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di Mario Macioce
La metrica italiana si basa sugli accenti: se gli accenti principali cadono nei
punti giusti, il verso ha un bel suono, armonioso, tende a fissarsi nella
memoria.
Se gli accenti sono fuori posto, il ritmo dissonante o manca del tutto, e il
"verso" suona come una semplice frase in prosa.
Cominciamo con un esempio (segnando gli accenti metrici per renderli
evidenti):
Tanto gentle e tanto onsta pre
la donna ma quand' ella altri salta ..
(Dante Alighieri)
La mia donna quando saluta altrui
pare tanto onesta e tanto gentile ..
Nella trascrizione ho salvato quasi del tutto le parole, e anche la lunghezza dei
versi, che sembrano ancora due endecasillabi. Ma chiunque abbia un minimo
di sensibilit non pu non avvertire che fra le due versioni c' un abisso, ed
improprio parlare di versi, dove la musicalit assente.
La rima non c'entra nulla con la metrica, cio con il ritmo del verso, ma
un ulteriore abbellimento (quando bella!).
Ma attenzione! Se metrica e rima sono sbagliate o sciatte, il risultato
negativo. In particolare meglio evitare l'uso della rima se non si imparato a
dare al verso il ritmo, i giusti accenti: la rima, in un testo che di fatto in
prosa, ha in genere un effetto sgradevole.
Due parole rimano fra loro se le ultime lettere dell'una e dell'altra sono
tutte uguali a partire dalla vocale tonica , cio quella su cui cade l'accento.
C' bisogno di dire che l'accento il particolare rafforzamento della
voce su una delle vocali quando si pronunzia una parola? E che molto
importante, perch pu anche cambiare il significato? Ad esempio cpitano,
capitno, capitan: la prima parola voce del verbo capitare, la seconda
un grado dell'esercito, la terza viene dal verbo capitanare. Ma questo si
sa, e quindi non lo dir!
(Il giochetto si chiama preterizione, quando si finge di non voler dire
una cosa che in realt si dice. Ma questa un'altra storia).
Tornando alla rima, cure fa rima con amre , blla con stlla , mdico
con prdico (questa una rima sdrucciola, perch si dice sdrucciola la parola
in cui l'accento cade sulla terzultima sillaba), l con piet e fur con fir (e
queste ultime due si chiamano rime tronche, perch la vocale accentata
nell'ultima sillaba, e quindi le parole si dicono tronche).
Due versi poi sono rimati fra loro, se terminano con due parole in rima.
Esempio:
Il vento sparso luccica tra i fumi
della pianura, il monte ride raro
illuminandosi, escono barlumi
dall'acqua, quale messaggio pi caro?
(Mario Luzi)
in cui il primo verso rima con il terzo, e il secondo con il quarto.
SILLABE E ACCENTI
Nella metrica italiana valgono gli accenti e la lunghezza dei versi. Quindi per
riconoscere o per comporre i versi, occorre anzitutto saper contare le sillabe.
Facciamo un esempio (Dante, Inferno I,4):
Ahi quanto a dir qual era cosa dura
Questo, per la metrica, un endecasillabo, cio un verso di undici sillabe,
eppure per la grammatica le sillabe sono ben 14 (e le vocali addirittura 16).
Vediamo di capire che cosa accade. Prendiamo ad esempio queste due parole:
dolce amore ... (dol-ce a-mo-re)
Per la grammatica le sillabe sono 5; ma per la metrica sono solo 4,
perch nella pronuncia l'ultima vocale di "dolce" si fonde con la prima vocale
di "amore" in un unico suono.
Questo fenomeno si chiama elisione o sinalfe , ma non importante il
nome, quanto sapere cosa avviene.
Avverto che le regole di cui parliamo ammettono eccezioni; ovviamente
il poeta libero, per cui pu applicare o non applicare una certa regola, anche
se scrive in metrica, e spesso anche i grandi l'hanno fatto. La libert per,
come sempre, ha un prezzo.
In questo caso, per esempio, un autore potrebbe contare quelle sillabe
come 5, per esigenze di verso, facendo una pausa nella lettura fra le due
parole e staccandole bene. Liberissimo! Il prezzo da pagare che un altro
lettore, ignaro, pronunzierebbe nel modo pi naturale e il verso suonerebbe
sgradevolmente sbagliato.
Anche all'interno di una parola due vocali a contatto danno un unico
suono (e contano quindi come una sola sillaba), non soltanto quando lo sono
per la grammatica (dittongo), come nella parola "le-zio-ne", ma anche in altri
casi, come nella parola "Pao-la".
Se, al contrario, si vuole contarli come suoni - e sillabe - separati, nel
secondo caso si pu fare senza problemi; un po' meno se si tratta di spezzare
un dittongo (le-zi-o-ne); spesso in passato si avvisava il lettore mettendo due
puntini sulla "i".
