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LA CULTURA MILANESE DAL REGNO ITALICO AL REGNO D'ITALIA

Author(s): Carlo Dionisotti


Source: Aevum , settembre-dicembre 1992, Anno 66, Fasc. 3 (settembre-dicembre 1992),
pp. 619-624
Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

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LA CULTURA MILANESE DAL REGNO ITALICO
AL REGNO D'ITALIA *

Milano e la prima tappa per chi muova da Torino alia scoperta delPItalia. Non par
10 qui delPItalia turistica, parlo di quelPItalia storica, che e la nostra nazione e pa
tria. Nel mio noviziato di studioso della letteratura italiana, piu di sessant'anni fa,
PItalia che io cercavo, uscendo da Torino, era tutta e soltanto composta di libri.
Pertanto la mia prima tappa fu nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. La, nel solo
fondo antico, cinquecentesco, che allora m'importava, era un patrimonio di libri
manoscritti e stampati incomparabilmente maggiore di quello delle biblioteche torine
si a me note. Di la, dalPAmbrosiana, bisognava passare, per procedere ad altre tap
per Venezia, Firenze, Roma. L'ltalia del mio noviziato di giovane studioso non po
teva bastare, andando avanti, negli anni Trenta, al cittadino e alPinsegnante. Dai li
bri, dalle biblioteche, bisognava ricavare una lezione immediatamente valida, discuti
bile con altri, di altra eta e professione, comunicabile ai giovani nella scuola. Biso
gnava insomma scoprire e capire, cercar di capire, PItalia storica, non soltanto que
sta o quella eta, questa o quella parte, ma la contrastata e continua storia delPunita
civile, linguistica e letteraria, da ultimo anche politica, delPItalia unita. Da Torino
bisognava tornare a Milano, misurando la distanza, e chiedersi quale parte le due
citta avessero avuto, e ancora potessero avere, nella storia delPItalia. Vorrei esclude
re il rischio che in questo mio discorso tornino a galla barchette di carta varate non
mold anni fa e subito andate a fondo, il cosiddetto Mito, ossia Passe Milano-Tori
no, e il conseguente Gemito, ossia il triangolo Genova-Milano-Torino. Come a So
crate nel Fedone, cosi e lecito a ciascuno, pur senza bere la cicuta, ptuGoXoyetv, favo
leggiare. Ma oggi quelPozioso favoleggiare e stato sostituito, proprio qui a Milano,
dal brutto spettacolo circense, che politici, magistrati e giornalisti ci hanno inflitto e
ci infliggono. La cautela di un vecchio studioso non pud essere troppa.
Torno dunque alPinizio delPOttocento, a Milano capitale di un regno d'Italia.
11 regno era improvvisato, non la capitale. Gia nel primo Settecento, poi nel medio e
tar do sempre piu, la Milano austriaca era tornata ad essere una citta grande, diver
samente grande da come era stata nel tempo dei Visconti e degli Sforza. La diversita
salta agli occhi dello studioso di storia letteraria, che arrivando al Settecento, anche
arriva alia capitale di una rimpicciolita, ma compatta, pacifica e prospera Lombar
dia, alia Milano del Parini, del Beccaria, di Pietro Verri, al libretto Dei delitti e del
le pene, primo messaggio di una nuova Italia alia nuova Europa. Guardando dal vi
cino Piemonte, dai baluardi della piccola capitale Torino, lo studioso capisce Pattra
zione che da Milano esercitava allora una societa ospitale, operosa e godereccia, ca

* Conferenza letta il 14 ottobre 1992 nelPAula Magna delPUniversita degli Studi di Milano, in occa
sione della consegna del premio quinquennale ?Fondazione Confalonieri? per un'opera di Filologia e criti
ca, conferito al libro di Carlo Dionisotti, Appunti sui moderni. Foscolo, Leopardi, Manzoni e altri, II Mu
lino, Bologna 1988.

