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Nasce nel 1840, la famiglia è di orientamento antiborbonico. Studia nella scuola privata di
Antonino Abate, letterato e patriota. Abbandona la facoltà di legge intriso di queste idee
romantiche e si dedica all’attività letteraria. Inizia a scrivere opere che riprendono la storia della
patria come il romanzo I carbonari della montagna. Si arruola nella Guardia nazionale catanese nel
1860 e incontra Garibaldi. Pubblica un altro romanzo Sulle lagune. La sua formazione è romantica e
patriottica e la prima produzione riflette questi ideali. Nel 1865 si sposta a Firenze, voleva
diventare uno scrittore importante, ma prova un senso di colpa per aver lasciato la famiglia, la sua
terra e perché è mantenuto dalla famiglia. Voleva affermarsi come letterato. Viene presentato a
Francesco dell’Ongaro e incontra letterati dell’epoca come Capuana. Inizia a distaccarsi dal
romanticismo e si avvicina al verismo. In questo periodo inizia a conoscere anche i filosofi che
riportano in Italia il pensiero positivista. Inizia però ad avere successo, nel 1866 pubblica Una
peccatrice e poi Storia di una capinera, romanzo epistolare in cui la protagonista Maria, è
paragonata a una capinera perché costretta a farsi suora. Ci avviciniamo al mondo verista,
ambientazione prettamente siciliana, personaggio vinto dal mondo, impersonato da Maria che
cerca di ribellarsi, si innamora anche di un giovane e muore di dolore. Si intravedono elementi
veristi, ma anche romantici per le sensazioni, le angosce, le paure della protagonista. Nel 1872 si
trasferisce a Milano, frequenta i salotti letterari, entra a contatto con I letterati scapigliati come
Boito, Praga, De Roberto e Giacosa invece sono legati al pensiero verista. Di questo periodo Eva,
Eros e tigre reale. Si avvicina al verismo, non in Sicilia, dopo Nedda ci si avvicina al verismo, ma ci
sono ancora tratti romantici. Lo studio del naturalismo grazie all’amicizia con Capuana, fino ad
arrivare alla prima vera opera verista Rosso Malpelo, che segna la conversione di Verga al verismo.
A 16 anni scrive la sua prima opera, Amore e Patria, influenzato dalle idee risorgimentali, il suo
maestro era un esponente di questa corrente. Dopo questo periodo di prova in cui lui cerca di
inserirsi in questo mondo intellettuale, anche se la famiglia lo vuole avvocato, è fermo nel suo
intento. Nel secondo periodo si sposta a Firenze, qui inizia ad ampliare le sue vedute, essere meno
provinciale, conosce gli intellettuali del tempo e stringe amicizia con Capuana, è il periodo in cui si
rifà di più al romanticismo e al realismo. Le opere di questo periodo sono romanzi d’amore, amore
tormentato, che si conclude in tragedia, sullo sfondo di una società vuota, ormai senza valori. Già
nel periodo fiorentino Verga inizia a distaccarsi dal romanticismo e dal realismo, i critici tradizionali
considerano la novella Nedda il primo esempio di scritto verista, in realtà sappiamo che è Rosso
Malpelo che segna il passaggio ufficiale al verismo. Perché la novella Nedda è ancora legata agli
elementi caratteristici del romanticismo, in particolare la presenza del narratore onnisciente che
critica la tragica situazione di Nedda. Successivamente si sposta a Milano, entra in contatto con gli
scapigliati, è proprio qui che compone le opere veriste più importanti, le altre novelle dei campi, I
Malavoglia Mastro Don Gesualdo, anche se lui avrebbe voluto scrivere altri 3 romanzi, il ciclo dei
vinti. Finalmente ha successo come scrittore, diventa famoso, viene nominato senatore d’Italia,
negli ultimi anni della sua vita rientra in Sicilia e muore a Catania nel 1922.
