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Carraro Maddalena
868125
Anno accademico
2022/2023
1
1. Abstract
La lavorazione del cristallo era annoverata fra le eccellenze della manifattura veneziana, ma verso
la fine del Quattrocento questo settore si trovò ad affrontare una pesante crisi. Il reclamo dei
Provveditori di Comun di Venezia del 1502 infatti sancisce la fine di questa redditizia attività.
L'arte dei «cristaleri», un tempo capace di far «viver più di seicento persone», al «presente per esser
ditto mestier portado fuor de questa terra et far molto più fuor de essa terra che in questa, non viver
Il luogo «fuor de questa terra» menzionato nel reclamo si riferisce a un posto ben preciso: Milano.
Lì esplode la produzione di manifattura in cristallo, tant’è che Paolo Morigia nella Nobiltà di
Milano2 dice che alla fine del Cinquecento ci sono più orefici e gioiellieri a Milano che in ogni altra
città italiana. Le opere che producono, inoltre, si rifanno a un’iconografia particolare e bizzarra.
In questo saggio prenderò in esame i fattori politici, sociali ed economici, senza trascurare i punti di
contatto artistici, che costituiscono le basi per l’evolversi della produzione di oggetti di cristallo
milanese. Infine, verranno riportati degli esempi analizzando il caso delle botteghe dei Miseroni e
dei Saracchi.
1
Documento conservato presso il Museo Correr, cl. IV, cod. 99; cfr. P. Venturelli, Splendidissime gioie, Firenze, Edifir,
2013, p. 15.
2
P. Morigia, La nobiltà di Milano, Milano, Giovanni Battista Bidelli, 1619, p. 490.
1
2. Le premesse: la cultura del dono a Milano
Milano rappresenta il polo perfetto per la proliferazione di quest’arte perché nel XV e XVI secolo è
In occasione di questi eventi si portavano in regalo dei doni, motivo per cui si verifica un aumento
nella domanda di beni di lusso. Il concetto di dono è fondamentale per la cultura rinascimentale.
Esemplare è il caso di Bonifacio Serego, il quale viaggia fra diverse corti portando con sé in dono
un alimento di lusso ricercatissimo: gli asparagi3. Inoltre, grazie alle sue continue sollecitazioni
rivolte al padre riportate nella sua corrispondenza, è possibile farsi un’idea di quanto fosse
dispendioso lo stile di vita presso le corti europee. «Spend[e] troppo in vestiti, et che sono tali che
basterebbero non solo per se, ma per un Duca di Ferrara4», gli rimprovera in una lettera suo padre,
Federico Serego. A questa, il figlio risponde: «io vorria far senza spender, ma non si può star fuora
di casa sua et volersi far honor senza spesa, perché non passa mai giorno, che bisogna dar fuora
denari o pochi o assai»5, rendendo chiaro quanto fosse importante mantenere le apparenze.
Analizzando le finanze di Bernini, invece, emerge che raramente veniva pagato per i suoi lavori,
perché alla meccanica del pagamento si sostituiva quella del dono6, pratica riservata solo alle classi
sociali più elevate. Non solo, quindi, il dono era un demarcatore sociale, ma doveva essere tanto
Vincenzo Gonzaga, invece, come verrà analizzato più avanti, prediligeva gli oggetti di cristallo7.
Infatti, questo materiale non solo aveva un costo elevato, ma era anche difficile da reperire ed era
complesso da lavorare per via della sua fragilità. Inoltre, anche le iconografie utilizzate per questi
3
G. Zavatta, Veronella invisibile, Rimini, NFC Edizioni, 2015, p. 16.
4
Ivi, p. 82.
5
Ibid.
6
I. Lavin, Il dono regale. Bernini e i suoi ritratti di sovrani, in «Lettere italiane», LVII, numero 4, Firenze, Casa editrice
Leo Olschki, 2006, pp. 550-551.
7
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 5.
2
oggetti potevano essere comprese solo da un gruppo ristretto di persone di un certo rango sociale.