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620 C. DIONISOTTI

pisce la felicita del piemontese Baretti quando se ne va a Milano. Finalmente lo stu


dioso nota che il breve incontro col Parini resta il piu franco e degno fra quanti
PAlfieri ne ebbe nella sua spiemontizzazione.
Altrettanta differenza nota lo studioso che guarda a Milano dall'opposto fronte,
da Venezia. La scena letter aria e molto piu affollata e mista a Venezia, e piu equa
mente spartita fra la capitale e le citta della Terraferma. Ma per cio stesso il rappor
to fra cultura e governo e meno stretto che a Milano: e festivo piuttosto che feriale.
Come anche e, in tutt'altro modo e misura e per altri motivi, a Torino. Si spiega
che nella decisiva crisi del sistema politico italiano, prodotta a fine secolo dalPinva
sione francese, Torino fosse colpita e squassata come da un terremoto, Venezia
spenta come un teatro a spettacolo finito, e sola, al centro, reggesse e si avvantag
giasse delle disgrazie altrui Milano, promossa capitale di una repubblica cisalpina,
poi di una repubblica italiana, poi di un regno dTtalia. Era, tutt'intorno a Milano,
un mondo nuovo, sostituito e opposto, come per incanto, alia tradizione storica.
NelPincanto aveva parte la letteratura. Ancora aleggiava nella repubblica cisalpina
quello spiritello, che durante il Settecento aveva risvegliato dal sonno delPerudizione
un'Italia preromana e antiromana, Celti, Liguri, Veneti, Etruschi, e che nella cerchia
delle Alpi, nel mito di una societa pastorale, delParcadia elvetica, aveva collocato le
virtu bandite dalla moderna civilta mercantile. Ma una repubblica italiana non aveva
precedenti storici, e la corona ferrea non bastava alia resurrezione di un regno itali
co totalmente scomparso nel piu alto medioevo. Quei barbarici re di incerta prove
nienza e destinazione potevano ancora essere commemorati nel Piemonte sabaudo,
non certo a Milano.
La capitale del nuovo regno, istituito e governato dalla Francia, restava adatta
bile a una tradizione politica e militare non sua, come era stata prima, sotto il domi
nio delPAustria. Anche restava misuratamente capace, come si vede nelPopera del
Parini, di quella resistenza e rivalsa nazionalistica, che il predominio francese, lin
guistico e letterario prima che politico, aveva cumulato in Italia durante il Settecen
to. Mettendo a soqquadro Pintiero sistema politico italiano, la Francia si era premu
nita dal rischio di un'estensione del nuovo regno alia Toscana, aveva anzi riattizzato
la vecchia rivalita tra Firenze e Milano. Ma piu giu la Francia si era impigliata nella
spinosa questione romana. Non potendo risolverla in termini politici e militari, ave
va dovuto fare di Roma quasi una citta morta, terra di tutti e di nessuno. Conse
guentemente si era spezzato il tenue vincolo che legava il regno di Napoli allTtalia.
La conseguenza ancora fa parte delPesperienza e sofferenza nostra, dopo quasi due
secoli. Esclusa Napoli, soppressa Roma, isolata Firenze, declassate a capoluoghi pro
vinciali Genova, Torino e Venezia, la nuova Italia riconosce in Milano la sua capita
le. Da ogni parte i migliori guardano o addirittura si trasferiscono a Milano e, nei li
miti di un viceregno francese, collaborano a un'impresa politica, che per la prima
volta pud dirsi veramente italiana. Non mancavano difficolta e riserve, tradizionali,
inevitabili. II Piemonte orientale, fra Sesia e Ticino, naturalmente guarda allora, co
me ora, a Milano. Ma la frantumazione della cultura piemontese, dopo Pannessione
del Piemonte alia Francia, non richiama nessuno di quei letterati a Milano: lo stesso
Botta finisce e resta in Francia. Pochi anni dopo, giovani piemontesi come Ludovico
di Breme e il Pellico, subiscono il fascino di Milano e non vorrebbero andarsene
piu. Neppure dopo la fine del regno italico. Ne certo per tornare a Torino, dove di
fatto entrambi tornarono, disperatamente il moribondo Di Breme, rassegnatamente,
dopo la prigionia, il Pellico. Anche c'era il rovescio della medaglia: c'erano difficol
ta e riserve interne, di Milano costretta a subire la presenza di troppi forestieri italia
ni, non soltanto francesi. Cera allora, ec'e tuttora per noi, Pirriducibile e vincente
Milano dialettale del Porta.

