Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Uno dei dolori maggiori gli è però arrecato dalla moglie e dalla figlia, nata in verità
dalla precedente relazione della moglie con il cugino Ninì Rubiera. Il nostro
protagonista, infatti, non si sente amato dalla propria famiglia.
Manda la figlia in un collegio per nobili e la vizia ma i due si allontanano quando la
ragazza si innamora del cugino Corrado La Gurna. Mastro don Gesualdo però aveva
altri programmi per la figlia Isabella: darla in sposa a un nobile palermitano.
Alla fine mastro don Gesualdo si ritrova vedovo, lascia il paese a causa dei moti del
1848 e di un cancro incurabile e si stabilisce a vivere a casa della figlia, dove assiste
alla dilapidazione delle sue stesse ricchezze.
ANALISI
Mastro don Gesualdo è però un escluso: inizia con il mestiere di muratore – ed è per
questo che viene soprannominato Mastro – e finisce per sposare una nobildonna,
dopo essersi arricchito, guadagnando l’appellativo di don. È quindi visto male sia dai
paesani di basso ceto sia dai nobili a causa della sua ascesa sociale.
Con il romanzo Mastro don Gesualdo, Giovanni Verga rappresenta la decadenza
dell’aristocrazia e tratteggia le caratteristiche dell’ascesa della borghesia
contemporanea del suo tempo. Una borghesia votata all’individualismo e al
materialismo.
Da Mastro-don Gesualdo: L’addio alla roba
Gesualdo consapevole di dover morire, si fa portare nei suoi possedimenti dove,
invece di trovare conforto, si lascia andare alla più cupa disperazione. I suoi gesti
contro animali e piante richiamano alla mente la fine di Mazzarò, protagonista della
novella La roba. Gesualdo accetta di trasferirsi poi a Palermo, a casa della figlia,
lasciando con profonda nostalgia la sua “roba” e le persone che gli vogliono bene,
come Diodata, la sua serva fedele.
Da Mastro-don Gesualdo: La morte di don Gesualdo
Mastro-don Gesualdo, gravemente malato, vive a Palermo nella casa della figlia e
del genero, un palazzo nobiliare in cui si trova come un intruso, circondato da mobili
e oggetti preziosi e da una servitù che lo tratta con disprezzo. Sempre più isolato,
tenta disperatamente di non arrendersi alla malattia, ma, quando capisce che la fine
è inevitabile, in preda ai rimorsi e al rimpianto, cerca di sistemare la sua “roba” e di
riconoscere, tramite un lascito, i due figli illegittimi avuti da Diodata.
LA SCAPIGLIATURA
Con l'esaurirsi delle idealità romantiche, ormai scadute in un sentimentalismo
languido ed estenuato, si impose soprattutto a Milano il movimento artistico
letterario della Scapigliatura, così chiamato dal nome di un romanzo di Cletto
Arrighi, La Scapigliatura e il 6 febbraio (1862). I suoi esponenti, poeti, romanzieri e
pittori accomunati da anticonformismo, spirito d'Indipendenza e tormento interiore,
non accettavano i principi e i modi di vita borghesi e si rivolgevano a forme e
contenuti scandalosi, assumendo spesso pose da "poeti maledetti". Essi
contribuirono a sprovincializzare la cultura italiana, introducendo temi insoliti per la
nostra tradizione: il macabro, il funereo, l'umorismo nero, il brutto, il patologico, il
sogno e l'incubo. I loro principali modelli furono gli autori del tardo Romanticismo
europeo, come Hoffmann, l'americano Edgar Allan Poe e soprattutto I fiori del male
di Baudelaire. Gli scapigliati contestavano i valori borghesi del pro fitto e del
guadagno, in nome di concetti quali il Bello, il Vero, la Virtù; tale contrapposizione
assunse spesso le forme di un dualismo tra la vita degradata e l'aspirazione a
un'esistenza ideale. Proprio l'attenzione agli aspetti più bassi e materiali della
quotidianità fu uno dei temi caratteristici della letteratura scapigliata e aprì la strada
all'interesse per il Naturalismo.
IL SUPERAMENTO DEL POSITIVISMO
Nella seconda metà dell'Ottocento si diffuse nella cultura europea una nuova
sensibilità che rifiutava l'ottimismo positivista e la pretesa di scientificità del
Realismo e del Naturalismo e, in polemica contro i valori borghesi, esaltava alcuni
motivi tipici del Romanticismo, come l'interiorità, l'eccezionalità dell'artista e il suo
sentimento di esclusione nei confronti della società. Tali fermenti si tradussero in
nuove esperienze artistiche e letterarie, che vanno sotto il nome di Decadentismo e
che hanno origine nel Simbolismo francese e nell'Estetismo inglese.
SIMBOLISMO
II Simbolismo, che prese il nome dalla rivista "Le Symboliste" (1886), è una corrente
poetica nata in Francia e ispirata all'esperienza del Parnassianesimo, un movimento
letterario che sosteneva un'ideale di poesia ispirata ai canoni della bellezza e della
perfezione classiche. Alla base del Simbolismo vi è l'idea che l'artista può penetrare i
significati nascosti della realtà e scoprire le corrispondenze che si celano dietro alle
cose, grazie al potere evocativo e allusivo della parola: dal momento che le parole
acquistano un significato simbolico, grande importanza riveste l'aspetto fonico e
musicale del linguaggio. Precursore del movimento fu Charles Baudelaire (1821-
1867). Egli condusse una vita di eccessi e sregolatezza, in polemica contro le
convenzioni borghesi, e con la sua raccolta I fiori del male apri la stagione dei " poeti
maledetti ". Temi centrali della poetica di Baudelaire sono le corrispondenze tra le
varie manifestazioni della realtà e la noia esistenziale che assale l'individuo nella vita
squallida e degradata delle città. A Baudelaire si ispirò esplicitamente Paul Verlaine
(1844-1896), sia per la condotta di vita ribelle e anticonformista, sia per i temi della
malinconia e dello spleen e per la ricerca continua della musicalità del verso. Fu
proprio Verlaine a pubblicare, nel 1884, l'antologia poetica dal nome I poeti
maledetti.
ESTETISMO
L'Estetismo è un movimento artistico e letterario nato in Inghilterra e ispirato al
principio dell’ ”arte per l'arte", che esalta la bellezza come valore supremo e
polemizza con la fiducia nella scienza e nella ragione. Ciò si traduce nell'esaltazione
dell'artista, figura eccezionale che deve vivere la propria vita come un'opera d'arte,
rifiutando la mediocrità della vita borghese: tale concezione si espresse nella figura
dell'esteta, un individuo che ama circondarsi di piaceri raffinati e non tiene conto
delle regole della morale comune. I principali esponenti dell'Estetismo furono il
francese Joris - Karl Huysmans (1848-1907, A ritroso), l'inglese Oscar Wilde (1854-
1900), Il ritratto di Dorian Gray) e l'italiano Gabriele D'Annunzio (1863-1938, II
piacere), che con le loro opere diedero vita al nuovo genere del romanzo
estetizzante. Huysmans, in particolare, introdusse alcune novità narrative destinate
a influenzare il romanzo del Novecento come l'attenzione su un solo personaggio,
una focalizzazione interna al personaggio, un tempo del racconto non lineare ma
modellato sui pensieri del protagonista, lo spazio come luogo simbolico.
DECADENTISMO
Da queste diverse esperienze nacque il Decadentismo, una corrente difficilmente
classificabile, la cui influenza si estende dagli anni Ottanta dell'Ottocento fino quasi
alla prima guerra mondiale. Il termine "decadenza" fu usato per la prima volta da
Verlaine, per esprimere l'idea di un'epoca ormai al tramonto ed ebbe inizialmente
una con notazione negativa, con cui la critica indicava la nuova generazione dei
"poeti maledetti". Intellettuali e artisti decadenti erano accomunati dalla critica
all'ottimismo positivista e alla società borghese e per il risalto dato alla soggettività e
alla dimensione interiore. Negli stessi anni questi aspetti furono analizzati
filosoficamente e scientificamente da alcuni pensatori, che crearono di fatto le
premesse per la crisi del razionalismo ottocentesco. Friedrich Nietzsche (1844-1900),
con il suo nichilismo, negò la possibilità di attribuire all'esistenza una verità oggettiva
e auspicò la nascita di un "superuomo“, in grado di realizzare le proprie infinite
possibilità superando gli ostacoli imposti dalle convenzioni sociali e dalla morale.
Henri Bergson (1859-1941) introdusse il concetto di tempo interiore e individuo
nell'intuizione la forma suprema di conoscenza. Sigmund Freud (1856-1939) teorizzò
l'esistenza dell'inconscio come l'insieme dei processi psichici che rimangono sotto la
soglia della coscienza. Applicò l'interpretazione dei sogni come metodo per
comprendere il funzionamento dell'attività psichica e suddivise la vita psichica
dell'uomo in tre livelli (Es, Super - lo e lo). Sulla cultura del tempo ebbe grande
influsso anche la teoria della relatività di Albert Einstein (1879-1955). In campo
letterario, molte di queste teorie diedero vita a un'arte nuova fondata
sull'eccezionalità dell'artista (definito di volta in volta come veggente, esteta e
superuomo) e sull'esaltazione di valori soggettivi. Tra i più importanti temi della
letteratura decadente ricordiamo: la malattia e la morte, il vitalismo, il sogno, il
vagheggiamento di epoche e paesi lontani, il rifiuto della morale e dei valori
borghesi. In poesia, i decadenti si ispirarono alla lezione simbolista, privilegiando
l'aspetto fonico e musicale e il potere simbolico ed evocativo della parola, rifiutando
i modelli tradizionali in favore del verso libero.
GIOVANNI PASCOLI
LA VITA
Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna nel 1855. All'età di 7 anni
incomincia gli studi classici a Urbino, presso il collegio degli Scolopi, ma ben presto la
sua vita è funestata da gravi lutti familiari. Nel 1867 il padre viene ucciso in
circostanze misteriose e negli anni successivi muoiono la madre, una sorella e un
fratello. Le condizioni economiche della famiglia subiscono un deciso
ridimensionamento. Durante gli anni universitari trascorsi a Bologna, Pascoli
frequenta gruppi socialisti anarchici e viene arrestato. Nel 1895 si trasferisce con la
sorella Maria a Castelvecchio di Barga. Gli ultimi anni lo vedono impegnato
nell'insegnamento universitario, prima a Messina, poi a Pisa quindi a Bologna, dove
muore nel 1912.
LE OPERE
Le più importanti raccolte poetiche di Pascoli sono Myricae (1891) e i Canti di
Castelvecchio (1903): in esse i temi campestri e familiari e il ricordo dei cari defunti
sono espressi in versi ricchi di musicalità e di giochi fonici. I Primi poemetti (1904) e i
Nuovi poemetti (1909) sono composti in terzine dantesche, sullo sfondo di
un'ambientazione agreste. I Poemi conviviali (1904), pur riprendendo diverse
tematiche precedenti, richiamano il mondo classico e rievocano miti e personaggi
greci e romani, che assumono in Pascoli un profilo decadente. Pascoli compose
anche liriche di ispirazione civile e patriottica (Odi e inni, 1906; Canzoni di re Enzio,
Poemi italici, Poemi del Risorgimento). Tra gli scritti saggistici, oltre al Fanciullino
pubblicato nel 1897 (e poi, rielaborato, nel 1903), ricordiamo anche tre saggi su
Dante.
IL PENSIERO E LA POETICA
Gli eventi luttuosi della fanciullezza vissuti dopo la morte del padre, contribuiscono a
creare sia il mito del " nido " familiare, simbolo di rifugio protettivo dai mali del
mondo esterno, sia una visione amara dell’esistenza. Questi elementi trovano
riscontro in una poetica incentrata sul " fanciullino “. Per Pascoli, il poeta è l'uomo
che sa ascoltare e dare voce al fanciullino che è dentro ciascuno di noi, il quale non è
attratto dai fatti importanti della storia, ma dai particolari più minuti e sensibili, dalla
segreta poesia delle cose che egli, al contrario dell’adulto, sa coglie re. Il poeta è
colui che sa esprimere la meraviglia dei bambini, sa guardare al mondo con il loro
sguardo stupito e ingenuo, sa scoprire «< nelle cose le somiglianze e le relazioni più
ingegnose» >. I temi di questa poesia sono quelli più vicini alla sensibilità del
fanciullino. Sono le piccole cose: il rimpianto per il mondo dell’infanzia, il tema del "
nido " e degli affetti familiari, la descrizione della natura come fonte di consolazione
e come luogo simbolico in cui poter rievocare un passato e un'innocenza perduti.
