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VERGA E IL VERISMO: ROSSO MALPELO

La vita

Catania: l’infanzia e la giovinezza

Verga è uno dei più importanti scrittori italiani del XIX secolo. Nasce nel 1840 a Catania da una famiglia

di piccoli proprietari terrieri di ispirazione liberale e di orientamento antiborbonico. Da giovane frequenta la

scuola di Antonino Abate, poeta e patriota catanese, che lo incita a scrivere il suo primo romanzo, Amore e

patria. Il romanzo non verrà mai terminato né pubblicato. In questo periodo legge i classici della letteratura

italiana, come Dante, Petrarca, Ariosto e Manzoni, e scrittori francesi a lui contemporanei, dai quali erediterà la

poetica «verista».

1854 – 1855, sfugge all’epidemia di colera di quegli anni ritirandosi in campagna.

1858, si iscrive alla facoltà di Legge, che non porterà a termine. Si dedica invece alla scrittura,

collaborando con importanti riviste letterarie e politiche.

1860 – 1861, L’Italia si unifica. Influenzato dal patriottismo del suo maestro, Antonino Abate, il giovane

Verga si arruola nella Guardia nazionale come militare.

1861 – 1862, pubblica il suo primo libro, I carbonari della montagna, un romanzo patriottico.

1864, lascia la guardia nazionale all’età di 24 anni.

Il periodo fiorentino e i primi romanzi

1865, a venticinque anni compie il suo primo viaggio a Firenze, allora capitale d’Italia, dove tornerà nel

1869 per rimanervi fino al 1871. A Firenze trova un ambiente culturale favorevole e dinamico, diverso da

quello chiuso della provincia catanese. Qui pubblica il suo primo successo letterario, Storia di una capinera. Si

tratta di un romanzo epistolare semi-autobiografico, che prende spunto da una vicenda vissuta in prima

persona in età giovanile: nell’estate del 1854, infatti, Verga si trovava in campagna, in fuga dall’epidemia di

colera che lo costrinse a vivere isolato anche l’anno successivo. In quel periodo, quindicenne, si innamorò di

una donna di nome Rosa Lia, che però venne costretta a vivere in monastero dalla famiglia e che morì di
disperazione. Il romanzo, Storia di una capinera, narra proprio di una donna costretta a farsi monaca dalla

famiglia e morta di dispiacere.

Il ventennio milanese: insuccessi, successi e la «svolta verista»

1872, Verga è Milano, dove si fermerà per vent’anni. Milano a quel tempo era il cuore pulsante della

cultura italiana. La città offriva numerosissimi stimoli, e il catanese entra in contatto con molti artisti e letterati

famosi. Qui comincia a leggere con forte interesse gli scrittori francesi naturalisti: Balzac, Flaubert e Zola.

Dunque, è proprio in questo periodo che si avvicina al naturalismo e che comincia a elaborare quello che sarà,

di lì a poco, il suo Verismo. Inizia a scrivere intensamente e si allontana dal romanticismo della fase giovanile.

Mostra, al contempo, uno spiccato interesse per il mondo popolare siciliano, quello da cui proviene lui stesso.

1878, pubblica Rosso Malpelo, e comincia a pubblicare anche un ciclo di cinque romanzi a cui vuole

dare il titolo I vinti. Sempre nel ’78 lascia il nord Italia per andare a Catania in occasione della morte della

madre. Torna a Milano solo sette mesi più tardi, dopo aver superato una crisi depressiva.

Sempre in questo periodo escono le prime raccolte di novelle: Vita dei campi e Novelle rusticane.

1881, esce il romanzo che lo consacrerà come uno dei più grandi scrittori italiani dell’Ottocento, ma che

a quel tempo non riscuoterà alcun successo, I Malavoglia. Deluso dal risultato della pubblicazione, sarà lui

stesso a definire come «un fiasco» l’opera appena partorita.

1884, a Torino viene rappresentato per la prima volta il dramma teatrale Cavalleria rusticana, che

diverrà il suo più grande successo editoriale. Cavalleria rusticana, come Rosso Malpelo, è una novella della

raccolta Vita dei campi.

La tappa romana e il ritorno a Catania: ultimi scritti e avvicinamento al fascismo

1886 – 1889, Rincuorato dal successo di Cavalleria rusticana, ricomincia a scrivere si trasferisce a

Roma.

1888 – 1890, torna in Sicilia dove termina il romanzo Mastro don Gesualdo. Quest’ultimo lavoro ottiene

un discreto successo, ma è Cavalleria rusticana che continua a far parlare di lui. Nel frattempo, si arena il

progetto del ciclo de I vinti e si aggravano le sue condizioni di salute psicologica a causa delle sue difficoltà

economiche.
1893, torna in Sicilia, a Catania, dove ha una relazione con la contessa Dina Castellazzi.

Deluso dalla sua carriera, comincia a scrivere sempre meno. Continua a lavorare a qualche romanzo,

ma senza portarlo a termine.

