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QUADERNI DI ARTES

2
Beatrice d’Este
1475-1497

a cura di
Luisa Giordano

Edizioni ETS
www.edizioniets.com

Pubblicato con il contributo della Fondazione Comunitaria


della Provincia di Pavia onlus e Fondazione Cariplo

Si ringraziano gli enti e le biblioteche che hanno concesso la pubblicazione


dei materiali di loro pertinenza

Redazione:
Mauro Bonetti

In copertina:
Gian Cristoforo Romano, Beatrice d’Este, dettaglio. Parigi, Musée du Louvre

© Copyright 2008
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Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
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Distribuzione
PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]

ISBN 978-884672057-3
INDICE

Premessa [Luisa Giordano] 7


Beatrice d’Este. Cronologia della vita 9

Monica Ferrari
Principesse in divenire nel Quattrocento italiano 11
Alessandra Ferrari
Le lettere di Beatrice d’Este.
I. Dal privato al ruolo pubblico 33
Laura Giovannini
Le lettere di Beatrice d’Este.
II. La calata di Carlo VIII 49
Luisa Giordano
“La Ill.ma consorte” di Ludovico Sforza 63
Maria Nadia Covini
Beatrice d’Este, i figli del Moro e la Pala Sforzesca.
Arte e politica dinastica 91
Gabriella Zuccolin
Gravidanza e parto nel Quattrocento: le morti parallele
di Beatrice d’Este e Anna Sforza 111
Paola Venturelli
“novarum vestium inventrix”.
Beatrice d’Este e l’apparire: tra invenzioni e propaganda 147
Maria Teresa Binaghi
I mobili della corte milanese al tempo di Beatrice 161
Flavio Santi
Tra latino e volgare. Appunti su una committenza divisa 179
Valerio Terraroli
Il romanzo della Storia: immagini ottocentesche della corte milanese 195
Abbreviazioni

ASMi = Archivio di Stato, Milano


ASMn = Archivio di Stato, Mantova
ASMo = Archivio di Stato, Modena
BNP = Bibliothèque Nationale, Parigi
LA «ILL.MA CONSORTE» DI LUDOVICO SFORZA

LUISA GIORDANO

«[…] andò all’esercito Lodovico Sforza, e con lui Beatrice sua moglie
che gli era assiduamente compagna non manco alle cose gravi che alle di-
lettevoli»1.
Nel quarto decennio del Cinquecento, quando anche l’ultimo erede del-
la dinastia ducale era scomparso dalla scena politica e la conclusione delle
guerre d’Italia aveva dato da tempo un nuovo assetto alla penisola sancen-
do il dominio delle potenze straniere, Francesco Guicciardini, ripercorren-
do gli eventi al tempo dell’assedio di Novara, ricordava la solidale presenza
della duchessa accanto al consorte.
Una sola altra volta Beatrice era stata citata nella Storia d’Italia, e sem-
pre per sottolinearne la presenza accanto al marito e al padre in occasione
dell’andata ad Asti, questa volta incontro al re che si avviava alla sua cam-
pagna di conquista italiana2.
Se dell’evento più antico è la «grandissima pompa e onoratissima compa-
gnia di molte donne nobili e di forma eccellente del ducato di Milano» che
viene ricordata a sottolineare il fasto della corte, più che mai esibito e impo-
sto nella partita con il monarca francese, nella citazione richiamata in aper-
tura l’accento cade sulla fedeltà al ruolo e ai doveri di moglie, sulla sodalità
senza remore della duchessa, sul suo spendersi per il marito e la casata.
Tutte le qualità che sono sottese alla citazione dello storico appartengo-
no alla serie dei requisiti necessari a fare di una giovane donna la moglie
adeguata alle aspettative dell’uomo di potere e della società tutta3. Ciono-
nostante, la relativa che Guicciardini inserisce e che gli permette di passare

I documenti, anche quelli già noti per essere stati pubblicati, parzialmente trascritti o citati dalla bi-
bliografia, sono stati controllati e trascritti dagli originali; se ne dà quindi sempre la segnatura archivistica.
La trascrizione ha sciolto le abbreviazioni quando lo scioglimento facilita la lettura del testo e ha in-
trodotto la punteggiatura, le maiuscole e l’apostrofo secondo l’uso moderno.
1 F. GUICCIARDINI, Storia d’Italia, l. II, cap. XI.
2 Ivi, l. I, cap. XI.
3 Sul ruolo della donna e sull’educazione delle fanciulle destinate a matrimoni eccellenti si veda
in questa sede il saggio di Monica FERRARI, cui si rimanda anche per la citazione della bibliografia più
significativa. Sul ruolo delle donne nella società di corte in declinazione estense riflette M.S. MAZZI,
Come rose d’inverno. Le signore della corte estense nel ‘400, Ferrara 2004, pp. 11-16.
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dal particolare evento a una valutazione complessiva sul comportamento


del personaggio storico indica bene l’attenzione alla singolare sintonia sta-
bilitasi tra il Moro e la sua giovane sposa4.
Beatrice aveva sposato Ludovico il 18 gennaio 1491 a Pavia, dopo uno
scomodo viaggio che nel gelo dell’inverno aveva portato la comitiva esten-
se alle terre lombarde destinate ad accogliere la figlia secondogenita di Er-
cole e di Eleonora d’Aragona5. Il matrimonio era stato programmato sin
dal 1480, quando Beatrice aveva cinque anni, ed era uno dei tasselli che
rinsaldavano il sistema delle alleanze dei potentati dell’Italia settentrionale.
Gli Estensi perseguivano una sapiente strategia famigliare6 che suggeriva
di stringere vincoli con le potenze maggiori, come Napoli e Milano, in fun-
zione antiveneziana: una sorella di Ercole I, sempre di nome Beatrice, ave-
va sposato Tristano Sforza, fratellastro del duca Galeazzo Maria e una ge-
nerazione dopo lo stesso Ercole dava in sposa sua figlia a un altro fratello
del duca, Ludovico, all’atto delle nozze il vero detentore del potere a Mila-
no. Ludovico a sua volta si imparentava non solo con una famiglia di solida

4 I documenti relativi alla corte sforzesca editi nell’ambito degli studi storici comparsi sulle pagine
dell’Archivio Storico Lombardo, cui deve aggiungersi lo studio di Gustavo Uzielli comparso la prima vol-
ta nel 1890 (G. UZIELLI, Leonardo da Vinci e tre gentildonne milanesi del secolo XV, in «La letteratura»,
1890, nn° 2 [Beatrice d’Este], 4, 6, 7), e la lettura ex novo condotta da Guido Lopez delle relazioni di
Giacomo Trotti, ambasciatore ferrarese a Milano (Festa di nozze per Ludovico il Moro, a cura di G. Lo-
pez, Milano 1976), rendono possibile la restituzione della vita di Beatrice dal suo matrimonio alla morte.
Tra le biografie della duchessa, negli ultimi anni oggetto di rinnovato interesse da parte di autori che han-
no privilegiato la forma divulgativa o romanzata, un cenno particolare merita la più antica e famosa, quel-
la di J. CARTWRIGHT, Beatrice d’Este duchess of Milan, 1475-1497: a study of the Renaissance, London
1899. Il testo, più volte ristampato nella versione inglese, è stato tradotto in italiano e anche sotto questa
forma ha avuto fortuna, tanto da sollecitare numerose riedizioni (per le quali si vedano le schede biblio-
grafiche sul sito dell’ICCU, all’indirizzo http://opac.sbn.it); si tratta di una compilazione che assembla i
materiali già noti con garbo narrativo e secondo modalità annalistiche. Operazione analoga l’autrice con-
dusse qualche anno più tardi, precisamente nel 1903, per la monografia dedicata a Isabella d’Este; que-
st’ultimo contributo, in dialettica con le recensioni meritate dai contemporanei, è stato recentemente ana-
lizzato da Giovanni Agosti nell’ambito della fortuna critica della marchesana in età contemporanea (in A.
LUZIO, R. RENIER, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d’Este Gonzaga, ed. a cura di S. Albonico,
Milano 2005, pp. XXV-XXVIII dell’introduzione). Breve nota biografica, non esente da imprecisioni, è
in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 7, Roma 1965, pp. 349-352, ad vocem; mentre un’accurata
scheda biografica ha proposto recentemente MAZZI, 2004 [cit. n. 3], pp. 44-72. Per ricchezza di notizie,
riferimenti e apparati iconografici rimane di fondamentale importanza F. MALAGUZZI VALERI, La corte di
Ludovico il Moro, 4 voll., Milano 1913-1923.
5 Sulle nozze tra Ludovico e Beatrice, descritte da Tristano Calco nelle sue Nuptiae mediolanen-
sium et estensium principum, si vedano G. PORRO, Nozze di Beatrice d’Este e di Anna Sforza. Docu-
menti copiati dagli originali esistenti nell’Archivio di Stato di Milano, in «Archivio Storico Lombar-
do», IX, 1882, pp. 483-534; Festa di nozze, 1976 [cit. n. 4].
6 Sulla politica matrimoniale degli Estensi e, per quanto riguarda Beatrice e Anna Sforza, anche
le considerazioni economiche che dovettero accompagnare le nozze si veda R. IOTTI, La politica dell’a-
more. Alcuni casi di alleanze matrimoniali in casa d’Este, in Gli Estensi. I, La corte di Ferrara, a cura
di R. Iotti, Modena 1977, pp. 147-181.
La «Ill.ma Consorte» di Ludovico Sforza 65

Fig. 1. Gian Cristoforo Romano, Beatrice d’Este. Parigi, Musée du Louvre.


66 Luisa Giordano

Fig. 2. Gian Cristoforo Romano, Beatrice d’Este. Parigi, Musée du Louvre.


La «Ill.ma Consorte» di Ludovico Sforza 67

Fig. 3. Gian Cristoforo Romano, Beatrice d’Este. Parigi, Musée du Louvre.


