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BOLOGNA OCCULTA

Nove misteri per nove secoli di storia

Morena Poltronieri Ernesto Fazioli

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INDICE

1200 ÆLIA LÆLIA CRISPIS


Il mistero della Pietra di Bologna colora il cielo di Bologna!
pag. 7

1300 CECCO D’ASCOLI E DANTE ALIGHIERI Fedeli…


all’Astrologia e alle tempeste! pag. 25

1400 CATERINA DE’ VIGRI Il mistero della Santa di Bolo-


gna pag. 55

1500 CARLO V e la sua magica corte pag. 65

1600 VINCENZO CASCIAROLO… L’alchimista calzolaio


pag. 77

1700 GIACOMO CASANOVA e i ‘licantropi’


pag. 81

1800 GIOSUÈ CARDUCCI E QUIRICO FILOPANTI Masso-


neria e altri misteri… pag. 91

1900 LO SPIRITISMO… di Guglielmo Marconi e le testimo-


nianze nella Biblioteca Bozzano De Boni pag. 105

2000 I VAMPIRI IN CITTÁ e la paura della morte!


pag. 109

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Presentazione

Questo libro rappresenta un appuntamento magico con la


città, che ancora una volta si svela delicatamente, mostrando
aspetti nuovi ed inconsueti, al fine di permettere al lettore di
carpire i segreti che la resero grande nel tempo.

Questo lavoro vuole rinnovare un impegno con la città, an-


che da un punto di vista editoriale, che si concreta da ormai
più di vent’anni nelle ‘Passeggiate nei misteri magici della
città’, al fine di scoprire le storie dimenticate e segrete di una
Bologna, spesso sconosciuta. In questo caso abbiamo voluto
celebrare i novecento anni dalla fondazione del Comune cit-
tadino e dedicare ad ogni secolo un personaggio misterioso,
che magari ha toccato l’eresia, oppure ha lambito quegli ar-
gomenti che in passato erano considerati con sospetto. Ma
anche avvenimenti inconsueti, come fatti prodigiosi o avvi-
stamenti che col senno di oggi potrebbero collegarsi
all’ufologia. Che dire poi di una scoperta scientifica fatta da
un’alchimista bolognese, dell’impronta lasciata da Giacomo
Casanova, ma anche dei salotti cittadini legati allo spiritismo
e con l’aldilà, scoprire la paura dei revenant, per molti cono-
sciuti come vampiri.

Prepariamoci dunque a questo nuovo viaggio nei misteri


magici di Bologna e a entrare nei suoi nove secoli di vita co-
munale con l’occhio indiscreto del mago…

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1200

ÆLIA LÆLIA CRISPIS


Il mistero della Pietra di Bologna colora il cielo di Bologna!

I Cavalieri Gaudenti diedero origine a uno dei misteri più


occulti di Bologna, ancora oggi irrisolto. Nei loro possedi-
menti, infatti, fu trovata una misteriosa lapide, la ‘Pietra di
Bologna’ di cui ancor oggi il mondo parla. Questa è la loro
descrizione: «Frati della Militia della Beatissima Maria Ver-
gine Gloriosissima, che poi dal volgo furono chiamati Cava-
lier Guadenti. L'origine loro fù in Bologna, l'anno 1260 à dì
25 di Marzo, e da Papa Urbano IIII furono confermati, & isti-
tuiti sotto la Regola di S. Agostino dell'anno 1262 à dì 10 di
Gennaro, come per Bolla data in Viterbo; parte erano clau-
strali, e parte havevano moglie, e questi chiamavansi Con-
giugati. Andavano vestiti d'una veste bianca, con un mantel-
lo bigio: erano nobili, e di molta autorità, quali con il Podestà
reggevano, e governavano la Città, come si vede in molte
scritture autentiche. Furono poi estinti li Conventuali, re-
stando li Congiugati, li quali finirno in Camillo della Volta,
ultimo Commendadore bolognese: portavano nell'habito
bianco una Croce rossa profilata d'oro, con due stelle».

Per scrivere della loro epopea, intraprendiamo il nostro


cammino bolognese fino al termine di via Castiglione, là do-
ve s’incrocia via degli Arienti.

In questa Città copiosissima fu la propagazione di questa


Cavalleria, che apportò un fregio singolarissimo a questa
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per tanti altri titoli celebratissima, di cui ora rintracciamo la
Storia delle Chiese, Conventi, e case, che ivi si stabilirono.
La prima fu Santa Maria dell’Argento. In questa Chiesa, e
Convento vi si portò la Regola tutta de’ Cavalieri Gaudenti
nel dì 25. Marzo 1261 da Fra Loderengo Andalò Priore, e
Gran Maestro fra essi, Prior & prælatus inter eos, Gruamonte
Caccianemici, Ugolino Lambertini Cavalieri Bolognesi,
Rainero Adelardi Modonese, Sclanca de’ Liazari, Egidio e
Bernardo di Sesso fratelli, allora da Reggio, e non da Vi-
cenza, Fisaimone de’ Baratti da Parma.

Il fondatore di tale Ordine fu Loderigo degli Andalò (1210-


1293), insieme a Catalano de' Catalani (1210-1285), entrambi
sistemati da Dante tra gli ipocriti nella Divina Commedia.

La formazione della milizia era giustificata dalla volontà di


mantenere ordine in città e di placare i conflitti insorgenti tra
le fazioni contrastanti dei Guelfi e dei Ghibellini come pure
per combattere «le molte eresie, che si andavano spargendo
da alcuni ostinati Eretici, variamente nominati, tutti però Pa-
tareni».

Passiamo ora ad una delle più amene case, Convento cioè,


e Chiesa de’ Cavalieri nostri, nel distretto di Bologna. Que-
sta è la S. Trinità di Ronzano fuori Porta San Mamolo.

In questa sede Loderigo visse e governò la rete dell'Ordine


che si stava espandendo, con Catalano de' Catalani, Bona-
ventura di Guido da Savignano - converso - Fino di Tuzzo di
Montebello e Guittone d'Arezzo (1235 circa-1294).

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Abito di un frate Guadente

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La chiesa, il convento - passati nel 1475 all'Ordine dei Dome-
nicani - e la tomba del fondatore ora non esistono più, ma a
Ronzano resta l'atmosfera di mistero che ha sempre aleggia-
to intorno a questa milizia, spesso associata a pratiche esote-
riche, forse per via dell'antica usanza di adorare le divinità
pagane Pan e Silvano, proprio su questo colle.

Il Priorato dei Frati Guadenti della chiesa di San Pietro e San


Paolo e di Santa Maria di Casaralta ebbe sede in seguito nella
parrocchia di Arcoveggio, nel sito denominato Casaralta, u-
nitamente a San Michele di Castel de' Britti.

Casaralta restò all'Ordine fino alla metà del XVI secolo,


quando ne fu nominato Commendatore Achille d'Alessan-
dro Volta (?-1556).

La loro decadenza dipese dal sorgere dell'Ordine dei Cruci-


geri, che si sostituirono a loro negli intenti di mantenere la
calma in città. È possibile che a ciò si debba associare anche
la vita lussuosa e gaudente che, si dice, ben presto i frati ebbe-
ro l'opportunità di condurre, per via delle condizioni che ot-
tennero, tra cui la possibilità di sposarsi e di possedere dei
beni. Nei loro confronti si parla spesso anche di corruzione e
di come accogliessero tra le loro file persone che avessero
come unico scopo quello di sfuggire a problematiche legate
ad un comportamento civile scorretto.

L'Ordine fu soppresso alla fine del XVI secolo, da Sisto V


(1520/1-1590).

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Achille Volta fu ucciso nel 1556. Prima della morte, nel 1536,
egli rinunciò alla Commenda in favore di suo nipote Camillo
d'Astorre Volta (1528-1589), che divenne un «uomo di molto
ingegno, che fu in Bologna, l’inventore delle ombrelle per ri-
pararsi dal sole cocente; e dalla pioggia nell’aperto, inven-
zione, che da Bologna passò nelle altre Città». Camillo all'e-
poca aveva solo 8 anni. Il bimbo restò sotto tutela dello zio,
come è documentato da un'iscrizione del 1550 che comme-
mora le opere di abbellimento che egli aveva fatto eseguire
nel priorato di Casaralta: villa, giardino, fontane.

Molte delle decorazioni delle sale della villa riportavano te-


mi insoliti e particolari: un caminetto a forma di mascherone,
la cui apertura era formata dalla bocca con tanto di denti e
baffi ai lati; un uomo coricato era dipinto sul soffitto con
cornucopia nella mano destra e il piede sinistro appoggiato
su un cubo, con riportato il motto «Quieti», unitamente a un
altro uomo coperto da un mantello giallo con un papavero,
un rinoceronte e l'impresa «No Vuelo Vencer», che alcune
fonti hanno voluto riportare alle parole spagnole ‘Non volo
senza vincere’.

Queste immagini incomprensibili possono essere l'effetto di


un particolare modo di intendere l'arte e l'araldica, che si
congiungono in una impresa allo scopo di esaltare le qualità
del committente. Tali rappresentazioni erano composte da
un corpo, effigiato nella parte figurativa allegorica e da un'a-
nima, il motto o la sentenza che indissolubilmente si legava
all'emblema con la funzione di chiarirne il contenuto dell'o-

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pera. Trascendendo il senso didattico dell'immagine e della
parola, sublimando l'ideale legame mistico che integrava en-
trambi, si soleva elevare i significati a un piano sottile, all'in-
terno del quale la fusione degli elementi (‘corpo’ e ‘anima’)
creava un'unità, che era un nuovo segno, spesso con una va-
lenza simile ad un talismano.

In questa accezione l'opera artistica era un sigillo che, allo


stesso modo di un segno magico, concentrava in sé l'energia
potente degli elementi universali, e permetteva di accedere
ai segreti delle leggi divine che governavano il microcosmo,
mutuando dall'alto il riflesso più sublime del divino.

Forse fu anche per questo motivo che Achille Volta fece del
Priorato di Casaralta, un luogo di ameni piaceri, con moltis-
sime iscrizioni augurali, spesso giocando sull'appellativo dei
Gaudenti come ad esempio nella frase:

Ho consacrato questo tempio al Genio, i Giardini alle Gra-


zie, le fonti alle ninfe, i boschetti ai Fauni e la bellezza di
tutto il luogo a Sebeto (fiume divinizzato della Campania)
e alle Sirene: voglio che siate i ben venuti e i ben andati.

Anche a Ronzano una tradizione tramanda immagini inu-


suali nella sala delle riunioni dell'Ordine, che, si dice, avesse-
ro luogo nel buio più profondo della notte. Tra due finestre
era dipinta una pietra cubica nera, sulla quale trovava spazio
il famoso enigma legato all'Ordine dei Gaudenti, che invece
a Casaralta era inciso su di una lapide, ora conservata nel

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Museo Civico Medievale di Bologna, unitamente a una lapi-
de minore con una trascrizione compiuta da Achille Volta.