Nel verso di Dante sopra citato c' un caso particolare: nella parola "ahi"
c' addirittura una consonante tra le due vocali; ma poich "h" muta, nella
pronunzia le vocali si trovano a contatto e si fondono in un unico suono;
questo conferma che per la metrica conta l'orecchio e non la grammatica.
Ancora pi varia la situazione quando si incontrano tre o pi vocali,
come per esempio in: "vi-zio e ar-dore".
Queste quattro vocali di seguito possono essere considerate un unico
suono, e quindi dal punto di vista metrico una sola sillaba, oppure possono
essere separate, facendo una breve pausa nella pronunzia. In questi casi, pi
ci dipende dal fatto che gli accenti, e in particolare quelli delle parole
pi importanti e significative (cammino, esistenza, trovai, selva) che si
pronunziano con pi rilievo, non sono nelle posizioni giuste per dare
musicalit: occorre quindi spostare o cambiare qualcosa, facendo per
in modo di avere comunque due endecasillabi. Sembra difficile, ma con
un po' di pratica (e di orecchio affinato da buone letture) non lo poi
troppo.
Certo se si pretende di imparare a fare versi leggendo le opere tradotte di
autori stranieri, l'orecchio non si far mai, dato che ovviamente si tratta
di versioni in prosa italiana, e quindi prive non solo del ritmo, ma spesso
anche dello stile originale (nella traduzione di parole ed espressioni,
specie poetiche, si perdono o si stravolgono quasi tutte le sfumature).
I versi dunque si distinguono dal numero delle sillabe, non contate con le
regole della grammatica, ma secondo il suono.
I versi di solo due o tre sillabe, sono in realt frammenti; la loro brevit non
permette di avere un ritmo, una scelta di accenti, e quindi non si pu
creare una musicalit. Si possono eventualmente intercalare ad altri
versi pi lunghi, per dare effetti particolari o sottolineare una parola o
un'espressione.
I primi versi veri e propri sono i quadrisillabi (o quaternari), poi i quinari (5
sillabe), i senari, e cos via, fino agli endecasillabi (11 sillabe) che sono i
pi lunghi usati nella poesia italiana di ogni tempo. Ci sono poi i versi
composti, dal doppio quaternario al doppio settenario, fino a tutti i
possibili abbinamenti di versi uguali o disuguali.
Nella poesia del Novecento sono presenti spesso anche versi pi lunghi
dell'endecasillabo o versi composti, dato lo sperimentalismo che stato
in voga specie nella prima met del secolo e la ricerca (spesso non
riuscita) di una musicalit nuova, svincolata dalla tradizione.
Per il miglior ritmo, e quindi la migliore armonia dell'intero brano, ciascun
verso deve avere gli accenti in determinate posizioni.
Facciamo una tabella, ma chi non conosce gi la metrica non perda tempo a
cercar di capirla: torner utile poi, quando si saranno chiarite le cose,
soprattutto con gli esempi.
Verso
Numero sillabe
Quadrisillabo
(o quaternario)
1 (o 2)
Quinario
1o2
Senario
2 (o 1 o 3)
Settenario
1o2o3o4
Ottonario
(1)
(5)
Novenario
Decasillabo
10
10
oppure
10
meno freq.
10
molto raro
10
11
piani, per dare al testo un'ulteriore coloritura musicale che, con la metrica e la
rima, contribuisce a creare l'armonia propria di questa composizione.
Senario
.....
Un popolo pieno
di tante fortune,
pu farne di meno
del senso comune.
Che popolo ammodo,
che Principe sodo
che santo modello
un Re travicello.
(Giuseppe Giusti)
Osservazioni:
- Anche il senario un verso molto ritmico e "popolare", pi adatto per
argomenti satirici o comunque leggeri.
- Gli accenti principali sono sulla seconda sillaba e sulla quinta.
Settenario
Dopo l'endecasillabo, il verso pi usato e pi bello della poesia italiana;
anche abbastanza facile, perch, dei due accenti, il primo pu essere su una
qualunque delle prime quattro sillabe (l'altro, come sempre, sulla
penultima); quindi molto difficile fare un settenario sbagliato.
Chi non pratico di metrica e vuole provare, potrebbe cominciare proprio con
una poesia in settenari, magari cercandone una in qualche antologia e
provando poi a cambiare le parole, mantenendo ... la musica.
Il fatto poi che gli accenti possano essere in posizioni diverse, pur mantenendo
la musicalit, fa s che una poesia in settenari abbia un ritmo vario, non
eccessivo, di gusto moderno. (A maggior ragione la stessa cosa si dir
dell'endecasillabo).
L'albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
.....
(Giosu Carducci)
(4) 6
Dirama solitudine
(3) 6
Dell'autunno gi libero?
.....
.....
(Giuseppe Ungaretti)
Osservazioni:
- Accanto ai versi segnata la posizione delle sillabe con gli accenti principali;
ci sono, in questi esempi, tutti i casi possibili.