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LA CULTURA MILANESE 621

II regno italico, che il Foscolo con iniqua ironia aveva definito bello, ebbe a
Milano una brutta fine, orrendamente brutta, nelPaprile del 1814, col massacro del
ministro delle Finanze Prina. Questo episodio, che lo stesso Manzoni non pote di
menticare, peso lungamente sulla coscienza di Milano, degli scrittori milanesi, stori
ci, romanzieri, poeti. E in certo modo e tomato a pesare sulla coscienza di noi Ita
liani, della generazione mia, per Pinevitabile riscontro con Porrenda fine del regime
fascista a Milano nelPaprile del 1945. La storia intende le ragioni della politica e
della guerra, ma non perdona, insiste e incide sulla memoria degli uomini. Nel tu
multo milanese delPaprile 1814 ebbero parte in varia misura le fazioni in cui si era
divisa la classe dirigente del Regno italico di fronte alPimminente rovina delPimpero
napoleonico. Anche la mal diretta fazione dei giovani aristocratici milanesi, come il
Confalonieri e il Porro, che sognavano un regno indipendente cosi dalla Francia co
me dalPAustria, e depurato dagli immigrati che, come il novarese ministro Prina,
avevano ottenuto alte cariche a Milano. L'insuccesso del moto popolare, e subito
dopo del tentativo opposto, di far valere le proprie ragioni per via diplomatica, non
spense, anzi confermo Paspirazione, che non era, ne poteva essere soltanto munici
pale o regionale, alPindipendenza. Quegli stessi aristocratici, destinati per la loro
presunzione e inabilita a piu gravi insuccessi, ebbero pero il merito di farsi promoto
ri e patroni di una cultura milanese piu che mai prima aperta alPEuropa.
Nacque cosi a Milano, e ivi soltanto si sviluppo, il romanticismo italiano. I mo
derni studi hanno in parte corretto Perronea tendenza della storiografia letter aria a
illuminare quel romanticismo e il suo periodico, lasciando nel buio la parte avversa,
o comunque diversa, e in ispecie gli altri periodici milanesi. L'apparizione, nel 1818,
del romantico ?Conciliatore? non infirma Pimportanza del periodico apparso nel
gennaio del 1816 col titolo, altrimenti emblematico, di ?Biblioteca italiana?. II
?Conciliatore? ebbe vita troppo breve, la ?Biblioteca? troppo lunga, ma nei suoi
primi anni questa ?Biblioteca? fu la piu autorevole e piu largamente diffusa rivista
letteraria italiana. La soppressione del ?Conciliatore? e la dissoluzione di quel grup
po di scrittori, condannati gli uni a lunga prigionia, esuli altri, segnarono una svolta
brusca nella storia della cultura milanese e conseguentemente anche della cultura ita
liana. Ma di una svolta si tratta, non di una frattura. Neppure a Milano, dove anco
ra, negli anni Venti, fanno scuola vecchi maestri immigrati delPeta rivoluzionaria,
come il Gioia e il Romagnosi. Ed e una storia milanese il romanzo che nel 1827, fre
sco di stampa, e letto, discusso e ammirato da tutta, o quasi tutta, PItalia. Accadde
che il successo del romanzo fosse celebrato subito, nello stesso anno, a Firenze,
quando il Manzoni fu ricevuto ivi e festeggiato nel circolo del Vieusseux. Questo
quadro, in cui anche figura, un poco appartato, il Leopardi, e ormai esposto in qua
lunque storia della letteratura italiana. Ma il moderno storico sa che, tomato a Mi
lano, il Manzoni si chiuse in un lungo e misterioso silenzio. Anche sa che a Firenze,
da quel circolo del Vieusseux, era nata P?Antologia?, che gia negli anni Venti e fino
al 1839 prevalse su ogni altro periodico italiano, sa che nell'?Antologia? ebbero par
te principale il Montani e il Tommaseo, entrambi passati da Milano a Firenze. Final
mente il moderno storico sa che la nascita fiorentina delP?Antologia? non fu casua
le: corrispose a una nuova e abbondante fioritura letteraria, scientifica, editoriale,
durata in Toscana per piu di cinquant'anni, fino al compimento delPunita politica
delPItalia e oltre. E forte la tentazione, per lo storico della lettereratura italiana, di
chiudere col successo dei Promessi sposi, nel 1827, il capitolo milanese, e aprire
quello toscano, attendendo Papertura, negli anni Quaranta, di un nuovo e importan
te capitolo piemontese.
Una storia cosi ordita rischia di produrre un quadro sfocato della cultura ita