A Ronzano, la frase era contornata da arabeschi e immagini


misteriose… «iscrizione, che vedesi sopra del muro
dell’abitazione di S. Vincenzo di Ronzano in marmo scolpita,
Chiesa, e luogo dove abitarono per molti anni i Cavalieri
Gaudenti»:

D.M.
ÆLIA • LÆLIA •CRISPIS
NEC•VIR•NEC•MVLIER•NEC•ANDROGYNA
NEC•PVELLA•NEC•IVVENIS•NEC•ANVS
NEC•CASTA•NEC•MŒRETRIX•NEC•PVDICA
SVBLATA
NEQVE•FAME•NEQVE•FERRO•NEQVE•VENENO
NEC•CŒLO•NEC•AQVIS•NEC•TERRIS
IACET
LVCIVS•AGATHO•PRISCVS
NEC•MARITVS•NEC•AMATOR•NEC•NECESSARIVUS
NEQVE•MŒRENS•NEQVE•GAVDENS•NEQVE•FLENS
HANC
NEC•MOLEM•NEC•PYRAMIDEM•NEC•SEPVULCRVM
ET•NESCIT•CVI•POSVERIT

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La Pietra di Bologna

Le interpretazioni si sono susseguite nel corso dei secoli,


dando luogo a collegamenti quanto mai vari e fantasiosi.
Carlo Pancaldi affermò in una lettera-opuscolo che se i Gau-
denti non erano «Templari celati» né, come qualcuno aveva
pensato «antichi liberi muratori», furono però «una setta se-
creta mistagogica, gnostico-sincretistica cabalistica tendente
a struggere alla cheta ogni sovranità in Italia favorendo il
Guelfismo e la preesistente Gerarchia Cristiana Cattolica
Apostolica Romana, ma in sostanza aspirando ad essere reg-
gitrice e padrona dispotica di tutta la penisola».

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Alla luce di tale persuasione il significato dell'epigrafe miste-
riosa sarebbe stato la «Cabala, la Dottrina secreta dell'Ordine
divisa in alta e bassa».

Forse la lapide si riferisce all'emblema dell'Ordine stesso o al


momento dell'estinzione dei Gaudenti; in altre analisi svi-
luppa, invece, il concetto di lassismo e decadenza che ebbe
l'Ordine, per cui, di volta in volta, divenne la follia lussurio-
sa di cui si macchiarono gli aderenti; l'anagramma del nome
del fondatore; la pretesa segretezza della loro dottrina; l'ope-
ra svolta dalla Milizia e la distruzione motivata dalla loro
posizione al limite del paganesimo.

Si potrebbe essere portati a pensare anche a uno scherzo da


giardino, un gioco enigmatico o enigmistico per divertire,
come allo stesso scopo erano stati creati i labirinti vegetali
del giardino di Casaralta, le fontane nascoste, le illusioni ar-
chitettoniche e le collezioni di antichità vere o false.

In questo contesto anche l'immagine simbolica del giardino


gioca un ruolo preponderante, in quanto esercitava la sua
funzione di spazio protetto circondato da mura, all'interno
del quale si svolgevano le attività ludiche principali, a sotto-
lineare l'aspetto giocoso e profano della natura. Seguendo
questa logica le ultime righe dell'epigrafe sembrerebbero più
chiare, in quanto affermano:

Questo è un discorso che non racchiude alcun significato,


questo è un significato che non ha apparenza nel discorso,
tuttavia il significato c'è e sta appunto nel discorso.

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Ad aumentare i dati esoterici contribuisce ancora Gio. Pa-
squale Alidosi (XVII secolo), l'autore del testo relativo agli
Ordini cavallereschi della città di Bologna sopra citato, in
quanto ricorda a Casaralta un bassorilievo di marmo nel
quale si leggeva la parola ASOTUS (H), che poteva essere
collegato ancora una volta alla Cabala e di conseguenza
all'Alchimia, dove questo elemento, chiamato Azoth, rappre-
senta, secondo l'autore di testi esoterici Eugène Canseliet
(1899-1982), la ‘prima immagine alchemica che appare all'o-
peratore’ «che rappresenta un leone verde, contiene la vera
materia e fa conoscere di che colore esso sia; e la si chiama
Adrop o Azoth, Atropum o Duenech».

Anche il noto cultore dell'Arte Regia, Basilio Valentino (XV


secolo?), scrisse di questo elemento, nel trattato Azoth, ou le
moyen de faire l'or caché des Philosophes, in altre parole ‘Azoth,
il mezzo per fare l'oro nascosto dei Filosofi’, stampato verso
la metà del XVII secolo.

A sottolineare questo significato ermetico contribuì nel 1597


Nicolas Barnaud (1538-1604) con il suo testo Commentario-
lum in Ænigmaticum Quoddam Epigraphium Bononiæ Studio-
rum, Ante Multa Secula, Lapidi Insculptum. Huic Additi Sunt
Processus Chemici Non Pauci, nel quale presenta la lapide di
Bologna come una summa alchemica da cui desumere le
principali tappe da compiere per raggiungere l'Oro Filosofi-
co.

Il gesuita alchimista Athanasius Kircher (1602-1680), nel suo


testo Œdipus Ægyptiacus, si provò nell'impresa della tradu-
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zione, confondendo la parola Crispis con Rispis e da qui fece
un anagramma della parola Pyris, ‘fuoco’, credendo perciò di
vedere nell'iscrizione l'opera di raffinamento della materia
per opera del fuoco; sostenne anch'egli di percepire nell'epi-
grafe il simbolo dell'Idea in senso platonico, emblema del
Tempo e l’analogia dei luminari astrologici, il Sole e la Luna,
elementi base nella trattazione di un alchimista e ricorrenti
nella letteratura simbolica della Bologna cinquecentesca.

Inoltre, lo scrittore francese Gérard de Nerval (1808-1855) ci-


tò l'epigrafe nei testi a carattere esoterico Le Comte de Saint-
Germain e Pandora, editi nella seconda metà del XIX secolo.

Alla luce di questi studi acquistano particolare importanza


tutte le attribuzioni che, dal 1548, sono state date per decrit-
tare l'enigma, a tutt'oggi ancora insoluto, tra queste: l'acqua
della pioggia, l'immagine della Niobe biblica trasformata in
una statua di pietra, quindi sia cadavere che sepolcro; l'ani-
ma; la materia prima; la canapa; un indovinello facile da ri-
solvere quanto trovare la pietra filosofale; la legge; il musici-
sta e la sua musica; un eunuco; il corpo e l'anima; il Tempo e
l'ombra; il Sole e la Luna, l'amore; il genere umano; la Chiesa
di Cristo; tutte le cose esistenti; la distruzione operata dalla
morte, soluzione di Vincenzo Totano della Rocca. Egli stesso
raccolse anche la teoria formulata da Marcellino Sibaud (XIX
secolo), secondo la quale l'iscrizione era da intendere in sen-
so più allargato, come riferimento al culto pagano di Ario-
Bacco, che il toponimo di Casaralta, sede dell'Ordine, ri-
chiamava nella sua versione Cas-Ara-Alta, da tradurre come

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il ‘tempio di Bacco principale’, dalle cui ritualità gli apparte-
nenti all'Ordine avrebbero recuperato la loro famosa e fumo-
sa dottrina segreta. Inoltre la via che conduceva verso Casa-
ralta, via Mascarella, deriverebbe da ‘via del Mistero di Æe-
lia’.

Molti elementi delle interpretazioni succitate riportano a te-


mi ermetici, all'Astrologia ed ai suoi innegabili contatti con
l'Alchimia anche se non sembra che l'argomento abbia esau-
rito i suoi misteri.

L'epigrafe ha dato adito anche a narrazioni più complesse;


tra queste ricordiamo la leggenda che fa risalire l'iscrizione al
tempo dell'avvento dei Romani nel territorio di Bologna, oc-
cupato dai Galli Boii, quando l'ermafrodito Ælia trovò rifu-
gio presso Lucius. La bellezza di Ælia, in cui appariva più
pronunciata la parte femminile, fece innamorare sia Lucius
che uno dei suoi schiavi. Ælia si abbandonò all'amore per lo
schiavo, di cui Lucius era all'oscuro. Il triste epilogo della vi-
cenda si attuò nel momento in cui lo schiavo decise di tron-
care la relazione con l'ermafrodita che, per questo motivo,
decise di lasciarsi morire di fame. Ælia non riuscì a morire di
fame e neppure attraverso la lama di ferro di un'arma. Sfinita
da questi tentativi vani trovò la morte nel veleno. Difficile
dire quale sia stata la vera causa del decesso, in quanto sia la
fame, che il ferro ed il veleno avevano contribuito a porre fi-
ne alla sua fragile esistenza. Lucius trafelato, la seppellì in un
giardino ameno, bagnato da dolci acque, seguendola ben
presto nella sorte. Lo schiavo sembra si sia divertito a scrive-

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re l'epitaffio, che divenne poi la misteriosa epigrafe di Bolo-
gna.

La fantasia degli autori ha aperto la strada anche a falsifica-


zioni, l'ultima delle quali risale a tempi molto recenti.

Nel 1911 il quotidiano di Bologna, il Resto del Carlino, diede


credito a una notizia riportata dal Giornale d'Italia, in cui si
affermava che una lapide simile a quella bolognese era stata
ritrovata a Tarascona.

Questa mitica terra evocava legami con l'Ordine dei Templa-


ri, di cui l'epigrafe sarebbe un emblema comune. L'accusa di
blasfemia che fu attribuita alla Milizia templare per via della
venerazione del Bafometto, l'idolo demoniaco androgino con
testa di capro e ali di angelo... secondo questa recente inda-
gine potrebbe essere identificato con la frase contenuta
nell'epigrafe bolognese, che descrive un essere né donna, né
uomo, né androgino, ma tutti e tre i dati assemblati in un'u-
nica figura, probabilmente demoniaca.

Forse l'iscrizione a Tarascona non è mai esistita, ma il fascino


della pietra di Bologna rimane con le sue incerte parole ad
eterna memoria dell'utilizzo del simbolo nella Storia ufficia-
le, che di questa epigrafe ha lasciato di certo solo la tradu-
zione:

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AGLI DEI MANI
ÆLIA LÆLIA CRISPIS
NÈ UOMO NÈ DONNA NÈ ANDROGINO
NÈ FANCIULLA NÈ' GIOVANE NÈ VECCHIA
NÈ CASTA NÈ MERETRICE NÈ PUDICA
MA TUTTO CIÒ.
ESTINTA
NON DA FAME NON DA SPADA NON DA VELENO
MA DA TUTTO CIÒ;
NÈ IN CIELO NÈ IN ACQUA NÈ IN TERRA
MA OVUNQUE GIACE.
LUCIUS AGATHO PRISCIUS
NÈ MARITO NÈ AMANTE NÈ PARENTE
NON TRISTE NÈ LIETO NÈ PIANGENTE,
QUESTO
NÈ MONUMENTO NÈ PIRAMIDE NÈ SEPOLCRO
MA TUTTO CIÒ
EGLI SA E NON SA PER CHI POSE

Oggi si ritiene di avere individuato la soluzione ripescando


un epigramma attribuito ad Agatia lo Scolastico (VI secolo),
che ebbe numerose traduzioni, tra cui anche quella di Ange-
lo Ambrogini, detto Poliziano (1454-1494). In questo senso, si
avanza l’ipotesi che l’enigma possa rappresentare l’anima
umana, che muore a se stessa prima di incarnarsi in un corpo
terreno.

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Antica stampa di uno strano fenomeno celeste, 1561

Lo strano cielo di Bologna!

In questo stesso secolo, insieme ai Gaudenti, nacquero tante


altre storie fantastiche che diedero vita ad avvistamenti stra-
ni nel cielo di Bologna. Nel Febbraio 1208 la luna cambiò co-
lore tre volte; il 25 Gennaio 1280 apparve in cielo una strana
cosa, durante un’eclissi di luna: un temibile dragone con
un’ampia coda si librava nel cielo della città. La paura fu tan-
ta, in quanto furono previsti terribili effetti malefici, forse
una carestia o peggio la peste… che regolarmente giunsero a
segnare la città già afflitta da poco da una sanguinolenta
guerra civile che aveva portato la distruzione a Bologna.

