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Giuseppe Rocco
COMPENDIO DI STORIA 2
Per la scuola media
Indice
Presentazione 3
Glossario 111
3
PRESENTAZIONE
L’autore
4
Il sogno di Carlo Magno e dei suoi successori di ricostruire l’unità dell’Europa cristiana fu una
delle caratteristiche dominanti del Medioevo. Con lo sviluppo di Stati sempre più uniti al loro
interno e sempre più diversi tra loro comincia una nuova era, segnata da gravi conflitti e da una
difficile situazione economica.
5
Il Trecento fu un secolo di grave crisi per la popolazione d’Europa. Carestie, epidemie e continue
guerre minacciarono pesantemente la crescita della popolazione.
Le terre coltivate furono in parte abbandonate: diminuirono così sia il lavoro dei contadini sia il
guadagno dei signori.
Le due grandi autorità politiche del Medioevo, l’impero e il papato, avevano ormai perso
molta della loro autorità. Dopo lo splendore del regno di Federico II (dal 1220 al 1250) nessuno
dei suoi successori al trono riuscì infatti ad affermare la propria supremazia sui principi tedeschi o
sui comuni italiani.
La monarchia papale, a sua volta, conobbe la massima espressione delle sue pretese di supremazia
con i papi Innocenzo III (1198-1216) e Bonifacio VIII (1294-1303), ma ad essi si opponevano
ormai i sempre più autorevoli regnanti d’Europa, come il re Filippo IV il Bello di Francia che non
esitò a minacciare lo stesso papa, nel 1302, pur di affermare il proprio diritto a imporre tasse anche
al clero.
La debolezza del papato divenne ancora più evidente nel periodo della cattività avignonese e
durante il lungo scisma che contrappose più papi che si dichiaravano legittimi: questo scisma si
risolse nel 1418, anno in cui terminò il concilio di Costanza.
L’Europa assumeva quindi un volto politico diverso rispetto a quello che aveva caratterizzato il
Medioevo, a causa dello sviluppo degli Stati nazionali guidati da autonome monarchie.
Dal Duecento al Quattrocento i re di Francia seppero imporsi gradualmente ai diversi signori
feudali, al potere della Chiesa e all’influenza della corona inglese, che per diritto feudale continuava
a controllare parte del territorio francese.
Con la lunga guerra dei cent’anni, la monarchia francese conquistò il pieno controllo del proprio
territorio e affermò il principio dell’appartenenza di tutti i Francesi ad un’unica nazione.
Anche l’Inghilterra conobbe nello stesso periodo un crescente accentramento dei poteri e una
maggiore unità nazionale. A differenza della Francia, tuttavia, il potere della monarchia subì precise
limitazioni, a partire dalla concessione, nel 1215, della Magna Charta Libertatum, per la quale il re
era obbligato a ottenere il consenso dei sudditi prima di imporre loro nuove tasse.
Fu questo il primo abbozzo di una monarchia di tipo costituzionale i cui poteri, cioè, non erano
assoluti, ma regolati da leggi cui anche il re doveva sottostare.
Tra le nuove nazioni va ricordata anche la Spagna, destinata a diventare una grande potenza dopo
essersi liberata dalla dominazione araba e aver superato, almeno in parte, la tradizionale divisione
dei diversi regni cristiani nati dopo la riconquista del territorio con il matrimonio che unì, nel 1469,
le corone di Castiglia e di Aragona.
un certo numero di vassalli e il rapporto personale tra nobili era il vincolo fondamentale su cui si
basava l’intera società.
Durante il XIV secolo tutti gli elementi che abbiamo ricordato entrarono in crisi e cominciarono a
subire una profonda trasformazione.
Ecco alcuni fattori che determinarono il cambiamento.
1. All’inizio del secolo, a seguito di un improvviso mutamento del clima, si registrarono annate
molto piovose e scarsità di raccolti di cereali. La carestia, aggravata dalla necessità di
sfamare una popolazione fino ad allora in continua crescita, decimò la popolazione.
2. L’Europa fu colpita da una serie di epidemie di peste, una terribile malattia infettiva. Tre
furono le più gravi: quella del 1348-1349, quella tra il 1360 e il 1390 e quella tra il 1397 e il
1402.
In alcune regioni morì fino al 50% della popolazione e in media perì il 30% degli abitanti
dell’intero continente. Particolarmente colpite furono le città, dove i contatti a rischio di
contagio erano più frequenti.
3. Per tutto il secolo, e fino all’inizio del successivo, vi furono molte guerre, combattute
spesso da eserciti mercenari che non esitavano, quando necessario, a saccheggiare le
campagne.
4. Le terre coltivate furono in parte abbandonate: diminuirono così sia il lavoro dei contadini
sia il guadagno dei signori.
5. I contadini, lavorando meno, avevano sempre maggiori difficoltà a pagare le tasse agli
esattori inviati dai re e dai principi: si ebbero quindi frequenti e sanguinose rivolte.
Mercenari.
Il termine “mercenario” deriva dalla parola di origine latina “mercede”, che significa “paga”; il
mercenario, infatti, presta un servizio in cambio di una paga.
I mercenari erano anche chiamati “soldati di ventura”: le cosiddette compagnie di ventura erano
bande di mercenari “al soldo”, cioè comandate e retribuite, da un condottiero (il capitano di
ventura).
Gli eserciti mercenari erano formati da soldati di professione che combattevano per chi li pagava
meglio (e non per amore della propria patria).
Le rivolte popolari:
La crisi dell’impero.
L’impero, che era stata la più importante istituzione politica del Medioevo, aveva vissuto un’ultima
grande stagione grazie alla figura di Federico II (1220 – 1250).
Egli, nel 1220, era stato incoronato imperatore dal papa Onorio III e regnava sull’Italia meridionale
come re di Sicilia, sulla Germania e sull’Italia settentrionale e centrale come imperatore.
Federico II fu il primo in Europa ad affermare che la sovranità del re è assoluta e che a lui devono
sottomettersi sia i nobili sia le città.
Ma il suo progetto di fondare uno Stato monarchico centralizzato riuscì soltanto nell’Italia
meridionale, dove il re si riservò ogni diritto sull’amministrazione della giustizia e dell’economia
(con i monopòli di Stato sul sale, sul ferro, sul rame, sulla seta e sul commercio del grano).
Minor successo lo ottenne in Germania e in Italia settentrionale:
In Germania si rafforzò il potere di nobili laici ed ecclesiastici che si consideravano
autonomi dall’imperatore, al quale riservavano un omaggio solo formale;
Nell’Italia settentrionale continuarono a difendere la propria autonomia i liberi comuni,
sempre sostenuti dal papato, che temeva l’accerchiamento, da sud e da nord, di un impero
troppo forte e unito.
Tra i comuni italiani:
Alcuni si schierarono a favore dell’imperatore e contro la concezione del potere assoluto
pontificio (i ghibellini);
Altri sostennero strenuamente il papa (i guelfi).
Federico II combatté i comuni guelfi, tra cui Milano, Bologna e Parma, ma non riuscì mai a ottenere
una vittoria piena.
Alla morte dell’imperatore, nel 1250, nessuno dei suoi successori riuscì più a controllare nobili e
comuni e ad imporsi al potere del papato. Diversi di loro intervennero ancora in Italia, fino alla
metà del Trecento, per far valere i diritti dell’impero su di essa; ma furono tutti sconfitti dalle forze
guelfe di diversi comuni, sostenute dai papi e dai nuovi signori del regno di Sicilia: i Francesi
prima, gli Spagnoli poi.
Alcuni successori di Innocenzo III fecero però un passo indietro rispetto a lui.
Innocenzo IV (1243 – 1254), per esempio, risolse il contrasto con l’imperatore Federico II con
grande vigore e rigidità: depose il proprio avversario, offrendo in tal modo una chiara applicazione
del principio della supremazia del pontefice romano sul potere temporale.
Potere temporale.
E’ il potere del sovrano. Con il termine “temporale” si indica ciò che appartiene al mondo
materiale e che è sottoposto alle leggi del tempo (nascita, cambiamento, morte). Si tratta quindi di
quanto non è né eterno né immortale.
Bonifacio VIII (1294 – 1303) intervenne direttamente nelle lotte politiche tra guelfi e ghibellini a
Firenze; poi, si impegnò a favore degli Angioini (Francesi) contro gli Aragonesi (Spagnoli) nella
guerra per il controllo dell’Italia meridionale, che si concluse con la spartizione del regno in due
parti.
La cattività avignonese.
La politica di Bonifacio VIII trovò tuttavia un ostacolo nel re di Francia Filippo IV il Bello
(1285 – 1314); questi, senza aver richiesto prima al papa l’autorizzazione, pretese anche dal
clero il pagamento di una tassa per finanziare l’esercito: veniva così messa in discussione
l’autonomia dei religiosi. Il pontefice condannò tale decisione con una bolla; per reazione il
monarca bloccò l’arrivo a Roma delle abbondanti entrate di oro e di argento che il papato
riceveva dalla Francia. Allora Bonifacio VIII riconobbe al re il diritto di richiedere, senza la
sua autorizzazione, in caso di necessità, la riscossione di tasse anche agli ecclesiastici.
Non si trattò di un episodio isolato: nel 1301 Filippo IV fece arrestare un vescovo, Bernard
Saisset, sotto l’accusa di tradimento. Papa Bonifacio VIII rispose prontamente con due
bolle:
in una incolpava il re di oltrepassare i limiti del suo potere;
nella seconda (1302) chiamata Unam Sanctam (“Una Santa”) rivendicava con forza alla
Chiesa l’uso delle due spade e affermava che tutti, anche i re, devono sottomettersi al
pontefice per salvarsi.
Il sovrano francese reagì dichiarando il papa colpevole di eresia; poi, quando Bonifacio VIII
era in procinto di scomunicarlo, lo fece arrestare da un suo inviato, Guglielmo di Nogaret,
che lo imprigionò ad Anagni, presso Frosinone. Il popolo di Anagni insorse e riuscì a
liberare Bonifacio VIII, che però non resse all’affronto e morì poche settimane dopo.
La sconfitta del papato divenne ancor più evidente con la nomina di un successore francese,
Clemente V, che nel 1309 decise di trasferire la sede del papato ad Avignone (nella Francia
sud-orientale). Ebbe inizio la cosiddetta cattività (=prigionia) avignonese, che si concluse
nel 1377 sotto Gregorio XI, quando questi fece ritorno a Roma.
Non si trattò, però, del tutto, di un periodo di crisi ecclesiastica, né la dipendenza del papato
dal re di Francia si rivelò totale. Papi e cardinali collaborarono, per meditata scelta, con le
corti francesi di Parigi e di Napoli al fine di costruire in Europa un solido e potente sistema
guelfo (fedele cioè al papa).
La scomunica.
La scomunica rappresenta la forma più severa di condanna ecclesiastica: con essa il battezzato che
abbia peccato in modo particolarmente grave sul piano della fede o della morale viene escluso dai
sacramenti e dalla Chiesa.
I governanti che ne venivano fatti oggetto erano privati del diritto di governare; pertanto, i sudditi
si potevano ritenere sciolti dal dovere di fedeltà verso il proprio sovrano.
9
Filippo Augusto (1180 – 1223) fu il primo a contrastare con forza il potere dei re d’Inghilterra. Egli
sconfisse, nel 1214, l’esercito inglese nella importante battaglia di Bouvines.
Da questo momento, la corona francese fu considerata con rispetto anche dai più importanti principi
feudali.
Furono proprio i crescenti costi che lo Stato doveva sopportare a rendere necessario un aumento
delle entrate fiscali: questo – ne abbiamo già parlato nelle pagine precedenti - spinse re Filippo IV
il Bello a imporre tasse anche al clero.
In occasione di questo conflitto con la Chiesa il re convocò per la prima volta, nel 1302, gli Stati
Generali, cioè l’assemblea dei rappresentanti del clero, dei nobili e della borghesia.
Essi decretarono che il potere del sovrano discendeva direttamente da Dio, senza alcuna
mediazione del papa. Questo aperto sostegno di tutti i suoi sudditi permise al re di agire con grande
determinazione contro il pontefice e di vincere il conflitto con lui.
Per tutto il XIV secolo, e fino alla metà di quello successivo, la Francia fu impegnata in un lungo e
difficile conflitto con l’Inghilterra.
Nel 1328 morì Carlo IV (1322 – 1328) e divenne re Filippo VI (1328 – 1350). Ma il re
d’Inghilterra Edoardo III (1327 – 1377) pretese che venissero riconosciuti i suoi legami di
parentela con l’antica dinastia di Francia (sua madre Isabella era figlia di Filippo IV il Bello) e si
proclamò a sua volta re di Francia nel 1337.
Lo scontro fu inevitabile.
Scoppiò così quella che per la sua lunghezza e complessità fu chiamata guerra dei cent’anni (1337
– 1453) e che si concluse con la sconfitta degli Inglesi e la nascita di uno Stato francese.
Questa guerra, la cui vera ragione consisteva nel controllo esercitato dai re inglesi su vaste zone
della Francia, si svolse in due fasi:
nel corso della prima fase (1337 – 1380), si ebbero vittorie da parte inglese e vari periodi di
tregua;
dopo una lunga sospensione delle ostilità, iniziò la seconda fase (1414 – 1453); la svolta
decisiva dell’intero conflitto si registrò nel 1429, quando i Francesi, sotto la guida di
Giovanna d’Arco (1412 – 1431), misero fine all’assedio di Orléans da parte inglese,
sconfiggendo il nemico nella battaglia di Patay e costringendolo ad arretrare fino al canale
della Manica.
Tutto si concluse definitivamente senza la firma di alcun trattato di pace; ma agli Inglesi rimase
soltanto la città di Calais, sulla Manica.
Durante questo lunghissimo periodo i diversi feudi francesi non lottarono da subito uniti contro
l’Inghilterra. Alcuni si schierarono con gli Inglesi, e soltanto dopo grandi contrasti cominciò a
nascere tra i Francesi la consapevolezza di far parte di una stessa nazione, di avere in comune una
lingua e una cultura, di essere un solo popolo guidato da un solo sovrano.
Determinante in tal senso si rivelò appunto l’esempio di Giovanna d’Arco, detta “la pulzella
(fanciulla) d’Orléans”, che si proclamò inviata da Dio per la liberazione del proprio popolo.
Nel 1430, durante una operazione militare contro gli Inglesi nei pressi di Parigi, Giovanna cadde in
mano nemica. Liberata dal vescovo Pierre Cauchon, venne condotta a Rouen davanti a un tribunale
ecclesiastico e processata per eresia (sosteneva di dover rendere conto solo a Dio e non alla Chiesa)
e per stregoneria (i suoi accusatori erano convinti che ella fosse in rapporto con spiriti maligni).
Alla fine, condannata a morte, venne arsa sul rogo.
Nel 1453 i territori del regno di Francia erano più estesi che mai e sotto re Luigi XI (1461 – 1483)
il Paese ridivenne unito e saldo.
Questo sovrano consolidò il potere della monarchia servendosi anche di mezzi illeciti; gettò le basi
dell’assolutismo in Francia e al tempo stesso accrebbe la ricchezza del Paese con lo sviluppo
dell’industria e del commercio.
Egli sconfisse le ultime rivolte dei nobili, conquistò la Borgogna, l’Angiò e la Provenza. Seppe
governare con il pieno appoggio della borghesia delle città (i mercanti, i ricchi artigiani, i
possidenti terrieri) e riuscì a controllare con forza i nobili e il clero senza aver bisogno
dell’appoggio degli Stati Generali, che divennero un’assemblea da convocare solo in caso di
estrema necessità.
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Il regno d’Inghilterra.
Anche il regno d’Inghilterra si era avviato, fin dall’XI secolo, a diventare uno Stato forte e
centralizzato.
Partendo dalla Normandia, Guglielmo il Conquistatore (1066 – 1087) guidò nel 1066 l’invasione
dell’isola e ne divenne re dopo la battaglia di Hastings. Il regno venne diviso in contee affidate a
funzionari regi; questi erano incaricati di riscuotere le tasse e di assicurare che tutti i sudditi
servissero il re nell’esercito in caso di guerra.
I grandi feudatari laici ed ecclesiastici erano coinvolti nell’amministrazione del Paese.
Nel 1086 Guglielmo fece fare un censimento generale delle proprietà e fece calcolare con cura le
rispettive tasse.
Con questi dati fu redatto il Domesday Book, ossia un registro dei beni di ogni suddito influente;
questo registro era talmente accurato da costituire un forte strumento di potere per la monarchia, in
quanto il re e i suoi funzionari potevano verificare con certezza chi avesse pagato le tasse e chi no.
Le prime difficoltà per la corona inglese sorsero in corrispondenza con le guerre contro i Francesi,
desiderosi di impadronirsi dei vasti feudi fedeli agli Inglesi presenti sul loro territorio.
Il re Giovanni Senzaterra (1199 – 1216), già malvisto dai nobili per l’eccessivo carico di tasse da
lui imposto per la guerra, fu sconfitto a Bouvines (1214) dai Francesi guidati dal re Filippo Augusto
(1180 – 1223); e, per questo motivo non riuscì a opporsi alla richiesta dei nobili che ottennero un
documento che limitava il suo potere di imporre tasse senza assenso da parte dei sudditi.
Nel 1215 si giunse così a quel testo di accordo che va sotto il nome di Magna Charta Libertatum
(“Grande Carta delle libertà”).
In esso si affermava che nessuna tassa sarebbe più stata imposta dal re senza il consenso di quanti
avrebbero dovuto pagarla. Per imporre le tasse il re avrebbe dovuto ottenere l’approvazione del
Grande consiglio del regno, che nel 1242 prese il nome di Parlamento dei Lord.
La Magna Charta fu poi approvata anche dal clero e dai borghesi delle più importanti città del
regno. In questo modo si impose il principio secondo il quale il potere del re non era un potere
assoluto, ma egli doveva accordarsi con i diversi ceti per stabilire insieme le leggi più importanti e
poi rispettarle a sua volta.
Il re d’Inghilterra non era considerato superiore alle leggi, ma sottoposto al loro rispetto.
Nasceva così il primo abbozzo di quella che sarebbe divenuta la futura monarchia costituzionale
inglese.
Nel 1265 il re Edoardo I (1272 – 1307) approvò più ampi poteri per il Parlamento, che dal XIV
secolo in poi fu diviso in due parti:
la Camera Alta, o dei Lord (con i rappresentanti della nobiltà e del clero);
la Camera Bassa, o dei Comuni (con i rappresentanti della borghesia), che esercitava
funzioni di controllo politico e fiscale e limitava ulteriormente il potere del re.
L’aver concesso potere alla società fu per lo Stato inglese una fonte di stabilità: re e Parlamento
riuscirono a governare e a mantenere l’unità del Paese.
Con queste istituzioni l’Inghilterra affrontò la lunga guerra dei cent’anni contro la Francia. Dopo la
sconfitta e la perdita dei territori francesi, nel 1453, il potere del re Enrico VI (che regnò in due
fasi, dal 1422 al 1461 e dal 1470 al 1471) si trovò indebolito come mai era capitato a nessuno dei
suoi predecessori (anche a causa di una sua improvvisa follia).
Alla sua morte scoppiarono violenti conflitti civili tra nobili sostenitori della sua famiglia (i
Lancaster) e nobili sostenitori delle pretese dinastiche della famiglia degli York.
La guerra delle due rose – così detta perché originata dalle insegne delle due casate (una rosa rossa
per i Lancaster, una rosa bianca per gli York) – durò trent’anni (dal 1455 al 1485) e vide la vittoria
e l’ascesa al trono di Enrico VII Tudor (1485 – 1509), ultimo discendente dei Lancaster, che sposò
l’ultima erede degli York. Egli acquistò un grande potere personale, confiscando i beni dei nobili
ribelli, ridotti allo stremo dal lungo conflitto.
Enrico VII regnò imponendo un regime assolutistico e convocando sempre più raramente il
Parlamento.
12
Durante il Medio Evo, quasi tutti gli aspetti della vita umana erano visti alla luce
dell’ideale religioso.
14
Cronologia
Tra il XIV e il XV secolo l’Italia seguì un’evoluzione politica completamente diversa dal resto
dell’Europa.