Non mancano nella poesia di Pascoli temi di più ampio respiro, come lo sgomento di
fronte al mistero del cosmo e la ricerca dell’interiorità, la celebrazione dei miti e
degli eroi dell'antichità classica, rivisitati però in forma moderna e riletti come
uomini con le loro debolezze e i loro dubbi. Tali tematiche si ricollegano alla
sensibilità decadente e alla poesia simbolista, soprattutto per l'idea che il poeta -
fanciullino possa indagare la realtà e cogliere significati arcani e segrete
corrispondenze sotto la superficie delle cose. Il linguaggio rifugge dalle architetture
logiche e razionali preferendo le analogie, i significati allusivi, le risonanze
onomatopeiche e fonosimboliche delle parole. Nuovo è il plurilinguismo, soprattutto
nei Primi poemetti.
FANCIULLINO (è dentro di noi un fanciullino)
Nelle prime pagine de Il Fanciullino è racchiusa tutta la poetica di Giovanni Pascoli, al
punto che in un certo senso quest'opera può essere definita il suo testamento
letterario.
Secondo Pascoli, la poesia non è invenzione, ma è scoperta: si trova nelle cose
stesse e in esse bisogna saper vedere.
Non tutti hanno però la possibilità di farlo: per vedere davvero si deve osservare le
cose in maniera pura, con occhio puro, come se le vedesse per la prima volta.
Questo modo di guardare è proprio del bambino, del fanciullo. Il poeta deve perciò
ricordare e ripetere le impressioni che provò da bambino. La poesia deve essere
spontanea, intuitiva, priva di sovrastrutture culturali, proprio come la concezione del
mondo che ci formiamo nell’infanzia.
La poesia porta ad abolire l’odio, a un senso di fratellanza e di scoperta.
In questo saggio Pascoli enuncia le linee importanti della sua poetica: spontanea,
immaginifica, lontana dalla razionalità. Il tema principale è il poeta, inteso come
colui che dà voce al fanciullino che è in noi.
Altro tema fondamentale è la semplicità e la purezza dello spirito poetico: in
ciascuno vive un fanciullino, che grazie alla sua innocenza e sensibilità incorrotta può
arrivare al cuore delle cose e di scorgerne il senso profondo.
Vi sono due sequenze descrittive da evidenziare:
Nella prima sequenza vi è la metafora del fanciullino, che col tempo perde spazio
dentro di noi, ma resta in fondo la nostra parte più autentica. Potenzialmente tutti
possono essere poeti: il fanciullino alberga in ciascuno di noi. Non tutti però lo sanno
ricordare e far venire fuori: il poeta sì.
Nella seconda sequenza Pascoli dice che la poesia non è frutta di un’attività logica e
razionale: esiste nelle cose e nella natura e per vederla è necessario avere gli occhi
giusti. Il compito del poeta non è creare, ma rivelare la poesia che già esiste. Lo può
fare solo a condizione che si identifichi col fanciullino e che aderisca al mondo con
l’immediatezza con cui guarda la realtà che lo circonda. C’è una sorta di equazione
tra il poeta e il fanciullo: il poeta non deve dare messaggi, né tantomeno mettersi al
servizio del potere.
Il fanciullino è un attestato della sua visione della vita di Pascoli: dietro a questa
figura si nasconde la paura per il mondo, il rifiuto della donna e dell’eros, e più
generale il vissuto autobiografico di un uomo testimone di gravi lutti e dolore.
Myricae [1891-1911]
Composizione e struttura
La gestazione di questa raccolta fu lunghissima. I primi testi risalgono agli anni
settanta; il titolo comparve per la prima volta nel 1890 a raggruppare nove poesie
pubblicate sulla rivista “Vita Nuova”, e quindi l’anno successivo in un piccolo volume
a stampa, offerto come dono di nozze a un amico, comprendente 22 poesie.
Seguirono altre edizioni: nel 1892 (72 poesie); nel 1894 (116 poesie); nel 1897 (152
poesie); nel 1900 (156 poesie), in cui venne definitivamente fissato l’indice. Pascoli
intervenne ancora negli anni successivi con diverse varianti d’autore: l’ultima
edizione è del 1911. Evolutasi di edizione in edizione, in quella definitiva del 1900 la
struttura della raccolta è articolata in 15 sezioni di ampiezza variabile intercalate da
testi isolati. Prevale il criterio della varietà e i temi appaiono legati a distanza da un
sottile intreccio circolare.
Titolo e genere
Myricae è termine latino (preso a prestito dalla IV Bucolica di Virgilio) per indicare le
tamerici, umili arbusti comuni in area mediterranea, impiegati dai contadini per far
ramazze o accendere il fuoco. Per Pascoli simboleggiano il mondo umile delle piccole
cose legate alla terra; inoltre rappresentano un legame con il luogo natale perché
particolarmente abbondanti proprio nei paraggi di San Mauro di Romagna. La scelta
del termine latino è assieme un omaggio a Virgilio, una specificazione di genere
(poesia bucolica) e una dichiarazione di poetica (fondata su semplicità di materia e
stile).
Temi: la morte, il nido
Fin dalla Prefazione Pascoli suggerisce la chiave di lettura del libro, dominato dal
tema funebre della rievocazione dei lutti di famiglia: la morte, nel giro di dieci anni,
del padre, della madre e di tre fratelli. Ma la dimensione privata assurge a visione
del mondo, in cui al bene assicurato da madre natura si mescola il male provocato
dalla malvagità dell’uomo. Il nido è il grande archetipo attorno al quale ruota il
mondo poetico pascoliano. Esso è il luogo degli affetti e il rifugio contro la cattiveria
degli uomini; ogni distacco dal nido è un trauma, così come ogni ritorno è una
regressione alla beatitudine della prima infanzia (al nido il fanciullino guarda come al
grembo materno). Il nido è anche simbolo del riparo offerto dalla natura contro la
violenza della storia: pertanto è legato al polo positivo della campagna (ricco di
risvolti ideologici, come la celebrazione della piccola proprietà terriera e della serena
semplicità della vita contadina), contrapposto alla città (dove gli uomini si riuniscono
solo per farsi del male). La tensione drammatica che anima la raccolta è data dal
fatto che anche nel nido la violenza si abbatte comunque, trasformando lo spazio
edenico nel teatro di un dramma. Il tema della morte si innesta quindi nell’idillio
bucolico spezzandolo; il nido appare alla fine come il campo in cui il bene, la natura
e la vita danno battaglia contro il male, la storia e la morte.
Le forme:
Sperimentalismo metrico Pascoli adopera versi e versicoli di varia lunghezza, dal
trisillabo all’endecasillabo, e in particolare il novenario, raro nella tradizione
precedente. Per quanto riguarda gli schemi strofici passa dal sonetto al madrigale,
dall’ottava alla strofe saffica, dalla quartina alla ballata, raggruppati in sezioni
metricamente omogenee.
MYRICAE (lavandare)
Lavandare, è un componimento di Giovanni Pascoli scritto nel 1894 ed incluso nella
raccolta Myricae. Ecco il testo, le figure retoriche, i temi trattati e un breve riassunto
dell’opera.
Lavandare – Testo:
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.
E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:
il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo al maggese.
Riassunto
Il poeta passeggia tra i campi in una giornata velata dalla nebbia e vede un aratro
solo, come lui. Poi sente il canto delle lavandaie al canale che accompagna il loro
lavoro.
Figure Retoriche
tonfi spessi – chiasmo
Analisi
Le due figure centrali del componimento sono le lavandaie, che stanno cantando, e
l’aratro: simbolo della solitudine (senza buoi e dimenticato). Nella prima strofa
prevale l’elemento visivo, nella seconda e nella terza quello uditivo. Ritroviamo il
frequente uso delle tipiche figure retoriche usate da Pascoli, il quadretto
naturalistico della campagna, la descrizione di un paesaggio non ben definito, anche
se reale, e l’uso di una sintassi spezzata.
MYRICAE (X agosto)
San Lorenzo , io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Metrica:
Novenario:…….
(due parole sono in rima quando sono uguali a partire dalla sillaba che
porta l’accento)
Nella prima strofa: troviamo nei primi due versi una consonanza della
Lettera L e un’assonanza tra le parole “arde e cade”. Nel primo verso
Invece troviamo un enjambement.
Nella quarta strofa: Nel secondo verso ci sono due cesure e una rima
Interna (mondi/inondi).
MYRICAE (novembre)
Riassunto:
La prima strofa del componimento ci introduce in un paesaggio soleggiato quasi
primaverile dove gli albicocchi stanno già per fiorire e il profumo del biancospino si è
già sparso.
Il componimento prosegue e dal verso n°5 la poesia cambia tono: l’avversativo “ma”
ci porta in autunno. Tutto intorno v’è silenzio: i rami secchi delle piante sembrano
proiettati nel cielo, il terreno fa rimbombare il suono del calpestio e le folate di
vento fanno cadere le foglie. Il freddo autunnale è arrivato, come la festività dei
morti nel mese di novembre.
Analisi:
Il componimento non presenta un andamento lineare infatti ha un incipit solare, ma
termina con la figura del buio. La seconda strofa invece si apre con l’avversativo
“Ma” capovolgendo così il tono della poesia.
Se nella prima strofa prevalgono l’elemento visivo ed olfattivo, nella seconda
quello visivo ed uditivo invece in quella finale solo quello uditivo.
Ritroviamo il frequente uso delle tipiche figure retoriche usate da Pascoli, il
quadretto naturalistico della campagna, quindi un luogo reale, la descrizione di un
paesaggio non ben definito (Impressionismo pascoliano) e l’uso di una sintassi
spezzata.
Il tema della morte è molto più esplicito, infatti sia dal titolo che dal testo del
componimento si intuisce ciò infatti il poeta fa riferimento al fenomeno stagionale
della cosiddetta “estate di San Martino” preceduta dalla ricorrenza dei morti (2
novembre).
MYRICAE (temporale)
Un bubbolìo lontano…
Rosseggia l’orizzonte,
un’ala di gabbiano.
IL LAMPO
E cielo e terra si mostrò qual era:
Composizione e struttura
I temi:
La lirica venne inizialmente pubblicata in un opuscolo nel luglio del 1901 e poi nei
“Canti di Castelvecchio” (1903).
La notte è avvolta da un senso di pace a cui viene contrapposto l’agitarsi della vita
nella casa.
Nei versi successivi c’è l’immagine dei nidi in cui i piccoli dormono sotto le ali della
madre, immagine rassicurante del nido come casa, ambiente protetto, tema molto
caro al poeta.
L’ape che trova già prese le celle del suo alveare è una immagine che trasmette il
senso di esclusione che il poeta, incuriosito dall’eros ma anche intimorito da questo,
diffidente.
Le Pleiadi trasmettono l’idea di una chioccia che si trascina dietro i suoi pulcini e il
pigolio è una sinestesia che sposta nella percezione uditiva la percezione visiva del
tremolio della luce delle stelle.
All’odore del fiore si accompagna il salire della luce sulla scala e infine il suo
spegnersi al primo piano con i punti di sospensione che alludono al congiungersi
degli sposi e al mistero della vita che continua a palpitare anche se è buio.
La lirica si chiude ancora con un ossimoro: “E’ l’alba”, il momento del risveglio, che
contrasta con “si chiudano i petali un poco gualciti”. “Nell’urna molle e segreta”, che
simbolicamente rappresenta il grembo materno, si dischiude una nuova vita, si cova
“non so che felicità nuova”.
IL SIMBOLISMO PASCOLIANO
Gelsomino notturno è uno dei grandi esempi del simbolismo pascoliano dove viene
descritta una notte ricca di vita ed eventi. La poesia sprigiona allusioni che creano un
clima ambiguo in cui viene esaltata la sensualità, il vagheggiamento del fiorire della
vita ma anche il senso di solitudine ed il ricordo dei morti. Il ricorso al simbolismo è
evidente soprattutto in due momenti:
Quando parla dell’aia del cielo su cui si muove la chioccia seguita dal suo
pigolio di stelle.
Il cielo è l’aia su cui si muove la chioccia e le stelle sono i suoi piccoli che la
seguono pigolando.