- A volte molto chiaro quali sono gli accenti principali: nel primo verso di
Carducci, le parole "a" e "cui" sono senza dubbio meno importanti, mentre
"albero" e "tendevi" sono quelle che esprimono il concetto; dunque i loro
accenti sono anche gli accenti principali del verso, e poich si trovano nelle
posizioni giuste, il verso suona bene. Nel primo e nel quinto di Ungaretti
invece la situazione pi ambigua: vi sono pi parole significative, che
lasciano qualche incertezza sul modo di leggere; ma nel quinto verso, ad
esempio, che si preferisca appoggiare la voce pi su "" o pi su "primo",
secondo la sfumatura che si vuol dare alla frase, non fa differenza per la
metrica: in tutti e due i casi gli accenti sono giusti, e che ce ne sia anche un
altro non disturba, anzi arricchisce la melodia. Poi, conoscendo Ungaretti, si
pu pensare che la cosa non sia casuale, ma faccia parte della sua tendenza a
spezzare e ricomporre la metrica tradizionale, in cerca di sonorit nuove.
- Il quarto verso di Carducci tronco; infatti (per un gioco di rime con le strofe
seguenti) stata fatta cadere la "i" finale e l'ultima parola da piana diventata
tronca: per la metrica non cambia nulla: come se la sillaba mancante, dopo
l'accento, ci fosse lo stesso. (Naturalmente "bei" si conta come un unico suono
e cos anche "fior").
- All'opposto, il quarto e il sesto verso di Ungaretti sono sdruccioli, poich
l'accento finale cade sulla terzultima sillaba; quindi c' una sillaba in pi, ma
le ultime due dopo l'accento contano per una.
Ottonario
- Il fatto che gli accenti siano ad intervalli regolari, ogni tre sillabe, e che tutti
i novenari, normalmente, abbiano gli stessi accenti, d a queste composizioni
una musicalit molto ritmata e ripetitiva.
Decasillabo
L' han giurato. Li ho visti in Pontida
convenuti dal monte, dal piano.
L' han giurato, e si strinser la mano
cittadini di venti citt.
(Giovanni Berchet)
- Il decasillabo ha gli accenti principali su terza, sesta e nona sillaba (esistono
alcune varianti, ma sono poco usate).
- Anche qui gli accenti sono ad intervalli regolari, ogni tre sillabe, e vale
perci la stessa osservazione fatta per il novenario.
- Notare l'ultimo verso tronco e quindi formato da solo nove sillabe.
Fino ad ora abbiamo visto dei versi che, ad eccezione del settenario, hanno gli
accenti molto regolari e praticamente obbligati. Questo fa s che le poesie
risultino assai ritmate. Ci non necessariamente un male, anzi! Il cervello
entra, per cos dire, in risonanza con l'andamento musicale dei versi e l'effetto
pu essere gradevole.
Nella lettura per occorre evitare i due errori opposti: quello di fare
un'eccessiva cantilena o quello di uccidere ogni musicalit per voler essere ...
moderni a tutti i costi, leggendo il testo come fosse una prosa.
Non un caso per che i versi pi usati della poesia italiana di tutti i tempi
siano il settenario e soprattutto l'endecasillabo, poich hanno il pregio, se fatti
bene, di essere musicali, ma non troppo ritmati, anche perch possibile
alternare vari schemi di accenti (non qualunque schema, per!) senza perdere
l'armonia.
Endecasillabo
Questo, come ha affermato lo stesso Ungaretti, "lo strumento poetico
naturale della nostra lingua", e non si potrebbe dir meglio.
Gli accenti principali (fermo restando che uno sempre sulla penultima
sillaba, in questo caso la decima, e che se un verso ha l'ultimo accento sulla
decima un endecasillabo) possono avere tre schemi: sesta sillaba e decima
oppure quarta, ottava e decima oppure quarta, settima e decima.
Ma attenzione! I primi due schemi si possono mescolare fra loro senza
che si notino differenze; il terzo invece (quarta, settima e decima) comporta
un cambiamento di ritmo che un orecchio un po' sensibile avverte. Ci
dovuto al fatto che in questo caso gli accenti sono ad intervalli regolari e si
torna al tipo di musicalit del novenario o del decasillabo.
Sarebbe meglio quindi usare questo schema, come fanno in genere i
Grandi, dove si vuole davvero accentuare il ritmo (vedremo gli esempi),
oppure usarlo da solo, senza alternarlo agli altri, e allora si avr una poesia
piuttosto cadenzata, ma gradevole, e senza salti di tono.
Questa per una finezza; i moderni spesso si concedono ben altre
licenze, per cui si pu dire, in prima battuta, che quei tre modelli vanno
comunque bene. Ogni altro schema, invece (accenti principali sulla terza o
sulla quinta sillaba, oppure sulla quarta ma senza altri accenti forti fino alla
decima, etc.) non va bene: il risultato un verso che piuttosto una semplice
frase.