POETICA
Verga scrive per circa cinquanta anni della sua esistenza. L’ultima grande sua opera è Mastro Don
Gesualdo (1889). Scrive molte raccolte di novelle e 12 romanzi, che occupano un trentennio, dal
1850 al 1880, il periodo più produttivo è quello dei romanzi. Tutte le sue opere hanno in comune
una ricerca costante dei meccanismi che regolano il mondo contemporaneo, i rapporti tra le
persone, gli stili di vita delle persone. Verga è lo scrittore che più si confronta con la modernità e
con le sue contraddizioni tanto che uno dei critici più importanti di Verga, Luperini, scrive un lavoro
intitolato Verga Moderno. I suoi primi esperimenti da scrittore li fa da sedicenne, diciassettenne,
con I romanzi Amore e Patria, che non viene mai pubblicato, I carbonari della montagna, che ha
come protagonisti i carbonari calabresi, ambientato sull’Aspromonte (1861) e il romanzo Sulla
laguna, ambientato a Venezia (1863). Questi sono solo primi esperimenti, pubblicati a sua spese,
inizia ad avere un po’ di successo con la pubblicazione del romanzo Una peccatrice nel 1866 , è la
storia di uno scrittore che si innamora di una donna, non viene ricambiato finché non diventa
famoso, c’è un po’ di autobiografico, finisce tragicamente perché la donna si suicida e lui smette di
scrivere quando è ancora a Catania e successivamente a Firenze con Storia di una capinera. Storia
di una capinera è la storia di Maria che vive in un collegio, d’estate conosce un giovane Nino,
vorrebbe sposarlo, Nino si sposa con la sorellastra di Maria perché lei è destinata a diventare
suora. Si ammala e poi muore… il tema comune è quello dell’amore passionale secondo la moda
dell’800, ma troviamo già il confronto con un mondo ormai nuovo regolare soltanto dalle leggi
economiche, mondo in cui l’intellettuale non si trova più a suo agio. Un altro romanzo di passaggio
tra la produzione più vicina al romanticismo e l’avvicinamento al verismo è il romanzo scritto a
Firenze nel 1873, Eva, Eva è una ballerina di successo che si esibisce nei teatri più importanti di
Firenze, di lei si innamora un intellettuale puro, ingenuo, che si chiama Enrico Lanti, viene dalla
Sicilia, mantiene gli ideali della sincerità, dell’integrità che si scontrano con la società cittadina,
falsa. I due si innamorano e decidono di vivere lontano dalle luci della ribalta, questo provoca una
profonda crisi tra di loro perché si rendono conto che la loro vita diventa solo una noia, non ha
nulla di concreto, ma dipendeva da quel mondo scintillante della città. Si separano, lui si ammala,
diventa povero perché non riesce più a scrivere, la cosa più grave è che lui abbandona la sua
passione, la sua vocazione di diventare pittore intellettuale, infatti Verga dice in modo molto triste
che Enrico si ridurrà a dipingere oleografie commerciali, si adeguerà anche lui a questa ricerca
costante di successo, di denaro. Il mercato vince quindi sull’arte. Nella prefazione di Eva, abbiamo
una dichiarazione di Verga, dice che racconta una storia vera, e lo ripete più volte, dice che
mantenendo un forte spirito polemico, dice che la società ormai vive in un’atmosfera di banche e
imprese industriali, una società che cerca soltanto il profitto e il benessere. Non c’è nulla che
riguardi la cura dello spirito. Per spiegare questo concetto fa un confronto con il passato, mentre
della civiltà greca noi vediamo la statua di Venere, i posteri vedranno della società moderna il can-
can litografato (una stampa delle ballerine che ballano il cancan), un surrogato commerciale
dell’arte in generale. Ci stiamo avvicinando al verismo, ma ancora con un Verga polemico, che
pensa che l’opera possa essere strumento di denuncia sociale. Gli altri romanzo di passaggio, che
hanno come argomento l’amore passionale sono Tigre Reale e Eros del 1875. Parliamo della
novella Nedda scritta nel 1874, Nedda è una giovane che vive in un ambiente poverissimo,
