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La metrica italiana

di Mario Macioce

tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze

La metrica molto importante, perch alla base della musicalit che


caratterizza il verso e che distingue la poesia dalla prosa. Le "regole" della
metrica, che poi non sono regole, ma semplici leggi naturali, sono poche e
relativamente facili da imparare. Il difficile riuscire a conciliare la forma,
cio un bel ritmo, una bella musicalit, magari abbellita anche dalla rima, con
il contenuto, cio un testo ricco di ispirazione, di immagini, di felice scelta
delle parole. Ma questa materia che non si pu insegnare: poeti si nasce
(raramente), oppure si diventa, leggendo i grandi (quelli veri!) e provando,
provando e ... riprovando, nel senso di avere anche il coraggio di buttare via
quello che non bello e non all'altezza delle cose migliori di cui siamo
capaci. Meglio riuscire a fare pochi, piccoli gioielli (al nostro livello, si
capisce), piuttosto che fare quintali di "versi", che poi versi non sono e
sicuramente non lasceranno il segno!
N. B. - Nelle schede sulla metrica user, per quanto possibile, un linguaggio
semplice, spiegando diffusamente anche cose note; questo perch l'eventuale
lettore interessato o incuriosito possa seguire il discorso anche se digiuno di
metrica e tutt' altro che fresco di studi. Mi scuso perci in partenza con chi
trover questi appunti banali e scontati. D'altra parte nella mia vita ho tratto
quasi sempre motivi di interesse o almeno di riflessione, molto pi nelle
banalit esposte con chiarezza, che nei discorsi paludati e dotti, fatti per
impressionare, ma spesso anche per nascondere, sotto fitte cortine di fumo,
superficialit, ignoranza o, quanto meno, incapacit di comunicare.
LA METRICA ITALIANA

La metrica italiana si basa sugli accenti: se gli accenti principali cadono nei
punti giusti, il verso ha un bel suono, armonioso, tende a fissarsi nella
memoria.
Se gli accenti sono fuori posto, il ritmo dissonante o manca del tutto, e il
"verso" suona come una semplice frase in prosa.
Cominciamo con un esempio (segnando gli accenti metrici per renderli
evidenti):
Tanto gentle e tanto onsta pre
la donna ma quand' ella altri salta ..
(Dante Alighieri)
La mia donna quando saluta altrui
pare tanto onesta e tanto gentile ..
Nella trascrizione ho salvato quasi del tutto le parole, e anche la lunghezza dei
versi, che sembrano ancora due endecasillabi. Ma chiunque abbia un minimo
di sensibilit non pu non avvertire che fra le due versioni c' un abisso, ed
improprio parlare di versi, dove la musicalit assente.

Se poi le parole antiche non convincono, facciamo un esempio moderno.


Ma nel cuore
nessuna croce manca
il mio cuore
il paese pi straziato
(Giuseppe Ungaretti)
Questi sembrano versi senza metrica. Ma provate a scriverli (e soprattutto a
leggerli) cos:
Nel mio cuore non manca
nessuna croce
Il paese pi straziato
il mio cuore.
ed tutta un'altra musica.
LA RIMA

La rima non c'entra nulla con la metrica, cio con il ritmo del verso, ma
un ulteriore abbellimento (quando bella!).
Ma attenzione! Se metrica e rima sono sbagliate o sciatte, il risultato
negativo. In particolare meglio evitare l'uso della rima se non si imparato a
dare al verso il ritmo, i giusti accenti: la rima, in un testo che di fatto in
prosa, ha in genere un effetto sgradevole.
Due parole rimano fra loro se le ultime lettere dell'una e dell'altra sono
tutte uguali a partire dalla vocale tonica , cio quella su cui cade l'accento.
C' bisogno di dire che l'accento il particolare rafforzamento della
voce su una delle vocali quando si pronunzia una parola? E che molto
importante, perch pu anche cambiare il significato? Ad esempio cpitano,
capitno, capitan: la prima parola voce del verbo capitare, la seconda
un grado dell'esercito, la terza viene dal verbo capitanare. Ma questo si
sa, e quindi non lo dir!
(Il giochetto si chiama preterizione, quando si finge di non voler dire
una cosa che in realt si dice. Ma questa un'altra storia).
Tornando alla rima, cure fa rima con amre , blla con stlla , mdico
con prdico (questa una rima sdrucciola, perch si dice sdrucciola la parola
in cui l'accento cade sulla terzultima sillaba), l con piet e fur con fir (e
queste ultime due si chiamano rime tronche, perch la vocale accentata
nell'ultima sillaba, e quindi le parole si dicono tronche).
Due versi poi sono rimati fra loro, se terminano con due parole in rima.
Esempio:
Il vento sparso luccica tra i fumi
della pianura, il monte ride raro
illuminandosi, escono barlumi
dall'acqua, quale messaggio pi caro?

(Mario Luzi)
in cui il primo verso rima con il terzo, e il secondo con il quarto.
SILLABE E ACCENTI

Nella metrica italiana valgono gli accenti e la lunghezza dei versi. Quindi per
riconoscere o per comporre i versi, occorre anzitutto saper contare le sillabe.
Facciamo un esempio (Dante, Inferno I,4):
Ahi quanto a dir qual era cosa dura
Questo, per la metrica, un endecasillabo, cio un verso di undici sillabe,
eppure per la grammatica le sillabe sono ben 14 (e le vocali addirittura 16).
Vediamo di capire che cosa accade. Prendiamo ad esempio queste due parole:
dolce amore ... (dol-ce a-mo-re)
Per la grammatica le sillabe sono 5; ma per la metrica sono solo 4,
perch nella pronuncia l'ultima vocale di "dolce" si fonde con la prima vocale
di "amore" in un unico suono.
Questo fenomeno si chiama elisione o sinalfe , ma non importante il
nome, quanto sapere cosa avviene.
Avverto che le regole di cui parliamo ammettono eccezioni; ovviamente
il poeta libero, per cui pu applicare o non applicare una certa regola, anche
se scrive in metrica, e spesso anche i grandi l'hanno fatto. La libert per,
come sempre, ha un prezzo.
In questo caso, per esempio, un autore potrebbe contare quelle sillabe
come 5, per esigenze di verso, facendo una pausa nella lettura fra le due
parole e staccandole bene. Liberissimo! Il prezzo da pagare che un altro
lettore, ignaro, pronunzierebbe nel modo pi naturale e il verso suonerebbe
sgradevolmente sbagliato.
Anche all'interno di una parola due vocali a contatto danno un unico
suono (e contano quindi come una sola sillaba), non soltanto quando lo sono
per la grammatica (dittongo), come nella parola "le-zio-ne", ma anche in altri
casi, come nella parola "Pao-la".
Se, al contrario, si vuole contarli come suoni - e sillabe - separati, nel
secondo caso si pu fare senza problemi; un po' meno se si tratta di spezzare
un dittongo (le-zi-o-ne); spesso in passato si avvisava il lettore mettendo due
puntini sulla "i".
Nel verso di Dante sopra citato c' un caso particolare: nella parola "ahi"
c' addirittura una consonante tra le due vocali; ma poich "h" muta, nella
pronunzia le vocali si trovano a contatto e si fondono in un unico suono;
questo conferma che per la metrica conta l'orecchio e non la grammatica.
Ancora pi varia la situazione quando si incontrano tre o pi vocali,
come per esempio in: "vi-zio e ar-dore".
Queste quattro vocali di seguito possono essere considerate un unico
suono, e quindi dal punto di vista metrico una sola sillaba, oppure possono
essere separate, facendo una breve pausa nella pronunzia. In questi casi, pi

che la regola, conta l'orecchio e l'esperienza. Quando si sono capiti i fenomeni


fondamentali e si abituato un po' l'orecchio, soprattutto leggendo della
buona poesia in metrica, si sente automaticamente, nella lettura, quello che va
bene e quello che non va. Se poi capita una trappola, un passaggio che stona e
che non vuol tornare, meglio cambiarlo, cercando naturalmente di non
stravolgere il senso e l'atmosfera della poesia, piuttosto che sciupare l'insieme
con un brutto verso.
IL VERSO

Il verso l'unit elementare della poesia; il suo ritmo, in origine, era


legato a quello della musica, a cui la poesia si accompagnava, ma poi ha
acquistato la sua autonomia.
Il suo nome (dal latino vrtere = voltare) deriva dall'uso di scriverlo
andando a capo e indica anche un ritorno ciclico del ritmo.
Peccato che, nella confusione dei valori che caratterizza il nostro tempo,
spesso non si va a capo perch finito il verso, ma finito il verso perch si va
a capo.
Intendo dire che molte delle composizioni dei poeti amatoriali non hanno
versi, perch in realt sono in prosa. Si tratta di brani, a volte anche belli, di
prosa creativa (quando non sono pensierini o piccoli temi o pagine di diario
che meglio sarebbe se rispettassero la privacy). In questi casi l'andare a capo
aleatorio e inutile. Nell'antichit, quando i supporti per scrivere erano rari e
costosi, in genere si scriveva la poesia senza andare a capo e addirittura senza
staccare le parole: era il lettore che riconosceva, dal senso, le parole e anche i
versi, perfettamente individuati dal loro ritmo naturale. Sarebbe interessante
fare cos anche oggi: quanta carta risparmiata e quanti alberi salvati!
Il ritmo del verso italiano consiste in una regolata successione di sillabe
tniche e di sillabe tone , cio con e senza accento. Per dare al verso la sua
musicalit, gli accenti tonici principali devono trovarsi in determinate
posizioni (vi possono essere altri accenti minori che per vengono pronunciati
con poco risalto).
Nel mezzo del cammn di nostra vta
mi ritrovi per una slva oscra
(Dante Alighieri)
Ogni parola, monosillabi compresi, ha il suo accento, ma quelli che contano,
che vengono pronunciati con maggior rilievo e che danno il ritmo al verso,
sono quelli indicati, e sono detti appunto accenti ritmici; cadono sulla sesta
sillaba e sulla decima nel primo verso; sulla quarta, sull' ottava e sulla decima
sillaba nel secondo, e queste, come vedremo, sono posizioni "giuste" per dare
all'endecasillabo la sua musica.
Proviamo invece a scrivere:
Nel cammino dell' esistenza nostra
mi trovai per una selva paurosa
A parte l'infelice scelta di qualche parola, per mantenere invariata la
lunghezza dei versi, si sente che il ritmo del tutto sballato, prosastico;