Tutti questi fattori concorrevano a sottolineare l’unicità del dono: più particolare era, più
guadagnava valore. L’intagliatore era tanto abile quanto era in grado di fondere tutte queste
Queste dinamiche erano difficilmente interpretabili da chi non era coinvolto nel sistema della corte,
infatti, quando i lanzichenecchi nel 1630 entrarono e depredarono il Palazzo Ducale di Mantova
ruppero i vasi di cristallo e rubarono gli oggetti in calcedonio, i quali avevano un valore molto
minore nella società dell’epoca8. Al contrario, gli oggetti in cristallo costituivano un vero e proprio
status symbol: erano un modo per concretizzare il potere dei Gonzaga e renderlo visibile a chiunque
3. I materiali
I materiali più richiesti per questi oggetti erano il cristallo di rocca e le gemme. Entrambi questi
materiali condividono delle origini e delle proprietà leggendarie. Il cristallo di rocca si raccontava
fosse neve ghiacciata convertita in cristallo, come racconta Plinio il Vecchio nel trattato Naturalis
Historia9. Questa credenza era sopravvissuta fino al Cinquecento, come testimonia Agostino del
modo a costruire un alone leggendario attorno a questo materiale. Era largamente diffuso e
impiegato per la realizzazione di vasi nell’area islamica, ma dal XIII secolo quest’arte approda
anche a Venezia, grazie ai suoi contatti con il mondo orientale12. A Milano, invece, il cristallo di
rocca era già da tempo utilizzato per falsificare i rubini, ma dal Quattrocento venne impiegato per
creare oggetti a sé stanti. Tuttavia, non sempre la qualità del materiale era buona. Francesco
8
Ibid.
9
P. il Vecchio, Naturalis Historia, libro XXXVII, Teubner, 1897, p. 23.
10
A. del Riccio, Istoria delle Pietre, a cura di R. Gnoli, A. Sironi, Torino, Allemandi, 1997.
11
V. Biringuccio, Pirotechnia,Siena, 1550; cfr., Le tecniche artistiche, a cura di Corrado M., Milano, Mursia, 1983, p. 74.
12
Ivi, p. 75.
3
Bondicchi, infatti, lamenta in una lettera alla corte fiorentina di aver dei pezzi di cristallo di rocca
«in prima apparenza bellissimi e nettissimi», ma che al taglio «Erano riusciti nuvolosi e con
imbrattamenti notabili» per la realizzazione del reliquiario del Gran Duca13. Il luogo per reperire il
cristallo si trovava in Svizzera, nel cantone dei Grigioni, più precisamente nella zona del Gottardo14.
Bernardo Moresini dà una testimonianza dettagliata della compravendita e del transito dei materiali
nel suo resoconto Viaggio e Spexe15. L’intagliatore racconta del suo viaggio fra Bellinzona, dove si
compravano i cristalli e Lugano, dove arrivavano quelli estratti da Urseren. Fra questi luoghi
esistevano diversi accordi commerciali che agevolavano lo scambio di materiali, questi contatti
aumentarono notevolmente con l’insediamento di Francesco Sforza a Milano nel 144716. Non solo,
questa nuovo rapporto con le zone d’oltralpe, porterà con sé anche nuove iconografie.
Per quanto riguarda le gemme, Giovanni Paolo Lomazzo raccomanda agli artisti di tenere a mente
le virtù che rappresentano le gemme quando le si utilizzano. Nel libro VI, capitolo 59 del Trattato
dell’arte de la pittura17 chiarisce la corrispondenza fra pietre preziose e virtù angeliche, per
esempio, lo zaffiro esprime conforto, mentre lo smeraldo castità. Infatti, quest’ultimo viene scelto
per incorniciare il diamante del fermaglio del piviale di Clemente VII realizzato da Benvenuto
L’intreccio sociale non si ferma però a chi commissionava o riceveva doni: anche le botteghe che li
realizzavano erano di origine nobile. Nonostante sia difficile capire a chi appartenga un’opera o
l’altra, perché risultano per lo più di “bottega milanese”, quando compare un nome di un artista,
questo è di estrazione nobile, inserito anche nella Nobiltà di Milano di Paolo Morigia.
13
ASFi, MdP, 1286, f. 187; cfr. Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 101.
14
«Appresso ne’ nostri monti si cava il cristallo di rocca in grand quantità»; cfr. Ivi, p. 550.
15
B. Moresini, Viaggio e spese, 1539; cfr. Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 95.
16
P. Venturelli, Gioielli e gioiellieri milanesi, Milano, Silvana editoriale, 1996, p. 78.
17
G.P. Lomazzo, Trattato dell’arte de la pittura, Milano, Paolo Gottardo Pontio, 1584, pp. 466-69.