Se si vuole fare poesia in metrica, bisogna cercare di farla come si deve;
altrimenti conviene seguire la moda, cos diffusa soprattutto fra i poeti
amatoriali, del "verso libero", che si chiama cos proprio perch libero da
qualunque regola metrica, esattamente come la prosa.
(Il "verso sciolto", invece, che quello usato, per esempio, da Leopardi e
spesso anche dai vari Saba, Montale, Gatto, etc., tutt' altra cosa: un vero
verso, con gli accenti al posto giusto e quindi con la giusta musicalit, per
"sciolto" da uno schema fisso di strofe e di rime - le rime, se ci sono, sono
casuali - e spesso utilizzato, specie dai moderni, mescolando versi di varia
lunghezza: " polimetro ").
E veniamo agli esempi (tralasciando Dante e Petrarca, perch scontato
ricorrere a loro per l'endecasillabo, e citando invece i moderni). Negli
endecasillabi, che sono formati da molte parole, ci sono anche altri accenti,
oltre a quelli metrici, ma ci che conta che ci siano gli accenti giusti nei
posti giusti; gli altri in pi non disturbano, anzi creano una variazione
musicale che evita alla poesia di essere cantilenante. (I numeri indicano la
posizione delle sillabe con accenti metrici).
La bella bimba dai capelli neri
10
10
10
10
10
10
10
10
10
10
10
10
10
10
10
10
10
(Mario Luzi)
Si noti in quest'ultimo brano la rima irregolare tra " vivere " e " brivido ": la
vocale tonica (cio con l'accento) la stessa e cos la consonante che segue,
ma cambiano le lettere successive; questo nel caso delle rime sdrucciole non
turba l'armonia dell'insieme. (Nella stessa poesia c' un altro esempio, ancora
pi ardito, tra " immagini " e " traggono ", mentre tutte le altre rime sono
perfette).
Cos non fu, perch le mie
parole
10
10
10
10
(Sandro Penna)
Qui l'ultimo verso (accenti sulla quarta, settima e decima) rompe il ritmo
precedente, ma ci in accordo con il testo, perch si presta a sottolineare,
- un grand'uomo tra idioti o un povero folle per insegnare ai suoi tanto silenzio.
(Cesare Pavese)
Questi sono tutti versi di tredici sillabe (formati da settenari pi senari
dal ritmo perfetto) salvo il terzultimo di 16 sillabe (ma un settenario pi un
novenario) e l'ultimo, che un normale endecasillabo. C' una rottura del
ritmo, nell'insieme della poesia, data da questi due versi differenti dagli altri.
Del resto una delle caratteristiche tipiche di molti autori moderni
quella di alternare versi classici, dalla musicalit perfetta, (magari anche
spezzati su due o tre righe, come per non farli riconoscere - vero, Ungaretti?)
con versi volutamente dissonanti, alla ricerca di nuovi effetti cromatici, per cui
non ci sono, per i versi di 12, 13, 14 o pi sillabe, regole costanti,
comunemente accettate.
L'unica regola, se non si vuol fare a meno di usare versi molto lunghi e
per ci stesso prosastici, cercare ad orecchio un effetto melodico che sollevi
i versi dalla piattezza di un semplice susseguirsi di frasi.
I versi composti
Tralasciando tutte le varie combinazioni possibili, dal doppio quadrisillabo al
doppio quinario, a tutti gli abbinamenti di versi di lunghezza differente,
vediamo i pi usati.
Doppio senario
Il sole declina - fra i cieli e le tombe
Ovunque l'inane - caligine incombe.
Udremo sull'alba - squillare le trombe?
(Gabriele D' Annunzio)
Ciascuna met di questi versi (che ho diviso con una lineetta per evidenziare
le due parti) pu essere vista come un normale senario, con gli accenti sempre
sulla seconda e sulla quinta sillaba.
Doppio settenario
E' detto anche "alessandrino" oppure "martelliano", dal nome del poeta che lo
lanci nella poesia italiana, imitando l'alessandrino francese. Se ne trovano
pochi, e isolati, nelle poesie del Novecento.
Forse un mattino andando - in un'aria di vetro
(Eugenio Montale)
I pontili deserti - scavalcano le ondate
(Mario Luzi)
Doppio ottonario
Anche questo verso raro nel Novecento.
Intorno
circola ad ogni cosa
un' aria strana, un' aria tormentosa,
l' aria natia.
La mia citt che in ogni parte viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.
(Umberto Saba)
Ci sono, anche in questo breve brano, quattro tipi di versi: trisillabo,
quinario, settenario ed endecasillabo.