ci dipende dal fatto che gli accenti, e in particolare quelli delle parole
pi importanti e significative (cammino, esistenza, trovai, selva) che si
pronunziano con pi rilievo, non sono nelle posizioni giuste per dare
musicalit: occorre quindi spostare o cambiare qualcosa, facendo per
in modo di avere comunque due endecasillabi. Sembra difficile, ma con
un po' di pratica (e di orecchio affinato da buone letture) non lo poi
troppo.
Certo se si pretende di imparare a fare versi leggendo le opere tradotte di
autori stranieri, l'orecchio non si far mai, dato che ovviamente si tratta
di versioni in prosa italiana, e quindi prive non solo del ritmo, ma spesso
anche dello stile originale (nella traduzione di parole ed espressioni,
specie poetiche, si perdono o si stravolgono quasi tutte le sfumature).
I versi dunque si distinguono dal numero delle sillabe, non contate con le
regole della grammatica, ma secondo il suono.
I versi di solo due o tre sillabe, sono in realt frammenti; la loro brevit non
permette di avere un ritmo, una scelta di accenti, e quindi non si pu
creare una musicalit. Si possono eventualmente intercalare ad altri
versi pi lunghi, per dare effetti particolari o sottolineare una parola o
un'espressione.
I primi versi veri e propri sono i quadrisillabi (o quaternari), poi i quinari (5
sillabe), i senari, e cos via, fino agli endecasillabi (11 sillabe) che sono i
pi lunghi usati nella poesia italiana di ogni tempo. Ci sono poi i versi
composti, dal doppio quaternario al doppio settenario, fino a tutti i
possibili abbinamenti di versi uguali o disuguali.
Nella poesia del Novecento sono presenti spesso anche versi pi lunghi
dell'endecasillabo o versi composti, dato lo sperimentalismo che stato
in voga specie nella prima met del secolo e la ricerca (spesso non
riuscita) di una musicalit nuova, svincolata dalla tradizione.
Per il miglior ritmo, e quindi la migliore armonia dell'intero brano, ciascun
verso deve avere gli accenti in determinate posizioni.
Facciamo una tabella, ma chi non conosce gi la metrica non perda tempo a
cercar di capirla: torner utile poi, quando si saranno chiarite le cose,
soprattutto con gli esempi.

Verso

Numero sillabe

Accenti principali sulle sillabe:

Quadrisillabo
(o quaternario)

1 (o 2)

Quinario

1o2

Senario

2 (o 1 o 3)

Settenario

1o2o3o4

Ottonario

(1)

(5)

Novenario

Decasillabo

10

(altri, poco frequenti)


6
Endecasillabo

10

oppure

10

meno freq.

10

molto raro

10

11

(le posizioni indicate tra parantesi sono varianti meno usate)


Salta subito agli occhi la presenza costante di un accento principale sulla
penultima sillaba di ciascun verso; questo talmente vero, che vero ... anche
quando non lo ! Scusate, mi spiego subito.
Tu sei come una giovane,
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
(Umberto Saba)
Questi versi sono settenari. Tutti, meno il primo, hanno un accento sulla
penultima sillaba, in accordo con il fatto che, in italiano, la maggior parte
delle parole sono piane, hanno cio l'accento proprio sulla penultima sillaba
(pollastra, vento, china, raspa). Ma "giovane" no; givane l'accento ce l'ha
sulla terzultima sillaba (, come si dice, una parola sdrucciola).
Ebbene, in metrica dopo l'ultimo accento del verso, che in questo caso
cade sulla sillaba "gio", si conta come se ci fosse una sillaba e una sola , anche
qui che sono due. Quindi quel verso non un' ottonario, come sembrerebbe,
ma un settenario "sdrucciolo".
Esempio opposto:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la citt.
(Umberto Saba)
L'ultimo verso finisce con una parola tronca, cio con l'accento
sull'ultima sillaba; ebbene, anche qui si conta come se ci fosse una sillaba

dopo l'accento, e perci quello non un senario, ma un settenario "tronco".


Dunque non si dovrebbe dire che il settenario un verso di 7 sillabe, ma
quello che ha l'ultimo accento sulla 6a sillaba! (E analogamente per gli altri
versi).
Queste regole non sono stranezze, inventate da un sadico; se cos fosse,
non dovremmo pi dargli retta. Ma non cos; si tratta di semplici leggi
naturali: i due versi, quello sdrucciolo e quello tronco, bench anomali,
suonano come i settenari, non come i versi di otto o di sei sillabe; stanno in
armonia con gli altri settenari, e questo non l'ha inventato nessuno, se non Dio
quando ci ha dato il cervello e l'udito!
Ecco perch certe regole sono eterne, e non si possono cambiare.
Naturalmente si pu non seguirle e cercare musicalit nuove, pi dissonanti,
in linea con certe tendenze (o mode?) della musica e dell'arte in generale, ma
non facile, e soltanto i prossimi secoli potranno distinguere il grano dal
loglio, nella produzione del Novecento.
Cominciamo a vedere i vari tipi di versi.
Quadrisillabo :
C' un castello,
c' un tesoro,
c' un avello.
Dove? ignoro.
Questo so:
che morr
nel cercare
terra e mare
....
(Guido Mazzoni)
Osservazioni:
- Questo verso, breve e fortemente ritmato, non adatto per poesie serie e
impegnative, ma per filastrocche.
- Gli accenti giustamente sono sulla prima e terza sillaba di ogni verso (vedi
tabella).
- "C' un" si pronuncia come un unico suono, per l'elisione (vedi I parte); cos
nel quarto verso si fondono la "e" e la "i", nonostante la piccola pausa dovuta
al punto interrogativo, e, nell'ottavo verso, la "a" di terra e la "e" che segue.
- Il quinto e il sesto verso sembrano trisillabi, ma l'ultima sillaba accentata
(anche "so", naturalmente, ha il suo accento); allora, per la metrica, come se
dopo ci fosse un'altra sillaba; dunque non sono trisillabi, ma quadrisillabi
tronchi, e hanno lo stesso ritmo dei quadrisillabi "normali" (leggere di seguito,
ritmando molto, per conferma).

Queste regole possono sembrare astruse a chi non le conosce, ma basta


un po' di orecchio e di esperienza; altrimenti i versi hanno un ritmo sbagliato,
e si sente!
Spesso il rifiuto della metrica nasce da due errori: quello di chi prova a
scrivere in metrica (e in rima) senza conoscerla e quello di chi attribuisce
l'effetto sgradevole alla metrica in generale, anzich alla brutta metrica.
Il quadrisillabo, come qualunque altro verso, pu anche essere usato
insieme a versi di differente lunghezza. Ecco un esempio:
Belle rose porporine,
che tra spine
sull' aurora non aprite;
ma, ministre degli amori,
bei tesori
di bei denti custodite:
.....
(Gabriello Chiabrera)
Quinario
.....
Venezia! l' ultima
ora venuta;
illustre martire
tu sei perduta ...
Il morbo infuria,
il pan ti manca,
sul ponte sventola
bandiera bianca!
.....
(Arnaldo Fusinato)
Osservazioni:
- Il ritmo incalzante del quinario sottolinea la drammaticit e il precipitare
degli eventi; la metrica, qui come altrove, non un inutile ornamento, ma
partecipa con le parole alla creazione dell'atmosfera poetica e alla costruzione
del messaggio dell'autore.
- Cambiano per i gusti e la sensibilit propria di ogni epoca: la retorica del
testo e un ritmo cos accentuato sarebbero eccessivi in una poesia di oggi.
- Gli accenti principali sono sulla seconda (o sulla prima) e sulla quarta sillaba.
- Il primo, il terzo e il settimo verso sono sdruccioli, perch terminano con una
parola che ha l'accento sulla terzultima sillaba; ma, come si detto, le due
sillabe dopo l'accento finale del verso contano per una (altrimenti quelli
sarebbero senari); il quinto verso poi ha un suono simile, perch termina con
un dittongo e anch' esso ha due vocali dopo quella tonica; chiara dunque la
volont dell'autore di alternare versi dispari di tipo sdrucciolo a versi pari

piani, per dare al testo un'ulteriore coloritura musicale che, con la metrica e la
rima, contribuisce a creare l'armonia propria di questa composizione.
Senario
.....
Un popolo pieno
di tante fortune,
pu farne di meno
del senso comune.
Che popolo ammodo,
che Principe sodo
che santo modello
un Re travicello.
(Giuseppe Giusti)
Osservazioni:
- Anche il senario un verso molto ritmico e "popolare", pi adatto per
argomenti satirici o comunque leggeri.
- Gli accenti principali sono sulla seconda sillaba e sulla quinta.
Settenario
Dopo l'endecasillabo, il verso pi usato e pi bello della poesia italiana;
anche abbastanza facile, perch, dei due accenti, il primo pu essere su una
qualunque delle prime quattro sillabe (l'altro, come sempre, sulla
penultima); quindi molto difficile fare un settenario sbagliato.
Chi non pratico di metrica e vuole provare, potrebbe cominciare proprio con
una poesia in settenari, magari cercandone una in qualche antologia e
provando poi a cambiare le parole, mantenendo ... la musica.
Il fatto poi che gli accenti possano essere in posizioni diverse, pur mantenendo
la musicalit, fa s che una poesia in settenari abbia un ritmo vario, non
eccessivo, di gusto moderno. (A maggior ragione la stessa cosa si dir
dell'endecasillabo).
L'albero a cui tendevi

la pargoletta mano,

il verde melograno

da' bei vermigli fior,

.....
(Giosu Carducci)

Dolce declina il sole.

(4) 6

Dal giorno si distacca

Un cielo troppo chiaro.

Dirama solitudine

Non primo apparire

(3) 6

Dell'autunno gi libero?

.....

.....
(Giuseppe Ungaretti)
Osservazioni:
- Accanto ai versi segnata la posizione delle sillabe con gli accenti principali;
ci sono, in questi esempi, tutti i casi possibili.
- A volte molto chiaro quali sono gli accenti principali: nel primo verso di
Carducci, le parole "a" e "cui" sono senza dubbio meno importanti, mentre
"albero" e "tendevi" sono quelle che esprimono il concetto; dunque i loro
accenti sono anche gli accenti principali del verso, e poich si trovano nelle
posizioni giuste, il verso suona bene. Nel primo e nel quinto di Ungaretti
invece la situazione pi ambigua: vi sono pi parole significative, che
lasciano qualche incertezza sul modo di leggere; ma nel quinto verso, ad
esempio, che si preferisca appoggiare la voce pi su "" o pi su "primo",
secondo la sfumatura che si vuol dare alla frase, non fa differenza per la
metrica: in tutti e due i casi gli accenti sono giusti, e che ce ne sia anche un
altro non disturba, anzi arricchisce la melodia. Poi, conoscendo Ungaretti, si
pu pensare che la cosa non sia casuale, ma faccia parte della sua tendenza a
spezzare e ricomporre la metrica tradizionale, in cerca di sonorit nuove.
- Il quarto verso di Carducci tronco; infatti (per un gioco di rime con le strofe
seguenti) stata fatta cadere la "i" finale e l'ultima parola da piana diventata
tronca: per la metrica non cambia nulla: come se la sillaba mancante, dopo
l'accento, ci fosse lo stesso. (Naturalmente "bei" si conta come un unico suono
e cos anche "fior").
- All'opposto, il quarto e il sesto verso di Ungaretti sono sdruccioli, poich
l'accento finale cade sulla terzultima sillaba; quindi c' una sillaba in pi, ma
le ultime due dopo l'accento contano per una.
Ottonario