GABRIELE D’ANNUNZIO
LA VITA
D’Annunzio, dopo l'infanzia trascorsa a Pescara, compì gli studi liceali a Prato per poi
trasferirsi a Roma, dove entrò in contatto con ambienti letterari e iniziò a
collaborare con giornali e riviste. Il matrimonio non gli impedì di coltivare l'ideale del
" vivere inimitabile “, fuori dal comune, e allacciò di verse relazioni amorose,
dissipando le proprie risorse tanto da essere costretto alla fuga a Napoli per eludere
i creditori (1891). Conobbe l'attrice Eleonora Duse, con la quale visse vicino Firenze,
ma la relazione si interruppe; dopo qualche anno, D'Annunzio si trasferì in Francia,
rientrando in Italia allo scoppio della guerra e distinguendosi come uno dei più con
vinti interventisti. Si rese poi protagonista di alcune celebri azioni militari (la " beffa
di Buccari “, il " volo su Vienna " e, alla fine della guerra, l'impresa di Fiume).
Emarginato da Mussolini, trascorse gli ultimi anni sul lago di Garda, a Gardone, nel "
Vittoriale degli Italiani “, dove morì nel 1938.
LE OPERE
IL PENSIERO E LA POETICA
IL PIACERE
Il Piacere è un romanzo di Gabriele D'Annunzio, scritto nella seconda metà del 1888
a Francavilla al Mare e pubblicato l'anno seguente dai Fratelli Treves. A partire dal
1895 recherà il sopratitolo I romanzi della Rosa, formando un ciclo narrativo con
L'innocente e Il trionfo della morte, trilogia dannunziana di fine Ottocento.
SINTESI
Andrea Sperelli è un nobile romano (nato però in Abruzzo) che risiede a Palazzo
Zuccari a Roma. Il suo amore per Elena Muti, anch'essa nobile, conosciuta ad una
festa mondana, è ormai finito, così Andrea, dopo la definitiva separazione da lei, si
lascia andare ad incontri amorosi. Ferito durante un duello, viene ospitato dalla
cugina nella villa di Schifanoja a Rovigliano (Torre Annunziata), dove conosce la ricca
Maria Ferres, moglie del ministro plenipotenziario di Guatemala, di cui subito
s'innamora e dalla quale viene ricambiato. Andrea, appena guarito, torna a Roma e
si rituffa nella sua solita vita mondana. Anche Donna Elena è tornata a Roma dopo
due anni, durante i quali aveva preso in seconde nozze Lord Heathfield. Andrea è
combattuto tra due amori: Elena Muti e Maria Ferres, anche lei trasferitasi a Roma
con il marito e la figlia Delfina. Presto Andrea viene a sapere di una crisi finanziaria
del marito di Maria che, avendo barato ad una partita a carte, è costretto a
trasferirsi con tutta la famiglia. Prima di partire, Donna Maria vuole concedersi per
l'ultima notte ad Andrea, ma lui, essendo troppo innamorato di Elena, rovina tutto.
Ad Andrea non resta che la solitudine e la consapevolezza di stare osservando
un'epoca storica che cambia: ossia il passaggio del potere della nobiltà di Roma alla
democrazia popolare.
LAUDI
La raccolta delle Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi comprende le
opere poetiche della maturità: secondo il progetto iniziale doveva articolarsi in sette
libri, tanti quante le stelle della costellazione delle Pleiadi, dalle quali prendono il
nome (Maia, Elettra, Alcyone, Merope, Asterope, Taigete e Selene) , ma il progetto
non fu mai completato. D'Annunzio incluse nell'edizione definitiva solo i primi
quattro, escludendo quindi Asterope, rimasto incompleto, e Taigete e Selene, di cui
ci restano solo dei titoli.
Da Laudi-Alcyone
La pioggia nel pineto è una lirica composta fra luglio e agosto 1902 dal poeta
Gabriele D'Annunzio nella celebre Villa La Versiliana, dove abitava immerso nel
verde della pineta a Marina di Pietrasanta in Versilia. Quest'opera appartiene
all'Alcyone, una raccolta di poesie di D'Annunzio scritte tra il giugno del 1899 e il
novembre del 1903.
La poesia è composta da 128 versi divisi in quattro strofe. I versi sono totalmente
liberi, ossia non rispettano un preordinato numero di sillabe, tuttavia è stato notato
che ricorrono spesso i ritmi ternario (tre sillabe), senario (sei sillabe) e novenario
(nove sillabe). I versi sono anche sciolti, perché non seguono uno schema metrico
fisso di rime, ma le rime sono presenti in tipi diversi. Il poeta descrive un'immagine
raffinatissima e suggestiva di un'atmosfera naturale espressa con una struttura
frammentaria dei versi e con la ripetizione di parole e di frasi e dal susseguirsi di
sensazioni uditive, visive, olfattive, tattili, ritmate dal ripetersi di due verbi chiave,
"piove" e "ascolta", in cui però le sensazioni uditive prevalgono sulle altre. La poesia,
infatti, è come una sinfonia: il poeta sceglie le parole non tanto per il loro significato
quanto per il loro suono — caratteristica tipica del decadentismo e di D'Annunzio in
particolare —, per creare la suggestione di una musica. Le strategie tecniche che
utilizza per creare musicalità e suggestione sono varie e diversificate e il linguaggio
risulta molto ricercato e raffinato. L'autore spezza i legami sintattici e crea una
sequenza di effetti sonori con le rime, variamente disposte, le assonanze, le
onomatopee e le similitudini.
FIGURE RETORICHE
Ricorrenti sono le similitudini ( come una foglia; come / le chiare ginestre; il cuor nel
petto è come pesca; son come polle tra l’erbe; son come mandorle acerbe).
E’ presente una sineddoche (fronda sta per albero; la parte identifica il tutto in
questo caso).
CREPUSCOLARISMO
MARINO MORETTI
Poesie di tutti i giorni è la terza raccolta. Già il titolo, non diversamente, del resto, da
quello del libro precedente, Poesie scritte con lapis, dà la misura del tono dismesso
con cui l’autore vuole affrontare i temi da lui cari: la semplicità degli affetti familiari,
dei luoghi e dei personaggi della vita quotidiana. La vicinanza alla poetica pascoliana
è evidente, ma qui il tono è più intimo, raccolto, “crepuscolare”, appunto.
FUTURISMO
Il Futurismo nacque nel 1909 con il Manifesto del Futurismo scritto dall'italiano
Marinetti. Alla base di questo movimento vi è la volontà di rompere radicalmente
con i modelli del passato e di contestare apertamente il perbenismo della società
borghese. La poetica futurista, infatti, si diffuse non solo attraverso vari manifesti
programmatici, ma anche con spettacolari serate nei teatri (le " serate futuriste "),
polemiche e provocazioni, che avevano l'obiettivo di far conoscere il programma
culturale del gruppo; importante fu anche il ruolo della rivista " Lacerba " che, per
circa due anni, fu di fatto l'organo ufficiale del movimento. La letteratura futurista si
proponeva di sovvertire sia i contenuti sia le forme tradizionali, attraverso nuovi
temi (esaltazione delle macchine e della velocità, celebrazione della guerra e del
vitalismo, rifiuto della dimensione intima e soggettiva, attenzione verso l’intuizione)
e nuove soluzioni stilistiche (distruzione della sintass , abolizione della
punteggiatura, uso del verso libero, linguaggio analogico secondo il principio delle
«<parole in libertà»>, uso delle onomatopee, sconvolgimento dell'aspetto grafico
della pagina). I principali autori futuristi furono gli italiani Marinetti, Palazzeschi e
Govoni e il russo Majakovskij. Mentre i primi erano interessati soprattutto allo
sconvolgimento stilistico e grafico (poesia visiva) e alla sperimentazione linguistica,
quella di Majakovskij fu una poesia antilirica, che si proponeva soprattutto di
scuotere le masse in favore dell'ideologia rivoluzionaria. Legato in parte al
Futurismo, ma sensibile anche alle proposte di altre avanguardie artistiche, specie
pittoriche (Cubismo, pittura metafisica), fu il poeta francese Guillaume Apollinaire. Il
vertice della sua ricerca forma le è rappresentato dalla raccolta Calligrammi (1918),
in cui le poesie sono disposte sulla pagina in modo da formare immagini evocative
dei contenuti del testo.
La genesi Mentre stava elaborando la sua idea di poesia e d’arte, Marinetti ebbe un
" incontro " decisivo: quello con l’automobile. Affascinato dal mito della velocità e,
in generale, delle macchine, il poeta venne così elaborando un breve testo che
potesse servire allo stesso tempo da provocazione al perbenismo della società
borghese dell'epoca e da dichiarazione di poetica. Scritto sul finire del 1908, il
Manifesto fu pubblicato in un paio di giornali italiani di provincia all'inizio del
febbraio 1909; ma, non contento della scarsa eco suscitata, Marinetti riuscì a far
pubblicare il testo su un giornale ben più autorevole. Fu così che, il 20 febbraio
1909, il Manifesto del Futurismo uscì sulla prima pagina del quotidiano parigino "Le
Figaro", suscitando commenti e polemiche in tutta Europa.
Marinetti espone il programma ideologico che sarà alla base del nuovo movimento.
Accanto all’elogio della velocità, delle macchine, della tecnica e in generale di tutto
ciò che è moderno, compaiono esortazioni aggressive, belliciste, antimoraliste,
antifemministe e avverse a ogni aspetto che nella cultura e nella società può aver
sentore di vecchio.
Un poemetto provocatorio: Nel poema Zang Tumb Tumb (1914) Marinetti volle
rappresentare e celebrare, secondo la sua innovativa e provocatoria poetica, il
conflitto bulgaro - turco scoppiato nel 1912 per contrasti etnici e territoriali. La
Bulgaria aveva fatto parte dell'Impero ottomano dalla fine del Trecento fino al 1878,
e nel 1912 i due paesi erano confinanti.
Marinetti, che nel Manifesto del Futurismo del 1909 aveva celebrato la guerra come
«sola igiene del mondo»> ed esaltato il «militarismo, il patriottismo, il gesto
distruttore dei liberatori», fu inviato nel 1913 come corrispondente sul fronte
balcanico, dove assistette al conflitto. Nel passo, il poeta trascrive simultaneamente
le sensazioni visive, uditive e olfattive suggeritegli dallo spettacolo dell'assedio
bulgaro alla città di Adrianopoli, nella Turchia europea. Di fronte alla potenza delle
macchine da guerra -cannoni e mitragliatrici- i cui rumori sollecitano le facoltà
sensoriali come i suoni prodotti da un'orchestra, si manifesta tutta l'esaltazione
psicofisica di Marinetti.
ALDO PALAZZESCHI
Aldo Palazzeschi, pseudonimo di Aldo Giurlani, nacque a Firenze nel 1885. Dopo il
diploma in ragioneria, si dedicò per un certo periodo alla recitazione, lavorando
nella compagnia di Lyda Borelli, una famosa attrice dell'epoca. Esaurita la parentesi
di attore, si impegnò esclusivamente nella letteratura, abbracciando, in un primo
momento, scelte poetiche di tipo crepuscolare. La sua prima raccolta di poesie,
pubblicata a sue spese, fu Cavalli bianchi (1905), seguita da Lanterna (1907) e Poemi
(1909), firmata con il nome del suo gatto, Cesare Blanc. Del 1910 è L'incendiario, che
segna l'avvicinamento del poeta al Futurismo, dal quale tuttavia si distaccò nel
1914, in aperto dissenso con la posizione interventista del movimento; da allora,
Palazzeschi non partecipò più attivamente alla vita pubblica del paese, limitandosi a
non aderire al fascismo e conducendo una vita appartata. Dopo aver soggiornato a
lungo tra Firenze e Parigi, si trasferì a Roma nel 1941, dove morì nel 1974.
Interessante e significativa la produzione narrativa, il cui esordio avvenne nel 1911
con Il codice di Perelà, un divertente ROMANZO ALLEGORICO in cui un omino di
fumo ripercorre le vicende di Cristo. Tra gli altri romanzi ricordiamo Le sorelle
Materassi (1934), I fratelli Cuccoli (1948) e Storia di un'amicizia (1971).
