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Corso di laurea magistrale

in Storia delle arti e conservazione dei beni artistici


Curriculum moderno

Le botteghe dei Miseroni e dei Saracchi:


un’analisi del loro successo

Carraro Maddalena
868125
Anno accademico
2022/2023

1
1. Abstract

La lavorazione del cristallo era annoverata fra le eccellenze della manifattura veneziana, ma verso

la fine del Quattrocento questo settore si trovò ad affrontare una pesante crisi. Il reclamo dei

Provveditori di Comun di Venezia del 1502 infatti sancisce la fine di questa redditizia attività.

L'arte dei «cristaleri», un tempo capace di far «viver più di seicento persone», al «presente per esser

ditto mestier portado fuor de questa terra et far molto più fuor de essa terra che in questa, non viver

famelie diese, le qual ancor lor le converrà abandonare»1, viene riportato.

Il luogo «fuor de questa terra» menzionato nel reclamo si riferisce a un posto ben preciso: Milano.

Lì esplode la produzione di manifattura in cristallo, tant’è che Paolo Morigia nella Nobiltà di

Milano2 dice che alla fine del Cinquecento ci sono più orefici e gioiellieri a Milano che in ogni altra

città italiana. Le opere che producono, inoltre, si rifanno a un’iconografia particolare e bizzarra.

In questo saggio prenderò in esame i fattori politici, sociali ed economici, senza trascurare i punti di

contatto artistici, che costituiscono le basi per l’evolversi della produzione di oggetti di cristallo

milanese. Infine, verranno riportati degli esempi analizzando il caso delle botteghe dei Miseroni e

dei Saracchi.

1
Documento conservato presso il Museo Correr, cl. IV, cod. 99; cfr. P. Venturelli, Splendidissime gioie, Firenze, Edifir,
2013, p. 15.
2
P. Morigia, La nobiltà di Milano, Milano, Giovanni Battista Bidelli, 1619, p. 490.

1
2. Le premesse: la cultura del dono a Milano

Milano rappresenta il polo perfetto per la proliferazione di quest’arte perché nel XV e XVI secolo è

ricca di celebrazioni importanti, come il matrimonio di Ferdinando I de Medici e Cristina di Lorena.

In occasione di questi eventi si portavano in regalo dei doni, motivo per cui si verifica un aumento

nella domanda di beni di lusso. Il concetto di dono è fondamentale per la cultura rinascimentale.

Esemplare è il caso di Bonifacio Serego, il quale viaggia fra diverse corti portando con sé in dono

un alimento di lusso ricercatissimo: gli asparagi3. Inoltre, grazie alle sue continue sollecitazioni

rivolte al padre riportate nella sua corrispondenza, è possibile farsi un’idea di quanto fosse

dispendioso lo stile di vita presso le corti europee. «Spend[e] troppo in vestiti, et che sono tali che

basterebbero non solo per se, ma per un Duca di Ferrara4», gli rimprovera in una lettera suo padre,

Federico Serego. A questa, il figlio risponde: «io vorria far senza spender, ma non si può star fuora

di casa sua et volersi far honor senza spesa, perché non passa mai giorno, che bisogna dar fuora

denari o pochi o assai»5, rendendo chiaro quanto fosse importante mantenere le apparenze.

Analizzando le finanze di Bernini, invece, emerge che raramente veniva pagato per i suoi lavori,

perché alla meccanica del pagamento si sostituiva quella del dono6, pratica riservata solo alle classi

sociali più elevate. Non solo, quindi, il dono era un demarcatore sociale, ma doveva essere tanto

ricercato quanto elevato era il rango di chi lo riceveva.

Vincenzo Gonzaga, invece, come verrà analizzato più avanti, prediligeva gli oggetti di cristallo7.

Infatti, questo materiale non solo aveva un costo elevato, ma era anche difficile da reperire ed era

complesso da lavorare per via della sua fragilità. Inoltre, anche le iconografie utilizzate per questi

3
G. Zavatta, Veronella invisibile, Rimini, NFC Edizioni, 2015, p. 16.
4
Ivi, p. 82.
5
Ibid.
6
I. Lavin, Il dono regale. Bernini e i suoi ritratti di sovrani, in «Lettere italiane», LVII, numero 4, Firenze, Casa editrice
Leo Olschki, 2006, pp. 550-551.
7
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 5.

2
oggetti potevano essere comprese solo da un gruppo ristretto di persone di un certo rango sociale.

Tutti questi fattori concorrevano a sottolineare l’unicità del dono: più particolare era, più

guadagnava valore. L’intagliatore era tanto abile quanto era in grado di fondere tutte queste

singolarità e saperi in un singolo oggetto.