L'ottonario ha normalmente gli accenti ritmici sulla terza e settima sillaba; a


volte anche sulla prima e sulla quinta, e in questo caso come un doppio
quadrisillabo, ed molto ritmato, avendo accenti ogni due sillabe.
(C' anche un ottonario "novecentesco", non riportato in tabella, che avendo
gli accenti principali su 4a e 7a - raramente 2a e 7a - non cantilenante come
l'ottonario "classico" e pertanto molto usato dagli autori del secolo scorso).
(Le vocali su cui cadono gli accenti metrici sono evidenziate nei testi).
Su 'l castello di Verona
batte il sole a mezzogiorno
da la Chiusa al pian rintrona
solitario un suon di corno,
(Giosu Carducci)
Bella Italia, amate sponde,
pur vi torno a riveder!
Trema in petto e si confonde
l' alma oppressa dal piacer.
(Vincenzo Monti)
- Nel primo brano gli accenti principali sono su terza e settima sillaba;
nell'altro su tutte le sillabe dispari ed il ritmo ancora pi incalzante, quasi da
Rap!
- Notare i casi di vocali vicine che si fondono metricamente in un'unica sillaba
e i versi tronchi; es.: "l'al/ma op/pres/sa/ dal/ pia/cer/" in cui ho evidenziato la
divisione in sillabe, che sono solo sette, perch dopo la settima con l'accento
come se ce ne fosse un'altra.
Novenario
Dov' era la luna? ch il cielo
notava in un' alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
(Giovanni Pascoli)
E' fuori dal borgo due passi
di l dal pi fresco ruscello
recinta di muro e cancello
la piccola scuola di sassi.
(Renzo Pezzani)
- Il novenario ha gli accenti su seconda (raramente terza), quinta e ottava
sillaba. Come in tutti i versi italiani, un accento sempre sulla penultima
sillaba (nel caso del novenario, l'ottava).

- Il fatto che gli accenti siano ad intervalli regolari, ogni tre sillabe, e che tutti
i novenari, normalmente, abbiano gli stessi accenti, d a queste composizioni
una musicalit molto ritmata e ripetitiva.
Decasillabo
L' han giurato. Li ho visti in Pontida
convenuti dal monte, dal piano.
L' han giurato, e si strinser la mano
cittadini di venti citt.
(Giovanni Berchet)
- Il decasillabo ha gli accenti principali su terza, sesta e nona sillaba (esistono
alcune varianti, ma sono poco usate).
- Anche qui gli accenti sono ad intervalli regolari, ogni tre sillabe, e vale
perci la stessa osservazione fatta per il novenario.
- Notare l'ultimo verso tronco e quindi formato da solo nove sillabe.
Fino ad ora abbiamo visto dei versi che, ad eccezione del settenario, hanno gli
accenti molto regolari e praticamente obbligati. Questo fa s che le poesie
risultino assai ritmate. Ci non necessariamente un male, anzi! Il cervello
entra, per cos dire, in risonanza con l'andamento musicale dei versi e l'effetto
pu essere gradevole.
Nella lettura per occorre evitare i due errori opposti: quello di fare
un'eccessiva cantilena o quello di uccidere ogni musicalit per voler essere ...
moderni a tutti i costi, leggendo il testo come fosse una prosa.
Non un caso per che i versi pi usati della poesia italiana di tutti i tempi
siano il settenario e soprattutto l'endecasillabo, poich hanno il pregio, se fatti
bene, di essere musicali, ma non troppo ritmati, anche perch possibile
alternare vari schemi di accenti (non qualunque schema, per!) senza perdere
l'armonia.
Endecasillabo
Questo, come ha affermato lo stesso Ungaretti, "lo strumento poetico
naturale della nostra lingua", e non si potrebbe dir meglio.
Gli accenti principali (fermo restando che uno sempre sulla penultima
sillaba, in questo caso la decima, e che se un verso ha l'ultimo accento sulla
decima un endecasillabo) possono avere tre schemi: sesta sillaba e decima
oppure quarta, ottava e decima oppure quarta, settima e decima.
Ma attenzione! I primi due schemi si possono mescolare fra loro senza
che si notino differenze; il terzo invece (quarta, settima e decima) comporta
un cambiamento di ritmo che un orecchio un po' sensibile avverte. Ci
dovuto al fatto che in questo caso gli accenti sono ad intervalli regolari e si
torna al tipo di musicalit del novenario o del decasillabo.
Sarebbe meglio quindi usare questo schema, come fanno in genere i
Grandi, dove si vuole davvero accentuare il ritmo (vedremo gli esempi),

oppure usarlo da solo, senza alternarlo agli altri, e allora si avr una poesia
piuttosto cadenzata, ma gradevole, e senza salti di tono.
Questa per una finezza; i moderni spesso si concedono ben altre
licenze, per cui si pu dire, in prima battuta, che quei tre modelli vanno
comunque bene. Ogni altro schema, invece (accenti principali sulla terza o
sulla quinta sillaba, oppure sulla quarta ma senza altri accenti forti fino alla
decima, etc.) non va bene: il risultato un verso che piuttosto una semplice
frase.
Se si vuole fare poesia in metrica, bisogna cercare di farla come si deve;
altrimenti conviene seguire la moda, cos diffusa soprattutto fra i poeti
amatoriali, del "verso libero", che si chiama cos proprio perch libero da
qualunque regola metrica, esattamente come la prosa.
(Il "verso sciolto", invece, che quello usato, per esempio, da Leopardi e
spesso anche dai vari Saba, Montale, Gatto, etc., tutt' altra cosa: un vero
verso, con gli accenti al posto giusto e quindi con la giusta musicalit, per
"sciolto" da uno schema fisso di strofe e di rime - le rime, se ci sono, sono
casuali - e spesso utilizzato, specie dai moderni, mescolando versi di varia
lunghezza: " polimetro ").
E veniamo agli esempi (tralasciando Dante e Petrarca, perch scontato
ricorrere a loro per l'endecasillabo, e citando invece i moderni). Negli
endecasillabi, che sono formati da molte parole, ci sono anche altri accenti,
oltre a quelli metrici, ma ci che conta che ci siano gli accenti giusti nei
posti giusti; gli altri in pi non disturbano, anzi creano una variazione
musicale che evita alla poesia di essere cantilenante. (I numeri indicano la
posizione delle sillabe con accenti metrici).
La bella bimba dai capelli neri

10

l sul prato e parla e gioca al


sole.

10

Io so quei giochi e so quelle


parole;

10

rido quel riso e penso quei


pensieri.

10

Son io la bimba dai capelli neri. 4

10

Odora al vento dell'addio la sera 4

10

fredda in amore dalla luce morta 4

10

ed il cielo si stacca nella vera

10

lontananza dei monti, in una


porta

10

(Vittoria Aganor Pompilj)

vuota di luna e di sereno albore. 4

10

Sale nell'aria il fresco dei


giardini,

10

10

10

E' tempo di levarsi su, di vivere

10

puramente. Ecco vola negli


specchi

10

un sorriso, sui vetri aperti un


brivido,

10

torna un suono a confondere gli


orecchi.

10

l'ampio silenzio delle case in


fiore

coi bimbi addormentati sui


gradini.
(Alfonso Gatto)

(Mario Luzi)
Si noti in quest'ultimo brano la rima irregolare tra " vivere " e " brivido ": la
vocale tonica (cio con l'accento) la stessa e cos la consonante che segue,
ma cambiano le lettere successive; questo nel caso delle rime sdrucciole non
turba l'armonia dell'insieme. (Nella stessa poesia c' un altro esempio, ancora
pi ardito, tra " immagini " e " traggono ", mentre tutte le altre rime sono
perfette).
Cos non fu, perch le mie
parole

10

furono scarse e forse senza sole.

10

Ma resta nel mattino di gennaio

10

forse gi un vecchio ma pieno di


4
amore.

10

(Sandro Penna)
Qui l'ultimo verso (accenti sulla quarta, settima e decima) rompe il ritmo
precedente, ma ci in accordo con il testo, perch si presta a sottolineare,

con gli accenti ad intervalli regolari, l'andatura lenta e cadenzata di un


vecchio.
Con l'endecasillabo termina l'elenco dei versi, per cos dire, "classici".
Restano da vedere i versi pi lunghi, presenti spesso nei poeti moderni, e i
versi composti.
Dodecasillabo
Per questo verso, di cui non si parla nei libri scolastici, possiamo indicare
alcuni schemi di accenti, ma si tratta in ogni caso di un verso composto, che
suona bene solo se sono metricamente perfette le parti componenti.
Gli accenti principali possono essere su terza, settima e undicesima sillaba (e
di fatto un quadrisillabo unito a un ottonario); o su quarta, settima (o ottava)
e undicesima sillaba (ed un quinario pi un settenario), come in
E, come allora, scompaiono cantando.
(Pier Paolo Pasolini)
oppure su una delle prime sillabe, e poi sulla sesta, ottava (o nona) e
undicesima (ed un settenario pi un quinario):
Come pesa la neve su questi rami
(Attilio Bertolucci)
Infine gli accenti metrici possono essere su seconda, quinta, ottava e
undicesima sillaba, e allora non neppure un vero dodecasillabo, ma un
classico doppio senario, come in
o falce d'argento, qual msse di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua gi!
(Gabriele D'Annunzio)
Il sole si mette una benda di lutto
....
siccome una lastra d'argento brunastro
....
io solo mi posso indugiare a guardarlo
(Aldo Palazzeschi)
Versi di tredici o pi sillabe
Vale quanto detto per il dodecasillabo: questi versi suonano bene se composti
da versi in perfetta metrica, come in questa strofa:
Camminiamo una sera sul fianco di un colle,
in silenzio. Nell'ombra del tardo crepuscolo
mio cugino un gigante vestito di bianco,
che si muove pacato, abbronzato nel volto,
taciturno. Tacere la nostra virt.
Qualche nostro antenato dev'essere stato ben solo

- un grand'uomo tra idioti o un povero folle per insegnare ai suoi tanto silenzio.
(Cesare Pavese)
Questi sono tutti versi di tredici sillabe (formati da settenari pi senari
dal ritmo perfetto) salvo il terzultimo di 16 sillabe (ma un settenario pi un
novenario) e l'ultimo, che un normale endecasillabo. C' una rottura del
ritmo, nell'insieme della poesia, data da questi due versi differenti dagli altri.
Del resto una delle caratteristiche tipiche di molti autori moderni
quella di alternare versi classici, dalla musicalit perfetta, (magari anche
spezzati su due o tre righe, come per non farli riconoscere - vero, Ungaretti?)
con versi volutamente dissonanti, alla ricerca di nuovi effetti cromatici, per cui
non ci sono, per i versi di 12, 13, 14 o pi sillabe, regole costanti,
comunemente accettate.
L'unica regola, se non si vuol fare a meno di usare versi molto lunghi e
per ci stesso prosastici, cercare ad orecchio un effetto melodico che sollevi
i versi dalla piattezza di un semplice susseguirsi di frasi.
I versi composti
Tralasciando tutte le varie combinazioni possibili, dal doppio quadrisillabo al
doppio quinario, a tutti gli abbinamenti di versi di lunghezza differente,
vediamo i pi usati.
Doppio senario
Il sole declina - fra i cieli e le tombe
Ovunque l'inane - caligine incombe.
Udremo sull'alba - squillare le trombe?
(Gabriele D' Annunzio)
Ciascuna met di questi versi (che ho diviso con una lineetta per evidenziare
le due parti) pu essere vista come un normale senario, con gli accenti sempre
sulla seconda e sulla quinta sillaba.
Doppio settenario
E' detto anche "alessandrino" oppure "martelliano", dal nome del poeta che lo
lanci nella poesia italiana, imitando l'alessandrino francese. Se ne trovano
pochi, e isolati, nelle poesie del Novecento.
Forse un mattino andando - in un'aria di vetro
(Eugenio Montale)
I pontili deserti - scavalcano le ondate
(Mario Luzi)
Doppio ottonario
Anche questo verso raro nel Novecento.