L’incendiario
Metrica: versi liberi con numerose rime e assonanze (Forma di rima imperfetta che si ha
quando, in due o più versi, le parole terminali contengono le stesse vocali a cominciare da quella
accentata)
CONTESTO STORICO-CULTURALE
Con "età della crisi" si indica l'ultima parte dell'Ottocento fino agli anni Trenta del
Novecento. La società si trovava affrontare, in quel periodo, una serie di
cambiamenti che ne minavano le stesse fondamenta: a una rapida trasformazione
della società, della tecnologia, della vita lavorativa, si affiancavano nuove idee,
nuove scoperte scientifiche, nuove frontiere del pensiero filosofico.
VERSO IL ROMANZO MODERNO
Il Decadentismo estetizzante rivalutava individualità d'eccezione, caratterizzate però
anche da un forte disagio esistenziale. A tale disagio diedero voce nel primo
Novecento alcuni importanti narratori che, approdando a soluzioni tematiche e
stilistiche diverse, diedero un grande contributo alla nascita del moderno romanzo
europeo. Le principali innovazioni consistono nella rappresentazione di una realtà
soggettiva, che può essere letta in base a numerose chiavi interpretative: ci si
concentra su un unico personaggio, sempre un antieroe (malato, inetto, nevrotico);
l'intreccio è debole e il tempo del racconto è frammentato; si narra in prima
persona e spesso usando la strategia narrativa del monologo interiore e del flusso
di coscienza, operando così una forte caratterizzazione psicologica.
LUIGI PIRANDELLO
LE OPERE
La produzione letteraria di Pirandello è estrema mente vasta: l'autore siciliano ha
scritto saggi, romanzi, novelle e opere teatrali. Proprio in quest'ultimo campo, dopo
un esordio influenzato dal Verismo, realizza un'innovazione drammaturgica che
influenza tutto il teatro del Novecento. Tra i saggi ricordiamo L'umorismo (1908),
dove Pirandello distingue l'umorismo dalla comicità e lo definisce come «sentimento
del contrario»> che provoca la compassione dell'osservatore. Le novelle di
Pirandello sono composte a partire dal 1894 fino a poco prima della sua morte e
inserite nelle Novelle per un anno (1922-1938). Si possono suddividere in due filoni:
uno ambientato nel mondo contadino della Sicilia e l'altro che ha per protagonisti
impiegati della piccola borghesia romana, oppressi da vite infelici e frustranti. In
linea con l'ultima fase della produzione pirandelliana sono le novelle surreali,
caratterizzate da un'atmosfera onirica e fiabesca. I romanzi principali sono Il fu
Mattia Pascal (1904) e Uno, nessuno e centomila (1926). Il primo racconta la storia
di Mattia Pascal che, in seguito alla notizia della sua falsa morte, tenta di ricostruirsi
una vita sotto falsa identità, ma rimane sospeso in una condizione anomala, di
"straniero" alla vita. La storia è narrata in prima persona con un ampio uso di
monologhi interiori e presenta molti dei temi dell'opera pirandelliana: il tentativo di
definire la propria identità e di sfuggire alle maschere che la società impone
all'individuo, la filosofia del lontano, l'umorismo, il desiderio di evadere da una vita
alienante, il relativismo conoscitivo. Uno, nessuno e centomila racconta la storia di
Vitangelo Moscarda che, non riconoscendosi più nell'identità con cui lo vedono la
società e gli altri, si autoesclude dalla vita in un percorso di liberazione che lo porta a
essere finalmente nessuno, L'esordio teatrale avvenne con testi dialettali di
ambientazione siciliana (spesso tratti da novelle) e rappresentati sia in dialetto sia in
italiano. Ma l'innovazione nel teatro si coglie soprattutto con i drammi incentrati
sulla tragedia personale del personaggio, che l'autore indaga attraverso gli strumenti
dell'umorismo e dell'ironia (di qui la definizione di teatro umoristico), mettendo in
luce il conflitto tra uomo e società, le ipocrisie che regolano i rapporti umani, la
solitudine angosciosa e tragica che rappresenta la condizione esistenziale dell'uomo
moderno. Nascono i drammi del relativismo conoscitivo e della follia, caratterizzati
dall'impossibilità di conoscere il reale e dalla pazzia come mezzo per liberarsi dalle
maschere: Così è (se vi pare), 1917; Enrico IV, 1922. La novità più significativa è
quella del "teatro nel teatro" (o metateatro), a cui appartengono le opere più note
di Pirandello: Sei personaggi in cerca d'autore (1921), Ciascuno a suo modo (1924),
Questa sera si recita a soggetto (1930). L'autore mette in scena temi relativi al teatro
come il conflitto tra attori e personaggi, tra attori e spettatori, tra attori e regista, e
l'impossibilità dell'arte di riprodurre la vita. L'ultima fase della produzione teatrale è
quella del "teatro dei miti", in cui Pirandello prospetta un'utopica visione della
società fondata sulla vita comunitaria (La nuova colonia, 1928), sulla religione
(Lazzaro, 1929), sull'arte (I giganti della montagna, 1930).
PENSIERO E POETICA
Nonostante la sua formazione verista, la poetica di Pirandello si fonda su tre principi
legati alla psicologia di Binet e alla filosofia di Simmel: il problema dell’identità, una
concezione della vita come incessante fluire e il relativismo conoscitivo, secondo
cui non esiste una verità oggettiva e valida per tutti, ma tante verità quanti sono i
punti di vista, come esprime il titolo del dramma Cosi è (se vi pare). Come gli altri
esponenti della narrativa della crisi, anche Pirandello è convinto dell'inconoscibilità
del reale. Poiché ognuno ha un'immagine del mondo esterno relativa al suo punto di
vista, anche il linguaggio è fonte di incomunicabilità, e l'uomo vive dunque in una
condizione di disagio esistenziale, che si riflette nella perdita di certezze e nella crisi
d'identità. Centrale nel pensiero pirandelliano è anche il contrasto tra vita e forma,
cioè tra il flusso incessante di sentimenti e istinti e la morale comune e le
convenzioni imposte dalla società. Per riuscire a sopravvivere, l'uomo è costretto ad
adeguarsi indossando delle maschere, a seconda dei ruoli o delle circostanze della
"commedia" della vita. Altre gli vengono attribuite dalla società e lo imprigionano
nelle trappole delle convenzioni sociali (il lavoro e, soprattutto, la famiglia): se tenta
di sottrarvisi cade preda di gravi crisi d'identità; spesso il tentativo di superare
questi limiti porta alla disgregazione e alla follia (che peraltro per l'autore siciliano è
una possibile via di fuga, come nell'Enrico IV). Da ricordare, infine, la poetica
dell'umorismo, esposta nell'omonimo saggio: l'umorismo rappresenta, per
Pirandello, un sentimento del "contrario": si sorride, infatti, solo quando si è
appresa la realtà dolorosa che sta dietro al riso. Dal punto di vista stilistico, l'autore
rinuncia a tutti i mezzi retorici, per approdare a uno stile molto vicino al parlato,
ricco di dialoghi e privo di enfasi. Questa lingua "media" è facilmente comprensibile
e traducibile in altre lingue, e non manca di ricorrere a parole di origine dialettale o
tecnica, o a termini stranieri.
UMORISMO
Il noto saggio di Luigi Pirandello su L'umorismo, pubblicato nel 1908, non tocca solo
un argomento fondamentale della riflessione filosofica-estetica di inizio Novecento
ma presenta anche notevoli punti di contatto tra l'attività speculativa dello scrittore
agrigentino e la sua produzione romanzesca, da Il fu Mattia Pascal fino a Uno,
nessuno e centomila.
L'originale forma discorsiva del saggio mette a fuoco non solo la storia
dell'umorismo, ma anche la sua natura profonda: la differenza tra "comico" ed
"umorismo" è quella che - nel famoso esempio della "vecchia signora [...] tutta
goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili" - corre tra l'"avvertimento" e il
"sentimento del contrario". Al centro di tutto, c'è la "riflessione" che permette di
scorgere una verità diversa dietro alla facciata del mondo. L'umorismo pirandelliano
diventa allora una forma di percezione della realtà, oltre le nostre finzioni e
addirittura al di là della nostra stessa identità, secondo uno "strappo" (per dirla con
Mattia Pascal, cui il saggio è dedicato) che scaturire da un momento qualunque,
anche dal fischio di un treno (come dimostrato dall'omonima novella). Una lezione,
quella umoristica, che Pirandello terrà ben presente quando, nel suo metateatro,
porterà in scena le "maschere" della nostra coscienza.
Da Umorismo: Il sentimento del contrario
Il brano, tratto dalla seconda parte del saggio, è probabilmente la pagina più
famosa: prima abbiamo la distinzione tra l’opera d’arte in generale e l’opera
umoristica, poi la definizione dell’umorismo come “sentimento del contrario”.
Pirandello distingue fra comicità e umorismo, fra «< avvertimento del contrario» e
«sentimento del contrario»>. Il comico nasce quando si avverte in modo superficiale
e immediato che una situazione o una persona (nel brano la vecchia imbellettata) è
«il contrario»> di quello che dovrebbe essere («avvertimento del contrario>>).
L'umorismo invece trae origine dalla riflessione che induce il «sentimento del
contrario», cioè il sentimento della pietà che scaturisce dal cogliere le ragioni
profonde per cui quella situazione o quella persona è il contrario di quello che ci
aspetteremmo. La vecchia imbellettata suscita il riso solo se viene meno la
riflessione sui motivi che la spingono a «< ararsi così come un pappagallo»>.
NOVELLE PER UN ANNO
Pirandello compose NOVELLE per più di cinquant’anni: dapprima le pubblicava su
giornali e riviste, poi le raccoglieva in volumi, nei quali compariva anche qualche
novella inedita. La prima raccolta, Amori senza amore fu pubblicata nel 1894,
l'ultima nel 1919 col titolo Il carnevale dei morti. Nel 1922 decise di raccoglierle tutte
in un'opera in più volumi dal titolo Novelle per un anno. Dalle novelle Pirandello
attinse il materiale per molte opere teatrali: 10 novelle diventarono altrettanti atti
unici e altre 29 ispirarono DRAMMI in più atti. Il titolo della raccolta rappresenta una
sfida dell'autore a se stesso nel prefiggersi di raggiungere il numero di 365, quanti
sono appunto i giorni dell'anno. Nell'edizione definitiva le novelle sono 255: l'ultima
apparve sul "Corriere della Sera" il giorno prima della morte dell'autore, col titolo
Effetti di un sogno interrotto. Spesso la novella inizia in medias res, cioè quando
l’azione è già a un buon punto del suo sviluppo; a volte la conclusione è addirittura
anticipata e la novella è l’analisi delle circostanze che hanno provocato
quell’epilogo; a volte, invece, l’inizio è antefatto di cui la novella è lo svolgimento. La
successione logica e cronologica dei fatti è manipolata dall’autore mediante un
intreccio libero e vario. Nelle novelle sono presenti tutti gli aspetti della
problematica pirandelliana: dall’uomo soffocato dalle trappole della famiglia, del
lavoro, della società, al contrasto tra la vita e la forma, alla frantumazione dell’io, al
relativismo conoscitivo.
Da Novelle per un anno: La patente
La patente è una novella di Luigi Pirandello, pubblicata nel 1911 sul Corriere della
Sera, inclusa nella raccolta Novelle per un anno nel 1922.
Protagonista della novella è Rosario Chiàrchiaro, un uomo scacciato dal banco dei
pegni per essere stato considerato uno iettatore. I superstiziosi temono talmente gli
influssi della malasorte che egli apporta che, al suo passaggio, fanno i più svariati
segni scaramantici: toccano il ferro, fanno il gesto delle corna. Agli occhi del giudice
D'Andrea sembra che Chiarchiaro abbia querelato due giovani che in sua presenza
hanno fatto "gli scongiuri di rito": ma non è così. Nell'ufficio del giudice, Chiarchiaro,
per lo stupore di D'Andrea, arriva vestito come un perfetto menagramo. Il
protagonista dichiara che non ha nessuna intenzione di far condannare i due
giovani: il suo obiettivo è invece quello di ottenere una patente di iettatore con cui
pretendere di essere pagato per evitare i suoi malefici. Infatti Chiarchiaro, stanco
della schifosa umanità, vuole ora vendicarsi sfruttando la superstizione popolare
imponendo una tassa che nessuno al suo passaggio rifiuterà di pagare.
Anche in questa novella, dal carattere pessimistico e dallo stile verista verghiano,
Pirandello espone il suo gioco delle maschere dove con un atto grottesco di
ribellione vince una finta giustizia su una reale ingiustizia. La patente affronta il tema
tipicamente pirandelliano del contrasto fra ciò che siamo e ciò che pensano di noi.
