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Dalle «Occasioni» alla «Bufera»:

appunti sul manierismo montaliano


NICCOLÒ SCAFFAI

1. «Che nel ‘modularsi’ dei ritmi montaliani si introducano volta per


volta echi o richiami dalla letteratura, è un fatto ‘casuale’, che deporrà
semmai a carico di una cultura pratica, nemmeno di una cultura poeti-
ca». Così scriveva Gianfranco Contini nella sua memorabile Introduzione
a «Ossi di seppia».1 Si parva licet, ragioni pratiche, anzi contingenti, sono
all’origine anche del titolo di quest’intervento: un commento in corso
alla Bufera, in cui il confronto tra quel libro e Le occasioni non può che
avere una parte rilevante. Perciò in origine la continuità con il titolo di
un altro celebre scritto di Contini su Montale, Dagli «Ossi» alle «Occasio-
ni», non voleva essere allusiva. Dal momento però che una semicoinci-
denza si è prodotta, tanto vale prenderne l’abbrivio, citando il passo del
fortuito ‘palinsesto’ nel quale Contini scrive che «la ‘seconda’ maniera di
Montale, cioè nient’altro che il Montale esplicito e maturo, è tutta un
‘lemma’ rispetto agli Ossi».2 Vale a dire, se interpreto bene, che l’esistenza
di una ‘seconda’ maniera montaliana, ufficialmente distinta dalla prima, è
la premessa argomentativa da cui si sviluppa e contrario il discorso del cri-
tico sugli Ossi. Quando Contini pubblicò il saggio Dagli «Ossi» alle «Oc-
casioni» (su «Letteratura», ottobre 1938), infatti, il secondo libro di Mon-
tale non aveva visto ancora la luce. Di qui la prospettiva continiana: va-
lutare l’opera precedente alla luce della successiva, mentre questa è an-
cora in flagranza di scrittura; dunque quando è più attraente (perché
nell’assiologia di Contini il valore in sé conta meno dell’approssimazione
al valore).

1 G. CONTINI, Una lunga fedeltà. Scritti su Eugenio Montale, Torino, Einaudi, 1974, p. 9.
2 Ivi, p. 21.

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2. Contini seguiva una traiettoria in corso, riuscendo perfino a anti-


ciparla. Sul piano dei generi critici, Dagli «Ossi» alle «Occasioni» è infatti
quasi una recensione (o una recensione ante litteram, secondo lo stesso
Contini);3 ciò spiega l’urgenza di un giudizio, tutto a favore della secon-
da maniera, che Montale stesso non condivise pienamente.4 E spiega an-
che il procedimento pratico, imperniato sul confronto paradigmatico e
sul ricorso didascalico alle coordinate teoriche crociane, adottate da
Contini in quello scritto.5
I cinquantacinque anni trascorsi dalla prima edizione della Bufera im-
pongono una diversa prospettiva: per cui il confronto tra il secondo e il
terzo libro non può mirare all’assegnazione di un primato, né può svol-
gersi in chiave finalistica. Oggi interessa piuttosto rilevare la dinamica
che coinvolge i due libri di Montale, Occasioni e Bufera: una dinamica di
evoluzione più che opposizione. Ciò non significa che quei libri non ab-
biano una forte autonomia reciproca, o che non siano ben delimitati en-
tro sicuri confini testuali. Se davvero, come scrivono i curatori dell’Opera
in versi nella nota introduttiva, Montale ha avuto difficoltà «a riconoscere
l’autonomia dei suoi libri»,6 questa non ha impedito alle singole raccolte
di raggiungere un alto grado di coesione interna. Da un punto di vista
strutturale, infatti, Le occasioni e La bufera sono libri di poesia perfetta-
mente autonomi, che esibiscono tutti i fondamentali requisiti macrote-

3 Così scrive infatti Contini nell’Avvertenza al suo volume montaliano: «Il saggio in-
titolato […] Dagli “Ossi” alle “Occasioni” uscì sul fascicolo 8 di ‘Letteratura’ (ottobre
1938) sotto il semplice titolo Eugenio Montale, in quanto capitolo della rubrica collettiva
(di epigrafe nella specie piuttosto impropria) Da “La Voce” a “La Ronda”. Non esiste-
vano dunque ancora Le occasioni, la cui prima edizione, presso Einaudi, uscì nell’ottobre
1939; l’articolo ne fu quindi la prima recensione ante litteram e costituì preterintenzio-
nalmente, almeno da principio, un punto di riferimento obbligato» (ivi, p. VII).
4 Sul rapporto tra il poeta e il critico, e in particolare sulla preferenza di Contini per

gli Ossi rispetto alle Occasioni, cfr. L. BLASUCCI, Di Contini su Montale, in Gianfranco Con-
tini vent’anni dopo. Il romanista, il contemporaneista. Atti del Convegno internazionale di
Arcavacata, Università della Calabria 14-16 aprile 2010, a cura di N. Merola, Pisa, ETS,
2011, pp. 123-36. Dalla bibliografia sull’argomento, estraggo anche il saggio di V. MAR-
CHESE, Contini incontra Montale (1933-1940), «Aevum. Rassegna di Scienze storiche lin-
guistiche e filologiche», LXXXII 3 (2008), pp. 789-802.
5 «La principale costante nella carriera di Montale è che poesia e non-poesia in lui

