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Plauto

Varie fonti antiche chiariscono che Plauto era nativo di Sàrsina, cittadina
appenninica dell'Umbria, la data di nascita potrebbe essere fra il 255 e 250 A. C.
Egli cominciò la sua carriera come autore, ma ben presto divenne un ADDICTUS
(schiavo per debiti). Per risollevarsi dalla catastrofica situazione economica,
cominciò a scrivere palliate (commedie di argomento e costume greco). Sembra che
nel corso del II secolo circolassero qualcosa come 130 commedie legate al suo nome,
anche se non sappiamo quante fossero autentiche.Generalmente, le commedie di Plauto
erano precedute da un prologo, in cui un personaggio raccontava l'antefatto, i
personaggi in azione si possono ridurre ad un numero limitato di "tipi", che
riservano, poche sorprese: il servo astuto costituisce il motore della vicenda. Il
suo carattere è sfrontato ed astuto ed è dotato di grande intelligenza e vitalità,
grazie alle quali egli riesce sempre ad affrontare qualsiasi situazione; il vecchio
padre severo e beffato che nega un aiuto economico al figlio, e cerca di
conquistare la donna scelta da quest’ultimo; il giovane innamorato incapace di
affrontare i propri problemi; il parassita è probabilmente uno dei personaggi più
buffi. Vive sfruttando insaziabilmente i beni economici altrui e portando rovina ai
suoi benefattori; lo sfruttatore di prostitute, Il suo personaggio è quello
maggiormente negativo; le vergini, la matrona madre dell’adulescens e sposa del
senex; la meretrice in quanto personaggio femminile, rappresenta la cortigiana,
libera o schiava; l'avaro, la servetta, il cuoco, e il soldato vantone al servizio
di chi lo paga meglio, egli si vanta di successi in campo di guerra e in campo
amoroso mai avvenuti e prontamente smascherati nel corso della commedia. Questi
"tipi" sono inquadrati fin dai prologhi e il pubblico ha così fin dall'inizio una
traccia su cui far scorrere la propria comprensione degli eventi scenici. Le storie
sono ambientate prevalentemente in luoghi stranieri e caratterizzate da temi
tradizionali, come il contrasto tra padri e figli, tra nuove e vecchie generazioni.

Anfitrione:Il dio Giove si è invaghito di Alcmena, la moglie del re Anfitrione. Un


giorno, mentre il re è in guerra, il dio si introduce nel palazzo sotto le
sembianze dello stesso re, in compagnia di Mercurio che, ha preso l’aspetto del
servo di Anfitrione. Entrambi riescono a ingannare la servitù e Alcmena, credendo
che Giove sia in realtà il marito di ritorno dalla guerra, lo accoglie con gioia e
trascorre con lui una notte d’amore. Ma all’improvviso giunge il vero Anfitrione,
preceduto dal vero servo Sosia. Sosia rimane completamente sconvolto nel vedersi
dinanzi un altro se stesso, che in realtà è Mercurio, mentre Anfitrione, travolto
dall’equivoco, comincia a dubitare della fedeltà di Alcmena. In seguito si crea una
situazione intricata ed equivoca, in cui non si capisce più quale dei due sia il
falso Anfitrione. Alla fine gli dei svelano l’inganno e il re, si dichiara onorato
che Giove, il padre degli dei e degli uomini, abbia scelto sua moglie come amante.
La vicenda si conclude poi con la nascita di due gemelli, uno figlio di Anfitrione,
e l’altro, concepito da Giove.

Aulularia:In questa commedia si parla di un vecchio dal nome Euclione ha scoperto