Queste dinamiche erano difficilmente interpretabili da chi non era coinvolto nel sistema della corte,

infatti, quando i lanzichenecchi nel 1630 entrarono e depredarono il Palazzo Ducale di Mantova

ruppero i vasi di cristallo e rubarono gli oggetti in calcedonio, i quali avevano un valore molto

minore nella società dell’epoca8. Al contrario, gli oggetti in cristallo costituivano un vero e proprio

status symbol: erano un modo per concretizzare il potere dei Gonzaga e renderlo visibile a chiunque

venisse ricevuto a corte.

3. I materiali

I materiali più richiesti per questi oggetti erano il cristallo di rocca e le gemme. Entrambi questi

materiali condividono delle origini e delle proprietà leggendarie. Il cristallo di rocca si raccontava

fosse neve ghiacciata convertita in cristallo, come racconta Plinio il Vecchio nel trattato Naturalis

Historia9. Questa credenza era sopravvissuta fino al Cinquecento, come testimonia Agostino del

Riccio in Istoria delle pietre10, o Vannoccio Biringuccio in Pirotechnia11 contribuendo in questo

modo a costruire un alone leggendario attorno a questo materiale. Era largamente diffuso e

impiegato per la realizzazione di vasi nell’area islamica, ma dal XIII secolo quest’arte approda

anche a Venezia, grazie ai suoi contatti con il mondo orientale12. A Milano, invece, il cristallo di

rocca era già da tempo utilizzato per falsificare i rubini, ma dal Quattrocento venne impiegato per

creare oggetti a sé stanti. Tuttavia, non sempre la qualità del materiale era buona. Francesco

8
Ibid.
9
P. il Vecchio, Naturalis Historia, libro XXXVII, Teubner, 1897, p. 23.
10
A. del Riccio, Istoria delle Pietre, a cura di R. Gnoli, A. Sironi, Torino, Allemandi, 1997.
11
V. Biringuccio, Pirotechnia,Siena, 1550; cfr., Le tecniche artistiche, a cura di Corrado M., Milano, Mursia, 1983, p. 74.
12
Ivi, p. 75.

3
Bondicchi, infatti, lamenta in una lettera alla corte fiorentina di aver dei pezzi di cristallo di rocca

«in prima apparenza bellissimi e nettissimi», ma che al taglio «Erano riusciti nuvolosi e con

imbrattamenti notabili» per la realizzazione del reliquiario del Gran Duca13. Il luogo per reperire il

cristallo si trovava in Svizzera, nel cantone dei Grigioni, più precisamente nella zona del Gottardo14.

Bernardo Moresini dà una testimonianza dettagliata della compravendita e del transito dei materiali

nel suo resoconto Viaggio e Spexe15. L’intagliatore racconta del suo viaggio fra Bellinzona, dove si

compravano i cristalli e Lugano, dove arrivavano quelli estratti da Urseren. Fra questi luoghi

esistevano diversi accordi commerciali che agevolavano lo scambio di materiali, questi contatti

aumentarono notevolmente con l’insediamento di Francesco Sforza a Milano nel 144716. Non solo,

questa nuovo rapporto con le zone d’oltralpe, porterà con sé anche nuove iconografie.

Per quanto riguarda le gemme, Giovanni Paolo Lomazzo raccomanda agli artisti di tenere a mente

le virtù che rappresentano le gemme quando le si utilizzano. Nel libro VI, capitolo 59 del Trattato

dell’arte de la pittura17 chiarisce la corrispondenza fra pietre preziose e virtù angeliche, per

esempio, lo zaffiro esprime conforto, mentre lo smeraldo castità. Infatti, quest’ultimo viene scelto

per incorniciare il diamante del fermaglio del piviale di Clemente VII realizzato da Benvenuto

Cellini (Figura 1).

4. L’organizzazione delle botteghe

L’intreccio sociale non si ferma però a chi commissionava o riceveva doni: anche le botteghe che li

realizzavano erano di origine nobile. Nonostante sia difficile capire a chi appartenga un’opera o

l’altra, perché risultano per lo più di “bottega milanese”, quando compare un nome di un artista,

questo è di estrazione nobile, inserito anche nella Nobiltà di Milano di Paolo Morigia.

13
ASFi, MdP, 1286, f. 187; cfr. Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 101.
14
«Appresso ne’ nostri monti si cava il cristallo di rocca in grand quantità»; cfr. Ivi, p. 550.
15
B. Moresini, Viaggio e spese, 1539; cfr. Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 95.
16
P. Venturelli, Gioielli e gioiellieri milanesi, Milano, Silvana editoriale, 1996, p. 78.
17
G.P. Lomazzo, Trattato dell’arte de la pittura, Milano, Paolo Gottardo Pontio, 1584, pp. 466-69.