arretrato, siciliano, il mondo contadino di allora, per vivere fa la raccolta delle olive, la sua vita è
contraddistinta da tante morti familiari, perde i genitori e dalla violenza che subisce più volte. Si
innamora da un giovane che però lavorando cade da un albero e muore. Lei però rimane incinta
degli abusi, nel paese vorrebbero che lei non tenesse il bambino, le propongono di lasciare il
bambino e continuerà la sua vita, ma lei vuole tenere il suo bambino nonostante le sue difficoltà e
subisce l’onta della ragazza madre con tutte le critiche del paese. Alla fine il bambino muore di
stenti, non riesce a mantenerlo. Viene fuori un nuovo Verga, che non scrive più romanzi con
personaggi borghesi e altolocati, ma i protagonisti sono i personaggi più poveri, i rifiutati dalla
società. La svolta verista l’abbiamo nel 1878 con la pubblicazione della novella, che prima di
pubblicare ha fatto anche leggere a Capuana, Rosso Malpelo. Le novità fondamentali sono l’uso
dell’impersonalità e della lingua che rimanda al dialetto siciliano, da qui l’ingresso ufficiale di verga
nel verismo e da qui la sua produzione ha più successo, la raccolta Vita dei Campi, all’interno della
quale c’è Rosso Malpelo, ma anche altre sette novelle, che pubblica nel 1880. Nel 1881 pubblica I
Malavoglia, poi altre raccolte di novelle tra cui Novelle Rusticane nel 1883 e Mastro Don Gesualdo
nel 1889.
Mentre nell’800 il narratore è figura esterna alla narrazione, superiore ai personaggi che descrive,
con Verga la figura del narratore onnisciente viene distrutta. Il narratore sparisce quasi, non viene
dall’alto, ma spesso si confonde con i personaggi. Nella prefazione di una delle novelle di Vita dei
Campi che si intitola L’amante di Gramigna,( la storia di questo bandito che in un piccolo paese
conosce una fanciulla pura e casta si innamora e scappano insieme, la gramigna è un’erbaccia),
abbiamo quasi un manifesto letterario verista di Verga, dice che la mano dell’artista deve essere
assolutamente invisibile, il racconto avrà l’impronta dell’avvenimento reale e l’opera sembrerà
essersi fatta da sé. Per ottenere questo effetto scrive è necessario che l’autore abbia avuto il
coraggio divino di ecclissarsi e sparire nella sua opera immortale. La storia quindi viene raccontata
da un personaggio del popolo che in realtà però non si identifica in nessuno dei personaggi del
racconto, ma si capisce che fa parte di quella comunità, perché conosce le caratteristiche di
ognuno, del luogo, i modi di pensare, i modi di dire, per questo trovandosi sulla scena è come se
accettasse in modo incondizionato quello che succede, anche se noi lettori possiamo considerarle
stranezze (ad es. Rosso malpelo considerato cattivo per i capelli rossi). Il narratore non potrà mai
giudicare ciò che succede, in altre novelle come Pentolaccia troviamo altri elementi che
caratterizzano la poetica verghiana, capiamo che il linguaggio, dal momento che il narratore fa
parte del luogo raccontato, deve essere un linguaggio adatto, un linguaggio popolare. Un altro
elemento importante è una lettera che scrive a Capuana in cui delinea la differenza tra le opere di
Zola che lui ben conosce e le sue, mentre i personaggi di Zola hanno speranza di migliorare la loro
condizione, la realtà di Verga è immodificabile, anzi chi cerca di sfuggire dalla realtà, da questa vita
così complicata, inesorabilmente è destinato a morire. Tra le tecniche narrative utilizzate da Verga:
l’impersonalità, il discorso indiretto libero, riporta i dialoghi dei personaggi senza inserire i verba
dicendi (disse che; affermò che), quindi frasi e pensieri dei personaggi sono riportati in modo
indiretto. Un’altra tecnica subito teorizzata da Luigi Russo,(che quasi recensisce I malavoglia) è la
tecnica della regressione, l’autore non c’è, si eclissa diventa personaggio popolare e quindi
regredisce a pensare come i suoi personaggi.