non sono contigue, ma strettamente interdipendenti e complementari. […] Oggi che


in Montale il nucleo ispiratore tende a coincidere con l’istante di grazia gnoseologica
(ed eudemonologica), ne risulta contratta anche la non-poesia», «Anche la disperazione
sfugge insomma allo ‘stato d’animo’, e la non-poesia di Montale è, semplicemente, lo
‘stato d’animo’: quello ‘stato’ che domina negli Ossi» (Una lunga fedeltà, cit., pp. 21-22).
6 E. MONTALE, L’opera in versi, edizione critica a cura di R. Bettarini e G. Contini,

Torino, Einaudi, 1980 (d’ora in poi abbreviato OV), p. 833.

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stuali: segnali di inizio e di fine, articolazione interna legata a una discreta


progressione di senso, presenza di isotopie tematiche.7 Ma gli elementi
appena elencati rappresentano poco più che regole, vincoli preliminari
all’effettiva organizzazione dei libri montaliani. Potremmo dire, metafo-
ricamente, che i requisiti strutturali stanno allo svolgimento concreto di
un libro come il metro sta al ritmo; la soddisfazione di certi criteri – per
esempio la divisione del libro in sezioni – viene infatti ottenuta in modi
diversi, come diversa è la logica del ‘discorso’ macrotestuale articolato
nelle Occasioni e nella Bufera. Una differenza decisiva per interpretare
l’una e l’altra raccolta, che si apprezza proprio dal confronto; per cui, sì,
Le occasioni e La bufera sono libri autonomi, ma le loro specificità risaltano
meglio per contrasto.
Ci si può servire di una similitudine metrica anche per definire le
analogie tra le due raccolte. Il termine che userei è ‘intonazione’, che in
senso proprio esprimerebbe il rapporto tra unità metrica – la strofa – e
sintassi. Quando metro e sintassi non collimano, l’intonazione è marcata.
L’unità chiusa del macrotesto è come una strofa che viene scavalcata da
una più estesa campata sintattica. La ‘sintassi’ consiste nello svolgimento
del filo tematico, retorico, strutturale che collega i due libri. Le linee di
senso e le direttrici formali delle Occasioni fuoriescono dai confini di
quel libro, per entrare nel successivo; si crea perciò una forma di ‘intona-
zione’ marcata, che non annulla le due unità strutturali, ma che incide
sulla loro relazione reciproca: a queste forme di marcatura vorrei rivol-
gere l’attenzione.

3. Tali forme possono essere tanto a carico del paradigma, quanto del
sintagma; ovvero, possono riguardare sia gli elementi di parallelismo e i
richiami associativi tra i due libri (corrispondenze tra testi eminenti, se-
zioni omologhe, situazioni ripetute); sia i tratti di continuità diciamo pu-
re narrativa (il progresso lungo una linea storico-cronologica, la prosecu-
zione di una vicenda sentimentale).
Un tratto marcato di tipo paradigmatico riguarda proprio la struttu-
ra, lo ‘scheletro’: quattro parti maggiori contano Le occasioni, che ricalca-
no in questo il modello degli Ossi, sette La bufera. All’inizio, anche il ter-
zo libro avrebbe dovuto sostanzialmente adeguarsi al modello quadripar-
tito. È noto infatti come gli incunaboli della Bufera (cioè il progetto di

7Mi permetto di rimandare, sulla questione del macrotesto montaliano, al mio


Montale e il libro di poesia (Ossi di seppia, Le occasioni, La bufera e altro), Lucca, Pacini Fazzi,
2002.

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Romanzo, che Montale sottopose a Giovanni Macchia nel 1949, e il dat-


tiloscritto delle 47 poesie, con cui vinse il Premio San Marino nel 1950)
prevedessero una sezione introduttiva (Finisterre), seguita da altre quattro
parti e da un’appendice di consistenza vaga (che in Romanzo è intitolata
Nel segno del trifoglio).8 Per alcuni, poi, la stessa architettura definitiva della
Bufera presenterebbe una quadripartizione di base (Finisterre, Flashes, Sil-
vae e Madrigali), rinterzata dalle parti di minore ampiezza (Dopo, Inter-
mezzo, Conclusioni); un’interpretazione che non convince del tutto, per-
ché quelle tre parti servono al pari delle altre tanto al disegno storico del
libro, quanto – le Conclusioni almeno – a un paradossale sviluppo della
forma ‘canzoniere d’amore’.
Diciamo intanto, però, che la liminarità di Finisterre è un dato più
estrinseco che intrinseco: dipende cioè, in primo luogo, dalla ‘preistoria’
editoriale di quella serie nei primi anni Quaranta, dalla sua circolazione
autonoma rispetto alla Bufera; in secondo luogo, da una celebre afferma-
zione di Montale, in cui Finisterre è definita lo «spicchio» mancante delle
Occasioni.9 La definizione si legge nell’Intervista immaginaria che appartie-
ne a una fase della cronologia montaliana – il 1946 – precedente al pro-
getto della Bufera. Era inevitabile quindi che l’autore, a quell’altezza, ne
parlasse come di una continuazione della raccolta precedente, non come
parte integrante di un libro ancora di là da venire e di incerta attuazio-
ne.10
È vero che Finisterre dialoga con Le occasioni – come diremo meglio
anche più avanti – e ne continua alcuni tratti sistematici; ma la relazione
con altre parti della Bufera non è meno forte: anzi, la linea privilegiata è
quella che segue la presenza di Clizia e che congiunge perciò Finisterre
alle Silvae (proseguendo verso le Conclusioni provvisorie); lo ha dichiarato