La luna stilla un suo pianto - d'oro nel mar di viola:


tacite lagrime d'alba, - tristezza di partir sola.
(Ada Negri)
Versi sciolti
I versi sciolti (che spesso sono confusi con i versi liberi, ma non
c'entrano) sono veri versi, in metrica, con accenti giusti e quindi giusta
musicalit, "sciolti" per da schemi precostituiti di strofe e rime. Le strofe non
ci sono, e i versi si susseguono senza stacchi, oppure ci sono, ma formate da
un numero variabile di versi e senza ripetitivit; le rime sono assenti o sparse
senza regola fissa.
Esempi altissimi di versi sciolti sono la quasi totalit delle poesie di
Leopardi, formate in genere da endecasillabi e settenari, che sono, come gi
detto, i versi italiani pi nobili e pi usati, proprio per la loro variet e la
musicalit che non mai cantilena.
In endecasillabi sciolti sono stati tradotti - per conciliare l'armonia dei
versi con la maggior fedelt possibile al testo originale - i grandi poemi
dell'antichit, Iliade, Odissea ed Eneide.
I versi sciolti sono molto usati dai poeti del Novecento, da Saba a
Cardarelli, da Sbarbaro a Ungaretti, da Gatto a Penna (che per usano spesso
la rima), da Montale a Luzi (scusandomi con i tanti che non ho citato, per non
fare una lista infinita). A volte nelle poesie in versi sciolti mescolato qualche
verso libero, magari pi lungo degli altri.
Il polimetro
E' in sostanza una composizione in versi sciolti, in cui si alternano versi
di lunghezza differente, in genere senza un ordine regolare.
E' presente in varie epoche, a volte per dare effetti particolari, come
nella famosa poesia di Francesco Redi, Il trionfo di Bacco e di Arianna, in cui
si imita il linguaggio incoerente e slegato di un ubriaco:
Passa vo'
Passa vo'
passavoga, arranca, arranca;
che la ciurma non si stanca,
anzi lieta si rinfranca,
quando arranca,
quando arranca inverso Brindisi:
Arianna, brindis, brindisi.
E' un polimetro, con qualche verso anomalo, la famigerata Rio Bo di
Aldo Palazzeschi che tutti i non giovanissimi, come me, sono stati costretti ad
imparare da bambini.
Il polimetro una delle forme preferite da molti poeti moderni, che
alternano versi di varia lunghezza, senza schemi ripetitivi, e non rifiutano
talvolta la presenza di qualche verso molto lungo o con accenti dissonanti.
Per gli esempi non c' che l'imbarazzo della scelta; vediamone qualcuno.
.....

Intorno
circola ad ogni cosa
un' aria strana, un' aria tormentosa,
l' aria natia.
La mia citt che in ogni parte viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.
(Umberto Saba)
Ci sono, anche in questo breve brano, quattro tipi di versi: trisillabo,
quinario, settenario ed endecasillabo.
Di fatto un polimetro anche la notissima Meriggiare pallido e
assorto ... di Eugenio Montale, in cui si susseguono novenari, decasillabi ed
endecasillabi, raggruppati per in strofe: tre quartine di versi rimati tra loro,
con rime normali o ipermtre (vccia - intrcciano), culminanti nell'ultima
strofa, di cinque versi, con un raffinato e originale gioco di rime e consonanze,
che rendono unica questa poesia.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com' tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Abbiamo visto alcuni polimetri rimati. Ma spesso i poeti del Novecento
non usano la rima, pur usando quasi tutti, in un modo o nell'altro, la metrica.
Fra gli infiniti esempi che si possono trovare, ne citer solo un paio.
.....
Ora passa e declina,
in quest' autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.
(Vincenzo Cardarelli)
Questi cinque versi sono tutti differenti fra loro: due settenari, di cui uno
sdrucciolo, un endecasillabo, un doppio quinario (l'ultimo) e un ottonario (il
secondo).
Qui l'ottonario ha uno schema particolare, con gli accenti principali su
quarta e settima sillaba; esiste anche una variante con accenti su seconda e
settima. Non ho messo questi schemi nella tabella dei versi (vedi schede 1 e
2), perch non sono "tradizionali"; li usano molto per i poeti del Novecento,
come Onofri, Rebora, Cardarelli, Quasimodo, Caproni, Sereni, Luzi ed altri;
talvolta anche Montale.
L'ottonario classico ha un ritmo cos accentuato che nel Novecento
stato usato quasi soltanto per filastrocche, come quelle che sui giornalini, in
mancanza di televisione e relativi cartoni animati, narravano ai bimbi di
qualche decennio fa le storie del Signor Bonaventura e di Sor Pampurio.
Questi schemi, invece, che hanno una buona musicalit, ma non sono troppo

ritmati, permettono all'ottonario di essere a pieno titolo tra i versi tipici dei
polimetri moderni, che si vogliono musicali, ma non in modo eccessivo.
San Martino del Carso
Di queste case
non rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
E' il mio cuore
il paese pi straziato
(Giuseppe Ungaretti)
(Non ho messo punteggiatura, come ha fatto il Poeta per un vezzo giovanile,
poi abbandonato).
Ho riportato questa poesia per intero perch famosa e molto bella, e
soprattutto perch si presta ad alcune considerazioni; ma non un caso
isolato: le stesse cose pi o meno si possono dire di tante poesie di Ungaretti,
come di molti altri poeti famosi.
Oltre alla tragica bellezza del contenuto, si pu notare l'armonia, la
gradevole fluidit di questo testo, che pure sembra in versi liberi.
Ma c' il ... trucco e, anche se non si vede, si sente! Provate a trascrivere
quei versi affiancadoli a due a due. I primi due, che sono normali quinari,
diventano un doppio quinario e qui la musica non cambia; ma il terzo e il
quarto, insieme, fanno un perfetto novenario con i giusti accenti, il quinto pi
il sesto sono un decasillabo sdrucciolo, il settimo e l'ottavo sono di nuovo due
quinari, e infine le ultime due coppie di versi, i pi incisivi, formano due
perfetti endecasillabi dai giusti accenti e dal bellissimo suono.
E' chiaro che modificare i versi cos sarebbe un falso, ma serve a far
capire che la musicalit e l'afflato che pervadono molte delle poesie di
Ungaretti e di tanti altri, anche quelle apparentemente non in metrica, non
vengono dal cielo e tanto meno dai versi liberi, ma da questa presenza
nascosta (e nemmeno tanto) della metrica "tradizionale".
Leggiamo correttamente questa poesia come stata scritta, quindi con
una piccola pausa alla fine di ogni verso (ricordiamoci che se un poeta va a
capo ci deve pur essere una ragione, e se invece fa le cose senza una
ragione, ... non un poeta). Il ritmo risulta spezzato (e probabilmente
Ungaretti riteneva ci pi originale o moderno), ma la melodia non affatto
soffocata, specialmente nei versi finali, dove la cesura dovuta a quel "a capo"

d solo un attimo di sospensione, di affanno che accentua la drammaticit del


testo.
State certi che se una poesia, oltre che bella per il contenuto, per le
immagini, per la felice scelta delle parole, anche gradevole e musicale, c'
sotto la metrica, palese o occulta, da sola o con qualche verso libero, voluta o
spontanea, magari anche inconscia, frutto di vaghi ricordi e di echi
inconsapevoli di memoria, ma c'. Cherchez la mtrique! si potrebbe dire,
parafrasando il detto francese: cherchez la femme!
Perch la metrica non una serie di norme, pi o meno astruse, imposte
da qualcuno, ma un insieme di leggi naturali, che distinguono, musicalmente,
la poesia dalla prosa. Ci sono anche quelli a cui la musica non piace, ma
questo un altro discorso.
Poi bisogna imparare a non fare di ogni erba un fascio: esiste della
bruttissima poesia in metrica, e soprattutto si possono fare bruttissime rime;
ma nessuno, credo, sarebbe disposto a buttare tutta la musica del mondo, solo
perch esiste la brutta musica.
Versi liberi
E veniamo ai famosi, mitizzati e anche poco conosciuti versi liberi, se
vero che esiste un buon numero di leggende metropolitane.
Per prima cosa, sono molto usati dai poeti amatoriali, ma non altrettanto
dagli autori moderni grandi o comunque noti, i quali, salvo eccezioni, ne fanno
un uso saltuario o limitato ad un periodo della loro esperienza poetica, o,
come detto, li inseriscono in ordine sparso tra i versi in metrica.
Poi non affatto vero che siano pi moderni: la prima poesia in versi
liberi che si ricorda del 1224 ed il famoso Cantico di Frate Sole di S.
Francesco; quindi coetanea delle prime poesie in metrica italiana. Da allora
sono state fatte di certo tantissime composizioni in versi liberi, anche se, e
non per caso, quelle che hanno resistito al tempo sono quasi tutte in metrica.
Infine l'esaltazione del verso libero, come pi adeguato ai tempi, non
recente. Risale alla seconda met dell'Ottocento, ad opera di Walt Whitman,
estroso e retorico poeta americano della nuova frontiera, seguito da alcuni
autori francesi, come Jules Laforgue e Gustave Kahn (il quale peraltro era
nemico della rima, ma intendeva creare "un ritmo elastico" e di "un assoluto
valore musicale"); pi tardi, nel primo Novecento, alle teorie di Whitman e
degli altri si sono ispirati alcuni autori italiani, tra cui i "Futuristi".
Il verso libero , come dice il nome, del tutto libero (al contrario del
verso sciolto): privo di metrica e di rima; ha quindi le stesse regole della
prosa, anzi anche meno, perch in genere la prosa ha degli obblighi di
coerenza, di logicit, nonch di grammatica e di sintassi, che la poesia pu
anche non avere. Questo ovviamente rende tutto pi facile e d la possibilit
di esprimere al massimo le proprie emozioni. Perci chi ha ambizione di
riconoscimenti e premi, specie se non ha dimestichezza con la metrica, fa
bene a usare i versi liberi. (Anche perch la maggior parte dei giurati dei
concorsi di poesia non s'intendono di poesia, ma sono modesti poeti dilettanti oggi ti premio io, domani mi premi tu - o persone "in tutt'altre faccende
affaccendate").
E' inutile fare esempi di versi liberi, perch, non essendoci regole, pochi
versi isolati non esemplificano nulla; il valore nel contenuto, nella scelta
degli argomenti, delle parole e delle immagini, al limite nell'accostamento di