Nel corso del Trecento, infatti, le diverse famiglie della ricca borghesia si contendevano il controllo
delle istituzioni cittadine, suscitando continue lotte interne.
Per fare fronte a questa situazione ciascun Comune finì con l’attribuire i poteri politici a un signore,
trasformandosi così in un principato ereditario, riconosciuto dall’imperatore e dal papa. Intorno alle
città più importanti, poi, si formarono, grazie a trattati e a conquiste militari, dei veri e propri Stati
regionali. Tra di essi vi furono, nella prima metà del Quattrocento, continue guerre.
Con la pace di Lodi, nel 1454, fu stabilito un equilibrio tra i cinque Stati più importanti: il ducato di
Milano, governato dagli Sforza, la repubblica di Venezia, ultima grande potenza marinara, la
signoria di Firenze, guidata dai Medici, lo Stato Pontificio e il regno di Napoli, passato nel 1442
sotto il controllo degli Aragonesi di Spagna.
La pace di Lodi garantì una certa stabilità politica per circa 40 anni, cioè fino alla morte, nel 1492,
di uno dei suoi principali artefici, Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze. In questo periodo
l’Italia fu caratterizzata da un grande sviluppo in campo artistico, letterario e filosofico. Dopo il
crollo di Costantinopoli, caduta nelle mani dei Turchi nel 1453, molti studiosi provenienti
dall’Europa orientale, che conoscevano il greco e le grandi tradizioni della cultura antica,
emigrarono in Occidente e diedero un forte impulso alla ripresa degli studi sulla cultura greca e
romana, che ebbero proprio in Italia un centro di grande interesse.
Lo studio dei testi antichi portò all’esaltazione dell’uomo e delle sue capacità, in particolare
dell’uso della ragione, con la quale egli illumina i misteri della natura.
A questo movimento culturale fu dato il nome di Umanesimo ed esso fu al centro della
straordinaria stagione culturale nota come Rinascimento.
Le corti italiane furono animate dalla presenza di alcuni tra i più grandi pittori, architetti, scultori e
scrittori di ogni tempo.
Dal 1492 ricominciarono le lotte tra gli Stati italiani che aprirono la strada alla conquista del Paese
da parte delle potenze europee.
Nel 1559, con la pace di Cateau-Cambrésis, la forte monarchia spagnola affermò il suo controllo su
Milano, Genova, la Sardegna, gran parte della Toscana, Napoli e la Sicilia.
Solo lo Stato pontificio, Venezia e la Savoia rimasero indipendenti.
Vennero infatti scelti dei signori che avessero la forza sufficiente per imporre e mantenere la pace.
A volte furono dei nobili, la cui famiglia poteva finanziare un esercito sufficiente ad affermare la
loro autorità su tutti, altre volte dei ricchissimi borghesi, altre volte dei capitani di ventura, ossia
comandanti di eserciti mercenari assoldati dal comune e divenuti, a poco a poco, più importanti
delle stesse autorità politiche locali.
I borghesi rinunciarono volentieri a ricoprire cariche di governo in cambio della pace e della
sicurezza, indispensabili per esercitare i loro traffici.
Il popolo più povero non aveva la forza per cambiare le cose e desiderava comunque la pace.
I nobili, a loro volta, appoggiarono il signore in cambio del rispetto di alcuni loro privilegi.
Nel XV secolo l’autorità dei signori fu riconosciuta dall’imperatore e dal papa, che concessero i
titoli nobiliari di duca, marchese, conte, trasmissibili ai loro eredi dopo la loro morte. Le signorie si
trasformarono così in principati.
I prìncipi delle città più forti riuscirono, grazie alla loro autorità e unendo le forze di tutto il
Comune, a conquistare la regione circostante e a trasformare il loro dominio in un piccolo ma
compatto Stato regionale.
All’interno delle città i prìncipi finirono per sopprimere, di fatto, le diverse strutture politiche
comunali ed esercitarono un potere personale quasi assoluto.
Per difendere il principato, per estenderlo e per assicurare su di esso il proprio controllo, essi
ricorsero alle compagnie di ventura, eserciti mercenari disposti a combattere per il miglior
offerente.
Per quarant’anni non vi furono guerre importanti, e ciò favorì lo sviluppo economico e culturale dei
diversi Stati.
Vittoria Colonna (1490 – 1547), autrice di una raccolta di Rime; di Giovanni della Casa (1503 –
1556), autore del Galateo.
Nella filosofia emersero Nicola Cusano (1401 – 1464), autore della Dotta ignoranza e Giovanni
Pico della Mirandola (1463 – 1494), autore del Discorso sulla dignità dell’uomo.
Il pensiero politico, sino ad allora impegnato a tracciare le linee di un’ideale città perfetta,
cominciò a osservare la realtà delle cose in se stessa.
In questa nuova direzione si distinse l’opera di Niccolò Machiavelli (1469 – 1527), che nell’opera
Il principe pose al centro della propria riflessione lo Stato. Accanto a lui troviamo un altro
fiorentino, Francesco Guicciardini (1483 – 1540), che nella Storia d’Italia mise in luce gli
interessi e le ambizioni della società del tempo attraverso i suoi protagonisti.
Nell’arte il soggetto preferito era rappresentato dalla figura umana: la bellezza del volto e del
corpo, inserito nella natura, permetteva di metterne in risalto l’armonia.
Pittori e scultori non si dedicarono più in modo esclusivo a soggetti sacri (episodi dell’antico e del
Nuovo Testamento) oppure li interpretarono facendo posare gente comune per dare un volto ai
personaggi biblici.
Tra loro troviamo gli scultori Lorenzo Ghiberti (1378 – 1455) e Donatello (1386 circa – 1466); i
pittori Masaccio (1401 – 1428), Piero della Francesca (1416 circa – 1492), Andrea Mantegna
(1431 – 1506), Sandro Botticelli (1446 – 1510), il Perugino (1446 – 1523), e Raffaello Sanzio
(1483 – 1520); e Michelangelo Buonarroti (1475 – 1564) che fu pittore e scultore. Tra i pittori
troviamo anche una donna, le cui opere divennero subito note nell’ambiente artistico del tempo:
Sofonisba Anguissola (1531 – 1626).
L’architettura ridisegna il volto della città, permettendo all’uomo di vivere in un ambiente dove
dovevano dominare la razionalità, la simmetria e l’eleganza.
Tra i maggiori architetti vanno ricordati Filippo Brunelleschi (1377 – 1446), Leon Battista
Alberti (1404 – 1472) e Donato Bramante (1444 – 1514).
Anche la musica ebbe un suo posto. Nel 1440 venne redatto il Codice Squarcialupi, il più noto
documento della musica del Trecento, e nel 1471 fu creata in Vaticano una cappella musicale, la
Cappella Sistina (affrescata da Michelangelo), così detta dal nome del pontefice Sisto IV (1471 –
1484).
L’artista rinascimentale spesso era contemporaneamente scrittore, poeta, pittore, scultore, architetto,
scienziato, inventore. E’ il caso, ad esempio, di Leonardo da Vinci (1452 – 1519), sulla cui figura
proponiamo nella pagina che segue una breve scheda.
Tra le città animate da una grande fioritura artistica spiccò soprattutto Firenze. I principi della
famiglia dei Medici (e in particolare il già nominato Lorenzo il Magnifico) chiamarono presso di sé
artisti e studiosi: letterati, filosofi, pittori, scultori, architetti.
In questo ruolo di mecenati, essi esaltarono la loro potenza e soprattutto abbellirono le proprie città,
arricchendole con le opere d’arte degli artisti più famosi dell’epoca.
L’esempio dei principi di Firenze fu ben presto seguito da altre famiglie in vista: banchieri e ricchi
commercianti divennero ben presto importanti committenti di grandi opere d’arte.
Allo stesso modo si comportarono gli Sforza a Milano (che ospitarono Bramante e Leonardo), i
Gonzaga a Mantova, gli Estensi a Ferrara (che protessero Boiardo e Ariosto), i papi, che fecero di
Roma una delle più importanti sedi europee della cultura e dell’arte (qui lavorarono, tra gli altri,
anche Michelangelo, Bramante e Raffaello).
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Leonardo da Vinci.
Pittore, scultore, architetto, ingegnere, filosofo, fisico, anatomista, biologo, zoologo e altro ancora,
Leonardo incarna il prototipo del genio multiforme.
Questo atteggiamento universalistico (cioè la capacità di occuparsi di quasi tutti i campi del
sapere), testimoniato dalla poderosa mole degli appunti da lui lasciati (più di 7000 fogli
manoscritti, raccolti in codici), è anche un segno del suo tempo.
Il Rinascimento, infatti, pone l’uomo al centro dell’universo e ne esalta le capacità razionali che
gli consentono di dominare la complessità della realtà che ci circonda.
Arte e scienza hanno per Leonardo un solo scopo: la conoscenza della natura.
L’arte ne coglie l’aspetto qualitativo, la bellezza, la proporzione; la scienza ne esplicita le leggi in
termini matematici, universali e, insieme all’esperienza, costituisce un bagaglio imprescindibile per
l’artista.
Ogni opera, e molti sono i capolavori nella sua vasta produzione, è preceduta da lunghi e accurati
studi perché egli mette sempre in discussione la tradizione iconografica e persino la tecnica
pittorica a favore dell’innovazione, sempre interpretando la realtà attraverso la propria coscienza di
“omo sanza lettere”.
Niccolò Copernico.
Niccolò Copernico studiò astronomia nelle Università di Bologna e Padova.
Fu l’autore di una vera e propria rivoluzione: infatti fu il primo a sostenere la teoria eliocentrica,
che venne esposta nel De revolutionibus orbiun coelestium (I moti dei corpi celesti) nel 1543.
Secondo questa teoria è la Terra assieme agli altri pianeti a ruotare attorno al Sole seguendo
traiettorie circolari. Il sistema eliocentrico (detto anche copernicano) incontrò parecchie
opposizioni prima di essere accettato da teologi, filosofi e scienziati.
MEDIOEVO: RINASCIMENTO:
1- Nel Medioevo Dio è al centro della vita. 1- Nel Rinascimento l’uomo è al centro
dell’universo.
2- La vita terrena ha minore importanza rispetto alla 2- La vita terrena ha maggiore importanza
vita ultraterrena. rispetto alla vita ultraterrena.
personaggi motivo
Ludovico il Moro Spodestò Gian Galeazzo erede del ducato di
Milano.
Lorenzo dei Medici Fece di Firenze il centro culturale e spirituale del
Rinascimento.
Cola di Rienzo Instaurò la repubblica a Roma durante la cattività
avignonese.
Carlo VIII Scese per primo in Italia dando il via alla lotta
per l’egemonia in Italia.
Pier Capponi Oppose resistenza a Carlo VIII a Firenze.
Giulio II Organizzò con Venezia e la Spagna una Lega
Santa contro la Francia.
Carlo V Fu sovrano di un impero immenso che andava
dalla Germania al Perù.
Francesco I Contrastò Carlo V per evitare l’accerchiamento
della Francia.
Gli artisti italiani che resero splendido il Rinascimento italiano furono veramente innumerevoli. E’
impossibile ricordarli tutti. A malapena si può proporre un elenco dei più grandi.
epoca artista attività città principali in cui
operò
1377-1446 Filippo Brunelleschi architetto Firenze
1386-1466 Donatello scultore Firenze
1397-1475 Paolo Uccello pittore Firenze, Venezia
1400-1455 Beato Angelico pittore Firenze
1401-1429 Masaccio pittore Firenze
?1410-1492 Piero della Francesca pittore Firenze, Urbino
?1430-1479 Antonello da Messina pittore Messina, Napoli,
Firenze
1430-1516 Giovanni Bellini pittore Venezia
1431-1506 Andrea Mantegna pittore Padova, Mantova
1444-1510 Sandro Botticelli pittore Firenze
1444-1514 Donato Bramante architetto Firenze, Roma
1445-1516 Giuliano da Sangallo architetto Firenze
1445-1523 Perugino pittore Firenze
1452-1519 Leonardo da Vinci pittore e scienziato Firenze, Milano,
Francia
1455-1525 Vittore Carpaccio pittore Venezia
1475-1564 Michelangelo scultore, architetto, Firenze, Roma
pittore
1477-1510 Giorgione pittore Venezia
1483-1520 Raffaello pittore Firenze, Roma
1490-1576 Tiziano pittore Venezia
1508-1580 Andrea Palladio architetto Vicenza, Venezia
1511-1574 Giorgio Vasari pittore, storico dell’arte Firenze
23
Stregoneria e magia.
Il Quattrocento fu anche il secolo della magia, dell’astrologia e della stregoneria. Grandi umanisti
riscoprirono l’eredità magico-astrologica antica e medioevale e la divulgarono traducendo testi
classici. Ma anche tra il popolo si diffusero leggende e pratiche di magia e di stregoneria.
Di stregoneria si può parlare fin dal Duecento; i papi la vietarono e quanti la praticavano furono
colpiti dalla persecuzione e messi al rogo.
Fu soprattutto a partire dal XV secolo che l’intera Europa sembrò addirittura invasa da una vera e
propria “epidemia di stregoneria”.
La Chiesa si mostrò estremamente preoccupata e in alcuni documenti ufficiali metteva in guardia
dal pericolo di certe pratiche sino al punto da scatenare un’autentica caccia alle streghe.
Nel 1487, a opera di due domenicani tedeschi, Jacob Sprenger e Heinrich Institoris, venne
pubblicato un manuale indirizzato contro quelle che venivano definite “le discepole del diavolo”, il
Malleus maleficarum (Martello delle streghe); l’opera è una raccolta di tutte le credenze relative
alla magia e alla stregoneria in Germania.
Streghe e stregoni vennero arrestati, processati e messi al rogo e lo stesso potere secolare adottò in
materia le direttive pontificie.
Proprio in Francia e in Germania, nel Cinquecento, furono i tribunali civili a istruire processi per
stregoneria, cui seguirono repressioni di estrema durezza.
Cronologia
Il Cinquecento fu un secolo di grandi cambiamenti: è il periodo dal quale gli storici fanno
iniziare l’epoca moderna. Con la scoperta delle Americhe e di nuove rotte per raggiungere
l’Oriente il mondo diviene più grande, mentre l’Europa, sempre più divisa, perde in questo secolo
anche la sua unità religiosa.
26
Nel 1492 Cristoforo Colombo, navigando verso ovest alla ricerca di una nuova rotta verso l’Asia
raggiunse le Bahamas e aprì la strada all’esplorazione e allo sfruttamento di un nuovo continente.
Dopo il trattato di Tordesillas, che divise i nuovi territori tra Portogallo e Spagna, gli Spagnoli
vinsero e sottomisero con la forza delle armi da fuoco e con l’astuzia gli imperi degli Aztechi, in
Messico, e degli Incas, in Perù. A poco a poco tutta l’America meridionale fu sottomessa e gli
Europei costrinsero gli Amerindi a lavorare duramente nelle miniere o a coltivare le terre di
proprietà dei bianchi. Tutto questo portò alla morte per sfruttamento e per malattie di milioni di
Amerindi. Rimasero inascoltati i provvedimenti dei regnanti, che vietavano la riduzione in stato di
schiavitù e il maltrattamento degli indigeni, o le proteste di alcuni coraggiosi testimoni, come il
domenicano Bartolomeo de Las Casas.
L’altro grande cambiamento che segnò la storia europea di questo secolo fu la perdita dell’unità
religiosa. Nel 1517 Martin Lutero, un monaco tedesco, rese pubbliche una serie di 95 tesi: esse
affermavano che la salvezza dell’uomo dipende dalla sua fede in Cristo Salvatore piuttosto che dalle
opere buone. Queste ultime, infatti, venivano spesso confuse con offerte di denaro alla Chiesa. La
protesta di Lutero, che affermava anche il diritto di ogni cristiano di leggere e interpretare
personalmente la Bibbia, fu sostenuta da una parte dei principi tedeschi, interessati a rafforzare la
loro autonomia dal papa e dall’imperatore e a impadronirsi dei beni della Chiesa presenti sui loro
territori. Dopo una serie di conflitti la pace di Augusta, nel 1555, stabilì il diritto dei principi ribelli
di professare la loro fede e impose ai loro sudditi di seguire la loro confessione.
Nel 1534 anche il re d’Inghilterra Enrico VIII decise di rafforzare il potere della monarchia inglese
mettendola a capo di una Chiesa nazionale, detta anglicana, basata su principi diversi da quelli
luterani, ma ugualmente autonoma da Roma.
Alla forte contestazione della Riforma protestante la Chiesa cattolica rispose con i provvedimenti
adottati dal Concilio di Trento, dal 1545 al 1563.
Nel frattempo per tutto il secolo aumentò la divisione politica del continente. La Spagna ebbe un
momento di grande splendore sotto i regni di Carlo V e Filippo II, poi decadde, lasciando posto alla
crescente potenza marittima e commerciale dell’Inghilterra di Enrico VIII e Elisabetta I.
Lungo la rotta tracciata dai due navigatori, sulle coste dell’Africa e dell’India, e spingendosi persino
in Cina, i Portoghesi si assicurarono una serie di scali commerciali e di basi sicure per le proprie
navi.
In Spagna Isabella I di Castiglia (1474 – 1504) e Ferdinando II d’Aragona (1479 – 1516)
finanziarono la spedizione del genovese Cristoforo Colombo (1451 – 1506).
Questi, partito da Palos nell’agosto 1492 con tre caravelle, nell’ottobre sbarcò in un’isola
dell’arcipelago delle Bahamas, convinto di avere raggiunto il Cipango (il Giappone).
Fatto ritorno in Spagna l’anno seguente, dopo avere scoperto diverse isole delle Antille, effettuò
ulteriori viaggi nel Centroamerica (1493, 1498, 1502).
Con le sue spedizioni egli inaugurò l’era delle grandi scoperte e permise alla Spagna di avere in
Europa, per circa un secolo, un ruolo di assoluta preminenza.
Il viaggio di Colombo.
Introdotto nell’ambiente portoghese, ma desideroso di battere vie nuove, fu il marinaio genovese
Cristoforo Colombo (1451 – 1506). Egli, seguendo le teorie d’un geografo e matematico
fiorentino, ossia di Paolo dal Pozzo Toscanelli (1397 – 1482), si convinse:
che la superficie delle acque terrestri fosse molto inferiore a quella delle terre emerse;
che fra le coste europee dell’Atlantico e le coste orientali dell’Asia non vi fossero terre.
Colombo penò molto a persuadere Ferdinando e Isabella, impegnati nella lunga lotta contro i Mori,
a concedergli tre caravelle, anche perché, sicuro del fatto suo, pretendeva un compenso molto
elevato.
Il 3 agosto del 1492 le caravelle (Nina, Pinta e Santa Maria) partirono da Palos e, dopo un lungo
viaggio, il 12 ottobre dello stesso anno, approdarono sull’isola Guanahani, da Colombo poi
ribattezzata San Salvador (oggi Watling, nelle Bahamas).
Sempre per conto della Spagna, il fiorentino Amerigo Vespucci (1454 – 1512) nel 1499 esplorò la
costa sudamericana, scoprendo il Rio delle Amazzoni.
In seguito (1501 – 1502), al servizio del Portogallo, Vespucci effettuò un secondo viaggio lungo le
coste brasiliane fino al Rio della Plata.
Egli fu il primo a comprendere di trovarsi di fronte a un “nuovo mondo”, che per questo, in suo
onore, venne chiamato America.
Nuovi viaggi di esplorazione per la corona del Portogallo furono effettuati da un altro portoghese,
Pedro Alvares Cabral (1467 – 1520), che seguì un’insolita rotta verso sud-ovest, incontrando venti
e correnti che lo portarono sulle coste del Brasile. Qui prese possesso del Paese a nome del
Portogallo.
Su incarico della Spagna, il portoghese Ferdinando Magellano (1480 – 1521), alla ricerca di una
rotta occidentale per le Indie, scoprì invece lo stretto compreso tra la Patagonia e la Terra del
Fuoco, che mette in comunicazione l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico.
Alla sua morte (venne ucciso dagli indigeni nelle isole Filippine), lo spagnolo Juan Sebastian
Elcano (circa 1450 – 1526) assunse il comando della spedizione, portando così a termine (1522) la
prima circumnavigazione del globo.