Questo tema emerge attraverso una vicenda legata all'ignoranza e alla superstizione
di una società culturalmente arretrata, in cui perfino i giudici credono alla iettatura e
al malocchio. Di fronte a questa società, che impone all'individuo una "maschera"
odiosa e opprimente, l'uomo non può ribellarsi, ma solo accettare il proprio destino.
IL FU MATTIA PASCAL
Il fu Mattia Pascal è uno dei romanzi più famosi di Luigi Pirandello, drammaturgo
siciliano. Qui vengono anticipati temi a lui cari, che saranno ripresi successivamente
in opere come Uno, nessuno e centomila. Il fu Mattia Pascal è stato scritto da
Pirandello in una fase importante, sia dal punto di vista storico che personale.
Il libro di Pirandello racconta la storia di Mattia Pascal, che vive a Miragno, in Liguria.
Mentre si trova nella biblioteca della città, Mattia Pascal decide di raccontare la sua
storia. Il protagonista del romanzo racconta che in precedenza viveva insieme alla
madre e al fratello Roberto in condizioni agiate grazie al lavoro del padre, che investì
soldi in proprietà. Dalla sua morte, avvenuta quando Mattia aveva quattro anni e
mezzo, si erano affidati a Batta Malagna, il quale per pagare i debiti iniziò a venderle,
arricchendosi sfruttando l’ignoranza della madre. Mattia Pascal era stato perciò
costretto a cercare lavoro trovandolo presso la biblioteca. L’amico Pomino è
innamorato di Romilda Pescatrice, la quale però si innamora di Mattia, che la sposa.
Mattia e Romilda vivono insieme alla suocera. La famiglia e il lavoro rappresentano
una trappola per Mattia Pascal. Lui e la moglie hanno due gemelle: la prima muore
subito la seconda dopo un anno; poco dopo muore anche la madre, così Mattia
decide di andare in America. Si ferma a Montecarlo, dove gioca d’azzardo al casinò
per 12 giorni, andandosene con un bottino di 82 mila lire. Mentre in treno escogita
un modo per scappare dalla sua vita, legge il suo necrologio: la moglie e la suocera,
credendolo morto, lo avevano riconosciuto in un cadavere ritrovato in quei giorni.
Mattia decide di iniziare una nuova vita e sentendo due signori discutere
sull’iconografia cristiana, ricava il nuovo nome: Adriano Meis. Adriano getta via la
fede e si inventa un nuovo passato. Decide di operarsi l’occhio strabico e tagliare
barba e capelli. Dopodiché, da Milano si trasferisce a Roma. Qui vive in affitto in una
camera ammobiliata. Stringe amicizia con l’affittuario, la figlia Adriana e l’altra
donna in affitto. Presto si accorge che non avere un passato lo costringe alle bugie:
molti iniziano a fargli domande personali, alle quali lui risponde con storie inventate.
Adriano continua a ripetere di essere libero, ma molto spesso il ricordo va alla
famiglia. Si innamora di Adriana e durante una seduta spiritica la bacia. La vuole
sposare ma non può, perché Adriano Meis non esiste. Sapendo di essere vivo per la
morte ma morto per la vita, decide di fingere un suicidio. Lascia vicino al ponte un
biglietto d’addio e torna al suo paese. Qui trova la moglie sposata con Pomino, con
una figlia.
ITALO SVEVO
LA VITA
Nato nel 1861 a Trieste, città di confine vivace e cosmopolita, Italo Svevo
(pseudonimo di Ettore Schmitz) ebbe una formazione culturale ampia e varia, aperta
agli influssi europei. Vissuto sempre in ambiente borghese, Svevo conciliava la sua
attività imprenditoriale nella ditta del suocero con la passione per la letteratura:
scrive i suoi due primi romanzi (Una vita, Senilità), ma rimane molto deluso dal
disinteresse della critica. Dopo un lungo silenzio, durante il quale si avvicina alle
teorie psicanalitiche di Freud, volte all'indagine dell'inconscio, Svevo torna alla
letteratura con il suo romanzo più innovativo, La coscienza di Zeno, che ottiene
grande successo. Muore nel 1928.
LE OPERE
Nei suoi romanzi Svevo riflette la mentalità, i vizi e, soprattutto, le nevrosi della
società borghese. Fin dalle sue prime prove, pone al centro della vicenda figure di
inetti, uomini insoddisfatti di sé e della propria vita che, per un difetto di volontà,
non riescono a cambiare concretamente le proprie condizioni e si rifugiano nel
mondo illusorio della fantasia e dell'autoinganno. Alfonso, il protagonista del
romanzo Una vita (1892), è un intellettuale che non sa inserirsi nella società e che
giunge, infine, al suicidio; Emilio, in Senilità (1898), finisce per rinunciare alla vita e al
godimento e si chiude in una passività precocemente senile. Il protagonista della
Coscienza di Zeno (1923), Zeno Cosini, è anche lui un inetto che si sottopone alla
terapia psicanalitica per curare una forma di nevrosi e scrive, su consiglio del dottore
che lo ha in cura, le proprie memorie. Al termine del percorso introspettivo, volto
alla comprensione e alla cura della propria malattia, Zeno scoprirà che non lui, ma la
vita stessa è malata. Svevo scrisse anche un'autobiografia in terza persona (Profilo
autobiografico, 1927) e un romanzo incompiuto (Il vecchione, 1928), ideale
continuazione della Coscienza.
IL PENSIERO E LA POETICA
Nell'impostazione strutturale, i primi romanzi restano legati a modelli di matrice
realista e naturalista sulla scia di Balzac, Flaubert, Zola; l'ambiente in cui operano i
personaggi è indagato con precisione e realismo. L'inchiesta sociale riveste un ruolo
predominante in Una vita, dove si avverte l'influsso della teoria darwiniana della
selezione naturale; Senilità si concentra invece principalmente sullo scavo della
psiche, condotto soprattutto alla luce della filosofia di Schopenhauer. Per quanto
riguarda le tecniche narrative, nei primi due romanzi il racconto si svolge in terza
persona e la struttura è costruita tradizionalmente secondo l'ordine cronologico
degli eventi. La Coscienza di Zeno, invece, scardina l'impianto narrativo del romanzo
ottocentesco:
-il racconto è scritto in prima persona e la narrazione esprime il punto di vista
interno alla coscienza del protagonista;
-il narratore non è onnisciente, ma segue le vicende nel suo evolversi e le scopre
insieme al lettore;
-l'io narrante (Zeno che scrive a 57 anni) è distinto dall'io narrato (Zeno durante la
giovinezza e la maturità): il narratore guarda al proprio passato con ironia e
disincanto e svela le vere motivazioni che hanno guidato il suo modo di agire, le sue
meschinità e le sue ipocrisie, come se parlasse di un altro;
-vi è una continua mescolanza di passato e presente e si annulla l'ordine cronologico
dei fatti. Secondo Svevo, infatti, il tempo della coscienza è un tempo misto, dove
non esiste un prima e un dopo. Viene usata spesso la tecnica del flashback che
determina repentini cambi di tempo e di luogo. Per quanto riguarda lo stile, Svevo si
esprime in una lingua non letteraria, ma anche per questo molto espressiva. La
sintassi è spezzata, il linguaggio spontaneo e privo di formalismi; non mancano
spunti ironici.
SENILITA’
Senilità è il secondo romanzo di Italo Svevo, pubblicato a Trieste nel 1898. Il
protagonista del romanzo è Emilio Brentani, un uomo inetto, irresoluto, lacerato tra
la brama di amore e piacere e il rimpianto per non averli goduti. Svevo affronta il
problema dell'inettitudine, dell'incapacità da parte del protagonista di gestire la
propria vita interiore e sentimentale. L'indecisione, l'inerzia con cui Emilio affronta le
vicende della sua vita lo portano a chiudersi nei suoi ricordi, in uno stato di torpore
o vecchiaia spirituale, al quale allude il titolo Senilità.
Anche Senilità pare contenere spunti autobiografici: la vicenda è ambientata a
Trieste ed Emilio, come Alfonso di Una vita, è un piccolo - borghese con aspirazioni
letterarie, costretto a un impiego che non lo soddisfa. La trama ruota intorno alla
storia del fallimento di un uomo, Emilio Brentani, un modesto impiegato con la
passione della letteratura che vive con la sorella Amalia, dal carattere mite e
introverso. Egli, che si rammarica di aver sprecato il suo talento letterario, guarda
con invidia allo scultore Balli, uomo brillante e favorito da un enorme successo con
le donne. Emilio si innamora di Angiolina, una bella e giovane donna incontrata per
caso; egli non vorrebbe farsi coinvolgere in una storia d'amore impegnativa, ma,
nonostante i consigli di Balli, si abbandona totalmente al fascino di lei e ne accetta il
torbido passato e le reiterate bugie. Una volta deciso a lasciare definitivamente
Angiolina, Emilio scopre con amarezza che la sorella Amalia, da lui trascurata, si è
innamorata segretamente di Balli. Intanto quest'ultimo si è invaghito di Angiolina,
che si è riavvicinata, seppur solo per una notte d'amore, a Emilio. Amalia, che di
nascosto abusa dell'etere, inizia a dare segni di squilibrio ed Emilio, dopo un nuovo
incontro con Angiolina, sempre ostinata a continuare con i suoi inganni e le sue
bugie, rompe il rapporto in modo violento. Intossicata dall'etere, Amalia, assistita
dal fratello, muore. Emilio riprende allora la propria vita, confondendo nella sua
mente il ricordo della sorella con quello dell'amata. Ne scaturisce un supremo
autoinganno, un'immagine che non abbandonerà più la sua fantasia: una donna
giovane e bella come Angiolina, ma buona e mite come la scomparsa Amalia.
ETERE: liquido volatile usato un tempo come anestetico ma anche come droga
poiché, inalandolo, produce gli stessi effetti dell’alcool.
In Senilità, la ricostruzione d'ambiente e l'indagine sociale, che tanta parte avevano
avuto nella prima prova narrativa di Svevo, sono relegate sullo sfondo. L'attenzione
dell'autore si concentra piuttosto sullo scavo psicologico dei personaggi e sull'analisi
dei complessi rapporti che si stabiliscono tra loro. Anche questo romanzo, come Una
vita, ha per protagonista un inetto incapace di vivere, condannato a una condizione
di precoce senilità, diviso tra il grigiore della propria esistenza di impiegato e la
speranza di riscatto, affidata a inappagate velleità culturali. Accanto a lui, secondo
una struttura narrativa che tornerà nella Coscienza di Zeno, sono presenti altri
personaggi importanti, legati a un sottile sistema di simmetrie e opposizioni.
Amalia, sorella di Emilio, è, come lui, una figura debole e apatica, che non ha mai
vissuto pienamente la vita; agli antipodi si pongono invece Angiolina e Balli, brillanti,
vivaci, cui i fratelli Brentani guardano come a una possibile occasione di riscatto
dalla loro vita non vissuta, per poi scoprire la natura illusoria delle loro aspettative.
La narrazione, secondo i canoni del Naturalismo, ha un andamento cronologico ed è
affidata a una VOCE NARRANTE che si esprime in terza persona. Il NARRATORE,
tuttavia, segue le vicende interiori del protagonista, i suoi autoinganni, la sua
"coscienza", prevalentemente secondo il PUNTO DI VISTA di Emilio. Affiorano, però,
anche interventi del narratore, che con ironia mette a nudo le contraddizioni del
personaggio, le sue incoerenze, la sfasatura esistente tra il dato oggettivo e la sua
personale interpretazione dei fatti. Pur ancora legato al modello naturalista, Senilità,
come Una vita, ne anticipa già il superamento, che sarà pienamente realizzato nella
Coscienza di Zeno.
LA COSCIENZA DI ZENO
La coscienza di Zeno è un romanzo psicoanalitico di Italo Svevo, pubblicato nel 1923
dall'editore Cappelli a Bologna.