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Un’altra cronaca del XIII secolo descrive un terremoto in
concomitanza del passaggio di una Trabes ardentes ovvero
‘trave di fuoco’. Lo storico secentesco Matteo Palmieri af-
fermò a questo proposito: «Venne il terremoto; fece di ma-
niera crollare la torre del Comune [...] le mura del Palazzo si
spaccarono e caddero molti merli. Si vide ancora una trave di
foco per l'aria e si accese il foco sulla torre Asinella, il quale
arse tutto il disopra. Crollò la campana, ed il custode ebbe
gran pena a fuggire». Alcuni fonti si spingono ben oltre e
raccontano che lo spaventato custode riuscì a vedere dentro
alla trave, sospesa immobile sulla Torre, alcuni esseri viventi
simili a diavoli. Ma questo fu solo l’inizio di una lunga serie.
Infatti, un dragone tornò il 12 Ottobre 1352, di notte, nella vi-
sione di un globo di fuoco «molto grande e lungo; attraversò
il cielo come un fulmine, aveva la parte anteriore grossa e
andava assottigliandosi verso la coda. Al suo passaggio e-
manò una luce intensa e scomparve rapidamente. Molti bo-
lognesi lo videro e tutti pensarono che si fosse trattato di un
fenomeno di straordinaria importanza e di un grande avve-
nimento del cielo». La terra tremò in città e la campana
dell’Arengo suonò da sola la notte del 21 Luglio 1399, quan-
do il cielo divenne colore del fuoco, seminando il panico tra
la popolazione che vide librarsi in cielo una trave di fuoco, il
Ghirardacci nella sua Historia la racconta così:

Alli vinti et il dì seguente di Luglio alle cinque hora di not-


te in Bologna, fu un grandissimo terremoto, che parea che
il mondo tutto volesse ruinare. La Torre del Comune crol-
lò, la campana grande, senza essere toccata, suonò tre o
quattro colpi gagliardi, e nell'aria apparve una trave di
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fuoco ardente, che con grandissimo spavento ne andava al
ciel volando, e le mura dell'Orto del Palazzo per dieci per-
tiche si risentì ed in molti luochi si aperse, e cascarono mol-
ti merli del detto palazzo, con la ruina di molte case. […] A
questo seguì un altro prodigio. Che alli 6 di Agosto il fuoco
si accese sulla torre degli Asinelli ed arse li corridoi e la
torricella della campana, e se il custode non ne scendea re-
stava nel mezzo delle fiamme [...] la campana che in basso
cadde, in buona parte si liquefece.

L’incendio descritto nel racconto è molto particolare se si


pensa che riuscì a liquefare addirittura la campana di bronzo
della Torre degli Asinelli.

Poi ancora altri fatti incredibili sono descritti sulla chiesa di


San Domenico nell’anno 1469:

Fu l'Anno insigne, perche alli 14. ò fecondo altri alli 16. di


Febraro circa le 7 bore di notte alla presenza del Cardinale
Filippo Vescovo di Bologna, e di altri due Vescovi, Antiani,
& il Pretore di Bologna, de' Dottori, e de' Nobili, li Padri di
quel nobilissimo Monasterio di S. Domenico vestiti di Ve-
ste Sacre, con torchi accesi in mano, apersero il Glorioso
Sepolcro, dove il Corpo del gran Patriarca S. Domenico Ca-
lagoritano, fondatore di quel Santo Ordine, quivi in una
Cassa di odorifero Cipresso era conservato, del la quale e-
stratto il capo solo per mano del Vescovo di Bologna, den-
tro un pretioso Tabernacolo di argento fatto a tale effetto,
fu divotamente riposto. Ora mentre, che si faceva opera co-
tanto religiosa, stando il Sepolcro del Santo aperto si vide-
ro molti miracoli, e fra gli altri una Stella crinita con tre co-
de, che sopra la detta Chiesa apparve da tutto il popolo
veduta, la quale stette immobile infino a tanto, che il Se-
polcro fu rinchiuso, e che il detto capo nel Tabernacolo fu
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serrato, e poi disparve, il qual capo il dì seguente alle hore
22. con grandissima devotione fu publicamente a tutto il
Popolo di Bologna mostrato.

In questa occasione si parlò di «Stella crinita con tre code» e


di un miracolo, anch’essa sospesa immobile nel cielo!

Lasciamo anche noi in sospeso questi fatti, in cui molti intra-


vedono la presenza nei cieli di Bologna di Oggetti Volanti
Non Identificati, in una parola sola gli UFO!

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1300

CECCO D’ASCOLI E DANTE ALIGHIERI


Fedeli… all’Astrologia e alle tempeste!

Cecco D’Ascoli e Dante Alighieri lasciarono una traccia im-


portante e misteriosa proprio a Bologna. Nemici amici da
sempre, entrambi appartenenti a quella che fu chiamata setta
dei Fedeli d’Amore, entrambi studiosi di Astrologia, ma an-
che raffinati letterati. Uno con più fortuna, l’altro bruciato al
rogo a Firenze e non occorre sottolineare quale dei due. La
loro storia si è intrecciata più volte a Bologna e ognuno dei
due personaggi ha lasciato una scia che poi ha creato altri
percorsi e storie misteriose, al di là di quelle ufficiali

Dante Alighieri, inFedele d’Amore

Fu proprio a Bologna che Dante entrò in contatto con Cecco,


astrologo ascolano che insegnò Astrologia dal 1324 presso
l’Università bolognese, quando questa Cattedra faceva parte
della Facoltà di Medicina. Alcune epistole tra i due perso-
naggi, documentano l’interesse e la conoscenza di Dante per
tale materia. Una tra le lettere più importanti reca alcune
domande di tipo astrologico da parte di Dante verso
l’Ascolano, tra le quali emerge un dubbio da parte del Poeta
in relazione a un oroscopo redatto per due gemelli, per cui
egli chiese come procedere dal momento che l’orario di na-
scita, dato importante per erigere un tema natale, era prati-
camente uguale.

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L’amore di Dante verso il cielo e i suoi movimenti è anche
testimoniato nella Divina Commedia. Ognuna delle tre parti
dell’opera terminano con la parola ‘stella’. Nell'Inferno l'ulti-
ma frase è «A riveder le stelle», inteso come ritorno allo stato
umano, ma rinnovati così da captare i riflessi del divino e
migliorare. L'ultima frase del Purgatorio «Salir le stelle», con-
ferma il concetto di ascesa continua e necessaria e infine, nel
Paradiso, «L'Amore che move il sol e l'altre stelle» indica
proprio il centro massimo d'energia divina, da cui tutto si di-
rama.

Non dimentichiamo che egli descrive spesso le costellazioni,


conosce il suo segno zodiacale, Gemelli, ed elogia senza in-
dugio questa Arte Liberale nel Convivio segnalandola come
la più raffinata e difficile delle attività liberali umane sia per
la «nobilitade del suo subietto» che per «la sua certezza». Dal
momento che secondo lui gli astri influenzavano l'uomo e la
natura lo studio dell’Astrologia era considerato nobile e uti-
le. Non mancano le contraddizioni. Due dei personaggi posti
all’Inferno, XX Canto, nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio,
ove sono puniti gli indovini e i maghi, troviamo due astrolo-
gi che, tra l’altro, ebbero molto a che vedere con Bologna.
Parliamo di Michele Scoto e Guido Bonatti.

Quell’altro che ne’ fianchi è così poco,


Michele Scoto fu, che veramente
delle magiche frode seppe il gioco.
Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,
ch’avere inteso al cuoio ed allo spago
ora vorrebbe, ma tardi si pente.

26
Michele Scoto nacque nella contea di Tife in Scozia verso il
1175 e morì nel 1234, fu uomo di grande cultura e si occupò
di occultismo e Alchimia. Scoto scrisse diverse opere: una
traduzione di Aristotele, alcuni trattati di Alchimia e la Men-
sa Philosophica un elaborato suddiviso in quattro libri nel
quale esaminò i differenti aspetti degli alimenti e dei vini, in-
sieme alle loro qualità ed effetti benefici. In questa opera egli
analizzò alcuni elementi del cibo in chiave alchemica, valu-
tando l’esperienza del nutrimento come un complesso siste-
ma di trasmutazione sia fisica, che filosofica. Merita ricorda-
re la sua figura, anche per via della sua fama leggendaria che
lo vide presente a Bologna, prima di entrare sotto la prote-
zione di Federico II. La fantasia popolare dell’epoca lo ricor-
da come personaggio dalle doti mirabili, in grado di orga-
nizzare banchetti tra i più lussuosi nel giro di pochi attimi
grazie all’aiuto di intere gerarchie di demoni che egli evoca-
va e che in un battere di mani giungevano in volo, allestendo
i più preziosi festini presso le case più altolocate della città e
soprattutto all’interno del Palazzo oggi chiamato Re Enzo.
Quando Michele Scoto giungeva a Bologna, tutti sapevano
della sua presenza che veniva sempre anticipata da scosse
telluriche che toccavano tutta la città. Egli predisse persino la
causa della propria morte che sarebbe dovuta avvenire per la
caduta di una pietra sulla sua testa. Proprio per questo moti-
vo egli indossava sempre una calotta a guisa di elmo, a pro-
tezione del capo.

Un giorno per entrare in chiesa e assistere a una funzione, la


dovette togliere... e fu allora che una massa pietrosa lo colse
27
sulla testa, facendolo morire. Leggenda vuole che Scoto pre-
disse anche la morte di Federico II che sarebbe avvenuta sub
flore, ragione per la quale evitò di andare nelle città che con-
tenevano la parole ‘fiore’ come Firenze, Fiorenzuola per poi
morire a Castel Fiorentino.

Guido Bonatti fu consigliere di Federico II ed ebbe un impor-


tante ruolo a Bologna, come docente di Astrologia. Egli ebbe
diverse diatribe con frate Giovanni Schio da Vicenza, noto
detrattore di tale materia. Bonatti, nei suoi testi, dedicò am-
pio spazio a nozioni fondamentali sull’equatore, l’eclittica, le
coordinate altazimutali e il sistema di Tolomeo, spiegando i
fenomeni della stazione e della retrogradazione dei pianeti.
L’astrologo prese in esame il noto libro Elementa Astronomiae
di Alfargano (IX secolo), tradotto dall’arabo nel XII secolo e
dal quale anche Dante trasse ispirazione per le sue tante dis-
sertazioni astronomiche e astrologiche.

A proposito della Divina Commedia appare un particolare si-


gnificativo all’interno del chiostro benedettino del Comples-
so Stefaniano, ove vi è un pozzo che qualcuno ha voluto leg-
gere come l'immagine ideale dell'ingresso al mondo sotter-
raneo. L’opera del Poeta sappiamo essere collocata a Gerusa-
lemme e per scendere negli inferi occorreva passare attraver-
so un pozzo. Dal momento che il Complesso Stefaniano ha
da sempre rappresentato la Gerusalemme Occidentale, il
pozzo del chiostro potrebbe essere visto, in questa accezione,
come passaggio simbolico verso il mondo sotterraneo, ricor-
dando che l'elevazione più completa avviene solo quando si

28
riesce a scendere
nella profondità,
superando le ne-
gatività, per risali-
re con maggiore
forza e rinnovata
fede. Anche tanti
riti d'iniziazione
precristiana pre-
vedevano l'entrata
dell'uomo in un
incavo scavato
nella terra e la
permanenza in
questo stato, per
poi rinascere a
nuova vita, purifi-
cati.