suoni di vocali e consonanti, per cui la casistica infinita e il giudizio


soggettivo.
Ma qui entriamo nel campo della critica letteraria, che ho sempre
evitato in queste note, perch non c'entra con l'obiettivo dichiarato, che solo
quello di parlare un po' di metrica, e perch richiede ben altre penne (o
tastiere) che la mia!
Esaurita cos la panoramica sui versi, rimane da parlare di strofe, di
composizioni poetiche, e anche, un po' pi in dettaglio, di rime; cosa che
faremo nel seguito.
La rima
Abbiamo gi parlato di rima nella prima parte. Due parole rimano fra di
loro quando le ultime lettere dell'una e dell'altra sono tutte uguali a partire
dalla vocale tonica, cio quella su cui cade l'accento.
Esempi di rime (ho segnato gli accenti, per chiarezza): cro - amro,
giro - scro, barlmi - fmi, prde - vrde (che l'accento sia grave o acuto,
cio che la vocale si pronunci aperta o chiusa non fa differenza). Tutte le
parole di questi esempi sono piane, hanno cio l'accento sulla penultima
sillaba, ma non sempre cos.
Far - rond, te - perch : ecco due rime tronche, cio formate da parole
tronche, con accento sull'ultima (o sull'unica) sillaba; in questo caso per fare
uguali tutte le lettere a partire da quella accentata ... basta quella!
Pi difficili sono le rime sdrucciole (accento sulla terzultima) come
prdico - mdico, tanto che i poeti le usano poco o si concedono qualche
sconto, per esempio brvido - tmido, che rima non , ma ... gli somiglia!
(E' inutile dire che brvido non fa rima con divdo , perch gli accenti
non corrispondono, anche se le lettere sono le stesse).
Oltre alle rime per cos dire "normali", si trovano qualche volta delle rime
particolari.
- Rima equivoca: parole di ugual suono, ma con significato diverso, per
esempio sole (astro) e sole (aggettivo); (se invece la parola proprio la stessa
non si pu parlare di rima).
- Rima composta: quando in un verso la rima abbraccia due parole; per
esempio, in Dante, almen tre - mentre .
- Rima interna: tra la fine di un verso e una parola interna di un altro verso,
come in Leopardi:
Odi greggi belar, muggire armenti,
gli altri augelli contenti a gara insieme
- Rima ipermetra: tra una parola piana e una sdrucciola, di cui non si
considera l'ultima sillaba; es.: veccia - intrecciano (Montale)
Ci sono poi le ... quasi rime.

- Assonanza (o rima imperfetta): stesse vocali ma consonanti diverse, come


cuore - dote .
- Consonanza: stessa finale, ma vocale tonica diversa, come velo - solo
Queste e altre figure ritmiche, secondo me, vanno bene in una poesia in
versi sciolti o comunque priva di uno schema metrico regolare.
Ma se si sceglie liberamente (non ci obbliga nessuno) di fare una
composizione dalle regole precise e codificate, come un sonetto, un rond o
anche solo una serie di quartine in rima, inserire una (o qualche) assonanza o
consonanza pi che sembrare una variante stilistica, dimostra che non si
saputo fare di meglio!
Ed sempre preferibile, per qualunque verso mal riuscito o con una
parola inadatta o con una rima sforzata, falliti tutti i tentativi di salvataggio,
gettar via una rima o un verso o anche una strofa, piuttosto che sciupare
l'intera poesia.
Capita spesso che belle composizioni, ricche di qualit e di idee, siano
trascinate verso il basso da uno o pochi versi, non all'altezza degli altri,
lasciati per pigrizia o per lo sciocco orgoglio di dire: "Mi venuto cos e va
bene cos!"
L'ispirazione deve, s, essere spontanea, ma pensate a un pittore; se
dopo aver avuto un'intuizione geniale e aver magari buttato gi uno schizzo,
non passasse giorni e giorni a dipingere, correggere, osservare, migliorare,
nessun capolavoro vedrebbe mai la luce!
Il modo pi semplice e immediato di far rime quello di abbinare i versi
a due a due, facendone rimare uno con il seguente; esempio:
Meriggiare pallido e assorto

presso un rovente muro d'orto,

ascoltare tra i pruni e gli sterpi

schiocchi di merli, frusci di serpi. B

(Eugenio Montale)
Le lettere accanto ai versi rappresentano il tipo di rima: indicano che i
primi due versi hanno la stessa terminazione e quindi rimano fra loro; cos
anche gli altri due rimano fra loro, ma in modo differente dai primi.
Questa rima fra versi contigui si dice " baciata ".
Attenzione: se i versi che rimano fra loro sono cos vicini, l'effetto
molto forte. Poich la moda dal Novecento tende a eliminare la rima o a
relegarla in serie B (specie da parte di chi non riesce a fare rime decenti),
conviene non abusare della rima baciata, soprattutto in poesie lunghe. C' il
rischio della filastrocca un po' infantile, anche se una poesia veramente bella

pu superare questa trappola, come dimostra " La cavalla storna " del Pascoli,
tuttora molto godibile e coinvolgente. Non prudente per sfidare Pascoli!
Altro schema di rime molto usato, in quartine o strofe pi complesse,
la rima " alternata ", che si fa appunto alternando due terminazioni:
Nude, le braccia di segreti sazie, A
A nuoto hanno del Lete svolto il
fondo,

Adagio sciolto le veementi grazie A


E le stanchezze onde luce fu il
mondo .

(Giuseppe Ungaretti)
Al solito quelle lettere simboleggiano le terminazioni ed indicano che il
primo verso rima con il terzo e il secondo con il quarto.
Un altro schema quello della rima " incrociata "; ad esempio:
Spesso il male di vivere ho
incontrato:

era il rivo strozzato che gorgoglia B


era l'accartocciarsi della foglia

riarsa, era il cavallo stramazzato. A

(Eugenio Montale)
La rima " incatenata " si ha nelle terzine dantesche (cio con lo stesso
schema usato da Dante nella Divina Commedia), come qui:
Su la riva del Serchio, a Selvapiana

di qua dal ponte a cui si ferma a bere B


il barrocciaio della Garfagnana

da Castelvecchio menano, le sere

del d di festa, il lor piccolo armento

molte ragazze dalle trecce nere.

Siedono l sul margine, col mento

sopra una mano, riguardando i pioppi D


bianchi del fiume; e parlano. Ma il
vento

.....

(Giovanni Pascoli)
E' una composizione in terzine incatenate anche "Le ceneri di Gramsci"
di Pier Paolo Pasolini, ma in questo caso sarebbe dura chiamarle "dantesche",
perch il Poeta, forse per dare un sapore popolaresco alla sua poesia, si
concede troppi sconti di metrica e di rima.
Non di maggio questa impura aria

che il buio giardino straniero

B?

fa ancora pi buio, o l'abbaglia

A?

con cieche schiarite ... questo cielo

di bave sopra gli attici giallini

che in semicerchi immensi fanno velo B

alle curve del Tevere, ai turchini

monti del Lazio ... Spande una


mortale

pace, disamorata come i nostri


destini,

.....
Ci sono poi altri schemi, che sono quasi sempre combinazioni o varianti di
questi. Comunque, in fatto di rime, l'unico limite nella fantasia (salvo nel
caso di forme poetiche dalle regole precise e codificate, come il sonetto e il
rond).
C' poi la possibilit di usare la rima ... con parsimonia, per esempio facendo
strofe in cui alcuni versi rimano ed altri no, oppure inserendo rime sparse in
una poesia in versi sciolti (cio - ricordate? - veri versi in metrica, ma che non
seguono un particolare schema di strofe e di rime, e che possono anche essere
di lunghezza diversa).
A mio giudizio, invece, bene non usare le rime nelle poesie in versi liberi,
perch in queste, che hanno il tono discorsivo della prosa e del racconto, pi o
meno lirico, le rime stonano e appaiono sforzate, cos come stonerebbero in un
qualsiasi testo in prosa.
Le strofe e le forme metriche
La strofa un raggruppamento di versi in un pi ampio periodo ritmico. Se le
poesie sono rimate, quello che unisce un gruppo di versi in genere proprio il
gioco delle rime.
Naturalmente la strofa pi semplice quella di due soli versi; un esempio
famoso si ha ne "La cavalla storna" del Pascoli, formata da distici (cio coppie
di versi) a rima baciata.
O cavallina, cavallina storna,

che portavi colui che non ritorna; A

tu capivi il suo cenno ed il suo


detto!

Egli ha lasciato un figlio


giovinetto;

.....
Strofe di tre versi sono le terzine della Divina Commedia o quelle di "Le ceneri
di Gramsci" di Pasolini.
Un altro esempio di terzine incatenate questa breve poesia di Pascoli.

Dov'era l'ombra, or s la quercia


spande

morta, n pi coi turbini tenzona.

La gente dice: Or vedo: era pur


grande!

Pendono qua e l dalla corona

i nidietti della primavera.

Dice la gente: Or vedo: era pur


buona!

Ognuno loda, ognuno taglia. A sera

ognuno col suo grave fascio va.

Nell'aria, un pianto ... d'una capinera C

che cerca un nido che non trover.

Esempi di "quartine", cio strofe di quattro versi si trovano in "Canzone"


di Ungaretti e in "Meriggiare pallido e assorto" di Montale, citate in
precedenza a proposito di rime.
Sono quartine le prime due strofe dei Sonetti e tutte le strofe dei Rond
(di cui parleremo).
Le quartine sono generalmente rimate a rima alternata (schema A B A
B) o a rima incrociata (A B B A), ma possono essere rimate in parte, per
esempio solo i due versi interni, oppure solo il primo e il terzo.
Sarebbe bene per, dopo avere scelto un qualunque schema di rima,
mantenerlo in tutte le strofe. Cambiare schema, anche se gli autori moderni a
volte lo fanno, rende la poesia un po' meno gradevole e pu denotare una
certa difficolt nel far convivere il contenuto con la forma, e questo
comunque un limite.
Altri tipi di strofe pi lunghe le vedremo poi parlando di composizioni.
La gamma entro cui spaziano le creazioni poetiche vastissima. Si va
dalle cosiddette "poesie in versi liberi", cio prive di qualunque regola, alle
forme metriche chiuse, che hanno al contrario regole molto precise; dai poemi
lunghi come la Divina Commedia (oltre 14000 versi) alle illuminazioni di un
verso solo (in questo caso, per, o si tratta di un'intuizione veramente geniale
o una solenne sciocchezza! Altrimenti sarebbe troppo facile essere poeti).