Di fatto un polimetro anche la notissima Meriggiare pallido e
assorto ... di Eugenio Montale, in cui si susseguono novenari, decasillabi ed
endecasillabi, raggruppati per in strofe: tre quartine di versi rimati tra loro,
con rime normali o ipermtre (vccia - intrcciano), culminanti nell'ultima
strofa, di cinque versi, con un raffinato e originale gioco di rime e consonanze,
che rendono unica questa poesia.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com' tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Abbiamo visto alcuni polimetri rimati. Ma spesso i poeti del Novecento
non usano la rima, pur usando quasi tutti, in un modo o nell'altro, la metrica.
Fra gli infiniti esempi che si possono trovare, ne citer solo un paio.
.....
Ora passa e declina,
in quest' autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.
(Vincenzo Cardarelli)
Questi cinque versi sono tutti differenti fra loro: due settenari, di cui uno
sdrucciolo, un endecasillabo, un doppio quinario (l'ultimo) e un ottonario (il
secondo).
Qui l'ottonario ha uno schema particolare, con gli accenti principali su
quarta e settima sillaba; esiste anche una variante con accenti su seconda e
settima. Non ho messo questi schemi nella tabella dei versi (vedi schede 1 e
2), perch non sono "tradizionali"; li usano molto per i poeti del Novecento,
come Onofri, Rebora, Cardarelli, Quasimodo, Caproni, Sereni, Luzi ed altri;
talvolta anche Montale.
L'ottonario classico ha un ritmo cos accentuato che nel Novecento
stato usato quasi soltanto per filastrocche, come quelle che sui giornalini, in
mancanza di televisione e relativi cartoni animati, narravano ai bimbi di
qualche decennio fa le storie del Signor Bonaventura e di Sor Pampurio.
Questi schemi, invece, che hanno una buona musicalit, ma non sono troppo
ritmati, permettono all'ottonario di essere a pieno titolo tra i versi tipici dei
polimetri moderni, che si vogliono musicali, ma non in modo eccessivo.
San Martino del Carso
Di queste case
non rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
E' il mio cuore
il paese pi straziato
(Giuseppe Ungaretti)
(Non ho messo punteggiatura, come ha fatto il Poeta per un vezzo giovanile,
poi abbandonato).
Ho riportato questa poesia per intero perch famosa e molto bella, e
soprattutto perch si presta ad alcune considerazioni; ma non un caso
isolato: le stesse cose pi o meno si possono dire di tante poesie di Ungaretti,
come di molti altri poeti famosi.
Oltre alla tragica bellezza del contenuto, si pu notare l'armonia, la
gradevole fluidit di questo testo, che pure sembra in versi liberi.
Ma c' il ... trucco e, anche se non si vede, si sente! Provate a trascrivere
quei versi affiancadoli a due a due. I primi due, che sono normali quinari,
diventano un doppio quinario e qui la musica non cambia; ma il terzo e il
quarto, insieme, fanno un perfetto novenario con i giusti accenti, il quinto pi
il sesto sono un decasillabo sdrucciolo, il settimo e l'ottavo sono di nuovo due
quinari, e infine le ultime due coppie di versi, i pi incisivi, formano due
perfetti endecasillabi dai giusti accenti e dal bellissimo suono.
E' chiaro che modificare i versi cos sarebbe un falso, ma serve a far
capire che la musicalit e l'afflato che pervadono molte delle poesie di
Ungaretti e di tanti altri, anche quelle apparentemente non in metrica, non
vengono dal cielo e tanto meno dai versi liberi, ma da questa presenza
nascosta (e nemmeno tanto) della metrica "tradizionale".
Leggiamo correttamente questa poesia come stata scritta, quindi con
una piccola pausa alla fine di ogni verso (ricordiamoci che se un poeta va a
capo ci deve pur essere una ragione, e se invece fa le cose senza una
ragione, ... non un poeta). Il ritmo risulta spezzato (e probabilmente
Ungaretti riteneva ci pi originale o moderno), ma la melodia non affatto
soffocata, specialmente nei versi finali, dove la cesura dovuta a quel "a capo"
(Eugenio Montale)
Le lettere accanto ai versi rappresentano il tipo di rima: indicano che i
primi due versi hanno la stessa terminazione e quindi rimano fra loro; cos
anche gli altri due rimano fra loro, ma in modo differente dai primi.
Questa rima fra versi contigui si dice " baciata ".
Attenzione: se i versi che rimano fra loro sono cos vicini, l'effetto
molto forte. Poich la moda dal Novecento tende a eliminare la rima o a
relegarla in serie B (specie da parte di chi non riesce a fare rime decenti),
conviene non abusare della rima baciata, soprattutto in poesie lunghe. C' il
rischio della filastrocca un po' infantile, anche se una poesia veramente bella
pu superare questa trappola, come dimostra " La cavalla storna " del Pascoli,
tuttora molto godibile e coinvolgente. Non prudente per sfidare Pascoli!
Altro schema di rime molto usato, in quartine o strofe pi complesse,
la rima " alternata ", che si fa appunto alternando due terminazioni:
Nude, le braccia di segreti sazie, A
A nuoto hanno del Lete svolto il
fondo,
(Giuseppe Ungaretti)
Al solito quelle lettere simboleggiano le terminazioni ed indicano che il
primo verso rima con il terzo e il secondo con il quarto.