ROSSO MALPELO
Dal primo capoverso capiamo che lui è già catalogato dalla società come malizioso e cattivo, perché
aveva i capelli rossi, e per questo chiamato Malpelo. Questo lo dicono i compaesani. Persino la
madre non ricorda più il suo vero nome e lo chiama Malpelo. Quando portava i soldi a casa, per
essere sicure che avesse portato tutti i soldi lo picchiavano, perché lui era Malpelo. Viene
paragonato a un cane rognoso, toccato solo con i piedi perché può essere pericoloso. Tutte queste
cose dette, sono cose che dice il popolo. Queste affermazioni si intercalano nella narrazione della
vicenda, con esempi, per esempio quando mangiavano gli operai lui era isolato e beffeggiato. Non
è degno di stare nella cava ma ci lavora solo perché il padre è morto lì. Inizia con un flashback la
storia del padre (Mastro Misciu). Il padre era un grande lavoratore, che però non era capace di fare
affari e guadagnare dal suo grande lavoro, era considerato un minchione che si faceva gabbare, gli
davano sempre più lavoro e lui non attaccava briga anche se non guadagnava. Fin da piccolo
Malpelo seguiva il padre nel suo lavoro. Mastro Misciu si trova nella cava e rimane anche il sabato,
quando tutti vanno via, perché vuole finire questo lavoro molto pericoloso, deve togliere un
pilastro, lui continua a lavorare mentre gli altri lo prendevano in giro. Crolla una parte della cava e il
padre muore. Già da qui capiamo come Malpelo sia legato al padre e si preoccupi per lui,
considerati i personaggi che erano considerati due bestie è qualcosa di importante. Le donne
vanno a chiamare l’ingegnere, che piangevano e si battevano il petto, cosa tipica siciliana. Il padre
di Malpelo nel momento in cui sta lavorando crolla tutto, l’ingegnere capo dei lavori, si mostra
totalmente indifferente e continua a guardare lo spettacolo perché ormai non c’è più nulla da fare
e per liberare la zona serve una zona. Malpelo si trova vicino al padre, viene deriso, dimostra
l’attaccamento al padre cercando di scavare e di trovare il padre, ma viene beffeggiato e
nonostante ciò però lui non ha altro posto dove andare, la famiglia ha bisogno di farlo lavorare e
quindi la stessa madre lo riporta alla cava che è come se fosse casa per lui, perché era abituato a
stare lì con il padre. Continua a scavare ed è come se rimanesse più vicino al padre. Lui si chiude
ancora di più in sé stesso, diventa più animalesco, è arrabbiato perché solo lui ha cercato di salvare
il padre, viene fuori la società cattiva e indifferente. Malpelo aveva il cane, lui se la prende con
l’asino, lo picchia in modo da farlo morire più presto, siccome era sfruttato come lui e con la morte
pone fine alle sofferenze dell’asino. Come succedeva a casa qualsiasi cosa succedeva nella cava era
sempre colpa sua. Come Malpelo non ha un suo nome, ma un soprannome cattivo, così il bambino
che arriva alla cava e che zoppica viene chiamato Ranocchio. Verga ci dice che Malpelo vuol bene a
Ranocchio ma lo picchia per farlo diventare più forte, lo vedeva troppo debole, preso in giro da
tutti e quindi vuole fargli del bene, ma lui non sa come si fa, perché non ha mai avuto qualcuno che
gli facesse del bene. Vuole insegnargli a reagire, a suo modo, con l’unico modo che conosce la
violenza. Capiamo la motivazione per cui Malpelo non reagisce, ma colpisce di più la rena come se
fosse un diavolo, Ranocchio vuole che si difenda, ma lui è rassegnato perché è Malpelo. Abbiamo
un’altra sorta di flashback. Non ha neanche l’amore della mamma. Lo mandano in esplorazione
perché c’è da fare un lavoro pericoloso nella cava e nessuno vuole farlo. Con quest’azione di
sacrificarsi per tutti, diventa eroe, nonostante sia animalesco, criticato e insultati.
L'ORIGINALITÀ DI VERGA
Oltre all’adesione ai dettami del naturalismo, troviamo in queste novelle alcuni elementi
assolutamente originali: la rinuncia alle tinte forti e alla drammatizzazione emotiva, così come la
scelta di un linguaggio che fosse davvero rappresentativo del mondo narrato, attraverso un punto
di vista interno alla vicenda, e dunque come se un narratore appartenente a quel mondo ne
narrasse le vicende.