Il romanzo si presenta come se fosse la confessione di Zeno Cosini. La narrazione,
svolta in prima persona, non segue un ordine cronologico, ma si articola
focalizzandosi sugli eventi principali della vita di Zeno: l'ordine degli eventi è basato
dunque sui rapporti analogici tra gli episodi ricordati. Svevo utilizza molto l'ironia e
adotta un linguaggio non letterario, ma una lingua di uso quotidiano con dialetto
triestino, toscano e qualche termine in tedesco. Zeno Cosini, il protagonista
dell'opera, è un commerciante che proviene da una famiglia ricca, vive nell'ozio e ha
un rapporto conflittuale con il padre, che si rifletterà su tutta la sua vita. Nell'amore,
nei rapporti coi familiari e gli amici, nel lavoro, egli prova un costante senso di
inadeguatezza e di "inettitudine", che interpreta come sintomi di una malattia. Con
questo romanzo Svevo ci presenta un personaggio nuovo, fuori dagli schemi abituali,
né positivo né negativo, combattuto tra diverse possibilità e sempre in precario
equilibrio sul filo del fallimento e della malattia. Un personaggio, insomma, che nulla
ha a che vedere con i personaggi che abbiamo conosciuto fino a questo momento
nella storia della letteratura del nostro paese.
Il protagonista de La coscienza di Zeno è Zeno Cosini, un ricco triestino che per
liberarsi dal vizio del fumo si sottopone a una cura psicanalitica che consiste nel
mettere per iscritto la propria vita. In una breve Prefazione il dottore presenta la sua
decisione di pubblicare le memorie di Svevo. Nel successivo Preambolo la parola
passa a Zeno, che ci dice di non poter recuperare la sua infanzia, ormai troppo
lontana nella memoria.
Il capitolo Il fumo è dedicato al famoso proposito dell’ultima sigaretta, che Zeno non
riesce mai a mettere in pratica, perché ogni volta che si impone di smettere di
fumare fallisce per i sotterfugi che egli stesso mette in pratica.
Nel capitolo La morte di mio padre invece Zeno torna indietro alla sua giovinezza e
al difficile rapporto col padre che, in punto di morte, gli dà uno schiaffo (che poteva
anche essere una carezza), che Zeno interpreta come ultima punizione e sberleffo
del padre nei suoi confronti.
Nel capitolo La storia del mio matrimonio si parla della frequentazione di Zeno con
la famiglia Malfenti e le quattro sorelle Ada, Augusta, Alberta e Anna. Zeno è
innamorato della bellissima Ada, ma l’impossibilità di questo amore lo induce a
ripiegare verso Alberta e infine, quasi senza rendersene conto, verso la meno bella
Augusta, che però si rivela una moglie modello, dotata di quella concretezza e quella
salute di cui Zeno si sente privo. Questo tormento continuo porta Zeno, marito
felice, a instaurare un rapporto clandestino con Carla, di cui si racconta nel capitolo
La moglie e l’amante.
Nel capitolo Storia di un’associazione commerciale Zeno ci conduce all’interno del
suo mondo lavorativo e ci racconta il suo rapporto con Guido Speier, marito di Ada,
la cui abilità nel lavoro e la cui fortuna in tutte le cose della vita fanno da contraltare
ai continui fallimenti di Zeno. Tuttavia Guido si rivelerà alla fine più fragile di quello
che sembrava e le improvvise difficoltà lo porteranno al suicidio.
Nell’ultimo capitolo, Psico-analisi, la narrazione torna al presente e Zeno annuncia
la sua decisione di abbandonare la cura, criticando il metodo psicanalitico del
medico e dichiarando di essere guarito dalla sua malattia grazie a una serie di
successi commerciali favoriti dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Zeno è il rappresentante perfetto dell’inetto sveviano. L’inetto Zeno è un uomo
eternamente indeciso, incapace di prendere in mano le situazioni. Zeno è
inadeguato a vivere nel mondo borghese di cui fa parte, si sente a disagio e prova un
continuo senso d'inferiorità. Egli insegue sempre una felicità che si dimostra illusoria
e irrealizzabile ed è tormentato da un eccesso di coscienza, cioè dal voler sempre
analizzare le cose della vita e svelarne le falsità e gli inganni, su cui si basa la vita
borghese. Tuttavia Zeno non riesce a sottrarsi a quei valori borghesi che capisce
essere falsi e continua a vivere in questa contraddizione.
A differenza dei precedenti romanzi di Svevo, La coscienza di Zeno è narrato in prima
persona, con un narratore interno. Si può definire questo romanzo come
un’autobiografia aperta, in cui il protagonista Zeno Cosini ci racconta la sua vita per
episodi sparsi, saltando da un momento all’altro, come se in ogni capitolo aprisse
una finestra su un diverso momento della sua vita, fino alla brusca interruzione
finale. Un elemento originale de La coscienza di Zeno è la cornice. Si dice infatti che
il romanzo sia stato scritto su incitamento del medico e interrotto per l’insofferenza
di Zeno nei confronti del dottore, il quale decide, un po’ per vendetta, di pubblicare
queste memorie. Svevo inventa un finto pretesto, che avrebbe spinto il suo
personaggio a raccontare la propria vita.
Per questo romanzo si è parlato di un tempo misto: il continuo intrecciarsi dei piani
temporali della narrazione (presente, passato prossimo e passato remoto) allontana
dall’impianto narrativo del romanzo tradizionale, in cui gli eventi si disponevano in
ordine cronologico. L’io narrante usa il monologo interiore per confrontare presente
e passato ed esprimere sentimenti e giudizi, riflessioni e ricordi. Il risultato è un libro
simile a un’autobiografia, senza esserlo in modo classico.
Da La coscienza di Zeno: L’ultima sigaretta
Con il terzo capitolo entriamo nel vivo della narrazione di Zeno. Qui egli ricorda i
suoi reiterati tentativi di liberarsi dal vizio del fumo, tutti miseramente falliti a causa
della sua mancanza di volontà, della sua inguaribile inettitudine.
L'ERMETISMO
L’ermetismo si ispirava a un ideale di poesia "pura" e all'esperienza dei poeti
simbolisti ed esaltava il potere allusivo della parola, un movimento attivo a Firenze
tra il 1933 e il 1942 e caratterizzato dall'oscurità e dalla ricerca di uno stile difficile,
che esprimeva anche l'isolamento degli intellettuali durante gli anni del regime
fascista. Tra le principali innovazioni stilistiche dei poeti ermetici, derivate in parte
dal primo Ungaretti, ricordiamo:
• la scelta di privilegiare la musicalità del linguaggio rispetto ai normali legami logici
e sintattici;
• l'uso di un linguaggio oscuro ed evocativo, ottenuto attraverso un duplice registro
linguistico, che combina termini comuni con parole rare e preziose;
• la frammentazione della sintassi, mediante l'abolizione della punteggiatura e
dell'articolo;
• la scelta del verso libero e la ricerca della brevità, che portano a componimenti
spesso brevi;
• la grande attenzione ai legami fonici (assonanze, allitterazioni ...).
Tra i maggiori rappresentanti dell'Ermetismo, che per molti poeti del Novecento
rappresentò la fase iniziale dell'attività poetica, ricordiamo Quasimodo, la cui
produzione ermetica è contrassegnata dalla parola allusiva e dal gusto per analogie,
metafore e sinestesie, Luzi, Gatto, Sereni, Betocchi.
LE LINEA ANTIERMETICA
All'oscurità dell'Ermetismo si oppose una linea antiermetica, attenta ai temi e al
linguaggio della vita quotidiana, che ebbe il suo principale modello nella "poesia
semplice" di Saba. Tra i più importanti esponenti di questo filone vi furono Penna,
Cardarelli e Pavese.
GIUSEPPE UNGARETTI
LE OPERE
La produzione poetica di Ungaretti può essere distinta in tre fasi.
• Alla prima fase appartengono le raccolte Il porto sepolto (1916) e Allegria di
naufragi (1919) con fluite nell'Allegria (1931), in cui prevalgono gli elementi
biografici: l'esperienza della guerra e l'infanzia trascorsa in Egitto. L'analisi interiore
si traduce, sul piano formale, in una continua ricerca della purezza e
dell'essenzialità della parola.
• La seconda fase, legata alla raccolta Sentimento del tempo (1933), è segnata da
una profonda crisi spirituale; vi predomina la riflessione sul tempo, sulla morte, sul
sentimento religioso.
• Della terza fase della poesia di Ungaretti è soprattutto rappresentativa la raccolta
Il dolore (1947), i cui temi sono il dolore privato per la morte del figlioletto e il
dolore collettivo per le atrocità della seconda guerra mondiale.
Di questo periodo ricordiamo anche La terra promessa (1950), Un grido e paesaggi
(1952) e ll taccuino del vecchio (1960).
Vita d'un uomo (1969) è la raccolta completa di tutta la produzione poetica di
Ungaretti sotto forma di un diario della propria esistenza.
IL PENSIERO E LA POETICA
La poetica di Ungaretti segue un'evoluzione in tre fasi, come le opere. Nella prima
fase, la poesia è vista come strumento per cogliere l'essenza della vita di cui si
avverte la caducità con un senso di angosciosa pena. Questa fase si distingue per lo
sperimentalismo: vengono aboliti la rima e il verso tradizionale; la punteggiatura
viene sostituita da spazi bianchi, pause, silenzi. Il lessico è quotidiano, comune; la
sintassi è frammentata, spesso nominale. Nella seconda fase la meditazione sul
tempo si ricollega alle teorie di Bergson. Per quanto riguarda lo stile, si assiste a un
progressivo recupero delle forme tradizionali (punteggiatura, rima, forme metriche
della tradizione); la sintassi si fa più articolata, il lessico più ricercato. È questa la fase
del " barocco " ungarettiano. Nella terza fase il poeta guarda al proprio dolore con
un forte senso di distacco dalla vita. Il dolore si trasforma da esperienza individuale
in esperienza collettiva di fronte all'assurdità della seconda guerra mondiale. Sul
piano formale viene portato a compimento il processo di recupero delle forme
tradizionali con esiti di maggiore compostezza.
L'ALLEGRIA
L'allegria (1931), raccolta di liriche suddivisa in cinque sezioni, prende forma dopo
una complessa gestazione durata quasi vent'anni. I componimenti nascono da
elementi biografici come l'esperienza della guerra (il tema della vita del soldato,
vista come una drammatica lotta per sopravvivere da cui scaturisce un continuo
senso di precarietà), l'infanzia trascorsa in Egitto e la natura, spesso rappresentata
dal paesaggio carsico arido e desolato. L'analisi interiore si traduce, sul piano
formale, in una continua ricerca della purezza e dell'essenzialità della parola,
ottenuta attraverso una costante opera di lima, fino al raggiungimento di parole
<<scavate>> dalla vita.
Da L’allegria: Veglia
La lirica scritta alla fine del 1915, è ispirata a un episodio realmente vissuto da
Ungaretti durante la guerra: la veglia accanto al cadavere di un compagno rimasto
ucciso durante il combattimento. Il contatto così ravvicinato con la morte suscita in
lui un grande desiderio di vita. Così il poeta scrisse, commentando questa poesia: “…
nella mia poesia non c’è traccia d’odio per il nemico, né per nessuno: c’è la presa di
coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza,
dell’estrema precarietà della loro condizione. C’è volontà di espressione, c’è
esaltazione, quell’esaltazione quasi selvaggia dello slancio vitale, dell’appetito di
vivere, che è moltiplicato dalla prossimità e dalla quotidiana frequentazione con la
morte. Viviamo nella contraddizione”.
Metrica: versi liberi.
Da L’allegria: Fratelli
Tema della lirica è il sentimento di fratellanza tra gli uomini che emerge dal senso di
fragilità della vita sconvolta dalla guerra. È notte. L’aria è squarciata da lampi di
battaglia. Due reparti combattenti si incontrano sulla linea del fronte. Mentre si
salutano e si scambiano notizie, ecco nel buio risuonare la parola che il mondo
impazzito sembra aver dimenticato: fratelli. È come un grido di rivolta contro gli
orrori della guerra. “Fratelli” è la parola che apre e chiude la poesia.
Metrica: versi liberi.
Da L’allegria: Sono una creatura
San Michele è un monte del Carso, vicino Gorizia, noto per le sanguinose battaglie
combattute durante la prima guerra mondiale. È una zona aspra e arida: la roccia è
porosa e l’acqua che cade dal cielo sprofonda nel terreno permeabile. Simile a
quell’acqua, che subito scompare all’interno della roccia, è il pianto del poeta, un
pianto senza lacrime, un dolore profondo, severo, che per la sua durata ha reso il
poeta incapace di reagire.
Metrica: versi liberi.