1915, la guerra mondiale è scoppiata e Verga si schiera tra gli interventisti. Nel dopoguerra si avvicina

al movimento fascista, senza però iscriversi ai fasci di combattimento. Nel 1920 viene nominato senatore.

1922, muore a Catania. Di lì a poco, molte suoi novelle cominciano a essere pubblicate, inaugurando

finalmente la fortuna letteraria del Verga scrittore.

Il Verismo di Verga

Il Verismo è un movimento letterario1 nato nell’ambiente milanese negli anni ‘80 e ‘90 dell’Ottocento per

influenza del Naturalismo francese. Il movimento inaugura dunque la letteratura dell’Italia unita.

È da tener presente, tuttavia, che la parola Verismo è un etichetta generica che copre manifestazioni

letterarie anche molto diverse tra loro: gli scrittori veristi, come Verga, Capuana o De Roberto, pur

esprimendosi negli stilemi della stessa corrente letteraria, arrivano a produrre opere che in comune hanno ben

poco. Verga infatti elabora uno stile di scrittura molto personale, senza dar luogo a una scuola o a una schiera

di epigoni; a sua volta, inoltre, non ha veri e propri modelli da imitare, ma solo dei punti di riferimento: i maestri

naturalisti francesi.

Verga acquista la sua prima notorietà con i romanzi giovanili, che non sono però le sue opere migliori.

Grazie all’esperienza milanese, tra il ’77 e il ’78, avviene la cosiddetta «svolta verista» e pubblica Rosso

Malpelo.

Col Verismo, Verga si impegna adesso dipingere il ‘vero’, gli aspetti più brutali e negativi della realtà: di

quella realtà, cioè, che in quegli anni viene stravolta dalla fiumana del progresso e dello sviluppo tecnologico,

innescati a loro volta dall’incedere della Seconda rivoluzione industriale, fenomeno che aveva causato

l’espansione delle industrie e lo sconvolgimento totale della società ottocentesca.

1
Movimento o corrente letteraria: è una tendenza relativa allo stile, alla poetica e ai contenuti che influisce sugli
scrittori del tempo in cui si sviluppa. Alcuni movimenti sono vere e proprie scuole, altri invece sono stati definiti e individuati
a posteriori dagli studiosi.
Posto di fronte a questi grandi cambiamenti, Verga dimostra di far propria un’ideologia di stampo

materialistico-pessimista: è convinto, cioè, che i rapporti sociali e in la realtà in generale siano regolati dalla

lotta per l’esistenza, dal dominio dei più forti sui più deboli. Per lo scrittore catanese, si tratta di un

meccanismo immodificabile e ineluttabile. Per questo motivo, egli considera la letteratura come uno strumento

che non può in nessun modo migliorare la realtà circostante, ma che ha la possibilità e lo scopo di

rappresentarla e di indagarla con lucidità.

Col fermo proposito, quindi, di denunciare le mostruosità del nascente mondo industrializzato, Verga

dota la sua prosa veristica di due strategie narrative fondamentali: l’impersonalità e la regressione.

Grazie all’espediente dell’impersonalità, l’autore scompare dietro a un narratore fittizio, diverso da sé,

rendendo più credibile ed efficace la narrazione. Attraverso vicende narrate in maniera impersonale, l’autore

propone un tipo di letteratura che dipinge le condizioni di vita degli strati più bassi della società, mettendo il

lettore di allora – ossia un borghese o un altolocato – faccia a faccia con il mondo reale, che generalmente

non conosceva. L’autore inoltre, eclissandosi dietro ad un narratore altro da sé, esprime il suo rifiuto di

giudicare e di commentare la realtà.

La regressione, invece, è una tecnica letteraria che consiste nell’adozione da parte dell’autore del

gergo tipico dei personaggi che via via vengono rappresentati: il loro punto di vista e il loro modo di pensare,

grazie a questo processo di focalizzazione interna, emergono direttamente dal racconto senza la mediazione

dell’autore. Il linguaggio dei personaggi, dunque, viene restituito in maniera realistica e diretta. Verga, ad

esempio, adopera l’anacoluto e il discorso indiretto libero, espedienti tecnici narrativi che ripropongono gli

stessi errori sintattici e lessicali diffusi tra gli strati più bassi della società.

«Rosso Malpelo»

La novella viene pubblicata per la prima volta nella rivista «Fanfulla» nel 1878 e inaugura la svolta

verista di Verga. In essa vengono rappresentate in modo schietto le condizioni disumane in cui erano costretti

a vivere e a lavorare gli strati inferiori della società meridionale nel secondo ’800.

L’incipit di Rosso Malpelo («Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli

rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone») rivela fin da
subito la strategia narrativa della regressione nel mondo popolare adottata dall’autore, che gli consente di

assumere lo stesso punto di vista dei personaggi che rappresenta. Gli stereotipi del mondo dipinto da Verga

vengono così a coincidere col punto di vista del narratore stesso.