Il Sonetto
Parlando di composizioni con regole precise e definite, la pi importante
senza dubbio il sonetto, sia perch presente fin dagli albori della poesia
italiana, sia perch attraverso i secoli non ha mai conosciuto crisi. E' ben
rappresentato anche nel Novecento, che pure ha fatto di tutto per dissacrare
la poesia.
Se ne attribuisce l'ideazione a Iacopo da Lentini, poeta siciliano del
Milleduecento, ed un'apparizione significativa e singolare, perch pur
derivando da forme poetiche popolari o da composizioni provenzali in lingua
d'oc, ha caratteristiche nuove, che vengono subito accettate e diffuse, e non
sono pi variate in otto secoli (a parte qualche tentativo di . . . svalutazione
nel Novecento).
Il sonetto formato obbligatoriamente da due quartine e da due terzine
rimate. giusto parlare di obbligo, perch la libert del poeta a monte, nella
scelta di fare o di non fare il sonetto, visto che non lo ordina il dottore!
Leopardi per esempio non ne ha fatti quasi mai.
Chi sceglie di fare un sonetto deve sapere che le due quartine rimano fra
loro con le stesse rime (non diverse tra prima e seconda strofa); possono
essere rime alternate (A B A B) (A B A B) oppure incrociate (A B B A) (A B B
A), come in questa poesia di Umberto Saba (Zaccaria):
La vacca, l'asinello, la manzetta
al bimbo avvolto in scompagnati panni
erano stufa nell'inverno; i danni
ristorava dei morbi una capretta.
La sua mamma, che pace in cielo aspetta,
sei gli dava nel giro di dieci anni,
sei fratellini; pur, fra pianti e affanni,
due volte il d fumava la casetta.
L crebbe; e come sognava bambino,
poco ai campi lo vide il paesello.
Volle d'agricoltor farsi operaio.
Or tra gli altri feriti il tempo gaio
della pace ricorda; sul cappello
ha una penna: l'orgoglio dell'alpino.
Per completezza aggiungo che, di rado, si incontrano due varianti di
quegli schemi, ottenute con uno scambio nella seconda strofa, e cio
rispettivamente: (A B A B) (B A B A) e (A B B A) (B A A B).
Pi possibilit ci sono nelle terzine, dove, in una ricerca fatta su circa
venti tra antologie e vari testi, ho potuto trovare una decina di schemi:
1

10

D
C
E
C
C
C
D
E
C
I primi due schemi sono i pi antichi, usati gi da Iacopo da Lentini e poi
sempre presenti dal XIII al XX secolo. Il 3 e il 4 sono un po' meno comuni, ma
si trovano in Dante, in Petrarca e in molti altri poeti nei secoli seguenti. Il 5, il
6 e il 7 sono ancor meno comuni, ma sono stati usati gi da Petrarca. L'8 e il 9
li ho trovati solo in epoche pi recenti, rispettivamente dal Cinquecento e
dall'Ottocento (tutti e due sono stati usati dal Foscolo). Il 10 infine l'ho citato,
pur avendolo trovato solo in un autore del Novecento, sia perch uno
schema regolare, sia perch l'autore Lucini, che, con Sanguineti e qualche
altro, uno dei "vati" del verso libero (ma evidentemente non solo!).
Altri schemi non li ho considerati, in quanto irregolari e rarissimi, o
presenti in sonetti con varie licenze di metrica e di rima.
C' dunque poca scelta per le quartine, mentre le varianti per le terzine
sono pi numerose; e mi pare giusto, perch chi ha gi sofferto per trovare
delle buone rime nei primi otto versi, deve avere una certa facilit di arrivare
in fondo, senza rimanere bloccato sul pi bello!
Non dimentichiamo mai che per fare una poesia in rima, bisogna trovare
delle buone rime, non delle rime purchessia, altrimenti si d ragione a quelli
che la rima la odiano (e la temono).
Il verso del sonetto l'endecasillabo. Si pu usare, magari per prova, un
verso differente, sapendo per che, a fronte di milioni di sonetti in
endecasillabi, nella storia della poesia quelli in settenari o in novenari o in
altri versi si contano sulla punta delle dita.
Il sonetto, composizione italiana "DOC", stato imitato nelle letterature
straniere, in inglese, francese, spagnolo, portoghese, tedesco, russo, per
esempio ad opera di Shakespeare, Baudelaire, Mallarm, Borges, Machado e
tanti altri. Poich la metrica strettamente legata alle caratteristiche lessicali
e fonetiche di ciascuna lingua, gli schemi di rime in questi sonetti "stranieri"
possono essere diversi e talvolta semplificati.
Una caratteristica importante del sonetto racchiudere tutto quel che si
vuol dire nell'arco di quattordici versi, non di pi e non di meno, possibilmente
con naturalezza, senza sforzarsi ad allungare o a stringere!
A dire il vero, se quattordici versi sono pochi, c' una possibilit, e
specialmente nei primi secoli della poesia italiana se n' fatto un certo uso,
soprattutto in composizioni scherzose: il sonetto caudato (ovvero con la coda);
si aggiungono cio uno o pi versi (o perfino pi terzine) in fondo al sonetto.

La forma maggiormente usata di sonetto caudato la cosiddetta


"sonettessa" che ha tre versi in pi: un settenario che rima con l'ultimo verso
del sonetto vero e proprio, seguito da due endecasillabi a rima baciata.
(Due esempi di sonetti caudati sono nella 5a parte della rubrica "Piccola storia
della poesia italiana", presente in questo sito).
La Canzone
Altro tipo di composizione poetica coetaneo del sonetto (anzi pi antico, dato
che era gi presente nella poesia provenzale) la Canzone. Nei primi secoli
ha regole molto complesse, codificate anche da Dante e da Petrarca.
La Canzone petrarchesca formata da un numero indeterminato (da 5 a 8,
ma anche pi) di strofe (o stanze ) di endecasillabi e settenari, tutte uguali tra
loro.
Partendo da alcune regole fisse, si pu creare liberamente la prima strofa, sia
come numero e alternanza di endecasillabi e settenari, sia come rime; poi per
tutte le altre strofe di quella canzone devono essere costruite allo stesso
modo, con la stessa disposizione di versi e con analogo schema di rime.
Scendendo pi nel dettaglio (chi non interessato salti questi discorsi), ogni
strofa divisa idealmente in due parti, fronte e sirma (o coda), a loro volta
suddivise secondo questo schema:
/

1 piede

2 piede

1a volta

Fronte

Chiave

Sirma
\
2a volta
I due piedi devono avere lo stesso numero di versi - da 1 a 4 o anche pi
- e una qualche simmetria di rime. La chiave, che pu anche non esserci, un
verso di collegamento che rima con l'ultimo verso della fronte. La sirma pu
essere formata da due parti di ugual numero di versi, dette volte, ma in
genere, nella canzone italiana, un'unica parte indivisa.

L'ultima strofa della canzone detta congedo o commiato e spesso non


una strofa intera, ma un piccolo raggruppamento di versi, con struttura
metrica ripresa dalla sirma.
Tutto questo discorso fa capire chiaramente perch la Canzone non ha
avuto nei secoli lo stesso duraturo successo del Sonetto. Le complicazioni e gli
arzigogoli della sua struttura hanno attratto sempre meno i poeti, man mano
che ci si allontanava dal Medioevo e dal suo modo di vivere e di pensare.
Ci non toglie che autori di tutte le epoche talvolta si siano cimentati in
questa composizione, per cos dire, d'antiquariato. Alcune poetesse che
frequentano il nostro Laboratorio di poesia hanno creato bellissime Canzoni
petrarchesche, rigorose nella forma, ma molto pi brevi e naturalmente
moderne nel linguaggio e nei contenuti.
Leopardi ha composto anche qualche canzone di stile petrarchesco, ma
poi ha preferito dar vita ad una composizione molto pi snella, che pur
mantenendo l'uso esclusivo di perfetti endecasillabi e settenari, a garanzia di
una elegante musicalit poetica, ed anche un'articolazione in strofe,
abbandona ogni regolarit: le strofe sono di un numero di versi differente e
non hanno alcuna simmetria o ripetitivit, le rime sono sparse e casuali.
Viene chiamata "Canzone leopardiana" ed stata variamente ripresa
da molti autori moderni.
A questo punto sarebbe bello inserire qualche canzone petrarchesca e
non, ma si tratta di composizioni in genere molto lunghe e ci vorrebbe troppo
spazio.
Mi limiter a riportare la prima strofa di una canzone famosa, Italia mia,
bench 'l parlar sia indarno ed a mostrare lo schema di qualche altra,
invitando chi pu a cercarle nel Canzoniere di Petrarca.
Italia mia, bench 'l parlar sia indarno

alle piaghe mortali

che nel bel corpo tuo s spesse veggio,

piacemi almen che ' miei sospir sien quali B


spera 'l Tevero e l'Arno

e 'l Po, dove doglioso e grave or seggio.

Rettor del cielo, io cheggio

che la piet che ti condusse in terra

ti volga al tuo diletto almo paese:

vedi, segnor cortese,

di che lievi cagion che crudel guerra;

e i cor, che 'ndura e serra

Marte superbo e fero,

apri tu, padre, e 'ntenerisci e snoda;

ivi fa che 'l tuo vero,

qual io mi sia, per la mia lingua s'oda.