4
Il fatto che queste famiglie conducessero vite agiate ci viene confermato anche dai documenti

relative alle loro case e botteghe. Per esempio, dal documento di affitto di Simone Saracchi si

apprende che la sua bottega si trovava nella parrocchia di Santa Maria Segreta, pagava 1080 lire

imperiali, una cifra elevata, che un artista difficilmente poteva permettersi, e disponeva di una

bottega, balchonus, baltrescha, corte, cantina e cucina18. Dall’inventario stilato dopo la sua morte,

emergono sia oggetti relativi alla vita quotidiana, come biancheria, mobili, abbigliamento della

moglie e dei figli, sia strumenti di lavoro: martelli, opere di diaspro e cristallo, compassi, ferri.

Probabilmente, dunque, l’artista doveva vivere nella bottega assieme a tutta la famiglia19.

Tutto ciò che era contenuto nell’inventario venne acquistato da Giovanni Battista Bassi per 545

ducatoni d’argento, fatta eccezione per i disegni. Da questo è possibile dedurre che quest’ultimi

dovevano ricoprire un ruolo centrale per la bottega dei Saracchi, più degli strumenti di lavoro. Il

design delle loro opere era diventato evidentemente così complesso e ricercato che non volevano

condividere i propri segreti con le altre botteghe. I disegni potevano sempre costituire un repertorio

da utilizzare e combinare per opere future e costituivano la firma della bottega20.

Infatti, sono proprio i disegni i Leonardo da Vinci raccolti nei codici vinciani a scatenare una sorta

di febbre per Leonardo a Milano. Riguardo questi, è certo che si trovassero ad Amboise nel 1519

alla sua morte21. Successivamente i loro spostamenti si fanno più confusi e vaghi. Fanno comparsa

nel testamento di Leonardo, il quale li affida a Francesco Melzi, un suo collaboratore. In questo

modo vengono portati a Milano nel 1523. I figli di Francesco ne consentono un uso da parte di

esterni un po’ troppo libero, infatti, Vasari testimonia che passano nelle mani di diverse persone.

Inoltre, lo stesso Leonardo era molto generoso coi suoi disegni e ne regalava in dono ai suoi amici.

Paolo Lomazzo e Leone Leoni ne possedevano alcuni, i quali potrebbero costituire il ponte fra i

18
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 89.
19
Ivi, p. 90.
20
Ivi, p. 91.
21
Venturelli, Gioielli e gioiellieri milanesi, cit., p. 104.

5
disegni vinciani e le elaborazioni orafe di fine Cinquecento. Per esempio, Lomazzo era in possesso

di diversi disegni con il tema del cavallo in movimento, mentre Leone Leoni possedeva la serie di

disegni oggi raggruppata nel Codice Atlantico e quella del Codice leonardesco di Windsor22.

5. Iconografia vegetale, il fantastico e il mostruoso

I committenti richiedevano un grado di ricercatezza per i soggetti ineguagliabile quando

sceglievano gli artisti a cui affidarsi. Uno dei temi favoriti dai nobili era quello del vegetale. Ciò

non deve sorprendere perché era uno dei modi migliori per nascondere simboli condivisi. Per

esempio, la duchessa Bianca Maria indossava un fermaglio con il rosmarino, delle foglie di rovere e

margherite23. Ogni pianta aveva un significato preciso: in questo caso le margherite e le rose erano

collegate a Venere, quindi simbolo di amore trionfante, mentre il rosmarino era simbolo di fedeltà.

Un apporto fondamentale è costituito dall’arrivo di nuove specie vegetali provenienti dalla penisola

balcanica, dall’America e dall’Asia, come tulipani, gladioli e iris24. Gli artisti si cimenteranno

subito nella rappresentazione di queste nuove scoperte per provocare una sensazione di meraviglia

nell’osservatore.

Quest’obiettivo viene perseguito anche attraverso il tema del fantastico e del mostruoso, il quale

risente ancora una volta dell’influenza di Leonardo25. Il Cinquecento è stato un secolo particolare

per Milano, perché si trovava al centro di uno scambio di istanze ed energie culturali diverse: c’era

una forte pressione religiosa, una fascinazione per la magia e un gusto per l’illusione e ambiguità

visiva.

In particolare, questo tipo di rappresentazioni trovarono terreno fertile nella cerchia di Giovanni

Paolo Lomazzo26. Non è possibile definire precisamente chi vi facesse parte perché non ci sono

22
Ivi, p. 105.
23
Ivi, p. 80
24
Ivi, p. 99.
25
Ivi, p. 93.
26
Ibid.

6
abbastanza fonti, però non si spiegherebbe altrimenti la presa che ebbe il tema del mostruoso

nell’ambiente milanese e il perché di certi design.