4
Il fatto che queste famiglie conducessero vite agiate ci viene confermato anche dai documenti
relative alle loro case e botteghe. Per esempio, dal documento di affitto di Simone Saracchi si
apprende che la sua bottega si trovava nella parrocchia di Santa Maria Segreta, pagava 1080 lire
imperiali, una cifra elevata, che un artista difficilmente poteva permettersi, e disponeva di una
bottega, balchonus, baltrescha, corte, cantina e cucina18. Dall’inventario stilato dopo la sua morte,
emergono sia oggetti relativi alla vita quotidiana, come biancheria, mobili, abbigliamento della
moglie e dei figli, sia strumenti di lavoro: martelli, opere di diaspro e cristallo, compassi, ferri.
Probabilmente, dunque, l’artista doveva vivere nella bottega assieme a tutta la famiglia19.
Tutto ciò che era contenuto nell’inventario venne acquistato da Giovanni Battista Bassi per 545
ducatoni d’argento, fatta eccezione per i disegni. Da questo è possibile dedurre che quest’ultimi
dovevano ricoprire un ruolo centrale per la bottega dei Saracchi, più degli strumenti di lavoro. Il
design delle loro opere era diventato evidentemente così complesso e ricercato che non volevano
condividere i propri segreti con le altre botteghe. I disegni potevano sempre costituire un repertorio
Infatti, sono proprio i disegni i Leonardo da Vinci raccolti nei codici vinciani a scatenare una sorta
di febbre per Leonardo a Milano. Riguardo questi, è certo che si trovassero ad Amboise nel 1519
alla sua morte21. Successivamente i loro spostamenti si fanno più confusi e vaghi. Fanno comparsa
nel testamento di Leonardo, il quale li affida a Francesco Melzi, un suo collaboratore. In questo
modo vengono portati a Milano nel 1523. I figli di Francesco ne consentono un uso da parte di
esterni un po’ troppo libero, infatti, Vasari testimonia che passano nelle mani di diverse persone.
Inoltre, lo stesso Leonardo era molto generoso coi suoi disegni e ne regalava in dono ai suoi amici.
Paolo Lomazzo e Leone Leoni ne possedevano alcuni, i quali potrebbero costituire il ponte fra i
18
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 89.
19
Ivi, p. 90.
20
Ivi, p. 91.
21
Venturelli, Gioielli e gioiellieri milanesi, cit., p. 104.
5
disegni vinciani e le elaborazioni orafe di fine Cinquecento. Per esempio, Lomazzo era in possesso
di diversi disegni con il tema del cavallo in movimento, mentre Leone Leoni possedeva la serie di
disegni oggi raggruppata nel Codice Atlantico e quella del Codice leonardesco di Windsor22.
sceglievano gli artisti a cui affidarsi. Uno dei temi favoriti dai nobili era quello del vegetale. Ciò
non deve sorprendere perché era uno dei modi migliori per nascondere simboli condivisi. Per
esempio, la duchessa Bianca Maria indossava un fermaglio con il rosmarino, delle foglie di rovere e
margherite23. Ogni pianta aveva un significato preciso: in questo caso le margherite e le rose erano
collegate a Venere, quindi simbolo di amore trionfante, mentre il rosmarino era simbolo di fedeltà.
Un apporto fondamentale è costituito dall’arrivo di nuove specie vegetali provenienti dalla penisola
balcanica, dall’America e dall’Asia, come tulipani, gladioli e iris24. Gli artisti si cimenteranno
subito nella rappresentazione di queste nuove scoperte per provocare una sensazione di meraviglia
nell’osservatore.
Quest’obiettivo viene perseguito anche attraverso il tema del fantastico e del mostruoso, il quale
risente ancora una volta dell’influenza di Leonardo25. Il Cinquecento è stato un secolo particolare
per Milano, perché si trovava al centro di uno scambio di istanze ed energie culturali diverse: c’era
una forte pressione religiosa, una fascinazione per la magia e un gusto per l’illusione e ambiguità
visiva.
In particolare, questo tipo di rappresentazioni trovarono terreno fertile nella cerchia di Giovanni
Paolo Lomazzo26. Non è possibile definire precisamente chi vi facesse parte perché non ci sono
22
Ivi, p. 105.
23
Ivi, p. 80
24
Ivi, p. 99.
25
Ivi, p. 93.
26
Ibid.
