Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
BIOGRAFIA
La data di nascita di Giovanni Verga non specificata, ma si pensa che sia nato o il 31
agosto 1840 o il 2 settembre 1840 da una famiglia di piccoli proprietari terrieri: fu
registrato all'anagrafe di Catania. La famiglia aveva tra i propri numi tutelari il nonno
di Verga, che aveva partecipato al movimento della Carboneria ed era stato eletto
deputato al primo Parlamento Siciliano (il che spiega liniziale entusiasmo del giovane
Verga per Garibaldi: nel 1860 si arruoler nella Guardia Nazionale di Catania, nella
quale militer per quattro anni). Bench la formazione scolastica fosse stata
abbastanza irregolare, la famiglia non ostacol la vocazione letteraria del giovane
Verga, che lo distolse dagli studi giuridici, mai completati, allUniversit di Catania. Fu
proprio col denaro affidatogli per gli studi, anzi, che Verga finanzi il suo primo
romanzo pubblicato, I carbonari della montagna, uscito nel 1861-62.
Seguono periodi di residenza a Firenze, allora capitale dItalia (1865 e 1869-71), e a
Milano, appena scopertasi capitale delleditoria (1872-93), dove frequenta i circoli
artistici e letterari e avvia una vera e propria carriera di scrittore professionista
(spesso in pena per le fortune commerciali delle sue pubblicazioni: un caso piuttosto
clamoroso sar la causa intentata con successo al compositore Pietro Mascagni e al
suo editore, che nel 1890 avevano ottenuto un clamoroso exploit con lopera La
cavalleria rusticana, tratta da una sua commedia a sua volta basata su una sua
novella, e per la quale non intendevano corrispondergli diritti dautore). I romanzi di
questo periodo esplorano la vita mondana del tempo, spesso con trame sopra le righe,
fortemente sensuali e vagamente autobiografiche, non senza una certa inclinazione
scandalistico ( il caso di Una peccatrice, 1866; Storia di una capinera, 1870; Eva,
1873; Eros e Tigre reale, 1875; e ancora de Il marito di Elena, 1882).
soprattutto a Milano, a contatto cogli esponenti della Scapigliatura e altri
intellettuali, che Verga matura per una nuova poetica narrativa, ispirata al
naturalismo francese ma con evidenti tratti specifici, che fanno presto parlare di
"verismo". Il prototipo la novella Nedda, dargomento rurale e ambientazione
siciliana, pubblicata a s nel 1874; seguono tre raccolte di novelle dimpianto analogo,
Vita dei campi (1880: vi sono raccolte alcune delle novelle pi celebri dellautore,
come Fantasticheria, Jeli il pastore, Rosso Malpelo, Cavalleria rusticana, La Lupa e
Lamante di Gramigna), Novelle rusticane (1882: vi figurano tra le altre La roba e
Libert, che adombra la tragica rivolta contadina di Bronte, consumatasi nel 1860, e
nella quale viene alla luce lideologia immobilistica e reazionaria, fortemente
pessimistica, cui era nel frattempo approdato lo scrittore) e Vagabondaggio (1887),
nonch la milanese Per le vie (1883; distanti e meno risolte le ultime raccolte, I
ricordi del capitano dArce, 1891, e Don Candeloro e C.i, del 1894, dambientazione
teatrale).
Nel frattempo matura il progetto ambizioso dun ciclo romanzesco dal titolo
complessivo "I vinti", che inizia con I Malavoglia nel 1881 e che avrebbe dovuto (come
racconta allamico Salvatore Paolo Verdura gi nel 1878) seguire nelle varie classi
sociali il manifestarsi di "una specie di fantasmagoria della lotta per la vita". Ma se la
composizione del secondo episodio, Mastro don Gesualdo, risulter assai pi
travagliata del previsto (pubblicato a puntate nel 1888, la versione definitiva uscita in
volume lanno seguente recher diverse modifiche linguistiche e strutturali), quella del
terzo, La duchessa di Leyra, sinterromper a un primo abbozzo, mentre gli ultimi due,
Lonorevole Scipioni e Luomo di lusso, resteranno allo stadio di mero progetto. Verga
distratto dalla vita teatrale, che da sempre lo affascina tecnicamente e lo tenta
mondanamente (nonch economicamente). Nel 1884 la versione teatrale di
Cavalleria rusticana ottiene un grande successo, che lo induce a tentare pi volte la
Giovanni Verga
stessa strada (ma senza mai riuscire a ripetere quellesito, se non con la versione
scenica della Lupa, nel 1896; lultimo testo teatrale, Dal tuo al mio, andato in scena
nel 1903 e pubblicato in forma romanzesca tre anni dopo, lo si ricorda soprattutto
come opera ultima dello scrittore, nonch come manifestazione estrema della sua
ideologia reazionaria).
