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-Le novelle di Gentile Sermini –

LA NOVELLA DOPO BOCCACCIO ALLE SOGLIE DEL SECOLO XV

1. Un’ officina di stili in fermento

La novella e le forme del narrare dell’ultimo Trecento e del primo Quattrocento presentano dei
fermenti innovativi , una gioco testuale tra la norma (trecentesca) e il suo superamento, si assiste
insomma ad una fase di sperimentalismo letterario, di significative esplorazioni del molteplice e
vario. E le pagine del Paradiso degli Alberti di Gherardi da Prato, delle Novelle di Sercambi e di
Sermini tracciano in maniera esemplare questo processo di trasformazione culturale: viene fuori
una narrazione che mescola vari stili e una sintassi narrativa che procede per accumuli
frammentati:

“Di che, NON avendole in scrittura PER ORDINE, ma per scartabelli e squarcia fogli, quali per le casse e quali altrove,
diedimi a ritrovarle. E si come colui che una sua insalatella vuole a uno suo amico mandare, preso il paneruzzo e il
coltellino, l’orticello suo tutto cerca e come l’erbe trova così nel paneretto le mette senza alcuno assortimento
MESCOLATAMENTE; non altramente a me è convenuto fare” (SERMINI – NOVELLE) Pag. 99

Per i novellatori dopo Boccaccio scrivere novelle significava ancora rappresentare attraverso
vicende e motti esperienze del mondo e idee letterarie, ma contemporaneamente si intensificava
l’idea di dare forma ad un confronto diretto con il proprio tempo tramite memorie e dimensioni
autobiografiche, senza il vincolo di griglie retoriche predefinite, il narratore è artefice di un
personale rifacimento della tradizione del genere. Alle trasformazioni della novella dell’ultimo
trecento è legato il mutamento storico che vi era in essere, il passaggio dal Comune alla Signoria.
Un mutamento in progress che si rifletteva nello sperimentalismo della novella.
Siamo insomma in pieno sperimentalismo novellistico dove trova posto una narrabilità che
contempla delle opposizioni: oggettiva e autoriale, frammentata e unitaria allo stesso tempo.
In questo periodo inoltre si determina una “migrazione” dei materiali novellistici formalizzati nel
secolo precedente a Firenze, verso altre città toscane (Lucca e Siena) o Bologna, Napoli, Ferrara.
La scrittura novellistica presenta un insieme di testi compositi per genere e stile: novelle,
favole,biografie,storie, predicazioni, epistole con funzioni trattatistiche o autobiografiche… si
ravvisa insomma una coesistenza tra i segni di un cambiamento culturale in corso e la revisione di
valori e statuti precedenti, si hanno insomma contemporaneamente la permanenza di modelli
prestigiosi del passato e mutazione,le forme e la lingua dei saperi umanistici si affiancano a
modelli e stili della tradizione volgare ; tra gli aspetti innovativi vi è una nuova costruzione poetica
dell’io e affermazione del proprio operato artistico; a livello strutturale invece si assiste ad un
oscillazione tra sistemi ampi di contenimento delle novelle e narrazioni sganciate da particolari
architetture, ne sono un esempio le spicciolate.
Non si può trascurare che nei cento e più anni che separano il testo del Boccaccio dalle raccolte di
Masuccio Salernitano e Sabadino degli Arienti, il codice della novella si confronti e si ibridi sia con
forme di cultura popolare (predicazioni, cantari, aneddoti, motti) sia con modalità più ricercate
della nascente letteratura umanistica , la novella tre-quattrocentesca si snoda insomma tra le linee

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dei prestigiosi modelli trecenteschi e le esigenze classicistiche del nuovo secolo, dando un
immagine di una pluralità di interessi, orientamenti e ricerche stilistiche.
Accostarsi alle forme narrative del XV secolo, dà al lettore la sensazione di avvicinarsi ad un
laboratorio aperto, una bottega d’arte, in cui insieme a modelli e stilemi della tradizione, si fanno
strada nuove modalità espressive, diversi impianti strutturali (architettura unitaria o frammentata)
e varie soluzioni linguistiche. Il prodotto di tali sperimentazioni diventerà fondante nello sviluppo
della narrativa: nel fare novellistico di Sercambi, Gherardi da Prato, Sermini, Masuccio Salernitano
e Sabadino si individuano gli embrioni del romanzo autobiografico, epistolare, sentimentale e
fantastico-avventuroso.

2. Scenari in trasformazione

Nei momenti storici di transizione si è in presenza di tensioni inventive e formali che più che
fratture sono rimodulazioni del patrimonio esistente: ci si accorge che sul finire del secolo
l’assimilazione della funzione dell’auctor, rinsaldata dalle forme autobiografiche petrarchesche,
aveva permesso che il narratore avesse una maggiore visibilità autoriale e tale modalità formale
implicava anche modifiche nella struttura dell’organizzazione della novella.
Già nelle novelle di Sacchetti e Sermini la voce dell’autore è sia voce esterna(narrante oggettivo),
ora interna (personaggio autobiografico), insomma la voce narrante è coincidente con l’autore.
Si ha altresì un venir meno di regole e simmetrie formali, un rapporto più dinamico con fonti e
modelli diversi della tradizione e un idea del mondo affidata a storie in progressivo acquisto di
liberta retorica.
Si assiste ad una dilatazione dell’intreccio tramite il rilievo dato a particolari ambientali e a
personaggi secondari, pluralità di esperienze e figure che porta ad elementi di dialettalità rusticale
che anticipano il filone teatrale “facchinesco”
Tra le riformulazioni: assetto dell’opera, cornice aperta, rilievo del narrante e misura delle novelle,
non è più praticabile l’idea di un impianto totalizzante (chiedere a giusy) ma non si viene mai
meno alla vigilanza stilistica del testo scritto.
L’oggettività critica presente nel Decameron e realizzata attraverso una pluralità di voci e discorsi,
cede il campo ad un soggetto letterario responsabile del progetto dell’opera e della sua
articolazione (- oggettività), vi è una aderenza al contigente che produce un realismo mimetico.

Livello tematico : Il mondo narrato non viene figurato per suggerire leggi, ma fa emergere la
mutevolezza, la casualità, disordine e nel contempo abilità e versatilità umane.

Ma il Decameron è il testo portante dello sviluppo della novella tre-quattrocentesca?


Secondo Mazzacurati no, intervengono altre tessere culturali, i novellatori del quattrocento
sembrano esprimere il gusto della sperimentazione, del nuovo ponendosi in linea con le istanze
della cultura umanistica che spingevano a sua volta verso una renovatio dei saperi, questo spiega
l’utilizzo di favole, parabole, istorie, motti, fabliaux (già usati in boccaccio, ma adesso “rinunciano”
all’armonica costruzione del modello trecentesco) nella novella post-boccacciana: si ha un
impasto delle forme di narratio brevis che hanno sia delle funzioni decisive all’interno delle nuove
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strutture novellistiche sia rendono visibili i cambiamenti in atto; ne è un esempio l’uso
dell’exemplum in Sercambi, che è del tutto lontano dal dare una visibilità morale, diventando un
paradigma laico e volto anche al diletto. Ma se in Boccaccio le forme brevi erano annodate nelle
maglie di un sistema coeso e ben definito, nelle novelle tre-quattrocentesche diventano un
esercizio scrittorio di materiali dotati di autonomia e mobilità, dovuto al realizzarsi di nuovi assetti
narrativi. Cantari novellistici, favole oitaniche, avventure e cronache, parabole e facezie tornano a
far sentire la loro influenza come patrimonio a se stante, hanno una validità autosufficiente, sono
sganciate da strutture chiuse.
( RUOLO DEL DECAMERON)Riprendendo la domanda fatta poco prima il Decameron più che un
modello di regole, è per i novellatori di questo periodo un laboratorio da cui partire per
sperimentare nuove vie, un punto da cui far partire trasformazioni strutturali e stilistiche, si
vogliono ampliare i confini del modello del novellare del 300 non azzerarlo, quindi le novelle del
Sacchetti, Sercambi o Sermini nascono dall’interno del Decameron.
Quello che cambia rispetto al Decameron è la struttura e l’impianto narrativo mentre l’asse
tematico continua a ruotare su materiali codificati dalla tradizione del genere: storie di amore,
beffe, intrighi, avventure, questioni, motti; dunque gli scrittori di questo periodo più che
ricercare una diversa materia del novellare, ridefiniscono gli statuti e le modalità del narrare.
La novella può definirsi un genere in divenire.

Linguaggi artistici a confronto


Al polistilismo complesso del Boccaccio subentra un polimorfismo di strutture aperte e
contaminate sul metro del vario e non pre-ordinato, sul piano letterario accanto a disegni formali
onnicomprensivi si delinea la dimensione soggettiva come nuovo criterio retorico, con un
individualità della voce narrante.
Ancora nei primi anni del Quattrocento si assiste ad una oscillazione tra episodico e unitario, tra
forme concluse e ricerca di rapporti aperti, si ha attenzione al mutevole fluire di cose ed eventi,
viene meno l’attribuire a qualcosa di metafisico e astratto i dati contigenti sulla terra come
avveniva nel medioevo, dove tutto era figura di.. .
si è notato che nel Medioevo si tendeva all’addizione in ogni parte dell’ arte e per questo nelle
novelle del periodo che stiamo prendendo in esame la coordinazione è presente ma mutata in
espansione, anche la stessa arte rinuncia ai consueti margini del medioevo per rappresentare
forme più dinamiche, si hanno forme prive di limiti prefissati e rigidi e lo stesso accade nelle
novelle di questo periodo che rinunciano a strutture predeterminate, si smarginano misure e
cornici codificate prediligendo impianti dalle proporzioni asimmetriche e fluide, tanto da poter
pensare che la moltiplicazione delle novelle sia un opzione retorica. Da un lato la mutevolezza e
molteplicità del mondo viene riportata nella struttura asimmetrica e nella compresenza di
linguaggi delle novelle ma tutto sotto il pieno controllo dell’individualità dell’autore :
DICOTOMIA.
Nelle novelle del XV secolo si passa dall’eterogeneità e varietà delle novelle di Sacchetti e
Sercambi alla rappresentazione dello spazio novellistico come campo mobile e indeterminato, tra

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forme autobiografiche (il Paradiso degli Alberti) o mimetiche e parodicamente articolate nelle
novelle di Sermini.
Un altro elemento essenziale è il realismo.
Si modifica in questo periodo la concezione dello spazio e del tempo: tanto la natura quanto la
storia non sono soltanto il terreno di accadimenti, ma fenomeni legati ad un continuum che
avanza nella diversità e nella molteplicità del reale e nell’azione soggettiva dell’uomo.
Sostanzialmente si registra nelle novelle di questo periodo: meno incastri simmetrici, numero
indefinito di novelle, presenza del narrante, varietas.

UN GENERE IN CAMMINO, ASPETTI UMANISTICI

Nei novellieri tre-quattrocenteschi figura frequentemente il tema del viaggio (tema della cultura
cavalleresca) che diventa emblema della visione intellettuale aperta ad esperienze mutevoli e non
concluse; il viaggio diventa metafora delle variazioni che erano in corso nel fare novellistico
dell’epoca,in Sercambi il motivo del viaggio funge da cornice e da istanza fantastica di
contenimento delle novelle (vedi pag 34-35). Il viaggio è senhal di un tempo storico e letterario,
come quello della novella, che muta.
La cornice formalizza il disegno dell’opera ideata e diventa lo strumento che permette di
superare strutture e margini codificati, la novella di questo periodo oscilla tra mantenimento e
riduzione minimale della cornice, presenza di più narranti o di una voce isolata, frammentazioni
ed equilibri. La cornice è lo spazio in cui si iscrive il cambiamento, non è più lo spazio in cui lo
scrivente introduce i locutori depositarie di simmetrie interne, ma è il luogo in cui agisce il
narrante ( in Boccaccio invece l’autore non è nella cornice), che controlla forme e tempi delle
narrazioni, sottraendosi però a disposizioni armoniche, la cornice rimane comunque finalizzata alla
dichiarazione di intenti letterari.