6
abbastanza fonti, però non si spiegherebbe altrimenti la presa che ebbe il tema del mostruoso
Questi artisti prendono ispirazione direttamente dalla natura per poi superarla. Lo stesso Leonardo
nel Libro di pittura afferma che la bravura in questi casi sta nel «far parere naturale un animale
finto»27. Prosegue poi proponendo un esempio, partendo da un serpente consiglia di aggiungere «la
testa di un mastino, gli occhi da gatto, orecchie da istrice e naso di veltro e ciglia di lione e tempie
di gallo vecchio e ‘l collo da testudine d’acqua»28. Nel foglio di Windsor n. 912370 (Figura 2),
infatti, è riportato un esempio di queste creature fantastiche create da Leonardo. Si tratta di un drago
dal collo serpentinato e artigli e coda leonini. Questa pratica di creare mostri assemblando parti di
Feste e mascherate, inoltre, costituivano uno stimolo per creare apparati effimeri, maschere
mostruose e costumi usati apposta per questi eventi. In occasione del torneo del 16 gennaio 1584 a
Milano era stato realizzato «un carro tirato da due cavalli con un uomo in forma di Nettuno con il
tridente e il conte Paolo Belgioioso con sette venturieri a cavallo vestiti in foggia di mostri
Anche nella letteratura fanno la loro comparsa queste creature fantastiche. Nel Libro della natura di
Conrad di Megenberg sono raccolte moltissime xilografie di mostri (Figura 3) e avrà una fortuna
clamorosa, perché avrà 17 riedizioni fra il 1475 e il 159931. Egli si serve come modello del De
naturis rerum di Tommaso di Cantimprè, ma interpreta male i nomi degli animali e nel passaggio
dal latino al tedesco, animali normali come il pescecane, la tartaruga o il mollusco (canis marinus,
mus marinus e lupus marinus) diventano strani cani, topi e lupi con pinne e scaglie. La stessa
27
L. da Vinci, Trattato della pittura di Leonardo da Vinci, a cura di Unione cooperativa editrice, Roma, 1890, p. 138.
28
Ibid.
29
Venturelli, Gioielli e gioiellieri milanesi, cit., p. 96.
30
Ibid.
31
Ivi, p. 97.
7
fortuna è riservata alla Mostrorum historia di Ulisse Aldrovandi. Questi soggetti troveranno grande
In questo contesto, la bellezza è data dalla varietà delle parti all’interno del pezzo stesso e il
risultato deve generare meraviglia32. La figura rimane, in questo modo, aperta, in continuo sviluppo.
L’idea dietro questa definizione è che il creato stesso è frammentato in infiniti atomi non in
comunicazione fra di loro. L’arte non può emulare un concetto così inafferrabile, quindi il suo
compito è quello di cercare di cogliere tali trasformazioni e la fluidità del creato33. In quegli anni,
infatti, aveva guadagnato molta popolarità fra gli artisti lo studio dell’alchimia: magia e arte
diventavano così inscindibili. Molti artisti coltiveranno una vera e propria ossessione per questa
materia, come nel caso del Parmigianino34, il quale «avendo cominciato a studiare le cose
dell’alchimia, aveva tralasciato del tutto le cose della pittura»35. Questa fascinazione è riscontrabile
anche nel lavoro dei Saracchi e dei Miseroni, i quali cercavano di lavorare la materia con l’obiettivo
di trasformarla e superare la natura. Da un metallo o una pietra dura si cercava di convertirla in una
creatura viva, guizzante di vita. Infatti, anche il tema della metamorfosi è molto popolare, spesso
rappresentato attraverso l’elemento dell’acqua, poiché è mutevole e informe. Per questa ragione,
anche i soggetti nautici hanno moltissima fortuna. Ancora una volta, questo è dovuto probabilmente
all’influenza di Leonardo36 il quale si cimentò nel disegno di imbarcazioni. Nel codice atlantico,
manoscritto G, foglio 50 (Figura 4), è possibile osservare un paragone fra la struttura dei pesci e
Infine, anche l’antichità fornisce molti spunti per gli artisti di quell’epoca. Una serie di eventi, come
il sacco di Costantinopoli e la scoperta del Laocoonte provocano un mutamento nel gusto37, tanto da
32
Ivi, p. 94.
33
Ibid.
34
R. Wittkower, M. Wittkower, Nati sotto Saturno, Torino, Einaudi, 2016, pp. 98-99.
35
Vasari, Le vite, cit.; cfr. ibid.
36
Venturelli, Gioielli e gioiellieri milanesi, cit., p. 96.