G
Qui la strofa di 16 versi; i primi tre costituiscono il primo piede, i
successivi tre il secondo piede (e rimano, con un'inversione, con i primi tre);
questi sei versi sono la fronte; segue la chiave, che rima con l'ultimo verso
precedente, e poi c' la sirma, con uno schema complesso di rime, in cui non
s'individua una divisione in due parti.
Le strofe successive (sei) sono costruite tutte come questa, cio con la
stessa alternanza di endecasillabi e settenari e con rime disposte
analogamente. Per esempio la seconda strofa ha lo schema: H i L I h L l M N n
M m o P o P, in cui le maiuscole, come al solito, rappresentano gli
endecasillabi e le minuscole i settenari.
Solo l'ultima strofa, il congedo (in cui, come spesso succede, l'autore si
rivolge alla sua stessa poesia), pi corta delle altre e ha questo schema: x Y
Z z Y y k W k W, che poi analogo a quello della sirma di tutte le strofe
precedenti.
C' dunque uniformit all'interno di una canzone, ma da una canzone
all'altra tutto pu cambiare.
Le strofe vanno da un minimo di 7-8 versi fino a pi di venti; i versi
possono essere, raramente, tutti endecasillabi, in genere endecasillabi e
settenari, in numero e con un'alternanza che variano da poesia a poesia, e cos
gli schemi di rime, salvo, pi o meno, le regole di base viste sopra.
Per esempio nella canzone di Petrarca Chiare, fresche e dolci acque le
strofe sono di 13 versi e lo schema : a b C a b C c d e e D f F, etc., con il
congedo di soli 3 versi: X y Y; nell'altra Che debbo io far? che mi consigli,
Amore? ogni strofa di 11 versi, con schema del tipo: A b C A b C c D d E E
(congedo: x Y y Z Z).
Una variante della Canzone quella che viene chiamata Canzonetta,
quando i versi sono tutti brevi, in genere settenari, e le strofe spesso molto pi
corte che nella canzone.
Ve ne sono esempi gi nella scuola siciliana, come Meravigliosamente di
Jacopo da Lentini; riporto l'ultima strofa, di 9 versi come le altre, in cui il
Poeta si rivolge alla sua poesia e approfitta per ... farsi un po' di pubblicit (il
Notaro da Lentini lui!).
Canzonetta novella,
va' canta nova cosa;
lvati da maitino
davanti alla pi bella,
fiore d'ogni amorosa,
bionda pi ch'auro fino:
Lo vostro amor, ch' caro,
donatelo al Notaro
ch' nato da Lentino.

Come esempio invece di Canzone leopardiana, dalle regole molto pi


snelle e informali (ma con i versi sempre in perfetta metrica), si pu vedere A
Silvia, di Leopardi, fatta di sei strofe diverse fra di loro e con una libera
disposizione di endecasillabi e settenari e di rime; ecco le prime due strofe.
Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando belt splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di giovent salivi?
Sonavan le quete
stanze, e le vie dintorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
cos menare il giorno.
.......
La Ballata
Il terzo tipo di composizione poetica "classica", con il Sonetto e la
Canzone, la Ballata , che in origine era accompagnata non solo dalla
musica, ma anche dalla danza (infatti era detta anche "canzone a ballo"). La
struttura metrica piuttosto varia e simile a quella della Canzone, ma con
strofe in genere pi brevi e meno numerose. La caratteristica peculiare per
di avere all'inizio una piccola strofa di pochi versi che costituisce la "ripresa"
(o "ritornello").
Questa strofetta, che nei testi si scrive per semplicit una volta sola, era
fatta per essere ripetuta, quando la poesia veniva recitata o cantata. In questo
caso infatti il ritornello veniva cantato in coro dai danzanti in cerchio al
principio del ballo e poi di nuovo dopo ogni strofa, che era cantata invece da
un solista.
la Ballata, e non la Canzone classica, l'antenata di quelle moderne
canzonette musicali fatte di strofe e ritornello.
Oggi per molte composizioni sono del tutto prive di forma e sono
costituite da una musica senza regole, cucita su misura su un testo senza
regole; il tutto naturalmente poco orecchiabile e difficile da imparare, ma
questo ha poca importanza, anche perch spesso le canzoni attuali sono
realizzate in video; allora il testo - in genere incomprensibile - conta meno
della musica, che conta meno della scenografia, che conta meno degli effetti
speciali, che contano meno dell'avvenenza di cantanti e ballerine, che conta
meno dei decimetri quadrati di pelle scoperta.
La Ballata "tipica" fatta cos:

riresa o

ritornello

mutazioni

o piedi

\
\

stanza
o

strofa
volta

C
X

/
/

La strofa ha una prima parte distinta in due (o pi) mutazioni o piedi, di


egual numero di versi e con le stesse terminazioni (per es. ab ab), in relazione
a un motivo musicale ripetuto per ogni piede; c' poi una seconda parte, detta
volta (perch con la sua rima volge al ritornello), in relazione ad un altro
motivo musicale, diverso sia da quello del ritornello che da quello ripetuto
nelle mutazioni; la struttura metrica della volta analoga al ritornello; la
corrispondenza delle rime pu essere varia, ma il primo verso della volta fa
rima con l'ultimo delle mutazioni e l'ultimo verso della volta, in ogni strofa,
deve rimare con l'ultimo verso del ritornello.
La seconda strofa avr un analogo schema di rime: D E D E E F F X, e cos via.
Secondo una terminologia diffusa (ma non accettata da tutti) la ballata si dice
grande se ha la ripresa di 4 versi, mezzana se di 3, minore se di 2, piccola se
di 1 endecasillabo, minima se di 1 verso breve, ottonario o settenario; se poi la
ripresa ha pi di 4 versi, la ballata si dice stravagante.
Ecco alcuni esempi.
Di Giovanni Boccaccio Il fior che 'l valor perde (ripresa e prime due strofe):

Il fior che 'l valor perde

da che gi cade, mai non si rinverde.

Perduto ho il valor mio,

e mia bellezza non ser com'era,

per ch' 'l van disio

chi perde il tempo ed acquistarlo


spera;

io non son primavera,

che ogni anno si rinnova e fassi verde. X

Io maledico l'ora

che 'l tempo giovenil fuggir lassai;

fantina essendo ancora,

esser abbandonata non pensai:

non se rallegra mai

chi 'l primo fior del primo amore


perde.

.......
(qui i primi due versi della strofa sono il primo piede, il terzo e quarto il
secondo piede)
Di Lorenzo de' Medici il Trionfo di Bacco e di Arianna , ripresa e prima strofa:
Quant' bella giovinezza

che si fugge tuttavia!

Chi vuol esser lieto, sia

di doman non c' certezza.

Quest' Bacco e Arianna,

belli, e l'un dell'altro ardenti:

perch 'l tempo fugge e inganna,

sempre insieme stan contenti.

Queste ninfe ed altre genti

sono allegre tuttavia.

Chi vuol esser lieto, sia

di doman non c' certezza.

.......
Di Angelo Poliziano, ripresa e prima strofa:
I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino

di mezzo maggio in un verde giardino. X

Eran d'intorno violette e gigli

fra l'erba verde, e vaghi fior novelli

azzurri gialli candidi e vermigli:

ond'io porsi la mano a cor di quelli

per adornar e' mie' biondi capelli

e cinger di grillanda el vago crino.

.......
Per venire ad un esempio moderno, possiamo citare la Ballata dolorosa di
Giosu Carducci, di una sola strofa e con piedi di tre versi.
Una pallida faccia e un velo nero

spesso mi fa pensoso della morte;

ma non in frotta io cerco le tue porte, Y


quando piange il novembre, o
cimitero.

Cimitero m' il mondo allor che il sole A


ne la serenit di maggio splende

e l'aura fresca move l'acque e i rami,

e un desio dolce spiran le viole

e ne le rose un dolce ardor s'accende B


e gli uccelli tra 'l verde fan richiami:

quando pi par che tutto 'l mondo


s'ami

e le fanciulle in danza apron le


braccia,

veggo tra 'l sole e me sola una faccia, D


pallida faccia velata di nero.

Il Madrigale
E' un breve componimento, che ebbe molta fortuna dal XIV al XVIII secolo,
non solo dal lato poetico ma anche musicale.
Consisteva in origine di due o tre strofe di tre endecasillabi con rapporti vari
di rima, seguiti da due endecasillabi a rima baciata, oppure da quattro
endecasillabi a rima alternata.
Questo madrigale di Petrarca:
Non al suo amante pi Diana piacque A
quando, per tal ventura, tutta ignuda

la vide in mezzo delle gelid'acque;

ch'a me la pastorella alpestra e cruda, B


posta a bagnar un leggiadretto velo,

ch'a l'aura il vago e biondo capel


chiuda;

tal che mi fece or quand'egli arde il


cielo,

tutto tremar d'un amoroso gelo.

La Sestina
E' una strofa che si trova in due versioni.
La Sestina lirica (o canzone sestina) una composizione senza rime, ma le
parole con cui terminano i sei versi della prima strofa sono le stesse,
scambiate di posto, con cui terminano i versi di ogni strofa successiva; la
rotazione non casuale, ma segue uno schema ben preciso e ripetuto. Le
strofe quasi sempre sono sei, cos la rotazione delle parole finali completa;
poi ci pu essere un congedo, in genere di tre versi (con le sei parole presenti
anche qui, tre in fondo e tre all'interno dei versi).
Credo per che il modo migliore per capirsi sia vedere un esempio di sestina
(prime due strofe) dal Canzoniere del Petrarca:
L'aere gravato, e l'importuna nebbia

compressa intorno da rabbiosi venti

tosto conven che si converta in


pioggia;

e gi son quasi di cristallo i fiumi,

e 'n vece de l'erbetta per le valli

non se ved'altro che pruine e ghiaccio. F

Et io nel cor via pi freddo che


ghiaccio

ho di gravi pensier tal una nebbia,

qual si leva talor di queste valli,

serrate incontra a gli amorosi venti,

e circundate di stagnanti fiumi,

quando cade dal ciel pi lenta pioggia. C


.......
I versi delle altre quattro strofe terminano con le stesse parole (nebbia, venti,
pioggia, fiumi, valli, ghiaccio) ruotate cos: CFDABE / ECBFAD / DEACFB /
BDFECA.
La Sestina narrativa o sesta rima invece una strofa rimata secondo lo
schema ABABCC, con i primi quattro versi a rima alternata e gli ultimi due a
rima baciata (una versione ridotta della pi nobile ottava rima, che vedremo
poi).
In genere in endecasillabi; ecco per una sestina di Carlo Betocchi con versi
settenari e ottonari:
.......

L, dove son romite

valli monotone, spente,

acque lacustri e trite

stagnandovi sonnolente

nasci, e per sete del mondo c


balzi nel cielo profondo.

.......
Occasionalmente si trovano anche sestine con schemi di rime differenti, ad
esempio ABBACC oppure ABBAAB o altro.
L' Ottava o ottava rima
E' un tipo di composizione che stato in auge per secoli, dal Trecento fino al
Seicento e oltre, specialmente per la poesia epica o eroicomica. Colui che l'ha

"lanciata" Boccaccio, che la impieg nel Filostrato e poi nel Ninfale fiesolano
.
Un grandissimo numero di poemi, poemetti e poesie sono stati scritti con
questo genere di strofa, usata tra gli altri da Pulci, Boiardo, Ariosto, Tasso,
Marino, Tassoni, Leopardi e Giusti.
Dopo il Seicento l'ottava piuttosto rara (uno dei pochi esempi
Sant'Ambrogio del Giusti), ma sopravvive fino ai giorni nostri nella poesia
popolare, soprattutto quella dei rimatori "a braccio", abilissimi ad
improvvisare contese poetiche a botta e risposta.
La strofa formata da otto versi, quasi sempre endecasillabi, sei a rima
alternata seguiti da due a rima baciata, secondo lo schema: A B A B A B C C (e
poi naturalmente: D E D E D E F F, e cos via).
Questa una strofa dal poemetto Ninfale fiesolano di Boccaccio:
Se tu m'aspetti, Mensola mia bella,

i' t'imprometto e giuro per gli dei

ch'io ti terr per mia sposa novella

ed amerotti s come colei

che se' tutto 'l mio ben e come quella A


ch'i in bala tutti i sensi miei;

tu se' colei che sol mi guidi e reggi,

tu sola la mia vita signoreggi.

e una strofa dall' Orlando Furioso di Ludovico Ariosto:


Afflitto e stanco al fin cade ne l'erba,

e ficca gli occhi al cielo, e non fa


motto.