E’ difficile isolare percorsi morfologici che siano pro o anti boccacciani, poiché si tratta di un lavoro
che presenta tratti boccacciani e tratti che si allontanano da Boccaccio , ad esempio la cornice era
presente in Boccaccio ma viene rielaborata. (pag 37 -38 CARATTERISTICHE DEL SACCHETTI: Non
più novellatori ma un insieme di storie disposte in numero crescente secondo il criterio dell’auctor
narrante.)

Con Giovanni Gherardi da Prato e Gentile Sermini entriamo nel pieno delle trasformazioni del
novellare del primo 400. Nel primo si può notare un amplificazione della cornice tale da perdere
l’identità specifica e da coincidere con la narrazione del primo libro del Paradiso degli Alberti, la
narrazione è autobiografica e presenta al proprio interno forme diverse: visione allegorica, le
questioni, le conversazioni, il saggio erudito, le facezie e il diletto della novella. Ne scaturisce una
forma che oscilla tra discorso narrativo e confabulatio, prosa erudita e comica.
In Sermini invece la cornice si trasformerà in una lettera proemiale, segnando un passo
importante, una svolta retorica, si ha oltre al tema del viaggio il gusto del dialogo, favorito dallo
sfondo epistolare. In taluni casi la cornice si contrae presentando solamente figure e luoghi utili
all’orientamento del lettore.
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Dunque nella prima metà del XIV secolo gli autori delle novelle cercano di rifigurare nel discorso
aperto e nel rifiuto di strutture ordinate e prefissate il disordine del mondo, privilegiando varietà
di stili, generi e forme.

Interferenze di generi e nascita di un sotto-genere


Un momento determinante nel percorso di trasformazione della novella, specie nella sua
architettura, è costituito dalla celebre trasposizione in latino dell’ultima novella del Decameron, da
parte di Petrarca. Dopo la rielaborazione petrarchesca della Griselda, molte narrazioni si
legheranno al racconto di una sola storia più o meno estesa preceduta da una lettera. La
trascrizione della Griselda è preceduta da una lettera che permette con la sua forma agile e
flessibile di mescolare la letterarietà del codice epistolare con lo stile mezzano del novellare, si può
pensare che nella trascrizione della novella da parte di Petrarca rientri un intento di variatio dal
momento che esso non condivideva l’impianto stilistico e ideologico del comico.

La lettera premessa alla novella è un filtro retorico-linguistico di matrice classicistica che insieme
all’uso della lingua latina fa si che i parametri del novellare si spostino dalla medietà al grave e
perfino sublime, che sarà fondamento delle successive tipologie narrative. Petrarca introduce la
figura di un soggetto letterario con risvolti autobiografici, producendo uno scarto nel sistema
decameroniano che modifica la sua trasmissione e codificazione: da impianto oggettivo a
soggettivo. Nell’epilogo della novella compare l’autore con una dichiarata funzione di
autobiografia poetica, da cui si genera l’explanatio delle ragioni etico letterarie intorno a cui si è
articolata la scrittura (vedi pag44). La rielaborazione petrarchesca avvia insomma l’affermazione di
un autore-narratore che dispiega una costruzione narrativa senza la mediazione di locutori,
elemento invece specifico del Decameron.
Si assiste all’incontro tra due statuti formali, l’epistola e la novella, afferenti a due generi letterari
diversi, austero e filosofico l’uno e umile e comico l’altro, da cui scaturisce un sotto-codice
l’epistola-novella che sarà destinata a fertili sviluppi in area umanistica e rinascimentale che
sfocerà poi nel romanzo epistolare moderno.
Mentre nella novella del 300 il bagaglio linguistico e retorico della tradizione era frutto di una
combinazioni di campi inventivi e stilistici anche oppositivi, in Petrarca era non solo possibile ma
anche autorizzato il controllo dello stile e dell’orientamento del messaggio che si accompagnava
alla riaffermazione di valori morali e cristiani . Egli trasforma la novella del Boccaccio in storia di
virtù femminili, dove obbedienza e fedeltà erano tese a convalidare la forza edificante della
Norma, il valore etico e ideologico del rispetto della legge del Padre.Petrarca non solo modifica la
Griselda di Boccaccio indirizzandola verso la parabola morale e introducendo una descrizione
geografica assente in Boccaccio, ma accentua l’aspetto esemplare del messaggio gia nel titolo De
insigni obedienta et fide uxoria. (piano tematico)
Sul piano retorico adotta una sola storia, evidenziando un narrante che inserisce il racconto in un
genere autobiografico.
L’esempio del Petrarca di certo non sarà sfuggito agli scrittori del XV secolo che hanno colto la
flessibilità della forma letteraria, autobiografica e soggettiva come deposito di riflessioni poetiche,
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meditazioni esistenziali,confessioni private… inoltre l’epistola permetteva di inserire colloqui
amicali di tenore realistico e contribuiva ad affermare la figura classica dell’auctor narrante,
modificando così l’assetto della cornice decameroniana che diventa spazio individuale del
narratore, cosi come avveniva in ambito volgare con le nuove strutture delle spicciolate e i
novellieri in cui si faceva sempre più evidente il ruolo dell’autore narratore, pur mantenendo
immutato il criterio di uno spazio unitario per le storie narrate.
Il Petrarca proponeva quindi:
- Il ruolo centrale del soggetto scrivente che non delegava più la narrazione a personaggi
fittizi;
- Sganciare le novelle da una struttura coesa, ponendosi in tal modo modello per narrazioni
autonome come le spicciolate che non a caso erano precedute da lettere introduttive.
La rielaborazione del Petrarca contende al Decameron la prerogativa di modello unico e
determinante del narrare novelle che ingloberà modalità di scritture umanistiche come
lettere,diari, biografie….
Il lavoro di Petrarca è stato seguito da altri autori che traducono altre novelle del Boccaccio, come
Antonio Loschi che traduce la novella di Ser Cepparello in cui si colgono raffinati dialoghi che
spaziano dall’ironia al fantastico di favole allegoriche.
L utilizzo della prosa in latino della novella umanistica coinvolge non solo un pubblico colto ma
anche lettori meno raffinati. La novella umanistica incontra le forme del narrare umanistiche quali
cronache, storie, biografie, epistole…

Nuovi paesaggi
La scrittura delle novelle nei primi decenni del XV secolo appare segnata da esigenze
autobiografiche,da ricerca di modelli innovativi, da scritture in volgare e in latino, popolari e colte.
La centralità dell’autore si affianca a nuove figure di locutori, conversazioni di tipo cortigiano
convivono con linguaggi medi del quotidiano, in cui non è difficile scorgere l’ affermazione
narrativa della città d’origine dell’autore.
Si osserva un oscillazione tra il timbro elegante e misurato della lingua del Paradiso degli alberti
alla lingua popolare e domestica del Sermini.
Si predilige la ricchezza del parlato, la rappresentazione della vita giornaliera tramite discorsi o
modi dialettali, si ha una contaminazione di registri diversi (forme di tipo
classicheggiante,espressioni popolaresche e lingua colta…). In Sermini prevale uno stile medio e
quotidiano, non certo privo di attenzioni letterarie, una sintassi para-ipotattica che accoglie i modi
del parlato. Insomma si ha una POLIFONIA ESPRESSIVA.
La società che emerge dalle novelle è una società signorile e municipale, pronta a godere di feste,
banchetti ma anche di conversazioni dotte, una società attenta alla conferma di un assetto
borghese e aristocratico, di cui lo scrittore se ne fa portavoce, e incline alla valorizzazione di virtù
mentali.
Aumenta l’attenzione al diletto della parola.
Pare che dopo Boccaccio la novella si modifichi su due fronti: struttura e scrittura. Nel primo caso
si hanno modifiche nel sistema della cornice,nella presenza di uno o più narranti, nella coesione

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ordinata o meno della raccolta, nell’altro si registrano variazioni nella misura narrativa, nei
rapporti tra le parti delle novelle,nei linguaggi e negli stili.
Si assiste ad un narrare che spazia tra il motto arguto, la burla, la facezia o si dispone in soluzioni
stilistiche di tipo mimetico come accade per le novelle di Sacchetti, Sercambi e Sermini; cresce il
gusto dell’avventuroso o l’amplificatio romanzesca (gia in parte presente in Boccaccio) in Gherardi
e Sermini.
Nel Paradiso degli Alberti ma ancor di più in Sermini e nella historia de duo bus amanti bus del
Piccolmini compare un gusto per le digressioni, le complicazioni e le sospensioni. Si oscilla dunque
tra l’ampliamento e la digressione e misure brevi, facezie.
Particolare attenzione necessita il Paradiso degli Alberti di Gherardi da Prato che si avvicina alla
morfologia del romanzo a cui segue un ibridazione di generi e forme retoriche: dall’inserto erudito
(vedere dispense filologia su Ariosto per rintracciare a quale filone culturale si rifà) alla divagazione
geografica,dalla discussione politica e filosofica alla mimesi teatrale, si oppongono lo statuto
autobiografico memoriale del narrante con l’oggettività mimetica del narrato. La stessa
oscillazione tra prospettiva soggettiva del narratore e oggettività delle storie narrate la ritroviamo
in Sermini che si pone in contiguità con il Paradiso degli alberti per una dichiarata istanza
autobiografica del narrante,per una scrittura di intrattenimento e per le variazioni nella misura
della narrazione al fine di superare il modello decameroniano. Sermini condivide con il pratese
altresi l’uso del volgare in un periodo in cui viene ripreso il latino e l’aspetto conversativo che
riproduce tramite un dialogo a distanza riprodotto da un epistola; a differenza di Gherardi però
rifiuta la complessita strutturale, gli intenti allegorici civili e morali, e adopera statuti classici come
la lettera o un sogno-apologo a fini ludici.
Contemporaneamente si assiste alla contrazione del sistema narrativo del Decameron in raccolte
di detti piacevoli come i Motti del piovano arlotto o nel libro facetiarum di Bracciolini; con le
spicciolate poi si fa chiaro il processo di emancipazione della novella dai sistemi di contenimento.
Il Sermini merita un attenzione particolare in questo processo evolutivo della novella perché
alcune modificazioni strutturali e morfologiche delle sue novelle e la forma stessa dell’impianto
prescelto costituiscono una tappa fondamentale in tale processo: si offrono come cerniera storica
fra autorevolezza di un modello prestigioso (il Decameron) e ricerca di autonomia e
differenziazione dei primi scrittori umanisti.

L’idea di novella in Sermini


Le novelle di Sermini presentano aspetti retorici di grande interesse per l’evoluzione del genere
primo fra tutti la lettera introduttiva che segnala il nuovo ruolo autobiografico del narratore,
pluralità di materiali non più disposti in una struttura coesa, voce narrante coincidente con
l’autore, introduce nuovi paradigmi novellistici come un taglio diari stico, disposizione teatrale
nella stesura delle novelle.
La società narrata è la società senese del primo 400, il suo novellare è scapigliato e ammiccante
verso i lettori e si affianca alla scrittura del Burchiello e alimenta un versante comico che giungerà
fino a Pulci (stud. Lett).
Il collante delle novelle del senese è l’intrattenimento gioioso.