37
Ivi, p. 86
8
scatenare un’ossessione verso il collezionismo di cammei e monete. Leone Leoni in una lettera del
14 maggio 1561 all’arcivescovo Arras afferma: «ogni persona oggi si fa ritrarre, et ne sono sopra le
piazze i banchi carichi di solfo per essere cosa di poco costo, et fa bel vedere”38, testimoniando
quanto andasse di moda possedere una medaglia ritratto. La realizzazione di medaglie e monete
richiedeva l’elaborazione anche di nuove soluzioni compositive per la gioielleria. Infatti, spesso gli
artisti erano chiamati a completare pezzi antichi di collezioni d’antiquariato per cui dovevano creare
Le due botteghe che si contendono le principali commissioni a Milano nel Cinquecento che
verranno prese ora in esame erano quelle dei Miseroni e dei Saracchi.
Uno dei problemi fondamentali nell’analisi di queste botteghe è la mancanza di fonti e indicazioni
precise per poter legare ogni opera a un componente in particolare della bottega familiare. Per
quanto riguarda la bottega dei Miseroni, le prime notizie documentarie riguardo alla lavorazione del
cristallo fanno riferimento a Gaspare e Gerolamo. Essi imparano a lavorare questo materiale da
Benedetto Poligino39. I due avevano già una tradizione orafa e un’attività prolifica di famiglia alle
spalle. Tuttavia, il gusto si stava evolvendo ed era per loro necessario padroneggiare anche questa
tecnica. I due poterono beneficiare anche degli insegnamenti di Jacopo da Trezzo esperto in «artem
intaliandi lapides preciosas, camainos, ac vase diversarium sortium»40, molto apprezzato da Carlo V
e dal figlio Filippo II. Inoltre, grazie al Libro della tesoreria segreta del Papa è noto che Gaspare
era specializzato nell’intaglio delle gemme, mentre Gerolamo nel cristallo41, perchè vi sono riportati
dei pagamenti ai due artisti, i quali sono sempre posti in relazione alle rispettive specializzazioni.
38
Ivi, p. 90.
39
Morigia, La nobiltà di Milano, cit., p. 483.
40
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 21.
41
Fra il 1452 e il 1459 vengono registrati i pagamenti a Gaspare Miseroni per la legatura o la conciatura di pietre per il
Papa; cfr. Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 168.
9
Infatti, per Cosimo I de’ Medici, per il quale sono al servizio a partire dal 1552, realizzano due vasi:
«di maravigliosa grandezza e mirabile pregio, quello in elitropio e l’altro di lapislazari che ne merita
lode infinita»42 (Figure 5 e 6) assieme a una tazza in quarzo fumé (Figura 7), materiale che diventa
richiestissimo dai nobili da questo momento in poi. Sembra che Cosimo I abbia personalmente
voluto controllare la realizzazione di questi oggetti, i quali sono stati ultimati solo in seguito
Con Ottavio Miseroni, la bottega, a partire dal 1588, si trasferisce a Praga presso la corte di Rodolfo
II, per cui realizza un cammeo (Figura 8). Egli è anche colui che mette a punto la tecnica del
commesso44. Il commesso consiste in una composizione di pietre dure, unite (o commesse) in modo
da rendere impercettibili le linee di confine fra i tasselli che la compongono. Data la preziosità e la
rarità dei materiali solitamente impiegati per questa tecnica, questa diventa la prediletta di una
committenza ricca.
Il figlio di Gerolamo, Giovanni Ambrogio, subentra allo zio Gaspare quando muore. Da subito
viene lodato per la sua eccezionale perizia nell’«intagliar di cavo»45 e Morigia dice di lui che «in
picciola gioia fa cose meravigliose, che par avanzano la natura»46. Ottiene particolarmente successo
realizzando un rubino della grandezza di un’unghia su cui era raffigurata un’aquila con scudo degli
stati che possiede l’imperatore Rodolfo II nel 1589, descritto in questo modo: «cosa non solo rara,
42
G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti (edizione del 1568), Roma, Compton Editori, 2003, p.
836.
43
Sembra infatti che per la tazza in quarzo fumé Gaspare abbia prima mandato un modello di cera a Cosimo I e che
quest’ultimo abbia chiesto delle modifiche da apportare al manico e al piede dell’oggetto; cfr. Venturelli,
Splendidissime gioie, cit., p.22.
44
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p.24.
45
Morigia, La nobiltà di Milano, cit., p. 483.
46
Ibid.
47
Ibid.
10
sotto l’insegnamento di Jacopo da Trezzo, il quale, secondo Vasari, non ha «pari per far ritratti di
naturale»48.