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tradizione nobiliare, ma con la stirpe italiana che deteneva da più lungo


tempo e cum lege il potere. Il tema della legittimità e della longevità della
dinastia ferrarese, ben presente alla propaganda estense7, di fatto giocava a
favore del Moro, che poteva vantare una sposa di ceppo non inferiore a
quello della moglie del duca nipote, Isabella d’Aragona, e per via di madre
anche imparentata con la famiglia reale napoletana. L’aspettativa del duca
di Bari era che il matrimonio gli garantisse una discendenza legittima,
quanto mai necessaria a sostenere le sue ambizioni, ma su questo tema e
sulla sua esplicita affermazione si tornerà presto.
Sui primi approcci e sul non facile avvio di una coppia che vedeva una
sedicenne unita a un uomo che aveva ventiquattro anni più di lei molto di-
cono i documenti e molto è stato scritto. Così come sul consolidarsi di
quell’unione e sulla figura della duchessa, dedita al ballo, alla caccia, al lus-
so e appassionata al gioco, sempre animatrice degli aspetti ludici della cor-
te – ciò che del resto era suo compito istituzionale assolvere – ma anche
fiera avversaria della Gallerani, amante in carica del marito al momento del
matrimonio. Né è passato sotto silenzio l’antagonismo sempre più dichia-
rato verso la cugina Isabella d’Aragona nel percorso verso la legittimazione
del potere del Moro.
Tutti i tratti della figura di Beatrice che i documenti supportano genero-
samente e che la storiografia moderna ha messo in evidenza, spesso in-
fluenzata dalla malia di una vicenda umana che ebbe a riunire fasto, pote-
re, tradimenti sino alla tragica morte della giovane donna, corrispondono
puntualmente a un regime sociale e matrimoniale che chiedeva alla figura
femminile di assecondare i voleri del marito e di gestire in sintonia con es-
so la propria persona e la vita di corte.
Pertanto, del programma politico che si avviò a realizzazione e della
partita a due che contestualmente ebbe inizio nel gennaio 1491 non inte-
ressa qui ripercorrere vicende note e tante volte discusse, né estrapolare ed
esaltare il ruolo femminile alla ricerca di inedite valenze – ciò che per la
duchessa sarebbe peraltro impresa assai ardua –, ma se mai cogliere e met-
tere in evidenza gli aspetti di strategia famigliare e politica che attraverso la
riuscita di quel matrimonio trovarono esito positivo per quanto effimero:
tutte le vicende ebbero comunque a indiscusso regista Ludovico Sforza,
per il quale la moglie fu attiva e ambiziosa collaboratrice. Proprio nel pri-
mato della figura maschile, affermato più che in altre unioni per la strari-
pante personalità di Ludovico, e nella duttilità accorta e mai remissiva di

7 Si veda a questo proposito M. FOLIN, Rinascimento estense. Politica, cultura, istituzioni di un


antico Stato italiano, Bari 2001, pp. 40-41, che richiama gli elenchi dei «principes et domini antiqui»,
stesi nel 1461 da Pietro Lardi con indubbio intento celebrativo e propagandistico.
La «Ill.ma Consorte» di Ludovico Sforza 69

quella femminile, capace di assecondare con impegno il progetto famiglia-


re, consiste forse la più adeguata chiave di lettura degli eventi milanesi. La
sorte, che concesse a Beatrice vita breve, non mise alla prova le capacità
della giovane sposa come reggitrice dello stato: malgrado qualche malan-
no, la tenuta fisica del signore di Milano fu nel complesso assai buona e
mai si rese necessaria la supplenza in momenti decisivi o delicati per la vita
dello Stato e della dinastia; la stessa personalità accentratrice del duca la-
sciò ben poco spazio alla consorte in relazione agli affari dello Stato, forse
anche in considerazione delle tenera età di lei. La corrispondenza di Bea-
trice poi, qualora la si confronti con quella della madre, rivela sostanziali
differenze nella gestione del ruolo ricoperto. Eleonora, sempre attiva per la
riuscita della famiglia, è anche informata dei fatti politici e coadiuva il ma-
rito nella gestione dell’amministrazione, essendo impegnata a verificare
spese, esazioni, dazi ed entrate8. Per quel che se ne sa e per quanto si può
leggere nei documenti, tale complessità non appartenne mai a Beatrice, al-
la quale fu se mai affidato il compito di reggere la parte effimera della vita
di corte in modo da rendere ancora più splendida l’immagine con cui il
Moro si presentava sulla scena politica.
In questa luce può innanzitutto leggersi il tanto declamato lusso di Bea-
trice. La celebre definizione del Muralto di «novarum vestium inventrix»
ha consegnato alla storia lo sfarzo della duchessa, che si deduce nutrito
della fantasia e dell’inventiva utili ad esaltare le ingentissime somme di de-
naro profuso a sostenere la preminenza della giovane donna e la sua fama.
È noto come Eleonora d’Aragona, nel vedere a Vigevano le ottantaquattro
vesti che la figlia poteva allineare dopo due soli anni di matrimonio, com-
mentasse stupita e sarcastica che le facevano l’effetto di «una sacristia ap-
parata de piviali»9, ma tanto lusso, che trovava nella duchessa di Bari la
convinta e alacre realizzatrice, rispondeva esattamente al programma di
Ludovico, che sulla valenza politica del fasto e della ricchezza faceva parti-
colare conto.
Nella direttiva al Casati con cui nel 1490 Ludovico istruiva il proprio
emissario per la trattativa con i ferraresi in vista della conclusione dei patti
matrimoniali, il Moro si rimetteva al suocero per il corredo e i gioielli che
dovevano costituire il complemento della dote10. In prosieguo di tempo, è

8 MAZZI, 2004 [cit. n. 3], pp. 26-27, con richiami alle fonti.
9 A. LUZIO, R. RENIER, Delle relazioni di Isabella d’Este Gonzaga con Ludovico e Beatrice Sfor-
za, in «Archivio Storico Lombardo», s. II, XVII, 1890, pp. 364-365.
10 Il documento è in PORRO, 1882 [cit. n. 3]; per il passo qui richiamato, p. 491: «Del sexto qual

remitte al arbitrio del pr.to Ill.mo Duca el vestire de la prefata nostra consorte et così el darli le altre
cose minute convenienti a spose restano similemente contenti perché se persuademo che la Ex.tia sua
non mancherà de quello che sia conveniente al grado suo verso la fiola per darnela ornata secundo la
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dal dicembre 1491, a sentire il Trotti, che il Moro manifesta l’intenzione di


destinare a Beatrice le entrate della roggia Mora, della Sforzesca e di Villa-
nova, ovvero di una rendita annua di ben 7.000 ducati pari a 28.000 lire im-
periali, allo scopo di dotare la consorte del denaro che le permettesse di
«fare le spexe assé et a tuta la corte sua de ogni cossa»11. Ludovico però
«stava perplexo et ambiguo de lo vestire suo, per che dubitava che epsi sep-
temillia ducati non li satisfacessero et ch’el deliberava de adiutarla de qual-
che subventione per il suo vestire, se bene la era tanto ben fornita de veste
d’ogni sorte ch’el credeva che ogni pocho de adiuto li satisfacesse»12. In sin-
tesi: la sposa era giunta da Ferrara così ben attrezzata da non abbisognare
di molto, ma l’ambizione di vederla primeggiare suggeriva di assegnarle co-
munque denari per l’abbigliamento. Le spese dovettero essere in crescita se
l’appannaggio di cui Beatrice beneficiava per sé e la sua corte aveva rag-
giunto nel 1497 la somma incredibilmente alta di circa 114.000 lire13.
Del resto, del valore politico dell’ostentazione di ricchezza tutti erano
ben consci e tutti, all’occorrenza, ragionavano, privilegiando il ruolo pub-
blico a fronte del quale i sentimenti privati passavano decisamente in se-
condo piano. Da tempo è stata posta in luce la gara senza esclusione di col-
pi che in termini di lusso ingaggiarono Eleonora e Beatrice, madre e figlia,
in occasione del viaggio a Venezia del 1493, ovvero in un evento partico-
larmente importante per significato politico, dove ostentazione era sinoni-
mo di ricchezza e potere degli Stati che le due donne rappresentavano14.
Il gusto e la passione personali per il lusso che la condizione sociale le
consentiva coincisero per Beatrice con la coscienza delle valenze istituzio-
nali dell’abito e dell’apparato. Se la sua tenace e caparbia dedizione tutta
femminile al conseguimento del risultato richiamava l’attenzione affettuosa
di Ludovico, come quando la vedeva impegnata in prima persona a porta-
re a termine quegli abiti «a la turchesca» da lei pensati, impartendo così
una lezione di fattivo impegno a Isabella d’Aragona15, piena ammirazione
per lo svolgimento del suo ruolo di moglie le conquistarono i preparativi

conditione nostra, et ne vorrà con l’esemplo suo insegnare la norma qual havemo ad servare noi con
lei. El simile dicemo circa el septimo per le zoje quale el pr.to S.re specifica volere dare ultra la dote,
fora della quale se hanno ancora intendere le vestimente et cose predicte».
11 All’inizio del matrimonio Beatrice aveva una corte, ai bisogni della quale doveva provvedere, di

ottanta persone (ASMo, Ambasciatori, Milano, 6: 30 gennaio 1491).


12 ASMo, Ambasciatori, Milano, 6.
13 L. BELTRAMI, Il quinterno delle entrate della Duchessa di Milano MCCCCLXXXXVII, Milano

1915.
14 Gli avvenimenti sono narrati, con ampia escussione delle fonti archivistiche, da LUZIO, RENIER,

1890 [cit. n. 9], pp. 373-374.


15 La lettera con cui il Moro dava notizia di questi fatti a Isabella d’Este il 12 giugno 1491 è pub-

blicata ivi, p. 114.


La «Ill.ma Consorte» di Ludovico Sforza 71

per il matrimonio di Bianca Maria Sforza. L’inventario del corredo della


sposa del re dei Romani risulta steso in data 18 novembre 149316; quindici
giorni dopo, il 3 dicembre, Ludovico, «gener et filius», scriveva a Ferrara
esprimendo al suocero tutto il suo entusiasmo per la giovane consorte: do-
po l’inizio in cui una excusatio non petita mette in evidenza la diversità dei
pesi e delle misure, la lettera decolla verso la cronaca e la celebrazione del-
l’operato di Beatrice, moglie ineguagliabile:
Quando venne qui messer Marcoaldo ambas(sciato)re del Ser.mo Re dei Romani per an-
nunciarne ch’el prefato Re voleva de presenti la Ser.ma Madona Bianca mia nepote, io me
trovai de mala voglia per ritrovarme sproveduto de le cose che li vanno, como sa la vostra
Ex.a che per non gli essere alcuna cosa, non ho dato niente alla Ill.ma madona Anna. Ma la
mia Ill.ma consorte statim me conforto dicendo che li bastava l’animo de fornirla de omne
cosa et honorevolmente, et cosi se misse alle mani et l’ha fornito talmente ch’el e stato una
cosa miraculosa cusi de la quantita de le cose, como de li lavori et ornati, secundo che la vo-
stra Ex.a vedera per lo quaderneto che mandara la mia Ill.ma consorte alla Ill.ma madona
Anna, ultra le quale cose lei ha voluto anche carico de ordinare la ser.ma Regina de le vesti-
mente sue et altre cose et anche de incassare omne cosa ordinatamente et fare le liste de tu-
te le casse. Avisandola che sono caricati 72 muli del che ne ho voluto avisarne la V. Ex.a
perche insiemi cum mi la possa pigliare piacere del contentamento mio in trovarme una cu-
si savia mogliere17.