Il ritorno a Catania, dove Verga si dedica soprattutto allamministrazione oculata del
proprio patrimonio e alla sua nuova passione della fotografia, e dove resta sino alla
morte: sempre pi isolato e corrucciato (col tempo approv le peggiori repressioni
anti-popolari di Crispi e Bava-Beccaris; fu fautore dellintervento nella Grande Guerra e
ammiratore delle posizioni politiche di dAnnunzio; fece in tempo a simpatizzare per il
movimento fascista) e sempre meno interessato alla letteratura. Unici eventi degni di
rilievo, in questi ultimi anni, la nomina a Senatore del Regno nel 1920 e, lo stesso
anno, la celebrazione dei suoi ottantanni, tenuta al Teatro Bellini di Catania alla
presenza del Ministro della Pubblica Istruzione Benedetto Croce e con la laudatio
pubblica letta da Luigi Pirandello. La morte lo prende il 27 gennaio 1922, colpito da un
ictus.
IDEOLOGIA E POETICA
L'opera del Verga una rivalutazione della seriet morale degli oppressi, ma senza
paternalismi. Egli rifiuta di dipingere con tinte idilliache la vita dei campi o delle
officine. La sua letteratura tragica, la sua filosofia della vita profondamente
pessimistica. Dio assente nei suoi romanzi e lo pure l'idea di provvidenza. Verga
non crede nemmeno in un avvenire migliore conquistato, sulla terra, con le forze degli
uomini, n crede alle lotte politico-sindacali del "quarto stato" (i poveri). A lui
interessano solo i "vinti", cio quelli che "cadono lungo la strada" con eroica
rassegnazione, con la dignit umile e austera di chi sa di non poter modificare il corso
degli eventi. Chi cerca di deviare da questo corso viene sempre sconfitto da chi
detiene il potere. Quindi, piuttosto che illudersi, meglio rassegnarsi coscientemente.
Per quanto riguarda lo stile, egli ha cercato di rendere pi viva la lingua del Manzoni,
liberandola da ogni residuo letterario e accademico. La prosa dei Promessi sposi, cos
corretta, classica e tradizionale, assai diversa dalla sua, che pi diretta, pi
immediata, pi coinvolgente il lettore. Gli stessi sentimenti, le reazioni psicologiche dei
protagonisti dei suoi romanzi, il loro modo di vedere le cose sono semplici ed
elementari. Questa prosa discorsiva accentua il realismo degli avvenimenti e nasconde
meglio la presenza dello scrittore, tanto che le parti connettive dei suoi romanzi
sembrano essere narrate da un personaggio del luogo. Il Verga insomma non voleva
creare una prosa nazionale lavorando "a tavolino" sui migliori dialetti italiani, ma
voleva creare una "prosa parlata", di cui il dialetto siciliano doveva restare parte
integrante. Il tempo avrebbe detto -a suo giudizio- se questa prosa "popolare"
meritava una rilevanza a livello nazionale. Ma la borghesia al potere non poteva
accettare una letteratura che la criticava cos duramente.
Giovanni Verga
Nella letteratura italiana il Verga rappresenta un'anomalia. E' troppo "borghese" per
piacere alla sinistra, ma lo troppo poco per piacere alla borghesia. Egli critica
aspramente la vita borghese ma non d speranze al proletariato. Critica altrettanto
duramente l'aristocrazia, ma considera i contadini e i braccianti dei "vinti" per natura,
segnati inesorabilmente dal destino. Egli in pratica ha dimostrato, senza volerlo, che
non si diventa scrittori "proletari" solo perch si ha coscienza delle contraddizioni della
borghesia e dell'aristocrazia. Occorre la prassi e questa gli mancata. Di qui il suo
tragico e desolante pessimismo.
Di fatto il Verga proviene socialmente da un ambiente aristocratico benestante e
soprattutto egli s' formato intellettualmente negli ambienti borghesi medio-alti di
Firenze e di Milano. Solo quando questi ambienti gli sono venuti a noia, egli ha deciso
di ritornare a Catania, cominciando ad interessarsi delle condizioni miserevoli dei
meridionali.