Si dice che Dante


Figura umana con la testa girata all'indietro,
Alighieri avesse
Chiostro Complesso Stefaniano trovato spunti per
il suo Inferno dalle
splendide figure antropomorfe e grottesche poste sui capitel-
li del colonnato superiore del chiostro. Una tra le più interes-
santi rammenta una figura umana con la testa girata all'in-
dietro, così come gli indovini prima citati erano condannati a
girare con la testa voltata all’indietro per aver osato guardare
troppo avanti nel futuro in vita.
29
Sempre rimanendo
all’interno del chio-
stro del Complesso
Stefaniano, appare
un’altra formella che
probabilmente ispirò
Dante, ovvero quella
dell’uomo a gambe
incrociate a forma di
X, e il Poeta riferisce
la natura cosmica di
questa postura, tra
l’altro assimilabile al
concetto di infinito
ripreso anche dai
Templari. Questa
forma non evoca so-
lo il simbolismo
templare connesso
Uomo a gambe incrociate a forma di X, all’immortalità, ma
si collega anche al
Chiostro Complesso Stefaniano
concetto di incrocio.
Il suo aspetto scienti-
fico si lega al simbolismo matematico. Infatti, il numero dieci
rappresenta l’insieme delle dita delle mani, che viene espres-
so incrociando le mani stesse, così da disegnare una X, il die-
ci romano, una sorta di incrocio, ma anche la necessaria ope-
ratività che traduce il pensiero. L’incrocio si trovava già co-
me segno esoterico nella parte più interna e più segreta delle
30
grotte preistoriche e successivamente l’incrocio di due trian-
goli, evocò l’unione di due divinità, maschile e femminile
che in molte mitologie regolava il destino dell’universo.
Questi significati verranno poi trasposti nel simbolismo ma-
tematico, in quanto l’incrocio legato alla nascita divina, rap-
presentò il segno della moltiplicazione, ma essendo un mi-
stero sacro divenne anche la lettera per figurare l’incognita.
Questo segno divenne anche l’elemento più naturale per e-
scludere qualcosa, mentre da un punto di vista alchemico,
era il crogiolo per la fusione, che i vasai segnavano con una
piccola croce, indice di buona fabbricazione e di solidità.
Probabilmente questa lettera ebbe un particolare significato
anche per Dante. Secondo gli studi di Eugéne Aroux e René
Guénon, Dante fece parte di un terz'ordine di filiazione tem-
plare. Secondo questi studi, Dante sarebbe stato uno dei capi
di questa filiazione e ciò sarebbe confermato da una meda-
glia presente al Museo Imperiale di Vienna, che portava inci-
sa la scritta F.S.K.I.P.F.T. con la raffigurazione dello stesso
Dante e del pittore Pietro da Pisa. Le iniziali F.S.K., starebbe-
ro per ‘FIDEI SANCTE KADOSH’, termini usati fino ai no-
stri giorni per indicare gli alti gradi della Massoneria e che in
ebraico avrebbero connessioni con il concetto di santità e
consacrazione. Le iniziali I.P. starebbero per ‘IMPERIALIS
PRINCIPATUS’, una forma allegorica per indicare un domi-
nio superiore, ricordando che il Santo Impero ebbe un preci-
so significato, e anche oggi appare presente nella Massoneria
scozzese. Le ultime due lettere F.T. significherebbero, invece,
‘FRATER TEMPLARIUS’, in altre parole fratello templare.

31
Tornando a Bologna, Dante ebbe diverse contestazioni, per
esempio da Giovanni del Virgilio, soprattutto da un punto di
vista linguistico. Inoltre, il cardinale Bertrando del Poggetto
condannò la Monarchia, mentre nel 1329, Guido Vernani da
Rimini compose un testo in antagonismo a quello criticato di
Dante, dal titolo De reprobatione Monarchiae, dedicato al bolo-
gnese Graziolo Bombaioli. Questi nel 1324 aveva commenta-
to in latino, e successivamente in volgare, l’Inferno. A questo
lavoro seguì il commento dell’intero poema da parte del bo-
lognese Jacopo della Lana (1326-28) e nel 1375 di Benvenuto
da Imola.

La Lectura Dantis crebbe di importanza nel tempo, al punto


di divenire, dal 1395, Cattedra di Filologia dantesca, retta per
la prima volta a Bologna da Biagio da Perugia.

A proposito della permanenza di Dante a Bologna restano


molte altre tracce. Per esempio nel De Vulgari Elonquentia, I,
IX si legge:

...e ciò che fa più maraviglia, quelli che dimorano sotto uno
stesso cittadino reggimento, come i Bolognesi del Borgo
San Felice ed i Bolognesi di Strada Maggiore. Perché av-
vengano tutte queste differenze e mutamenti nelle parlate,
sarà manifesto in un'unica e medesima ragione.

Dante cita misteriosamente due linguaggi, che avrebbero


dovuti essere parlati a Bologna, ma di due lingue in città non
se ne ha traccia storica. In un contesto allegorico, Dante a-
vrebbe potuto alludere non tanto a due lingue parlate dal
popolo, ma a due diversi modi di espressione appartenenti
32
al linguaggio nascosto delle associazioni segrete del tempo.
Il sonetto si ispirerebbe a un dissidio interno al movimento
dei Fedeli d'Amore, nel quale probabilmente si erano create
due correnti in contrasto tra loro, di cui una capeggiata da tal
Garisendi. Una di queste fazioni era situata nella parte patri-
zia della città, Strada Maggiore, e una nella parte plebea, via
San Felice. Le due contrade citate, Strada Maggiore e via San
Felice, sono collocate diametralmente opposte nel reticolo
cittadino e la Garisenda ne rappresenta il perno centrale.
Probabilmente dal suo linguaggio si deduce che il dialetto
giusto e corretto era quello parlato nella direzione di Strada
Maggiore, ove peraltro si trovava la Magione, sede bologne-
se dei Templari. Per cui, pur da un punto di vista simbolico,
Dante riteneva che il linguaggio giusto fosse proprio quello
legato all’Ordine dei Fedeli di Dio. Forse per questo motivo,
la torre della Garisenda appare ancora al centro
dell’attenzione del Poeta, dal momento che, in un altro passo
delle Rime, Dante afferma:

Non mi poriano già mai fare ammenda


del lor gran fallo gli occhi miei sed elli
non s’accecasser, poi la Garisenda
torre miraro co’ risguardi belli,
e non conobber quella (mal lor prenda!)
ch’è la maggior de la qual si favelli…

e ancora nell’Inferno, XXXI, 136-141

Qual pare a ricordar la Garisenda


sotto ‘l chinato, quando un nuvol vada

33
sovr’essa sì, che ella incontro penda;
tal parve Anteo a me che stava a bada
di vederlo chinare, e fu tal ora
ch’i’ avrei voluto ir per altra strada

Citazione dantesca sulla Torre Garisenda

A memoria di questi passi, la citazione tratta dall’Inferno è


riportata su di una lapide di marmo sulla torre prima nomi-
nata. Il riferimento alla minore tra le due torri bolognesi, in
questo canto, si ripete di continuo, come una variante fanta-
stica, per rendere chiara l’impressione della forza sovrumana
di Anteo. Infatti, come appare la Garisenda, guardandola dal
basso, e precisamente dalla parte ove essa pende, quando
una nuvola le viene incontro, per un’illusione ottica può
sembrare che la nube stia ferma e che la torre si pieghi verso
di lei, così pare la figura di Anteo a Dante, che sta sospeso ad
attendere il momento in cui si sarebbe chinato. Una volta poi
34
attuato questo movimento, il gigante si leva in piedi, appa-
rendo d’un tratto, ritto come un albero della nave.

Inoltre vanno anche ricordate le celebri salse bolognesi, citate


nell’Inferno, XVIII, 48,51

O tu che l’occhio a terra gette,


se le fazion che porti non son false,
Venedico se’ tu Caccianemico:
ma che ti mena a sì pungenti salse?

Dante utilizzò questo luogo obbrobrioso della città di Bolo-


gna, per il primo girone infernale della Malabolgia, dove i
ruffiani erano puniti a colpi di staffile; oltre Dante, anche Pa-
olo Costa, Benvenuto da Imola, un anonimo fiorentino e
Giovanni Boccaccio scrissero di queste salse, come di luoghi
posti fuori porta San Mamante (San Mamolo), a Bologna, ove
trovavano ultima dimora gli impenitenti o coloro i quali era-
no scomunicati per eresia o altri crimini. Qui erano puniti i
malfattori: suicidi, scomunicati, eretici, giustiziati, e quindi si
trovavano tutti i cadaveri consideranti infamanti, non degni
di sacra sepoltura. Sulla strada che dalla cima del Colle
dell'Osservanza conduce a Gaibola, nei pressi dell'antico
convento di San Paolo, una lapide posta su di un edifico, ri-
corda questo frammento di storia infame. Da questo passo
dell’Inferno emerge il pensiero di Dante a proposito della cit-
tà di Bologna, considerata degradata, ipocrita, carnale e for-
temente legata al materialismo. Infatti, viene citata ancora la
figura di Venedicio Caccianemici, considerato ipocrita per

35
avere spinto la sorella tra le braccia vogliose del marchese
estense.

I’ fu colui che la Ghisolabella condussi a far la voglia del


Marchese, come che suoni la sconcia novella. E non pur io
piango bolognese; anzi n’è questo luogo tanto pieno, che
tante lingue non son ora apprese a dicer “sipa” tra Sàvena
e Reno, e se di ciò vuoi fede o testimonio rècati a mente il
nostro avaro seno.
Inferno, XVIII, 55-63

Inoltre, appare un riferimento preciso alla parola in volgare


bolognese sipa, terza persona del congiuntivo del verbo esse-
re, che declama un mondo bolognese governato dalla cupi-
digia e dal materialismo.

Non lontano dalla Gaibola, a Bologna, sorge l’eremo di Ron-


zano, che rammenta la tumultuosa storia dell’Ordine dei
Gaudenti, di cui trattiamo anche in un altro capitolo, fondato
a Bologna da Loderingo degli Andalò e Catalano de Catala-
ni, figure che Dante sistemò tra gli ipocriti, all’Inferno, XXIII,
100-108.

E l’un rispuose a me: “Le cappe rance


son di piombo sì grosse, che li pesi
fan così cigolar le lor bilance.
Frati Godenti fummo, e bolognesi,
Io Catalano e questi Loderingo
Nomati, e da tua terra insieme presi,
come suole esser tolto un uom solingo,
per conservar sua pace; e fummo tali,
ch’ancor si pare intorno al Gardingo.

36
E ancora:

E ‘l frate: “io udii già dire a Bologna


del diavol vizi assai, tra’ quali udì
ch’elli è bugiardo, e padre di menzogna.
Inferno, XXIII, 142-144

La storia di questo Ordine fu molto travagliata e vi furono


molti autori del passato che intravidero nelle istanze fonda-
mentali portate avanti dai sostenitori, dei collegamenti con il
mondo dell’Alchimia e dell’esoterismo in generale, per via di
rituali segreti e di iniziazioni pseudo-templari, che si affer-
mava fossero occultamente perpetuate all’interno
dell’Ordine.

Nel XV canto si completano le invettive contro Bologna e la


sua degenerazione di costumi soprattutto nell’ambito
dell’università e nel settore giuridico. In questo senso, Dante
accusa il vizio di Francesco, figlio del celebre dottore di legge
Accursio, mettendolo all’Inferno, nella turba grama dei sodo-
miti, insieme a chierici e letterati di chiara fama.

Appare poi un altro duro giudizio da parte del Poeta verso


Bologna, nel Fiore, ove la città viene considerata tra le più
simulatrici. Certo è che se per il linguaggio dei Fedeli
d’Amore, simulare significava ‘fingere di stare dalla parte
dell’ortodossia’, per poi seguire le proprie idee iniziatiche, il
significato di questo giudizio potrebbe indicare Bologna co-
me centro energetico di questa setta letteraria, pur avendo la
37
città la capacità di fingere una particolare dedizione verso la
Chiesa di Roma, per non perderne i benefici materiali.