sotto terra nella sua abitazione una pentola piena d'oro e vive con il terrore
perché teme che la pentola possa essere rubata.Sospetta della sua vecchia serva
Stafila,ma anche del suo ricco vicino Megadoro perché quando gli chiederà in sposa
la sua figlia Fedra, Euclione sospetta che si tratti di una strategia per rubare il
suo oro; alla fine però accetta, precisando che Megadoro prenderà Fedra in sposa
solo se pagherà tutte le spese della festa di matrimonio, fissata per il giorno
stesso. Euclione non sa che sua figlia è stata violentata da Liconide, nipote di
Megadoro; è rimasta incinta, e Liconide vorrebbe sposarla. Intanto,per sicurezza,
Euclione decide di spostare la pentola d'oro; solo che il servo che lo ha
seguito,ruba la pentola e la nasconde in casa di Megadoro. Liconide intanto, con
l'aiuto della madre, ha spiegato a suo zio Megadoro la situazione ed ha ottenuto il
consenso a chiedere in sposa Fedria. Quando va a parlare con Euclione, tuttavia, il
vecchio è disperato perché si è accorto della sparizione della pentola, e tempesta
di domande Liconide, il quale pensa che il vecchio stia parlando di sua figlia e
della sua gravidanza. Strobilo, infine, offre la pentola a Liconide, cercando di
comprarsi la libertà.

Terenzio

La data di nascita di Terenzio non è conosciuta con precisione, ma si suppone che


il commediografo sia nato nel 185 a.C., a Cartagine.
Arrivato a Roma come schiavo del senatore Terenzio Lucano. Il liberto assunse così
il nome di Publio Terenzio Afro, egli fu legato a importanti famiglie della nobiltà
romana e frequentò in particolare il Circolo degli Scipioni, e per questo nelle sue
commedie Terenzio vuole illustrare in modo esemplare l’ideale dell’humanitas.
L’uomo, sostiene queste teoria, ha una dignità che lo rende superiore ad ogni altro
essere; in lui è un valore innato la socialità, ossia l’impulso di unirsi con i
propri simili e dare stabilità, attraverso saldi legami, alla famiglia e alla vita
civile. Terenzio ha risentito delle discussioni che hanno avuto luogo presso il
circolo degli scipioni.
Il genere comico era stato, con Plauto, una forma di intrattenimento popolare.La
commedia di Terenzio è invece molto più simile a quella di Menandro, suo principale
modello greco; come accadeva in Menandro, i drammi di Terenzio accentuano
fortemente componenti introspettive e moraleggianti, e tendono ad essere quasi
educative. I personaggi e le trame sono ancora molto somiglianti a quelli di
Plauto: Terenzio mette inscena le figure più tipiche della palliata e le trame sono
tutte incentrate sull’innamoramento di un giovane e sugli ostacoli che incontra per
possedere o sposare la ragazza che ama. Di nuovo, rispetto a Plauto, c’è che
Terenzio scopre in quei tipi convenzionali e rappresentati mille volte dei
caratteri psicologici, e analizza i risvolti interiori dei conflitti che, nel
dramma, li mettono l’uno contro l’altro
Morì presto, nel 159, durante un viaggio in Grecia intrapreso per scopi culturali,
Terenzio lasciò solo sei commedie, integre, tutte dal titolo greco a differenza di
Plauto, delle quali siamo però in grado di dare una datazione.In ordine
cronologico: Andria, Hecyra (La suocera), ma fu un totale insuccesso;
Heautontimorumenos (Il punitore di se stesso); l’Eunuchus e il Phormio. Queste
ultime due commedie, che concedevano più spazio ad una comicità più tradizionale,
di tipo platino, furono rappresentate con grande successo. L’ultima commedia è gli
Adelphoe (I fratelli).

Heautontimoroumenos (il punitore di se stesso)