Verga stato uno dei pochi grandi romanzieri in Italia a comprendere il tradimento
della borghesia post-unitaria, ma, nello stesso tempo, egli stato anche uno dei pochi
romanzieri che, nonostante una tale consapevolezza politica e sociale, non ha saputo
intravedere nell'emergente movimento socialista una risposta alle contraddizioni del
Sud. Persino la borghesia non rimase indifferente a tale movimento.
Ma il suo merito maggiore non sta solo nell'aver evidenziato la miseria del Sud come
"prodotto" dell'opulenza del Nord (vedi il "blocco" della borghesia con gli agrari); sta
anche nell'aver creato un modo nuovo di "fare letteratura", cio nell'aver elaborato
uno stile popolare, pi diretto e immediato, che meritava sicuramente, da parte della
critica e delle commissioni che redigono i programmi ministeriali, un'attenzione
maggiore.
Verga, in realt, stato il primo a dimostrare che una letteratura nazionale non pu
essere il frutto di un lavoro "a tavolino" sui migliori (o sul migliore dei) dialetti
regionali, ma anzitutto il frutto di una letteratura popolare che, per esser tale, deve
per forza essere regionale e che pu aspirare a diventare nazionale solo se i valori che
esprime vengono accolti positivamente dai lettori di altre regioni. Una letteratura
nazionale pu essere riconosciuta solo a posteriori, mettendo radici in modo lento e
graduale. Essa non pu imporsi n per il genio dell'autore, n per la compiacenza della
critica, ma solo per il suo contenuto autenticamente umano e popolare.
I governi borghesi, che fino ad oggi si sono succeduti, hanno voluto fare dei Promessi
sposi il modello della letteratura nazional-popolare, ma i Malavoglia o Mastro don
Gesualdo non rientrano forse in questo stesso modello? E' bene comunque intendersi,
poich anche il Verga presenta dei limiti che vanno superati: una vera alternativa al
Manzoni pu essere costituita non tanto da una letteratura "per" il popolo, dove il
popolo s protagonista ma chi ne parla non ne fa parte, quanto piuttosto da una
letteratura in cui il popolo sia portavoce di se stesso, cio soggetto protagonista di
storia. Una letteratura di questo genere ancora tutta da costruire.
II
Il Verga un realista perch pone a fondamento delle vicende umane l'economia.
Tuttavia, egli considera l'economia para-feudale del Mezzogiorno ottocentesco come
una realt immodificabile. Gli uomini dei suoi romanzi si sentono impotenti appunto
perch "poveri" e in questa povert si sentono "soli", divisi tra loro.
Giovanni Verga
A partire dal romanzo Nedda, il Verga ha cominciato a guardare con rassegnazione le
sofferenze della gente povera, come prima guardava con disgusto, anche se con
altrettanta rassegnazione, i limiti della borghesia e dell'aristocrazia. La differenza tra le
due rassegnazioni sta nel "disgusto", che, a partire da Nedda, egli non pu pi
provare, essendo mutato l'oggetto dei suoi interessi sociali. Il proletariato infatti merita
comprensione e piet, non disgusto, pur senza paternalismi di sorta.
Se il Verga fosse stato un autentico realista avrebbe saputo trovare nello sviluppo
borghese dell'economia un fattore di progresso rispetto alla stagnazione dell'economia
precapitalistica degli agrari del Sud. Il suo pessimismo radicale forse dipeso dal fatto
ch'egli si aspettava dall'unificazione nazionale, ovvero dalla rivoluzione borghese, un
mutamento immediato, positivo, della situazione meridionale. Egli cio ingenuamente
aveva creduto che l'unificazione avrebbe potuto comportare per i meridionali una
sorta di rivoluzione democratica "dall'alto", senza un'effettiva partecipazione delle
masse popolari. Sarebbe di grande interesse, in questo senso, esaminare gli articoli
ch'egli scriveva quand'era giornalista a Catania.
III
E' davvero possibile che uno scrittore, raccontando un fatto, possa non esprimere
alcun giudizio? La scelta che fece Verga di apparire come narratore esterno e
impersonale, che non fa parte delle vicende che racconta, che si limita a osservare e
ascoltare, senza mai indagare le motivazioni dei personaggi e delle loro azioni, senza
mai farci penetrare nei loro pensieri, descrivendo la realt nuda e cruda, volendo
addirittura far credere al lettore che quella realt gli era stata raccontata da gente del
popolo, una scelta artificiosa, un'operazione meramente intellettualistica, o rifletteva
una certa cultura di ampio respiro, quella contadina del Mezzogiorno?