Nel 1648 Praga viene conquistata da parte le truppe di Cristina di Svezia, grande collezionista di
cammei e vasi in pietre dure. Il figlio di Ottavio, Dionisio, dovrà redigere un inventario in qualità di
sovrintendente delle collezioni imperiali, dal quale emerge che la maggior parte degli oggetti sono
Questo è uno dei motivi che porta l’attività della bottega a un lento declino. Inoltre, un’altra bottega
Conosciuti come «eccellentissimi fabricatori, & intagliatori del Cristallo di Rocca e d'altre sorti di
pietre come Diaspidi, Agate, Amatisti, Calcidonij, Corniole, Laepis Lazzuli, Plasnia,[…] nelle quali
lavorano di rilievo, e di cavo»50, la bottega dei Saracchi nasce con Bartolomeo Saracchi e i suoi 5
figli: Giovanni Ambrogio, Simone, Stefano, Michele e Raffaele. La loro formazione rimane un
mistero e viene descritta da Morigia con toni leggendari: «di natura mirabilmente dotati, hanno
imparato queste eccellenti virtù senza maestri, cosa veramente di grande meraviglia»51. Alcuni
documenti degli anni Settanta provano che fossero già piuttosto affermati perché si trovavano
Uno di questi è la lettera indirizzata al duca del 157352, grazie alla quale si apprende dell’imminente
Non solo, questa costituisce anche un apporto fondamentale per individuare le cifre stilistiche dei
48
Giorgio Vasari quando parla di Cosimo da Trezzo si riferisce a Jacopo; cfr. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori,
scultori e architetti (edizione del 1568), cit., p. 836.
49
Ibid.
50
Morigia, La nobiltà di Milano, cit., p. 484.
51
Ivi, p. 486.
52
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 200.
11
componenti della bottega, oltre che fornire indicazioni sulle loro età. Giovanni Ambrogio e Stefano,
quindi, hanno rispettivamente 32 e 22 anni e lavorano «di grossaria»53, mentre Simone invece ha 25
anni e lavora «d’intagli minuti»54 su vasi già realizzati. Non è univoco il significato del termine
grosseria. Tuttavia, è possibile chiarirlo grazie al modo in cui viene usato negli scritti. Benvenuto
Cellini scrive: «Per tirare vasellami di oro e d’argento, tanto figure quanto vasi, e tutto quello che si
lavora di questa arte, chiamata per nome grosseria»55 o ancora, in riferimento a Luca Agnolo da Iesi
Alla corte di Alberto V è certo che i Saracchi realizzarono due vasi: «Fra dui grandissimo vaso
maggiore di quanti se siano stati fabbricati di vuouo co’l suo manico, e tutto intagliato a figure di
cavo […] un’opera ricavata da un grande pezzo di cristallo tutta intagliata di cavo à historie antiche
armata a sembianza d’una galera naturale, cioè haveva i schiavi mori a nove banchi per parte, e duoi
schiavi per banda con capitani, soldati, comiti, sottocomiti, combardieri con diversi pezzi
d’artigliaria, li quali sparavano con arbori e vele»57 (rispettivamente figure 9 e 10). Per questi
ricevettero seimila scudi d’oro e duemila di «ben servito»58, una cifra decisamente maggiore
rispetto ai 350 scudi guadagnati dai Miseroni per la coppa di lapislazzuli59. Un elemento che
contraddistingue questa bottega sono le montature d’oro smaltate che completano i loro prodotti,
arricchite da gemme in castone e cammei (quasi sempre d’onice) con amorini e putti.
53
«lavora di grossaria, si come sono duoi dissegni, che si mandano, e di più, si come vedrà ancora quattro puntali, duoi
bottoni lavorati di sua mano, i quali si mandano in uno scatolino, et si esibisse ancora di far le altre cose, che sono
descritte sopra la carta di un dissegno di un vaso»; cfr. ibid.
54
«lavora d'intagli minuti, non si risolverebbe di venire à lavorare un mese a beneplacito, si come maestro Giovanni
Ambrosio suo fratello, perchè gli sarebbe di troppo danno; però accio che V. Ecc.a sia informata de la qualità dil suo
valore ella potrà vedere una gran cappa di cristallo, che già gli fu venduta altre volte la qual da un canto ha scolpito il
rapto d'Aelena e, da l'altro il cavallo che si conduce in Troia, dil quale segliene manda un dissegno, et detto vaso di
grossaria fu lavorato dal detto maestro Giovanni Ambrosio, e l'intaglio minuto fu lavorato da maestro Simone»; cfr.
ibid.
