiennes, n. s., XX, 1974, 1-2, pp. 147156; S. ZATTI, Federigo o la metamorfosi del desiderio, in Strumenti critici, XIII, 1978, 3637, pp. 236-252; K. TRIMBORN, Der Falke des Federigo degli Alberighi und seine mittelalterlichen Vorfahren, in Zeitschrift fr deutsche philologie, XCVIII, 1979, pp. 92-109; F.
CARDINI, Il banchetto del falcone, ovvero lamante mangiato, in Quaderni medievali,
XVII, 1984, pp. 45-72.
110
inserirsi in una prospettiva allegorico-simbolica, in cui il falcone diviene il simbolo delluomo che si d in pasto alla donna: nella realt, infatti, era difficile
che ci si nutrisse di questa carne, data la sua durezza107, per quanto il falcone,
per tiglioso e coriaceo che sia, cibo di tempo alto, cibo cortese, cibo-eros108.
Il tema dellamante mangiato, diffuso nella letteratura109, si ritrova anche
nella novella IV 9, nella quale il Rossiglione finge che il cuore del Guardastagno, amante della moglie, sia quello di un cinghiale e glielo fa preparare per la
cena.
Siamo molto lontani, ovviamente, dai gustosi capponi pi volte citati, poich
questi cibi, poco reali, si collocano in una prospettiva diversa e distante dalle
pratiche quotidiane.
In altri casi compaiono dei cibi immaginari che, tuttavia, si inseriscono in
contesti meno solenni e pi scherzosi: si allude qui alle note galle del cane,
fatte confettare in uno alo patico fresco (39), che gli amici propinano a
Calandrino (VIII 6).
Non si ancora stabilito di cosa queste galle fossero effettivamente fatte:
secondo i pi si tratterebbe di galle di sterco di cane; secondo Pastore Stocchi,
la scelta pi logica quella di pensare alle galle fatte di zenzero canino, una
specie di falso zenzero, probabilmente da riconoscersi nel pepe dacqua. A
supporto di questa tesi si citano le descrizioni dello zenzero canino tratte da
diversi autori (Avicenna, Simone da Genova, Matteo Selvatico etc.), allo scopo
di dimostrare quanto questa sostanza fosse diffusa nel Medioevo110. Questo
motivo compare poi in Trecentonovelle, CCXI, dove per si precisa la composizione delle galle vendute dal Gonnella, fatte appunto di stronzi di cane (14) e
in Sercambi, IX, dove Zazzara riesce a vendere ad Ugolino dello sterco di cane,
spacciandolo per moscato.
Lanalisi finora condotta ha dunque dimostrato che nelle novelle i precisi
riferimenti agli usi e alle abitudini gastronomiche quotidiane, confermati puntualmente da testi di altro genere e dai motivi iconografici, si intrecciano con
alcune raffinate allusioni simboliche connesse allutilizzo di alcuni cibi, oltre a
costituire, spesso, il motivo portante della novella.
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Non a caso, infatti, nei ricettari qui consultati la carne di falcone non compare, mentre
sono presenti altri prodotti dellattivit venatoria: cinghiale, cervo, capriolo, lepre, fagiano e
altra selvaggina.
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Cfr. CARDINI, Il banchetto del falcone, cit., p. 46, n. 4.
109
Cfr., ad esempio, le fonti riportate da Branca nelledizione del Decameron a sua cura,
cit., p. 563, n. 1.
110
Cfr. M. PASTORE STOCCHI, Altre annotazioni, in Studi sul Boccaccio, VII, 1973: 7.
Le galle del cane, pp. 200-208.
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