Un aspetto che a Milano, e senza dubbio per volontà di Ludovico, as-


sunse valenze particolari per misura quantitativa, fu l’utilizzo del linguag-
gio delle imprese collegate alla moda con finalità politiche. La documenta-
zione di questo particolare settore è molto ampia, anche se oggi per lo più
affidata alle carte d’archivio.
L’inventario del corredo di Bianca Maria Sforza, già ricordato, annovera
tra i gioielli una collana («torques») conformata secondo l’impresa del
semprevivo, un «jocale» che lega varie pietre a formare il leone con le sec-
chie, un altro secondo la forma della scopetta, una «camora […] ex panno
aureo morello rizo cum insigni fanallis», una «gorghera» ricamata con le
colombine, un apparato da letto sempre all’insegna delle colombine, un
«par fodretarum» ricamate all’insegna del leone con le secchie, un altro al-
l’insegna della fenice, dodici coperte da mulo ad insegne sforzesche, venti-
cinque paramenti sempre da mulo ricamati con i semprevivi, spalliere e
panni per bancali a varie insegne della casata. Anche nel ritratto di Ambro-
gio de Predis (Washington, National Gallery of Art), Bianca Maria ostenta
un’impresa della casata, poiché porta sul corpetto della veste, all’altezza

16 Si veda A.C., Il corredo nuziale di Bianca M. Sforza-Visconti sposa dell’imperatore Massimilia-

no I, in «Archivio Storico Lombardo», II, 1875, pp. 51-75, in particolare per l’inventario dei gioielli,
argenterie, paramenti e indumenti, pp. 60-74.
17 ASMo, Archivio estense, Carteggio principi esteri, Milano, 1215/3.
72 Luisa Giordano

del seno, l’impresa dei semprevivi.


Non disponiamo di un inventario del guardaroba di Beatrice durante il
periodo del matrimonio, ma se esso fosse disponibile probabilmente ci
consentirebbe di verificare che la linea di tendenza, evidenziata in modo
quasi ossessivo dal corredo della regina, trovava riscontri anche negli appa-
rati della duchessa di Milano: il corredo di Bianca Maria doveva accompa-
gnare per la vita una donna destinata ad allontanarsi per sempre dalla terra
natale e quindi l’insistenza sulle insegne della casata era particolarmente
cogente, ma anche per chi rappresentava pegno di alleanza politica tra do-
mini prossimi il linguaggio delle imprese esibito sulle vesti doveva avere
grande parte. Il busto scolpito da Gian Cristoforo Romano, oggi al
Louvre18, che ritrae Beatrice giovinetta, nulla nasconde delle sue non esal-
tanti fattezze e interpreta con squisita finezza la sua perentoria e altera vo-
litività: nel ricco apparato che la riveste spiccano, sulla veste, al centro del
petto, le imprese congiunte degli Este e degli Sforza, ovvero l’anello col
diamante, prediletto da Ercole, e il buratto, distintivo della dinastia viscon-
teo-sforzesca.
Qualche anno più tardi, nella donazione del 28 gennaio 1494 (Londra,
British Library, ms add. 21413)19, il ritratto della duchessa è affiancato da
due imprese: quella della scopetta che fu prediletta da Ludovico e ancora
quella del buratto: il ricorrere del simbolo indica le intenzionalità sottese
all’abbinamento, giacché l’impresa era collegata al capostipite della fami-
glia e alla virtù della perseveranza20.

18 Entrato al Louvre nel 1850 proveniente dalla collezione Debruge-Dumesnil, il busto, dopo che

la bibliografia ottocentesca aveva a lungo tergiversato tra Desiderio da Settignano e un autore influen-
zato da Leonardo, venne rivendicato a Gian Cristoforo Romano da Adolfo Venturi (A. VENTURI, Gian
Cristoforo Romano, in «Archivio Storico dell’Arte», I, 1888, pp. 50-52; ID., Storia dell’arte italiana. VI.
La scultura del Quattrocento, Milano 1908, pp. 1130-1132). L’iscrizione sul basamento ha permesso il
sicuro riconoscimento della persona raffigurata, sicché il busto è stato punto di riferimento costante
per l’iconografia di Beatrice (G. COCEVA, L’iconografia di Beatrice d’Este, in «Archivio storico dell’ar-
te», II, 1889, pp. 264-267). La più aggiornata voce bibliografica sull’attività dell’artista è M. CERIANA,
ad vocem Ganti Giovanni Cristoforo, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 52, Roma 1999, pp.
203-211; mentre sul ritratto i riferimenti sono: A. BACCHI, scheda in Un Rinascimento singolare. La
corte degli Este a Ferrara, catalogo della mostra (Bruxelles, 3 ottobre 2003-11 gennaio 2004), a cura di
J. Bentini e G. Agostini, Cinisello Balsamo 2003, p. 195; P. DI NATALE, scheda in V. SGARBI, Domenico
di Paris e la scultura a Ferrara nel Quattrocento, Milano 2006, pp. 178-181; Les sculptures européen-
nes du musée du Louvre, catalogo sotto la direzione di G. Bresc-Bautier, Paris 2006, p. 189 (Les sculp-
tures européennes du musée du Louvre: Moyen Age, Renaissances et temps modernes), con indicazio-
ne della bibliografia precedente.
19 Sul documento si vedano: G. MONGERI, L’arte del minio nel ducato di Milano dal secolo XIII al

XVI. Appunti tratti dalle memorie postume del marchese Gerolamo d’Adda, in «Archivio Storico
Lombardo», XII, 1885, pp. 764-765 e 774-775; The painted page. Italian Renaissance book illumina-
tion 1450-1550, a cura di J.J.G. Alexander, London 1994, p. 32.
20 C. SANTORO, Gli Sforza, Varese 1968, p. 404.
La «Ill.ma Consorte» di Ludovico Sforza 73

Né lo sfoggio di imprese intessute nella stoffa con cui venivano confezio-


nati gli abiti si limitava ai parenti più stretti. Nel 1492 Isabella, in visita a
Milano, venne mandata dal Moro a vagliare drappi a casa di un mercante; il
duca regalò alla cognata, che si era espressa a favore dell’eccellenza della
stoffa lavorata con l’impresa del fanale, quindici braccia di quel prezioso
tessuto con il quale aveva già fatto realizzare una «camora» per la moglie21.
Si tratta ad evidenza della stessa «camora» che Beatrice indossò l’anno suc-
cessivo all’entrata in Ferrara e durante il viaggio veneziano22 e quanto alla
stoffa essa dovette essere impiegata anche per la «camora» di Bianca Maria
l’anno successivo. Il tessuto doveva essere stato confezionato appositamen-
te: il suo prezzo di 40 ducati a braccio non lo rendeva di facile commercio
e l’impresa che lo contrassegnava poteva essere portata soltanto dalla fami-
glia e dai sostenitori cui il signore avesse concesso questo privilegio.
Del resto, sulla pratica delle stoffe tessute su commissione, dà un’inte-
ressante notizia proprio il Trotti, quando il 24 gennaio 1491 comunica che
Ludovico, comparso in pubblico con una manica della veste ricamata di
perle, «balassi» e altri gioielli che veniva stimata del valore, forse eccessivo,
di 50.000 ducati, aveva fatto realizzare una «turchesca» «de drappo d’oro
facto aposta»; di due pezze di quella stoffa preziosa aveva peraltro fatto
anche dono alla consorte23. In buona sostanza, Ludovico vestì con la pro-
pria impresa personale le donne di famiglia e la giovane cognata, parente
acquisita, in un quadro di segnalazione continua di appartenenza, di parte-
cipazione o legame alla dinastia e di riferimento alla propria persona.
Per contro, la rinuncia all’esibizione di insegne e di fasto riesce nell’am-
biente di corte e segnatamente a Milano destabilizzante per il sovvertimen-
to della scala dei valori universalmente condivisi e per l’esplicita dichiara-
zione di crisi dei rapporti sociali. Ad illuminarci su questa davvero inattesa
possibilità è ancora il Trotti, che riferisce di come, all’incoronazione avve-
nuta in duomo di Bianca Maria a regina, atto prolusivo alla partenza della
giovane Sforza verso le terre dell’Impero e il marito, Isabella d’Aragona
abbia voluto presentarsi disadorna di orpelli, in modo da rendere palese al
mondo la propria conculcata condizione e la propria infelicità:
Il giorno che se sposete et incoronete questa nostra Regina, la duchessa Ixabella de Milano
che sta desperata non vene al duomo ni cum veste molto honorevole, de le quale ni ha gran

21 LUZIO, RENIER, 1890 [cit. n. 9], pp. 357-358, lettera di Isabella al marito in data 20 settembre
1492.
22 Si veda in questo volume il testo di Alessandra Ferrari.
23 ASMo, Ambasciatori, Milano, 6. La manica è quella stessa ricordata da Tristano Calco nel suo
resoconto sulle nozze del 1491: «Certe duae Regis nostri Ioannis Galeacii et Ludovici manicae, gemmis
lapillis unionibus onustae, ab quovis facile supra centena aureum millia aestimabantur» (ed. in Festa di
nozze, 1976 [cit. n. 4], p. 121).
74 Luisa Giordano

copia, ni portete a dosso una zolia al mondo, che pur fo notato unde ch’el seguente di re-
trovandome pur per tempo de li altri ambassatori la matina lo Ill.mo S. Ludovico me do-
mandete quello che me pareva de la prefacta duchessa che in uno acto publico cussi solem-
ne et de letitia, fosse comparssa cussi ferialmente de veste et sencia veruna zoglia, extendos-
se in dire de la soa mala natura et de la soa mala voluntate et del grandissimo odio che la
portava a lui et a la duchessa de Bari, et che la non poteva vedere ni l’uno ni l’altra et che la
era in superlativo invida et maligna et che a fare ogni gran male li pareva pocho, et che mai
piu il non li daria una zolia minima de quelle del thesoro poi che la se monstrava malcon-
tenta del honore et exaltatione de questa casa, cossa che non haveva facto ni homo ni dona
de Milano et in questo dixe cosse assai in suo biasemo […]

La provocazione di Isabella era andata a segno e il Moro accusava il col-


po mettendo in rilievo come fosse venuto meno il codice del comporta-
mento sociale, cogliendo nell’azione il potenziale deflagrante per la vita
pubblica e la valenza di disaffezione alla casata. In realtà Isabella rivendi-
cava anche per questa via plateale i propri diritti e riaffermava nel distacco
la superiorità del proprio lignaggio nobiliare, vero tutore di un’azione tan-
to estrema. Il Moro a sua volta saldava quel gesto, che esternava al pubbli-
co milanese e italiano le contese di famiglia, a una volontà sovvertitrice del-
lo status quo e infatti la lettera continua dicendo:
subiungendome ben in grandissimo secreto che come l’haveva scripto a questi dì a V. Ex.a,
la haveva per megio de un frate quando il fo questa estate a Ferrara tenuto praticha cum
M.r Bochalino da Osmo de levarli il stato, et il castello per forma ch’el restasse una bestia,
et de volere pigliare Bregoncio et Marchesino, et fare contra de soa Ex.cia et de soa molge-
re et figlioli ogni male et che M. Bochalino haveva confessato il tuto24.