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Sermini mescola con scioltezza e vivacità momenti della tradizione colta con i modi dell’oralità,
forme classiche e popolari, mette in scena fatti e vicende del mondo quotidiano rafforzando il
realismo della novella. La disposizione di periodi ipotattici e modi popolari, ampi costrutti e
dialoghi contribuiscono all’edonismo linguistico. Lo stile, lontano dal controllo elegante del
Boccaccio, connota la narrazione in senso festoso per un pubblico medio alto. Da qui la
valorizzazione del volgare .

PARTE SECONDA- UN AUTORE E UN OPERA IN OMBRA


Di Sermini abbiamo notizie incerte circa la data di nascita e di morte, mentre l’essere nativo della
città di Siena è un elemento convalidato da spie testuali come forme idiomatiche e tratti espressivi
della lingua senese. Pochi critici si occupati dell’autore che è stato gravato da pregiudizi moralistici
legati ad un linguaggio erotico, allusivo e denso di fisicità che ha suscitato in alcuni studiosi dubbi e
rifiuti.
Quanto al periodo di composizione possediamo solamente il dato testuale del 1424. Due i
testimoni che ci tramandano le novelle senesi ed entrambi codici cartacei risultano adespoti e
anepigrafi sono: il Marciano (XV/XVI secolo) e l’ Estense che si presenta acefalo e mutilo.
Sembra incerto anche lo stesso cognome Sermini di cui ce ne da notizia Apostolo Zeno nel suo
manoscritto (il Marciano): vedi pag 61. Nelle annotazioni del Marciano risulta difforme anche il
numero di novelle (39) contro le moderne edizioni che ne annoverano 40 e tale discrepanza trova
giustificazione nella mancanza di un ordine numerico delle novelle nei manoscritti. Le novelle
erano rubricate secondo vari criteri: titolo per le storie o versi incipitari se si trattava di canzoni e
di sonetti. Compaiono anche sezioni prive di indicazioni o rubriche che vengono registrati solo con
i capoversi, come nel caso della novella 1, Vannino da Perugia, che è staccata dalle pagine
precedenti e probabilmente lo studioso l’avrà considerata come una storia distinta. Nell’estense
invece viene intitolata Come Montanina resuscitò e divenne moglie di Vannino. Inoltre nel
Marciano la novella L’autore a ser Cecco è numerata come XIII non come XII, probabilmente per lo
sfalsamento numerico introdotto dalla prima novella computata come due storie.
Dopo Zeno sarà il Forcellini che, sulla base dei manoscritti zeniani, prepara un catalogo su cui si
ritrova il nome dell’autore senese che da quel momento in poi viene trasmesso come dato
indiscusso. Ma sul nome del novelliere ha avanzato dubbi Nissen che nella commedia I Bernardi,vi
si legge Claudio Saracini gentiluomo senese. Si interessano anche il Poggiali e il reverendo
Pellegrini che dovettero comunque arrivare a constatare ancora una volta le incertezze filologiche
dei manoscritti di Zeno e della radicale assenza di indicazioni biografiche. I manoscritti di Zeno si
trovavano nella “Libreria delle zattere di Venezia” di cui era bibliotecario il reverendo Pellegrini,.
Ma il Poggiali, il Pellegrini e il Borromeo non erano a conoscenza del manoscritto estense presso la
biblioteca di Modena, scoperto nella seconda metà dell’800: il manoscritto risulta rispetto a quello
zeniano più integro poiché non presenta rasure e si possono leggere con integrità i luoghi
modificati da Zeno a causa di parti illeggibili. Nelle carte dell’estense contrariamente a quanto
riportato dal manoscritto zeniano risulta chiaro che la lettera proemiale non è destinata a
Boccaccio, ma ad un caro e diletto fratello, nella novella XII si trova indicato come anno non il 1349
ma il 1424. Pare che il manoscritto estense sia opera di un copista che ha vissuto o nello stesso
secolo (al massimo il secolo successivo) in cui sono state stese le novelle; presenta altresì la rubrica
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in rosso,le capitali ben in evidenza e la scrittura distribuita su due colonne per foglio, tutti elementi
costanti nei sistemi novellistici dei secoli 14/15. Dal codice marciano traeva due novelle il Ferraro
(Ser Giovanni da Prato 13 e Messer Rossetto Salvini 20- 1800), dall’estense invece Cappelli trae la
novella 24(Ser Meoccio ghiottone) mentre Papanti la 21(Beltramo e Lionetta) e la 39 (Baccio e
Sansonetto). Tali novelle circolavano perlopiù in occasioni nuziali, sarà Francesco Vigo invece a
restituire sul finire dell’800 tutte le novelle del corpus serminiano nella loro integrità.

TRACCE SCHERMATE
Sono confuse e poco chiare le notizie circa la vita del Sermini:il Corso, riportando un dato
dell’Archivio di Stato senese, rinviene che i figli di un certo Giovanni di Ser mino da Siena nel 1397
ottenevano un decreto come maestri di lana e che parecchi membri della famiglia Sermini
possedevano poderi alla Montagnola, nominata più volte nelle novelle dallo stesso Sermini, ove si
rifugia per sfuggire alla peste. Liberati, invece, ci da notizia che la famiglia Sermini ricopre alcune
cariche pubbliche.
Lo stesso Sermini pare nascondersi sfumando sia nel Proemio che nelle novelle i profili di amici e
studiosi a cui si rivolge, una strategia consapevole che coopera a delineare un testo novellistico
proposto come malizioso esercizio di trasgressioni e nascondimento. Una stessa tecnica era stata
adottata da l’ Alberti “comico” in Philodoxeos Fabula composta all’incirca nello stesso periodo
delle novelle serminiane (1424-25).
Si può pensare che il velo che l’autore sembra avvolgere attorno alla sua persona sia dovuto al
timore della perdita di prestigio per la scelta di scritture vicine al versante realistico e comico,
burlesco e licenzioso. Però sembra un ipotesi poco convincente visto che le novelle senesi si
collocano in un età che amava gli azzardi e i giochi linguistici, basti pensare ai sonetti del
Burchiello. È pensabile che Sermini adotta la velatura di riferimenti chiari di sé per muoversi con
spregiudicata libertà sul terreno di un naturalismo audace, quasi un libertino ante litteram. Non
una negazione di se troviamo nel Sermini, ma una sottrazione di elementi precisi che potrebbero
permettere di ricostruire un contesto culturale identificabile e di conseguenza il profilo
dell’autore. Sermini vuole in qualche modo far suscitare sulla base di indizi testuali delle domande
al lettore, una sorta di invito insomma.
Se poi si pensa che nella famiglia Sermini pare non vi sia registrato alcun membro con il nome
Gentile, pare che anche questo sia un intento allusivo dell’autore, e il suo nome riprende anche un
personaggio decameroniano, Gentile de’ Gauriseudi protagonista della novella X/4, che non a caso
trasforma la propria ossessione erotica in grande liberalità d’animo non senza godere prima
dell’agnizione di abili giochi di slittamento tra apparenza e realtà, quindi è probabile che l’autore
abbia pensato volutamente ad un personaggio in cui si condensano attrazione erotica e dinamiche
di mascheramento e svelamento. Il suo intento? Formalizzare l’ambiguità del mondo e della
scrittura letteraria.

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EDIZIONI MODERNE DELLE NOVELLE SENESI
Per le prime pubblicazioni a stampa di alcune novelle del Sermini bisogna aspettare la fine del 700
con il Poggiali che le edita a Londra (1796), mentre in Italia erano state pubblicate solo due
novelle dal Borromeo.
Sarà Vigo a dare la prima edizione integrale delle novelle senesi sottolineandone i temi
licenziosi, l’intento evasivo e ludico dell’autore, il dialogare “cosi brioso e naturale” usando le
“maniere nuove del parlare popolare di città tanto da giovare, come dice lo stesso Vigo, agli studi
sulla nostra lingua.
A Vigo seguirà Colini che nei primi del Novecento provvederà alla ristampa delle Novelle senesi il
quale critica il Sermini poiché imitando il decameron si limita a descrivere le azioni più intime,
sensuali, dunque pare che abbia delle riserve morale sull’autore. Riserve che si accentuano negli
studi del primo novecento come avviene in Di Francia che considera il libro del Sermini come
disordinato, povero di vita, monotono, un accozzaglia di novelle che presentano un linguaggio
triviale e grossolano ma ne riconosce autonomia inventiva e per quanto riguarda la scrittura ne
osserva la scioltezza della prosa del senese. Sulla stessa scia del Di Francia si pongono altri critici
come Fantini, Rossi che addirittura parla di “un tanfo di depravazione morale”.
Nel secondo Novecento le novelle di Sermini vengono analizzate dal Chiari e Borlenghi che ne
evidenziano l’individualità letteraria o ancor di più De Robertis che sottolinea che al fondo dei
temi di beffa o di eros delle novelle vi sia in realtà il “piacere di raccontare”.
Notevole il contributo del Vettori che con l’edizione delle Novelle in due volumi, ha sottolineato
l’indipendenza dal Decameron dimostrata da Sermini rispetto ad altri novellieri (Sercambi,
Salernitano, l’Arienti). Pasquini invece pone l’accento sulla “suggestione” letteraria di un novelliere
presentato come “paneretto di insalatelle”.
Savinio invece coglie il gioco malizioso del Sermini che coinvolge in vicende erotiche il lettore, che
posto nella condizione di divertito amens amans, viene catturato con tecniche di seduzione
narrativa ed espressiva.
È una scrittura con una dimensione linguistica antisublime per via di una ostentazione
provocatoria della sfera naturale/sessuale dell’uomo che si ritroverà poi nella Venexiana di ignoto
autore e nelle Sei giornate di Aretino.

LA REALTA’ STORICA E CULTURALE DI SIENA


L’ utilizzo di un epistola come nuova cornice introduce Sermini nell’ambito culturale umanista dal
momento che nei primi decenni del 400 era intenso l’esercizio epistolare, basti pensare scrittori
come Coluccio Salutati, Veronese,Leonardo Bruni, Bracciolini, Alberti e Piccolmini (vedere libro di
letteratura) che sulla scia di Petrarca affidavano alle lettere esperienze, passioni intellettuali,
riflessioni morali, etc, il che testimonia che anche la modalità epistolare presentava registri stilistici
variegati. Non a caso infatti anche le epistole presentano una mescolanza di prestigio letterario e
quotidianità.
Sermini adotta l’epistola ora come funzione proemiale, ora come elemento diegetico nello
sviluppo degli intrecci narrati, adottando con sicurezza la lingua volgare e i modi dell’idioma
senese,mescolati a forme classiche, proprio negli stessi anni in cui Bracciolini o Alberti
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privilegiavano la lingua dei classici e adottavano le forme classicheggianti della facetia,
dell’apologo e della fabula teatrale.
La città di Siena ai tempi di Sermini vive un momento di grande vivacità culturale (basti ricordare
Piccolmini, Andreozzo Petrucci…), attraversata da fermenti innovativi e da spinte di immoralismo
antinormativo.
Il profilo culturale nel narratore senese sembra partecipare alle spinte dei nuovi saperi umanistici
senza trascurare le istanze realistiche proprie della tradizione toscana.
Vi è un elemento di vicinanza tra le novelle del Sermini e la commedia (Crysis) di Piccolmini, che è
un invito pre-laurenziano al godimento dei piaceri mondani della vita: entrambi le cornici sono
ambientate in un centro termale, uno spazio inventivo che annoda esperienze contemporanee e
memorie classiche.