55
B. Cellini, I trattati dell'oreficeria e della scultura, a cura di Carlo Milanesi, Firenze, Felice Le Monnier, 1857, p. 128.
56
B. Cellini, La Vita di Benvenuto Cellini, a cura di Guido Davico Bonino, Torino, Einaudi, 1973.
57
Morigia, La nobiltà di Milano, cit., p. 484.
58
Ivi, p. 485.
59
Mi riferisco a quella citata a pagina 10.
12
Grazie a queste informazioni, è possibile stabilire la cifra stilistica di Stefano, il quale predilige
profili alla greca, fronti dritte, riccioli compatti alberelli con foglioline a cascata, tutte caratteristiche
riscontrabili anche nel piatto dei dodici Cesari60 (Figura 11). Al centro sono raffigurati centauri
marini tritoni e ninfe, mentre sulla tesa trova spazio per la narrazione la storia dell’ermafrodito.
raffigurato secondo una precisa iconografia: quella del piacere e dispiacere di Leonardo da Vinci61
(Figura 12) descritta da Lomazzo nel Trattato dell’arte de la pittura62. Il Piacere regge un ramo
senza frutti nella mano destra e stringe degli scudi nella mano sinistra, che mostra al Dispiacere. Il
suo piede poggia sul fieno. Il Dispiacere tiene una rosa nella mano sinistra e delle punte di frecce
nella mano destra, che mostra al Piacere, mentre il suo piede poggia sull’oro.
Una delle opere più celebri ed esemplificative di questa bottega è il vaso in diaspro con Ercole e
l’idra (Figura 13). Il momento rappresentato è quello in cui l’eroe affronta il mostro. Oltre alla
delicatezza con cui vengono realizzate le figure, colpisce anche la banda d’oro con inciso un tralcio
vegetale smaltato in nero su fondo rigato a bulino. Su di essa sono collocate delle teste d’oro a tutto
tondo intercalate da rubini e perle incorniciati da castoni. Infine, le teste dell’idra nascondono alla
La fontana da tavola a forma di nave (Figura 14), invece, è stata realizzata per uno degli eventi più
Lorena. Gli intagli sul cristallo illustrano la raccolta della Manna e Mosè che fa scaturire l’acqua
dalla roccia. Le anse sono dorate e a forma di arpie, a prua compaiono dei delfini, mentre sul
coperchio è raffigurato un mostro marino. Il corpo, le zampe e la coda che emergono dall’acqua
sono in cristallo e sono siglati al coperchio da una legatura d’oro smaltata con smeraldi e cammei.
60
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 51.
61
Ibid.
62
Lomazzo, Trattato dell’arte de la pittura, cit., p. 450-451.
13
Al centro della composizione, come nella precedente, inseriscono un mostro realizzato a fusione e
Per quest’opera è possibile ipotizzare un’attribuzione. I figli di Giovanni Ambrogio erano Gabriele,
Pietro Antonio, Gasparo e Costanzo. Secondo Morigia, due di loro erano specializzati nell’arte del
cristallo e due nell’oreficeria63. Pietro Antonio si occupava delle legature in oro con «diverse gioei e
ornamenti vaghissimi- che ornavano una -gran bacina, e un vaso di cristallo», pezzi che Gabriele
aveva intagliato. Quest’opera descritta potrebbe dunque combaciare con la fontana da tavola.
Fra i loro numerosi committenti figurano anche Vincenzo Gonzaga, per cui realizzano nel 1595 un
vaso grande e diversi manufatti di cristallo. Anche in questo caso la differenza di prezzo rispetto a
quella data in compenso ai Miseroni è consistente. Per due vasi vengono offerti 3000 ducatoni, per
Oltre ai Gonzaga e i Medici, attirano l’attenzione anche dei Savoia, per i quali realizzano un’opera
in occasione del matrimonio di Carlo Emanuele I di Savoia. con soggetto il mostruoso basilisco,
chiamato anche gallo d’India «grandissimo tutto intagliato di cavo di figure, e fogliami ligato in
oro»65.
Avranno l’onore di servire altri importanti committenti, fra cui l’imperatore Massimiliano, Federico
Borromeo, Francesco Maria del Monte e molti altri nobili, ottenendo così una clientela vastissima66.
Infatti, Morigia afferma che hanno vissuto «cristianamente con grande carità, motivo per cui sono
favoriti dai principi cristiani, conosciuti e honorati da tutti i virtuosi e la loro casa viene frequentata
63
Morigia, La nobiltà di Milano, cit., p. 486.