Beatrice diede ottime prove nei balli e nelle battute di caccia che si suc-
cedevano con ritmo incalzante e che la portarono a frequentare con conti-
nuità oltre che Milano e Vigevano le residenze temporanee come Villanova
e Cusago per lo più al seguito del consorte; occupò anche gran parte del
proprio tempo al gioco, spesso riportando vincite per poste anche conside-
revoli. Di più auliche occupazioni ci assicura il Calmeta25 e delle qualità di
gentildonna il Castiglioni nel terzo libro del Cortegiano. La statura intellet-
tuale della giovane duchessa in nessuna manifestazione fu comunque para-
gonabile a quella di cui la sorella Isabella diede felice e continua prova;
quanto alla sua antagonista dei primi tempi del matrimonio, Cecilia Galle-
rani, la sua cultura e il suo talento si conquistarono presso i contemporanei
grande ammirazione e, dopo che era stata consegnata alla storia la dinastia
ducale, il Bandello la definiva «gentilissima e dotta signora» e ricordava
che componeva versi sia in lingua latina che in volgare.

24 ASMo, Ambasciatori, Milano, 7 (2 dicembre 1493).


25 Si veda a questo proposito, in questo volume, il saggio di Flavio Santi.
La «Ill.ma Consorte» di Ludovico Sforza 75

Se l’impegno di Beatrice nelle forme che si sono indicate rientra nei nor-
mali obblighi della vita di corte per le figure femminili, è pur vero che la
giovane donna assolse il compito con una misura tutta sua che rivelava una
naturale inclinazione ad assecondare gli aspetti ludici e a dar loro forma.
Fu peraltro questo il settore entro il quale si esaurì l’attività della duchessa;
anche le opere di pietà e il patrocinio di organismi religiosi, tradizionali
campi d’intervento per le figure femminili, non annoverarono iniziative
particolari e significative da parte della giovane, così come la committenza
artistica.
La considerazione, che circoscrive in limiti molto precisi la personalità
di Beatrice, non deve peraltro porre in secondo piano altri aspetti della sua
vita, come ad esempio l’assolvimento del ruolo di madre. A quel dovere,
così centrale nella sua vita di donna e di dinasta, la giovane corrispose con
fervore, addirittura sollevando più che fondate proteste quando cambia-
menti introdotti dal personale che aveva in custodia i bambini non le erano
comunicati in modo da ottenere il suo preventivo assenso e sempre accom-
pagnò le notizie sui piccoli per la sorella e la madre con tono di orgoglioso
affetto e partecipazione. I rampolli Sforza risiedevano stabilmente a Mila-
no, affidati a balie, precettori e cortigiani, e assai rari erano i loro viaggi,
mentre la madre era saltuariamente presente nella capitale dello Stato, im-
pegnata per gran parte dell’anno a passare dall’una all’altra delle residenze
ducali, che esse fossero Vigevano, Cusago, Villanova o altre meno frequen-
tate e comunque sempre nel circuito di una corte in perenne movimento
quale fu quella sforzesca per tutto il Quattrocento. La vita della madre era
in buona sostanza impegnata nell’ufficialità della corte, di cui i figli faceva-
no parte in altro modo e la lontananza anche per diversi giorni dell’una da-
gli altri non era fatto raro, tanto che si poteva anche nascondere a lei quan-
do i piccoli fossero in pericolo di vita26.
Per il Moro Beatrice fu soprattutto la promessa di una discendenza e la
speranza dell’erede maschio che potesse supportare le ambizioni paterne.
Ancora una volta i documenti sono del tutto espliciti: la volontà del vero
signore di Milano di stringere le nozze allo scopo di avere figli e quindi
una discendenza legittima è tema più volte ricorrente nelle relazioni che fa
a Ferrara il fedele Trotti, ma la lettera di istruzioni che il 12 aprile 1490
Ludovico invia a Francesco Casati, suo emissario presso la corte estense in

26 Si veda la lettera del Trotti al suo duca in data 25 luglio 1493, che rende noto il grave pericolo

in cui si trovò il piccolo Ercole, all’epoca un piccolo di sei mesi: «Non scio se V. S. habia inteso ch’el
Ill.mo Hercule figlio del S. Ludovico e stato molto male in modo che se ha dubitato de la vita sua, la
quale cossa e stata tenuta secretissima acio la Ill. Duchessa non el sapia ni intenda come mai la non ha
inteso ma gratia de nostro S. Dio lo e liberamente in tuto guarito» (ASMo, Ambasciatori, Milano, 7).
76 Luisa Giordano

vista della realizzazione dei patti nuziali, è una vera e propria dichiarazione
d’intenti circa i ruoli che nel matrimonio saranno riservati agli sposi:
[…] dal di che fecemo el parentato […] fossimo sempre in desiderio singulare de havere
apresso a noi la Ill.ma nostra consorte parendone che apresso al studio naturale de la pro-
pagatione del sangue nostro et de lassare qualche imagine di noi medesmi alla posterita non
potessimo havere cosa piu grata como la compagnia et consuetudine de la prefata nostra
consorte, si per el piacere et satisfactione quale speramo de la virtu sua, como per havere
cum noi uno perpetuo testimonio del amore nostro verso epso Ill.mo S.re Duca. Ma fin qui
ha ritardato questo nostro desiderio prima la eta tenera de epsa nostra consorte non paren-
do bene conveniente ricercarla prima ch’ella fosse meglio conformata: deinde le varie occu-
patione quale ha portato el curso de le cosse mo de questo stato mo universale de Italia, che
ne hano conducti fin ad questo di cum freno et dilatione in questo quanto che non ne por-
ria essere stato piu a core, unde trovandone de presente reducti a tempo che la prefata no-
stra consorte è in eta patiente del matrimonio et noi ancora non talmente impediti che non
possiamo mettere l’animo alla coniunctione sua con noi, li direti che vi habiamo mandato a
sua Ex.tia per fargli intendere che noi desideriamo non interponere piu tempo a condure
epsa nostra consorte27.

I propositi dello Sforza non erano diversi da quelli di qualunque signore


o ottimate che si facesse carico di doveri sociali come la trasmissione del
potere e la continuità della famiglia; colpisce in Ludovico la perentorietà
degli asserti e la esclusiva funzione riproduttiva assegnata expressis verbis
alla consorte. In particolare, una lettera dell’ambasciatore Trotti in data 21
dicembre 1491 da Milano relaziona a Ercole di un episodio che è studiata
esibizione dell’equivalenza denaro/potere e riaffermazione del rapporto fi-
gli/dinastia/potere.
Questa matina el prefato signor Ludovico fece chiamare tutti li amb(asciato)ri qui residenti,
il signor messer Redolfo da Gonzaga, il signor messer Galeotto da la Mirandola, quisti San-
severineschi cum alchuni de li primarii gentilhomini et consilieri di questo stato, li quali tuti
andassimo in rocha cum Sua Ex.a et etiam li vene la Ill.ma duchessa de Barri cum alchune
madone et principale zentildone di questa citate et in la camera de li argenti era su tapedi
lunghi braza XVI et larghi braza tre in terra una gran quantita de centenara de miara de
ducati d’oro, tra li quali la magior parte erano da due et da tre ducati l’uno et la grosseza de
la extensione de dicti ducati era circha tre dita. In capo de li tapedi erano le dece medaglie
da xmila ducati d’oro l’una et tra l’una et l’altra gli era parechie migliara de ducati de valuta
de x et xxv ducati l’uno che fo uno dignissimo et alegro vedere furono extimati da molti es-
sere non mancho quantita de ducati seicento cinquanta millia, licet vulgarmente se dicesse
de octocentomillia. Erano poi tavole longhe su le quale erano extese tute le zoglie, cadene
et collari d’oro de questi Ill.mi signori et madone, che era una bella et pretiosa cosa da ve-
dere. Eravi sexanta sei sancti de arzento ateso li muri d’epsa camera circum cumque cum
tre on quatro bellissime croce chariche de zoglie. Eravi la Anuntiatione et Coronatione de
la nostra dona cum grande hornamento de angeli et de altri sancti cum epsa in compagnia
che non è mancho bella cossa de le soprascripte. Era ultimatamente in terra ad uno cantone

27 ASMi, Sforzesco, 333. Il documento è edito dal PORRO, 1882 [cit. n. 3], pp. 488-489.
La «Ill.ma Consorte» di Ludovico Sforza 77

de la camera tante monete d’arzento in uno monte che uno capriolo non lo saltaria de varie
sorte de monede. Gli era etiamdio candeleri grandi d’argento de grandeza come è la statura
de uno homo on pocho mancho.
Fo aperto il loco dove stano li arzenti grossi, che non fo mancho bella cossa da vedere, co-
me le altre per la grandeza et beleza loro et il tuto ad uno tempo se poteva vedere, che fo
uno spectaculo triomphante dignissimo et richissimo. Extimato fo il tuto, sotto sopra, om-
nibus computatis uno millione et cinquecentomillia ducati. Il prefato signor Ludovico dixe
al amb.re veneto, magnificando tale spectaculo soa M., come è de costume loro, che la si-
gnoria sua de Venezia haveva più capitale de quello che la stimava, oltra il capitale che l’ha
a casa soa perche de questi potevano disponere come de proprii, et a quelli de la R Mta
dixe S. S. ch’el loro signore Re se era male inteso a mettere sul tavolero uno tanto suo capi-
tale quanto era questo per zugarlo. Et essendo il prefato S. Ludovico comendato et magni-
ficato da molti de li astanti de essere il più glorioso signore del mondo, come se fa a li pari
suoi, il domandette la duchessa de Barri, dui altri de li suoi et me da parte, et dixe queste
parole formale che s’el havesse d’epsa uno figliolo maschio, dove è posto ogni suo desiderio
et pensero, ch’el confessava ch’el seria il più contento et glorioso signore del mondo, ma
che non cognoscendo a chi habia a rimanere tanta richeza, ch’el non puo stare contento, ni
reposare l’animo, confortandola ad mettere penssero in darli tale contento et chavarlo de
questo affanno, per che la restaria dona et M.a de ogni cossa, et che non havendo figlioli li
restaria ben cosse asai manchando lui, ma non tanto ad uno gran pezo28.