Questi artisti prendono ispirazione direttamente dalla natura per poi superarla. Lo stesso Leonardo

nel Libro di pittura afferma che la bravura in questi casi sta nel «far parere naturale un animale

finto»27. Prosegue poi proponendo un esempio, partendo da un serpente consiglia di aggiungere «la

testa di un mastino, gli occhi da gatto, orecchie da istrice e naso di veltro e ciglia di lione e tempie

di gallo vecchio e ‘l collo da testudine d’acqua»28. Nel foglio di Windsor n. 912370 (Figura 2),

infatti, è riportato un esempio di queste creature fantastiche create da Leonardo. Si tratta di un drago

dal collo serpentinato e artigli e coda leonini. Questa pratica di creare mostri assemblando parti di

diversi animali ha moltissimo successo.

Feste e mascherate, inoltre, costituivano uno stimolo per creare apparati effimeri, maschere

mostruose e costumi usati apposta per questi eventi. In occasione del torneo del 16 gennaio 1584 a

Milano era stato realizzato «un carro tirato da due cavalli con un uomo in forma di Nettuno con il

tridente e il conte Paolo Belgioioso con sette venturieri a cavallo vestiti in foggia di mostri

marini»29. I cronisti descrivono quest’evento come «una vista bellissima»30.

Anche nella letteratura fanno la loro comparsa queste creature fantastiche. Nel Libro della natura di

Conrad di Megenberg sono raccolte moltissime xilografie di mostri (Figura 3) e avrà una fortuna

clamorosa, perché avrà 17 riedizioni fra il 1475 e il 159931. Egli si serve come modello del De

naturis rerum di Tommaso di Cantimprè, ma interpreta male i nomi degli animali e nel passaggio

dal latino al tedesco, animali normali come il pescecane, la tartaruga o il mollusco (canis marinus,

mus marinus e lupus marinus) diventano strani cani, topi e lupi con pinne e scaglie. La stessa

27
L. da Vinci, Trattato della pittura di Leonardo da Vinci, a cura di Unione cooperativa editrice, Roma, 1890, p. 138.
28
Ibid.
29
Venturelli, Gioielli e gioiellieri milanesi, cit., p. 96.
30
Ibid.
31
Ivi, p. 97.

7
fortuna è riservata alla Mostrorum historia di Ulisse Aldrovandi. Questi soggetti troveranno grande

diffusione attraverso il mondo orafo.

In questo contesto, la bellezza è data dalla varietà delle parti all’interno del pezzo stesso e il

risultato deve generare meraviglia32. La figura rimane, in questo modo, aperta, in continuo sviluppo.

L’idea dietro questa definizione è che il creato stesso è frammentato in infiniti atomi non in

comunicazione fra di loro. L’arte non può emulare un concetto così inafferrabile, quindi il suo

compito è quello di cercare di cogliere tali trasformazioni e la fluidità del creato33. In quegli anni,

infatti, aveva guadagnato molta popolarità fra gli artisti lo studio dell’alchimia: magia e arte

diventavano così inscindibili. Molti artisti coltiveranno una vera e propria ossessione per questa

materia, come nel caso del Parmigianino34, il quale «avendo cominciato a studiare le cose

dell’alchimia, aveva tralasciato del tutto le cose della pittura»35. Questa fascinazione è riscontrabile

anche nel lavoro dei Saracchi e dei Miseroni, i quali cercavano di lavorare la materia con l’obiettivo

di trasformarla e superare la natura. Da un metallo o una pietra dura si cercava di convertirla in una

creatura viva, guizzante di vita. Infatti, anche il tema della metamorfosi è molto popolare, spesso

rappresentato attraverso l’elemento dell’acqua, poiché è mutevole e informe. Per questa ragione,

anche i soggetti nautici hanno moltissima fortuna. Ancora una volta, questo è dovuto probabilmente

all’influenza di Leonardo36 il quale si cimentò nel disegno di imbarcazioni. Nel codice atlantico,

manoscritto G, foglio 50 (Figura 4), è possibile osservare un paragone fra la struttura dei pesci e

quella delle navi.

Infine, anche l’antichità fornisce molti spunti per gli artisti di quell’epoca. Una serie di eventi, come

il sacco di Costantinopoli e la scoperta del Laocoonte provocano un mutamento nel gusto37, tanto da

32
Ivi, p. 94.
33
Ibid.
34
R. Wittkower, M. Wittkower, Nati sotto Saturno, Torino, Einaudi, 2016, pp. 98-99.
35
Vasari, Le vite, cit.; cfr. ibid.
36
Venturelli, Gioielli e gioiellieri milanesi, cit., p. 96.
37
Ivi, p. 86

8
scatenare un’ossessione verso il collezionismo di cammei e monete. Leone Leoni in una lettera del

14 maggio 1561 all’arcivescovo Arras afferma: «ogni persona oggi si fa ritrarre, et ne sono sopra le

piazze i banchi carichi di solfo per essere cosa di poco costo, et fa bel vedere”38, testimoniando

quanto andasse di moda possedere una medaglia ritratto. La realizzazione di medaglie e monete

richiedeva l’elaborazione anche di nuove soluzioni compositive per la gioielleria. Infatti, spesso gli

artisti erano chiamati a completare pezzi antichi di collezioni d’antiquariato per cui dovevano creare

cornici o che dovevano trasformare in pendenti o fermagli.