64
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 54.
65
Morigia, La nobiltà di Milano, cit., p. 485.
66
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 55.
67
Morigia, La nobiltà di Milano, cit., p. 487.
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8. Conclusioni
Anche l’attività della bottega dei Saracchi si esaurisce entro il 1620. La recessione aveva ormai
coinvolto tutti i mercati e il pubblico non cercava più articoli di lusso. In Europa, inoltre, si stavano
creando organizzazioni produttive con meno freni corporativi e più a buon mercato, motivo per cui i
loro prodotti ottengono più popolarità. Infine, tutti gli elementi che avevano favorito la loro
popolarità stavano andando fuori moda. Il gusto manierista stava tramontando per lasciare spazio a
nuovi stili e mode: i nuovi beni di lusso ricercati dalla nobiltà verranno realizzati in porcellana,
ambra e avorio68.
68
Venturelli, Splendidissime gioie, cit., p. 57.
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9. Indice delle immagini
Figura 1: Benvenuto Cellini, Bottone del piviale di Clemente VII, 1530, bottone d'oro, grande quanto «una mano aperta», con
diamante a 34 carati incastonato da quattro smeraldi, due zaffiri e due rubini (perduto).
Figura 2: Leonardo da Vinci, Studio di un dragone, 1478-80, 15.9 x 24.3 cm, stilo, penna e inchiostro su carta, Royal collection,
Windsor Castle, Windsor (RCIN 912370).
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Figura 3: Conrad von Megenberg, Il libro della natura, edizione di Augusta, 1475, xilografia, colorato a mano, foto scattata in
occasione della mostra Fantastische Tierwesen in der Graphik des 15. bis 18. Jahrhunderts, 01/02-12/06/2022, Gemäldegalerie,
Berlino.
Figura 4: Leonardo da Vinci, Foglio 50 del manoscritto G, 1510-16, Institut de France, Parigi.
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Figura 5: Gaspare Miseroni, Vaso di eliotropo, 1557, Museo degli Argenti, Firenze.
Figura 6: Gaspare Miseroni, Coppa di lapislazzuli, 1563-70 ca., Museo di mineralogia, Firenze.
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Figura 7: Gaspare Miseroni, Tazza in quarzo fumè, 1565, Museo degli Argenti, Firenze.
Figura 8: Ottavio Miseroni, Cammeo con Rodolfo II, 1590, Kunsthistoriches Museum, Vienna.
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Figura 9: Bottega dei Saracchi, Vaso di cristallo con storie di Bacco, Schatzkammer der Residenz, Monaco.
Figura 10: Bottega dei Saracchi, Galera di cristallo con storie di Mosè, Schatzkammer der Residenz, Monaco.
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Figura 11: Bottega dei Saracchi, Piatto dei dodici Cesari, Museo del Prado, Madrid.
Figura 12: Leonardo da Vinci, Piacere e dispiacere, Christ Church college, Oxford, a29r.
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Figura 12: Bottega dei Saracchi, Vaso di diaspro con Ercole e l'Idra, Museo degli Argenti, Firenze.
Figura 13: Bottega dei Saracchi, Fontana da tavola con storie di Mosè, Museo degli Argenti, Firenze (lato).
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Figura 14: Bottega dei Saracchi, Fontana da tavola con storie di Mosè, Museo degli Argenti, Firenze (sopra).
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10. Bibliografia
Cellini, B., I trattati dell'oreficeria e della scultura, a cura di Carlo Milanesi, Firenze, Felice Le
Monnier, 1857.
Cellini, B., La Vita di Benvenuto Cellini, a cura di Guido Davico Bonino, Torino, Einaudi, 1973.
Da Vinci, L., Trattato della pittura di Leonardo da Vinci, a cura di Unione cooperativa editrice,
Roma, 1890.
Del Riccio, A., Istoria delle Pietre, a cura di R. Gnoli, A. Sironi, Torino, Allemandi, 1997.
Lavin, I., Il dono regale. Bernini e i suoi ritratti di sovrani, in «Lettere italiane», LVII, numero 4,
Lomazzo, G.P., Trattato dell’arte de la pittura, Milano, Paolo Gottardo Pontio, 1584.
Vasari, G., Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti (edizione del 1568), Roma,
Wittkower, R., Wittkower, M., Nati sotto Saturno, Torino, Einaudi, 2016.
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