INTERROGATIVI APERTI
Per quanto riguarda la composizione del novelliere si può ipotizzare che buona parte delle novelle
fossero ideate e scritte intorno al 1424. Ma la struttura aperta dell’opera e alcune differenze
stilistiche inducono a pensare che il corpus novellistico nella sua interessa possa ascriversi a
periodi diversi, ovvero che alcune novelle, ancor prima che il libro fosse già progettato, erano già
scritte.
-difficile stabilire se il piano dell’opera dovesse fermarsi alle 40 novelle o avere un ordine più
ampio;
-non si sa nemmeno se l’autore abbia sottoposto a revisione le novelle;
- vi sarà stata una diffusione delle novelle senesi e se è si, si sono diffuse separatamente, per
gruppi o nel loro insieme?
- si tratta di storie periferiche per la loro licenziosità o un terreno fertile per lo sviluppo del comico
libertino di opere rinascimentali come la Venexiana?
In Sabadino degli Arienti troviamo all’inizio una lettera dedicatoria ad Ercole I d’Este, signore di
Ferrara e ambientata in una stazione termale (i bagni di Porretta- cornice), soluzione analoga
adottata anni prima dal Sermini.
La lettera dedicatoria la ritroviamo in Masuccio Guardati, il quale però la premette ad ogni novella
fungendo così da collante e snodo nel narrare. Risulta comunque rilevante sul piano
dell’evoluzione diacronica della struttura novellistica che dopo Sermini si adotti una nuova
modalità retorica: la lettera dedicatoria come griglia introduttiva per il corpus di novelle.

Il libro di Novelle di Gentile Sermini


Un libro irregolare
La raccolta di novelle del Sermini si contraddistingue dalle opere dei primi del 400 che si pongono
in bilico tra l’autorevolezza dei modelli trecenteschi e il gusto umanistico, mentre il Sermini
assembla, quasi casualmente, esiti letterari eleganti e forme dell’oralità costituendo così un testo
di frattura. L’impianto novellistico è unitario sul piano retorico, frammentato e casuale
nell’articolazione di narrazioni e versi, le novelle infatti si susseguono secondo una modalità di

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accumulo e varietà, proprie della tradizione postboccacciana(Sacchetti e Sercambi), le novelle non
hanno una connessione tra loro.
Nel libro di Sermini troviamo novelle, canzoni, sonetti, apologhi allegorici, cronache di vita
quotidiana, racconti teatralizzati facendone un testo policentrico, asimmetrico e divagante le cui
maglie si intrecciano sul filo dell’inusuale combinazione di modi e stili, per dirla con Pasolini si ha
una disposizione a brulichio, cioè casualmente. Mentre a livello macro strutturale assistiamo alla
mescolanza, a livello micro strutturale le novelle diventano autosufficienti, sono dotate di un
autonomia formale ma fanno parte di un corpus unitario. Caratteristica che ritroveremo anche
nelle novelle ospitate nei poemi di Boiardo e Ariosto.
L’ idea di disporre novelle e versi in modi imprevedibili corrispondeva in Sermini ad una visione
non ordinata del mondo e rafforzava l’intento di trasformazione del Centonovelle; il panaretto di
insalatelle era un espressione che sintetizzava la varietas del reale e della scrittura.
Tra Sercambi, Gherardi e Sermini viene meno l’idea di vigili simmetrie letterarie e si afferma una
sintassi narrativa aperta che mescola stili non regolati che in Sermini si realizza con
l’avvicinamento di forme lontane: le epistole si mescolano con materiali comici come mimi e beffe,
le sequenze narrative si mescolano a topiche teatrali, i linguaggi del parlato si espandono nella
scrittura letteraria, sintassi letteraria e popolare.

UN GIOCO LETTERARIO
A fare da collante in questa mescolanza è la voce narrante che riduce attraverso registri di
piacevole intrattenimento e modi autobiografici e dialogici la distanza tra narratore e narratario,
tra materia narrata e atto della narrazione.
Vicende e personaggi delle novelle portano i segni del teatro comico, classico e goliardico a cui
Sermini si avvicina tramite l’uso del doppio e dell’equivoco, di modalità dialogiche e ritmi
incalzanti che incrementano lo svago dei lettori.
Sermini si muove tra norme codificate e pastiche e il mescolare forme diverse e narrare con una
libertà espressiva e storie a proprio piacimento riprende la figura decameroniana del Dioneo, che
poteva narrare novelle a proprio piacimento, quasi un farmaco di varietà per l’eventuale
stanchezza di un “ragionare uniforme” (decameron I, Concl, 12-14). Sembra dunque che per alcuni
aspetti il Dioneo del Decameron abbia offerto agli scrittori a cavallo tra il 300 e il 400 ma
soprattutto a Sermini occasioni inventive licenziose e spunti di innovazione stilistica. Venuta meno
la forza di una griglia organica si crea l’occasione per storie licenziose e nuove combinazioni
formali. Non è casuale altresì la scelta di una stazione termale come luogo in cui si immagina
vengano recitate le novelle (oralità) : uno spazio-tempo festivo che prevedeva la sospensione dei
ritmi giornalieri proprio come l’intento evasivo e ludico del narrare serminiano.

IL NARRATORE
Sin dalla lettera proemiale emerge la mescolanza tra oralità e scrittura (vedi testo pag 92), tra la
tradizione alta (la lettera) e le forme mezzane della scrittura novellistica. Il piano letterario di
fabulatio/confabulatio che è asse portante delle novelle senesi, rinvia a modi consueti dei circoli
umanistici alludendo perfino ad un versante classicheggiante di letteratura amorosa costituito da
carmi ed elegie in forma epistolare.
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Dal proemio emerge inoltre la posizione centrale del narratore, la forma soggettiva della
narrazione ottenuta tramite la lettera, ma che a differenza di Sercambi e Sacchetti si dispone in
modi linguistici quotidiani.
Nel libro di Sermini non vi sono novelle disposte per griglie tematiche e giornate come in
Boccaccio, non vi sono parti né sezioni diversificate come nel Novellino di Masuccio Salernitano,
né ricorrenze di personaggi che formano piccoli cicli narrativi, come nel trecento novelle di
Sacchetti e in Sercambi; vi è un avvicendarsi casuale di storie (ad infilzamento) in cui il
collegamento è dato dal narrante che cerca di riprodurre l’oggettività del narrato e del reale
attraverso la pluralità di lingue rappresentate.
Quella di Sermini è una scrittura che combina tra unitario e molteplice, oggettivo e autobiografico,
letterario e popolare. Lo spostamento dai locutori al narrante unico fa si che l’autore è il soggetto
che gestisce in modi visibili la narrazione.
Tra le tecniche innovative troviamo una maschera retorica dell’anonimato (forse per la materia
licenziosa che tratterà?) ma che interviene in alcune novelle come personaggio o artefice di versi e
a proposito di quest’ultimo elemento il libro del senese sembrerebbe quasi un prosimetro. I versi
hanno una funzione gnomica, esplicativa delle novelle.
Nella scrittura poetica si può rintracciare lo stesso registro affabulatorio che troviamo nella prosa,
ovvero un atteggiamento dialogico che si pone in contrasto con i prosimetri del Trecento (la Vita
Nova ad esempio). La domanda che ci si pone è vi è nell’autore un preciso intento di effrazione
della tradizione?
Il narrante riunisce nella sua figura i diversi ruoli dei locutori del Decameron: egli è auctor-
responsabile del progetto, un narratore implicito che però è pronto ad intervenire nel mondo
narrato con fare ammiccante o polemico, ma è pronto anche ad assumere un ruolo intradiegetico,
di personaggio testimone nel Gioco della Pugna, di protagonista nella novella 12, L’autore a Ser
Cecco.

UNA SCRITTURA EN BRICOLEUR


La strategia messa in atto dallo scrivente fin dall’inizio è la retorica del doppi, di malizia e di
leggerezza, realismo, esperienza, così come il rapporto distanza e vicinanza istituito tra l’autore-
mittente dell’epistola, il destinatario e una cerchia di amici con i quali lo scrivente conversa
idealmente tramite le narrazioni.
Dalla lettera iniziale (pag.99) emergono elementi importanti del libro di Gentile Sermini:
- La cornice boccacciana viene ridotta al grado minimo;
- Risalta l’allusione all’esercizio orale del novellare davanti a un pubblico signorile o alto
borghese che frequentava le stazioni termali (sentisti e in rima e in prosa dire alcune
cosette di mio);
- Tono velatamente derisorio verso ordine e simmetrie del libro boccacciano e l’adozione
consapevole di una scrittura disordinata (panaretto di insalatelle);
- emerge l’idea di sottolineare false virtù e dannose simulazioni religiose resa tramote
congiunzioni negative, anafore, metafore [la insalata biasimando a chi la colse] (pag 101) e si
legge l’intento dell’autore di difendersi dall’accusa di medietà dei temi che non sono degni di
uomini di scienza e dall’accusa di licenziosità espressiva non idonea a monache e religiosi e nel
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difendersi dall’accusa riprende e nello stesso tempo se ne discosta il decameron (conclusione,
5).
La pratica dell’excusatio dichiarata sottolinea la consapevolezza di chi scrive che l’opera è un opera
trasgressiva, che incontrerà numerosi detrattori, ma rappresenta nello stesso tempo una realtà in
cui la perfezione morale è una finzione.
L’ autore cerca la complicità del lettore , inducendolo a non sottovalutare l’infrazione delle norme
ribadendo che il comico e la scrittura “libertina”ante litteram sono funzionale a demistificare
forme simulate e finte della realtà.

UNA CORNICE MODIFICATA


Usare l’epistola come cornice per il proprio libro di novelle costituisce una novità poetica che avrà
ulteriori sviluppi futuri. Inoltre rinforza la pratica della confabulatio e suggerisce un cambiamento
culturale di rilievo, uno spostamento dall’inventio a un dialogo amicale(come suggerisce sin
dall’inizio il nome parlante del destinatario – Diletto e caro fratello- allusione al protagonista del
Roman de le Rose, Deduit), non soltanto tra autore e destinatario, ma anche tra narrante e lettore.
Rafforza inoltre spinte autobiografiche (diari,ricordi, resoconti di viaggi…) e gli investimenti
autoriali e i processi di autonomia del narrato.
Essa permette di mettere in risalto l’auctor-narrante (Petrarca) in una modalità oggettiva, la
novella, a forte dominanza del Boccaccio. L’oggettività viene garantita dalla presenza di un
narrante testimone.
La cornice del Novelliere mette in campo una dialettica interessante di procedimenti colloquali e
dinamiche recitative, l’artifizio del dialogo rafforza la finzione per cui l’autore assume i connotati di
un personaggio recitante le storie narrate; la confabulatio permette al Sermini di oscillare tra
stilemi orali e modi della scrittura, mescolando il prestigio classico della lettera al realismo comico
di oggetti umili e dismessi.
Portante è la metafora del doppio (terreno teatrale) e la retorica del travestimento a partire dal
narrante stesso.
L’occasione del novellare non è legata ad un evento drammatico, quale la peste, bensi a una
consuetudine ricreativa (gli otia di una stazione termale), che postula un rapporto svagato ed
evasivo tra reale e scrittura.
Importanti sono inoltre in Sermini i nomi parlanti e i temi di diletto amoroso.