Le due botteghe che si contendono le principali commissioni a Milano nel Cinquecento che

verranno prese ora in esame erano quelle dei Miseroni e dei Saracchi.

6. La bottega dei Miseroni

Uno dei problemi fondamentali nell’analisi di queste botteghe è la mancanza di fonti e indicazioni

precise per poter legare ogni opera a un componente in particolare della bottega familiare. Per

quanto riguarda la bottega dei Miseroni, le prime notizie documentarie riguardo alla lavorazione del

cristallo fanno riferimento a Gaspare e Gerolamo. Essi imparano a lavorare questo materiale da

Benedetto Poligino39. I due avevano già una tradizione orafa e un’attività prolifica di famiglia alle

spalle. Tuttavia, il gusto si stava evolvendo ed era per loro necessario padroneggiare anche questa

tecnica. I due poterono beneficiare anche degli insegnamenti di Jacopo da Trezzo esperto in «artem

intaliandi lapides preciosas, camainos, ac vase diversarium sortium»40, molto apprezzato da Carlo V

e dal figlio Filippo II. Inoltre, grazie al Libro della tesoreria segreta del Papa è noto che Gaspare

era specializzato nell’intaglio delle gemme, mentre Gerolamo nel cristallo41, perchè vi sono riportati

dei pagamenti ai due artisti, i quali sono sempre posti in relazione alle rispettive specializzazioni.

38
Ivi, p. 90.
39
Morigia, La nobiltà di Milano, cit., p. 483.
40
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 21.
41
Fra il 1452 e il 1459 vengono registrati i pagamenti a Gaspare Miseroni per la legatura o la conciatura di pietre per il
Papa; cfr. Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 168.

9
Infatti, per Cosimo I de’ Medici, per il quale sono al servizio a partire dal 1552, realizzano due vasi:

«di maravigliosa grandezza e mirabile pregio, quello in elitropio e l’altro di lapislazari che ne merita

lode infinita»42 (Figure 5 e 6) assieme a una tazza in quarzo fumé (Figura 7), materiale che diventa

richiestissimo dai nobili da questo momento in poi. Sembra che Cosimo I abbia personalmente

voluto controllare la realizzazione di questi oggetti, i quali sono stati ultimati solo in seguito

all’approvazione del design43.

Con Ottavio Miseroni, la bottega, a partire dal 1588, si trasferisce a Praga presso la corte di Rodolfo

II, per cui realizza un cammeo (Figura 8). Egli è anche colui che mette a punto la tecnica del

commesso44. Il commesso consiste in una composizione di pietre dure, unite (o commesse) in modo

da rendere impercettibili le linee di confine fra i tasselli che la compongono. Data la preziosità e la

rarità dei materiali solitamente impiegati per questa tecnica, questa diventa la prediletta di una

committenza ricca.

Il figlio di Gerolamo, Giovanni Ambrogio, subentra allo zio Gaspare quando muore. Da subito

viene lodato per la sua eccezionale perizia nell’«intagliar di cavo»45 e Morigia dice di lui che «in

picciola gioia fa cose meravigliose, che par avanzano la natura»46. Ottiene particolarmente successo

realizzando un rubino della grandezza di un’unghia su cui era raffigurata un’aquila con scudo degli

stati che possiede l’imperatore Rodolfo II nel 1589, descritto in questo modo: «cosa non solo rara,

ma miracolosa da vedere»47. Successivamente, passa alla realizzazione di medaglioni con ritratti,

42
G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti (edizione del 1568), Roma, Compton Editori, 2003, p.
836.
43
Sembra infatti che per la tazza in quarzo fumé Gaspare abbia prima mandato un modello di cera a Cosimo I e che
quest’ultimo abbia chiesto delle modifiche da apportare al manico e al piede dell’oggetto; cfr. Venturelli,
Splendidissime gioie, cit., p.22.
44
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p.24.
45
Morigia, La nobiltà di Milano, cit., p. 483.
46
Ibid.
47
Ibid.

10
sotto l’insegnamento di Jacopo da Trezzo, il quale, secondo Vasari, non ha «pari per far ritratti di

naturale»48.

Nel 1648 Praga viene conquistata da parte le truppe di Cristina di Svezia, grande collezionista di

cammei e vasi in pietre dure. Il figlio di Ottavio, Dionisio, dovrà redigere un inventario in qualità di

sovrintendente delle collezioni imperiali, dal quale emerge che la maggior parte degli oggetti sono

stati realizzati dai Miseroni o da colleghi milanesi49.

Questo è uno dei motivi che porta l’attività della bottega a un lento declino. Inoltre, un’altra bottega

aveva conquistato il favore dei nobili milanesi: quella dei Saracchi.