Il pessimismo profondo, che esprime nella sua opera, è l’altro elemento di originalità del Verga
scrittore, che non condivide l’euforia dell’affermazione borghese e la fiducia nel progresso della
società a lui contemporanea.
Dalle sue opere emerge la condanna per un sistema che non ha pietà per le sue vittime.
È il risultato del disincanto di Verga rispetto all’esperienza risorgimentale, di cui lucidamente intuì i
limiti: moto guidato dalla borghesia per i propri interessi, indifferente rispetto alle condizioni
drammatiche in cui versavano le classi più umili. Le plebi, del resto, troppo ignoranti e arretrate,
avevano dimostrato di essere incapaci di salvarsi da sole, né si poteva confidare in uno Stato che si
era dimostrato solo strumento di oppressione manovrato dalle classi più agiate. Non esiste
speranza per i vinti perché non esiste una Provvidenza salvifica né l’aspettativa di un miglioramento
sociale: la “fiumana del progresso” travolge tutti, non solo gli umili ma anche gli appartenenti alle
classi più elevate come il Ciclo dei Vinti (che inizialmente doveva chiamarsi Marea) era inteso a
dimostrare.
Nella società moderna, gli interessi economici sono il moderno fato a cui nessuno sfugge.
I MALAVOGLIA
I Malavoglia è il romanzo più famoso di Giovanni Verga e quello in cui l’autore riesce a esprimere al
meglio la poetica del Verismo.
Si tratta del racconto delle sventure di una famiglia di pescatori siciliani negli anni successivi
all’Unità d’Italia. I Malavoglia viene pubblicato nel 1881 dall’editore Treves e inizialmente è accolto
con freddezza da lettori e critici. Come succede spesso per le grandi opere della letteratura, solo
più tardi il romanzo sarà recuperato e valutato positivamente.
Il romanzo è frutto di un lungo lavoro di progettazione e stesura e rappresenta la prima tappa di
quello che doveva essere il Ciclo dei vinti. In questo primo romanzo Verga parte dal livello sociale
più basso e descrive la vita del villaggio di pescatori siciliano di Aci Trezza.
Curioso è constatare come spesso temi e tecniche che poi saranno sviluppati nei romanzi siano già
presenti nelle novelle.
Dal punto di vista delle tecniche in questo romanzo Verga ricorre all’impersonalità e al narratore
popolare, che già aveva usato ad esempio Rosso Malpelo.
Il romanzo narra la storia della famiglia Toscano, detta malignamente dal popolo “Malavoglia”, una
famiglia di pescatori del piccolo paese siciliano di Aci Trezza.
Padron ‘Ntoni è il capofamiglia e l’unità e l’economia familiare sono garantite dalla casa del
nespolo e dal peschereccio, chiamato “La Provvidenza”, ma una serie inarrestabile di disastri
colpirà la famiglia.
Il giovane ‘Ntoni, nipote di Padron ‘Ntoni, deve partire per il militare e la famiglia è costretta ad
assumere un lavoratore. A ciò si aggiunge una cattiva annata per la pesca e il bisogno di una dote
per Mena, la figlia maggiore, che si deve sposare.
Il naufragio delle "Provvidenza"Padron ‘Ntoni decide allora di tentare la via del commercio, ma la
Provvidenza - la barca che serve al sostentamento di tutta la famiglia - naufraga e muore
Bastianazzo, figlio di Padron ‘Ntoni e futuro capofamiglia. La nave era carica di lupini comprati a
credito dall’usuraio Zio Crocefisso. Questo evento causa la rovina economica dei Malavoglia, che
perdono anche la casa del nespolo.
Poco dopo il colera uccide la madre. La Provvidenza, che era stata riparata, naufraga di nuovo, i
membri della famiglia rimangono senza lavoro e sono costretti ad arrangiarsi con lavoretti poco
redditizi. Intanto il giovane ‘Ntoni, partito per il militare, entra in contatto con il mondo esterno.