LO SPAZIO DEI BALNEA


Lo spazio termale era già stato spazio emblematico nel Decameron (III, 6) ed era motivo di svago e
diletto erotici. Nel 400 delinea nuove forme di aggregazione sociale e culturale.
Le terme di Petriolo sono il luogo in cui si immagina vengano recitate le storie raccolte nel libro e il
luogo in cui alcune di queste accadono. L’opera è destinata ad un pubblico signorile e mercantile
dedito a cacce, banchetti, una società insomma che non vive più il conflitto tra morale religiosa e
cultura edonistica.
Lo spazio dei balnea suggerisce le modalità della comunicazione letteraria e della ricezione: è un
principio di realtà, in quanto è il luogo in cui si raccoglie parte della società, ma è anche principio
del piacere, per l’edonismo di comportamenti a cui allude.
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Anche nell’ambientazione troviamo un innovazione rispetto al Decameron, ambientato in uno
spazio simbolico e prestigioso come il giardino che pone rigide separazioni tra interno ed esterno
che non vi è nelle terme (decameron, Conclusione, 7)
Le terme sono l’icona della libertà espressiva e dell’affabulazione, diventano un aspetto letterario
di occasione e disposizione di un sistema narrativo da un lato, e forniscono un idea di pieno
godimento e funzione laica dell’esistenza.
Vi sono molti richiami lessicali con il Decameron (pag.109 sottolineato).
L’atmosfera sottesa a novelle incardinate su un asse figurativo del diletto era già presente in
Poggio Bracciolini, precisamente in una lettera che egli invia a Niccolò Niccoli , in cui tramite la
descrizione gioiosa dei bagni di Baiden, lo studioso celebrava nuovi ideali di vita liberi da
condizionamenti religiosi.
Utilizzare come ambiente le terme è una dichiarazione implicita di adesione al naturalismo, dal
momento che lo spazio termale comportava nell’immaginario collettivo scene di fisicità corporea
che sul piano ideativo e formale diventano strategie di nudità espressiva e disvelamento di false
virtù morali e religiose.

L’IMBASCIATA DI VENERE (riferimento a poliziano)


Leggere pp 113.
All’epistola proemiale si collega una prosa, l’ Imbasciata di Venere, un sogno fatto dall’autore che
si ricollega nella forma all’introduzione della Quarta giornata del Decameron, dal momento che il
sogno in entrambi i casi viene inserito in una lettera.
Nella visione vengono ripresi in modi allusivi e parodici e con l’intento del diletto elementi della
tradizione classica e cortese (Amores di OvidiO, Roman de la Rose, De amore di Cappellano, Caccia
di Diana e Amorosa visione del Boccaccio). Il ricorso al genere segnala la trasformazione del
genere in senso edonistico, vista l’attenzione a desideri e istinti naturali, si celebra l’amore come
desiderio, forza vitale e voluta, viene ripreso da Ovidio e da Virgilio l’idea di amore come passione
incontrollata, ma a differenza di questi autori non figurano in Sermini cacce iniziatiche o visioni
deputate ad una simbolica elevazione spirituale di amori terreni, bensi si attenziona
maggiormente sulle delizie del regno di Venere e si sofferma con un tono quasi malinconico agli
affanni,alla mutevolezza e all’infelicità che appartengono all’uomo, ma che può godere dell’amore
e dei suoi piaceri. Le tracce di malinconia che circolano in questa visione saranno riprese poi con
una diversa densità etica e poetica in L.B.Alberti, Poliziano e De Medici.
L’idea dell’amore che emerge è un idea fisica ecco perché vi è l’assenza delle simboliche nozze tra
eros e psiche che alludono alla mistica unione tra l’anima e dio.
Il regno di Venere con il godimento dei suoi piaceri (banchetto delle carni grasse) autorizza la
circolazione di un linguaggio dell’eros oltre i confini della moralità, è il luogo in cui non vi sono
principi morali, ma liberi desideri e pulsioni che lega questo luogo a quello della stazione termale,
che abbiamo visto è luogo di sollazzo.
La scrittura dunque sottolinea il lato materico dell’esistenza.
Non vi sono più cacce d’amore o malinconiche attese della donna amata di genere bucolico, ma
godimento di delizie corpose e il godere senza invidia di carni grasse è metafora di un esercizio del
narrare libero da vincoli che fa di Sermini un narratore fou sage, deriso e derisore
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Sermini, Pulci,Alberti, Bracciolini, Poliziano, De Medici, Ariosto e Macchiavelli sono accomunati
dall’unire il diletto comico con la pensosità:l’epilogo della favola sembra coincidere con
l’assunzione di impulsi e desideri, ma il suo senso sembra rinviare alla libertà cognitiva che va oltre
le convenzioni sociali e linguistiche.
(La figura del Panaretto di insalatella è tratta dall’autore della fabula Zapelleti, traduzione latina
della prima novella del Decameron).

TERZA PARTE- STRATEGIE COMICHE E MORFOLOGIA DELLE NOVELLE

PER SCARTABELLI E SQUARCIAFOGLI


Carte in subbuglio , orticello , insalatella (immagini della comunicazione orale quotidiana) sono
elementi attraverso i quali l’autore introduce in filo di malizioso disordine e tematizza la sua idea
di novella: scrittura svagata e polemica verso sistemi culturali paludati.
Alle immagini sopraddette se ne aggiungono altre che diventano metafora di un nuovo modo di
novellare, di nuovi dosaggi espressivi,vedi la ricetta di una salsa (pag.120) in cui emergono
elementi e oggetti di cucina e al centro l’abilità del cuoco dietro al quale si nasconde l’autore.
L’accumulo di novelle straniato e stravagante diverrà criterio retorico e tratto specifico di scrittori
come Bandello.
L’intento di Sermini è quello di comporre racconti in modo sregolato sottoforma di narrazione
piacevole e per far questo doveva adottare strategie narrative vicine agli stilemi teatrali: vi sono
beffe, travestimenti, doppi sensi, scambi di persona, effetti a sorpresa (leggi novella pag.124). Ma
questo genere di scrittura ricordiamo che è un riflesso del reale che viene comunque
comicamente deformato e il narrante non manca molte volte a prender parte al gioco narrativo
(p.124).
L’uso della lingua volgare gli permette di trattare discorsi dotati di scioltezza e verve espressiva, di
costruire storie trasgressive. A questo si lega un altro strumento del comico serminiano la
scioltezza dei ritmi narrativi e il cromatismo linguistico (vedi pag 127) Ma perché il comico? Il
comico è una strategia espressiva per poter articolare una propria prospettiva della società e tale
comicità viene resa attraverso beffe, irrisione, aderenza alla realtà parlata.
L’ intensità espressiva e la scioltezza dei ritmi e timbri nei dialoghi fa delle novelle di Sermini un
testo cerniera per il genere teatrale, in particolar modo delle commedie, che si svilupperà nel
500:la rappresentazione disinibita dell’eros, l’immoralismo diffuso, la forza teatrale dei discorsi, un
linguaggio fortemente espressivo anticipano materie e stili di scene rinascimentali, come la
Cortegiana di Aretino, ma ancor di più la Raffaella di Piccolmini che sembra riprendere figure
femminili come nonna Nuta e Monna Lionarda che danno consigli di spigliatezza erotica. A
proposito delle figure femminili, già presenti in Boccaccio, si assiste ad un evoluzione in senso
teatrale, infatti la nutrice aiutante di avventure extraconiugali, già presente in alcune storie
decameroniane , assume in Sermini i tratti teatrali della ruffiana.
Il novelliere di Sermini lontano da programmi didattici e moralistici, si muove nella via dello svago
mondano e dell’intrattenimento amichevole non senza un duplice sguardo, tra il divertito e il
riflessivo.

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UTILE DULCI
Il comico che coesiste con punte di malinconia ha l’intento di rappresentare con una certa
leggerezza la provvisorietà del mondo; inoltre il comico non si ferma al lusus ma ha anche un
intento critico, le cui tracce sono individuabili nei toni satirici e risentiti di alcuni segmenti della
lettera introduttiva, nei commenti finali delle novelle e nei versi che si affiancano alla prosa.
Esiste ancora un rapporto tra utile e dulce? Pare che questo si colga nella divisione degli elementi
della narrazione: l’argumentum, che è dedicato alla scrittura di situazioni audaci o scabrose
(dulce), e l’epilogo in cui il narrante prende le distanze dal narrato licenzioso dando una parvenza
dell’utile. Già nella lettera proemiale il narrante allude ad una possibilità terapeutica del comico
dilettoso.
Il discorso comico rappresenta velatamente l’ambivalenza del mondo: norme e valori ufficiali sullo
sfondo e imperfezioni concrete in primo piano.
L’ umanità che emerge è piena di stultitia e insania che insidia la razionalità, la cui mancanza viene
rappresentata attraverso antifrasi comiche.

FORMA DELLE NOVELLE


Nelle novelle senesi si può individuare una diversa articolazione degli spazi novellistici tra esordio,
argomento ed epilogo attraverso cui si articola il diverso rapporto del narratore con la materia
narrata (ricordiamo che nell’epilogo il narratore si distanzia dalla materia licenziosa).
Il libro del Senese presenta novelle “mezzane e lunghe” (Lasca) che si avvicinano alle misure ampie
delle spicciolate e hanno una morfologia ancora classica, di ascendenza aristotelica: prologo,
peripezia e conclusione della favola che nel corpus serminiano si dispongono così: il prologo
allinea dati temporali ambientali ma non storici, tratti culturali e semantici funzionali alla vicenda,
l’intreccio è il nucleo vitale della novella serminiana dove troviamo risorse inventive ed espressive,
l’epilogo oltre a svelare il punto di vista del narratore, conferma con i modi dialogici il processo di
trasformazione in atto. Nell’argumentum (parte centrale) la narratio brevis si dilata a causa di un
intreccio complicato e di un attenzione a personaggi secondari e azioni (es. L’autore a Ser Cecco).
Alcune novelle (la 1,4,16) presentano delle amplificazioni romanzesche per un intreccio di intrighi,
avventure, beffe; altre invece assumono dinamiche teatrali per evidenziare la falsa stabilità di
regole sociali e letterarie.
Accanto alla delectatio del racconto centrato sull’azione di uno o più protagonisti o accanto al
motto arguto si affianca sempre il diletto di un affabulazione che ama indugiare su pensieri del
narrante e stati d’animo del personaggi, inoltre si affianca anche la volontà di restituire la varietà
espressiva dei linguaggi e della società contemporanea.

MODALITA’ NARRATIVE
Il mondo narrato è costituito da favole fondate su beffe, inganni,travestimenti, ma sembra che
l’autore si sottragga al novella di motto che sicuramente avrebbe suscitato divertimento e riso. Ma
in realtà il motto è disciolto nei discorsi audaci dei personaggi capaci di trasformare limiti e
imprevisti del reale a proprio vantaggio:quindi Sermini non sottovaluta la forza della parola, ma ne
muta l’aspetto retorico, più che stringerla in uno spazio breve la distende in discorsi più articolati.
(vedi novella p.137).
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Beffe, travestimenti e intrighi implicano l’elogio dell’ingegno e della parola. In alcune novelle
(Vannino da Perugia, Silvestrino da Siena, Beltramo e Lionetta, Fioretta e frate Alessandro) i
personaggi, da cui discende il titolo della storia, sono protagonisti indiscussi e la trama si
concentra sulla loro abilità a costruire beffe o messinscene, altre volte invece il personaggio che da
nome alla novella è il beffato o ingannato (Mattano da Siena o Ruberto Camerino e maestro
gianobi che sono ingannatori derisi). L’autore inoltre nell’evidenziare le virtu dell’ingegno ne
incrementa il diletto con varie strategie: rete complicata di situazioni (Ser Pace e Masetto) o con
sorprese accattivanti (Vannino da Perugia e la Montanina) o con improvvisi mutamenti di fatti e di
stile come nella novella Suor Savina e frate gerolamo in cui alle avventure erotiche seguono
abbandoni e peripezie fino all’agnizione di un figlio mostruoso e di una relazione incestuosa.
Altra modalità delle novelle senesi è data da avventure in spazi remoti da cui emerge un percorso
erratico ed indefinito che sembra simboleggiare l’idea erratica della scrittura e del reale che il
narratore ha.
Vi è anche una trasformazione tra scrittore e materia narrata: l’autore spesso utilizza il doppio
narratore che veste i panni del personaggio testimone (Il gioco della pugna) o del locutore che
intrattiene un dialogo fittizio con amici virtuali.