Non stupisce dopo tanto pressanti richieste che la nascita dell’atteso


erede, Massimiliano29, avvenuta il 25 gennaio 1493, sia stata festeggiata nel
febbraio seguente, quando gli omaggi e i doni erano tutti pervenuti, con
l’apparato che viene descritto nella famosa missiva a Isabella da Teodora
Angeli30. Il percorso assegnato agli ospiti in Rocchetta aveva inizio dalla
camera del Tesoro, dove nel 1491 si era svolta la scena riportata dal Trotti
e che era il locale interposto tra le stanze a quel tempo abitate dal Moro e
da Beatrice31; gli ospiti procedevano in un iter accompagnato in ogni suc-

28 ASMo, Ambasciatori, Milano, 6.


29 Il bambino, com’è noto, venne dapprima chiamato Ercole in onore del nonno materno; il nome
fu successivamente mutato in Massimiliano per motivi di opportunità politica, come lo stesso Ludovico
comunicava al suocero il 20 gennaio 1494 (ASMo, Carteggi principi esteri, 1215 A/ Milano 4). Il testo
della lettera dice: «Ill.me et ex.me Domine socer et pater honorandissime, havendo in quest’hora havu-
to le incluse lettere dal Ser.mo S. Re de Romani, m’è parso mandarle subito a la Ex.tia Vostra, si per co-
municarli omne occorrentia, si anchora per la parte che tocha de mettere nome ad mio figliolo Maxi-
miliano perche essendo le cose ne li termini che le sono, a me non pareria se non bene de farli questa
demonstratione de compiacerli, ma havendoli posto nome Hercule per amore de la V. Ex. non voglio
resolverme prima che habbia el parere et volunta de quella. Così la prego ad volerme respondere cum
celerita per la via de li suoi cavallari, acio possa respondere a la Sua M.ta et benche para per el scrivere
suo ch’el credesse ch’el non havesse nome, quando la M.ta Sua intenda ch’el fuosse baptizato per Her-
cule, et che per gratificarla li sia mutato, iudico che li parera tanto magiore el piacere. Pur volemo ex-
pectare la risposta de la Ex.V.ra […]».
30 A. PORTIOLI, La nascita di Massimiliano Sforza, in «Archivio Storico Lombardo», IX, 1882, pp.

325-334, in part. pp. 328-330.


31 La disposizione dell’appartamento dei duchi di Bari in questo torno di tempo è indicata nelle

lettere che nel 1493 Eleonora scrive a Ercole: quando la duchessa di Ferrara ricorda di aver mostrato a
78 Luisa Giordano

cessiva stazione dall’esibizione di una straordinaria ricchezza: dal Tesoro si


passava alla camera della puerpera e a quella dell’infante per giungere, alla
fine della visita, nella sala dell’udienza e del Consiglio Ducale. Un percorso
di affermazione politica dichiarato senza possibilità di equivoco, come tut-
ti, milanesi e ambasciatori poterono valutare.
Per la moglie divenuta madre di un maschio, Ludovico espresse anche il
proposito di costruire nella prediletta dimora di Vigevano un giardino e un
appartamento contiguo alle proprie stanze, destinato a ospitare la madre e
il figlioletto, come scriveva a Ferrara Eleonora il 3 marzo 1493; il progetto
prese forma con la realizzazione del giardino pensile, l’allestimento della
loggia delle Dame e delle stanze che la fronteggiavano32.
Anche l’antagonismo tra Beatrice e Isabella, che nei caratteri delle due
donne trovò humus favorevole, ebbe una forte valenza dinastica. Grazie al-
la sua abile politica, alla giovane età e alla pochezza del nipote, legittimo
erede della dinastia sforzesca, Ludovico era divenuto il vero arbitro della
politica milanese; il matrimonio di Gian Galeazzo nel 1489 non aveva mu-
tato i rapporti di forza, ma aveva messo in chiaro che il mantenimento del
potere comportava anche che la configurazione per la successione diven-
tasse diversa da quella naturale.
Dal 1490, con l’avvio a realizzazione del progetto matrimoniale, e l’anno
successivo con l’avvento di Beatrice iniziò a prender forma il progetto del
Moro di sostituire se stesso e la propria discendenza a quella di Gian Ga-
leazzo e Isabella; il processo giunse a compimento nel 1495, con l’assun-

Ludovico la culla e il corredo per il bambino che doveva nascere e a tale scopo dice di aver fatto ap-
prontare «alcune tavole in la camera dal thesoro che è in mezo tra le camere del prefato S. et de la sua
consorte» (ASMo, Casa e Stato, 132).
32 La lettera di Eleonora (ASMo, Casa e Stato, 132) è stata la testimonianza documentaria da cui è

partita la restituzione degli interventi in castello proposta in L. GIORDANO, Il rinnovamento promosso


da Ludovico Sforza. Ipotesi per Bramante, in Metamorfosi di un borgo. Vigevano in età visconteo-sfor-
zesca, a cura di G. Chittolini, Milano 1992, pp. 296-323. Ai lavori per Vigevano penso possa collegarsi
la richiesta da parte di Ludovico al suocero di disporre delle misure dell’edificio dove lo Sforza era sta-
to ospitato nel corso del soggiorno ferrarese del giugno 1493. Il 22 Ludovico dava notizia dell’avvenu-
to rientro suo e della moglie a Milano, mentre il 3 luglio successivo scriveva da Vigevano a Ercole:
«Domine socer et pater honorandus, mando cum questa a l’Ex. Vostra la mensura sopra de uno legno
del brazo nostro de qua, ad questo effecto che desiderando io sapere quanta sia la longeza et largeza
del giardino suo li a Ferrara che è sotto li allogiamenti dove io habitava li, la si degni farlo mensurare,
incomenzando dal canto verso le cosine fine a l’altra banda al segno de le columne de la loza, et da la
guardaroba che teneva la Ill.ma consorte mia per fin a le colonne, etiam da l’altra loza per scontra dove
mangiavamo la sera, et puoi mandarmi in scripto el numero de le braza d’epsa longeza et largeza, fa-
cendo advertire li suoy che farano questo effecto ad tore questa mensura sopra la longitudine del brazo
ch’io li mando, mandandomi etiam la mesura de la largeza de la loza» (ASMo, Carteggio principi este-
ri, Milano, 1215/3). Che l’interesse per la disposizione ferrarese possa essere connessa a quanto proget-
tato a Vigevano si deduce dal fatto che ambedue le soluzioni, quella realizzata a Ferrara e quella pro-
gettata a Vigevano, prevedevano la connessione di alloggi privati, logge e giardino.
La «Ill.ma Consorte» di Ludovico Sforza 79

zione a duca di Milano da parte di Massimiliano re dei Romani.


Isabella fu fiera oppositrice dell’azione che privava lei, appartenente a
una stirpe reale, e la sua progenie di un legittimo diritto al potere grazie al-
la forza di carattere che gli storici le hanno riconosciuto, a partire da Paolo
Giovio che la inserì, unica donna, tra gli uomini d’armi resisi illustri per le
loro virili qualità.
Francesco Guicciardini raccoglie la voce che, al primo vederla, il Moro
si fosse invaghito di Isabella e avesse tentato di averla per sé33. La supposta
vicenda passionale, che avrebbe avuto a conseguenza la malia esercitata sul
povero Gian Galeazzo, sembra scaturita dalla ricerca di una spiegazione di
quella impotentia coeundi del giovane duca che a lungo travagliò la corte
milanese e fu oggetto di interessamenti e chiacchiere da parte di tutte le
corti italiane ed europee poiché metteva in forse la stessa legittimità del
matrimonio.
Stando alla corrispondenza diplomatica del periodo immediatamente
seguente l’arrivo di Isabella, nella fattispecie quella confidenziale ferrare-
se34, ben altri furono i sentimenti che accompagnarono le feste dell’acco-
glienza, come, per citarne solo alcuni, l’insoddisfazione dei milanesi reduci
dal viaggio a Napoli, dove erano stati trattati senza molta liberalità, e la
perplessità della corte per la totale dipendenza economica della giovane
duchessa35. Ludovico a sua volta ebbe a dire, a fronte delle sostenute ri-
chieste degli accompagnatori del Regno, che Isabella veniva trattata meglio
di quanto lo fosse mai stata sua madre Ippolita Sforza nel corso di tutta la
sua vita di moglie accanto ad Alfonso d’Aragona36.

33 F. GUICCIARDINI, Storia d’Italia, l. I, cap. VI: «[…] quando Isabella figliuola d’Alfonso andò a

congiungersi col marito, Lodovico, come la vide, innamorato di lei, desiderò di ottenerla per moglie
dal padre; e a questo effetto operò, così fu allora creduto per tutta Italia, con incantamenti e con malie,
che Giovan Galeazzo fu per molti mesi impotente alla consumazione del matrimonio. Alla qual cosa
Ferdinando arebbe acconsentito, ma Alfonso repugnò; donde Lodovico, escluso di questa speranza,
presa altra moglie e avutine figliuoli, voltò tutti i pensieri a trasferire in quegli il ducato di Milano.»
34 Le notizie sono riepilogate e alcuni brani riportati in A. DINA, Isabella d’Aragona duchessa di Mila-

no e di Bari, in «Archivio Storico Lombardo», XLVIII, 1921, vol. VIII, pp. 269-457, in part. pp. 298-307.
35 Trotti scrive il 14 febbraio 1489: «Molto s’è maravigliata questa brigata che epsa Duchessa sia

venuta senza uno soldo al mondo, maxime perche dicono che quando la Duchessa di Calabria andete a
Napoli spoxa, che la madre li dette dua millia testoni d’oro da parte, perche la potesse supplire a li bi-
sogni suoi senza andare per mendicata suffragia» (ASMo, Ambasciatori, Milano, 6)
36 L’11 febbraio 1489 il Trotti riferisce della richiesta rivolta al Moro e della reazione di questi:

«Avanti la loro partita fo facto una grande instantia per tuti quelli principali che erano venuti cum epsa
Duchessa, et presertim per messer Caravazal, il quale ne haveva spetiale commissione accio che lo
Ill.mo S. Ludovico restasse contento che la prefata Duchessa havesse l’anno de provisione ducati dece-
dotomillia, et sua S. respose che non voleva l’havesse più uno bagatino de ducati tredecimillia ducento,
et che li pareva che la fusse meglio tractata che non è stata la Duchessa de Calabria sua sorella, la quale
el dixe che non poteva esser pegio veduta et tractata com’è stata dal S. Re e dal Duca de Calabria sino
ala morte sua» (ASMo, Ambasciatori, Milano, 6)
80 Luisa Giordano

Cristoforo Solari, Monumento funebre di Ludovico Sforza e Beatrice d’Este. Certosa di Pa-