Spagnoli e Portoghesi cominciarono ben presto a contendersi il diritto di proprietà sulle terre
scoperte e la questione venne risolta con il trattato di Tordesillas (1494), che stabilì una linea di
demarcazione: a ovest delle Azzorre i possedimenti della Spagna, a est i possedimenti del
Portogallo.
L’impresa venne continuata dal figlio Sebastiano (circa 1480 – 1557), che lo accompagnava, e che
giunse alla baia di Hudson (1509). Poi, in anni successivi (1526 – 1530). Sebastiano fu a capo di
una spedizione spagnola che esplorò il Rio della Plata.
1486: Bartolomeo Diaz giunge fino a Capo di Buona Speranza (Capo Tormentoso).
1488: Vasco De Gama su percorso del Diaz giunge nel porto di Calicut (in India).
1492: Cristoforo Colombo non circumnaviga l’Africa, ma cerca di arrivare nelle Indie con
una scorciatoia attraverso l’Oceano Atlantico. L’impresa si conclude con la scoperta di una
nuova terra: l’ America. Dopo Colombo molti altri cercarono di scoprire nuove terre.
1497: Giovanni Caboto e suo figlio Sebastiano toccarono le coste del Canada, Labrador,
Terranova.
1507: Amerigo Vespucci sbarcò più a Sud: nell’America meridionale.
1519-22: Ferdinando Magellano fu l’unico a circumnavigare tutto il globo terrestre. A
questo punto la Spagna e il Portogallo cercano di ingrandire il loro impero coloniale.
Da subito gli Europei si comportarono nei confronti degli abitanti del Nuovo Mondo come se fosse
del tutto naturale portare loro la propria cultura e civiltà, sottraendo al tempo stesso terre, ricchezze
e ogni bene.
Tra il 1519 e il 1521 lo spagnolo Fernando Cortés sbarcò in Messico e attaccò, con soli 300
uomini, 15 cavalli e 7 cannoni l’impero degli Aztechi. Essi accolsero pacificamente il conquistatore
e furono facilmente sconfitti dalle armi degli Spagnoli non appena tentarono di ribellarsi alle loro
pretese.
Stessa sorte toccò ai Maya (una popolazione che occupava la zona compresa tra l’attuale Messico
meridionale e l’Honduras) che tra il 1523 e il 1528 vennero sottomessi dagli Spagnoli.
Nel 1531 lo spagnolo Francisco Pizarro partì da Panama e invase l’attuale Perù, dove conquistò e
sottomise l’impero degli Incas (1532).
Gli Spagnoli ottennero facili vittorie contro questi grandi e potenti imperi sia perché possedevano
le armi da fuoco, sorprendenti per le popolazioni indigene, sia perché alcuni popoli dominati dagli
Aztechi, dagli Incas e dai Maya accolsero gli Europei come liberatori.
Fu così che imperi caratterizzati da antiche e raffinate civiltà, di cui oggi ammiriamo le splendide
architetture e conosciamo le scoperte in campo matematico, astronomico e naturalistico, caddero
preda di avventurieri senza scrupoli, interessati solo a conquistare nuove terre, schiavi e oro.
Dopo aver depredato le ricche città dei popoli americani, gli Spagnoli cominciarono a organizzare
un sistema di dominio territoriale simile a quello feudale.
Essi affidarono, quindi, vaste aree di territorio a singoli proprietari che le amministravano con il
pugno di ferro, esercitando assoluta autorità su coloro che le abitavano.
Gli indigeni furono costretti a duri lavori servili. Molti di loro perirono per la fatica e le privazioni;
altri per le nuove malattie (influenza, morbillo, vaiolo, ecc.), del tutto sconosciute, portate
dall’Europa dai conquistatori.
La cultura degli Aztechi e degli Incas, considerata barbara e incivile dai conquistatori, fu
cancellata senza esitazioni e con la violenza in nome dell’annuncio della fede cristiana e delle
nuove abitudini di vita che questa portava con sé.
30
Le più importanti conseguenze della conquista dell’America furono, dapprima, la raccolta di ingenti
quantità di metallo prezioso, indispensabili per le casse degli Stati conquistatori.
Dai Paesi oltreoceano giunsero inoltre nuovi prodotti alimentari che cambiarono, a poco a poco,
le abitudini degli Europei: il cacao il pomodoro, il mais, la patata, i fagioli.
Furono inoltre introdotte in Europa alcune piante medicinali e il tabacco.
Anche il tacchino, prima sconosciuto, fece la sua apparizione sulle tavole del Vecchio Mondo.
SCOPERTE GEOGRAFICHE:
conseguenze economiche: sviluppo dell'industria cantieristica. Nascita di po-
tenti società commerciali, trasformazione dell'a-
gricoltura.
Conseguenze culturali: studio della flora e della fauna dei nuovi paesi.
Convinzione che la civiltà europea fosse superio-
re a tutte le altre.
Conseguenze sociali: formazione del capitalismo finanziario nelle mani
della borghesia. Decadenza della Nobiltà feudale.
Emigrazione.
Conseguenze scientifiche: fu provata la sfericità della Terra. Si aprì la strada
alla scienza moderna fondata sul metodo speri-
mentale.
31
Erasmo da Rotterdam.
La figura di umanista cristiano più influente fu quella di Erasmo da Rotterdam (1466 – 1536),
che promosse un autentico rinnovamento culturale, letterario e religioso. Nel suo Manuale del
soldato di Cristo (1504) troviamo un appello alla ricerca di una religione più interiore, mentre nel
più noto Elogio della Follia (1511) polemizza contro il fanatismo e il dogmatismo, la corruzione,
l’ignoranza, la superstizione e l’intolleranza del clero, tessendo l’elogio di quella superiore
« follia » che spinge il cristiano a improntare la sua vita alla fede.
Nel 1506 papa Giulio II inaugurò solennemente i lavori per la costruzione della più grande basilica
della cristianità : la basilica di San Pietro.
Ad essa lavorarono grandi artisti del Rinascimento : Bramante, Michelangelo, Bernini.
L’opera, destinata a esaltare la fede cristiana, ma anche il potere della corte di Roma, richiedeva
molto denaro. Perciò il papa decise di annunciare l’offerta di speciali indulgenze : a chi faceva
penitenza e donava del denaro per la costruzione di San Pietro, la Chiesa assicurava la propria
32
efficace intercessione perché gli fossero abbreviate le pene nel Purgatorio, prima di entrare in
Paradiso.
In tutta Europa abili predicatori e banchieri appositamente incaricati si impegnarono per raccogliere
il denaro della vendita delle indulgenze.
Gli argomenti adottati da questi predicatori per convincere la gente a conquistare il Paradiso con
l’offerta del proprio denaro provocarono la ferma protesta di un monaco tedesco, Martin Lutero
(1483 – 1546).
Il 31 ottobre 1517 egli affisse sul portone della cattedrale di Wittenberg, in Sassonia, 95 tesi. In esse
si affermava tra l’altro che :
nessun uomo ha la forza, né con offerte in denaro, né con altre opere buone, di rendersi più
buono e più giusto agli occhi di Dio ;
è Dio stesso, nella sua misericordia, che perdona e salva gli uomini peccatori,
indipendentemente dai loro meriti ;
l’unica cos ache deve fare l’uomo è avere fede in Dio e affidarsi a lui.
Le tesi di Lutero ebbero una grande diffusione e furono accolte da molti con vivo entusiasmo.
Lutero sviluppò ulteriormente la sua protesta contro la Chiesa, affermando che ogni credente può
nutrire la sua fede in Dio leggendo da solo la Bibbia, senza bisogno che essa gli venga spiegata da
un sacerdote. PerL utero, la funzione della Chiesa, del clero, dei sacramenti (a parte l’eucarestia e il
battesimo) non è più essenziale.
La Cena eucaristica, che viene celebrata nella messa, va mantenuta, ma non è che il ricordo
dell’amore di Cristo per gli uomini e non il nuovo sacrificio del suo corpo e del suo sangue offerto
dal sacerdote. Lutero sostenne quindi l’dea del sacerdozio universale di tutti i credenti, dando
dignità ai semplici fedeli laici.
Quando Lutero giunse ad attaccare apertamente anche il primato del papa sulla Chiesa, Leone X lo
minacciò di scomunica (1520) e, in assenza di ritrattazione, lo scomunicò (1521).
Alla decisione del papa si un’ anche quella dell’imperatore Carlo V, che con l’editto di Worms
(1521) mise al bando Lutero da tutto l’impero.
La protesta di Lutero aveva però incontrato il favore di una parte dei prìncipi tedeschi, desiderosi
di affermare la loro autonomia dal papa (e dalle sue richieste economiche) e dall’imperatore.
Nel 1529, riuniti nella città di Spira, questi prìncipi elevarono una protesta all’imperatore,
affermando che non avrebbero ubbidito ai suoi provvedimenti contro Lutero e contro i suoi sempre
più numerosi seguaci.
Da qui l’origine del nome di protestanti dato ai movimenti religiosi che traevano ispirazione
dall’insegnamento di Lutero.
Scoppiò allora una guerra tra i protestanti e l’impero, che si conclue nel 1555 con la pace di
Augusta.
In essa fu stabilito che i prìncipi ribelli avevano pieno diritto di professare la loro fede e di essere
autonomi da Roma.
Fu invece imposto ai sudditi di seguire la fede del loro principe o di abbandonare la terra dove
risiedevano (cuius regio eius religio). La libertà di religione per tutti era ancora un ideale molto
lontano.
Negli anni successivi i prìncipi protestanti riorganizzarono i loro Stati secondo le regole di uno
Stato moderno e autonomo, dove chi regnava aveva ormai il pieno controllo su ogni aspetto della
vita dei cittadini (sia politico, sia religioso) senza dover dipendere da un’autorità esterna.
La Riforma si diffuse, gradualmente, anche in Svizzera (per opera di Ulrich Zwingli e di Giovanni
Calvino), e in molti Paesi del Nord Europa. L’unità religiosa d’Europa, che durava dai tempi di
Carlo Magno, e che aveva già subito una frattura in Inghilterra nel 1534 con Enrico VIII
(anglicanesimo), era ormai infranta.
33
Il regno di Spagna era nato nel 1469 dal matrimonio tra Ferdinando d’Aragona e Isabella di
Castiglia, i regnanti che protessero e sostennero Cristoforo Colombo e poi diedero slancio alla
conquista del Nuovo Mondo e che perseguitarono musulmani ed ebrei.
All’inizio del Cinquecento il giovane Stato si trovò a esercitare una forte supremazia sul resto del
continente. Nel 1519, infatti, Carlo V, della famiglia degli Asburgo e nipote di Isabella di Castiglia,
fu eletto imperatore grazie all’appoggio dei grandi mercanti-banchieri di Augusta. Egli era già re
di Spagna e dominava sui Paesi Bassi, sul regno di Napoli e sui domini degli Asburgo.
Il grande potere concentrato nelle mani di Carlo V preoccupava i Francesi, che si vedevano ormai
circondati dalla potenza asburgica. Il loro re, Francesco I (1515 – 1547), aveva tentato a sua volta
di farsi eleggere imperatore, ma senza successo. Dopo l’elezione di Carlo V, egli intraprese una
lotta senza quartiere per evitare che il grande regno di Francia si trovasse accerchiato dai territori
controllati dall’imperatore.
Ma Carlo V non aveva solo i Francesi come nemici.
I prìncipi tedeschi difendevano orgogliosamente la loro autonomia e alcuni di loro, come abbiamo
visto, aderirono con entusiasmo alla Riforma protestante di Lutero.
Carlo V tentò di riconciliare le divisioni tra i suoi sudditi, ma senza successo, convocando nel 1530
la Dieta di Augusta. L’anno successivo i prìncipi protestanti, che si sentivano minacciati, si
unirono nella Lega di Smalcalda e strinsero un’alleanza contro Carlo V con Enrico II (1547 –
1559), il nuovo re di Francia.
Le lotte tra Francia e l’impero e tra l’impero e i prìncipi tedeschi si incrociarono, creando una
situazione di grande instabilità.
Le lotte interne in Germania si conclusero nel 1555 con la pace di Augusta, con la quale Carlo V
riconobbe i successi già ottenuti dal protestantesimo. Fallita la sua aspirazione all’unità politica e
religiosa dell’impero e dell’Europa, Carlo V abdicò e divise in due parti i suoi domini:
al figlio Filippo II (1555 – 1598) andò la corona di Spagna;
al fratello Ferdinando d’Austria (1556 – 1564) toccarono i domini tedeschi e orientali.
Il regno di Spagna ereditato da Filippo II era il più potente d’Europa. Filippo unì il Portogallo alla
Spagna nel 1580 e combatté sempre con ferocia i tentativi di conquistare l’autonomia da parte dei
Paesi Bassi.
Anche l’impero coloniale spagnolo era in continua crescita. Grazie all’unione con il Portogallo e le
sue colonie, Filippo II controllava tutta l’America del Sud, numerosi insediamenti in Africa, in
India e nell’Oceano Pacifico (le isole Filippine presero da lui il loro nome).
Alla corte di Filippo II giunsero da ogni parte d’Europa artisti, che resero splendide le città di
Siviglia e Toledo e costruirono Madrid, la nuova capitale.
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Eppure l’impero di Filippo II era destinato a una rapida decadenza. L’inutile lotta contro i Paesi
Bassi (che si concluderà nel Seicento con il riconoscimento da parte della Spagna del nuovo Stato)
fece consumare ingenti risorse umane e materiali.
Era invece in grande crescita la potenza marittima e commerciale dell’Inghilterra che, come
vedremo, presto avrebbe conteso alla Spagna il controllo dei mari.
La Francia, intanto, non cessò mai di essere una potente nemica, sempre pronta a colpire.
Elisabetta I mantenne con la Spagna relazioni ambigue: non volle inimicarsela per timore che essa
appoggiasse i cattolici scozzesi, ma permise alle navi inglesi di disturbarne l’attività commerciale,
incoraggiando vere e proprie azioni di pirateria condotte da corsari.
Il più famoso tra questi fu Francis Drake (circa 1541 – 1596). Primo tra gli Inglesi ad avere
circumnavigato il globo (1580), condusse azioni contro le colonie spagnole del Messico, del Cile e
del Perù, ricevendo da parte della corona onori e riconoscimenti.
A lui si deve la grande vittoria nelle acque della Manica (1588) contro la flotta spagnola, la
Invincibile Armata.
personaggi motivo
Tommaso Muntzer Capeggiò la rivolta dei contadini tedeschi.
Anna Bolena Sposò Enrico VIII in seconde nozze.
Enrico VIII Fece approvare dal parlamento l’atto di
supremazia.
Sant’Ignazio di Loyola Fondò l’ordine dei Gesuiti.
Papa Paolo III Convocò il Concilio di Trento.
37
Cronologia
Mentre l’Europa è tormentata dalle guerre, dalle carestie e dalle epidemie di peste, due Stati
importanti, Francia e Gran Bretagna, crescono fino a diventare potenze di assoluto prestigio.
La Spagna, invece, si indebolisce sempre più.
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le guerre, spesso di lunga durata, diedero un forte contributo nel decimare e impoverire le
popolazioni.
2. Nel Cinquecento lo sviluppo economico complessivo (produzione di manufatti, commerci
con l’estero, nuove conquiste coloniali) aveva portato benefici a diversi Stati europei. Nel
Seicento, invece, alcuni grandi Paesi imboccarono la strada di un progressivo indebolimento
e declino: tra questi spicca la Spagna che aveva male investito le ricchezze provenienti dal
Nuovo Mondo, in particolare l’oro e l’argento. Con questi beni i re spagnoli avevano
finanziato le guerre contro la Francia, avevano affermato il loro potere sull’Italia e
combattuto contro l’Inghilterra e i ribelli Olandesi. Ma se da un lato questi conflitti diedero
risultati duraturi solo in Italia, dall’altro portarono i re di Spagna a trascurare lo sviluppo
economico del Paese, limitato spesso all’acquisto all’estero dei prodotti necessari. Per
sostenere la propria potenza, la Spagna impose inoltre pesanti tributi ai territori controllati (e
in particolare all’Italia) causandone l’impoverimento senza per questo risolvere i problemi
dell’economia spagnola: quando diminuì il flusso di metalli preziosi dal Sud America, la
Spagna cadde in profonda crisi.
3. Nel frattempo, anche se a prezzo di grandi sacrifici, si affermavano l’Inghilterra e la nuova
nazione olandese. La concorrenza commerciale di Inglesi e Olandesi fece tramontare anche
la supremazia di Venezia sul Mediterraneo.
4. La Francia, al contrario, rimase a lungo in disparte a causa di continui conflitti interni e di
una politica economica poco intraprendente, almeno fino alla seconda metà del Seicento.
5. Nella prima metà del secolo, l’Europa fu inoltre travagliata dalla lunga e complessa guerra
dei trent’anni (1618 – 1648), che vide contrapposti molti Stati europei in un conflitto, nato
da motivazioni religiose, che provocò l’intervento di tutte quelle forze che, di volta in volta,
avevano interessi politici e cercavano di imporre un nuovo equilibrio a loro più favorevole.
Avvenne che il tentativo dell’imperatore cattolico Ferdinando II d’Asburgo (1618 – 1637)
di imporsi sui prìncipi e sulle popolazioni protestanti (per dare ancora una volta unità e forza
all’impero) provocò la loro reazione concretizzatasi nella formazione di un’alleanza. A essa
si contrapposero gli Asburgo, i Bavaresi (cattolici) e gli Spagnoli, che cercavano di
riconquistare il loro ruolo nell’Europa centrale e il controllo sui Paesi settentrionali, a
maggioranza protestante.
Contro i cattolici scesero in campo sia la Francia sia l’Inghilterra che finanziarono la lotta
delle Province Unite e l’intervento nella guerra di Danimarca e Svezia; successivamente la
Francia sconfisse più volte gli Spagnoli.
Nell’ottobre 1648, dopo una guerra che ebbe costi altissimi (in trent’anni, per esempio, la
popolazione della Germania diminuì del 40%), fu firmata la pace di Westfalia, dalla quale
scaturì un nuovo equilibrio di forze per l’Europa:
i principati tedeschi divennero Stati sovrani;
l’impero si dissolse definitivamente;
i Paesi Bassi divennero indipendenti;
la Spagna si indebolì più che mai;
la Francia divenne la nuova maggior potenza continentale.
Il difficile cammino della Francia: dalla guerra civile al regno assoluto di Luigi XIV.
La Francia aveva toccato un momento di grande debolezza quando era stata costretta a firmare la
pace di Cateau-Cambrésis (1559) e a cedere alla nemica Spagna il controllo sull’Italia.
Negli anni immediatamente successivi essa fu sconvolta da continue guerre civili. Tra il 1562 e il
1598 la maggioranza cattolica e la minoranza dei protestanti francesi (detti ugonotti) si
combatterono crudelmente.
41
Tra il 23 e il 24 agosto 1572 avvenne a Parigi la terribile strage della notte di san Bartolomeo: i
cattolici massacrarono più di 3000 capi ugonotti, giunti in città per il matrimonio tra Margherita di
Valois, sorella del re Carlo IX (di parte cattolica), ed Enrico di Borbone (sostenuto dai protestanti).
La guerra civile continuò senza tregua fino all’ascesa al trono di Enrico di Borbone, con il nome di
Enrico IV (1598 – 1610).
Per diventare re egli non esitò a convertirsi al cattolicesimo e nel 1598 emanò l’editto di Nantes,
che concedeva piena libertà religiosa ai protestanti francesi, purché fossero fedeli sudditi dello
Stato.
Cessata la guerra civile, Enrico IV si dedicò a ricomporre l’unità dello Stato sotto il suo controllo e
a dare nuovo sviluppo all’economia. Ma nel 1610 egli morì, vittima di un attentato da parte di un
fanatico cattolico.
Al suo posto salì al trono il figlio minorenne Luigi XIII (1610 – 1643). Egli seppe esercitare scarsa
autorità, ma si affidò a due abili primi ministri: il cardinale Richelieu (1585 – 1642) e, dopo di lui,
il cardinale Mazzarino (1602 – 1661).