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622 C. DIONISOTTI

liana, e di quella milanese in ispecie, nell'eta del Risorgimento. Per quanto e di Mi


lano, bisogna anzitutto chiedersi quale effetto avesse la presenza e presidenza silen
ziosa del Manzoni. II suo diritto al silenzio era, ed e, fuori questione. Ma anche il
diritto dei vicini, di attendere da lui un qualche segno di vita. II silenzio pesava sul
l'opera stessa di lui, che tutti ammiravano, ma in cui erano sfide d'ogni sorta alle
opinioni e ai gusti della maggioranza. E il silenzio pesava sulle nuove questioni, che
via via si ponevano all'infuori e al di la dell'opera sua. Si ebbe cosi a Milano, gia
negli anni Trenta, e sempre piu in seguito, il curioso fenomeno di una cultura osse
quente al Manzoni ma fondamentalmente e variamente discorde da lui. Volendo
esemplificare, due nomi subito occorrono e bastano: Cattaneo e Tenca.
I due, poco apprezzati dalla storiografia idealistica, sono stati rimessi al posto
che loro compete dopo Pultima guerra. E forse la sacrosanta rivalutazione del Catta
neo dovra essere in qualche punto ristretta: perche Puomo politico fu sconfitto in vi
ta, nella sua stessa citta e regione, per buoni motivi, e non pud ottenere una postu
ma rivincita da certa moda federalistica odierna. Nessuna riserva sul periodico fon
dato dal Cattaneo nel 1839, sul ?Politecnico?, titolo precocemente emblematico della
nuova antimanzoniana cultura milanese. Gli scritti letterari del Cattaneo, marginali
nell'opera sua, ma che oggi si leggono in ottima edizione commentata, possono e
debbono ottenere piu largo spazio nella storia della nostra letteratura. In una augu
rabile antologia delle stroncature non potra mancare quella che il Cattaneo fece nel
1840 del romanzo Fede e bellezza del Tommaseo. Ne quella, ovviamente d'altro to
no, della Vita di Dante del Balbo. La severita del Cattaneo e stata purtroppo sempre
rara in Italia, quando si trattasse di persone singole, non di bersagli anonimi, collet
tivi, astratti. II Cattaneo stesso dununcio, gia nel 1839, il ?vizio tutto italiano di dir
male del proprio paese?, sulPesempio di Dante e da ultimo ?del sommo Alfieri?.
Ma, ribatteva il Cattaneo, ?la patria e come la madre, della quale non si pud parla
re, come si farebbe d'altra donna?. E concludeva: ?a noi pare che lTtalia, in con
fronto di qualsiasi altra terra del globo, sia una tal patria, che non sia lecito vilipen
derla nemmeno ad Alfieri, e nemmeno a Dante?. La citazione non mi pare inutile a
questi chiari di luna. Resta che, gia nel 1839-40, lTtalia del milanese Cattaneo era, e
voleva essere diversa cosi da quella del toscano Dante e del toscaneggiante e danteg
giante Tommaseo, come da quella dei piemontesi ultimi venuti, dell'Alfieri e del Bal
bo. Ma negli anni Quaranta, gli ultimi venuti, capitanati dall'esule Gioberti, comin
ciavano a fare la voce grossa.
La celebrazione giobertiana del Primato, applaudita da molti in tutta Italia, im
portava la fine di quella supremazia che Milano aveva conquistato ai primi del seco
lo, come capitale del Regno italico. II primato spettava alia Roma papale, e per la
lingua a Firenze. Era unTtalia neoguelfa, con Faggravante, dal punto di vista milane
se, di un'aggressiva ingerenza del vicino Piemonte, governato da quel Carlo Alberto
che Milano esecrava come traditore nel moto rivoluzionario del 1821. Nel 1844 il Cat
taneo fu costretto a interrompere la pubblicazione del suo ?Politecnico?. L'eredita
del periodico fu assunta dalla ?Rivista europea?, diretta in quel momento dal Tenca.
A differenza del ?Politecnico?, e anche degli ?Annali universali di statistica, econo
mia pubblica, storia, viaggi e commercio? che miravano a fare di Milano il centro di
una cultura scientifica e tecnica piuttosto che letter aria e artistica, la ?Ri vista euro
pea?, nata nel 1838, come nuova serie dello ?Spettatore?, poi ?Ricoglitore italiano e
straniero? delPeditore Stella di leopardiana memoria, si era proposta di mantener fe
de alia tradizionale parzialM letteraria della cultura italiana, nelPambito di un mode
rato romanticismo. II compito era modesto, ma in quel giro d'anni la cultura milane
se dava segni di stanchezza e strettezza. La ?Rivista europea? pote diventare in parte