La tecnica dello straniamento, al contempo, riesce a far apparire come insolito qualcosa che in realtà

è assolutamente normale, ed è funzionale alla rappresentazione dello stato di vergognosa degradazione degli

strati più bassi della società della Sicilia di quel tempo, ossia della seconda metà dell’Ottocento.

Malpelo è vittima del giudizio popolare del mondo che lo circonda. È un “caruso”, un ragazzino che per

sopravvivere lavora col padre in una cava di rena rossa in Sicilia: già da qui si nota l’atteggiamento critico del

Verga nei confronti del progresso tecnologico. Infatti, la sabbia veniva estratta lo scopo di farne del materiale

edilizio per costruire le infrastrutture dell’appena unito Regno d’Italia.

Due anni prima, nel 1876, il politico italiano Sidney Sonnino aveva denunciato le disumane condizioni

lavorative in cui versavano le fasce più basse della popolazione. Verga porta avanti questa battaglia sul piano

della letteratura, ma con sguardo e con animo disincantati, con il pessimismo che lo caratterizza.

Malpelo vive dunque in una condizione di emarginazione, sia per la sua estrazione sociale, sia per i

pregiudizi di cui è vittima. La sua condizione di isolamento si aggrava con la morte del padre, mastro Misciu,

che muore all’interno della cava travolto da un crollo di rena. Rosso, tuttavia, è l’unico personaggio della

novella in cui sopravvivono alcuni valori autentici e spontanei, e Verga ne fa un eroe lucidamente consapevole

degli spietati meccanismi della vita: consapevole, cioè, dei meccanismi dell’esistenza, della lotta di

sopraffazione che soggioga l’uomo, della legge del più forte sul più debole.

La cattiveria rivolta da Malpelo contro l’amico Ranocchio, un ragazzo debole fragile, è da intendersi

allora come un tentativo di educarlo a resistere alla sofferenza. La violenza di Malpelo, inoltre, è una sorta di
sfogo ma è anche la conseguenza dell’ “effetto Pigmalione”2: Malpelo adotta cioè i comportamenti che gli altri

si aspetterebbero da lui.

Rosso è destinato, come suo padre, a lavorare per il resto dei suoi giorni nella cava, a continuare a

orbitare Intorno al buco nero della «sciara», cioè di quella crosta lavica nei quali pozzi molte persone si

perdevano lavorando. È consapevole che quella potrebbe essere, così come poi sarà, la sua fine.

Il pessimismo materialistico del Verga si rintraccia soprattutto nella frase pronunciata davanti al

cadavere dell’asino grigio: «Se non fosse mai nato sarebbe stato meglio». Si tratta di un pessimismo che si

oppone alla speranza cristiana di Ranocchio, che tuttavia tramonta insieme alla vita di Malpelo alla fine del

racconto.

La novella si conclude con la sparizione forse volontaria di Malpelo nei cunicoli sotterranei della cava di

rena: una morte misteriosa e narrata solo in parte, volutamente nell’indeterminatezza. L’intento del Verga è

quello di mostrare ai suoi contemporanei una realtà di cui sono ignari.

2
L’effetto Pigmalione è conosciuto anche con il nome di “profezia autoavverante” o come effetto Rosenthal,
dal nome dello psicologo tedesco che per primo parlò di questo fenomeno. Si tratta di una forma di suggestione
psicologica per cui le persone tendono a conformarsi all’immagine che altri individui hanno di loro, sia essa
un’immagine positiva che negativa. Per fare un esempio pratico, basta citare l’esperimento condotto dallo stesso
Robert Rosenthal e dalla sua equipe che sottoposero alcuni bambini di una scuola elementare a un test
d’intelligenza. Dopo il test, in modo casuale, vennero selezionati alcuni bambini ai cui insegnanti fu fatto credere
che avessero un’intelligenza sopra la media. La suggestione fu tale che, quando l’anno successivo Rosenthal si
recò presso la scuola elementare, dovette costatare che, in effetti, il rendimento dei bambini selezionati era molto
migliorato, e questo solo perché gli insegnanti li avevano influenzati positivamente con il loro atteggiamento,
inconsapevoli del fatto che fosse tutto legato alla suggestione. L’effetto Pigmalione può attivarsi anche nei rapporti
tra dipendenti e datori di lavoro o in tutti quei casi in cui si sviluppino rapporti sociali. Ogni individuo riesce a essere
trattato e considerato così come si aspetta che gli altri lo facciano. Il nome deriva da un episodio della mitologia
greca: si narra che Pigmalione, scultore e re di Cipro, realizzò una statua così bella da innamorarsene. Accecato
dall’amore, chiese alla dea Afrodite di far sì che la statua acquisisse sembianze umane così da poterla sposare.
Tuttavia Rosenthal prese spunto per la definizione del fenomeno, dalla celebre e omonima opera teatrale di
George Bernard Shaw del 1912.

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