I due potenti ministri prepararono le basi del futuro regno assoluto in Francia:
concentrarono tutti i poteri dello Stato (politico, militare, giudiziario ed economico) nelle
mani del sovrano;
limitarono sempre più il potere dei nobili e le loro pretese, soffocando anche le loro
continue rivolte;
contrastarono il desiderio di autonomia dei protestanti francesi;
risollevarono l’economia del Paese;
decisero l’intervento nella guerra dei trent’anni a sostegno dei protestanti pur di portare la
Francia ad essere, con la pace di Westfalia del 1648, la più importante potenza europea.
Quando nel 1661 morì il cardinale Mazzarino, il nuovo re Luigi XIV ebbe i pieni poteri. Mentre in
altri Stati europei i nobili e i borghesi più ricchi realizzavano le prime forme di democrazia, la
Francia scelse la strada dell’assolutismo regio.
rafforzò l’esercito, come mai era avvenuto prima. Esso servì sia per presidiare tutto il
territorio francese e impedire le rivolte dei nobili e dei contadini, sia per combattere le
continue guerre esterne.
Alla base della politica di potenza dello Stato francese Luigi XIV pose l’obiettivo di rafforzare
l’economia.
Per fare questo egli favorì lo sviluppo dei lavori pubblici: costruì nuove strade, ponti, canali,
palazzi pubblici e la stessa reggia di Versailles.
Inoltre egli seguì fino in fondo una politica mercantilista e protezionistica. In base ad essa, lo
Stato:
interveniva direttamente sull’andamento dell’economia, favorendo lo sviluppo delle attività
commerciali interne (mercantilismo);
difendeva i propri produttori e mercanti dall’importazione delle merci provenienti
dall’estero mediante pesanti dazi di ingresso. Che rendevano molto alti i prezzi delle merci
importate (protezionismo).
Infine lo Stato creò manifatture di sua proprietà. In esse furono invitati a lavorare tecnici e
artigiani esperti, che giungevano anche dall’estero con la promessa di alti salari, per rafforzare la
produzione nazionale.
Questo genere di politica economica e la volontà di imporre la propria supremazia sugli Altri Paesi
europei accomunavano tutti i maggiori Stati europei e portarono a guerre continue.
Tra il 1651 e il 1667 Inglesi e Olandesi combatterono aspramente perché si ritenevano
reciprocamente danneggiati da misure protezionistiche sulla produzione di tessuti e sull’uso
esclusivo delle proprie navi negli scambi commerciali.
Gli Olandesi combatterono poi vittoriosamente contro la Francia, fino al 1678, per analoghi motivi.
Ma il massimo sforzo militare fu sostenuto dalla Francia contro un’alleanza (la Lega di Augusta,
costituitasi nel 1686) che riunì Spagna, Gran Bretagna, Impero Asburgico, Paesi Bassi, Svezia e
Savoia.
La guerra, nata dalle mire espansionistiche della Francia verso Est, durò dal 1678 al 1697 e fu
combattuta in Europa e in America del Nord, sia per terra sia per mare.
Alla fine la Francia, esausta e oppressa da sempre più pesanti tasse, dovette rinunciare alle proprie
aspirazioni.
Il Bill of Rights.
Nel Bill of Rights del 1688 si stabiliscono due importanti principi democratici:
1. il diritto di voto per eleggere i propri rappresentanti in Parlamento e la libertà di coscienza e
di opinione;
2. la distinzione dei poteri:
al re e al suo governo il potere esecutivo (far eseguire le leggi);
al Parlamento quello legislativo (fare le leggi);
ai magistrati indipendenti quello giudiziario (giudicare e condannare chi viola le
leggi).
Questi principi sono la base delle moderne democrazie.
Fu poi stabilita con un Atto di tolleranza (1702) la libertà di culto e la fine di ogni persecuzione
religiosa.
Infine, il re e il Parlamento posero ogni cura nella formazione di una buona classe di
amministratori dello Stato, onesti e fedeli.
Alla fine del Seicento l’Inghilterra è ormai una grande potenza mondiale. Ha una forte marina
militare e commerciale, un sistema politico liberale e tollerante fondato sui diritti della persona e
sulla rappresentanza degli interessi dei cittadini in Parlamento.
Il sistema politico della monarchia costituzionale, dove il re è sottoposto alle leggi, è ben diverso
dalla monarchia assoluta.
44
Anche la monarchia assoluta era un sistema di governo moderno, perché privilegiava gli interessi
dello Stato su quelli della nobiltà feudale; ma in questo sistema i diritti dei cittadini non godevano
di quello spazio che solo un Parlamento autorevole e liberamente eletto poteva garantire.
FRANCIA:
Carlo VIII (+1498) di Valois.
Luigi XII (+1515) – (del ramo Valois-Orleans).
Francesco I di Valois (+1547).
Enrico II (+1559) – (marito di Caterina dei Medici +1589).
Francesco II (+1560).
Carlo IX (+1574).
Enrico III (+1589).
Enrico IV di Borbone (marito di Maria dei Medici).
Luigi XIII (1610-1643) – (coadiuvato dal 1° ministro, cardinale di Richelieu).
Luigi XIV (1643-1715) – (1° ministro: Mazarino).
INGHILTERRA:
Enrico VII Tudor (1485-1509).
Enrico VIII (1509-1547).
Edoardo VI (1547-1553).
Maria Tudor la Cattolica (1553-1558) – (sposa Filippo II).
Elisabetta I (1558-1603) – (figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena).
Giacomo I Stuart (1603-1625) – (figlio di Maria Stuarda).
Carlo I (1625-1649) – (1^ rivoluzione inglese).
Governo repubblicano capeggiato da Cromwell (1649 – 1658).
Carlo II Stuart (1658 – 1685).
Giacomo II (1685 – 1688) – (2^ rivoluzione inglese).
Guglielmo III d’Orange (1688 – 1702).
MODELLI DI STATO:
La ricerca di Galileo Galilei (1564 – 1642) portò a una nuova visione del lavoro dello scienziato.
Infatti, egli cercò di scoprire le leggi matematiche della realtà fisica e il suo esempio sarà seguito da
altri dopo di lui.
Anche nel campo della filosofia si videro importanti progressi: l’uomo europeo ormai non si
accontentava più di essere fedele alla tradizione antica o a quella ecclesiastica.
Con il francese Renato Cartesio (1596 – 1650) si affermò il metodo del dubbio: ciascun uomo
deve cercare con le sole sue forze razionali quali sono le verità evidenti, dando egli stesso un ordine
al mondo.
La corrente di pensiero inaugurata da Cartesio fu detta razionalismo.
Cronologia
Durante il Settecento sempre più estesi possedimenti coloniali furono sottomessi all’autorità dei
Paesi europei e al loro sfruttamento.
L’America meridionale rimase sotto la diretta amministrazione della corona spagnola e di quella
portoghese e fornì metalli preziosi, legname pregiato e prodotti agricoli. Per la coltivazione delle
terre furono importati decine di migliaia di schiavi dall’Africa.
Anche le colonie francesi del Nord America furono governate direttamente dallo Stato.
Gli Inglesi, invece, svilupparono il proprio impero coloniale affidandolo a Compagnie private.
Anche per questo la Gran Bretagna prevalse sulla Spagna nel controllo delle rotte marine e poi sulla
Francia nel controllo dei vasti territori dell’America settentrionale e dell’Asia.
In Europa due nuove nazioni si imposero sulla scena politica.
La Prussia divenne, sotto la forte guida del re Federico Guglielmo I (1713-1740), il più potente e
meglio organizzato dei principati tedeschi, con una efficiente classe di funzionari pubblici e un forte
esercito. La Russia, guidata dallo zar Pietro I il Grande (1689-1725), si munì di una moderna
amministrazione, spostò la capitale a San Pietroburgo, riorganizzò l’esercito ma rimase legata a
un’organizzazione di tipo feudale delle sue immense estensioni agricole, ancora coltivate da servi
della gleba.
Le diverse potenze europee combatterono tra loro, con mutevoli alleanze, una serie di conflitti che
avevano motivazioni politiche ed economiche.
Vi fu così una guerra di successione al trono di Spagna, poi di Polonia e d’Austria e infine la
cosiddetta guerra dei sette anni (1756-1763) che si concluse con la sostanziale sconfitta della
Francia, costretta a cedere i suoi possedimenti coloniali in America settentrionale alla Gran
Bretagna.
In quei decenni una nuova corrente di pensiero – l’Illuminismo - si diffuse gradualmente in Europa.
Molti intellettuali (filosofi, scrittori, giuristi, artisti) proposero una concezione della cultura e della
politica ispirata alla guida della ragione e capace di promuovere il progresso dei popoli tramite
l’istruzione e un uso ragionevole del potere.
Ispirandosi a queste idee alcuni sovrani introdussero nei loro regni importanti riforme: un certo
miglioramento delle condizioni di vita dei contadini, la riforma del fisco e dell’istruzione,
l’abolizione della tortura e della pena di morte. Anche l’Italia, sempre divisa in più Stati spesso
dipendenti dal controllo dell’Austria, fu interessata da alcune di queste riforme e fu animata
dall’azione di alcuni grandi pensatori illuministi, come il milanese Cesare Beccaria che si batté per
l’abolizione della pena di morte.
In America settentrionale i Francesi occuparono la zona dei Grandi Laghi, che oggi si
trova al confine tra Stati Uniti e Canada. Ma in queste vaste regioni essi poterono sviluppare
soltanto il commercio di pellicce e si trovarono in costante conflitto con gli Inglesi.
Più importanti furono, per loro, le colonie dell’America centrale. Nelle isole dei Carabi essi
facevano coltivare da schiavi africani canna da zucchero e tabacco, che poi esportavano in
tutta Europa.
3. Durante tutto il secolo gli Inglesi si impegnarono costantemente nella fondazione di nuove
colonie, dimostrando una straordinaria intraprendenza.
Lo Stato, fin dai tempi della regina Elisabetta I, favorì in ogni modo questo impegno, ma
furono soprattutto le compagnie private a creare sempre nuovi insediamenti e a
commerciare nuovi prodotti: così numerosi cittadini inglesi (spinti anche dai frequenti
conflitti interni) abbandonarono la patria per stabilirsi nelle nuove terre dell’America del
Nord.
Dopo aver efficacemente contrastato gli Olandesi e aver strappato agli Spagnoli la
supremazia sui mari, gli Inglesi fondarono importanti colonie in America settentrionale: in
Virginia, nel Maryland, nel Massachusetts coltivarono tabacco, sempre più richiesto dagli
Europei.
Sconfitta la Francia nella guerra dei sette anni (di cui parleremo tra poco) essi conquistarono
il Canada, alcune isole dei Carabi e la Florida.
Agli Spagnoli e ai Portoghesi, invece, imposero di servirsi soprattutto delle loro navi per i
commerci da e verso l’America del Sud.
In Asia, infine, essi contrastarono la potenza portoghese e olandese con i loro sempre più
importanti insediamenti in India e nelle isole degli oceani Indiano e Pacifico.
4. A poco a poco gli Europei stavano imponendo al mondo intero la loro supremazia. Con la
forza dei loro Stati organizzati e con la loro superiorità militare essi sfruttarono anche nei
secoli successivi le risorse disponibili in tutto il mondo per assicurare alle proprie economie
il massimo sviluppo possibile.
Nel frattempo, continuava in Europa la lotta per la supremazia che già aveva caratterizzato
i due secoli precedenti.
Alla fine del regno di Pietro I la Russia aveva tolto alla Svezia la Finlandia e parte dei possedimenti
tedeschi sul Mare del Nord.
Lo zar spostò la propria capitale nelle nuova città da lui stesso fondata sul modello delle grandi città
europee: San Pietroburgo. Mosca era considerata da lui una città troppo asiatica e distante
dall’Europa.
Grazie all’opera di Pietro I, d’ora in avanti la Russia sarebbe stata una delle protagoniste della
politica europea.
L’altro Stato affacciatosi sulla scena delle grandi potenze europee fu la Prussia che il re Federico
Guglielmo I (1713 – 1740) trasformò in un potente regno. Egli, come i suoi predecessori, fondò
l’organizzazione dello Stato sull’esercito.
Tutti i cittadini erano di fatto considerati a disposizione dello Stato e, tra i nobili e i più ricchi
borghesi, potevano acquisire importanti cariche nell’amministrazione solo coloro che avevano
prestato un onorevole servizio militare.
La capitale del nuovo regno fu Berlino e da qui i re prussiani guidavano con grande vigore il Paese,
grazie a una classe di funzionari molto preparati e ben pagati.
Federico Guglielmo I e il suo successore, Federico II il Grande (1740 – 1786), fecero della Prussia
il più forte Stato germanico, grazie alle vittorie ottenute intervenendo nelle più importanti guerre
del secolo a fianco dell’Inghilterra (contro la Francia, di cui parleremo più avanti) e della Russia
(contro la Svezia).
Un secolo di conflitti.
Lungo l’intero Settecento si svolsero in Europa continui conflitti tra i maggiori Stati al fine di
impedire che uno di essi potesse acquistare un eccessivo potere.
A rompere l’equilibrio tra le nazioni sorsero numerose dispute, all’interno di singoli Paesi, in
occasione della successione al trono.
Le monarchie europee, infatti, erano tutte imparentate fra loro e i matrimoni tra i figli delle
rispettive famiglie regnanti rappresentavano uno dei mezzi con i quali si cercava di stringere
alleanze.
Ogni dinastia, inoltre, considerava la nazione da essa governata come proprietà privata del re o della
regina legittimi. Così, quando un sovrano moriva senza che fosse chiaro chi dovesse esserne il
successore, tutti i parenti cercavano di far valere i propri diritti.
Nel corso del secolo si svolsero ben tre guerre di successione:
1. al trono di Spagna (1701 – 1714). Morto Carlo II, ultimo degli Asburgo di Spagna, non
c’erano eredi diretti. Inghilterra, impero e principi tedeschi, Province Unite, Portogallo e
Savoia si allearono contro Luigi XIV che voleva sul trono un Borbone della sua famiglia. La
guerra si concluse con la pace di Utrecht (1713) e con la pace di Rastadt (1714). La
Spagna conservò tutti i domini coloniali e perse i possedimenti continentali; la Francia
cedette alcune delle sue colonie, finite in buona parte in mano inglese;
2. al trono di Polonia (1733 – 1738). Qui, la corona aveva carattere elettivo e le grandi
famiglie aristocratiche erano molto potenti. Il Paese era esteso, ma debole. La Russia impose
un proprio candidato e la Francia che sosteneva un principe polacco rispose con le armi. La
guerra si risolse con la pace di Vienna (1738) che sancì la spartizione della Polonia tra
Austria, Prussia e Russia;
3. al trono d’Austria (1740 – 1748). A Carlo VI d’Asburgo successe la figlia Maria Teresa
(1740 – 1780) in base a un accordo sottoscritto con alcune potenze europee. Però Federico II
di Prussia, Carlo Alberto di Baviera, il re di Spagna e il re di Sardegna non accettarono la
nuova regina e avanzarono pretese sulla corona. Maria Teresa rispose con le armi generando
52
un conflitto che terminò con la pace di Aquisgrana (1748), con la quale a Maria Teresa fu
riconosciuto il titolo imperiale.
Con quest’ultimo trattato di pace, però, gli attriti tra le grandi potenze europee non erano
interamente risolti. Scoppiò così una lunga guerra, chiamata la guerra dei sette anni (1756 –
1763), tra la Prussia, alleata con l’Inghilterra, e una coalizione formata da Francia, Austria,
Russia e Spagna.
La conclusione del conflitto si ebbe con la pace di Parigi e con la pace di Hubertusburg
(1763): con la prima vennero risolte le questioni coloniali (all’Inghilterra andarono Canada,
Louisiana e alcune delle isole Antille); con la seconda, quelle europee (la Prussia conservò la
regione della Slesia e tutto il resto rimase immutato).
Come si era verificato nel corso del Seicento, anche nel Settecento la guerra tra gli Stati fu
considerata l’unico modo per risolvere i conflitti.
Le diverse case regnanti trascinarono i propri sudditi in continue campagne militari,
dimostrando e rafforzando così il proprio assoluto potere sui rispettivi Stati.
L’Illuminismo.
Nel Settecento assistiamo al nascere e al diffondersi di un movimento di pensiero che rinnova
ogni aspetto della cultura, dell’arte, della scienza e della politica.
A tale movimento fu dato il nome di Illuminismo e illuministi furono detti coloro che vi
presero parte. Il significato di questo termine è legato all’idea fondamentale che ogni aspetto
della vita dell’uomo singolo e dei popoli possa essere notevolmente migliorato lasciandosi
guidare dal lume della ragione in ogni campo: dalla religione alla politica,
dall’amministrazione della giustizia allo sviluppo delle scienze.
Secondo gli illuministi occorreva combattere, con l’uso della ragione e con la diffusione del
sapere, le piaghe dell’ignoranza, della superstizione e del pregiudizio e migliorare così la vita
degli uomini.
A dare l’avvio a questo movimento furono un gruppo di intellettuali francesi che si dedicarono,
tra il 1751 e il 1772, alla stesura dell’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle Scienze, Arti e
Mestieri. Tra loro spiccavano il filosofo Denis Diderot (1713 – 1784) e il matematico Jean-
Baptiste d’Alembert (1717 – 1783).
L’Enciclopedia raccolse, in 33 volumi, ben 60.000 voci di carattere soprattutto tecnico e
scientifico. Vi lavorarono oltre 150 uomini di cultura di diversi Paesi.
Il successo di quest’opera fu enorme e vennero fatte diverse ristampe clandestine in più Paesi
(tra cui l’Italia).
Secondo gli autori, con quest’opera tutti gli uomini e le donne d’Europa avrebbero potuto
attingere alle fonti più aggiornate del sapere.
Un grande scienziato al quale gli illuministi si ispirarono fu il fisico inglese Isaac Newton
(1642 – 1727), di cui abbiamo già parlato nel Modulo precedente.
Egli aveva contribuito allo sviluppo della scienza moderna, facendo comprendere a tutti che era
possibile descrivere e spiegare mediante numeri e operazioni matematiche i fenomeni della
natura.
Gli illuministi pensavano che anche le leggi della storia e il carattere degli uomini fossero
spiegabili con altrettanta chiarezza e che, una volta compresi i meccanismi che regolano la vita
dell’uomo e della natura (senza ricorrere a tradizioni o a credenze), fosse possibile migliorarli
con facilità.
In campo religioso essi proponevano la tolleranza, anche nei confronti di chi non professava
alcuna fede. Uno dei più convinti sostenitori di questo atteggiamento fu il filosofo francese
Voltaire (1694 – 1778).
53
In politica gli illuministi propendevano per la monarchia costituzionale, dove il potere del re,
cui deve stare a cuore il benessere dei sudditi, è esercitato in accordo con un Parlamento che
rappresenta gli interessi delle diverse classi dello Stato.
Ad alcuni tra i più importanti pensatori politici di quest’epoca dobbiamo l’elaborazione di idee
che sono alla base delle moderne democrazie: basti ricordare i nomi dell’inglese David Hume,
del francese Charles-Louis Montesquieu e dello svizzero Jean-Jacques Rousseau.
Hume (1711 – 1776) affermò che lo Stato è fondato su un libero patto fra i cittadini e che il
re, che riceve dai cittadini il suo potere, deve perderlo (anche con una rivoluzione violenta) se
non lo esercita per il bene di tutti.
Montesquieu (1689 – 1755) sostenne con forza la necessaria divisione tra i tre poteri
fondamentali dello Stato (il potere legislativo, cioè quello di fare le leggi; il potere esecutivo,
cioè quello di applicarle; e il potere giudiziario, cioè quello di punire chi le contravviene) e che
nessuno deve essere titolare di tutti e tre: chi ne esercita uno deve poter essere controllato dagli
altri due.
Rousseau (1712 – 1778) difese con convinzione l’ideale dell’eguaglianza tra tutti gli uomini e
la necessità di fondare una democrazia dove si realizzi la volontà generale del popolo e non il
volere di pochi potenti.
Gli illuministi, inoltre, furono fautori di un sistema giudiziario più umano, che offrisse ai
colpevoli di delitti la possibilità di scontare la propria colpa migliorando se stessi e tornando a
far parte della società.