I giorni di Isabella furono da subito poco felici e la venuta di Beatrice


nel 1491 rese più aperto il contrasto con il duca di Bari: Bernardino Corio
introduce il tema del fatale antagonismo tra le due donne nel dare notizia
dell’arrivo dell’Estense; i documenti a loro volta ricordano che molto pre-
sto l’Aragonese lamentò che avrebbe voluto essere trattata non diversa-
mente dalla duchessa di Bari37: l’ambizione di Beatrice è un coefficiente
non piccolo da mettere in conto nel valutare il clima stabilitosi alla corte
milanese, ma la direzione della politica di Ludovico era ormai precisa e ir-
reversibile. Nel novembre 1491, quando il Moro e Beatrice erano sposi da
meno di un anno e il sospirato erede era ben di là da venire, Ludovico eb-
be occasione di esplicitare i propri intenti e di chiarire quali erano a Mila-
no i ruoli delle due duchesse.
Dà come sempre accurato resoconto di quell’evento Giacomo Trotti, in
una lettera da Vigevano in data 10 novembre:
Questa matina lo Ill.mo S. Ludovico fece chiamare il signor duca, il marchese Hermes,

37 DINA, 1921 [cit. n. 34], p. 324 (doc. in data 17 agosto 1491).


La «Ill.ma Consorte» di Ludovico Sforza 81

messer Galeaz da Sancto Severino, il vescovo suo fratello, messere Alexandro Palavicino
gubernatore del la duchessa et me, et volgendosse ver il signor Duca dixe come sua moglie-
re già molti die l’haveva pregato che a la venuta de questa spoxa de la Mirandula, che vene
da Napoli li volesse prestar qualche zoglia bella, de quelle del thesoro, et che cussi sua Ex.a
haveva facto, non pero de le più belle che li siano, et che havendogele mandate dui die pri-
ma che arivasse la spoxa et factogli dire che la le restituisse partita che la fusse, pare che la
dicesse che epsa era bene sufficiente a tenirle non mancho de quelli che le tenevano in el
thesoro et non se havendo sua Signoria poste intorno, fece intendere al signor Ludovico
che essendo in lecto inferma non li bisognavano, offerendosse restituirile. Il quale signor
Ludovico dixe al duca che se bene el non haveva dicto cossa alchuna, haveva molto bene
inteso ch’el procedeva perché le zoglie non gli erano piazute, et che ale cinque hore de noc-
te l’haveva mandato a tore le più belle a Mediolano che fusseno in el thesoro, et che giunte
questa matina in l’aurora, le fece dare a la prefata duchessa, la quale le tolsse molto volunte-
ra, se bene l’haveva recusate le altre solum per non parere inferiore a la duchessa de Barri
sua moglie. Al quale dixe che la era emula in questo et in altro et che se la voleva de le zo-
glie la se ne doveva portare da Napoli, et che tanta alterisia non li piaceva, connumerando
tuti li beneficii ch’el haveva facto in questo stato, che fo uno lungo dire, subiungendo che
mai ali die suoi la non governaria ni pocho ni molto in questo stato, et che se la credeva che
mai veruno de casa sua venisse qua per governare, che la era in grande errore, per che
quando il caso sucedesse manchando lui, teniriano damancho il prefato duca, et questi ne
fusse del suo sangue et de casa sua che de le pecore et che anche forsi fariano male capitare
quelli che se gli retrovesse del suo sangue, et ch’el tene per indubitato che la prefata du-
chessa sua moglie non habia magiore desiderio al mondo de questo et che la voria stare de
sopra da lui, et farlo fare a suo modo volesse on non volesse, et che la infirmita sua non
procede et causa se non da rabia, et che se lui ha spexo cinquanta on sexanta millia ducati
in zoglie et veste per sua moglie, che la non ne ha a fare niente ni lei ni lui subiungendo non
essere honesto, che le done portino le zoglie de li mariti intorno, come il dixe che non por-
tette M.a Duchessa de Ferrara quando la vene qua, quelle de V. S., ma solamente le sue, et
ch’el conzaria le cosse per forma avanti ch’el morisse, che anche doppo la morte sua per pa-
rechii anni se governaria questo stato a suo modo perche la non havesse questo contento.
Et ch’el voleva che domatina la restituisse le zoglie, le quale lui et non altri haveva in gover-
no. Et quando hebe dicto de la duchessa le cosse soprascripte et molte altre, se voltete al
duca dicendo che cum gran faticha et vigilie lo governava lui et il suo stato meglio ch’el non
meritava per che non li sentiva ni grado, ni gratia de cossa alchuna; cum molte altre parole
a le quale mai il prefato duca non rispose cossa alchuna, ma restette tuto impigito, salvo
ch’el dixe che quelle due zoglie ultime erano bellissime in superlativo, et io dixi al prefato
duca ch’el grande amore che li portava suo barba li faceva dire le cosse predicte. Il quale
suo barba hieri, ragionando cum me del prefato duca in certo proposito me dixe andando a
la Sforzesca, che su l’anima et fede sua li voleva molto meglio che a suo figliolo proprio, et
fo il vero che cusi me haveva dicto, […]

Come post scriptum:


Dapoi ad una hora il signor Ludovico me dixe ch’el gli pareva vedere il prefato duca dire a
sua moglie piangendo le soprascripte cosse, et io el credo. Ma queste non sono littere d’an-
dare per li scabelli de la Canzelleria, anzi lecte, da brusarle38.

38 ASMo, Ambasciatori, Milano, 6.


82 Luisa Giordano

Né fu fattore di temperamento nel continuo confronto per la suprema-


zia la nascita dei figli. Va da sé che per le famiglie il figlio più atteso e fe-
steggiato era il maschio, promessa di mantenimento del nome e della stir-
pe: nel 1475 la nascita della stessa Beatrice, seconda femmina in assenza di
eredi maschi, non era stata accolta a Ferrara da festeggiamenti a causa del-
la delusione del duca, che aveva sperato vedesse la luce il sospirato ere-
de39. Nel 1493, pochi giorni dopo la nascita del primogenito del Moro e
della seconda figlia dei duchi di Milano, Bona, Eleonora d’Aragona, venu-
ta ad assistere la figlia, scriveva al marito:
La Ill.ma Duchessa de Bari nostra figlia sta tanto bene di questo suo parto ch’el pare che la
non habia partorito et sta molto alegra et di bona voglia. Essendo primarola me piglio ad-
miratione de grande consolatione et piacere tanto più quanto vedo che lo Ill.mo S. Ludovi-
co li fa tante careze cum tanta dimostratione de cordialissimo amore che è un stupore. Cus-
si il putino sta benissimo, et la Ill.ma M.a Duchessa di Milano anche cum la sua putina sta
molto bene per Dio gratia. Per quanto mi è stato dicto lo Ill.mo S. Duca de Milano dimo-
stra havere displicentia assai de havere havuto la figlia femina perché lo haria voluto ma-
schio, ma questa displicentia se stima sia non per cagione de la figlia femina ma per il figlio
maschio che l’è nato a lo Ill.mo S. Duca de Bari. Qui si cerca cun bello modo di tenere epso
S. Duca de Milano largo da la Ill.ma sua consorte et ch’el stagi a cacie et piaceri dove la non
sia lei40.

La gioia del Moro, che con la nascita di Ercole, poi Massimiliano, vede-
va realizzarsi i suoi desideri di uomo e i suoi progetti dinastici, è pienamen-
te espressa dalla lettera che il 30 maggio 1493 Giovanni Antonio Viscardi
scrive da Parma a Beatrice: il viaggio a Venezia era ancora in svolgimento e
come Ludovico si informava sulla condotta della moglie, così lei si rendeva
edotta del condursi del marito. La missiva colpisce per l’orgoglio suscitato
dal comportamento della consorte in quella che fu la sua unica missione
politica, per la proterva volontà di potenza esaltata dalla paternità e resa
selvaggia ed esasperata dal contrasto con la tenace Isabella d’Aragona:
Ill.ma et ex.ma M.a et patrona mia char.ma, aviso la Sig.ria Vostra como questa matina sono
giunte le lettere de la S. Vostra et la prima che capito ne le mane alla Ex.tia del Sig.re fu
quella de la Ill.ma Madonna, la quale narava de li boni deportamenti ha usati la Sig.ria Vo-
stra li in Venetia, qual lettera fu lecta dal prefato Ill.mo Sig.re cum tanta alegreza et appiace-
re che quasi Sua Ex.tia non se gli vedeva meza et may non vite la Ex.tia sua stare cusi de bo-
na volia et religrarsi tanto quanto ho visto dopoy hebe lecta dicta lettera et giunta che fu la
Ex.tia Sua a l’hostaria andando a tavola domando messer Galeazo et messer Nicolo da Co-
rezo facendoge lezere epsa lettera, dicendo queste parole che nuy altri servitori suoy se pos-
siamo relegrare havendo una tale et tanta madonna quanto e la Sig.ria Vostra dicendo anco-

39 MAZZI, 2004 [cit. n. 3], p. 11. L’avvenimento è analizzato dalla studiosa, che riprende le fonti,

nell’ambito della valutazione del ruolo femminile nella famiglia.


40 ASMo, Casa e stato, 132 (28 gennaio 1493).
La «Ill.ma Consorte» di Ludovico Sforza 83

ra ch’el ge era molto acaro che la Signoria de Venetia havesse conosciuto et visto quanto va-
le la Ex.tia Vostra acio che havendo may a fare cosa alcuna cum la Sig.ria Vostra la possa es-
sere certa de haver a fare cum una madona d’un gran vedere et conscilio et disse ancora vo-
leva far renegar Dio alla Regina Pantasilea, cioe alla Ill.ma Duchessa de Milano alla quale
vole mandar la lettera de la Ill.a Maddama agiungendo queste parole che la prefata m.a Du-
chessa de Milano se muda ogni giorno de due et tre veste et che monta sopra li corseri per
andar a solazo et lo Ill.mo Sig.r Ducha gli va dreto sopra le mule. La Ex.tia del Sig.re Vostro
consorte dice non sapper dove proceda questo ma che dubita de trovar cose nove quando
andara a Pavia et in questo parlamento soprazonse Franceschino che ha conducti li poledri
al quale Sua Sig.ria gli domando quello se diceva ne lo reame de questo stato; dicto France-
schino gli rispose non haver inteso cosa alcuna dove el prefato Sig.re gli disse: non se dice in
lo reame che li fioli et sucessori mey hano ad essere Sig.ri di questo stato [?] dicto France-
schino ge rispose non haverlo may inteso ma ch’el se credeva ben perho ch’el fusse dicto.
Lo prefato Sig.re ge disse: ben como tu torni in lo reame g’el potray dire et farli certi che ad
ogni modo questo stato non ha ad essere di niuno se non de mey fioli quali sopradicte paro-
le disse tanto forte et cusi in collera ch’el dicto Franceschino tremava quasi41.