Verga rifletteva indubbiamente un background contadino e, in questo, un maestro
insuperabile.
Egli per vede questo background destinato a essere sconfitto dal rapporto con la
nuova cultura borghese, quella sabauda o del centro-nord della penisola, che vuole
imporsi a livello nazionale dopo l'unificazione.
Verga sceglie consapevolmente di raccontare una sconfitta in atto, ma lo fa cercando
di dare una dignit ai suoi personaggi (anche quando si comportano in maniera
bestiale), i quali non s'arrendono tanto facilmente al destino che si vuole loro imporre.
Verga non pu interpretare ci che racconta, perch, se lo facesse, sarebbe costretto a
dar ragione ai contadini, e allora dovrebbe smettere di fare lo scrittore, perch
resterebbe senza pubblico, mentre se volesse stare dalla parte della borghesia,
tradirebbe se stesso e le sue origini.
Ed ecco il compromesso: raccontare tacendo, nella speranza che qualcuno capisca che
in quel che tace sta raccontando una tragedia che avrebbe potuto non esserci, che
non avrebbe dovuto esserci, sta raccontando qualcosa di molto scomodo per la
coscienza borghese, perch sta denunciando una prassi arrogante, arbitraria, violenta,
di una classe particolare, che pretende l'egemonia a discapito di tutte le altre classi, e
che in particolare ha voluto distruggere le tradizioni contadine.
Dopo l'operazione verghiana, o il sud si adeguava in silenzio al dominio del nord, o
reagiva accettando per l'unificazione nazionale, cio entrando nel meccanismo della
democrazia borghese. Non c'era altra alternativa, proprio perch il Mezzogiorno non
aveva saputo da solo liberarsi della schiavit feudale.
Giovanni Verga
D'altra parte Verga non ha mai ipotizzato una ribellione in massa delle popolazioni
meridionali pi oppresse, magari in nome del socialismo, in cui la cultura contadina si
trovasse alleata a quella operaia e piccolo-borghese contro la penetrazione industriale
del nord. Egli riteneva che la cultura contadina fosse un'alternativa allo stesso
socialismo, che infatti si sviluppava pi facilmente negli ambienti operai urbanizzati. In
generale Verga non ha mai avuto delle idee politiche ben definite.
LA ROBA
La roba una novella di Giovanni Verga pubblicata nel 1883 che fa parte della raccolta
Novelle rusticane.
Verga descrive il passaggio dal feudalesimo al capitalismo nelle campagne usando la
psicologia del carattere e la fenomenologia del comportamento individuale, ma non
riesce a dare una spiegazione sociale convincente di tale transizione.
E' infatti inverosimile credere che un bracciante sia potuto diventare capitalista agrario
attraverso un iter di tipo rurale.
E' vero che Verga sottolinea atteggiamenti furbeschi come l'inganno, la menzogna,
l'illegalit..., ma non con questi atteggiamenti che un bracciante si trasforma in
capitalista. Il capitalista agrario nasce proprio cacciando i contadini dalla terra, i quali
si trasformano in braccianti.
Un contadino cacciato dalla terra, normalmente, in citt, diventava operaio, oppure si
poneva in qualche modo contro le istituzioni dominanti; poteva anche diventare
borghese, ma solo in condizioni molto particolari (attraverso la criminalit mafiosa o
usando personali abilit commerciali).
In ogni caso un barone non avrebbe mai permesso a un proprio servo della gleba di
arricchirsi in quanto servo. Il servo doveva o andarsene o farsi cacciare o ribellarsi. Il
processo non era graduale ma traumatico.
Il racconto, a causa del pessimismo radicale del Verga, finito in maniera negativa,
drammatica, ma avrebbe potuto finire in maniera costruttiva o quanto meno
problematica.
Il protagonista cio avrebbe potuto concedere un prestito a tasso agevolato a una
serie di persone, scelte tra i suoi operai, che avessero mostrato capacit
imprenditoriali; oppure, visto che non aveva eredi, avrebbe potuto mettere il suo
patrimonio a disposizione dei lavoratori, affinch lo valorizzassero.