A proposito di materialità e di lussuria, di cui Bologna fu ac-


cusata da Dante, appare un ritratto ufficiale del Comune del-
la città, disegnato in un registro del 1298, che raffigura la
tromba del banditore pubblico accanto ad un animale, che
rappresenta la lussuria, e in questo si ravviserebbe fortemen-
te la lonza dantesca citata nell’Inferno.

Queste idee negative sulla città, lasciano posto, nel Purgato-


rio, alla nostalgia verso personaggi connotati da valori cortesi
e cavallereschi che ormai all’epoca non esistevano più. Que-
sto si evince per via del rimpianto da parte di Dante, nel ri-
cordare Fabbro dei Lambertazzi, Ghibellino e poeta, perso-
naggio rappresentativo di un mondo giusto e corretto, già a
quel tempo scomparso.

Molto significativo è anche l’episodio che descrive la rivalità


tra artisti, in cui Dante incontra tra i superbi il miniatore O-
derisi da Gubbio, che confessa la propria inferiorità rispetto
a Franco Bolognese.
Oltre a ciò, non bisogna dimenticare il rapporto profondo di
Dante con Guido Guinizelli, iniziatore del Dolce Stil Novo e
adepto dei Fedeli d’Amore, proprio a Bologna. Nel De Vulga-
ri Eloquentia, Dante dimostra di avere una profonda cono-
scenza dei rimatori bolognesi.

D’altro canto fu Bologna ad accettare per prima le opere di


Dante, già dal 1287. I Memoriali stilati dai notai bolognesi te-
stimoniano, nel 1293, ampi passi della canzone Donne
38
ch’avete intelletto d’Amore e nel 1316 la ballata Donne io non so
di ch’i’ mi prieghi Amore e i primi otto versi della petrosa (che
nel linguaggio dei Fedeli d’Amore era riferito alla Chiesa di
Roma) e Così nel mio parlar voglio esser aspro. Inoltre, sempre a
Bologna, nel 1306, fu arrestato, per il furto della Vita Nuova
di Dante, Bernardino da Polenta, fratello di Francesca, per-
sonaggio del V canto dell’Inferno. Mentre nel 1317 appare un
Memoriale bolognese che conserva la più antica citazione del-
la Divina Commedia:

E ‘l duca lui: “Caròn, non ti crucciare:


vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole,
e più non dimandare”.
Inferno, III 94-96

Infine, occorre ricordare una recente ricerca promossa dal


dott. Marco Poli, dalla quale risulterebbe, dalle carte
dell’Archivio di Stato di Bologna, un documento molto signi-
ficativo.
Dante sarebbe passato da Bologna nel 1303 e probabilmente
aveva letto o fatto leggere alcuni versi del canto V
dell’Inferno ad un notaio poeta che li aveva vergati su una
pergamena. Questa scoperta potrebbe rivoluzionare le date
presunte della composizione della prima cantica del Poema.
Da questa ricerca, attuata anche grazie al lavoro svolto
dall’Archivio di Stato di Bologna, sono stati reperiti docu-
menti importanti inediti: poesie, scritte in volgare e disegni,
tra i quali anche i versi danteschi.
Si potrebbe così affermare che Dante scrisse l’Inferno prima
dell’esilio, e la città di Bologna, dopo molti secoli, risultereb-
be ancora legata al suo nome.
39
Cecco D’Ascoli, eretico fino alla morte!

Importante professore di Astrologia presso la Cattedra di Bo-


logna, visse e insegnò in Via Gargiolari. Nessuna lapide ri-
corda la sua permanenza nella nostra città e la porta d'in-
gresso alla sua antica abitazione e studio è stata murata per
favorire la costruzione della Galleria Falcone Borsellino.
Sembra un segno che segue il corso della storia, che vide il
proliferare di questi studi fino al loro declino e la scomparsa
di una ricerca tra le ceneri dello stesso rogo che pose fine alla
vita del professore. Col rogo bruciò anche la sua immagine
facendo scomparire le sue tracce nel tempo, fino ad oggi, nel-
la quasi totale dimenticanza.

La data di nascita di Cecco è incerta, nato ad Ancarano pres-


so Ascoli Piceno(1250/1257/1269), il suo vero nome era
Francesco Stabili. La sua origine è leggendaria, forse presen-
te a 15 anni a Salerno per motivi di studio. All'età di diciotto
anni entrò nel monastero di Santa Croce ad Templum, centro
sostenitore dell'esoterismo templare della Marca Meridiona-
le. Successivamente fu a Parigi, Avignone e infine a Bologna,
come lettore della Cattedra di Astrologia, nell'ambito della
Facoltà di Medicina. Pare incerta anche la reale data in cui fu
presente nella nostra città, il primo documento attendibile
risale al 24 Maggio 1324, dove viene attestato il suo stipendio
di lire 100, per la lettura di Astrologia a Bologna. Ogni possi-
bilità di presenza anteriore pare confutabile, anche se secon-
do alcuni storici egli era già in città dal 1318, per via di alcuni
fatti, non ultimo quello legato ad una rissa finita a schiaffi,

40
alla quale Cecco, forte e irruento, avrebbe partecipato, con
tanto di notifica legale a riguardo. La sua intelligenza schiet-
ta e diretta, gli permise un contatto intenso con Bologna, ma
anche molte contestazioni per via della sua imprudenza
nell'esporre le proprie idee.

Egli scrisse diversi testi significativi, tra cui il Commento alla


sfera (1324) e successivamente il Commento all'Alcabizio dell'a-
strologo arabo Abdel haziz al Cabir, studioso del X secolo,
lavoro che poi venne raggruppato in 6/7 lezioni note come
De Principiis Astrologiae. In queste lezioni già prevaleva il suo
pensiero che confutava la logica del libero arbitrio. Secondo
il suo punto di vista, tutto si muoveva seguendo le influenze
astrali; così come il mare è influenzato dalla luna, l'uomo
stesso non poteva sottrarsi a questo magnetismo. Questo
concetto risultò strettamente legato alla Medicina e al suo la-
to operativo, per cui questa materia non veniva esaminata
solo per l'anatomia o l'aspetto farmacologico, bensì nell'am-
bito cosmico, nel quale tutto si relaziona e interagisce vicen-
devolmente. Per fare un esempio, Cecco affermò che una ti-
pologia caratteriale di tipo sanguigno subiva delle influenze
astrali che, nel caso di interventi chirurgici, potevano portare
reazioni entro le 24 ore successive e cioè un duplice accumu-
lo verso le parti alte del corpo, con il pericolo di emorragie o
febbri acute. Invece per il tipo flemmatico, la reazione poteva
prevedere il sorgere di edemi ed espettorazioni. Egli studiò
molti aspetti legati alla chirurgia e le corrispondenze tra le
parti anatomiche e gli astri, insieme al loro magnetismo, in
quanto vedeva l'uomo come microcosmo sul quale si riflet-
41
tevano le leggi del macrocosmo.

Il De morbis conoscendis ex aspectu astrorum fu un altro dei


suoi testi e commentava i pronostici di Ippocrate. Tra il 1325
e il 1326, scrisse una spiegazione su Tolomeo, il saggio De
Excentricis ed epiciclis che rappresentò il suo punto di vista a
riguardo. In questo elaborato apparve un'interessante consi-
derazione astrologica, ovvero l'osservazione della retrogra-
dazione di Marte e Saturno, congiunti in Toro, segno tradi-
zionalmente attribuito alla città di Bologna, che poteva de-
terminare novità nefaste per la città. Ciò si realizzò nella di-
sfatta di Zappolino, subita dai bolognesi da parte dei mode-
nesi il 15 Novembre 1325, avvenimento che determinò un
pesante aggravio per Bologna, che non potendo più sostene-
re le spese destinate agli stipendi dei professori universitari,
provocò la partenza di molti lettori, tra i quali lo stesso Cecco
d'Ascoli.

Durante il periodo bolognese ebbe un breve soggiorno ad


Avignone, presso la corte papale come medico personale di
papa Giovanni XXII.

I suoi testi erano ricchi di acume e umorismo, basti ricordare


le invettive contro Bologna, dominata dal segno del Toro,
gaudente, portata al gioco, ma anche muliebre e godereccia
come la Venere Genetrix, governatrice del segno stesso. Mise
in ridicolo i figli di taluni ricchi, definendoli saturnini per via
della moda che li portava a vestire di nero e a rizzar le orec-
chie come asini. Canzonò Madama Galiana, prototipo della
Bologna grassa. Attaccò gli astrologi di piazza e soprattutto i
42
medici incapaci, come il conosciuto Geralfridino, descriven-
dolo come un bambino di otto anni che svela i suoi segreti
all'orecchio della mamma. Si mise in antagonismo con molti
medici, enunciando che dal momento che Bologna nella data
della sua fondazione aveva il segno dell'Ariete contrario (se-
gno zodiacale legato anatomicamente alla testa), ciò non fa-
voriva la guarigione delle ferite alla testa, impiegando queste
molto più tempo a rimarginarsi rispetto ad altre città.

Cecco rifiutò il libero arbitrio e fece molte affermazioni con-


trarie al concetto di Fortuna di Dante, che invece stabiliva che
su ogni movimento assoggettato al divino, l’uomo poteva in-
tervenire attraverso la ragione e il buon comportamento.

L'uomo è comunque influenzato dal cielo e non può fare


nulla a questo proposito, se non accettare il proprio desti-
no, rendendosene partecipe e alleggerendo l'attrito degli
eventi. Secondo il suo punto di vista, tutto si muove se-
guendo le influenze astrali; così come accade al mare in-
fluenzato dalla luna, l'uomo stesso non può sottrarsi a que-
sto magnetismo. Questo concetto risulta poi strettamente
legato alla medicina e al suo lato operativo, in cui la mate-
ria non è esaminata solo per l'anatomia o l'aspetto farmaco-
logico, ma è inserita in un ambito cosmico allargato, nel
quale tutto si relaziona ed interagisce vicendevolmente.
(M. Poltronieri, E. Fazioli, Bologna Magica)

Questa diatriba condusse Cecco a echeggiare alcuni passi


della Divina Commedia, nella sua opera L’Acerba. Così, nel IV
libro di questa opera si legge un’esposizione derisoria su al-
cuni personaggi dell’opera dantesca - come ad esempio il
conte Ugolino – con l’intento di contestare il pensiero dante-
43
sco che declamava la superiorità dell’Amore in ogni suo a-
spetto. Ne L’Acerba, l'Ascolano sostenne che l'uomo è co-
munque influenzato dal cielo e non può fare nulla a questo
proposito, se non accettare il proprio destino, divenendone
partecipe e migliorando solo in questo modo l'attrito degli
eventi. Per spiegare meglio questo concetto, utilizzò un cele-
bre esempio, molto usato nel Medioevo, relativo al magnete,
che agisce con la sua forza attrattiva sul ferro, che altro non
può fare se non esserne attirato. Se in quel momento però la
calamita venisse oliata, l'attrazione diverrebbe minore. Allo
stesso modo, la consapevolezza della propria storia potrebbe
facilitare l’accettazione dei momenti negativi, che non diver-
rebbero altro che parte del grafico dell’esistenza, al di là di
ogni giudizio personale.