Infine, sostennero con ogni mezzo la necessità di rendere disponibile l’istruzione di base a tutti
i cittadini.
Per diffondere le proprie idee gli illuministi si servirono di libri, riviste, giornali e animarono in
tutta Europa numeroso circoli culturali dove si tenevano pubbliche discussioni su diversi
problemi.
Questi circoli sorsero presso le case di ricchi borghesi o di nobili, ma anche presso alcuni
caffè, uno dei luoghi di ritrovo sempre più diffusi in tutto il continente.
Vi furono anche importanti pensatori illuministi italiani.
Ricordiamo, in particolare, i nomi del salernitano Antonio Genovesi (1713 – 1769), filosofo ed
economista; dei milanesi fratelli Verri: Pietro (1728 – 1797), economista e filosofo, e
Alessandro (1741 – 1816), giurista; del poeta lombardo Giuseppe Parini (1729 – 1799); del
milanese Cesare Beccaria (1738 – 1794), autore di una celebre opera contro la tortura e la pena
di morte, dal titolo Dei delitti e delle pene.
54
L’ILLUMINISMO (movimento di cultura diffuso in tutti i paesi d’Europa tra gli ultimi decenni
del ‘600 e la fine del ‘700): tendenza a rischiarare con “i lumi” della ragione tutta la realtà, lotta
contro ogni residuo di “oscurantismo” (=atteggiamento di prevenuta ostilità nei confronti di
qualsiasi innovazione culturale, di ogni forma di progresso sociale e civile) medioevale.
L’Illuminismo porta alle estreme conseguenze il pensiero del Rinascimento, che aveva valorizzato
e dichiarato autonoma la ragione umana, e che era rimasto vivo, nel Seicento, nel Galilei e nei suoi
seguaci.
Aspetti essenziali:
fiducia nella ragione. Quest’ultima è intesa come capacità che spinge l’uomo ad arrivare
alla verità. E’ il progresso scientifico che spinge l’uomo ad una fede nella ragione.
Ottimismo.
Meccanicismo: l’uomo domina la natura; la natura appare all’uomo secondo leggi che si
ripetono meccanicamente.
Critica del passato. La storia è regresso. Antistoricismo: il passato è regresso da un
iniziale e felice stato di natura ad una condizione di schiavitù, di ignoranza e di infelicità.
La ragione è uguale in tutti gli uomini.
Cosmopolitismo: l’uomo è cittadino del mondo. Il mondo è un’unica patria di cui tutti gli
uomini sono cittadini.
Libertà, uguaglianza, fratellanza (l’uomo nasce libero, uguale, fratello).
Campo economico:
contro l’economia mercantilistica, gli illuministi difendono l’esistenza di leggi naturali
dell’economia, che vanno rispettate (fisiocrazia) e la libera iniziativa (liberismo).
Maggiori illuministi:
Rousseau: vivace asserite della sovranità popolare.
Voltaire: spregiudicato critico del passato e delle istituzioni ecclesiastiche.
Montesquieu: convinto esaltatore del sistema parlamentare inglese.
Affermazioni sull’Illuminismo:
l’Illuminismo ebbe origine in Inghilterra ma si sviluppò in Francia e si diffuse in tutta
Europa.
55
Gli illuministi ritenevano che i dogmi insegnati dalla Chiesa fossero un’invenzione umana e
credevano in una religione naturale che era alla base della morale naturale.
Per gli illuministi l’uomo possiede diritti naturali, quali l’eguaglianza davanti alla legge, la
libertà di pensiero e di parola e il diritto di proprietà.
Gli illuministi ritenevano che lo stato non doveva intervenire nella vita economica.
Bisognava lasciare libero gioco alle leggi di mercato ed alla concorrenza, favorire la
circolazione delle merci, abolire le regolamentazioni corporative.
Nessuno di questi regnanti tuttavia cercò di coinvolgere i cittadini nel governo dello Stato.
Pertanto, le idee di democrazia e di partecipazione, sostenute dagli illuministi, cominciarono a farsi
strada soltanto in seguito alla rivoluzione francese (di cui parleremo nel prossimo Modulo).
Eliminazione
dell’Inquisizione. X
Formazione della
piccola proprietà X
contadina.
Eliminazione del diritto
di asilo di chiese e X
monasteri.
Eliminazione della
censura preventiva sui X
libri.
Passaggio del
monopolio X
dell’educazione dal
clero allo stato.
IDEE E PERSONAGGI:
idee personaggi
Il modello politico da seguire è la monarchia Voltaire.
inglese.
Divisione dei tre poteri: legislativo, esecutivo, Montesquieu.
giudiziario.
Sovranità popolare. Rousseau.
Liberismo economico. Smith.
Fisiocrazia in contrasto con il mercantilismo di Quesnay e Turgot.
Colbert.
Ideazione dell’Enciclopedia. Diderot e d’Alembert.
Riforma del sistema fiscale. Verri.
Abolizione della tortura e della pena di morte. Beccarla.
Cronologia
Il 4 luglio 1776 le colonie inglesi del Nord America, insorte contro la madrepatria, raggiunsero
l’indipendenza.
Il 14 luglio 1789, in Francia, la borghesia si sollevò contro i privilegi dei nobili e del clero e tentò
di dare una svolta democratica al Paese. Il tentativo in parte fallì e portò all’instaurazione di una
nuova monarchia, guidata da Napoleone, ma le conquiste della rivoluzione non furono
dimenticate.
60
Nella seconda metà del Settecento i coloni europei del Nord America che dipendevano dall’
Inghilterra cercarono di affermare il loro diritto a vedersi imporre delle tasse solo dietro un loro
esplicito consenso e chiesero di poter eleggere propri deputati nel Parlamento di Londra.
Nel 1775 queste richieste portarono al conflitto armato e nel 1776 il primo Congresso dei
rappresentanti degli Stati Uniti approvò la Dichiarazione di indipendenza.
Nel 1783 l’Inghilterra fu costretta a cedere e riconobbe così gli Stati Uniti d’America, una
confederazione di tredici Stati guidati da un Congresso dei rappresentanti e da un Presidente eletto
dai cittadini.
Pochi anni dopo, dal 1789, anche la Francia conobbe un profondo movimento rivoluzionario. Le
tensioni causate da un’ingiusta divisione dei diritti e dei doveri tra i cittadini scoppiarono quando la
borghesia non accettò più di sostenere le casse dello Stato garantendo nello stesso tempo i privilegi
dell’alto clero e della nobiltà.
I rappresentanti della maggioranza dei cittadini tentarono di imporre con la forza una monarchia di
tipo costituzionale, inaugurando una Assemblea Nazionale Costituente. La Dichiarazione dei Diritti
dell’uomo e del cittadino, fu proclamata il 26 agosto 1789, ispirata in parte a quella americana.
L’Assemblea Costituente abolì i privilegi della nobiltà e del clero, imponendo a quest’ultimo un
giuramento di fedeltà allo Stato.
Nel 1791 il re Luigi XVI firmò la nuova Costituzione.
Le nazioni europee non potevano tuttavia accettare l’evoluzione politica della Francia e cominciò
uno stato di guerra con Austria e Prussia che diede vigore ai movimenti rivoluzionari che
consideravano la monarchia un pericolo.
Nel settembre del 1792 fu proclamata la repubblica e il re Luigi XVI fu condannato a morte. Il
potere fu affidato a una nuova Assemblea Generale, detta Convenzione, guidata da un Comitato di
Salute Pubblica, con poteri dittatoriali. Fu il periodo del Terrore. Dal 1793 al 1794 Robespierre, a
capo del Comitato, guidò la repressione violenta di ogni forma di dissenso. A questi eccessi la
borghesia più moderata finì per reagire prima con l’abbattimento di Robespierre, poi con
l’imposizione di una nuova costituzione, nel 1795, e infine con il sostegno a un uomo forte che
sembrava poter garantire la pace: Napoleone Bonaparte.
Napoleone divenne nel 1799 Primo Console e nel 1804 imperatore dei Francesi. A lui si debbono
alcune fondamentali riforme civili e una politica di potenza che lo pose in conflitto con tutte le
nazioni europee e finì per travolgerlo dopo la sconfitta nella campagna di Russia, nel 1812, e la
definitiva disfatta di Waterloo, nel 1815.
Anche se le idee della rivoluzione non furono dimenticate, si aprì la strada a un periodo di
restaurazione degli antichi poteri.
In particolare, in Inghilterra vigeva ormai da tempo il principio in base al quale il re non poteva
imporre nuove tasse senza il consenso dei cittadini.
61
Questo stesso principio fu all’origine della lotta che portò all’autonomia degli Stati Uniti e alla
nascita del nuovo Stato.
A differenza di quanto accadeva alle colonie spagnole, portoghesi e francesi, quelle inglesi avevano
sempre goduto di una certa autonomia politica; però esse dipendevano dall’Inghilterra soprattutto
dal punto di vista economico.
Gli Inglesi imponevano ai coloni americani un carico piuttosto leggero di tasse, ma mantenevano il
monopolio su tutti i commerci e controllavano, con le loro navi e alle loro condizioni, le
esportazioni: prodotti agricoli, bestiame, manufatti dalle regioni più settentrionali; canna da
zucchero, tabacco e cotone dalle colonie meridionali.
Nello stesso tempo veniva negata ogni partecipazione dei coloni alle decisioni politiche: nessun loro
deputato sedeva nel Parlamento inglese.
La questione esplose non appena il Parlamento decise di recuperare parte dei fondi spesi per la
guerra dei sette anni (combattuta in parte anche contro i Francesi che occupavano il Canada)
aumentando alcune delle tasse imposte ai coloni americani.
Tra queste ricordiamo lo Stamp Act (che prescriveva l’uso di marche da bollo su giornali, atti
legali, documenti, ecc.) e una nuova tassa sul tè: nel porto di Boston furono gettati in mare i carichi
di tè di tre navi inglesi, in segno di protesta.
L’Inghilterra reagì violentemente, cercando di approfittare dell’occasione per affermare i propri
diritti.
Di conseguenza i rappresentanti delle varie colonie si riunirono nel Congresso di Filadelfia (1774)
e affermarono con forza il principio espresso con il motto “niente tasse senza rappresentanza”,
chiedendo di poter eleggere i propri deputati nel Parlamento di Londra.
Il re e il Parlamento inglesi rifiutarono di fare concessioni alle colonie e dal 1775 si passò al
conflitto armato: ebbe così inizio la rivoluzione americana.
Le colonie formarono un esercito e ne affidarono la guida a George Washington (1732 – 1799), si
autotassarono per finanziare la guerra e strinsero alleanza con Francia, Olanda, e Spagna, che
vedevano nel conflitto la possibilità di indebolire l’impero coloniale inglese.
Dopo libere elezioni, il 4 luglio 1776, il Congresso dei rappresentanti delle tredici colonie approvò
e firmò a Filadelfia la Dichiarazione di indipendenza, che fu l’atto di fondazione degli Stati Uniti
d’America.
Scritta da Thomas Jefferson (1743 – 1826), la dichiarazione ribadiva, tra l’altro, l’uguaglianza di
tutti gli uomini e la sovranità popolare.
La guerra si concluse nel 1783: con la pace di Versailles l’Inghilterra fu costretta a riconoscere
l’indipendenza delle tredici ex-colonie del Nord America.
Quella appena nata era una confederazione di Stati con una serie di caratteristiche proprie.
Ciascuno di questi era costituito da coloni provenienti da Stati europei diversi e fedeli a distinte
concezioni politiche e religiose.
Vi erano soprattutto differenti condizioni economiche e sociali:
gli Stati del Nord erano caratterizzati dalla diffusione di una piccola proprietà privata
delle terre, coltivate da uomini liberi che si dedicavano anche attivamente ai commerci e
all’industria;
negli Stati del Sud, invece, prevalevano i grandi latifondi, di proprietà di potenti famiglie.
Vaste estensioni erano coltivate soprattutto da schiavi di origine africana, ai quali i coloni
europei negavano qualsiasi diritto.
Ogni Stato era geloso della propria autonomia e fu solo nel 1787 che fu approvata da tutti una
Costituzione unitaria. Essa era basata sul principio del federalismo: ogni Stato avrebbe goduto
della massima autonomia possibile.
A capo dell’Unione si decise di porre un Presidente, eletto ogni quattro anni da tutti i cittadini. Il
primo fu George Washington (eletto per due volte dal 1789 al 1797).
62
Il Parlamento francese, i cosiddetti Stati Generali, dove sedevano i rappresentanti eletti dalle
diverse classi sociali, non veniva più convocato dal 1614, neppure per esprimere un parere sulla
politica e sulle tasse.
La borghesia mirava a creare una società senza ordini, una società in cui ogni uomo avesse i
medesimi diritti degli altri e fosse libero di progredire secondo le sue capacità e
l’intraprendenza personale. Uguaglianza contro privilegio, libertà contro assolutismo: in questo
contrasto, che contrapponeva la borghesia alla nobiltà, stava il motivo profondo che diede
origine alla rivoluzione.
Il fatto occasionale che avviò il movimento rivoluzionario fu la questione del bilancio statale. Il
bilancio dello Stato segnò un grave disavanzo.
Il 14 luglio 1789 fu presa d’assalto la fortezza della Bastiglia, una vecchia prigione simbolo del
potere reale, nella quale in genere erano rinchiusi i prigionieri politici.
Questa data segna simbolicamente l’inizio vero e proprio della rivoluzione ed è oggi la festa
nazionale del popolo francese.
I rivoluzionari costituirono una guardia nazionale, cioè un corpo di volontari armati pronti a
difendere l’Assemblea dai suoi nemici.
La Costituente, trasferitasi da Versailles a Parigi, decise l’abolizione di tutti i diritti feudali a favore
della nobiltà e del clero e proclamò (26 agosto) la Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del
cittadino, ispirata, in parte, a quella degli Stati Uniti d’America.
Il re dimostrò di voler collaborare e accettare la nuova Costituzione che stava per essere approvata.
Il 10 ottobre l’Assemblea Costituente affrontò il grave problema della crisi finanziaria dello Stato e
cercò di risolverla confiscando i beni della corona, quelli dei nobili e tutti i beni ecclesiastici
presenti sul territorio.
Nel luglio 1790 venne introdotta la Costituzione civile del clero: si decise che vescovi e parroci
fossero nominati dallo Stato e diventassero suoi fedeli funzionari.
I membri del clero che volevano conservare il loro ruolo dovevano prestare giuramento di fedeltà
allo Stato. Molti sottostarono a questa imposizione, altri fuggirono all’estero o si nascosero in
attesa di tempi migliori.
Nel 1791, mentre il Paese era diviso tra quanti sostenevano i provvedimenti dell’Assemblea e
quanti, invece, consideravano troppo radicali le novità introdotte (tra questi migliaia di contadini), il
re, dopo un inutile tentativo di fuga (20 giugno), firmò la nuova Costituzione, che fu varata il 30
settembre.
Furono sue vittime anche ex-alleati, come Danton, e famosi uomini di cultura, come il chimico
Antoine Lavoisier e il poeta André Chénier.
Guidando il Paese con il pugno di ferro, Robespierre riuscì a tenerlo unito al suo interno e forte
verso l’esterno.
A metà del 1794, infatti, la Francia era riuscita a sconfiggere molti nemici esterni (Inglesi, Olandesi,
Austriaci, Prussiani, Spagnoli e Piemontesi).
A questo punto, la rivoluzione sembrava non avere più oppositori che giustificassero la violenza di
Robespierre. Egli cercò ancora di imporre una nuova Costituzione, basata sul suffragio universale
maschile.
Ma, di fronte a questa intenzione, i borghesi più moderati, stanchi di violenze e desiderosi di
difendere le proprie conquiste, organizzarono una congiura e Robespierre (con numerosi suoi
seguaci) fu prima arrestato e poi ghigliottinato il 27 luglio 1794.
Il calendario rivoluzionario.
Nel 1793 la Convenzione attuò una riforma del calendario. Si decise che gli anni dovevano essere
contati non più dalla nascita di Cristo, ma dall’anno della proclamazione della repubblica: il 21
settembre 1792 era l’inizio dell’anno I della nuova era.
Furono inoltre abolite le domeniche e ogni festa religiosa. I mesi furono divisi in tre decadi invece
che in settimane.
A ogni mese fu dato un nome legato ai lavori agricoli o alla variazione stagionale del clima. Per
esempio: il mese che andava dal 22 settembre al 21 ottobre era detto “vendemmiaio”, quello dal 22
ottobre al 20 novembre “brumaio”, quello dal 21 dicembre al 19 gennaio “nevoso”, quello dal 20
aprile al 19 maggio “floreale”.
Tutte queste riforme miravano a scristianizzare la cultura e la vita quotidiana, perché i
rivoluzionari estremisti ritenevano che la religione cristiana facesse tutt’uno con il vecchio
ordinamento politico e avesse contribuito allo sfruttamento delle popolazioni più povere
difendendo i privilegi di nobili e clero.
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Durante i primi due periodi la Rivoluzione rispettò i principi della legalità e favorì un governo
monarchico costituzionale; nel periodo della Convenzione predominò invece l’arbitrio e si
istituirono forme repubblicane.
RIVOLUZIONE FRANCESE:
LA FRANCIA:
Napoleone Bonaparte.
Tutte le monarchie europee si sentivano minacciate dalla presa del potere della borghesia francese
e ritenevano gli ideali rivoluzionari, anche nella loro versione più moderata, un pericolo per la
stabilità politica e culturale del continente.
La Francia non rinunciò mai alla sua tradizionale politica di potenza nei confronti degli altri Stati e
con la forza delle armi continuò a procurarsi nuove risorse e nuovi mercati per la propria economia.
Quindi il Paese, dal 1792 in poi, fu costantemente in guerra.
Questa situazione aumentò fortemente l’importanza dell’esercito e dei generali. Tra gli ufficiali
che seppero farsi notare spiccò presto la figura di Napoleone Bonaparte (1769 – 1821), un
coraggioso e abile ufficiale originario della Corsica.
Nel 1796 il Direttorio decise la guerra contro l’Austria, da combattersi sui due fronti della Germania
meridionale e dell’Italia, per ottenere conquiste sufficienti a risolvere la grave crisi finanziaria del
Paese.
La guerra fu particolarmente fortunata per i Francesi in Italia, dove a guidare l’esercito c’era il
giovane generale Bonaparte. Egli ottenne strepitose vittorie, prima contro il regno di Savoia e poi
contro gli Austriaci. I popoli italiani salutarono l’avanzata delle truppe di Napoleone come se i
Francesi fossero dei liberatori. Nacquero così diverse repubbliche alleate della Francia
rivoluzionaria:
la repubblica Cisalpina, formata dalle terre a Nord e a Sud del fiume Po;
la repubblica ligure;
la repubblica di Lucca;
la repubblica romana;
la repubblica partenopea nel Sud d’Italia.
Quando nel 1797 firmò il trattato di Campoformio con l’Austria, Napoleone ottenne il
riconoscimento, da parte degli Austriaci, delle sue conquiste in Italia in cambio della cessione di
Venezia, che perse così la sua autonomia.
Fu chiaro a quel punto che Napoleone faceva soltanto gli interessi della Francia e usava gli ideali
della rivoluzione come un pretesto per conquiste che andavano a tutto vantaggio della sua patria e
del suo prestigio.
Dopo una spedizione contro gli Inglesi in Egitto (1798 – 1799), solo in parte vittoriosa, Napoleone
riuscì a imporre la propria autorità al Direttorio, attuando il 18 brumaio 1799 (9 novembre) un vero
e proprio colpo di Stato. Un’apposita commissione da lui istituita gli conferì pieni poteri come
Primo Console.
Napoleone quindi passò di nuovo le Alpi e sconfisse duramente gli Austriaci a Marengo (1800),
quando questi stavano riprendendo la propria supremazia sull’Italia settentrionale.
Ormai il condottiero abile e forte sembrava a molti l’uomo giusto per portare la Francia alla stabilità
politica interna e alla massima potenza verso l’esterno.
Nel maggio 1804, con una nuova riforma costituzionale, Napoleone fu proclamato imperatore dei
Francesi.