7. La bottega dei Saracchi

Conosciuti come «eccellentissimi fabricatori, & intagliatori del Cristallo di Rocca e d'altre sorti di

pietre come Diaspidi, Agate, Amatisti, Calcidonij, Corniole, Laepis Lazzuli, Plasnia,[…] nelle quali

lavorano di rilievo, e di cavo»50, la bottega dei Saracchi nasce con Bartolomeo Saracchi e i suoi 5

figli: Giovanni Ambrogio, Simone, Stefano, Michele e Raffaele. La loro formazione rimane un

mistero e viene descritta da Morigia con toni leggendari: «di natura mirabilmente dotati, hanno

imparato queste eccellenti virtù senza maestri, cosa veramente di grande meraviglia»51. Alcuni

documenti degli anni Settanta provano che fossero già piuttosto affermati perché si trovavano

presso la prestigiosa corte di Alberto V di Baviera.

Uno di questi è la lettera indirizzata al duca del 157352, grazie alla quale si apprende dell’imminente

trasferimento di Simone, Giovanni Ambrogio e Stefano Saracchi a corte.

Non solo, questa costituisce anche un apporto fondamentale per individuare le cifre stilistiche dei

48
Giorgio Vasari quando parla di Cosimo da Trezzo si riferisce a Jacopo; cfr. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori,
scultori e architetti (edizione del 1568), cit., p. 836.
49
Ibid.
50
Morigia, La nobiltà di Milano, cit., p. 484.
51
Ivi, p. 486.
52
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 200.

11
componenti della bottega, oltre che fornire indicazioni sulle loro età. Giovanni Ambrogio e Stefano,

quindi, hanno rispettivamente 32 e 22 anni e lavorano «di grossaria»53, mentre Simone invece ha 25

anni e lavora «d’intagli minuti»54 su vasi già realizzati. Non è univoco il significato del termine

grosseria. Tuttavia, è possibile chiarirlo grazie al modo in cui viene usato negli scritti. Benvenuto

Cellini scrive: «Per tirare vasellami di oro e d’argento, tanto figure quanto vasi, e tutto quello che si

lavora di questa arte, chiamata per nome grosseria»55 o ancora, in riferimento a Luca Agnolo da Iesi

«lavorava solamente di grosseria, cioè vasi bellissimi e bacini, e cose tali»56.

Alla corte di Alberto V è certo che i Saracchi realizzarono due vasi: «Fra dui grandissimo vaso

maggiore di quanti se siano stati fabbricati di vuouo co’l suo manico, e tutto intagliato a figure di

cavo […] un’opera ricavata da un grande pezzo di cristallo tutta intagliata di cavo à historie antiche

armata a sembianza d’una galera naturale, cioè haveva i schiavi mori a nove banchi per parte, e duoi

schiavi per banda con capitani, soldati, comiti, sottocomiti, combardieri con diversi pezzi

d’artigliaria, li quali sparavano con arbori e vele»57 (rispettivamente figure 9 e 10). Per questi

ricevettero seimila scudi d’oro e duemila di «ben servito»58, una cifra decisamente maggiore

rispetto ai 350 scudi guadagnati dai Miseroni per la coppa di lapislazzuli59. Un elemento che

contraddistingue questa bottega sono le montature d’oro smaltate che completano i loro prodotti,

arricchite da gemme in castone e cammei (quasi sempre d’onice) con amorini e putti.

53
«lavora di grossaria, si come sono duoi dissegni, che si mandano, e di più, si come vedrà ancora quattro puntali, duoi
bottoni lavorati di sua mano, i quali si mandano in uno scatolino, et si esibisse ancora di far le altre cose, che sono
descritte sopra la carta di un dissegno di un vaso»; cfr. ibid.
54
«lavora d'intagli minuti, non si risolverebbe di venire à lavorare un mese a beneplacito, si come maestro Giovanni
Ambrosio suo fratello, perchè gli sarebbe di troppo danno; però accio che V. Ecc.a sia informata de la qualità dil suo
valore ella potrà vedere una gran cappa di cristallo, che già gli fu venduta altre volte la qual da un canto ha scolpito il
rapto d'Aelena e, da l'altro il cavallo che si conduce in Troia, dil quale segliene manda un dissegno, et detto vaso di
grossaria fu lavorato dal detto maestro Giovanni Ambrosio, e l'intaglio minuto fu lavorato da maestro Simone»; cfr.
ibid.
55
B. Cellini, I trattati dell'oreficeria e della scultura, a cura di Carlo Milanesi, Firenze, Felice Le Monnier, 1857, p. 128.
56
B. Cellini, La Vita di Benvenuto Cellini, a cura di Guido Davico Bonino, Torino, Einaudi, 1973.
57
Morigia, La nobiltà di Milano, cit., p. 484.
58
Ivi, p. 485.
59
Mi riferisco a quella citata a pagina 10.