Non solo astrologo, egli fece parte dei Fedeli d’Amore, attra-
verso i quali, seguì le orme di una ‘donna’, la mistica Sophia,
che altri non era che la ‘scienza sacra’. Egli ebbe importanti
contatti anche con Cino da Pistoia, anch’esso appartenente
alla ‘setta', il quale rimproverò a Dante di non aver ricono-
sciuto nella sua Beatrice l’unica Fenice che con Sion congiun-
se l’Appennino. La Fenice rappresentava la Sapienza, che se-
condo l’Ascolano proveniva dall’Oriente.

Personaggio forte e temerario, fu anche trasgressivo, si dice


intrattenesse tresche amorose con donne religiose e in parti-
colare apparve una documentazione relativa a un'articolata
corrispondenza con una monaca. Questo accadimento non
gli fu d'aiuto per entrare nelle grazie della città, soprattutto

44
della Chiesa che unì a questi aspetti leggeri del suo compor-
tamento, la denuncia pervenutale da un medico bolognese.
La conseguenza fu la messa in discussione dei suoi testi che
affondavano le radici in quelli arabi considerati eretici.

Questi furono i motivi della prima condanna inflittagli dal


Tribunale della Santa Inquisizione. La condanna fu data
dall'inquisitore domenicano Lamberto da Cingoli che consi-
stette in una pesante multa, la perdita del lavoro, il sequestro
di tutti i suoi libri di Astrologia ed un certo numero di pre-
ghiere obbligatorie. Riuscì comunque a uscirne vivo, ma il
suo comportamento non cambiò e i suoi atteggiamenti, le sue
lezioni, i suoi studi continuarono a creare perplessità. Con-
dusse una particolare ricerca sulla cometa che guidò i Magi a
Gesù, probabilmente una stella fissa, che venne successiva-
mente analizzata da Niccolò Copernico e Johannes Keplero.

L'elemento che creò maggiori dissapori fu lo studio relativo


al tema di genitura di Cristo, attraverso il quale, egli spiega-
va la sua vita astrologicamente:

Era in Ascendente Libbra al decimo grado, perciò doveva


morire come morì. Il Capricorno era in un angolo di terra,
perciò nacque in una stalla, lo Scorpione in un secondo
grado, perciò era povero, Mercurio in Gemini, nella parte
nona del cielo, perciò fu scienziato.

Altri aspetti della sua condotta lo misero in cattiva luce. Se-


condo alcuni storici Cecco D'Ascoli militava tra i ghibellini,
la fazione contrastante al potere guelfo. Così scrisse di lui
Francesco Petrarca:
45
Tu sei il Grande Ascholan che'l mondo allumi
per gratia de l'altissimo tuo ingegno,
tu solo in terra de veder sei degno
experientia de gl'eterni lumi.
Tu che parlando il cieco error consumi,
e le cose vulghare hai in disdegno,
hora per me, che dubitando vegno
pregote che tu volgi i toi volumi.
Guarda se questo misero sugetto
descender pò giamai facto felice,
ho se madonna de l'usato gielo
esser pur mio distino il contradire
ritrarà la virtù del terzo cielo,
questo vano sperar me tra' del pecto.

Dopo la sua partenza da Bologna, l'astrologo trovò riparo a


Firenze, presso il Duca di Calabria figlio di Roberto D'Angiò,
dove fu stipendiato dal 12 Marzo al 31 Maggio 1327. All'ini-
zio i loro rapporti furono buoni, ma alcuni storici sostengono
che presto si crearono dei dissapori a causa di un oroscopo
fatto alla figlia di Carlo, Giovanna, di due anni, per la quale
le previsioni le avrebbero assegnato un futuro di donna cor-
rotta, dai comportamenti riprovevoli, evento che puntual-
mente si realizzò.

Secondo altre fonti, Cecco avrebbe previsto l'arrivo dell'anti-


cristo, che sarebbe apparso insieme alla calata in Italia di Lu-
dovico il Bavaro. In quel momento la Chiesa si stava unendo
agli Angioini e vide in queste affermazioni un deterrente per
il potere temporale che si stava avvicinando sempre più a
quello istituzionale. Cecco venne arrestato. Dopo due mesi di
carcere, il 17 Luglio 1327 venne visitato da un cancelliere e
46
da un nunzio di Carlo, signore di Firenze, e venne salutato
con molto riguardo. Venne processato per eresia, per aver
scritto libri che contravvenivano il buon senso e le regole
della Chiesa, per essere un negromante e aver praticato arti
magiche. Venne condannato e la sua esecuzione fu strana-
mente affrettata e imposta da un ordine preciso di Carlo.
Cecco si rifiutò di abiurare dicendo: «l'ho creduto, l'ho stu-
diato, lo difendo...»

Il 16 Settembre dello stesso anno fu arso vivo a Firenze, tra


Porta Pinti e Porta alla Croce, insieme ai suoi libri di Astro-
logia, e le sue opere furono vietate con la minaccia della
scomunica per chi avesse contravvenuto a tale ordine e la
condanna di eresia per chiunque le possedesse. Particolare il
fatto che tra i sei giudici che emisero la sentenza figurava an-
che Francesco da Barberino, che una tradizione vuole fosse
stato parte dei Fedeli d’Amore, la stessa congregazione a cui
appartenne lo stesso Ascolano. Mentre l'inquisitore che lo
condannò fu frate Accursio. Egli si fece mandare da Bologna
copia degli atti e della sentenza del precedente processo di
Cecco, in cui era stato condannato il Tractatus in sphaeram e
dopo averlo letto ne trasse il seguente giudizio:

Più che il suo libretto superstizioso, pazzo e negromantico


sopra la Sfera, pieno di eretica falsità, un cert'altro libretto
volgare intitolato Acerba - il nome del quale esplica benis-
simo il fatto - avvegnaché non contenga in sé maturità o
dolcezza alcuna cattolica, ma vi abbiamo trovate molte a-
cerbità eretiche, e principalmente quando vi include molte
cose che appartengono alla virtù e costumi che riduce ogni
cosa alle stelle […]
47
(traduz. ital. della sentenza, cod. Magliabechiano 322)

Tutti i beni di Cecco d’Ascoli furono poi venduti e se ne ri-


cavarono solo tre fiorini e mezzo.

Il suo testo più importante, L'Acerba, è opera scientifica


composta di 4.865 versi in sestine. Essa appare un poema fre-
sco, di grande contatto immediato e rilievo; è suddivisa in
cinque libri, di cui il quinto rimasto incompiuto per via della
sua morte, nonostante egli avesse tentato di completarla in
carcere. Fu definita ‘Anti Commedia’ per via delle invettive
contro l’opera di Dante, intesa come negazione della ‘scienza
vera’, che invece era descritta ne L’Acerba, ove appaiono que-
stioni scientifiche relative all’ordine dei cieli, della terra, del-
le eclissi, della natura dei fenomeni atmosferici, delle Virtù o
delle scienze occulte.

Secondo alcuni il titolo L'Acerba sottintenderebbe per asso-


nanza alla Cerba ossia ‘la Cerva’, il mistico animale nel quale
più tardi Francesco Petrarca raffigurò la setta dei Fedeli
D'Amore. Il primo libro descrive il sistema planetario, le stel-
le fisse, i fenomeni atmosferici e meteorologici. Il secondo
tratta degli influssi sull'uomo fisico e morale come creatura
degli astri informatori. Il terzo sviluppa temi psicologici e di
scienze naturali. Nel quarto vengono considerati i fenomeni
meteorologici e tellurici dominati dal cielo astrologico. L'A-
cerba fu dimenticata per secoli, anche se nel 1550, sia pur con
varianti e correzioni apocrife, ebbe 30 edizioni, poco meno di
quante ne ebbe nello stesso periodo la Divina Commedia.
Questo testo fu presente nella biblioteca di Leonardo da Vin-
48
ci e venne successivamente esaminato dai più grandi studio-
si di ogni epoca.

In quel periodo oscuro, il carattere, la versatilità e soprattutto


l'immediatezza di Cecco, gli spensero la vita, ma anche quel-
la che sarebbe stata la giusta notorietà. Cecco D'Ascoli rap-
presentò uno dei primi simboli dell'uomo moderno per la
sua intensità di comunicazione, tuttavia mantenne quel sano
contatto con le radici e la parte misteriosa dell'universo, sulla
quale accese una piccola, ma importante luce.

49
Pagina tratta da L'Acerba

50
La magia tempestaria

L’epoca di Dante e di Cecco D’Ascoli fu anche il periodo in


cui si incentivò la magia tempestaria. Di cosa si trattava?

In passato si riteneva che vi fossero esseri provenienti da al-


tri mondi che, navigando nel cielo su apposite navicelle, po-
tessero scendere in terra e provocare carestie e tempeste! Na-
turalmente questi esseri furono considerati demoni e le loro
magie atte a sovvertire l’ordine divino delle cose. Tutto que-
sto, nonostante già nell’816 l’arcivescovo di Lione Agobardo
si fosse pronunciato piuttosto veementemente su questo ar-
gomento, affermando che questi esseri non esistevano, ed e-
rano il frutto della fantasia superstiziosa dei contadini, che
pur di non subire l’attacco malefico di questi esseri alieni,
pagavano loro fior di quattrini per non far succedere disgra-
zie nei loro possedimenti. Egli confutò anche chi credette di
portargli a giudizio quattro di questi esseri caduti prigionie-
ri. La sua invettiva non contò nulla e la credenza continuò a
diffondersi tra il popolo, tanto che nelle campagne si temeva
fortemente l’arrivo di questi stregoni. L’arcivescovo scrisse
anche un piccolo testo, De grandine et tonitruis, che citava te-
stualmente:

Nel nostro paese quasi tutte le persone, sia i nobili che il


volgo, in città come in campagna, i giovani e i vecchi, cre-
dono che la grandine e i tuoni possano essere creati dagli
uomini. E infatti, non appena sentono i tuoni e vedono i
lampi dicono: "Hanno scatenato il tempo". Se poi si chiede
loro cosa significhi qui scatenare il tempo alcuni, vergo-
gnosi e con un po' di cattiva coscienza, altri invece con la

51
sicumera tipica degli ignoranti, assicurano che il temporale
è stato scatenato da alcune formule magiche, opera di certi
maghi che si chiamano maghi delle tempeste e, dunque,
ecco perché dicono che il tempo è stato scatenato. La veri-
dicità di questa credenza del popolo andrebbe dimostrata
con l'apporto dell'autorità delle Sacre Scritture. Se però
questa verità non sussiste, come in vero noi senza alcun
dubbio crediamo, bisognerà proclamare con chiarezza che
colui che attribuisce all'uomo un'opera di Dio si rende col-
pevole di un'enorme menzogna.
Noi tutti abbiamo visto e sentito che molte persone sono
vittime di questa follia e succubi di queste sciocche creden-
ze, per cui credono e dicono che esiste un paese di nome
Magonia. Da questo paese verrebbero spedite navi fra le
nuvole, con le quali poi si trasporterebbero quei frutti che
la grandine strappa via dagli alberi e che si perderebbero
nella tempesta fino a quel paese; questi naviganti dell'etere
compenserebbero quindi i maghi delle tempeste per rice-
verne in cambio cereali e frutta.

Gli alieni arrivavano dunque da un paese lontano chiamato


Magonia e oltre a devastare le campagne ne rubavano i frut-
ti, per riportarli nella loro patria. Nelle campagne si temeva-
no gli stregoni, gli stranieri e anche i prelati in grado di leg-
gere in varie lingue… tutti potenziali creatori di grandine.

Prima di Agobardo ci aveva già provato Carlo Magno, che


citava 789 stregoni e maghi delle tempeste. Dopo di lui anche
Alberto Magno si interessò all’argomento, ma tutto ciò non
valse a nulla. La credenza persistette fino alle soglie del XVII
secolo. E a Bologna si racconta ancora di questi esseri nel
1698, attraverso la voce del cardinale bolognese Boncompa-
gni.
52
Probabilmente la questione stava anche in altri termini: per-
ché pagare degli screanzati truffatori, anziché versare le de-
cime alla Chiesa!