Cessava così la repubblica e il Paese ritornava di fatto ad essere una monarchia assoluta.
68
Napoleone acquistò un immenso potere personale grazie alle continue vittorie contro le potenze
europee, ma lo esercitò con il pieno sostegno della ricca borghesia, che fu da lui favorita in ogni
modo e trasse i massimi guadagni dalle conquiste dell’imperatore, raggiunte grazie all’appoggio di
un fortissimo esercito.
Nel corso del suo regno Napoleone promosse la riforma del Codice civile (1804), del Codice del
commercio (1807) e del Codice penale (1810).
La Francia e il suo impero ebbero così un unico sistema di leggi valide per tutti e non più diverse
leggi locali di origine feudale.
L’imperatore promosse, inoltre, una grande riforma della scuola: nacquero i licei per l’istruzione
superiore e furono istituite numerose università per la formazione di funzionari, insegnanti e
ingegneri, indispensabili per lo sviluppo dell’impero.
Napoleone firmò anche un accordo (detto concordato) con papa Pio VII (1801), con cui si
normalizzavano i rapporti tra Francia e Papato. Dopo le violente persecuzioni nei confronti della
Chiesa durante gli anni più accesi della rivoluzione, la religione cattolica tornò a godere di un certo
riconoscimento da parte dello Stato.
Si poté di nuovo celebrare liberamente il culto e alla Chiesa fu affidato il compito
dell’insegnamento elementare.
Tuttavia Napoleone mantenne un forte controllo sull’attività della Chiesa e non esitò, nel 1808, a far
arrestare e deportare in Francia il papa che resisteva alla sua volontà di introdurre in tutto l’impero
un catechismo imperiale.
In campo politico, invece, la Francia fece dei significativi passi indietro. Napoleone abolì i partiti
politici, ridusse la libertà di stampa ed esercitò direttamente il potere legislativo e quello
esecutivo.
Approfittando della sua debolezza, gli Stati europei attaccarono tutti insieme la Francia e
sconfissero Napoleone a Lipsia nel 1813.
Parigi fu invasa dalle truppe austriache, prussiane e russe. L’imperatore nel 1814 fu esiliato
sull’isola d’Elba (vicino a Livorno) e al suo posto fu incoronato re Luigi XVIII (1815 – 1824),
fratello del re Luigi XVI ghigliottinato dai rivoluzionari.
L’anno seguente Napoleone riuscì a fuggire dall’isola d’Elba, rientrò in Francia e ottenne di nuovo
l’appoggio dell’esercito, della borghesia e di larghi strati della popolazione. Ma fu sconfitto a
Waterloo (1815), in Belgio, ad opera delle truppe inglesi, belghe, olandesi e tedesche guidate dal
duca di Wellington. Esiliato, sotto stretta sorveglianza sulla sperduta isola di Sant’Elena,
nell’oceano Atlantico, morì nel 1821.
Era finita la lunga stagione della rivoluzione e dell’impero, che aveva reso la Francia il Paese più
potente d’Europa.
RIFORME DI NAPOLEONE:
concordato: protezione e sostegno al cattolicesimo; stipendio al clero da parte di
Napoleone. Riconoscimento della repubblica e rinuncia alla rivendicazione dei beni
ecclesiastici da parte del papa.
Codice civile: sistemazione organica della legislazione. Uguaglianza di tutti gli uomini di
fronte alla legge. Abolizione dei diritti e dei privilegi feudali. Libertà ai cittadini.
Riforma economica e finanziaria: agevolazione dello sviluppo agricolo, commerciale e
industriale. Riorganizzazione del sistema fiscale. Creazione della Banca di Francia.
Riforme amministrative: divisione del paese in 83 dipartimenti; nomina di prefetti,
sottoprefetti e sindaci. Creazione di un efficiente apparato di polizia.
Riforma scolastica: attenzione particolare alle scuole superiori: severe, selettive, a
pagamento.
Altri provvedimenti: censura sulla stampa; limitazione del numero dei giornali. Creazione
di ponti, strade, gallerie.
Cronologia
Tra il Settecento e l’Ottocento l’Europa subì una progressiva evoluzione destinata a cambiare le
caratteristiche della sua società, ma anche quelle del suo territorio. Nuove macchine in grado di
svolgere da sole e in meno tempo il lavoro di squadre di artigiani, nuovi mezzi di trasporto, lo
sfruttamento sistematico delle materie prime diedero avvio alla rivoluzione industriale.
73
Tra il Settecento e l’Ottocento l’Europa conobbe un progressivo sviluppo economico che trasformò,
a poco a poco, il volto del continente. Le basi del cambiamento furono anzitutto l’aumento della
popolazione e della produzione agricola. I prodotti in eccedenza poterono essere venduti da chi
possedeva ampie estensioni di terre, ricavandone denaro che poteva essere investito di nuovo nello
sviluppo delle campagne, ma anche utilizzato per acquistare beni di consumo, di cui aumentò
considerevolmente la richiesta. La disponibilità di manodopera e di materie prime (importabili a
costi contenuti dalle colonie) diedero un primo impulso alla produzione industriale di tessuti e
manufatti.
Il Paese dove si crearono le migliori condizioni per l’avvio della rivoluzione industriale fu
l’Inghilterra. Essa era ricca di manodopera, di carbone e di ferro, godeva di una grande stabilità
politica e di una forte espansione coloniale, con una flotta commerciale che poteva raggiungere ogni
parte del pianeta. Quando furono introdotte nuove tecniche di lavorazione, anche con l’introduzione
dal 1775 della macchina a vapore di James Watt, nacquero le prime vere industrie tessili, sostenute
da una importante industria meccanica e siderurgica.
Questa progressiva trasformazione del modo di produrre cambiò le abitudini di vita e la stessa
conformazione del territorio. Le città industriali conobbero un rapido incremento della popolazione
proveniente dalle campagne e l’operaio si adattò a lavorare secondo il ritmo delle macchine per un
salario, in genere molto basso, stabilito dalla proprietà delle fabbriche. Tutti i componenti della
famiglia erano quindi costretti a lavorare. La vera protagonista della rivoluzione industriale fu la
borghesia, mentre la nobiltà perse definitivamente il suo ruolo.
Nelle fabbriche si contrapponevano ora due nuove figure sociali: il capitalista e l’operaio. Il lavoro
in fabbrica era particolarmente duro e penoso per adulti, donne e fanciulli.
Durante l’Ottocento l’introduzione delle ferrovie e delle navi a vapore diede un ulteriore impulso
alla circolazione delle merci. La trasformazione dell’economia fu ulteriormente accelerata, così
come i fenomeni sociali ad essa collegati, tra i quali il forte spostamento di lavoratori verso la città
(urbanizzazione) e verso i Paesi esteri (emigrazione).
A poco a poco nacquero le associazioni a difesa degli interessi degli operai (in Inghilterra si
chiamarono Trade Unions) e nuovi movimenti politici che proponevano misure per migliorare le
loro condizioni di vita. Tra questi ebbero sempre maggiore peso le idee socialiste, più o meno
moderate, e quelle sostenute da pensatori come Marx e Engels, che nel 1848 giunsero a proporre ai
lavoratori la via della rivoluzione violenta per cambiare la società e darle un’impostazione di tipo
comunista.
Prima in Inghilterra e Olanda, poi in Francia, per tutto il Settecento si sviluppò sempre più
l’industria tessile, affidata a un gran numero di operai: ancora con tecniche antiquate e artigianali,
producevano in piccoli laboratori casalinghi, collegati tra loro e dipendenti da un solo proprietario,
tessuti e capi di abbigliamento che venivano esportati in tutta Europa.
La produzione tessile fu incoraggiata dai governi di questi Paesi, che spesso introdussero forti tasse
sui tessuti prodotti all’estero, per proteggere i propri.
Si stavano però sviluppando pienamente le grandi flotte commerciali, in grado di importare ed
esportare prodotti in tutto il mondo e di arrivare fino alle sempre più ricche colonie americane e
asiatiche.
Pure su questo fronte l’Inghilterra era in testa, seguita dalla Francia, dall’Olanda e per un certo
periodo dalla Danimarca.
Anche le ricchezze e le materie prime a basso costo provenienti dai territori coloniali resero
possibile, in alcuni Paesi, l’avvio di una vera e propria rivoluzione industriale destinata a cambiare
l’aspetto del territorio, le abitudini di vita, l’estensione e la struttura delle città.
Con il cambiamento dei luoghi di lavoro cambiò anche, progressivamente, il volto delle città.
Le grandi città nate nel Medioevo come luoghi di mercato e artigianato si trasformarono infatti in
vere e proprie città industriali, che attiravano abitanti in cerca di occupazione da ogni parte della
nazione.
Consideriamo, ad esempio, il caso della città inglese di Manchester. Essa aveva solo 5000 abitanti
all’inizio del Settecento; dopo essere divenuta la capitale della produzione industriale del cotone,
arrivò a 27.000 abitanti nel 1773, a 50.000 nel 1790, a 85.000 nel 1800; e la popolazione continuò a
crescere per tutto il secolo successivo.
La borghesia, che aveva acquistato sempre maggiore importanza, dal Duecento in poi, per le sue
attività commerciali, fu la protagonista dello sviluppo industriale.
Grazie a questo nuovo modo di produrre ricchezza, essa divenne definitivamente la classe
dominante in tutti i più importanti Paesi d’Europa.
La rivoluzione industriale segnò così il vero tramonto della nobiltà fondata sui privilegi e sulla
rendita fondiaria.
prole, appunto) che potevano essere avviati al lavoro in fabbrica non appena erano in grado di
svolgere una qualsiasi mansione.
Tutta la famiglia lavorava dal mattino alla sera con salari piuttosto bassi. Non esisteva alcuna
protezione dai rischi di incidenti sul lavoro o dalle malattie professionali (frequenti nelle miniere,
nelle acciaierie, nelle industrie che utilizzavano composti chimici).
Nella prima metà dell’Ottocento il Parlamento inglese affrontò, per primo in Europa, il problema
delle dure condizioni di vita del proletariato.
Vennero perciò legalizzate le associazioni operaie (Trade Unions), che intendevano tutelare gli
interessi dei loro iscritti.
Esse cominciarono a difendere i diritti dei lavoratori, limitarono il lavoro dei bambini, fecero
diminuire gli orari di lavoro e cercarono di affermare il diritto all’istruzione degli operai e dei loro
figli.
Dalla seconda metà dell’Ottocento, sempre in Inghilterra, fu riconosciuto il diritto di sciopero.
Sorsero inoltre nuovi movimenti politici e alcuni uomini di pensiero elaborarono proposte per
migliorare le condizioni sociali del proletariato.
Alcuni movimenti democratici cominciarono a chiedere che anche il popolo potesse partecipare
alle scelte politiche: infatti, anche nei Paesi più avanzati, come l’Inghilterra, i diritti politici erano
stati, fino ad allora, riservati ai ceti abbienti.
Furono definiti socialisti coloro che non si limitavano a chiedere una maggiore partecipazione
politica, ma cercavano di ottenere una migliore condizione sociale.
Essi portavano avanti l’idea di uguaglianza tra gli uomini, che era già stata sostenuta dagli
illuministi, e avvertivano la necessità di un’equa distribuzione dei profitti delle fabbriche tra tutti
coloro che contribuivano al loro sviluppo, lavoratori compresi.
Tra questi uomini di pensiero, che propagandavano le loro idee tramite libri, giornali, conferenze
pubbliche, ve ne furono alcuni più moderati, come i francesi Saint-Simon e Fourier, altri più
radicali, come i tedeschi Karl Marx (1818 – 1883) e Friedrich Engels (1820 – 1895).
I primi miravano a riforme graduali che rendessero più umana la società industriale, i secondi
proponevano di abbattere, anche con la violenza, il predominio della classe dei borghesi capitalisti
per instaurare una società di tipo comunista, nella quale cioè tutte le ricchezze fossero in comune
tra i lavoratori, secondo un principio di piena uguaglianza.
Il programma di questi ultimi è tracciato nel Manifesto del partito comunista (1848).
Un altro fenomeno tipico dell’epoca che va dal 1870 all’inizio del Novecento fu quello della
massiccia emigrazione di lavoratori disoccupati dall’Europa all’America, in cerca di un lavoro e di
migliori condizioni di vita.
Le industrie e le economie dei Paesi europei non erano in grado di dare un lavoro a tutti e
difficilmente gli operai riuscivano a migliorare la propria posizione sociale.
Paesi come gli Stati Uniti aprirono invece le porte a nuove forze produttive: il continente
americano, sia a Nord sia a Sud, aveva ancora immense ricchezze naturali da sfruttare e
un’industria in costante sviluppo.
Si calcola che dal 1850 al 1914 ben 23 milioni di Europei (Italiani, Spagnoli, Irlandesi, Russi, Belgi,
Polacchi, Greci, Scandinavi, ecc.) cercarono fortuna oltre oceano.
Con la loro intraprendenza essi gettarono le basi per la futura potenza degli Stati Uniti, un Paese
abitato da uomini e donne di diversa provenienza e cultura.
Quando gli Stati europei (che prevedevano di sconfiggere la Francia) si riunirono a Vienna per
ristabilire gli equilibri del continente e rimettere sui troni i sovrani che Napoleone aveva spodestato,
il vero cambiamento della società, dell’economia e della cultura, provocato dalla rivoluzione
industriale, era in pieno svolgimento e non poteva essere arrestato da nessuna decisione politica.
IL LIBERALISMO E IL SOCIALISMO.
Cronologia
* Gli eventi scritti in corsivo sono stati trattati nel Modulo 6; li abbiamo riportati anche in
questa pagina per ricordare gli avvenimenti più importanti capitati nel periodo della
rivoluzione industriale.
80
Nel Congresso di Vienna del 1814-15 Austria, Prussia, Russia e Inghilterra si ispirarono ai principi
di legittimità e a quello di equilibrio per inaugurare una stagione di restaurazione degli stessi poteri
che avevano guidato l’Europa prima della rivoluzione francese. Fu anche stretto un patto di
reciproca assistenza, detto Santa Alleanza, contro qualsiasi rivoluzione che mettesse in pericolo la
stabilità raggiunta.
Ma la pace conclusa a Vienna non teneva conto delle aspirazioni della sempre più importante classe
borghese, vera protagonista della rivoluzione industriale e animata da ideali di libertà, di rispetto
delle identità nazionali e di autodeterminazione dei popoli. La borghesia sosteneva la necessità di
introdurre in ogni Stato europeo un regime politico di tipo costituzionale e parlamentare.
Nel 1820 avvennero i primi moti rivoluzionari borghesi in Spagna, nel regno delle due Sicilie e
nel regno di Sardegna, ma essi furono prontamente soffocati dalle truppe della Santa Alleanza.
Nel 1830 la Grecia riuscì a ottenere la sua indipendenza dal dominio turco, mentre tutti i Paesi
dell’America latina si ribellarono al controllo di Spagna e Portogallo tra il 1811 e il 1839.
Nel 1830 fu la volta della Francia. In questo Paese la borghesia riuscì a imporre un nuovo sovrano,
Filippo d’Orléans, che accettò di governare per volontà del popolo e non per semplice diritto
dinastico. Analoghe rivoluzioni in diversi Stati italiani e in Polonia furono sconfitte dalla reazione
degli eserciti austriaco e russo.
Nel 1848 vi fu una terza ondata rivoluzionaria, alla quale cominciarono a partecipare anche
nuove forze sociali, prima fra tutte quella degli operai, animati dalle idee socialiste e rivoluzionarie.
In Francia si tentò di inaugurare una repubblica basata sul suffragio universale, ma i timori della
borghesia portarono prima all’elezione di Luigi Napoleone Bonaparte come Presidente e poi alla
sua proclamazione come imperatore, con il nome di Napoleone III.
Le rivoluzioni patriottiche in Italia, in Ungheria e in Germania misero in difficoltà l’unità e la
stabilità dell’impero d’Austria, che tuttavia riuscì a ristabilire l’ordine interno.
Ma in quegli anni appariva sempre più evidente che sia l’Italia sia la Germania erano pronte a
recuperare la loro unità e autonomia.
La Germania trovò un solido sostenitore delle sue aspirazioni nell’abile primo ministro del re di
Prussia, Otto von Bismarck. Appoggiandosi all’esercito e al potere degli industriali e dei grandi
proprietari, Bismarck attaccò l’Austria nel 1866 e la sconfisse. Venne così a mancare uno degli
ostacoli all’unificazione dei diversi principati tedeschi sotto la guida della monarchia prussiana. Nel
1870 la Prussia attaccò anche la Francia di Napoleone III e la sconfisse. L’imperatore francese perse
il trono e la Francia attraversò un periodo di guerra civile, mentre Guglielmo I, re di Prussia,
divenne imperatore di Germania, ormai divenuta una nazione unita e indipendente.
Va notato in particolare lo sforzo di creare, ai confini della Francia, degli Stati-cuscinetto con la
funzione di impedire l’espansione francese verso est: il regno dei Paesi Bassi, la Svizzera e il
regno di Sardegna.
Infine, Russia, Austria e Prussia decisero di unirsi in un patto, la Santa Alleanza, con il quale si
impegnavano a intervenire con i rispettivi eserciti contro qualsiasi rivoluzione che mettesse in
pericolo l’equilibrio così raggiunto.
L’epoca che si apriva con questo importante congresso fu detta Restaurazione: si tentò, appunto, di
restaurare l’autorità degli antichi regnanti e gli ideali delle monarchie assolute contro la
conquista del potere politico ottenuta dalla borghesia durante la rivoluzione francese.
La Restaurazione venne applicata in ogni campo:
nel campo culturale l’esaltazione delle idee rivoluzionarie fu sostituita con quella
dell’autorità e della tradizione;
nel campo economico-sociale le grandi aristocrazie (cioè i nobili) comparirono
nuovamente sulla scena;
nel campo politico fu riaffermata la legittimità delle dinastie.
La Santa Alleanza.
Stipulata inizialmente tra Russia, Austria e Prussia, fu firmata a Parigi il 26 settembre 1815 da
Alessandro I di Russia, Federico Guglielmo III di Prussia e Francesco I d’Austria, che si
promettevano reciproco aiuto.
Sorta per mantenere l’assetto politico scaturito dal Congresso di Vienna, si allargò
successivamente a Francia, Paesi Bassi e Svezia.
Stati Dinastie
Regno di Sardegna (Piemonte, Liguria, Nizza e Savoia.
Sardegna).
Regno Lombardo-Veneto. Asburgo.
Ducato di Parma e Piacenza. Asburgo.
Ducato di Modena e Reggio. Asburgo-Este.
Granducato di Toscana. Asburgo-Lorena.
Stato Pontificio. Papa.
Regno delle “Due Sicilie” (Napoli e Sicilia). Borboni.
83
Massoneria: associazione segreta che affonda le sue radici nella corporazione medioevale dei
muratori (in francese, franc-macon).
Nella sua forma moderna si organizzò in Inghilterra all’inizio del XVIII secolo e si diffuse
ampiamente sia in Europa, sia in America del Nord, ispirando gli ideali umanitari progressisti
dell’Illuminismo e assumendo gradualmente un carattere liberale e anticlericale.
Carboneria: società segreta nata all’inizio dell’Ottocento in Francia forse a causa di una rottura
interna alla Massoneria. Intendeva opporsi ai governi assoluti e tendeva alla concessione di uno
statuto costituzionale.
Diffusasi successivamente in Italia, ebbe il momento di maggior successo durante i moti
rivoluzionari del 1820 nel regno delle Due Sicilie (se ne parlerà nel Modulo successivo): ma il
fallimento dell’azione intrapresa dai carbonari segnò anche l’inizio del declino di questa società
segreta.
In particolare, la pace conclusa a Vienna non teneva conto né delle aspirazioni della classe
borghese a partecipare al potere politico, né del diritto dei popoli a governarsi da soli, liberi dal
controllo diretto o indiretto delle grandi potenze.
In Paesi come l’Italia e la Polonia, da tempo sottomessi a potenze straniere, si facevano strada – lo
abbiamo appena accennato – gli ideali della nuova cultura romantica.