È la festa delle Dionisie, ma il vecchio Menedemo non bada al calendario e si
accanisce a lavorare, pur con gran fatica, il suo campicello. Come spiega al
vecchio Cremete, suo vicino, egli intende così «punire se stesso», espiare una
grave colpa: suo figlio Clinia si era innamorato di Antifila, una giovinetta senza
dote, e lui coi suoi rimproveri lo ha costretto ad arruolarsi come mercenario in
Asia. Ma intanto Clinia, in gran segreto, è ritornato: lo ospita l’amico Clitifone,
figlio di Cremete. Clitifone è innamorato a sua volta di Bacchide, una meretrice
sfrontata e spendacciona. A Cremete fanno credere che Bacchide sia Antifila: gli
spiegano che, essendosi data per povertà alla professione, adesso si è arricchita e
fa la bella vita. Cremete va a riferire a Menedemo che il figlio è tornato, ma
Antifila non è più quella prima: gira con un seguito di più di dieci ancelle
cariche di vesti e gioielli. Menedemo, ormai ravveduto, consentirebbe egualmente
alle nozze di Clinia con Antifila, se Cremete non gli facesse presente
l’inopportunità, da parte sua di fornire direttamente il denaro necessario agli
sperperi del figlio e della nuora: se vuol salvare la faccia, che almeno finga di
lasciarsi raggirare da i dei soliti servi furbi. Mentre Siro, servo furbo di
Cremete, escogita trappole per ingannare, oltre a Menedemo, lo stesso Cremete
(Clitifone deve infatti parecchi soldi alla costosa Bacchide), la moglie di Cremete
scopre, grazie a un anello, che Antifila (quella vera) è figlia sua e, appunto, di
Cremete: alla sua nascita il marito, che non voleva figlie femmine per non essa
costretto a fornirle di dote, aveva ordinato di ucciderla, ma lei s’era limitata ad
esporla. Cremete viene raggirato da Siro e scopre che la donna scialacquatrice non
è in realtà Antifila, bensì Bacchide, l’amica di suo figlio Clitifone. Alla fine
Clinia sposa Antifila e Clitifone lascia la rovinosa Bacchide dichiarandosi pronto
a sposare una ragazza di buona famiglia: Cremete lo pe perdona anche Siro.
Dall’omonima commedia di Menandro.

Adelphoe: (i due fratelli)


Il capolavoro in assoluto di Terenzio. «I fratelli». Il vecchio Demea ha un
fratello, Micione, e due figli, Ctesifone ed Eschino. Ctesifone viene tirato su dal
padre con severità catoniana: in campagna, secondo le più rigide norme del mos
moiorum; Eschino, affidato allo zio, in città e secondo canoni assai più elastici e
comprensivi (“alla greca”). All’inizio dell’azione, Eschino ama Panfila, fanciulla
onesta, povera e in procinto di dargli un figlio; Ctesifone ama Bacchide, una
meretrice. Eschino, generoso e sicuro di sé, intraprende un’azione di forza in
favore del timido fratello: va dal ruffiano e gli porta via Bacchide. Le apparenze
accusano Eschino, Panfila vede profilarsi un futuro tutto nero per sé e il
figlioletto, i metodi pedagogici di Micione sembrano volgere al fallimento. Un
amico di famiglia, Egione, contribuisce a far luce sulla verità. Le cose si
metterebbero davvero male per Ctesifone, se suo padre, stanco dell’impopolarità di
cui gode, non decidesse di cambiare radicalmente atteggiamento e metodo. Ma la
liberalità quasi eccessiva da lui sfoggiata in questo suo nuovo corso non è del
tutto spontanea. Demea rinuncia infatti ai suoi principi per tattica, non per
convinzione, e nel finale prova una vera ebbrezza nel vendicarsi del troppo
popolare fratello: ingenuamente spalleggiato da Eschino, costringe Micione, sin qui
scapolo convinto e incallito, a prendere in moglie la vecchia madre di Panfila, a
regalare un vasto podere al povero amico Egione, a dare la libertà al servo Siro e
alla sua compagna Frigia, ad anticipare sotto forma di prestito una somma iniziale
per le prime necessità dei due nuovi liberti. Alla fine Micione, alquanto
frastornato, non può esimersi dal chiedergli ragione dell’improvviso mutamento.
Demea risponde di aver voluto dimostrare che è facile riuscire simpatici ai giovani
praticando l’arrendevolezza e l’indulgenza; quanto ai figli, che spendano e
spandano a loro piacimento, ma sappiano che lui è sempre pronto a dar loro qualche
buon consiglio. La conclusione è che l’antipatico catoniano ha imparato qualcosa,
ma anche il simpatico fautore del vivere alla greca è chiamato a rivedere i suoi
metodi educativi. Dall’omonima commedia di Menandro, ma, come dichiara il prologo,
con l’inserzione dell’episodio del ratto della meretrice, tratto da un’altra
commedia menandrea, Synapothnéskontes (Coloro che muoiono insieme), che Planto
aveva imitato nei suoi Commorientes, commedia oggi perduta, tralasciando proprio
quel solo episodio.

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