Stampa antica sulla magia tempestaria

53
54
Streghe che evocano tempeste
1400

CATERINA DE’ VIGRI… il mistero della Santa di Bologna

A Bologna l'eco della Santità è legato all'immagine di santa


Caterina de' Vigri, detta anche Caterina di Bologna, che il 13
Novembre 1456, insieme con un gruppo di suore Clarisse
giunte da Ferrara,
prese possesso
dell'antico conven-
to di San Cristofo-
ro, all'angolo tra le
attuali vie Urbana
e via Bocca di Lu-
po.

Nasce a Bologna
l’8 Settembre 1413
e muore il 9 Marzo
1463. Viene cano-
nizzata da papa
Clemente XI il 22
Maggio 1712 ed è
compatrona di Bo-
logna insieme a
san Petronio. Fin
da piccola viene
istruita dalla ma-
Santa Caterina de' Vigri, stampa d'epoca
dre e da parenti. Il
padre è assente,
55
ma vuole che impari anche il latino così d arricchirne la cul-
tura. Nel 1424, all'età di 11 anni, fa parte della corte estense
come damigella di compagnia di Margherita d'Este, figlia na-
turale di Niccolò III e comincia a dilettarsi di musica, pittura,
danza, imparando a poetare e divenendo particolarmente
raffinata ed edotta nell'arte della miniatura e della copiatura.
Nel 1427 lascia la corte estense e insieme ad altre ragazze
appartenenti a famiglie nobiliari comincia a seguire la spiri-
tualità agostiniana. Poi arriva a Bologna e fonda il Monastero
del Corpus Domini. Scrive diversi libri, il più famoso è Le set-
te armi spirituali. La prima arma è la diligenza; la seconda è la
diffidenza verso le proprie forze; la terza è confidare in Dio;
la quarta è non dimenticare mai la passione di Gesù Cristo;
la quinta è non dimenticare mai la propria morte; la sesta è
non dimenticare mai la gloria di Dio; la settima e ultima è
non dimenticare mai l'autorità della Santa Scrittura, così co-
me ne diede esempio Cristo Gesù nel deserto. Inoltre, come
scrissero le sue consorelle, Caterina conosceva i segreti altrui,
e ciò che predicava poi si avverava, come la caduta di Co-
stantinopoli, la rovina di nobili casati a seguito dell’uccisione
di Annibale II Bentivoglio o addirittura sapeva in anticipo
quali sarebbero state le Serve di Dio nel Monastero che anco-
ra non erano nate; e toccando le sorelle inferme, le sanava nel
nome di Gesù Cristo, benedicendole col segno della Santa
Croce. Inutile dire cosa sarebbe accaduto ad una donna, fuori
del convento, se avesse fatto previsioni, o avesse curato con
l’imposizione delle mani o si fosse dilettata nell’arte pittorica
o musicale al di fuori della casa paterna o di un marito. Que-

56
sta è la differenza tra miracolo e atto magico. Se differenza ci
deve essere!

La grandezza di santa Caterina è anche testimoniata dai suoi


dubbi. Attraversa infatti grandi e terribili prove, sofferenze
interiori e soprattutto le tentazioni del demonio. Una pro-
fonda crisi spirituale la porta fino alla disperazione e
all’incredulità verso l’Eucaristia che supera grazie a una vi-
sione illuminata. Caterina muore dopo sette anni di ufficio
nel Monastero di Bologna e viene subito sepolta, ma dopo
diciotto giorni fu dissotterrata, intatta e profumata. Fu mira-
colo! Gli avvenimenti che seguirono furono scritti da una te-
stimone, la beata Illuminata Bembo, subentrata a santa Cate-
rina come badessa del monastero:

Allorché la fossa fu pronta e quando vi calarono il corpo,


che non era racchiuso in una bara, esso emanava un pro-
fumo d’indescrivibile dolcezza, riempiendo l’aria tutto in-
torno. Le due sorelle, che erano discese nella tomba, mosse
a compassione dal Suo viso bello e radioso, lo coprirono
con un panno e posero una rozza tavola alcuni centimetri
sopra il corpo, affinché le zolle di terra non la toccassero.
Tuttavia la fissarono così goffamente che, quando la fossa
fu riempita di terra, il visto ed il corpo furono lo stesso a
contatto col terreno. Le sorelle venivano a visitare spesso la
tomba, e notavano sempre il dolce odore che la circondava.
Giacché non c’erano fiori, né erbe aromatiche accanto alla
fossa, ma solo arida terra, esse si convinsero che il profumo
proveniva proprio dalla tomba.

57
Ben presto cominciarono i miracoli, ed alcuni malati gravi,
che avevano visitato la tomba, furono guariti. Nel frattem-
po, le sorelle si erano pentite d’averla seppellita senza bara,
e si lamentarono con il loro padre confessore. Egli, uomo di
gran senno, chiese cosa intendessero fare per porvi rime-
dio. Noi rispondemmo: Tirarla fuori, metterla in una bara e
riseppellirla. Egli fu sorpreso da una simile richiesta, poi-
ché erano già passati diciotto giorni dalla morte e quindi
era certo dello stato di decomposizione del cadavere. Tut-
tavia, noi gli facemmo notare il dolce profumo, ed egli fi-
nalmente diede il permesso. Quando trovammo il corpo e
ripulimmo il viso, notammo che era stato schiacciato e sfi-
gurato dal peso della tavola di legno che vi era stata posta
di sopra. Inoltre, scavando tre delle sorelle l’avevano dan-
neggiata con la vanga. La ponemmo in una bara, e stavamo
per riseppellirla, ma uno strano impulso ci spinse a siste-
marla temporaneamente sotto il portale. Fu allora che il
naso schiacciato e l’intero viso ripresero gradualmente la
loro forma naturale. La defunta divenne di colore bianco,
bella, intatta, come se fosse ancora viva, le unghie non era-
no annerite ed Ella emanava un odore delizioso. Tutte le
sorelle erano profondamente agitate; il profumo si diffon-
deva nella chiesa e nel convento, impregnando le mani che
L’avevano toccata, e non sembrava esserci alcuna spiega-
zione. Dopo essere diventata abbastanza pallida, Ella co-
minciò a cambiare colore, diventando più rossa, mentre il
Suo corpo cominciava ad emettere un sudore piacevolmen-
te profumato. Passando dal pallore ad un colore d’ambra
incandescente, Ella trasudava un liquido aromatico che a
volte sembrava acqua limpida, ed a volte un miscuglio
d’acqua e sangue. Piene di meraviglia e perplessità chia-
mammo il nostro confessore: la voce si era già sparsa in cit-
tà ed egli accorse, accompagnato da un colto medico, Mae-
stro Giovanni Marcanova. Essi osservarono da vicino e
toccarono il corpo. Per lo spazio di tre mesi dopo la morte,
le uscì dal naso uno scodellino di sangue.
58
Allora la Santa fu sistemata su una poltrona all’interno della
cappella del Monastero, dove ancora oggi si può vedere. Se-
condo i biografi del XV e XVI secolo, i suoi resti mortali ave-
vano mostrato ai fedeli manifestazioni straordinarie anche
con il passare del tempo, muovendosi autonomamente, ingi-
nocchiandosi di fronte all'altare ed emettendo suoni non
qualificabili. Inoltre le suore si dedicavano a lei, nel tagliarle
le unghie e pulirla periodicamente. Le unghie e i capelli ve-
nivano poi messi in sacchettini che avevano un valore tera-
peutico e venivano distribuiti ai fedeli bisognosi di cure.

Non mancano i detrattori, che affermano che la mummifica-


zione sia avvenuta artificialmente solo per impressionare la
folla di fedeli. Non dimentichiamo che il fenomeno della
mummificazione fu studiato già dal celebre ricercatore esote-
rico Papus, che indirizzò parte dei suoi studi sui procedi-
menti utilizzati in Egitto per la conservazione dei corpi. Se-
condo la sua teoria il Kha è considerato l'involucro materiale,
chiamato anche il doppio o corpo astrale. Esso proviene dal
corpo fisico e vi ritorna, così come accade per il corpo astrale.
Il Kha governerebbe l'organismo e sarebbe localizzato nella
zona anatomica del sistema nervoso legato al Gran Simpati-
co. Se si considerano tutti i capillari, le arterie, le vene e gli
organi innervati da questo punto, si ottiene veramente un
doppio del corpo fisico (diramazione del sistema sanguigno
e nervoso attraverso il corpo). Seguendo questo studio si e-
vince che gli egizi, con le loro pratiche, immobilizzavano le
cellule del corpo fisico mediante la mummificazione che trat-
59
teneva il corpo astrale o doppio, con una serie di rituali che
venivano attuati prima che la mummia fosse introdotta nella
sua tomba. Mediante questo incantesimo, fissavano il doppio
alla mummia, impedendo il processo di evoluzione astrale e
una parte dell'evoluzione spirituale. In questa maniera, lo
spirito compiva tutte le sue funzioni sul piano divino, e la re-
incarnazione era lungamente allontanata. Ciò permetteva al-
lo spirito una più profonda evoluzione attraverso le sfere ce-
lesti, senza dover passare immediatamente all'interno del pi-
ano fisico e materiale.

Per la mummificazione conservata nel Corpus Domini, la


spiegazione può essere anche differente e si lega al concetto
di prodigio miracoloso e di conseguenza al volere delle sfere
divine che, in questo modo, avrebbero protetto il corpo. Va
ricordato il trattato De Servorum Dei Beatificatione et Beatorum
Canonizatione scritto dal papa bolognese Benedetto XIV, nato
Prospero Lorenzo Lambertini (1675–1758), che volle chiarire
che alcuni cadaveri si conservavano incorrotti solo per l'in-
tervento di cause naturali o perché erano stati sottoposti a
un'imbalsamazione artificiale.

Da un altro punto di vista, vi potrebbe essere una spiegazio-


ne legata alla natura della terra stessa e alla presenza delle
famose falde energetiche, studiate dalla moderna biogeolo-
gia. Queste formerebbero una sorta di reticolato sotterraneo
che attraverserebbe la terra in lungo e in largo, caricando e-
nergeticamente alcuni punti di condensazione. Questi luoghi
sarebbero dei veri e propri concentrati di energia tali da pro-

60
durre a livello naturale il procedimento di mummificazione
utilizzato dagli antichi egizi. Questi punti di intersezione de-
rivati dalle falde sotterranee non avrebbero comunque una
collocazione casuale. Spesso sarebbero in corrispondenza di
luoghi di culto particolarmente venerati o mete di pellegri-
naggio assai frequentate, e appaiono delle rilevazioni molto
potenti da questo punto di vista che fanno pensare a una
corrispondenza sottile tra sfere superiori e quelle terrestri.

In questo contesto energetico, il valore intrinseco del miraco-


lo assumerebbe un significato ancora più profondo rispetto a
quello tramandato dalla tradizione, in quanto dalla terra
stessa nascerebbe l'energia tale da bloccare lo stato di disfa-
cimento del corpo, fissando il suo doppio, e permettendo co-
sì una conservazione giudicata straordinaria. Diventa davve-
ro difficile formulare una tesi certa su questo fenomeno, e
forse anche per questo, fino ad oggi il corpo della Santa vie-
ne esaminato da studiosi valenti da ogni parte del mondo.