Filosofi, scrittori, musicisti e poeti si fecero promotori della riscoperta delle profonde radici di ogni
cultura nazionale: la storia, la lingua, la letteratura, le tradizioni e la fede religiosa che
accomunavano un intero popolo vennero esaltati e posti alla base di una sola rivendicazione, la
libertà dal controllo straniero.
Questa nuova cultura dei popoli fu sposata con entusiasmo dai rappresentanti più attivi della classe
borghese che contestavano ai governi monarchici restaurati a Vienna di non dare spazio:
alla rivoluzione industriale;
alla circolazione delle persone e delle merci;
alla libera intraprendenza economica dei privati.
84
Per questi motivi l’Ottocento, che doveva essere un secolo di stabilità e di pace, fu al contrario un
secolo di continue rivoluzioni e vide il nascere e l’affermarsi di regimi borghesi costituzionali
(come in Francia) e di nuovi Stati (come l’Italia e la Germania).
N.B. I liberali furono costretti a riunirsi in società segrete per elaborare programmi e preparare
insurrezioni.
Liberali:
moderati: volevano una costituzione con un parlamento eletto dalla parte più ricca della
popolazione;
democratici: volevano una vera e propria democrazia con un parlamento eletto da tutti i
cittadini.
3. negli anni 1821 – 1830 avvenne la rivolta della Grecia. Dopo una lunga lotta, appoggiata,
per interessi politici, da Inghilterra, Russia e Francia, i Greci ottennero l’indipendenza
(1830). Fu l’unica sollevazione di quegli anni a venir coronata da successo.
Alla fine degli anni Venti dell’Ottocento si poteva quindi dire che l’alleanza delle forze della
Restaurazione era ancora vittoriosa e sostanzialmente salda.
Queste tre componenti del fronte rivoluzionario non condividevano esattamente gli stessi obiettivi,
ma per motivi diversi si trovarono schierate dalla stessa parte.
Ancora una volta la rivoluzione partì dalla Francia.
Il re Luigi Filippo I dimostrò di voler governare seguendo solo i propri interessi e quelli di una
ristretta cerchia di ricchissimi borghesi.
Nel 1848, contro di lui e contro il suo governo insorsero perciò la piccola e media borghesia, gli
operai e i contadini. La sommossa riuscì: il re fu cacciato e venne proclamata la seconda
repubblica (la prima era stata proclamata nella seconda fase della rivoluzione da Danton, Marat e
Robespierre).
Il nuovo governo, composto da liberali borghesi e socialisti, approvò il suffragio universale per
tutti i cittadini francesi maschi e maggiorenni, senza alcuna differenza di reddito. Si decise anche di
seguire una politica favorevole alle richieste di uguaglianza che venivano dalla base operaia e
contadina.
Ma l’unione tra la rivoluzione borghese, più moderata, e quella socialista, più estrema, era destinata
al fallimento.
86
Nel Paese, infatti, era forte la componente dei piccoli proprietari, che temevano di perdere i loro
beni qualora fosse prevalso un orientamento socialista.
Alle prime elezioni a suffragio universale i socialisti ottennero pochi deputati e venne eletto
Presidente della repubblica Luigi Napoleone III Bonaparte, nipote di Napoleone imperatore.
Nel 1852, Luigi Napoleone III Bonaparte mise in atto un colpo di stato con l’appoggio dei
conservatori: si impadronì quindi del potere con la forza e si fece proclamare imperatore con il
titolo di Napoleone III.
Nel frattempo le rivoluzioni patriottiche e liberali scoppiate nel 1848 (particolarmente importanti
furono quelle di Vienna, Budapest, Berlino, Milano e Venezia) furono soffocate in tutta Europa,
anche se in questa occasione esse riuscirono a mettere seriamente in crisi i rispettivi governi.
L’impero d’Austria riuscì a fatica a domare le rivolte a Vienna, in Ungheria e in Italia, grazie
anche all’intervento russo a fianco del nuovo imperatore, Francesco Giuseppe I.
I patrioti tedeschi, invece, videro fallire il piano di incoronare il re di Prussia, Federico Guglielmo
IV, imperatore di una Germania finalmente unita, perché il re rifiutò la corona imperiale che gli era
stata offerta.
Nessuno Stato quindi poté ancora realizzare il sogno di unità e indipendenza.
Solo la Francia si vide di nuovo proiettata verso una nuova era di grandezza e assunse
successivamente un ruolo determinante nel Risorgimento italiano.
Cronologia
Nel corso dell’Ottocento, l’Italia ritrova la via dell’unità e dell’autonomia, spinta dagli ideali
culturali del Risorgimento e da una situazione favorevole: l’impegno di una ristretta classe
borghese e quello degli eserciti del regno di Sardegna e dei suoi alleati stranieri, Francia e
Inghilterra in particolare. La creazione dell’Italia ha così, in parte, i caratteri di una conquista.
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Durante l’Ottocento anche in Italia, divisa in più Stati e sottoposta al controllo straniero, cresceva il
numero di coloro che ritenevano fosse giunto il momento di lottare per raggiungere l’unità e
l’autonomia del Paese. I principali sostenitori degli ideali di Risorgimento erano soprattutto
membri della classe borghese e intellettuali, spesso organizzati in società segrete e privi di una base
popolare a sostegno delle loro richieste. Per questo motivo la prima serie di moti rivoluzionari a
favore di richieste di libertà e di partecipazione politica, nel regno delle Due Sicilie, in Piemonte e
poi a Modena e a Parma, fallirono miseramente. Tra i protagonisti di questa prima fase del
Risorgimento vi fu il genovese Giuseppe Mazzini, sostenitore di una Italia unita, indipendente e
repubblicana.
Dopo i primi fallimenti altri intellettuali proposero nuovi modelli per il futuro dell’Italia. Vincenzo
Gioberti sosteneva la necessità di creare una confederazione di Stati posti sotto l’autorità del papa,
per rispettare le tradizionali divisioni tra gli Italiani e fare appello alla loro comune appartenenza
alla tradizione cattolica. Con l’inizio del pontificato di Pio IX, nel 1846, sembrò che gli ideali di
Gioberti potessero realizzarsi, ma il nuovo papa fece presto mancare il suo appoggio alla prima
guerra di indipendenza combattuta dal re Carlo Alberto nel 1848 e conclusasi con una sconfitta, a
causa della defezione, oltre che del papa, anche del granduca di Toscana Leopoldo II e del re di
Napoli Ferdinando II.
Il fallimento di questo tentativo preparò tuttavia il futuro del movimento risorgimentale. Era ormai
evidente che l’unità e l’indipendenza sarebbero state raggiunte sotto la guida del regno di Sardegna,
guidato dalla dinastia dei Savoia e alleato, contro gli Austriaci, di qualche potenza europea.
Grazie alla politica del primo ministro piemontese, Camillo Benso, conte di Cavour, il Piemonte
strinse un’alleanza con la Francia di Napoleone III e rafforzò la propria economia e il proprio
esercito.
La seconda guerra di indipendenza scoppiò nel 1859 e in breve tempo Francesi e Piemontesi
sconfissero gli Austriaci, costringendoli a cedere la Lombardia e a non opporsi all’unione con il
Piemonte della Toscana, dell’Emilia e della Romagna. Nel 1860 anche il regno delle Due Sicilie si
unì al nascente Stato italiano a seguito della spedizione di circa mille volontari guidati da
Garibaldi.
Il 17 marzo 1861 il primo Parlamento italiano proclamò Vittorio Emanuele II re d’Italia.
L’unità del Paese dovette essere completata con una terza guerra d’indipendenza contro l’Austria
(nel 1866) e con l’occupazione della città di Roma (nel 1870), destinata a diventare capitale
d’Italia nonostante l’ostilità di papa Pio IX. Il papa si dichiarò prigioniero in Vaticano e vietò ai
cattolici di partecipare alla vita politica italiana.
Questi gruppi politici provocarono le rivolte del 1820 nel regno delle Due Sicilie, del 1821 in
Piemonte e del 1831 a Modena e a Parma.
Tutte fallirono miseramente.
Della necessità di lottare in modo diverso era profondamente convinto il genovese Giuseppe
Mazzini (1805 – 1872). Egli aveva inizialmente aderito alla Carboneria e, proprio per questo, era
stato processato, imprigionato e infine esiliato (finì per stabilirsi a Marsiglia).
Mazzini comprese che le rivolte guidate da società segrete composte da un gruppo ristretto di
aderenti erano destinate al fallimento per la loro debolezza di fronte alle forze della Santa Alleanza
e perché dietro di sé non avevano il popolo.
Il popolo, infatti, si sentiva del tutto estraneo agli ideali del Risorgimento e non pensava di aver la
forza né il dovere morale di lottare per affermare i propri diritti e rivendicare la propria libertà.
Mazzini sognava di costruire un’Italia “una, indipendente e repubblicana”. E nel 1832 fondò una
rivista, “La Giovine Italia”, per diffondere i proprio pensiero politico: l’Italia poteva risorgere
attraverso l’insurrezione popolare.
Tale strada per creare uno Stato indipendente in cui tutti i cittadini avessero uguali diritti si
presentava alquanto difficile: nel 1834 nel regno di Sardegna e nel 1844 in Calabria (vedi riquadro
sotto) ebbero luogo moti guidati da persone che avevano aderito agli ideali di Mazzini; nessuno di
questi moti, però, fu coronato da successo.
PROGRAMMA DI MAZZINI:
unità spirituale, sociale e territoriale di tutti gli italiani, perché senza unità non esiste
nazione;
libertà dagli oppressori di tutti i popoli e del popolo italiano in particolare, che deve
adempiere la propria missione storica di lottare contro l’Austria, gendarme d’Europa;
indipendenza dagli stranieri, condizione necessaria per essere realmente liberi, per
manifestare appieno le proprie forze, per realizzare i propri ideali;
repubblica, in quanto è l’unica forma di governo che garantisce la piena espressione della
volontà nazionale.
L’ideale di Gioberti fu chiamato neoguelfismo, perché a capo di tale confederazione doveva esserci
il pontefice, che avrebbe garantito sia la pace sia l’unità.
La sua proposta sembrò poter realizzarsi quando divenne papa il cardinale Giovanni Maria Mastai
Ferretti con il nome di Pio IX (1846 – 1878).
Infatti il papa si fece promotore di alcune importanti riforme: l’amnistia per i prigionieri politici, il
rimpatrio per gli esiliati, una maggiore libertà di stampa, l’istituzione di una Consulta di Stato
(una specie di “piccolo” Parlamento) e di una Guardia civica.
Nello stesso tempo, anche il re del regno delle Due Sicilie, Ferdinando II, fu costretto dagli
avvenimenti a concedere una Costituzione. La medesima cosa fecero il re Carlo Alberto per il
regno di Sardegna (con lo Statuto albertino), il granduca di Toscana Leopoldo II e, infine, pure il
papa.
Il 1848 fu l’anno delle insurrezioni: dopo Parigi, fu il turno di altre città europee: Vienna,
Budapest e Berlino; quindi toccò anche all’Italia.
La prima a insorgere fu Venezia, che gli Austriaci lasciarono senza combattere.
Poi Milano, che scacciò l’esercito del maresciallo austriaco Radetzky in cinque giornate (18 – 22
marzo).
E, ancora, i ducati di Parma e di Modena, che si liberarono dei propri sovrani.
Ormai la rivolta non poteva più essere fermata: ovunque nascevano governi provvisori liberali.
A Torino, forze patriottiche e opinione pubblica fecero pressione su Carlo Alberto (1831 – 1849)
affinché questi intervenisse in aiuto di Milano: fu l’inizio della prima guerra di indipendenza.
Il 23 marzo il re dichiarò guerra all’Austria e con il suo esercito passò il Ticino (cioè il confine con
il regno Lombardo-Veneto), giungendo fino a Milano.
E con Leopoldo II, Ferdinando II e Pio IX che si erano uniti a lui, vinse a Pastrengo e a Goito.
In un secondo momento, però, il pontefice decise di ritirare le sue truppe, dichiarando che non gli
era possibile combattere contro uno Stato cattolico quale era, appunto, l’Austria.
Medesima decisione venne presa dalla Toscana e dal regno delle Due Sicilie.
Rimasto senza alleati, Carlo Alberto fu dunque sconfitto a Custoza (23 – 25 luglio).
Pochi giorni dopo (9 agosto), i Piemontesi firmarono l’armistizio e iniziarono la ritirata.
L’Austria rientrò in possesso di Milano e rimise al loro posto i principi di Parma e di Modena.
Il 1849 segnò la fine delle rivolte italiane:
a Napoli Ferdinando II sciolse le Camere;
a Firenze Leopoldo II, fuggito per contrasti con il nuovo governo, vi fece ritorno
accompagnato da truppe austriache;
Venezia, dopo avere resistito con grande coraggio all’assedio austriaco, dovette cedere;
a Roma, nacque un governo provvisorio che, dopo aver costretto il papa alla fuga, proclamò
la cosiddetta repubblica romana. Essa durò poco tempo, perché la Francia decise di
intervenire in favore di Pio IX.
L’esercito della repubblica romana venne affidato a un generale mazziniano, Giuseppe Garibaldi
(1807 – 1882), che, dopo la fallita insurrezione del 1834, aveva combattuto in Sudamerica per
l’indipendenza dell’Uruguay a capo della legione italiana delle Camicie rosse.
Dopo iniziali vittorie dei garibaldini, i Francesi ebbero la meglio. Garibaldi abbandonò Roma con
un migliaio di volontari per andare in soccorso di Venezia.
Quando, sempre nel 1849, il Piemonte riprese le ostilità contro l’Austria e venne sconfitto a Novara
(marzo), Carlo Alberto cedette il trono nelle mani del figlio Vittorio Emanuele II (1849 – 1878) e
si ritirò in esilio in Portogallo.
Il nuovo re sottoscrisse l’armistizio con i vincitori, trasformato poi nella pace di Milano (agosto).
Gli Austriaci e la Restaurazione avevano vinto, dopo un intero anno di sollevazioni e conflitti.
Ma nel frattempo il regno di Sardegna aveva uno statuto e una nuova bandiera: il tricolore rosso,
bianco e verde con lo stemma dei Savoia al centro.
93
Presto la lotta per l’unità del Paese sarebbe ripresa: il regno di Sardegna era ormai considerato da
tutti il motore del processo di indipendenza. Molti esuli dalle diverse città riconquistate dalla
Restaurazione trovarono rifugio proprio qui.
1. LIBERALI MODERATI:
Gioberti: non unità né rivoluzione, ma federazione e riforme, da attuarsi ad opera
dei sovrani italiani; a capo della federazione bisognava porre il Papa. (Neo-
guelfismo).
Balbo: pur aderendo al pensiero del Gioberti sulla necessità delle riforme e di una
lega di principi, mise in evidenza che il primo problema da affrontare era quello
dell’indipendenza dell’Italia dall’Austria. Per ottenere la liberazione del
Lombardo-Veneto, occorreva contare sull’unico stato italiano in grado di fornire un
notevole esercito, cioè sullo Stato dei Savoia. Del resto, data la disgregazione in atto
nell’Impero ottomano, sarebbe stato possibile, senza ricorrere ad un conflitto,
convincere l’Austria ad estendersi nella penisola balcanica, rinunciando al
Lombardo-Veneto. Era ciò che di più opposto alle idee mazziniane si potesse
immaginare: la liberazione di un popolo in cambio dell’oppressione di altri.
2. LIBERALI DEMOCRATICI:
neo-ghibellini (Francesco Domenico Guerrazzi e Giovambattista Niccolini:
convinti democratici dagli accenti anticlericali);
federalisti (Giuseppe Ferrari e Carlo Cattaneo: propugnavano una federazione di
vari stati repubblicani).
Monarchia:
unitaria: D'Azeglio (con i Savoia);
federale: - Balbo (presieduta dai Savoia);
- Gioberti (presieduta dal Papa).
Repubblica:
unitaria: Mazzini;
federale: Cattaneo, Ferrari, Niccolini, Guerrazzi.
POLITICA DI CAVOUR:
interna: provvedimenti liberali riformatori che modernizzano il Regno Sabaudo così da
inserirlo tra le grandi potenze europee;
economica: dottrina liberista; trattati economici con vari stati europei; opere pubbliche;
estera: politica antiaustriaca; alleanza con la Francia di Napoleone III per raggiungere
l'indipendenza italiana;
religiosa: Chiesa e Stato ambedue liberi e sovrani, ciascuno nel proprio ambito di
competenza.
Un Paese da costruire.
L’Italia di Vittorio Emanuele II era una e monarchica e non già federale e repubblicana come
molti avevano sperato. Era nato uno Stato fortemente centralizzato.
Esso doveva affrontare cinque problemi urgenti:
1. dare a tutti gli Italiani una sola Costituzione e nuove leggi. I vari Stati in cui era divisa
l’Italia prima del 1861 avevano ciascuno norme e leggi differenti, perciò non era facile
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convivere: bisognava scegliere se favorire l’autonomia delle regioni dal governo centrale
oppure no;
2. affrontare una situazione economica di arretratezza generale. L’analfabetismo era
altissimo: circa l’80% della popolazione non sapeva né leggere né scrivere. Lo sviluppo tra
Nord e Sud era differente (è questo il nucleo della cosiddetta questione meridionale): nel
Nord industria, trasporti e agricoltura erano più moderni; nel Sud la terra rimaneva nelle
mani di pochi e grandi possidenti ed era coltivata con tecniche ancora antiquate. La povertà
aveva inoltre portato, nelle province meridionali, al grave fenomeno sociale del
brigantaggio: ex soldati dell’esercito borbonico e giovani che rifiutavano il servizio militare
di rifugiarono sulle montagne e combatterono con forza i “Piemontesi”; in tre anni si arrivò
addirittura a dover impiegare contro questi un esercito di oltre 100.000 uomini. La
situazione della sanità pubblica era disastrosa: le condizioni igieniche delle popolazioni
videro crescere la mortalità infantile e la diffusione di epidemie di colera;
3. risanare il bilancio dello Stato: le casse dello Stato erano state “prosciugate” dalle necessità
di guerra;
4. risolvere la difficile questione dei rapporti tra Stato e Chiesa;
5. completare l’unità d’Italia (mancavano ancora Venezia e Roma), per cui bisognava
aspettare una situazione politica internazionale favorevole.
I gravi problemi che affliggevano il Paese fecero decidere in direzione di un accentramento, che
suscitò reazioni molto forti:
l’Italia fu divisa in province, amministrate da prefetti che rappresentavano il
governo. I Consigli comunali vennero posti sotto la guida di sindaci nominati dal
re;
fu estesa all’intero Paese un’unica moneta (la lira italiana), un solo sistema di pesi
e misure, un solo Codice civile (sempre sul modello piemontese) e vennero abolite
le tariffe doganali tra regione e regione;
fu mantenuto lo Statuto albertino e imposto il servizio militare obbligatorio.
Si tentò senza successo di regolare i rapporti con la Chiesa secondo la formula di Cavour di
“libera Chiesa in libero Stato”.
Ma il papa reagì con un secco rifiuto a queste offerte e difese il potere politico del pontefice di
Roma che lui riteneva legittimo (lo Stato pontificio esisteva da oltre 1000 anni!).
A più riprese vi furono tentativi di conquistare Roma, da parte di gruppi di volontari. Nel 1862 ci
provò Garibaldi, ma fu ancora bloccato sull’Aspromonte, in Calabria, da un esercito inviato da
Vittorio Emanuele II per impedire, così, l’intervento della Francia.
Nel 1864 fu stipulata con Napoleone III la cosiddetta Convenzione di settembre. In base a essa,
l’Italia si impegnò a non attaccare più lo Stato pontificio. La Francia, in cambio, avrebbe ritirato da
Roma le proprie truppe.
Inoltre, venne stretto un impegno segreto, che prevedeva lo spostamento della capitale da Torino a
Firenze.
La divulgazione di tale patto suscitò un’ondata di proteste che a Torino provocò addirittura
disordini; inoltre, nell’insieme, i rapporti tra l’Italia e la Santa Sede peggiorarono ancora di più.
Nel 1865 il governo trasferì la capitale a Firenze e tentò anche, con grande impegno, di risanare il
bilancio dello Stato.