Da L’allegria: Soldati
Composta nel 1918 a Courton, sul fronte francese, questa breve lirica riesce a
rendere l’atmosfera di incertezza e di amarezza in cui vivevano il poeta e i suoi
compagni soldati. Il titolo generico, senza alcun accenno al “colore” di una divisa,
allude alla condivisione di un comune destino da parte di tutti coloro che
combattono, da qualsiasi parte del fronte si trovino.
EUGENIO MONTALE
LE OPERE
Le principali raccolte poetiche di Montale sono:
• Ossi di seppia (1925): gli oggetti e il paesaggio ligure rivelano la tragicità della
condizione umana, il "male di vivere ", a cui il poeta non riesce a opporre altro che l
'indifferenza.
• Le occasioni (1939): la poesia nasce dal ricordo di eventi e persone (le «occasioni
>>) della vita passata, che rende il poeta consapevole del trascorrere inesorabile del
tempo. Centrale è il ruolo di Clizia, che rappresenta la donna angelo in grado di
guidare il poeta verso la salvezza.
• La bufera e altro (1956): raccolta incentrata sulla tragedia della seconda guerra
mondiale e sui difficili anni della ricostruzione, si apre con Clizia, che non riesce però
a "salvare" l'umanità dagli orrori della guerra, e si chiude con Volpe, a cui il poeta si
rivolge per ottenere una salvezza "privata".
•Satura (1971), in cui il poeta ricorda la moglie scomparsa (Mosca) e critica
satiricamente la società dei consumi. Ricordiamo anche i brevi racconti di Farfalla di
Dinard (1956), venata da un umorismo corrosivo e ironico verso la società moderna.
IL PENSIERO E LA POETICA
Secondo Montale la poesia è la “forma di vita chi veramente non vive”. Tra “vita” e
“poesia”, quindi; c’è un’antitesi che è generata fondamentalmente dall'incapacità
delle parole di esprimere esattamente gli stati d'animo. Per questo, la produzione di
Montale è caratterizzata dalla poetica degli oggetti: attraverso l'uso del correlativo
oggettivo (che Montale riprende dal poeta inglese T.S. Eliot), gli oggetti e i luoghi
evocano un determinato sentimento, uno stato d'animo, soprattutto, la tragica
condizione umana, il "male di vivere". L'unico rimedio è rappresentato dalla ricerca
di un "varco", in grado di rivelare l'essenza metafisica delle cose. La memoria, il
tempo, il ricordo, nei loro reciproci legami, divengono così fonte di sofferenza e
simboli dell'irrecuperabilità del passato; il "male di vivere", l'impossibilità di essere
felici sono sempre presenti nelle liriche di Montale. Il suo è un pessimismo
profondo, che trae nutrimento da un senso di impotenza, di fatale rassegnazione al
dolore che solo l'indifferenza può lenire. Due sono le costanti che attraversano la
poetica di Montale: gli oggetti e la figura femminile. Mentre i primi, come abbiamo
detto, evocano sentimenti e stati d'animo, la seconda assume varie connotazioni:
donna angelo e figura salvifica in grado di salvare il poeta dalla "bufera" della guerra
(Clizia); incarnazione di sensualità e vitalità (Volpe); espressione di buon senso e
capacità di adattarsi alla vita reale (Mosca). Montale predilige un lessico semplice,
fatto di parole comuni, quotidiane, adatte a esprimere la realtà degli oggetti (come
accade in Ossi di seppia, in cui il linguaggio scarno e sofferto è simbolo del disagio
esistenziale), anche se non mancano riprese dalla tradizione letteraria (Dante,
Pascoli e i crepuscolari) e termini ricercati e preziosi che, soprattutto nelle
Occasioni, rendono le liriche di difficile comprensione. Montale utilizza
prevalentemente metri tradizionali, che tenta tuttavia di rinnovare attraverso
combinazioni nuove.
OSSI DI SEPPIA
Ossi di seppia è un'opera molto complessa, in cui è impossibile individuare un
motivo principale. Vi sono però alcuni temi che attraversano le varie sezioni della
raccolta:
• un profondo senso di negatività esistenziale, di mancanza di certezze, che rende il
poeta capace di dire solo «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo» (Non chiederci
la parola);
• una visione pessimistica dell’esistenza, che si riflette nelle immagini di morte e
aridità presenti in molti componimenti (come le «crepe del suolo» di Meriggiare
pallido e assorto, il «rivo strozzato» di Spesso il male di vivere ho incontrato; le
«pozzanghere / mezzo seccate» di I limoni);
• il mare, SIMBOLO positivo di una felicità ancora influenzata dal panismo
dannunziano, contrapposta alla terra, luogo di sofferenza e sacrificio; è un tema
particolarmente presente nella sezione Mediterraneo;
• l'individuazione di oggetti concreti come emblema della condizione di sofferenza e
alienazione dell'uomo (CORRELATIVO OGGETTIVO): il più delle volte, l'oggetto evoca
già un'immagine dolorosa, come accade con la «muraglia / che ha in cima cocci
aguzzi di bottiglia» (Meriggiare pallido e assorto) o con il «cavallo stramazzato»
(Spesso il male di vivere ho incontrato);
• il desiderio impossibile di recuperare il passato: attraverso suggestioni evocative,
come “l'immagine che ride” in un secchio (Cigola la carrucola del pozzo), il poeta si
illude per un momento di riuscire a far rivivere il ricordo di una persona cara e con
esso la felicità perduta. Questo tema sarà poi centrale nella poetica delle Occasioni;
• la ricerca di un "varco" che consenta al poeta di sfuggire al dramma della
condizione umana.
Con la prima edizione di Ossi di seppia la poetica montaliana passa da una giovanile
adesione alle avanguardie crepuscolari ed espressioniste, al superamento dei due
maggiori poeti di inizio Novecento, Pascoli e D'Annunzio. Lo stile della raccolta
riflette questa progressiva maturazione e può essere sintetizzato da questa
dichiarazione di Montale: “la mia volontà di aderenza restava musicale, istintiva, non
programmatica. All'eloquenza della nostra vecchia lingua aulica volevo torcere il
collo, magari a rischio di una controeloquenza”. Questo programma poetico implica
la scelta di un linguaggio antiletterario, aspro e asciutto, in grado di esprimere la
vera realtà dell'esistenza attraverso immagini rappresentative ed eloquenti, e la
ricerca di una nuova musicalità legata alla condizione di disagio esistenziale.
Tuttavia, dal punto di vista metrico linguistico, la nuova poetica non rifiuta il
linguaggio e la METRICA tradizionali: al registro aulico si affiancano termini
colloquiali e tecnici, mentre l'uso dei VERSI "nobili" come ENDECASILLABI e
SETTENARI si alterna all'impiego del VERSO LIBERO.
Da Ossi di seppia: Non chiederci la parola
Questa lirica è una vera e propria dichiarazione di poetica, in cui Montale nega la
possibilità di proclamare certezze o verità assolute. Il poeta si rifugia in formule dal
contenuto negativo.
Metrica: tre quartine di versi di lunghezza variabile rimati secondo lo schema ABBA,
CDDC, EFEF (rima verso 7 è ipermetra: Si ha quando una parola piana rima con una
sdrucciola e la sillaba in più viene contata nel verso successivo o elisa).
FIGURE RETORICHE
Varie sono le figure retoriche individuabili in questa celebre poesia di Montale.
Nella richiesta del primo verso (Non chiederci…) è ravvisabile la figura dell’apostrofe
(discorso fatto con toni accorati, di affetto o di rimprovero, a persone scomparse o
assenti o a cose personificate).
Ai vv 2, 4 e 8 possiamo notare tre suggestive immagini metaforiche (lettere di fuoco;
polveroso prato; scalcinato muro).
Varie volte ricorre l’anastrofe (l’animo nostro, polveroso prato; l’ombra sua;
scalcinato muro; che mondi possa aprirti, storta sillaba).
Sia al v. 3 che al v. 10 è presente la figura della similitudine (risplenda come un
croco; secca come un ramo).
Notiamo anche l’anafora dei vv. 1 e 9 (Non… / Non…).
Di notevole impatto l’epifonema dei vv. 11-12 (Codesto solo oggi possiamo dirti, /
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo). L’epifonema è una figura retorica che
consiste nel chiudere un discorso con una frase caratterizzata da enfasi e/o
solennità. Sono presenti numerosi enjambement (vv. 1-2, 2-3, v.3-4, 7-8, 9-10) e
allitterazioni (della r: chiederci, domandarci, croco; della p: perduto, polveroso,
prato; della s: sì, storta, sillaba, secca).
Da Ossi di seppia: Meriggiare pallido e assorto
Questa poesia, composta nel 1916, è senz’altro una delle più suggestive della
raccolta. Centrale è il paesaggio ligure, colto nella sua aridità, nelle ore in cui il sole
brucia e abbaglia; la natura diventa così emblematica della dolorosa condizione
esistenziale.
Metrica: i versi sono di varia misura (decasillabi, novenari, endecasillabi), a rima
baciata (AABB) quelli della prima e terza strofa, mentre quelli della seconda strofa
sono a rima alternata (CDCD); l’ultima strofa è composta di cinque versi con rime
EEFF e consonanze.
FIGURE RETORICHE
l componimento è caratterizzato da un uso insistito dell’infinito (meriggiare,
ascoltare, osservare, etc.). Questa continuità, spezzata solo da un gerundio, priva di
un effettivo soggetto, universalizza la poesia e le riflessioni dell’io lirico.
Un’altra caratteristica evidente della poesia è la sua ricercatezza fonica. Moltissime
le allitterazioni presenti e, in particolare, gli scontri consonantici (con s, r, t, ch). La
musicalità aspra che ne deriva (e che presenta echi dell’Inferno dantesco)
richiamare il tema trattato. A queste si aggiungono le molte assonanze (es. merli-
serpi), le consonanze che chiudono tutti i versi della quinta strofa e le onomatopee
presenti ai vv. 4 o 11 (schiocchi, frusci, scricchi).
Le figure di suono appena elencate sono solo alcune delle figure retoriche di
Meriggiare pallido e assordo. Tra le altre, troviamo:
-sinestesia: “osservare tra frondi il palpitare/ lontano di scaglie di mare” (vv. 9-10);
-enjambements (vv. 5-6, 9-10, 11-12...);
-ossimoro: “triste meraviglia” (v. 14);
-metafora: la muraglia finale è metafora esplicita della vita;
-paronomasia: “sterpi”-"serpi" (vv. 3-4);
-analogia: “calvi picchi” (v. 12);
-climax ascendente: struttura l’intera poesia, dalle crepe del suolo ai calvi picchi alla
muraglia.
Da Ossi di seppia: Spesso il male di vivere ho incontrato
Il testo è l’esempio più evidente della poetica del correlativo oggettivo: il concetto di
male di vivere trova la sua espressione nelle cose che lo rappresentano (“rivo
strozzato”, “foglia riarsa”, “cavallo stramazzato”) e la sofferenza esistenziale si
concretizza nella realtà.
Metrica: due quartine di endecasillabi tranne l’ultimo (un settenario doppio); rime
incrociate (ABBA) nella prima quartina; anomale nella seconda quartina (CDDA).
Temi: l'universalità del dolore, connaturato alla vita stessa - l'indifferenza come
antidoto al male di vivere.
La lirica famosissima, è tra quelle che più esplicitamente esprimono il doloroso
senso dell'esistere che caratterizza un po' l'opera di Montale.
La prima quartina dichiara inizialmente il tema fondamentale: il male di vivere (v.1).
Esso viene espresso con tre immagini:
il ruscello impedito nel suo libero scorrere;
la foglia che inaridisce per la calura e si accartoccia su di sé;
il cavallo caduto (stramazzato dice il poeta).
Anche la seconda quartina comincia (vv. 5-6) con un'affermazione: quel poco di
bene (precario bene) che è concesso agli uomini coincide con la divina Indifferenza.
Altre tre immagini vengono a illustrare tale affermazione:
-la statua;
-la nuvola;
-il falco che volteggia in cielo.
FIGURE RETORICHE
Allitterazione, suoni aspri e duri = "era il rivo strozzato che gorgòglia" (v. 2), "era
l'incartocciarsi della foglia/riarsa" (vv. 3-4), "era il cavallo stramazzato" (v. 4), "e il
falco alto levato" (v. 8).
Enjambement: vv. 3-4; 5-6; 7-8.
Anafora: "era" (vv. 2-3-4-6-7)
Climax ascendente = "stramazzato" (v. 4).