Un'ultima considerazione sulla figura di santa Caterina ci


porta nel mondo dei Tarocchi e soprattutto all’analisi della
carta nominata Papessa, una figura di cui diventa difficile
trovare una traccia storica. Lo studioso Andrea Vitali trova
alcune similitudini con la figura di Maifreda, per meglio dire
Suor Maifreda da Pirovano, tenuta in grande devozione da
Bianca Maria Visconti. Ma viene avanzata anche un’altra i-
potesi che potrebbe spiegare l’iconografia della Papessa del
mazzo Pierpont, da cui derivò quella della collezione Four-
nier. L’autore di tali opere, Bonifacio Bembo, si potrebbe es-

61
sere ispirato all'iconografia di Chiara d'Assisi e delle Claris-
se, dato che fin dal 1429 esisteva un convento di questo ordi-
ne a Cremona, città prediletta dalla suddetta Bianca Maria.
Infatti, proprio al tempo della progettazione di questo maz-
zo, Caterina de’ Vigri era tenuta in grande considerazione e
venne nominata badessa del convento dell'ordine a Bologna,
dopo una scissione tra le consorelle, di cui una parte seguì la
regola agostiniana e un’altra, quella di Chiara d’Assisi.
Quest’ultima fu l’ispirazione e la strada che seguì la Santa di
Bologna. Nei libri che scrisse, ella curò anche le illustrazioni
dalle quali si evince che gli elementi simbolici che le Clarisse
portavano in particolari occasioni durante il Rinascimento
nel Nord Italia erano un’asta simile a quella papale (férula) e
una mitra, gli stessi presenti nella II carta dei Tarocchi, la
Papessa. Evidentemente non c’è alcuna certezza in ciò, e la
questione rimane aperta. In ogni caso, oltre al mistero e al
miracolo, la figura di Caterina di Bologna incarna un esem-
pio di donna rinascimentale tra cultura, arte e santità. Un
modello di femminile difficilmente raggiungibile.

62
63
Papessa del mazzo di Tarocchi Pierpont
Bibliografia e sitografia essenziale

Cornelio Agrippa, Le Arti Magiche ovvero la Filosofia occulta, Volume


I, Fratelli Melita Editori, Genova, 1988,
S. Beverini – D. Nacucchi, Il mondo dello Spiritismo, Mediterranee,
Roma, 1991
A. Calmet Dissertazioni sopra le apparizioni de’ spiriti, e sopra i vampi-
ri, o i redivivi d’Ungheria, di Moravia ecc., Venezia, 1756.
C. Cantù, Gli eretici d’Italia, Unione Tipografico-Editrice, Torino
1865
R. Canosa, Storia dell’Inquisizione in Italia, Vol. V, Sapere 2000, Ro-
ma, 1990
Corvino Claudio, Il libro nero delle streghe, N.C.E., Roma, 2004
M. Craveri, L’eresia, Mondadori, Milano, 1996
B. Curran, Vampires, a field guide to the creatures that stalk the Night,
The Career Press, USA, 2005
G. Dall’Olio, Eretici e inquisitori nella Bologna del Cinquecento, Istituto
per la storia di Bologna, Bologna, 1999
G.Giordani, Della venuta e dimora in Bologna del sommo pontefice Cle-
mente VII per la coronazione di Carlo V imperatore celebrata l’anno
MDXXX, Fonderia e tip. Gov. Alla Volpe, Bologna 1842
A. Guiducci, Medioevo inquieto, Sansoni, Firenze, 1990
P. Lippini (traduzione a cura di) Storie e leggende medievali di Geral-
do di Frachet, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1988
A. Reghini, Enrico Cornelio Agrippa e la sua magia, in Cornelio Agrip-
pa, Le Arti Magiche ovvero la Filosofia occulta, Volume I, Fratelli Melita
Editori, Genova, 1988
G. Rossi, Bologna nella storia, nell'arte e nel costume, A. Forni Editore,
1981;
C.Vasoli, Magia e scienza nella civiltà umanistica, Il Mulino, 1976

http://www.letarot.it/page.aspx?id=272 13/10/2016

64
MUSEODEI by Hermatena Edizioni
Il cammino di Museodei è quello di una piccola casa editrice, ma
come tutte le piccole cose possiede una grande libertà, ovvero
quella di non dover rispondere a schemi o aspettative di nessun
tipo. Le parole che narra sono legate alla sola pulsione del cuore
che attraverso l’analisi dei simboli vuole spingere a compiere il
primo ed importante viaggio. Quello dentro se stessi. Che importa
vedere il mondo se in ogni sua differenza non riusciamo a scorgere
parti di noi e sensazioni personali? Sarebbe guardare, senza vede-
re. Così, conoscere un luogo attraverso il linguaggio dei simboli è
vedere l’incanto della creazione nel momento stesso in cui si gene-
ra. L’invito è allora quello di partire, aiutati dal patrimonio simbo-
lico del passato, attraverso le vie ardite del presente, verso i sentie-
ri misteriosi del futuro. Poi, aprire gli occhi e… scoprire se stessi
come parte integrante del viaggio.

I luoghi magici di… Federico II - M. Poltronieri ed E. Fazioli


I luoghi magici di… Parma - M. Poltronieri ed E. Fazioli
I luoghi magici di… Santiago di Compostella - E. Fazioli
I luoghi magici di… Ferrara – M. Poltronieri ed E. Fazioli
I luoghi magici di… Praga - M. Poltronieri
I luoghi magici di… Parigi - E. Fazioli
I luoghi magici di… Pisa - E. Fazioli
I luoghi magici di… India del Nord - M. Poltronieri ed E. Fazioli
I luoghi magici di… Londra - M. Poltronieri
I luoghi magici di… Bologna Vol. I La Piazza e i suoi segreti - M. Poltro-
nieri ed E. Fazioli
I luoghi magici di… Bologna Vol. II I Templari e il mistero del Graal - M.
Poltronieri ed E. Fazioli
I luoghi magici di… Bologna Vol. III Demoni, streghe e vampiri - M. Pol-
tronieri ed E. Fazioli
I luoghi magici di… Bologna Vol. IV Le vie dei condannati al rogo - M.
Poltronieri ed E. Fazioli
I luoghi magici di… Bologna Vol. V … a luci rosse - M. Poltronieri ed E.
Fazioli
I luoghi magici di… Modena - M. Poltronieri ed E. Fazioli
I luoghi magici di… Torino - M. Poltronieri ed E. Fazioli

65
Voci dall’Hoggar – M. Ag Amastan, C. de Foucauld, D. Oult Yemma - A
cura di A. Chieregatti
Sulla strada – A. Chieregatti
Milano, Segreti e Meraviglie nell’Arte, Andrea Bianchi detto il Vespino -
C. Dorsini
Pinocchio in arte mago - M. Poltronieri, E. Fazioli Appendici di G. Pelosini
Lungo i sentieri dei bisonti – F. Finardi (romanzo storico)Siena e altri mi-
steri – M. Poltronieri
Salento, Grotte e altri misteri – E. Fazioli
Lecce… Il lato splendente della magia – M. Poltronieri
Malta l’Isola della magia – E. Fazioli
Magico viaggio nella Libia romana - E. Fazioli
In viaggio con la Dea - F. Coletti, M. Poltronieri, E. Fazioli
I segni della Dea Madre, da Malta al deserto libico – M. Poltronieri
L’eros della Dea, nelle misteriose Dākinī – M. Poltronieri
Amedeo Modigliani, La magia al femminile tra Cabala e Alchimia - C.
Dorsini e M. Poltronieri
Il male non esiste – F. Coletti
Evil does not exist – F. Coletti
Satiro Demone Folletto, I mille volti dell'Incubo – S. Renda
Revenant, Il ritorno dei vampiri – S. Renda
Tarocchi Sola Busca, Storia Segreti Alchimia – C. Dorsini e M. Poltronieri
Sola Busca Tarot, History, Mysteries, Alchemy – C. Dorsini e M. Poltronie-
ri
Le Voci degli Arcani – G. Pelosini con CD di Giovannimparato
Emi nel paese delle Emi-raviglie – F. Coletti
Emi in Wonderland – F. Coletti
Un Dio qualunque, Sguardi e attraversamenti dal Niger – M. Armanino
Odissea nel Gilgamesh, IO & L’Io – J. Casagrande
Il Volo del Falco - Lorenzo F. L. Pelosini
Tarocchi e Archetipi, La voce della Stella Vol. I – S. Secchi e A. Atti
Tarocchi in conserva – P. Parenti
Amor Sacro e Amor Profano I Tarocchi – F. Coletti
Oltre la selva oscura – F. Coletti
Emi dietro lo specchio Un esorcismo – F. Coletti
In Viaggio con gli Astri – Itinerari zodiacali – F. Farini
Carte di amore e di morte – F. Coletti
Gli Arcani Volti dell’Amore - F. Coletti
Ombre Bianche – F. Edosa
Le Porte dei sogni – F. Coletti

66
Nero, Una storia alchemica vista attraverso una città e due anime – F. Co-
letti
Ripensare il mondo con Ivan Illich, a cura di G. Esteva
Crisi, la rapina impunita Come evitare che il rimedio sia peggiore del male
- J. Robert
Emi e il reverendo – F. Coletti
Tao Te Ching Lao Tzu - traduzione a cura di Angiolo Daddi
La Grande Opera Grillot de Givry - traduzione a cura di Angiolo Daddi
Dhammapada Il cammino del Dharma - traduzione a cura di Angiolo
Daddi
Tarocchi in Pentola – P. Parenti
Tarocchi in Tavola – P. Parenti
Magia e Scienza della Spirale – G. Pelosini
River Runner, Il Filo d’oro – L. Pelosini
Le Nuove vie del potere – P. Dàvalos
Nuovi ambiti di comunità – G. Esteva
Tarocchi e Archetipi, Il Maestro interiore Vol. II – S. Secchi e A. Atti
Tarocchi Appropriati – A.A.V.V. Poesie di J. Casagrande
Tarot Travel Guide of Italy – A. Ando, M. Poltronieri, E. Fazioli
Arcana Maiora – D. Turco
L’invenzione della morte - S. Renda
Sussistenza, autonomia, libertà - J. Robert
Le sette tessere ‘ribelli’ del rompicapo globale – subcomandante Marcos
Rosso – F. Coletti
Bologna sotto il segno del Giallo – F. Finardi
Alba di mondi altri – R. Zibechi
Emi e la notte del Lupo – F. Coletti
Lettere d’Occitania – A. Albertano
Panico, amore e allegoria – K. Pietrobelli
In attesa di un segno – F. Finardi
Figli di un dio feroce – F. Finardi
Bologna Magica Per bambini di tutte le età – M. Frazzoni
Wolfy e Santina Una storia ad Auschwitz – F. Coletti
Astrologia dei Tarocchi – G. Pelosini
Blue – F. Coletti
Emi e i mari scarlatti – F. Coletti
Dalai Lama La Biografia La Storia Le Perle – Traduzione Mariateresa Bian-
chi
Tarocchi, gli specchi dell’infinito – G. Pelosini
Desideria Bramanti – F. Coletti

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Nomi di vento – M. Armanino
Emi in Shakespeareland, Libro Primo: Macbet – F. Coletti
Emi in Shakespeareland, Libro Secondo: Sogno di una notte di mezza esta-
te – F. Coletti
Emi in Shakespeareland, Libro Terzo: Amleto – F. Coletti
Astrologia svelata – D. Donati
Divino divinare – G.Giorio
Bologna e la magia – M. Poltronieri E. Fazioli

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Museodei by Hermatena Edizioni è un marchio
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Le immagini qui pubblicate sono al solo scopo informativo


e didascalico a compendio dei testi.

Finito di stampare nel mese di novembre 2016


Presso Universal Book - Rende (Cs)

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