Un altro schema quello della rima " incrociata "; ad esempio:
Spesso il male di vivere ho
incontrato:
(Eugenio Montale)
La rima " incatenata " si ha nelle terzine dantesche (cio con lo stesso
schema usato da Dante nella Divina Commedia), come qui:
Su la riva del Serchio, a Selvapiana
.....
(Giovanni Pascoli)
E' una composizione in terzine incatenate anche "Le ceneri di Gramsci"
di Pier Paolo Pasolini, ma in questo caso sarebbe dura chiamarle "dantesche",
perch il Poeta, forse per dare un sapore popolaresco alla sua poesia, si
concede troppi sconti di metrica e di rima.
Non di maggio questa impura aria
B?
A?
.....
Ci sono poi altri schemi, che sono quasi sempre combinazioni o varianti di
questi. Comunque, in fatto di rime, l'unico limite nella fantasia (salvo nel
caso di forme poetiche dalle regole precise e codificate, come il sonetto e il
rond).
C' poi la possibilit di usare la rima ... con parsimonia, per esempio facendo
strofe in cui alcuni versi rimano ed altri no, oppure inserendo rime sparse in
una poesia in versi sciolti (cio - ricordate? - veri versi in metrica, ma che non
seguono un particolare schema di strofe e di rime, e che possono anche essere
di lunghezza diversa).
A mio giudizio, invece, bene non usare le rime nelle poesie in versi liberi,
perch in queste, che hanno il tono discorsivo della prosa e del racconto, pi o
meno lirico, le rime stonano e appaiono sforzate, cos come stonerebbero in un
qualsiasi testo in prosa.
Le strofe e le forme metriche
La strofa un raggruppamento di versi in un pi ampio periodo ritmico. Se le
poesie sono rimate, quello che unisce un gruppo di versi in genere proprio il
gioco delle rime.
Naturalmente la strofa pi semplice quella di due soli versi; un esempio
famoso si ha ne "La cavalla storna" del Pascoli, formata da distici (cio coppie
di versi) a rima baciata.
O cavallina, cavallina storna,
.....
Strofe di tre versi sono le terzine della Divina Commedia o quelle di "Le ceneri
di Gramsci" di Pasolini.
Un altro esempio di terzine incatenate questa breve poesia di Pascoli.
Il Sonetto
Parlando di composizioni con regole precise e definite, la pi importante
senza dubbio il sonetto, sia perch presente fin dagli albori della poesia
italiana, sia perch attraverso i secoli non ha mai conosciuto crisi. E' ben
rappresentato anche nel Novecento, che pure ha fatto di tutto per dissacrare
la poesia.
Se ne attribuisce l'ideazione a Iacopo da Lentini, poeta siciliano del
Milleduecento, ed un'apparizione significativa e singolare, perch pur
derivando da forme poetiche popolari o da composizioni provenzali in lingua
d'oc, ha caratteristiche nuove, che vengono subito accettate e diffuse, e non
sono pi variate in otto secoli (a parte qualche tentativo di . . . svalutazione
nel Novecento).
Il sonetto formato obbligatoriamente da due quartine e da due terzine
rimate. giusto parlare di obbligo, perch la libert del poeta a monte, nella
scelta di fare o di non fare il sonetto, visto che non lo ordina il dottore!
Leopardi per esempio non ne ha fatti quasi mai.
Chi sceglie di fare un sonetto deve sapere che le due quartine rimano fra
loro con le stesse rime (non diverse tra prima e seconda strofa); possono
essere rime alternate (A B A B) (A B A B) oppure incrociate (A B B A) (A B B
A), come in questa poesia di Umberto Saba (Zaccaria):
La vacca, l'asinello, la manzetta
al bimbo avvolto in scompagnati panni
erano stufa nell'inverno; i danni
ristorava dei morbi una capretta.
La sua mamma, che pace in cielo aspetta,
sei gli dava nel giro di dieci anni,
sei fratellini; pur, fra pianti e affanni,
due volte il d fumava la casetta.
L crebbe; e come sognava bambino,
poco ai campi lo vide il paesello.
Volle d'agricoltor farsi operaio.
Or tra gli altri feriti il tempo gaio
della pace ricorda; sul cappello
ha una penna: l'orgoglio dell'alpino.
Per completezza aggiungo che, di rado, si incontrano due varianti di
quegli schemi, ottenute con uno scambio nella seconda strofa, e cio
rispettivamente: (A B A B) (B A B A) e (A B B A) (B A A B).