Senza cibo e dormir cos si serba,

che 'l sole esce tre volte e torna sotto. B


Di crescer non cess la pena acerba,

che fuor del senno al fin l'ebbe

condotto.
Il quarto d, da gran furor commosso, C
e maglie e piastre si stracci di dosso. C
Infine due ottave dalla Gerusalemme Liberata del Tasso:
Cibo non prende gi: ch de' suoi mali A
solo si pasce, e sol di pianto ha sete:

ma 'l sonno, che de' miseri mortali

co 'l suo dolce oblio posa e quete,

sop co' sensi i suoi dolori, e l'ali

dispieg sovra lei placide e chete;

n per cessa Amor con varie forme

la sua pace turbar mentr'ella dorme.

Non si dest finch garrir gli augelli

non sent lieti a salutar gli albori,

e mormorare il fiume e gli arboscelli,

e con l'onda scherzar l'aura e co' fiori; E


apre i languidi lumi, e guarda quelli

alberghi solitari de' pastori;

e parle voce udir, tra l'acqua e i rami, F


ch'ai sospiri ed al pianto la richiami.

Parente povero dell'ottava rima della poesia epica il Rispetto toscano (o


Strambotto), che una composizione breve, spesso anche di una sola strofa, di
argomento lirico e amoroso, e di carattere popolare. Lo schema di rime pu
essere quello classico dell'ottava, oppure, raramente, A B A B A B A B
(Rispetto siciliano), ma in genere A B A B C C D D, come in quest'esempio di
Olindo Guerrini:

Nell'aria della sera umida e molle

era l'acuto odor de' campi arati

e noi salimmo insiem su questo colle

mentre il grillo stridea laggi nei


prati.

L'occhio tuo di colomba era levato

quasi muta preghiera al ciel stellato;

e io che intesi quel che non dicevi

m'innamorai di te perch tacevi.

La Nona rima , di solito con schema A B A B A B C C B, e la Decima rima (A


B A B A B C C C B) sono veramente molto rare.
Lo Stornello
E' una strofetta breve, popolare, formata da un verso di invocazione, in genere
ad un fiore, e da due endecasillabi in consonanza fra loro e col terzo verso che
rima col primo; ad esempio:
Fior d'amaranto
vieni con me, ti voglio far contento,
perch sei bello e a me mi piaci tanto.
L' Acrostico
E' una composizione dalle caratteristiche non definite, in cui le lettere iniziali
di ciascun verso, lette di seguito, formano un nome o una frase. La forma
strofica varia, condizionata dalle parole che si vogliono comporre con le
iniziali, ma l'acrostico ha senso soprattutto se la poesia in metrica e in rima,
altrimenti troppo facile scrivere versi (o frasi) che abbiano all'inizio la lettera
voluta.
Ecco un esempio:
Molto ho scritto di te, molto ho sognato,
Anche se tu non mi pensavi intanto;
Rimpiango tutto quel che non stato
In quei momenti che t'ho avuta accanto.
Sempre ricorder di quelle ore
Ardente la speranza dell'amore.

Come si pu vedere, le iniziali dei versi formano la parola "Marisa".


*****
Voglio concludere queste schede sulla metrica e sulle composizioni
tipiche della poesia italiana con una forma nuova.
Abbiamo parlato spesso di versi e di composizioni che hanno la loro
origine nel Duecento, quando si cominciato a usare come lingua letteraria
l'italiano (il volgare), o, per meglio dire, i dialetti, in particolare il siciliano e
poi il toscano, che ha finito col prevalere e diventare la lingua di tutta la
nazione (televisione esclusa!).
I poeti della scuola siciliana (prima met del Milleduecento) sono stati
cos bravi da riuscire a cogliere quasi tutte le potenzialit del nuovo
linguaggio, dal punto di vista poetico e musicale, e hanno scoperto regole
metriche che, essendo leggi naturali, non hanno potuto essere sostituite n
superate nel corso dei secoli. Naturalmente si pu non seguirle e cercare
musicalit nuove, pi dissonanti, in linea con certe tendenze (o mode?) della
musica e dell'arte, ma i risultati spesso sono deludenti e soltanto i prossimi
secoli potranno distinguere il grano dal loglio nella produzione moderna.
Quello poi che non hanno fatto i Siciliani, l'hanno fatto poco dopo i
Toscani (avete presente Dante, Petrarca e compagnia bella?) per cui
apparentemente non c' rimasto gran che da inventare; tanto che molti autori
del Novecento si sono arrabattati in ogni modo e con ogni tipo di
sperimentazione, nel tentativo di creare musicalit diverse, fuori della
tradizione (fra l'altro i versi "liberi" non sono in genere affatto liberi, ma
rispondono a complessi progetti di nuove sonorit!).
E cos molti, equivocando, pensano che dal Novecento si sia rinunziato
del tutto all'armonia dei versi, per fare poesia in prosa, andando
semplicemente a capo ogni tanto e senza motivo. Infatti i numerosissimi
concorsi di "poesia" sono inondati da brani in prosa che, se belli, potrebbero
ben figurare in un romanzo o in un diario, ma che con la poesia non hanno
niente a che vedere (di solito per non hanno niente a che vedere con la
poesia nemmeno le giurie, e quindi il sistema funziona perfettamente, e
rende!)
Eppure si possono fare cose nuove, anche in linea con una tradizione
plurisecolare.
Prima di tutto si possono usare le forme consuete, ma con un linguaggio
e una tematica moderni. Inoltre non c' limite alla fantasia con cui si possono
combinare o inventare forme metriche diverse e giochi di rime (se piace la
rima); e infine, quando si vuole, ci si possono porre ostacoli e fare con se
stessi sfide sempre nuove.
La libert di chi pu scegliere fra tante opzioni. Che libert c' nei
versi "liberi", anzi liberissimi, se l'unica cosa che si sa fare?
Mi capita a volte di sentire persone che si rammaricano di non poter
partecipare ai nostri incontri, perch - dicono - vorrebbero tanto conoscere la
metrica. Quando poi osservo che la metrica ha pochissime regole e chiedo se
hanno dato almeno una scorsa alle prime schede pubblicate sull'Alfiere, mi
rispondono: a) non le hanno nemmeno guardate, perch sono troppo difficili
(ma come fanno a saperlo, se non le hanno guardate?) b) non hanno tempo.
Si vede che sono interessati alla metrica, ma vorrebbero che qualcuno
gliela "siringasse" in testa, senza perdere neppure un'ora. Se cos mi auguro

che lascino perdere e non vadano a ingrossare le fila di quelli che credono di
conoscere la metrica per "scienza infusa" o che la identificano con rime
orrende!
Ma il bello che dopo otto secoli di poesia stato ancora possibile
lanciare un nuovo tipo di composizione, il Rond italiano, ideato nel 1995 da
Dalmazio Masini, presidente dell' Accademia Vittorio Alfieri, e poi ripreso da
tanti altri poeti di tutt'Italia.
Abbiamo fatto ricerche per vedere se questa forma, tutto sommato
"normale", era gi stata usata da qualcuno durante i secoli, ma non ne
abbiamo trovato esempi. Ci significa che se anche in futuro dovesse saltar
fuori un'antica poesia sconosciuta fatta cos, non toglierebbe nulla alla priorit
del nuovo Rond italiano.
Vi sono, sia in musica che in poesia, molte composizioni che hanno avuto
il nome di rond (vedi ad esempio D'Annunzio), ma si tratta di cose
assolutamente diverse, che hanno in comune solo una ciclicit (da cui il
nome), una ripetizione della melodia o del verso.
Il Rond italiano
E' una composizione in quartine rimate e incatenate; ogni quartina a
rima alternata, ma l'ultimo verso rima col primo della strofa seguente, per cui
ciascuna rima risulta ripetuta quattro volte (e solo quattro volte, perch la
stessa rima non si deve pi incontrare). Il verso finale dell'ultima quartina, che
non ha una strofa successiva, si riallaccia all'inizio, facendo rima con il primo
verso della poesia.
L'andamento delle rime pertanto questo: ABAB / BCBC / CDCD / DEDE
/ .... / XAXA.
Il tutto d l'idea di un ballo circolare, fatto ruotando su se stessi e
girando contemporaneamente anche la sala, fino a tornare al punto di
partenza. Per questo la nostra socia Gioia Guarducci ha proposto il nome
"Rond", a cui poi stato aggiunto l'appellativo "italiano", per caratterizzarlo
meglio e distinguerlo dalle forme musicali e metriche che hanno il generico
nome di rond.
E' un tipo di composizione che richiede capacit ed esperienza, perch
facile fare rime brutte e forzate, ma difficile farne tante e belle, senza
inciampare mai in paurose cadute di stile! Non consiglio perci di affrontarlo
a chi non ha una buona padronanza della metrica e della rima, altrimenti,
direbbe Dante, "sua disianza vuol volar sanz'ali".
Ovviamente non posso n proporre esempi classici, che non ci sono, n
riportare per intero un Rond, dato che si tratta in genere di composizioni
piuttosto lunghe. Chi ci legge ne ha gi trovati numerosi esempi sul nostro
periodico L'Alfiere e nella raccolta "Il Rond italiano - Vol. II", edita nel luglio
2002.
Mi limito a riportare l'inizio e la fine del primo rond della storia della poesia:
Ottobre di Dalmazio Masini.
Troppo uguale a quest'aria mi ritrovo
a questo dolce scivolare d'ore
che son per me come un vestito nuovo
mollemente avvolgente e protettore,

poco o niente rimane del furore


che accompagn i miei passi appena ieri
quando bastava un cenno intenditore
ad accendere istinti avventurieri.
..........
Come il tepore prossimo a morire
verso una fredda meta i passi muovo
ma pur se teso a questo divenire
bacio l'ultimo Sole e mi commuovo.
*****
Per concludere queste pagine, c' da dire che si trovano molte altre forme
metriche, a volte anche con regole variabili o non ben definite, secondo la
fantasia dell'autore, oppure riprese da analoghe composizioni classiche,
soprattutto greche, che per sono cadute in disuso o sono comunque
scarsamente usate nella poesia italiana.
Non il caso quindi di parlarne in questa rubrica, che non ha ambizioni
enciclopediche o accademiche, ma semplicemente una panoramica della
materia; pi vasta comunque di molte striminzite appendici poste in fondo alle
antologie scolastiche e che non si leggono mai, sia per mancanza di tempo, sia
per la naturale prudenza dei molti insegnanti a cui l'argomento non stato
insegnato!

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