TECNICHE TEATRALI
Tecniche teatrali sono già rintracciabili nella strategia colloquiale tra narratore e narratario, un
gioco retorico che ha modi di affabulazione prossimi alla recitazione; la presenza di una voce
narrante che orienta la prospettiva delle novelle adombra perfino una moderna funzione registica,
quasi fosse un operatore interno o esterno alla storia narrata che conferisce effetti scenici di
grande risalto.
Inoltre l’idea di storie destinate all’ascolto pubblico implicava anche una prossemica gestuale e
discorsiva vicino alla teatralità che viene resa ad esempio con i deittici, o con l’immediatezza
disinvolta dei dialoghi o con il ritmo del parlato. In molte novelle si sente l’influsso della commedia
plautina e del teatro goliardico latino, un processo di scrittura che si fonda sull’intento umanistico
della sperimentazione e della contaminatio.
Borsellino rintracciava “la portata espressiva di alcuni provvedimenti verbali del racconto che non
potevano essere assorbiti dal ritmo della scrittura narrativa in quanto rivelano un aspetto teatrale.

SPAZIO E TEMPO
La dimensione spaziale è l’elemento distintivo e determinante nelle varie storie narrate, mentre il
tempo traspare attraverso rifrazioni allusive che rimandano a situazioni e comportamenti vicini al
mondo del narrante e del lettore e più che indicatore di eventi storici e uno strumento
fondamentale nella delineazione del reale ambientale. Lo spazio principale è la città.
Data l’attenzione del narratore al reale sociale e culturale non stupisce la localizzazione municipale
dei protagonisti, già presente nelle novelle del Decameron, ma che acquista peculiarità in Sermini,
basti pensare a Vannino da Perugia, Silvestrino da Siena, Messere Agapito da Perugia…
Coesistono reale e fantastico: infatti anche quando ambienta le sue novelle in spazi che
riprendono l’epoca cavalleresca, i motivi cortesi, Sermini attraverso intrighi, beffe o avventure
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proprie del suo tempo, riporta la novella nella prospettiva municipale, i valori di un passato
leggendario sembrano infatti impraticabili e non a caso sono esposti ad un trattamento di
erosione radicale: ad esempio nei luoghi legati alla memoria del codice cavalleresco le virtu militari
e cortesi subiscono rovesciamenti comico-erotici o abbassamenti quotidiani.
Il tempo della storia narrata è sempre in un passato indeterminato, mentre quello del discorso
narrativo tende a spostarsi in un presente ravvicinato rintracciabile in ambienti, comportamenti,
parlate proprie del tempo di Sermini ma il tutto sempre attraverso delle allusioni che lasciano in
ombra il tempo a cui appartiene Sermini, ricordiamo infatti che lo sfumare fatti e figure
riconoscibili sia un dato testuale e ricorrente. Anche nell’epilogo il narrante dà un sigillo
attualizzante alla storia attraverso il ricorso a significati che valgono per un circolo di ascoltatori e
lettori del suo tempo.
Sermini affida alla scrittura la capacità di sottrarre alla precarietà del reale lo spazio e il tempo.

PERSONAGGI
Un ruolo centrale è svolto dai personaggi per la loro capacità di entrare nel vivo dell’azione e di
esprimere passioni e desideri tramite gesti e discorsi e anche per quanto riguarda i personaggi vi
sono figure in linea con il repertorio comico della novella ma che riportano al mondo
contemporaneo per i loro tratti sociali e linguistici.
Sono uomini e donne il cui agire è accompagnato dalla consapevolezza del proprio sentire e
fare,una saviezza che si esplica tramite la parola del narrante che rende pensieri e sensazioni
interiori dei personaggi.
Il narrante sembra avere simpatia per il personaggio giovane arguto, intraprendente e pronto a
sovvertire a proprio vantaggio le occasioni avverse dell’esistenza attraverso il suo saper fare, il suo
ingegno che gli permette di superare ostacoli e che si esplicano nella costruzione di inganni e
beffe, un esempio a tal proposito è la figura della Montanina, nella I novella, che non solo è pronta
ad una beffa ai danni del marito geloso, ma anche di dare una svolta al proprio destino
architettando un cambiamento di identità e di vita.
Ancora una volta l’intento è quello dello svago.
Importanti nel delineare i personaggi i giochi onomastici ovvero i nomi dei personaggi alludono ad
aspetti del loro carattere, come in Andreoccio, il cui diminuitivo allude alla dabbenaggine del
personaggio che, a differenza dell’ Andreuccio del Decameron, non conosce riscatto e rimane
adagiato alla sua stupidità, mentreil diminuitivo in Vannino, Montanino, Silvestrino, Giannino è
spia della loro astuzia e prontezza mentale. (vedi altri esempi pag 151)

TEMI
I temi delle novelle serminiane sono quelle della tradizione novellistica: beffe, travestimenti,
intrighi erotici, avventure ma che assumono un organizzazione teatrale per l’attenzione ad
ambienti,personaggi, gestualità,movimenti e discorsi.
La frequenza di finzioni e beffe preparate lucidamente dai personaggi filtra la prospettiva
umanistica di un ingegno capace di costruire burle, muovere le situazioni a proprio favore.
La beffa, il paradosso, i giochi sono luoghi topos di una vita mondana che sta assumendo un volto
cortigiano.
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Ma alla beffa può seguire la contro-beffa costruita dal beffato che ha la funzione di castigo sociale,
di irrisione della stupidità e di denudamento di goffe maschere e pretesti. La diffusione di questo
tema, nel primo Quattrocento, è il segno di una cultura che rivisita i modelli costruendo scenari
narrativi sul metro dell’abilità dell’individuo.
Altro tema importante è la polemica sociale e culturale verso il mondo dei contadini che ci
informa sulla posizione sociale dell’autore, il quale condivide i valori di una società borghese e
aristocratica attenta alle trasformazioni culturali e a riconoscersi nell’elogio di capacità mentali
dell’individuo, ma preoccupata dei cambiamenti sociali che insidiano il potere delle classi
magnatizie (Bartolomeo Buonsignori ,154-155); inoltre il rapporto derisorio e distante che connota
la rappresentazione dei villani lo si ritrova anche nel riportare il loro dialetto incomprensibile, cifra
della loro inferiorità.
Altro tema la satira dei religiosi che hanno stravolto il loro ministerio per fini lussuriosi o viene
denunciata nella novella II, Suor Savina e Frate Gerolamo la situazione di costrizione a prendere i
voti in cui si trovavano molte ragazze del tempo per l’avarizia del padre. Ancora una volta come
nel caso della polemica sociale contro i contadini vi è un rimando storico (scisma d’Occidente,
concilio di Pisa) e la satira dei costumi degradati dei religiosi sarà ripresa dal Piccolmini in timbri
ironici nella Crysis e in toni aspri del De curialium miseriis. La satira dei religiosi evidenziava la falsa
moralità e lo svilimento del sacro che implicava un intonazione aggressiva e risentita nel
commento finale da parte dell’autore. Altre volte però alla punizione per l’inganno ordito, segue la
peregrinazione e l’agnizione felice dell’uomo religioso che gli permette una renovatio morale
come accade nella novella XXIX Ser Meoccio ghiottone.
Altro tema è la beffa (pag 159) che fa emergere i professionisti della beffa, a cui si lega il motivo
dello scambio di ruoli, oggetti e persone (pag,160) attraverso cui il narrante evidenzia il contrasto
tra realtà/apparenza, svelare il quotidiano e dall’altro lato presentare un universo comico e
illusorio per un dilettoso intrattenimento.
L’unione tra i temi della beffa con il motivo dell’eros causa l’innovazione dell’assetto novellistico
che presenta uno spazio testuale sbilanciato verso il romanzesco.

EROS
L’eros è motivo dominante nelle storie piacevoli e poneva le novelle del Sermini nel solco di un
comico svagato e trasgressivo.
L’ eros viene presentato con una duplice angolazione: impulso naturale, occasione di avventure
dilettevoli, spettacolo di insane ossessioni ed è causa di un linguaggio del corpo disinibito e
divertito. (pag 168-169) che sarà ripreso proprio a Siena dagli Intronati (di cui faceva parte
Piccolmini) e trasformato in genere letterario nel rinascimento (genere erotico). L’incontro erotico
diventa materia verbale che descrive quasi in maniera tattica e visibile l’incontro amoroso, uno
stesso comportamento lo troveremo in Aretino e nella Venexiana.
Dunque la parola viene usata come riflettore dei comportamenti fisici dei personaggi e attivando
una modalità voyeuristica.
La frequenza di storie erotiche compone il mythos proprio della commedia in cui l’eroe giovane è
pronto a dominare la scena del mondo con l’energia dell’istinto sessuale che rovescia ogni
istituzione consolidata (matrimonio, sacerdozio) o principi morali e culturali.
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Nella novella XXXVI Monna Rosa da Siena viene amplificato un tratto già presente in alcune
novelle del Decameron, ovvero il ruolo attivo delle donne al diletto che si manifesta tramite la loro
audacia e libertà spregiudicata nei comportamenti, è la controfigura della lucidità razionale, colei
che profana norme e convenzioni consuete e l’atteggiamento del narrante nei confronti di esse è
di filoginia. L’azione femminile è costantemente legata al versante degli impulsi
amorosi:attrazione, desiderio,curiosità che sembrano rappresentare una fin amor cortese
rovesciato
È al narratore fittizio che viene affidata la responsabilità di storie scabrose, mentre l’autore si
pone nei panni di osservatore delle vicende umane (duplicità).
L’amplesso erotico viene descritto tramite metafore e allusioni che offriva la tradizione dei
fabliaux o dalle commedie goliardiche; si hanno dunque metafore d’esperienza quotidiana come
“andare in nave, cavalcare, innaffiare il giardino”, ma non mancano parole scopertamente allusive
di amplessi erotici o maliziosi giochi di parole.
Una scena topica presente in molte novelle serminiane è la bellezza dei protagonisti, il fascino
della gioventù e la forza del desiderio sessuale.
L’insistenza di scene e linguaggi erotici in realtà è un modo per rappresentare l’erosione di
simulacri sociali e letterari.
La materia amorosa si lega a una scrittura satirica, allusiva che coinvolge l’attenzione del pubblico
suscitandone il riso, un uditorio capace di recepire i doppi sensi e discorsi allusivi e a ricevere
messaggi che si associano alla prospettiva umanistica che considera le pulsioni e gli istinti come un
terreno naturale in cui rallegrarsi. Si ride per gli stratagemmi messi in atto per compiere i desideri
erotici, mentre la beffa punisce stolte pretese.
Si può pensare che lo scrittore attraverso storie scandalose racconta celatamente la realtà dei
rapporti umani e religiosi in modo disincantato e divertito. Pare che un doppio filo attraversi le
storie di incontri erotici: da un lato l’affermazione dei diritti naturali, dall’altro sdegno per le
mistificazioni sociali e religiose che traspare in novelle come Fioretta e frate Alessandro.
Interesse di Savinio (pag 172).