Pi possibilit ci sono nelle terzine, dove, in una ricerca fatta su circa
venti tra antologie e vari testi, ho potuto trovare una decina di schemi:
1
10
D
C
E
C
C
C
D
E
C
I primi due schemi sono i pi antichi, usati gi da Iacopo da Lentini e poi
sempre presenti dal XIII al XX secolo. Il 3 e il 4 sono un po' meno comuni, ma
si trovano in Dante, in Petrarca e in molti altri poeti nei secoli seguenti. Il 5, il
6 e il 7 sono ancor meno comuni, ma sono stati usati gi da Petrarca. L'8 e il 9
li ho trovati solo in epoche pi recenti, rispettivamente dal Cinquecento e
dall'Ottocento (tutti e due sono stati usati dal Foscolo). Il 10 infine l'ho citato,
pur avendolo trovato solo in un autore del Novecento, sia perch uno
schema regolare, sia perch l'autore Lucini, che, con Sanguineti e qualche
altro, uno dei "vati" del verso libero (ma evidentemente non solo!).
Altri schemi non li ho considerati, in quanto irregolari e rarissimi, o
presenti in sonetti con varie licenze di metrica e di rima.
C' dunque poca scelta per le quartine, mentre le varianti per le terzine
sono pi numerose; e mi pare giusto, perch chi ha gi sofferto per trovare
delle buone rime nei primi otto versi, deve avere una certa facilit di arrivare
in fondo, senza rimanere bloccato sul pi bello!
Non dimentichiamo mai che per fare una poesia in rima, bisogna trovare
delle buone rime, non delle rime purchessia, altrimenti si d ragione a quelli
che la rima la odiano (e la temono).
Il verso del sonetto l'endecasillabo. Si pu usare, magari per prova, un
verso differente, sapendo per che, a fronte di milioni di sonetti in
endecasillabi, nella storia della poesia quelli in settenari o in novenari o in
altri versi si contano sulla punta delle dita.
Il sonetto, composizione italiana "DOC", stato imitato nelle letterature
straniere, in inglese, francese, spagnolo, portoghese, tedesco, russo, per
esempio ad opera di Shakespeare, Baudelaire, Mallarm, Borges, Machado e
tanti altri. Poich la metrica strettamente legata alle caratteristiche lessicali
e fonetiche di ciascuna lingua, gli schemi di rime in questi sonetti "stranieri"
possono essere diversi e talvolta semplificati.
Una caratteristica importante del sonetto racchiudere tutto quel che si
vuol dire nell'arco di quattordici versi, non di pi e non di meno, possibilmente
con naturalezza, senza sforzarsi ad allungare o a stringere!
A dire il vero, se quattordici versi sono pochi, c' una possibilit, e
specialmente nei primi secoli della poesia italiana se n' fatto un certo uso,
soprattutto in composizioni scherzose: il sonetto caudato (ovvero con la coda);
si aggiungono cio uno o pi versi (o perfino pi terzine) in fondo al sonetto.
1 piede
2 piede
1a volta
Fronte
Chiave
Sirma
\
2a volta
I due piedi devono avere lo stesso numero di versi - da 1 a 4 o anche pi
- e una qualche simmetria di rime. La chiave, che pu anche non esserci, un
verso di collegamento che rima con l'ultimo verso della fronte. La sirma pu
essere formata da due parti di ugual numero di versi, dette volte, ma in
genere, nella canzone italiana, un'unica parte indivisa.
riresa o
ritornello
mutazioni
o piedi
\
\
stanza
o
strofa
volta
C
X
/
/
Io maledico l'ora
.......
(qui i primi due versi della strofa sono il primo piede, il terzo e quarto il
secondo piede)
Di Lorenzo de' Medici il Trionfo di Bacco e di Arianna , ripresa e prima strofa:
Quant' bella giovinezza
.......
Di Angelo Poliziano, ripresa e prima strofa:
I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino
.......
Per venire ad un esempio moderno, possiamo citare la Ballata dolorosa di
Giosu Carducci, di una sola strofa e con piedi di tre versi.
Una pallida faccia e un velo nero
Il Madrigale
E' un breve componimento, che ebbe molta fortuna dal XIV al XVIII secolo,
non solo dal lato poetico ma anche musicale.
Consisteva in origine di due o tre strofe di tre endecasillabi con rapporti vari
di rima, seguiti da due endecasillabi a rima baciata, oppure da quattro
endecasillabi a rima alternata.
Questo madrigale di Petrarca:
Non al suo amante pi Diana piacque A
quando, per tal ventura, tutta ignuda
La Sestina
E' una strofa che si trova in due versioni.
La Sestina lirica (o canzone sestina) una composizione senza rime, ma le
parole con cui terminano i sei versi della prima strofa sono le stesse,
scambiate di posto, con cui terminano i versi di ogni strofa successiva; la
rotazione non casuale, ma segue uno schema ben preciso e ripetuto. Le
strofe quasi sempre sono sei, cos la rotazione delle parole finali completa;
poi ci pu essere un congedo, in genere di tre versi (con le sei parole presenti
anche qui, tre in fondo e tre all'interno dei versi).