Antitesi = "stramazzato" (v. 4) che indica un movimento dall'alto verso il basso e
"levato" (v. 8) che indica un momento dal basso verso l'alto.
"era il rivo strozzato che gorgoglia" = correlativo oggettivo e simboleggia il suo stato
d’animo.
"era l'incartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato"= correlativo
oggettivo come una metafora del male.
"era la statua nella sonnolenza del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato" =
correlativo oggettivo come metafora del bene.
SALVATORE QUASIMODO
Salvatore Quasimodo nacque a Modica (Ragusa) nel 1901, e durante l'infanzia seguì
in varie località siciliane gli spostamenti del padre ferroviere. Nel 1919 si trasferì a
Roma per frequentare il Politecnico, ma dovette rinunciare a laurearsi per problemi
economici. Nel 1926 trovò un lavoro al Genio civile e fu inviato a Reggio Calabria e
poi, nel 1929, a Firenze. Qui, grazie a suo cognato Elio Vittorini, conobbe i letterati
raccolti intorno alla rivista "Solaria", presso la quale pubblicò la sua prima raccolta di
versi, Acque e terre (1930). Seguirono poi Oboe sommerso (1932), Odore di
eucalyptus e altri versi (1933), Eraton e Apollion (1936), Poesie (1938). Nel 1941, per
l'apprezzata traduzione dei Lirici greci (1940), venne nominato “per chiara fama”
professore di letteratura italiana al conservatorio "Giuseppe Verdi" di Milano. Nel
1942 pubblicò una raccolta delle sue poesie antiche e recenti, Ed è subito sera, che
prende il titolo dalla sua lirica più conosciuta. Dopo la seconda guerra mondiale,
Quasimodo si allontanò gradualmente dall'Ermetismo, nella convinzione che la
poesia non dovesse rivolgersi a una ristretta cerchia di lettori, ma coinvolgere un
pubblico più vasto e affrontare problematiche sociali e civili. Questa connotazione
caratterizzò le sue raccolte successive: Con il piede straniero sopra il cuore (1946),
Giorno dopo giorno (1947), La vita non è sogno (1949), Il falso e vero verde (1956),
La terra impareggiabile (1958), Dare e avere (1966). Nel 1959 gli fu conferito il
premio Nobel per la letteratura. Quasimodo morì a Napoli nel 1968.
ACQUE E TERRE (1930)
I temi
In Acque e terre Quasimodo raccoglie 25 liriche, composte tra il 1920 e il 1929, che
hanno carattere autobiografico. Venati di un sentimento di pessimismo di fronte al
tempo che passa, i temi sono legati alla sua esperienza personale: la nostalgica
rievocazione dei luoghi dell'infanzia trascorsa in Sicilia, l'amore del poeta per una
donna, il suo rapporto con Dio e con la natura, con la quale egli tende a identificarsi,
accomunando in un unico destino la vita dell'uomo e delle piante.
L'adesione all'Ermetismo
La raccolta appartiene alla prima fase della produzione poetica di Quasimodo,
quando la sua poetica è decisamente orientata verso l'Ermetismo, come sarà poi
fino a Ed è subito sera (1942). Sul piano stilistico si colgono ancora influssi del
linguaggio pascoliano e dannunziano, ma risuonano anche echi leopardiani, ed è
forte la vicinanza ai simbolisti francesi, per il frequente uso dell'ANALOGIA, del
SIMBOLO, della SINTASSI NOMINALE. Più che alla musicalità e al RITMO, Quasimodo
punta alla perfezione geometrica della forma e del VERSO, che spesso è breve e
FRAMMENTATO.
Da Acque e terre: Ed è subito sera
In soli tre versi di folgorante sintesi il poeta riassume la sua visione dell’esistenza
umana: la solitudine, il sentirsi al centro del mondo, la speranza di dare un senso
all’esistenza, l’arrivo improvviso della sera, del buio.
Metrica: versi liberi.
Ognuno sta solo sul cuore della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
GIORNO DOPO GIORNO (1947)
La poetica e i temi
Giorno dopo giorno è la seconda raccolta pubblicata da Quasimodo dopo la seconda
guerra mondiale; riflette la svolta della sua produzione poetica, dalla piena adesione
all'Ermetismo a una concezione della poesia meno intimista, più corale e più
accessibile, vicina al Neorealismo. La guerra e i suoi orrori convinsero Quasimodo
dell'impossibilità di rifugiarsi nella solitudine e lo spinsero a dare il suo contributo
per "rifare l'uomo" attraverso la poesia: «l’uomo vuole la verità dalla poesia, quella
verità che egli ha il potere di esprimere e nella quale si riconosce». Il VERSO si fa più
disteso e lineare, più discorsivo, la parola riacquista il suo valore concreto e
immediato, anche se il tono diventa talvolta retorico e magniloquente. I temi di
questa nuova poesia sono tratti dalle problematiche storiche e sociali del tempo.
NEOREALISMO
La stagione del Neorealismo iniziò nel 1943, in un'Italia stremata dagli eventi bellici e
dalla guerra civile. Nell'immediato dopoguerra il sollievo procurato dal ritorno alla
libertà dopo il crollo del fascismo determinò sentimenti di ottimismo e di fiducia nel
futuro. Il Neorealismo si espresse principalmente nel campo del cinema e della
narrativa, anche se la sua influenza si diffuse in tutti i campi della cultura. In campo
letterario l'orientamento neorealista si espresse nella produzione di romanzi e
racconti, i cui modelli letterari erano:
•i narratori veristi dell’Ottocento;
• la letteratura americana del primo Novecento;
• il realismo italiano degli anni Trenta (Moravia e Alvaro).
I caratteri stilistici del Neorealismo si possono così sintetizzare:
• rappresentazione oggettiva di fatti realmente accaduti;
• lingua antiletteraria e simile al parlato (ampio uso del dialogo).
La letteratura neorealista si articolò in due tendenze principali:
•la testimonianza della guerra, della Resistenza, della prigionia;
•la descrizione della miseria e del sottosviluppo dell'Italia postbellica.
Della prima corrente fa parte la letteratura partigiana, rappresentata da Beppe
Fenoglio e dalla prima produzione di Italo Calvino, a cui si aggiungono autori come
Renata Viganò, Cesare Pavese e Mario Tobino. In questo clima in cui si rende
evidente il desiderio di raccontare le drammatiche esperienze legate alla guerra,
emerge anche la letteratura memorialistica, che trova i più significativi
rappresentanti in Primo Levi, Giacomo Debenedetti, Natalia Ginzburg e Mario
Rigoni Stern. La seconda tendenza è rappresentata dai romanzi di Vasco Pratolini,
che descrivono la vita del proletariato fiorentino, da Carlo Levi e da alcune opere di
Alberto Moravia e di Pier Paolo Pasolini, ambientate a Roma. Un caso a sé è
costituito dal neorealismo "intimista" di Carlo Cassola.
PRIMO LEVI
LE OPERE
Le più importanti opere di Levi sono strettamente legate alla sua esperienza di
deportato ad Auschwitz. Se questo è un uomo racconta il periodo passato nel
campo mentre l'esperienza del lungo rientro in Italia dopo la liberazione gli fornì
ispirazione e materia per la stesura del suo secondo romanzo, La tregua, e per il
romanzo Se non ora, quando? che ha come protagonisti un gruppo di ebrei in
viaggio dalla Russia verso la Palestina, attraverso l'Europa devastata dalla guerra. La
sua professione di tecnico e scienziato ispirò altri suoi scritti, come i racconti
pubblicati nella raccolta La chiave a stella. Nella sua ultima opera saggistica, I
sommersi e i salvati, l'autore mette in evidenza le difficoltà incontrate nell'offrire un
contributo alla memoria degli orrori passati, in una società disinteressata alla
tragedia. Da ricordare anche le raccolte poetiche Ad ora incerta e L'osteria di Brema.
IL PENSIERO E LA POETICA
Ad animare la più importante produzione narrativa di Levi è la volontà di
comunicare con i suoi simili, di condividerne l’esperienza per capire, di fornire una
testimonianza oggettiva e documentaria della tragica esperienza del lager. In questo
approccio scientifico di fiducia nella ragione umana, quale unico mezzo di cui
dispone l'uomo per emergere dall'orrore e dall’assurdo, risiede il suo profondo
rispetto per la dignità umana. Dalla necessità di instaurare una comunicazione
diretta con il lettore deriva la scelta di una lingua chiara e limpida, espressa in uno
stile asciutto con un taglio scientifico. Questa scelta vale tanto per la prosa quanto
per la poesia, con cui Levi intendeva avvicinarsi a tutti gli uomini, prendendo le
distanze dall'oscurità che caratterizzava la corrente ermetica. A ciò si aggiungono
toni che talvolta si caricano di ironia, che fanno quasi da contrappunto alla tragicità
dei temi.
SE QUESTO È UN UOMO
Se questo è un uomo fu scritto tra il novembre del 1945, quando Levi era appena
rientrato in Italia, e il dicembre del 1946. Dopo il rifiuto di Einaudi, l'opera fu
pubblicata da un piccolo editore nel 1947, ma ebbe una scarsissima risonanza. Solo
nel 1958, quando Einaudi accettò di pubblicare il romanzo, Se questo è un uomo si
impose come uno dei più importanti libri sull'Olocausto, ottenendo un enorme
successo. Il romanzo racconta il periodo di circa un anno trascorso ad Auschwitz; fu
scritto sotto l'impulso di rendere partecipi tutti gli uomini delle atrocità e degli orrori
del lager e si propone come una testimonianza e un monito per le future
generazioni. A questo scopo Levi utilizza una prosa "scientifica" e uno stile analitico
e rigoroso, che procede in modo argomentativo per dimostrare, da un lato la
razionalità della macchina di sterminio messa in piedi dai tedeschi, dall'altro per
persuadere il lettore della veridicità delle sue affermazioni, rinunciando a toni
retorici e dominati dall'emozione del ricordo. I fatti narrati sono infatti filtrati
attraverso l'occhio di Levi autore, che in questo modo si distingue dal Levi narratore.
Da Se questo è un uomo: I sommersi e i salvati
Di questo capitolo, centrale nella struttura del libro, riportiamo due passi: nel primo,
Levi analizza la situazione dei “sommersi”, cioè delle persone che non hanno saputo
scoprire le regole di sopravvenienza nel lager e, in quanto non-uomini, sono
diventati essi stessi la causa della propria rovina; nel secondo, l’autore porta
l’esempio di un uomo, l’ingegner Alfred L., che, grazie alla sua caparbia volontà di
“non essere confuso col gregge”, con la massa degli altri detenuti, è riuscito a
ottenere un posto di responsabilità nella Buna. È un tipico esempio di “salvato”.
Da Se questo è un uomo: Il canto di Ulisse
Levi, con altri sei compagni, fa parte di un Kommando chimico, una sorta di squadra
di specialisti. Con altri detenuti sta raschiando e pulendo all’interno di una cisterna
quando Jean, il “Pikolo” della squadra, cioè il fattorino-scritturale del gruppo, lo
chiama per andare a ritirare il “rancio” del giorno. L’autore lo segue volentieri, tanto
più che è una bella giornata e potrà respirare un po’ d’aria fresca. Durante il tragitto
a Levi tornano in mente alcuni versi danteschi, che cerca di spiegare al suo
compagno.
PIER PAOLO PASOLINI
Pier Paolo Pasolini è definito senza alcun dubbio come uno degli intellettuali più
importanti del secondo dopoguerra oltre che il massimo interprete della nuova
Italia repubblicana, verso la quale fu molto critico. Si scagliò contro la borghesia e a
favore della classe operaia, dei poveri e degli oppressi. Dal punto di vista politico
Pier Paolo Pasolini era di orientamento marxista, ma il suo pensiero fu sempre
indipendente. Criticò i movimenti studenteschi del ‘68 definendo i rivoltosi “figli di
borghesi che giocavano a fare la rivoluzione con i soldi di papà”. Pasolini aderì al
Partito Comunista, ne fu espulso a causa della sua omosessualità, ma interpretò
meglio dello stesso partito i principi di uguaglianza e fratellanza. Per lui la cultura
doveva intervenire nella realtà affermando dei valori. Per questo nella vita fu
sempre contro ogni pregiudizio e prepotenza, costantemente controcorrente e
anche per questo, probabilmente, fu assassinato sul litorale romano nel 1975.