Le misure adottate, però, crearono profondo malcontento; tra tutte, soprattutto la tassa sul
macinato, un’imposta applicata ai mulini o a determinate quantità di prodotti delle macinazioni dei
cereali. Essa provocò una violenta reazione popolare, scatenando a volte anche tumulti sanguinosi.
97
La questione romana.
Il desiderio di rendere Roma capitale del nuovo Stato sembrava ancora lontano dal realizzarsi e si
scontrava con la ferma opposizione di Pio IX, sempre appoggiato dai Francesi.
La questione venne affrontata dal nuovo governo, presieduto da Urbano Rattazzi (1867).
Garibaldi riprese la marcia su Roma; fermato su intervento della Francia, venne arrestato e mandato
sull’isola di Caprera. Ma riuscì a fuggire e continuò nella sua impresa.
Il governo, allora, dovette dimettersi e Garibaldi, che aveva sconfitto le truppe pontificie, venne
fermato dai Francesi a Mentana, presso Roma.
Il nuovo governo, presieduto da Giovanni Lanza, approfittò della guerra franco-prussiana,
scoppiata nel 1870, in cui l’Italia si pose in posizione neutrale.
In seguito alla guerra con la Prussia da cui uscì sconfitto, crollò l’impero di Napoleone III.
Dopo il fallimento di ulteriori trattative, le truppe italiane, comandate dal generale Raffaele
Cadorna, il 20 settembre entrarono in Roma aprendo a cannonate una breccia a Porta Pia.
Il mese successivo si svolse un plebiscito, conclusosi con l’annessione di Roma all’Italia: qui
venne finalmente spostata la capitale nel 1871.
I rapporti con la Santa Sede furono regolati con la Legge delle guarentigie: al papa venivano cioè
date precise garanzie circa la sua libertà e l’esercizio delle sue funzioni di capo della Chiesa
cattolica; insieme a queste gli venivano riconosciute anche una serie di proprietà e risarcimenti
finanziari.
Ma Pio IX rifiutò tutto quanto gli venne offerto, si dichiarò prigioniero e vietò ai cattolici di
partecipare alla vita politica italiana.
98
IL RISORGIMENTO ITALIANO.
- Giuseppe Mazzini;
- Cavour;
- Vittorio Emanuele II;
- Giuseppe Garibaldi.
99
Cronologia
L’Europa e gli Stati Uniti d’America alla fine dell’Ottocento portano a compimento il proprio
sviluppo industriale e la politica di dominio su tutto il resto del mondo. E’ l’epoca del
colonialismo e dell’imperialismo: l’uomo bianco domina in Africa, in Asia e in America del Sud.
L’Italia, nel frattempo, rafforza a fatica la propria unità politica e la propria economia.
101
Negli ultimi due decenni dell’Ottocento le potenze europee e gli Stati Uniti portarono a compimento
il loro dominio coloniale sul mondo. Nel 1885 fu tenuta a Berlino una conferenza internazionale
per la spartizione dell’Africa. Si decise che ciascuna nazione poteva conservare le conquiste già
fatte e nel caso in cui avesse voluto conquistare nuovi territori avrebbe dovuto prima informare le
altre delle sue intenzioni. L’Africa fu così sottoposta a un sistematico sfruttamento di tutte le sue
risorse naturali e minerarie. Fu imposta, ad esempio, la coltivazione estensiva di prodotti che
interessavano ai mercati europei (cacao, caffè, cotone …). Nel frattempo era giunta a compimento
anche la colonizzazione dell’Asia. Nel 1876 la regina d’Inghilterra, Vittoria, fu proclamata
imperatrice delle Indie e l’amministrazione di quell’immenso Paese fu affidata a un vicerè.
In Cina la dinastia di regnanti si oppose solo debolmente alla crescente influenza degli Europei, che
riuscirono a sviluppare i loro commerci (tra cui quello dell’oppio) impadronendosi di basi e di porti
sui quali esercitavano un diretto controllo.
Cresceva intanto la potenza degli Stati Uniti. Dopo aver superato una terribile guerra civile (1861-
1865) e aver portato a compimento l’occupazione dei vasti territori dell’Ovest (a spese delle
popolazioni indiane), questa nazione divenne una delle principali potenze industriali e commerciali,
seppe imporre il proprio assoluto dominio sull’America meridionale e riuscì a occupare importanti
posizioni nell’area del Pacifico e in Cina.
In quegli anni l’Italia affrontava complessi problemi interni. Occorreva dare al Paese un’unità
legislativa e amministrativa, riformare il fisco, sviluppare le vie di comunicazione, provvedere al
benessere delle popolazioni più povere del Sud, far nascere un sistema di istruzione pubblica per
tutti e incrementare lo sviluppo industriale e la produzione agricola.
Dal 1861 al 1876 l’Italia fu governata dalla Destra, poi (dal 1876 al 1896) da governi di Sinistra, più
attenti a non esasperare le classi sociali più deboli. Nonostante venissero prese alcune misure a
favore dei lavoratori, essi, organizzati nei primi sindacati e spesso ispirati da idee socialiste, diedero
vita a contestazioni e sollevazioni, alle quali il governo rispose anche con la violenza dei cannoni
del generale Bava Beccaris, che nel 1898 fece sparare sulla folla a Milano, provocando 80 morti.
Per risolvere almeno in parte le tensioni sociali interne e affermare la propria potenza, anche l’Italia
tentò la conquista di colonie in Africa, ma la sconfitta nella battaglia di Adua, nel 1896, contro
l’Etiopia, mise un limite alle pretese del nostro Paese.
loro insediamenti coloniali (all’inizio solo basi commerciali e porti sicuri per le navi) avevano
interessato solamente le zone costiere.
Per secoli fu fiorente la tratta degli schiavi verso le piantagioni americane e l’esportazione di
alcuni prodotti di cui l’Africa era molto ricca, come gli oli vegetali, l’avorio, l’oro, le pietre
preziose e il legname pregiato.
L’esplorazione dell’Africa.
Molti uomini, durante il XIX secolo, si dedicarono all’esplorazione delle regioni interne del
continente africano. Tra questi ricordiamo: l’inglese John Speke che scoprì il lago Vittoria e,
insieme a Richard Burton, il lago Manganica; il tedesco Hermann von Wissmann che esplorò i
territori del Congo.
Particolarmente note sono le spedizioni nell’Africa australe del missionario inglese David
Livingstone che scoprì le cascate del fiume Zambesi da lui battezzate Victoria, in onore della
regina d’Inghilterra. Nel 1866 egli partì per la sua ultima esplorazione diretto verso il lago
Manganica e se ne persero le tracce.
Nel 1870 il direttore del giornale americano “New York Herald” mandò il proprio inviato speciale
Henry Morton Stanley a cercarlo. Dopo numerose avventure quest’ultimo ritrovò Livingstone sulle
sponde del lago Manganica. Al momento del loro incontro, Stanley, rivolgendosi all’unico bianco
che si trovava in quella zona, pronunciò la frase divenuta poi celebre: “Il dottor Livingtone,
suppongo”.
Ma dal 1880 in poi la vita delle popolazioni africane fu sconvolta dalla conquista degli Europei e
dalla loro spartizione del continente nel giro di due decenni:
il Portogallo possedeva già l’Angola e il Mozambico;
l’Inghilterra aveva la Colonia del Capo e, nel 1882, occupò l’Egitto;
la Francia si era già stanziata in Algeria, in Senegal e nel Gabon e, nel 1881, conquistò la
Tunisia;
il Belgio avviò l’occupazione del Congo a partire dall’anno della sua scoperta, nel 1880.
Già nel 1885 fu necessario convocare una Conferenza internazionale a Berlino, per evitare che i
contrasti tra le diverse nazioni interessate alla conquista del continente africano potessero esplodere
in gravi conflitti.
Alla conferenza parteciparono dodici nazioni europee, fra cui la Gran Bretagna, la Francia, il Belgio
e l’Italia, più l’impero ottomano e gli Stati Uniti.
Si decise che ogni potenza aveva pieno diritto sulle conquiste già fatte e che prima di compierne
altre doveva solo informare preventivamente gli altri Stati delle proprie intenzioni, per permettere
loro di presentare eventuali reclami.
Fu inoltre proclamata la libertà di commercio e navigazione in tutto il continente.
A questo punto si scatenò un’autentica gara fra i Paesi europei e l’occupazione dell’Africa fu
completata nel giro di venti anni.
Da questo momento ogni parte del continente fu sfruttata sistematicamente nell’esclusivo interesse
degli occupanti europei.
Furono introdotte pratiche commerciali e tecniche di coltivazione e produzione dei beni
sconosciute agli Africani e tali da sconvolgere le loro millenarie abitudini.
Molte vaste regioni furono impiegate per la coltivazione estensiva di un solo prodotto
(monocolture di cacao, caffè, cotone), trascurando la produzione di risorse utili al benessere delle
popolazioni.
In altre fu avviato lo sfruttamento delle risorse forestali e minerarie, sconvolgendo il territorio e
limitando le possibilità di sopravvivenza di intere tribù.
Nel lungo periodo ci furono però anche alcuni effetti positivi, come il miglioramento dei trasporti
e l’introduzione di molte conoscenze europee in campo tecnico e scientifico.
103
Fu data anche libertà di azione a molti coraggiosi missionari, animati dal sincero e disinteressato
desiderio di convertire al cristianesimo le popolazioni locali e migliorare le loro condizioni di vita.
Come già avvenuto per il Sud America, tuttavia, l’insieme di queste azioni portò alla cancellazione
della gran parte del patrimonio culturale del continente.
L’India.
Gli Inglesi controllavano direttamente vaste aree dell’India, lasciando a un gran numero di principi
locali (divisi tra loro) un’apparente autonomia.
Essi imposero la loro lingua e la loro cultura, invasero il mercato con i prodotti della loro
industria (rovinando l’artigianato locale) e imposero la creazione di vasti latifondi agricoli
specializzati nella coltivazione di un solo prodotto (zucchero, oppure cotone o tè, ecc.),
danneggiando la piccola proprietà agricola.
Essi portarono a compimento anche una grande quantità di importanti grandi opere pubbliche:
dighe, canali, una rete stradale e ferroviaria, un sistema scolastico almeno per i figli delle classi più
agiate.
Ma il diffuso sentimento anti-britannico sfociò, nel 1857 – 1858, in una grande rivolta.
Essa fallì e provocò il passaggio dell’India sotto il diretto dominio della monarchia inglese: nel
1876 la regina Vittoria fu proclamata imperatrice delle Indie e l’amministrazione del Paese fu
affidata a un viceré.
Lo sfruttamento del Paese continuò, anche se il governo inglese fece alcuni importanti passi per
guadagnare maggiore consenso tra le popolazioni.
Si decise, per esempio, di far partecipare cittadini indiani all’amministrazione della colonia, anche
se in ruoli di minore importanza.
Nel complesso l’India fu meglio governata, ma la resistenza al dominio straniero continuò e assunse
forme più organizzate.
Nel 1885 nacque a Bombay il partito del congresso (così detto perché i suoi rappresentanti erano
soliti indire congressi periodici) destinato a portare l’India all’indipendenza nel corso del secolo
successivo.
Il canale di Suez.
Con un percorso di 161 chilometri da Porto Said a Suez, mette in comunicazione, attraverso
l’istmo di Suez, il Mediterraneo e l’Oceano Atlantico con il Mar Rosso e l’Oceano Indiano (e
l’India).
Nel 1859 iniziarono i lavori di scavo; l’opera fu portata a termine nel 1869.
Abbreviando del 40% la rotta tra l’Inghilterra e l’India, il Canale assunse un’importanza
economica e strategica di primissimo piano, che determinò in buona parte la politica
dell’Inghilterra (che nel frattempo si era assicurata il predominio sul Canale) nel Medio Oriente.
104
La Cina.
Questo vastissimo Paese visse in assoluto isolamento fino all’Ottocento.
La dinastia imperiale Manciù e le caste dei mandarini (i funzionari imperiali) e dei grandi
proprietari terrieri restavano ferme nella conservazione di tradizioni secolari.
La gran parte del popolo ignorava completamente le caratteristiche della cultura occidentale, che
restava relegata fuori dei confini della Cina.
Ma questo Stato avrebbe potuto diventare un enorme mercato per hli Europei e gli Inglesi non
rinunciarono a ogni sforzo per entrare in contatto con esso.
Essi svilupparono un intenso commercio di contrabbando (visto che gli scambi erano proibiti),
procurandosi tè, seta e porcellane in cambio di oppio, una droga che provoca una forte dipendenza e
che è pericolosa per la salute.
Nel 1839 la Cina reagì e tentò di arrestare questo traffico.
Scoppiò così la guerra dell’oppio (1839 – 1842), che gli Inglesi combatterono con vigore e
vinsero, imponendo ai Cinesi l’apertura di cinque porti commerciali, la cessione di Hong Kong r la
riduzione dei dazi doganali.
Negli anni 1858 – 1860, Francia e Gran Bretagna costrinsero di nuovo con la forza la Cina a
concedere loro condizioni più favorevoli ai loro commerci: porti riservati, abolizione delle
dogane, possibilità di far navigare le proprie navi da guerra su tutti i fiumi cinesi e di impiantare
colonie governate direttamente da loro e nelle quali l’autorità dell’imperatore cinese veniva ceduta
agli Occidentali.
Di fronte a questa situazione scoppiarono alcune rivolte, intese sia a difendere le tradizioni cinesi,
sia ad affermare l’autonomia del Paese dal controllo straniero.
La prima di queste rivolte venne condotta a più riprese dal 1850 al 1864, e terminò con la vittoria
delle truppe occidentali. Fu guidata dal movimento politico dei T’ai-p’ing, che si batteva in difesa
dei diritti dei contadini e proponeva l’uguaglianza di diritti tra uomini e donne e la proibizione del
consumo di oppio.
Nel 1900 scoppiò la rivolta della setta segreta dei Boxer, fortemente ostili agli stranieri e alla loro
cultura.
Ma anche questa fu soffocata da una spedizione militare internazionale, con la partecipazione di
molti Paesi europei (Italia compresa), di Stati Uniti e Giappone (che qualche anno prima, nel 1894 –
1895, era già entrato in guerra con la Cina, riuscendo a impadronirsi della Corea).
nordisti sudisti
Avevano sviluppato una società industriale e Avevano una economia che si basava sulle
urbana molto evoluta. piantagioni di tabacco e cotone.
Erano favorevoli alle tariffe protettive. Reclamavano una politica liberalista.
Erano favorevoli allo sviluppo economico dei Si ripromettevano di estendere il sistema delle
territori dell’Ovest. piantagioni e il lavoro schiavistico nei territori
dell’Ovest.
Erano favorevoli all’abolizione graduale della Erano irriducibilmente contrari all’abolizione
schiavitù. della schiavitù.
Decisero di uscire dall’Unione.
Diedero vita alla Confederazione.
Erano ostili a qualsiasi cambiamento economico,
sociale e politico.
Firmarono la resa nel villaggio di Appomatox.
N.B. Mentre nell’Italia prerisorgimentale il potere politico fu tenuto dalla nobiltà, l’Italia
unita fu governata prevalentemente dalla borghesia.
Italia 1861:
Problemi di politica interna:
1. unificazione legislativa e amministrativa;
2. unificazione doganale;
3. opere pubbliche (specialmente strade e ferrovie);
4. dissesto delle finanze statali;
5. pubblica istruzione (combattere l’analfabetismo);
6. brigantaggio;
7. riorganizzazione delle forze armate.
Problemi di politica estera:
1. la questione romana (problema dei rapporti con la Santa Sede);
2. la liberazione del Veneto e delle altre terre irredente.
N.B. Dal 1861 al 1876 l’Italia fu governata dalla Destra; dal 1876 al 1896 l’Italia fu governata
dalla Sinistra.
Il 18 marzo 1876 cadde l’ultimo governo della Destra (il governo Minghetti) e divenne primo
ministro l’esponente più in vista della Sinistra, Agostino Depretis (1876 – 1887).
Il cambiamento si fece sentire anzitutto in campo sociale ed economico. La Sinistra, infatti, abolì la
tassa sul macinato (1879), aumentando contemporaneamente la spesa pubblica dello Stato per
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finanziare opere pubbliche e industrie private e per rafforzare l’esercito ma, peraltro,
amministrando con meno rigore (e qualche favoritismo) i beni pubblici.
Fu realizzata, nel 1882, la riforma elettorale e fu approvata, nel 1887, l’obbligatorietà
dell’istruzione elementare. Ad avere diritto di voto furono i cittadini maschi, che avessero
compiuto ventuno anni di età e in possesso di un attestato di frequenza della scuola elementare o,
comunque, capaci di leggere e scrivere. In questo modo i cittadini che avevano diritto di voto
passarono da circa 400.000 a circa 2.100.000.
I rappresentanti in Parlamento furono, in questo modo, l’espressione di un più ampio consenso
popolare.
Ma la politica cominciò, tuttavia, a essere afflitta dal fenomeno del trasformismo, ossia dalla
pratica dei parlamentari di passare dall’uno all’altro schieramento a seconda della propria
convenienza personale (venendo a volte “comperati” dal governo che se ne assicurava così
l’appoggio).
In campo economico fu adottata una politica di protezionismo e di intervento statale (1887). Si
difesero, cioè, i prodotti italiani imponendo forti tasse su quelli stranieri, mentre l’industria fu
sostenuta con i soldi dello Stato piuttosto che con la capacità imprenditoriale degli industriali.
Nonostante questi interventi, lo sviluppo economico tardava e tra il 1881 e il 1891 ben 2.000.000 di
Italiani emigrarono, soprattutto verso il Nord e il Sud America.
Per assistere a un vero e proprio impegno politico e alla nascita di un partito di ispirazione cattolica
nel nostro Paese bisognerà però attendere il secolo successivo.
Nel frattempo, i sindacati e i movimenti politici di ispirazione socialista, che raccoglievano il
consenso dei lavoratori, erano lontani e anche ostili alla Chiesa, spesso considerata alleata delle
forze sociali più forti e conservatrici.
DEPRETIS E CRISPI:
Depretis Crispi
Abolizione della tassa sul macinato. Sviluppo del colonialismo.
Istruzione elementare obbligatoria. Rispetto scrupoloso degli accordi della Triplice
Alleanza.
Allargamento del suffragio elettorale dal 2,2 % Repressione delle proteste sociali.
al 6,9 % della popolazione.
Guerra delle tariffe con la Francia.
Sconfitta di Adua.
La politica coloniale.
Una risposta ai gravi problemi economici e sociali dell’Italia sembrò essere la conquista di colonie
africane anche da parte del nostro Paese. Si pensava così di creare nuovi mercati, di far crescere il
consenso da parte degli Italiani nei confronti del governo e di offrire uno sbocco ai molti Italiani
disoccupati (soprattutto del Meridione).
Nel 1881 la Francia occupò la Tunisia senza tenere in alcun conto gli interessi italiani su quel
territorio (vi vivevano circa 12.000 Italiani, contro 4.000 Francesi).
Anche per reazione a questo affronto il governo italiano decise nel 1882 di stringere, con l’Austria
e con la Germania, un patto militare in funzione antifrancese, la Triplice Alleanza.
In questo modo si rinunciava, per il momento, a ogni rivendicazione sui territori italiani ancora in
mano all’Austria (Trento, Trieste e l’Istria), ma si evitava il rischio di un isolamento diplomatico
dell’Italia.
Dopo aver così rafforzato il quadro delle proprie alleanze, l’Italia si lanciò alla conquista della
Somalia e dell’Eritrea.
Nel 1889 fu imposto il protettorato italiano sulla Somalia e nel 1890 l’Eritrea divenne ufficialmente
colonia italiana.
Quando però Francesco Crispi, tornato nuovamente al potere nel 1893, decise di aprire le ostilità
nei confronti dell’Etiopia (uno degli ultimi Stati indipendenti africani, cristiano e governato da una
antichissima dinastia) le truppe italiane subirono diverse sconfitte e furono poi quasi distrutte il 1°
marzo 1896 nella battaglia di Adua, dove trovarono la morte circa 6.000 soldati italiani.
Crispi fu costretto alle dimissioni, mentre, alle soglie del Novecento, l’impero coloniale italiano era
ancora poca cosa, soprattutto se confrontato con le conquiste delle altre potenze europee.
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