Credo per che il modo migliore per capirsi sia vedere un esempio di sestina
(prime due strofe) dal Canzoniere del Petrarca:
L'aere gravato, e l'importuna nebbia
stagnandovi sonnolente
.......
Occasionalmente si trovano anche sestine con schemi di rime differenti, ad
esempio ABBACC oppure ABBAAB o altro.
L' Ottava o ottava rima
E' un tipo di composizione che stato in auge per secoli, dal Trecento fino al
Seicento e oltre, specialmente per la poesia epica o eroicomica. Colui che l'ha
"lanciata" Boccaccio, che la impieg nel Filostrato e poi nel Ninfale fiesolano
.
Un grandissimo numero di poemi, poemetti e poesie sono stati scritti con
questo genere di strofa, usata tra gli altri da Pulci, Boiardo, Ariosto, Tasso,
Marino, Tassoni, Leopardi e Giusti.
Dopo il Seicento l'ottava piuttosto rara (uno dei pochi esempi
Sant'Ambrogio del Giusti), ma sopravvive fino ai giorni nostri nella poesia
popolare, soprattutto quella dei rimatori "a braccio", abilissimi ad
improvvisare contese poetiche a botta e risposta.
La strofa formata da otto versi, quasi sempre endecasillabi, sei a rima
alternata seguiti da due a rima baciata, secondo lo schema: A B A B A B C C (e
poi naturalmente: D E D E D E F F, e cos via).
Questa una strofa dal poemetto Ninfale fiesolano di Boccaccio:
Se tu m'aspetti, Mensola mia bella,
condotto.
Il quarto d, da gran furor commosso, C
e maglie e piastre si stracci di dosso. C
Infine due ottave dalla Gerusalemme Liberata del Tasso:
Cibo non prende gi: ch de' suoi mali A
solo si pasce, e sol di pianto ha sete:
che lascino perdere e non vadano a ingrossare le fila di quelli che credono di
conoscere la metrica per "scienza infusa" o che la identificano con rime
orrende!
Ma il bello che dopo otto secoli di poesia stato ancora possibile
lanciare un nuovo tipo di composizione, il Rond italiano, ideato nel 1995 da
Dalmazio Masini, presidente dell' Accademia Vittorio Alfieri, e poi ripreso da
tanti altri poeti di tutt'Italia.
Abbiamo fatto ricerche per vedere se questa forma, tutto sommato
"normale", era gi stata usata da qualcuno durante i secoli, ma non ne
abbiamo trovato esempi. Ci significa che se anche in futuro dovesse saltar
fuori un'antica poesia sconosciuta fatta cos, non toglierebbe nulla alla priorit
del nuovo Rond italiano.
Vi sono, sia in musica che in poesia, molte composizioni che hanno avuto
il nome di rond (vedi ad esempio D'Annunzio), ma si tratta di cose
assolutamente diverse, che hanno in comune solo una ciclicit (da cui il
nome), una ripetizione della melodia o del verso.
Il Rond italiano
E' una composizione in quartine rimate e incatenate; ogni quartina a
rima alternata, ma l'ultimo verso rima col primo della strofa seguente, per cui
ciascuna rima risulta ripetuta quattro volte (e solo quattro volte, perch la
stessa rima non si deve pi incontrare). Il verso finale dell'ultima quartina, che
non ha una strofa successiva, si riallaccia all'inizio, facendo rima con il primo
verso della poesia.
L'andamento delle rime pertanto questo: ABAB / BCBC / CDCD / DEDE
/ .... / XAXA.
Il tutto d l'idea di un ballo circolare, fatto ruotando su se stessi e
girando contemporaneamente anche la sala, fino a tornare al punto di
partenza. Per questo la nostra socia Gioia Guarducci ha proposto il nome
"Rond", a cui poi stato aggiunto l'appellativo "italiano", per caratterizzarlo
meglio e distinguerlo dalle forme musicali e metriche che hanno il generico
nome di rond.
E' un tipo di composizione che richiede capacit ed esperienza, perch
facile fare rime brutte e forzate, ma difficile farne tante e belle, senza
inciampare mai in paurose cadute di stile! Non consiglio perci di affrontarlo
a chi non ha una buona padronanza della metrica e della rima, altrimenti,
direbbe Dante, "sua disianza vuol volar sanz'ali".
Ovviamente non posso n proporre esempi classici, che non ci sono, n
riportare per intero un Rond, dato che si tratta in genere di composizioni
piuttosto lunghe. Chi ci legge ne ha gi trovati numerosi esempi sul nostro
periodico L'Alfiere e nella raccolta "Il Rond italiano - Vol. II", edita nel luglio
2002.
Mi limito a riportare l'inizio e la fine del primo rond della storia della poesia:
Ottobre di Dalmazio Masini.
Troppo uguale a quest'aria mi ritrovo
a questo dolce scivolare d'ore
che son per me come un vestito nuovo
mollemente avvolgente e protettore,