Beatrice corrispose dunque assai bene al suo ruolo di moglie e alle


aspettative che il consorte nutriva nei suoi confronti, fattori che facilitaro-
no l’intesa e la riuscita del loro rapporto. È questo il versante meno cogen-
te per gli storici, ma il metterne in luce alcuni aspetti che traspaiono dalla
corrispondenza aiuta a definire ulteriormente le due personalità in gioco e
a conoscere momenti molto umani.
Propositivo, solarmente gaudente, sfrenato nell’ambizione e sempre at-
tento al significato politico anche in ambito famigliare, il Moro fu marito
anche molto sollecito verso la sensibilità della giovane consorte – se solo
per inclinazione naturale, o anche per veloce e opportuno adeguamento al
carattere di lei è possibile immaginare ma è impossibile asserire. Una buo-
na testimonianza del riguardo verso la giovane è offerta dalle lettere indi-
rizzate al duca Ercole in occasione della morte di Eleonora d’Aragona. La
notizia giunse tempestivamente, ma Ludovico scriveva a Ercole il 13 otto-
bre 1493 per giustificare la scarsa partecipazione al lutto che veniva da Mi-
lano con la volontà di differire l’annuncio della perdita della madre alla
moglie, per comunicarglielo in una situazione più protetta e intima:
La Ex.Vostra non piglii admiratione se non ho facto el soprascripto a la lettera de mano
propria, ch’el è stato perche dubitava non sopragiongesse la mia Ill.ma consorte, a la quale
non m’è parso anche de notificare el caso, volendo diferire de dirglielo a Cusago, dove an-
daremo domane de sera, et per questo la S. V. non se maravigliara anche se lei non se con-
dole per sue lettere como la fara42.

41 ASMi, Sforzesco, 1469.


42 ASMo, Carteggio principi esteri, Milano, 1215/3. Il 15 ottobre il Moro comunicava a Ferrara di
aver dato la notizia alla consorte (ibid.).
84 Luisa Giordano

La disponibilità dell’uomo era peraltro talora messa a dura prova dall’e-


motività femminile che Beatrice manifestava senza ritegno. In occasione
della reazione della moglie alla malattia della balia Serena, Ludovico, dopo
un’iniziale partecipazione che in verità era acquiescenza, vide ridursi la
propria capacità di sopportazione e giudicando il comportamento inade-
guato al ruolo ricoperto dalla moglie, chiese aiuto e complicità alla suocera
cui scrisse da Vigevano il 5 aprile 1493:
La mia ill.ma consorte se resente tanto de questo caso de Serena che li è una maraveglia et
per questo da ley si causa el recercare de magistro Ludovico el che non mi è parso negarli
per non dispiacerli in cosa alcuna: ma la S. V. ha ben a sapere che da questi medici la è stata
et è al continuo si ben curata che più non se poria fare ale persone nostre in tale caso, che
Dio ne guarda, et al iudicio mio inanti che magistro Ludovico possa essere de qua o che Se-
rena sara passata de questa vita o sei sara certo de la salute, el che è piu in dubio che possa
essere: nondimeno io remetto al arbitrio de la S. V. el mandarlo o non che in omne tempo
l’ha sempre ad essere ben veduto da me. Ma quando la S. V. deliberasse non mandarlo l’a-
viso ch’el bisogna che la facia che magistro Ludovico da Bonseno se finga amalato et in ter-
mine de non potere venire, in modo che non solo da la S. V. se habia a scrivere ch’el sia
amalato ma facia che qualchuni altri lo scrivano a la prefata mia consorte et bisogna mo che
questo si governi cum gran secreteza per modo non para li cosa ficta: ne anche habia esser
scripto de qua, perche quando per cosa li fusse scripta la sentisse che la cosa fusse ficta la
me daria la causa a me, et non me ne voria bene. Pero la Ex.a V. cum lo Ill.mo S. Duca et
magistro Ludovico governara questa cosa secretamente per modo che non mandandolo
non possa esser scripto qui se non che la sia per haver male facendo stare magistro Ludovi-
co in casa per qualche di.
Appresso mi pareria che la S. V. dovesse scrivere una lettera a la prefata mia consorte sopra
questo caso de Serena confortandola ad volersi governare da madona: ne lassare vincere la
sensualita in troppo piangere ne starne amaricata per che se ben l’ha nutrita non e pero sua
parente: ne ha altra conniunctione con si, et che lo loco al quale se ritrova recerca che la de-
monstri la generosita de l’animo suo, et che la sia apta ad sapersi temperare nel dolore, et
supportare de li affanni, perche quando facesse altramente la saria tenuta una putta che
non staria bene, ma saria notata da la brigata, et per questo che la voglia far et havere pa-
cientia de quello piacera a Dio. Et questa lettera la S. V. la deve adrizar in man propria cum
dirli che per importare questo a l’honore suo l’ha voluto fare l’officio de bona madre, recor-
dandoli ad non lassare andare la lettera in man d’altri43.

In sintesi: un problema privato di cui non si vede la soluzione e la perples-


sità sul comportamento pubblico, che sollecita l’esigenza di educare la giova-
ne moglie, compito peraltro rimandato prudentemente alla madre di lei.
Ludovico da parte sua tenne a compiacere anche i capricci della moglie,
come quando chiese al suocero di voler recedere dal proposito di acquista-
re a Venezia uno zibetto poiché l’animaletto era molto desiderato anche
dalla consorte:

43 ASMo, Carteggio principi esteri, Milano, 1215/3.


La «Ill.ma Consorte» di Ludovico Sforza 85

Havendo dato comissione al nostro ambas(ciato)re residente in Vinetia de comprare uno


gatto dal zibeto per sue lettere ne ha scripto come el mercadante che lo ha li ha facto inten-
dere come è per concludere el mercato con uno de quelli de la S. V. et perche la Ill.ma no-
stra consorte desidera havere dicto gatto, pregamo la S. V. facia desistere el suo de com-
prarlo. Imo darli comissione de far opera ch’el nostro ambas(ciato)re lo compri ad meliore
mercato sii possibile, come siamo certi fara voluntiera per conoscerla desiderosa de far cosa
grata ad noi et alla prefata nostra consorte44.

Sulle motivazioni che dettarono la lettera del 14 gennaio 1495 incisero


forse, oltre che l’inclinazione del carattere e l’affetto verso Beatrice, anche
l’esigenza di quieto vivere visto che all’epoca, oltre la moglie, anche la Cri-
velli era incinta.
Nella vita privata la coppia ducale trovò comunque nei figli occasione di
comunione e momenti di grande felicità, come attesta una breve lettera di
Ludovico alla suocera che colpisce per la grande e spontanea tenerezza. Il
28 giugno 1493 Ludovico da Milano scriveva a Eleonora:
Io sonno qua in riposso inseme cum la Ill.ma mia consorte: et in grandissimo piacere de
Hercule nostro fiolo: el quale non potria essere piu bello ne stare meglio di quello ch’el fa-
cia. Avisandola che da mezo di la prefata Ill.ma mia consorte et io cosi nudino nudino se lo
facemo portare qualche volta et lo tenemo in mezo a noi doi: et ne prehendemo tanto pia-
cere che ognhora li auguramo mille volte la Ex.a V. per potere partecipare anchora ley de
questo piacere45.

Stimata e blandita come a moglie si conviene, Beatrice riuscì a imporre


la propria volontà circa l’allontanamento della Gallerani; non fu però mai
arbitra esclusiva dei sensi del marito, anche nel tempo in cui più ebbe ad
attirare e incuriosire Ludovico.
La sostanziale riuscita dell’unione e il buon affiatamento che presto si
creò non indusse il Moro a moderare i propri appetiti carnali e sarebbe dav-
vero azzardato pensare per lui a lunghi periodi di monogamia dopo il matri-
monio. Del resto non era considerato un comportamento riprovevole nella
mentalità del tempo: anche Ercole d’Este ebbe un figlio da una delle dame
di corte della duchessa Eleonora. Proprio all’inizio della loro unione il Moro
aveva assecondato la volontà della moglie, la quale comprensibilmente non
tollerava la presenza della Gallerani: Cecilia era la vera padrona dei sensi e
dei sentimenti del Moro se ancora nel settembre del 1490, quando ormai le
nozze con l’Estense si approssimavano, il Trotti poteva scrivere di
[…] quella sua inamorata ch’el tene in castello et da pertuto dove il va et la quale il vole tu-
to il suo bene et è gravida et bella come un fiore et spesso me mena cum lui a vederla46.

44 ASMo, Carteggio principi esteri, Milano, 1216/5 (14 gennaio 1495).


45 ASMo, Carteggio principi esteri, Milano, 1216/A/6.
46 ASMo, Ambasciatori, Milano, 6 (8 novembre 1490). Festa di nozze, 1976 [cit. n. 4], p. 28.
86 Luisa Giordano

Quando il figlio di Cecilia era nato il duca di Bari aveva allontanato l’a-
mante che così profondamente lo aveva coinvolto con la solenne promessa
di non frequentarla più. Nella primavera del 1491 Ludovico predispose
dunque per lei una liquidazione che tra casa, mobili, gioielli, ammontava a
più di 25.000 ducati e fece riordinare la dimora che era stata del conte Dal
Verme per l’amata, «la qual fa venire a Milano cum intentione de non se la
menare più dredo, et andarla deponendo» secondo quello che affermava
essere «suo totale penssero». L’affermazione era impegnativa dato l’ardore
che Cecilia aveva sempre destato, sicché si meritava dal prudente e naviga-
to Trotti la postilla di «si sic erit»47. Prudenza di vecchio conoscitore delle
cose del mondo, giacché la bellezza e il fascino di Cecilia ebbero ancora
presa. Il 24 giugno 1491 Giacomo Trotti aggiungeva alla consueta relazio-
ne al duca di Ferrara un biglietto contrassegnato dalla dicitura iniziale «da
non mostrare». In esso si dava conto di un breve soggiorno a Milano del
Moro, cinque giorni in assenza della moglie:
Il signor Ludovico heri me domandete in ragionamento quello ch’io stimava ch’el fosse ve-
nuto a stare a Milano. Li resposi ch’el me seria difficile indovinarlo, non sciavendo lo animo
suo. El me dixe che per la fede soa in la orechia ch’el non era venuto se non per vedere Ci-
cilia. Li domandai se li haveva facto quello facto, essendo ogni di stato cum epsa doe hore,
come era. Il me giurete et sacramentete de non, per che se ben lui seria stato in ordene, da
valenthomo, epsa non ha voluto per modo alcuno48.