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LA CULTURA MILANESE 623

erede del ?Politecnico? e ottenere nel 1845 la collaborazione dello stesso Cattaneo,
perche in quel momento era prevalso nella direzione il Tenca, dopo forti contrasti
con altri redattori. Tra ?Politecnico? e ?Rivista europea?, tra Cattaneo e Tenca c'e
ra un divario evidente, un decline Ma la mediocrita del Tenca era di buon metallo.
Come gia ho detto, gli studi moderni hanno contribuito a una piu esatta conoscenza
del Tenca critico e giornalista. Fondamentale, non per lui solo, ma, come il titolo
avverte, per la vita letteraria in Piemonte e in Lombardia nel decennio 1850-1859, e
Peccellente edizione, apparsa nel 1973, del suo carteggio, come direttore del ?Crepu
scolo?, col Camerini, corrispondente di quel periodico da Torino. Fra i due periodi
ci diretti dal Tenca, ?Rivista europea? e ?Crepuscolo?, sta la rivoluzione europea e
italiana del 1848, stanno per Milano le Cinque giornate.
Anche su questo episodio famoso, ma di fama scolastica, la generazione mia e,
sperabilmente, le successive hanno dovuto riflettere, perche Pultima grande guerra
ha coinvolto piu che mai prima la popolazione civile, e cosi ha dimostrato la tragica
difficolta per le due parti, civile e militare, dello scontro in una grande citta o nei
dintorni. Eccezionale resta il successo degli insorti milanesi contro un agguerrito pre
sidio austriaco nel 1848. E memorabile resta anche in una storia della cultura mila
nese. Non soltanto ne tanto per la partecipazione di alcuni uomini di lettere, quanto
e piu perche la meravigliosa vittoria della cittadinanza fu seguita dalP inter vent o poli
tico e militare del Piemonte, dalla sconfitta piemontese a Custoza, dalla mancata di
fesa di Milano, dal ritorno degli Austriaci. Questo seguito di eventi ritempro Porgo
glio municipale ma anche rese piu aspri i rapporti di Milano con attuali o eventuali
padroni stranieri, con PAustria da una parte, col Piemonte dalPaltra.
Nel 1849, dopo la battaglia di Novara, nessuno a Milano poteva prevedere un
risorgimento prossimo del Piemonte. La decisiva disfatta militare, Pabdicazione del
Re, Pisolamento diplomatico e la rivolta di Genova mettevano in questione le fonda
menta stesse della monarchia sabauda. Per contro Peroica resistenza di Roma e di
Venezia pareva confermare la lezione delle Cinque giornate milanesi: il diritto alPin
dipendenza dallo straniero di una nuova Italia popolare, forte delle sue antiche tra
dizioni municipali e regionali. Non era piu P Italia neoguelfa del Primato. Neppure
era la giovane Italia mazziniana. Ma non si spiega senza Pinflusso delPitalianissimo
e repubblicano Mazzini, la vigorosa ripresa, nel 1850, di una cultura milanese, nella
quale ebbe parte centrale il nuovo periodico fondato in quelPanno dal Tenca. II tito
lo del periodico, ?Crepuscolo?, escludeva il tempo storico e lo spazio storico, an
nunciava il semplice essenziale proposito delPuomo di cominciare e concludere una
giornata nuova, fra luce e ombra, a pugni chiusi.
La sciagurata rivoluzioncella del febbraio 1853 a Milano convinse i piu, primo il
Tenca, a distaccarsi dal Mazzini per sempre. Non lontano, ma neppure vicino, era il
Cattaneo, esule in Svizzera. Anche era avvenuto, in quei primi anni Cinquanta, il
miracolo del risorgimento piemonte.se, di Torino diventata capitale di una monarchia
parlamentare e liberale, Mecca degli esuli di tutta Italia, in ispecie delPItalia centro
meridionale, sede di un'attivita editoriale e giornalistica quantitativamente superiore
a quella di Milano. L'?Annuario statistico? del milanese Correnti per Panno 1857-8
dava 117 giornali, piu di un terzo del totale italiano, nel Regno di Sardegna: 57 nel
la sola Torino contro i 46 di Milano. L'ipotesi, car a agli storici unitari, che negli an
ni Cinquanta Milano, dimentica del suo prossimo passato e presaga degli ancora im
prevedibili sviluppi del risorgimento politico italiano, allegramente rinunciasse a
competere con Torino e si adoperasse anzi a favore di quella e della monarchia sa
bauda, e ipotesi assurda. Come risulta anche dal ?Crepuscolo? del Tenca e dal com
plementare carteggio di lui col Camerini, Milano fece del suo meglio per resistere,
opponendo, ovunque potesse, la qualita alia quantita.