12
Grazie a queste informazioni, è possibile stabilire la cifra stilistica di Stefano, il quale predilige

profili alla greca, fronti dritte, riccioli compatti alberelli con foglioline a cascata, tutte caratteristiche

riscontrabili anche nel piatto dei dodici Cesari60 (Figura 11). Al centro sono raffigurati centauri

marini tritoni e ninfe, mentre sulla tesa trova spazio per la narrazione la storia dell’ermafrodito.

Quest’oggetto è dunque emblematico della cultura cinquecentesca, in quanto rappresenta a pieno il

tema della trasformazione e le sue declinazioni attraverso l’acqua e l’ermafrodito. Quest’ultimo è

raffigurato secondo una precisa iconografia: quella del piacere e dispiacere di Leonardo da Vinci61

(Figura 12) descritta da Lomazzo nel Trattato dell’arte de la pittura62. Il Piacere regge un ramo

senza frutti nella mano destra e stringe degli scudi nella mano sinistra, che mostra al Dispiacere. Il

suo piede poggia sul fieno. Il Dispiacere tiene una rosa nella mano sinistra e delle punte di frecce

nella mano destra, che mostra al Piacere, mentre il suo piede poggia sull’oro.

Una delle opere più celebri ed esemplificative di questa bottega è il vaso in diaspro con Ercole e

l’idra (Figura 13). Il momento rappresentato è quello in cui l’eroe affronta il mostro. Oltre alla

delicatezza con cui vengono realizzate le figure, colpisce anche la banda d’oro con inciso un tralcio

vegetale smaltato in nero su fondo rigato a bulino. Su di essa sono collocate delle teste d’oro a tutto

tondo intercalate da rubini e perle incorniciati da castoni. Infine, le teste dell’idra nascondono alla

loro base un inquietante mascherone realizzato a fusione e rivestito da smalto traslucido.

La fontana da tavola a forma di nave (Figura 14), invece, è stata realizzata per uno degli eventi più

spettacolari della Milano del Cinquecento: il matrimonio di Ferdinando I de Medici e Cristina di

Lorena. Gli intagli sul cristallo illustrano la raccolta della Manna e Mosè che fa scaturire l’acqua

dalla roccia. Le anse sono dorate e a forma di arpie, a prua compaiono dei delfini, mentre sul

coperchio è raffigurato un mostro marino. Il corpo, le zampe e la coda che emergono dall’acqua

sono in cristallo e sono siglati al coperchio da una legatura d’oro smaltata con smeraldi e cammei.

60
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 51.
61
Ibid.
62
Lomazzo, Trattato dell’arte de la pittura, cit., p. 450-451.

13
Al centro della composizione, come nella precedente, inseriscono un mostro realizzato a fusione e

smaltato a traslucido con la bocca spalancata.

Per quest’opera è possibile ipotizzare un’attribuzione. I figli di Giovanni Ambrogio erano Gabriele,

Pietro Antonio, Gasparo e Costanzo. Secondo Morigia, due di loro erano specializzati nell’arte del

cristallo e due nell’oreficeria63. Pietro Antonio si occupava delle legature in oro con «diverse gioei e

ornamenti vaghissimi- che ornavano una -gran bacina, e un vaso di cristallo», pezzi che Gabriele

aveva intagliato. Quest’opera descritta potrebbe dunque combaciare con la fontana da tavola.

Fra i loro numerosi committenti figurano anche Vincenzo Gonzaga, per cui realizzano nel 1595 un

vaso grande e diversi manufatti di cristallo. Anche in questo caso la differenza di prezzo rispetto a

quella data in compenso ai Miseroni è consistente. Per due vasi vengono offerti 3000 ducatoni, per

uno specchio 10000 e per un’anconetta 450064.

Oltre ai Gonzaga e i Medici, attirano l’attenzione anche dei Savoia, per i quali realizzano un’opera

in occasione del matrimonio di Carlo Emanuele I di Savoia. con soggetto il mostruoso basilisco,

chiamato anche gallo d’India «grandissimo tutto intagliato di cavo di figure, e fogliami ligato in

oro»65.

Avranno l’onore di servire altri importanti committenti, fra cui l’imperatore Massimiliano, Federico

Borromeo, Francesco Maria del Monte e molti altri nobili, ottenendo così una clientela vastissima66.

Infatti, Morigia afferma che hanno vissuto «cristianamente con grande carità, motivo per cui sono

favoriti dai principi cristiani, conosciuti e honorati da tutti i virtuosi e la loro casa viene frequentata

da gran Signori, così forastieri come Milanesi»67.

63
Morigia, La nobiltà di Milano, cit., p. 486.
64
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 54.
65
Morigia, La nobiltà di Milano, cit., p. 485.
66
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 55.
67
Morigia, La nobiltà di Milano, cit., p. 487.