PARTE QUARTA- IL PIACERE DI NARRARE

Giochi di simulazione e metamorfosi


Il motivo della simulazione e della metamorfosi di identità presente nella prima novella del libro di
Sermini ritorna, irrobustito di tensioni politiche e sociali, nella Mandragola di Machiavelli, o ancora
il motivo della morte apparente che ritorna nella Cene del Lasca.
L’erosione di convenzioni sociali e letterarie nel Sermini irrompe nel momento in cui la scrittura
svela istinti e passioni dietro un pubblico decoro e mostra il labile confine tra apparenza e realtà
portando i segni di un mondo difforme rispetto ad astratti ideali; da qui il prevalere di illusione,
travestimenti, inganni, equivoci a cui corrispondono a livello testuale: iperboli,amplificatio,
parallelismi, variatio di scene.
Nella prima novella Vannino da Perugia e la Montanina si assiste ad una duplicità gia sul piano
narrativo, poiché presenta un’ampiezza di svolgimento di genere romanzesco, ma dall’altro lato
dimostra autonomia narrativa che la avvicina alle spicciolate. Emerge la teatralità nel profilo dei
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personaggi, nella varietà di voci ben distribuite tra monologhi e dialoghi al fine di catturare
l’attenzione del lettore. Tuttavia presenta motivi della tradizione che vengono rielaborati. L’
aspetto più significativo è dato dallo scambio di ruoli e identità a cui si lega anche una simulazione
di morte. La rubrica, come nel Decameron, ci informa sul luogo della vicenda, i personaggi della
storia e il loro carattere (che si delinea tramite lessemi caratterizzanti: la valente Nuta, la savia
Montanina, il semplice Andreoccio) e i poli ideativi su cui si svolge la vicenda: presenza e assenza
di virtù mentale, simulazione e metamorfosi. I lessemi che caratterizzano i personaggi sembrano
avere valenze teatrali e per tema rientra nelle novelle di beffa della settima giornata del
Decameron, ma secondo alcuni sembra riformulare elementi della Seconda e Terza giornata per
quanto riguarda il rapporto tra fortuna e virtù nello sviluppo del destino: è la sagacia mentale che
giustifica il ricorso a simulazioni ben organizzate, a stratagemmi come la morte apparente
presente ad esempio nella novelle III,8 del Decameron. Il tema del triangolo amoroso era già
presente nei medievali fabliaux.
Il desiderio che ha il giovane nei confronti di una donna sposata è il punto d’avvio della novella
intorno a cui si dispongono la prontezza mentale (spia umanistica) che finisce per autorizzare
beffe, giochi di ruolo, cambiamenti di identità. Se l’attrazione(desiderio) amorosa è il punto di
avvio della novella , il nucleo è la beffa che viene architettata con maestria e virtù che dilata
l’intreccio
Nel corso della storia fatta di frequenti opposizioni (gelosia del marito/vivacità erotica dell’amante
– vecchiaia/giovinezza – rigore/libertà) ci si sposta da una casa ad un'altra e tale mobilità diventa
metafora testuale di un racconto non depositario di verità ma aperto a possibili narrativi.
La duplicità-simulazione su cui si fonda la novella investe non solo la vicenda ma anche la parola
narrativa portando un cambiamento di statuti e confini noti.
La novella condivide con le favole teatrali la vivacità comica dei comportamenti e la mobilità delle
scene: lento nella fase iniziale il racconto subisce un accelerazione nel momento in cui viene messa
in scena la morte della protagonista con relativo corteo funebre. Anche il discorso narrativo si
alterna : lascia spazio ai dialoghi tra i parlanti, ma riaffiora nelle descrizioni ambientali e
caratteriali dei personaggi, prediligendo l’azione verbale, i discorsi dei personaggi.
Una novella di metamorfosi come questa presuppone che vi siano due livelli letterari: uno comico,
quello della beffa e un altro che evidenzia l’opposizione ai sistemi dominanti. In particolar modo
risalta l’azione della protagonista e le sue virtù mentali che le permetteranno di cambiare il suo
destino, un innovazione nei motivi e nelle forme della tradizione novellistica: inizialmente si
presenta come una donna sottomessa alla gelosia del marito che la tiene chiusa in casa al piano
superiore lontano dai contatti con la strada (alternanza tra chiuso/aperto – alto/basso) ma proprio
dalla strada giungerà l’aiutante della moglie, Monna Nuta, che l’aiuterà a ordire nei confronti del
marito un inganno irreversibile (a differenza del decameron dove gli effetti dell’inganno sono
momentanei).
La novella potrebbe articolarsi in 3 atti come un opera teatrale:
-primo atto: presentazione dei protagonisti e luogo in cui si svolge l’azione;
- secondo atto: simulazione di morte della protagonista come beffa nei confronti del marito e
metamorfosi della condizione della donna.
- terzo atto: elogio delle riuscite simulazioni dei protagonisti.
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Importante è l’attenzione del narrante alla figura maschile beffata per la sua sciocchezza che viene
più volte sottolineata dal narratore a partire dal diminutivo peggiorativo Andreoccio, che sembra
richiamare Andreuccio da Perugia del Decameron che però dimostra una crescita. Di contro vi è
Monna Nuta,donna esperta, ingannatrice che sembra figurare la lena delle commedie goliardiche,
gia presente in Boccaccio (basti ricordare la vecchia che nella novella di Andreuccio da Perugia
aiuta la giovane siciliana a tessere il suo inganno), ma la Nuta serminiana veste i panni della
plautina mezzana che prima di assecondare i desideri degli amanti, insegna loro l’arte della
simulazione. Il suo nome, come quello del beffato, è un NOME PARLANTE, da nus=mente che
pone in evidenza la capacità del personaggio di costruire inganni.
Particolare importanza hanno anche i doni che il giovane spasimante dona a Montanina, il
forzaretto e la borsa, che alludono ai giochi di simulazione che seguiranno: il forzaretto ad
esempio è dotato di doppio fondo quindi segnala i processi ideologici di duplicità e sembrano
richiamare i doni delle fiabe che hanno funzioni magiche. Alla Nuta è affidato il compito di portare
avanti l’azione.
Una seconda scena del primo atto è il consenso del priore della città a diventare
“complice”dell’inganno ai danni del marito della Montanina, che ancora una volta mette in scena
la sua dabbenaggine: il priore facendo leva sulla sciocca vanagloria di Andreoccio gli affida un
incarico fuori città. La figura del priore è evidenzia la partecipazione attiva e divertita di una
collettività alla riuscita delle beffe.
Il secondo atto riguarda l’incontro dei due spasimanti, il ritorno del marito e ,la simulazione di
morte: la prima scena è incentrata sulle galanterie dell’amante che sono lontane dai dettami
stilnovistici, a questa segue la scena centrale del letto che viene interrotta dall’arrivo del marito
della donna che oltre a costituire una spezzatura (da cui poi scaturirà il mutamento), può
rappresentare in prima istanza un danno ma che viene risolto saviamente dalla donna che facendo
leva sul suo ingegno interviene sul reale e lo modifica, inscena una morte apparente e collocando
l’amante nel baule lo fa uscire da casa affidando il baule a dei frati. Il ritorno del marito più che
costituire un esito tragico si trasforma in beffa ai danni dell’uomo e in occasione per realizzare una
vita migliore, si ha quindi un ribaltamento del danno.
La novella si presenta come un crocevia di un tema: l’amore impossibile con sviluppi tragici (quarta
giornata del Decameron) ma che qui è destinato a un duraturo sviluppo con esiti grotteschi: la
Montanina architetta una morte apparente(presente nel Decameron in Ferondo [III,8] o la novella
IV,10 o quella di Gentile de Garisendi (X,4)) e originario della cultura orientale. E’ per via della
figura femminile che l’autore opera una destituzione del principio di autorità, ma l’abilità della
donna non è percepita come minaccia al potere maschile , ma si pone come metafora delle
potenzialità del desiderio e del piacere di costruire storie.
La trasformazione della donna implica la trasformazione di registri di stile: si passa dal tono medio
e referenziale delle prime sequenze alle inclinazioni patetica della scena del finto malessere, a
quello burlesco e irriverente del corteo funebre , i cui componenti non hanno un comportamento
composto e dolente, bensì comico e la celebrazione sociale del rito funebre ha la funzione di
accentuare la pubblicità dell’evento.
Nel terzo atto si attua il cambiamento di identità, i due innamorati organizzeranno un inganno che
permetterà loro di vivere il loro amore come marito e moglie non più di nascosto, infatti il giovane
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tramite l’espediente della lettera dove scrive che per il dolore della morte della propria amata si è
trasferito a Milano dove ha incontrato una donna molto simile alla Montanina. Insieme poi
ritornano a Perugia senza che la Montanina, chiamata ora Pellegrina (simile all’attributo con cui
era stato definito l’amante all’inizio: pellegrino e che vuole indicare una circolarità all’interno del
testo presente anche nella festa a cui partecipa la donna al suo rientro che sembra rievocare il suo
corteo funebre) venga riconosciuta, sembra che il solo travestimento linguistico (la Montanina
finge di non capire il dialetto perugino) non implica un mutamento corporeo.
La Montanina si farà riconoscere solamente dalla mamma facendo si che quest’ultima possa
abitare in casa della nuova coppia senza che i concittadini e i parenti abbiano sospetti.
La metamorfosi si riflette sul piano retorico: strategie testuali indirizzate al doppio teatrale
anticipando successi come la Calandria di Bibbiena o la Mandragola. Ma ciò che colpisce è che il
comico presente nella metamorfosi presenta i tratti di nuove strategie narrative.
SOMIGLIANZE CON HISTORIA DE DUOBUS AMANTIBUS DI PICCOLMINI:
- Triangolo amoroso
- Desiderio erotico che spinge alla trasformazione della vita dei personaggi: positiva in
Sermini, tragica in Piccolmini
- Motivi comuni:attrazione della bellezza femminile, i doni come pegno d’amore, la lena
come aiuto delle amanti, ma rifiutata dalla protagonista del Piccolmini, la gestione della
vicenda tutta nelle mani delle due protagoniste, ritorno del marito con nascondimento
dell’amante.
- Consapevolezza femminile di agire per modificare il proprio percorso di vita.
- Strategie narrative comuni: lettere poste nel corpus della novella, funzione intradiegetica
del narrante che interviene nel narrato con commenti ironici in Sermini, malinconici in
Piccolmini.
- Motivo della morte
- La storia di amore ha effetti irreversibili: felici e comici in Sermini, infelice e tragica in
Piccolmini.