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624 C. DIONISOTTI

Sul piano della politica, la competizione era impossibile. Nel 1857 il Tenca fu
addirittura costretto dal governo austriaco a sopprimere il notiziario politico settima
nale del ?Crepuscolo?. Anche era venuta meno, dopo il Concordato del 1855, la tra
dizionale opposizione del governo austriaco alPingerenza ecclesiastica. Proprio quan
do a Torino maggiore era la licenza laica per il conflitto di quel governo col Papato.
Restava aperta la competizione letteraria. Era pur sempre la Milano del silenzioso
ma vigile e ironico Manzoni. E il Cattaneo, nato alia prosa, a una prosa rigida e
asciutta, aveva praticato e predicato sempre economia e chiarezza nello scrivere. An
che il Tenca era nato alia prosa, e nel ?Crepuscolo? aveva senz'altro escluso ogni
collaborazione poetica. Milano pote cosi fare argine, per necessita e per elezione, al
Palluvione retorica prodotta dal Risorgimento politico dellTtalia. Ma Pargine sareb
be stato inutile, se il terreno della letteratura fosse rimasto arido. II silenzio imposto
alia pubblica discussione politica e il fastidio della retorica italiana, di quella pie
montese e giobertiana di ispecie, contribuirono a una piu larga e continua informa
zione delle letterature straniere, a un piu spregiudicato raffronto della nostra lettera
tura con quelle. Da una letter a del Tenca apprendiamo che nei tardi anni Quaranta
c'erano a Milano piu di duecento abbonati alia ?Revue des deux mondes?. Al riparo
di quelPargine poliziesco, il terreno milanese era letterariamente fertile. Negli anni
Cinquanta se ne avvantaggiarono anche scrittori non milanesi e non estranei alia po
litica. Basti il ricordo del Nievo, che poco o nulla ha in comune con Torino e che
molto deve a Milano.
Subito al di la, nel 1861, e una Milano rassegnata a essere capoluogo o di regio
ne o di provincia in un nuovo Regno dTtalia con capitale a Torino. II limite della
rassegnazione e segnato dalla rinuncia del Tenca, dalla protesta e dal nuovo esilio
del Cattaneo, dalPopposizione del Cantu, dalla restia partecipazione politica degli al
tri maggiori rappresentanti della cultura milanese, Correnti, Iacini, Visconti Venosta.
Le eccezioni, come e il manzoniano Broglio, confermano la regola. Ma la rassegna
zione non si estendeva ai giovani. Onde, gia negli anni Sessanta, la Scapigliatura,
movimento letterario lombardo, di cui gli studi delPeta nostra hanno riconosciuto e
illustrato Pimportanza. Non era un movimento che il severo Tenca potesse apprezza
re. Meno ancora poteva il Cattaneo. Ma in quella umiliata e mal rassegnata Milano
non c'era piu spazio per il ?Crepuscolo?, che il Tenca aveva cessato di pubblicare,
senza commiato, alia fine del 1859. Ne c'era spazio per il ?Politecnico?, risuscitato
allora, ma passato di li a poco dal Cattaneo ad altri e finito nel 1867. Organo della
nuova classe dirigente era a Milano la ?Perseveranza?, in cui la gravita del titolo era
temperata dalla penna del meridionale Bonghi, abile a scrivere de omnibus rebus et
quibusdam aliis. La Scapigliatura era la risposta che una Milano giovane, umiliata e
mal rassegnata, dava alia sbilenca Italia sabauda e alia insopportabile retorica pro
dotta dal Risorgimento italiano. E notevole che, quando nel 1864 la capitale del Re
gno fu trasferita a Firenze, Torino di colpo apparve letterariamente svuotata, I po
chi rimasti tornarono a guardare verso Milano e si aggregarono a quella Scapigliatu
ra, come, cinquant'anni prima, i giovani piemontesi, Ludovico di Breme, i fratelli
Pellico, si erano aggregati al gruppo romantico milanese. Cominciava nel 1864 anche
per Torino, malamente, come era cominciato nel 1814 per Milano, Padattamento a
una nuova storia.

Carlo Dionisotti

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