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8. Conclusioni

Anche l’attività della bottega dei Saracchi si esaurisce entro il 1620. La recessione aveva ormai

coinvolto tutti i mercati e il pubblico non cercava più articoli di lusso. In Europa, inoltre, si stavano

creando organizzazioni produttive con meno freni corporativi e più a buon mercato, motivo per cui i

loro prodotti ottengono più popolarità. Infine, tutti gli elementi che avevano favorito la loro

popolarità stavano andando fuori moda. Il gusto manierista stava tramontando per lasciare spazio a

nuovi stili e mode: i nuovi beni di lusso ricercati dalla nobiltà verranno realizzati in porcellana,

ambra e avorio68.

68
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 57.

15
9. Indice delle immagini

Figura 1: Benvenuto Cellini, Bottone del piviale di Clemente VII, 1530, bottone d'oro, grande quanto «una mano aperta», con
diamante a 34 carati incastonato da quattro smeraldi, due zaffiri e due rubini (perduto).

Figura 2: Leonardo da Vinci, Studio di un dragone, 1478-80, 15.9 x 24.3 cm, stilo, penna e inchiostro su carta, Royal collection,
Windsor Castle, Windsor (RCIN 912370).

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Figura 3: Conrad von Megenberg, Il libro della natura, edizione di Augusta, 1475, xilografia, colorato a mano, foto scattata in
occasione della mostra Fantastische Tierwesen in der Graphik des 15. bis 18. Jahrhunderts, 01/02-12/06/2022, Gemäldegalerie,
Berlino.

Figura 4: Leonardo da Vinci, Foglio 50 del manoscritto G, 1510-16, Institut de France, Parigi.

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Figura 5: Gaspare Miseroni, Vaso di eliotropo, 1557, Museo degli Argenti, Firenze.

Figura 6: Gaspare Miseroni, Coppa di lapislazzuli, 1563-70 ca., Museo di mineralogia, Firenze.

18
Figura 7: Gaspare Miseroni, Tazza in quarzo fumè, 1565, Museo degli Argenti, Firenze.

Figura 8: Ottavio Miseroni, Cammeo con Rodolfo II, 1590, Kunsthistoriches Museum, Vienna.

19
Figura 9: Bottega dei Saracchi, Vaso di cristallo con storie di Bacco, Schatzkammer der Residenz, Monaco.

Figura 10: Bottega dei Saracchi, Galera di cristallo con storie di Mosè, Schatzkammer der Residenz, Monaco.

20
Figura 11: Bottega dei Saracchi, Piatto dei dodici Cesari, Museo del Prado, Madrid.

Figura 12: Leonardo da Vinci, Piacere e dispiacere, Christ Church college, Oxford, a29r.

21
Figura 12: Bottega dei Saracchi, Vaso di diaspro con Ercole e l'Idra, Museo degli Argenti, Firenze.

Figura 13: Bottega dei Saracchi, Fontana da tavola con storie di Mosè, Museo degli Argenti, Firenze (lato).

22
Figura 14: Bottega dei Saracchi, Fontana da tavola con storie di Mosè, Museo degli Argenti, Firenze (sopra).

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10. Bibliografia

Cellini, B., I trattati dell'oreficeria e della scultura, a cura di Carlo Milanesi, Firenze, Felice Le

Monnier, 1857.

Cellini, B., La Vita di Benvenuto Cellini, a cura di Guido Davico Bonino, Torino, Einaudi, 1973.

Da Vinci, L., Trattato della pittura di Leonardo da Vinci, a cura di Unione cooperativa editrice,

Roma, 1890.

Del Riccio, A., Istoria delle Pietre, a cura di R. Gnoli, A. Sironi, Torino, Allemandi, 1997.

Lavin, I., Il dono regale. Bernini e i suoi ritratti di sovrani, in «Lettere italiane», LVII, numero 4,

Firenze, Casa editrice Leo Olschki, 2006.

Le tecniche artistiche, a cura di Corrado M., Milano, Mursia, 1983.

Lomazzo, G.P., Trattato dell’arte de la pittura, Milano, Paolo Gottardo Pontio, 1584.

Morigia, P., La nobiltà di Milano, Milano, Giovanni Battista Bidelli, 1619.

Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, libro XXXVII, Teubner, 1897.

Vasari, G., Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti (edizione del 1568), Roma,

Compton Editori, 2003.

Venturelli, P., Gioielli e gioiellieri milanesi, Milano, Silvana editoriale, 1996.

Venturelli, P., Splendidissime gioie, Firenze, Edifir, 2013.

Zavatta, G., Veronella invisibile, Rimini, NFC Edizioni, 2015.

Wittkower, R., Wittkower, M., Nati sotto Saturno, Torino, Einaudi, 2016.

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