Per il periodo che segue l’allontanamento della Gallerani non si hanno


notizie di relazioni amorose di rilievo, ma a questo proposito giova ricor-
dare che la puntuale quanto pettegola corrispondenza degli ambasciatori
che scrivevano da Milano non è stata ancora completamente compulsata.
È assodato però che già l’ultima e fatale gravidanza di Beatrice si svolse in
parallelo a quella di Lucrezia Crivelli. Nel resoconto che il 15 ottobre 1496
il solerte cortigiano incaricato della visita a Lucrezia indirizzava al Moro,
viene riferito che questa «non sa se la e gravida et quando fusse el non sa-
ria celato» al suo signore49. Per contro, il piccolo Giovanni Paolo nacque
poco dopo la morte della duchessa di Milano.
Quando nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 1497 si compì il destino di
Beatrice, la giovane duchessa aveva ormai portato a termine quel compito
che l’educazione, la famiglia e il marito le avevano assegnato. Ludovico
aveva due figli maschi legittimi, la sua sposa aveva brillato per garbo corti-
giano e inarrivabile lusso; la corte rimaneva priva dell’immagine che la pre-
senza di una donna ambiziosa e di buone capacità organizzative poteva as-

47 ASMo, Ambasciatori, Milano, 6 (7 aprile 1491). Festa di nozze, 1976 [cit. n. 41], p. 100.
48 ASMo, Ambasciatori, Milano, 6.
49 ASMi, Sforzesco, 1469.
La «Ill.ma Consorte» di Ludovico Sforza 87

sicurare, ma il lutto apriva nuove prospettive di celebrazione e tutte di si-


gnificato dinastico.
Il dolore per la perdita fu senza dubbio grande, ma la sua ostentazione
fu altrettanto se non più grande e fu il primo atto della celebrazione di
Beatrice. Nel 1497 il Moro diede avvio alla costruzione del sepolcro desti-
nato a Santa Maria delle Grazie e fece eseguire la corniola con l’effigie del-
la defunta che venne impiegata come sigillo personale e segreto del duca
per i più delicati affari dello Stato50; al 1498 datano lapidi dedicatorie che
uniscono i nomi di Ludovico e Beatrice «duces Mediolani»51.
Tra tutte le iniziative che testimoniano del ricordo della moglie, la tom-
ba è quella che suggella la politica dinastica tenacemente perseguita dal
duca. Ludovico aveva avviato a realizzazione il progetto di una cappella fu-
neraria monumentale sin dal 1492, aprendo il cantiere della tribuna di
Santa Maria della Grazie52. Il progetto prevedeva che la sepoltura del duca
e della consorte trovasse posto nel vano quadrato che si protende come ab-
side della chiesa; i lavori all’architettura andarono a rilento sino al 1497,
quando la morte di Beatrice rese cogente la realizzazione del progetto. La
tribuna venne completata in breve tempo, anche se ancora all’epoca del
primo anniversario della morte della duchessa i riti commemorativi alle
Grazie si svolsero in presenza delle impalcature alzate per realizzare la cu-
pola. La realizzazione del sepolcro venne affidata a Cristoforo Solari53: è
impossibile delineare oggi un’ipotesi restitutiva per l’insieme; per certo era
previsto un dado sul quale dovevano essere posti i gisant di Ludovico e
Beatrice, la sola parte oggi conservata.
Come ha recentemente chiarito Charles Morscheck54 sulla base di inop-

50 Nella lettera a Francesco Scafeto del 3 giugno 1497 Ludovico dava disposizioni circa l’uso della

corniola. Il sigillo segreto, di pertinenza del duca, che Ludovico non voleva portare al dito ma che di-
sponeva venisse conservato presso lo Scafeto e servisse per autenticare bollettini delle tasse, alloggia-
menti dei soldati, cose quindi di massima importanza, veniva a sostituire quello con l’effigie di Cesare e
il Moro lo ricordava anche nel suo testamento politico. Per la lettera allo Scafeto si veda E. MOTTA,
Ambrogio Preda e Leonardo da Vinci (Nuovi documenti), in «Archivio Storico Lombardo», s. II, XX,
1893, pp. 972-989, in part. pp. 988-989; G.C. BASCAPÈ, I sigilli dei Duchi di Milano, in «Archivio Sto-
rico Lombardo», 1943, pp. 14-15.
51 G. CAROTTI, Relazione sulle antichità entrate nel Museo Patrio di Archeologia in Milano (Palaz-

zo di Brera) nel 1893, in «Archivio Storico Lombardo», XXI, 1894, vol. I, pp. 206-207.
52 Le ultime voci di riferimento sul progetto funerario per Santa Maria delle Grazie sono: M. ROS-

SI, Novità per S. Maria delle Grazie, in «Arte Lombarda», 66, 1983, 3, pp. 35-70; L. GIORDANO, In ca-
pella maiori. Il progetto di Ludovico Sforza per Santa Maria delle Grazie, in Demeures d’éternité. Egli-
ses et chapelles funéraires au XVe et XVIe siècles, Paris 2005, pp. 99-114.
53 Sul ruolo e il prestigio maturati da questo maestro nell’ambiente italiano e lombardo, che valgo-

no a dare ragione della scelta del Moro, si veda G. AGOSTI, La fama di Cristoforo Solari, in «Prospetti-
va», 46, 1986, pp. 57-65.
54 C.R. MORSCHECK, Grazioso Sironi and the unfinished Sforza Monument for Santa Maria delle

Grazie, in Arte e storia di Lombardia. Scritti in memoria di Grazioso Sironi, Roma 2006, pp. 227-242.
88 Luisa Giordano

pugnabili documenti, la sepoltura oltre a non essere mai stata completata,


non venne neppure parzialmente allestita alle Grazie. I gisant rimasero nel-
la casa dello scultore e poi nel laboratorio del duomo di Milano sino a che
non vennero traslati in Certosa nel 1564 dove oggi si ammirano nella resti-
tuzione della composizione originaria allestita da Luca Beltrami nel 189055.
Ludovico e Beatrice sono deposti affiancati e giacciono su un unico let-
to funerario: l’iconografia afferma la valenza dinastica dei defunti e non è
propria dell’arte italiana, che realizzò preferibilmente tombe di singoli per-
sonaggi, qualunque fosse il loro ruolo e il loro livello sociale. La formula
venne adottata dai reali di Francia che diedero in tal modo il modello ico-
nografico alle successive coppie reali di varie dinastie: realizzazione esem-
plare fu la sepoltura messa in opera nella cappella di San Giovanni Battista
in Saint-Denis, allestita per Carlo V. Nel 1364 il re diede l’incarico per la
realizzazione del proprio gisant a André Beauneveu; dieci anni dopo nel
suo testamento lasciò alla moglie la possibilità di giacere nella morte accan-
to a lui e Jeanne de Bourbon, che si spense nel 1378, accolse l’invito. Il suo
gisant, affidato ad altri che Beauneveu, venne composto accanto a quello
del re a formare un’unica sepoltura resa organica dalla cornice unitaria,
che i posteri poterono ammirare sino alla Rivoluzione e che servì da mo-
dello per le successive coppie reali56. Nella stessa cappella di San Giovanni
Battista trovarono posto le sepolture doppie di Carlo VI e Isabella di Ba-
viera, Carlo VII e Maria d’Anjou.
È plausibile che Ludovico abbia avuto conoscenza diretta dei modelli
francesi e, di conseguenza, piena consapevolezza del significato che la par-
ticolare iconografia monumentale comportava. Negli ultimi mesi del 1476,
viaggiando in incognito, Ludovico, con il fratello Sforza Maria era partito
«ad vedere del mondo» alla volta del regno di Francia57; il 21 dicembre i
due milanesi giunsero a Tours, dove stentarono a incontrare Luigi XI che
accordò un primo, breve incontro durante la messa del giorno di Natale; si
trattennero in città sino al 30 dicembre: in quella data scrivevano a Milano
la loro relazione sul soggiorno e gli incontri avuti, manifestando l’intenzio-
ne di prendere «el camino verso Pariso». Cosa che puntualmente avvenne,

55 L. BELTRAMI, Le statue funerarie di Ludovico il Moro e di Beatrice d’Este alla Certosa di Pavia,

in «Archivio Storico dell’Arte», IV, 1891, pp. 357-362.


56 Sull’argomento si vedano: P. VITRY, G. BRIÈRE, L’église abbatiale de Saint-Denis et ses tom-

beaux, Paris 1925, pp. 154-156; P. PRADEL, Les tombeaux de Charles V, in «Bulletin monumental»,
1951, pp. 273-296, in part. pp. 273-291; A. ERLANDE-BRANDENBURG, Les tombes royales et princières
françaises aux XIVe et XVIesiècles, in Demeures d’éternité, 2005 [cit. n. 52], pp. 9-18, in part. p. 11.
57 A. DINA, Ludovico il Moro prima della sua venuta al governo, in «Archivio Storico Lombardo»,

XIII, 1886, pp. 766-767. I documenti sono parzialmente editi dal Dina; gli originali, da cui sono tratte le
citazioni qui riportate, sono in ASMi, Sforzesco, 542 (sino al 31 dicembre 1476) e 543 (gennaio 1477).
La «Ill.ma Consorte» di Ludovico Sforza 89

perché il 31 dicembre l’ambasciatore Pietrasanta, ancora ignaro degli even-


ti milanesi, scriveva al duca che «Monsignore d’Argenton tornando da Pa-
riso hoggi s’è scontrato in via colli prefati Signori Vostri fratelli e s’è estre-
mamente doluto non se essere trovato qui in questa loro venuta»58. Sforza
e Ludovico dovettero rimanere ignari ancora per qualche giorno dell’assas-
sinio di Galeazzo Maria, poiché i corrieri da Milano impiegavano tra i sette
e i dieci giorni a coprire la distanza con città come Tours e Parigi; giunse di
ritorno a Milano il 25 gennaio 1477 solo Sforza, come comunicava Bona il
26 all’ambasciatore Pietrasanta, mentre Ludovico era atteso «de hora in
hora»59. La documentazione storica non è particolarmente ampia, ma è
tuttavia sufficiente a rendere credibile che i principi milanesi siano arrivati
a Parigi e abbiano avuto tempo bastante a visitare luoghi significativi per la
capitale e la corona come la necropoli di Saint-Denis.
Alla tomba di Santa Maria delle Grazie, che riprendeva programmatica-
mente l’iconografia delle tombe doppie dei reali francesi, Ludovico affidò
il compito di testimoniare ai posteri e alla storia la sua ambizione di essere
legittimo duca di Milano e capostipite, grazie a Beatrice, della rinnovata
dinastia sforzesca.

58 ASMi, Sforzesco, 542.


59 ASMi, Sforzesco, 543.
Finito di stampare nel mese di giugno 2008
in Pisa dalle
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
info@edizioniets.com
www.edizioniets.com

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