ESPRESSIVISMO LUDICO NEL GIUOCO DELLA PUGNA


Dopo le prime sei novelle il lettore assiste ad una variatio rispetto alle storie precedentemente
narrate, che riguarda un evento pubblico di rilievo ai tempi del narratore e del narrante, segno
dello spostamento del novellare verso esperienze e momenti del proprio tempo, dunque
l’attualità non è più confinata alla cornice ma diventa materia di racconto il che segna una novità
che già è anticipata nell’indicazione con cui rubrica queste pagine “DESCRIZIONE”. Il narrante è
testimone e redattore dell’avvenimento che sta narrando. Anche qui troviamo la volontà
dell’autore di inglobare materiali di varia provenienza e il piacere di trasgredire confini predefiniti:
il discorso testuale oscilla fra descrizione e linguaggio quotidiano ricostruito dalle voci dei
personaggi.
Il GIUOCO DELLA PUGNA è una scrittura reportage che teatralizza un evento sportivo: la
conversazione dei senesi che assistono al gioco è riportata dal narrante come se si trattasse della
moderna radiocronaca di un evento sportivo. La teatralità emerge anche dalla capacità che ha la
pagina scritta di restituire oltre la sonorità dei fonemi anche la mimica gestuale tanto che sembra
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di poter seguire i gesti dei parlanti e le diverse intonazioni dei parlanti che causano plurilinguismo.
Sembra un’ anticipazione della lingua scapigliata di Aretino.
Il gioco della pugna è un vero e proprio manifesto dell’oralità al cui fondo, tramite la mistione di
sintassi popolare e lingua media, è riconoscibile una strategia comica con cui rappresentare la
garrulitas popolare che viene assunta come materiale di diletto con lo scopo di suscitare stupore e
complicità con il lettore. Vi è dunque un taglio teatrale e un lessico espressivista che recita i
discorsi del popolo e che contrasta con la tradizionale compatezza stilistica.
Il narrante presenta un angolazione esterna quando riprende con cura il contesto sociale ed
umano dei senesi che assistono al gioco, interna nel momento in cui si muove come personaggio
insieme ai parlanti della scena descritta.
Il criterio della trascrizione sintattica e ritmica del parlato con fonemi esclamativi e interrogativi
prolungati, lessemi ripetuti, trascrizioni gestuali, avvicina il testo del Sermini alle prediche di
Benardino la cui cifra stilistica consiste nell’oralità che non si lascia dominare dalle convenzioni di
un codice scritto.
La dispositio fàtica, la mimica gestuale, la lingua del popolo non solo hanno intenti teatrali ma
sono i veri protagonisti ed è per questo che non è necessario che i protagonisti siano connotati
nominalmente. IL PROTAGONISTA E’ IL PARLATO, IL LINGUAGGIO POPOLARE CON LE SUE
VARIAZIONI E SFUMATURE.
Del linguaggio quotidiano fanno parte i ritmi paratattici, ora accelerati ora spezzati, la vitalità della
comunicazione e la presenza di forme popolari, il ritmo è scandito dal sovrapporsi di voci ben
definite ma anonime e per dare il senso della vivacità espressiva e della mobilità dei personaggi ,
l’autore sembra avvalersi di strategie di ekphrasis.
In questa novella notiamo come la città è lo spazio privilegiato del suo mondo inventivo, diventa
materiale di intenti burleschi e tecniche scenografiche : la vita municipale è il punto di riferimento
del Sermini. Dopo il gioco l’attenzione del lettore si concentra sugli umori del popolo che si schiera
per le varie brigate e l’occasione di cronaca cede il passo a riflessioni e malinconie del narrante.
A proposito della scelta della lingua popolare e delle fenomenologia popolare si parla di discorso
transitivo proteso al massimo di oggettività.
Anche se nella descrizione del Giuoco lo sguardo del narrante non è quello che domina dall’alto
nemmeno si può dire che sia quello del basso popolaresco e gergale, bensì il narrante si colloca
lateralmente mimetizzandosi con il popolo ma mantenendo un personale profilo che emerge con
funzione commentativa al termine delle sequenze dialogiche.
La lingua del popolo viene anche riprodotta ma con toni ironici e satirici nella novella XII (L’autore
a Ser Cecco) con lo scopo di divertire il pubblico aristocratico (per la trama vedi pag.210): il comico
di queste pagine risiede infatti nella resa del lessico dialettale che viene pero deriso dal narrante.

CITTA’ – CAMPAGNA
L’ opposizione lingua/dialetto si lega al tema della beffa per incrementare la satira nei confronti
del contado , manifestando così la distanza tra villani e signori.
La beffa ai danni del villano rappresenta più che altro un castigo sociale per la sua azione sbagliata
contro il suo “signore o padrone” (vedi storia pag 212), mentre nella novella del Mattano da Siena
alla RUBRICA CHE MANTIENE SUL MODELLO BOCCACCIANO UN REGISTRO INFORMATIVO E
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REFERENZIALE, segue un apologo ironico in cui il narrante prende le distanze dall’atteggiamento
del protagonista e accorda la beffa a suo danno,considerando Mattano alla pari di Calandrino, un
uomo sempliciotto che si fa beffare credendo di ricoprire cariche pubbliche in città da villano e
viene incoronato con il cappello papale da cui emergono due orecchie d’asino, questo può far
pensare a una satira politica e religiosa , un allusione al pontificato di Eugenio IV , eletto alla fine
dello scisma nel 1431.
Nella novella XXXII torna il dibattito politico del tempo che riguardava il contrasto circa il
concedere la cittadinanza agli stranieri, poiché la mistione di cittadini e ordini nuovi
rappresentava per la classe signorile una minaccia e su questa linea sembra disporsi anche
Francesco Patrizi nel De istituzione reipublicae.

UNA LEPIDA “COMMEDIA DEGLI EQUIVOCI”


La riconferma di una struttura signorile che si sarebbe imposta come forma politica di governo,
diventa un tema novellistico che puntualizza più volte la superiorità culturale della classe egemone
rispetto ai villani, la cui esclusione e sottomissione sociale (novella III) diventa necessaria.
In questa novella si assiste ad una scena di vita quotidiana in un centro termale e ad una beffa il
cui svolgimento pone in opera personaggi della commedia latina come il servo astuto che inganna
e deride per conto o in favore dei padroni giovani, ma pronto a incarnare passioni e idee del
tempo di Sermini: i suoi gesti e le sue parole “nascondono” il gusto della sorpresa e dell’equivoco
su cui costruire una scena di errori, nonché il nucleo dilettoso della storia. Da questa discende il
comico del discorso che assume il rilievo coloristico del parlato, del gergale che attiva meccanismi
teatrali e che rende visibili sia le avventure del vivere quotidiano e la distanza del narrante. Il
protagonista è un giovane vanitoso che simula un tenore di vita non suo e che per tal motivo è
destinato ad una beffa che ancora una volta risulta un castigo sociale.
A livello nella diegesi si ha un uso narrativo dell’imperfetto , intercalato alle sequenze dialogiche e
disposto come vera e propria didascalia.
Bindaccino crede di poter vivere da signore tramite sotterfugi e viene definito dal narrante sciocco
e vanitoso.Il taglio teatrale è dato dai giochi dei desideri, il risentimento dei giovani della brigata
per i sotterfugi e l’ambizione di Bindaccino, l’ideazione e l’organizzazione di una beffa impietosa
attuata dal cuoco della stazione termale; mentre il rapido svolgimento della vicenda, la presenza di
un dialogo propone una commedia di equivoci insistendo sul lato grottesco della situazione, sul
disvelamento e la punizione della vanità del protagonista, il tutto ottenuto attraverso una verve
comica (vedi pag 220).
Il tema della beffa dunque assume la forma di una polemica sociale e tende all’affermazione di un
mondo cosciente del proprio ruolo e delle funzioni guida depositate nella ricchezza, saviezza e
ingegno. L’esito riuscito della novella risiede nell’intersezione di piani espressivi: da un lato l’oralità
viva del quotidiano con una forte intensità espressiva, dall’altro una scrittura che riformula un
accadimento di vita quotidiana nei ritmi di una farsa tramite un mimetismo di gesti e parole di
qualità scenica, piuttosto che narrazione.
Il taglio teatrale nelle novelle del Sermini è dato da un linguaggio variegato che ingloba i modi del
dialetto e del gergale.

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STORIE DI AMICIZIA
Sono poche le novelle del Sermini che trattano il motivo dell’amicizia, ma una in particolare la
XVIII Giannetto, Pellegrino e Graziella (rielaborazione della novella X 8 del Decameron) svolge il
motivo in esame mescolandolo a motivi erotici già esplicitati nella rubrica e a motivi cortesi
risalenti alla duecentesca Chanson d’ Ami et Amile da cui tra l’altro riprende funzioni narrative,
ambienti e personaggi. Vi sono però strategie comiche di effrazione del codice cortese che slitta
verso il realismo parodico.
Nella novella viene ripreso il motivo , caro all’epica, dell’amicizia ai limiti del gemellaggio,
supportata anche da una comunanza di valori e comportamenti. Siamo nella corte regale di
Francia.
Non una vicenda bellica,né un torneo d’armi attiva il racconto dell’amicizia esemplare, ma come
in Boccaccio, il desiderio d’amore.
La similarità presente nel rapporto amicale si sviluppa anche nell’intreccio come sdoppiamento o
assimilazione di caratteri e azioni: è la rassomiglianza di carattere e modi che genera un intreccio
di azioni speculari che giungono alla fusione completa tramite l’amore per la stessa donna.
Giannetto e Pellegrino si innamorano della stessa donna e nasce uno scambio erotico che però a
differenza delle altre novelle dello stesso Sermini in cui è presente, assume qui modalità cortesi:
inizialmente Pellegrino rinuncia al desiderio per la donna per mostrare lealtà all’amico e anche
quando può l’amico Giannetto viene indiziato per omicidio, pur avendo ottenuto l’amore della
donna, Pellegrino uccide il principe che aveva offeso Giannetto e confessa al re la propria
responsabilità come giusto tributo d’affetto ad un amico al quale deve un dono più grande, l
amore per Graziella.
Altra novella che mette in scena il tema dell’amicizia e della liberalità intrecciandolo con l ‘amore è
la XIV Anselmo Salimbeni e Angelica Montanini. Angelica e il fratello Carlo sono orfani e in seguito
ad un errore Carlo viene imprigionato e condannato al taglio della mano se non avesse pagato la
multa onerosa, interviene così l’amico Anselmo che paga il debito di Carlo e gli restituisce la
libertà. Carlo per ricambiargli la cortesia le da in sposa la sorella, la quale rinuncia al proprio onore
accettando quanto il fratello aveva concesso all’amico , decretando l’esito felice di una vicenda
che oscilla tra il patetico/ il tragico e il realistico. La fine della novella riprende (procedimento del
tutto inusuale) l’ultimo segmento della rubrica (vedi pag 226); rubrica e conclusione mettono il
lettore nella condizione di seguire l’ambivalenza tra cronaca, elegia e quaestio d’amore, non
rinunciando alla possibilità di inversioni comiche di principi e virtù e intrattenendo così il lettore.

LA MASCHERA DEL DILETTANTE


Il libro di novelle del Sermini è un libro di esplorazioni non geografiche, ma dell’umano , del
quotidiano, dei desideri, delle simulazioni, delle ossessioni erotiche (libro di piazza e di camera
come viene scritto nella lettera proemiale). Il novelliere si presenta come un campo di forze in
tensione controllato dal narratore in tutte le sue fasi retoriche dietro una maschera di divertito
dilettante.
Vi è un narrante unico (tensione all’autobiografia e a forme mimetiche di azioni e situazioni) a cui
si associa una pluralità di materiali e stili narrativi , una polifonia di voci e ricerca di complicità nei
lettori.
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L’opera è focalizzata sul comico burlesco, ma non distante da tensioni intellettuali umanistiche,
come lo sguardo scettico e arguto verso un reale non stabile, che può cambiare. Si avverte nelle
sue pagine non solo il lusus, del diletto, ma anche la malinconia che porta a sottrarre il proprio
tempo e la propria opera alla precarietà, salvando sulla pagina parte di una realtà umana e
letteraria.

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