Finito il servizio militare si rifiuta di tornare a casa per dedicarsi al duro lavoro che le difficoltà
economiche della famiglia gli imporrebbero. Decide di dedicarsi al contrabbando e a una vita
dissipata. Finisce in carcere dopo una rissa con la guardia che aveva tentato di sedurre la sorella
Lia. L’altro nipote, Luca, muore durante la battaglia di Lissa del 1866. Lia, dopo l’episodio con la
guardia, si sente disonorata e fugge a Catania, dove finisce per lavorare come prostituta. A causa di
questo Mena non può più sposarsi.
Il nucleo familiare è completamente distrutto e Padron ‘Ntoni, ormai malato, si avvicina alla morte.
Tuttavia, dopo tanti sacrifici, l’ultimo nipote, Alessi, riesce a ricomprare la casa del Nespolo e tenta
di ricostruire il nucleo familiare senza però riuscirci: Padron ‘Ntoni muore in ospedale, lontano
dalla casa e dalla famiglia mentre il giovane ‘Ntoni, uscito dal carcere, capisce di non poter più
esser parte di quella vita e abbandona per sempre il paese natale.
Riassunto e commento
La vicenda vede al centro il personaggio di Turiddu Macca che, tornato a casa dall’esperienza
militare che lo ha momentaneamente strappato al contesto rurale, “si pavoneggiava in piazza
coll’uniforme del bersagliere e il berretto rosso, che sembrava quello della buona ventura, quando
mette su banco colla gabbia dei canarini” 1. Turiddu diventa il centro d’attenzione di tutto il paese,
proprio perché catalizza su di sé la novità dell’ignoto e del diverso.
Egli aveva portato anche una pipa col re a cavallo che pareva vivo, e accendeva gli zolfanelli sul
dietro dei calzoni, levando la gamba, come se desse una pedata.
Se l’effetto è quello per cui “le ragazze se lo rubavano con gli occhi”, Turiddu vuole riconquistare
Lola che, in sua assenza, s’è “fatta sposa con uno di Licodia” 3, compare Alfio, che ha “quattro muli
in stalla” 4; la reazione del protagonista è un buon esempio dell’emersione, in indiretto libero, delle
sue parole e dei suoi pensieri.
Alla vicenda sentimentale si contrappone però il motivo economico: Lola ha sposato un uomo ricco
per godere di un migliore tenore di vita, mentre Turiddu, roso dalla gelosia, deve lavorare come
“camparo” (e cioè, come guardiano delle terre) presso massaro Cola, il vicino di casa di Alfio che
“era ricco come un maiale, dicevano, e aveva una figliuola in casa” 6. Turiddu attua così il proprio
piano, volgendo le sue attenzioni su Santa, figlia del ricco massaro Cola 7 ; la situazione si così
inverte, tanto che Lola diventa l’amante di Turiddu.
La reazione di gelosia di Alfio 8, dopo la rivelazione da parte della gelosa Santa del tradimento della
moglie, asseconda appunto le leggi non scritte della “cavalleria rusticana” e della necessità di
lavare col sangue, in duello, l’onta del tradimento.
È in questo momento che compare Turiddu lascia intravedere, attraverso le sue parole, l’amore
filiale per la madre, che, stimolandolo a combattere pur sapendo d’essere in errore, rappresenta
un altro aspetto del suo carattere passionale.
Siamo insomma al culmine della tensione melodrammatica; durante il duello, Alfio acceca Turiddu
con una manciata di polvere e lo ferisce mortalmente. La novella si chiude così sull’immagine
plastica del protagonista morente, ennesima immagine di “vinto” verghiano.
Cavalleria rusticana, nella sua incisiva descrizione della forza brutale delle passioni (e del loro
conflitto insanabile con i moventi economici) nel mondo arcaico siciliano, rappresenta allora l’altra
parte dell’operazione verista del narratore: alla descrizione degli effetti delle leggi economiche sul
mondo ristretto della Sicilia rurale corrisponde, con gli stessi mezzi stilistici, il tentativo di rendere
esplicite ed evidenti le pulsioni più oscure del cuore umano.