8 Cfr. G. MACCHIA, Il romanzo di Clizia, in ID., Saggi italiani, Milano, Mondadori,


1983, pp. 302-16; S. MORGANI, Di un archetipo della «Bufera» e U. FRACASSA, Le ‘47’ poe-
sie di Eugenio Montale: cronaca e critica del (macro)testo, in «Mezzo secolo di ‘Bufera’», numero
monografico di «Trasparenze» a cura di U. Fracassa, Genova, Edizioni San Marco dei
Giustiniani, 2007, pp. 7-28.
9 «Le Occasioni erano un’arancia, o meglio un limone a cui mancava uno spicchio:

non proprio quello della poesia pura nel senso che ho indicato prima, ma in quello
del pedale, della musica profonda e della contemplazione» (E. MONTALE, Intenzioni (In-
tervista immaginaria), in ID., Il secondo mestiere. Arte, musica, società, a cura di G. Zampa, Mi-
lano, Mondadori, 1996, pp. 1482-83).
10 Già nelle note a Finisterre 1945, Montale metteva le mani avanti, scrivendo che

«se un giorno Finisterre dovesse risultare il primo nucleo di una sua terza raccolta, poco
male per me (o male solo per il lettore): oggi non posso fare previsioni» (OV, p. 937); e
nella stessa Intervista immaginaria scriveva: «L’avvenire è nelle mani della Provvidenza,
Marforio: posso continuare e posso smettere domani» (Il secondo mestiere, cit., p. 1484).

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indirettamente lo stesso Montale a Guarnieri: «Clizia è presente nella 1a


serie [Finisterre] e in molte altre poesie (Nuove stanze, Primavera hitle-
riana, l’Orto, Iride e quasi tutte, tranne le poesie dei Madrigali privati)».11
Questo per ribadire come la considerazione della struttura non possa es-
sere separata dalla dimensione del tempo: più Le occasioni si allontanano,
più è evidente l’implicazione di Finisterre con la nuova raccolta. La fun-
zione della serie è perciò sì quella di trait d’union, ma soprattutto di spar-
tiacque tra il secondo libro e La bufera.

4. Per restare ancora sulla ripartizione interna, va osservato anche


che, a parità di posizione, Finisterre ha un’ampiezza assai maggiore rispet-
to ai suoi presunti omologhi, In limine e Il balcone: quindici poesie invece
di una. Il che è già indicativo di una propensione al rincaro, che si era
manifestata anche nella zona finale dei precedenti libri: la microsezione
di chiusura degli Ossi, formata da Riviere, aveva lasciato il posto nelle Oc-
casioni a una suite in tre movimenti (Notizie dall’Amiata). Nella Bufera e
altro, poi, le unità diventano due e vengono di nuovo collocate in una se-
zione autonoma, per di più di uguale dignità paratestuale rispetto alle al-
tre sei della raccolta.
Anche la scelta dei titoli delle rispettive sezioni è significativa e dice
di un processo di rincaro, quantitativo e tipologico. Nelle Occasioni, di-
versamente che negli Ossi, solo la sezione Mottetti ha un titolo proprio
(mentre Tempi di Bellosguardo, come mette in evidenza l’indice della rac-
colta, è solo il titolo della suite contenuta in una sezione di fatto anepi-
grafa), utile anche a segnalare la pluralità degli elementi in serie di cui le
due parti si compongono. Nella Bufera, invece, non solo ogni sezione ha
un titolo, ma ciascuno di essi esibisce la sua funzione. Dopo e Conclusioni
provvisorie sono titoli ‘strutturali’, che ribadiscono cioè la collocazione
delle parti nello svolgimento del libro; si può aggiungere semmai che
Dopo ha un rilievo di tipo cronologico-narrativo, Conclusioni di tipo di-
mostrativo-argomentativo: come se la logica del discorso poetico, date le
premesse, giungesse a un esito necessario, anche se non perentorio. È ve-
ro che quelle premesse sono da ricercare innanzitutto nelle Occasioni, co-
me confermano i segnali tematico-lessicali di cui diremo; ma il punto è
che quel titolo suggerisce come La bufera e altro non sia la semplice con-
tinuazione ‘narrativa’ delle Occasioni, ma ne rappresenti anche una forma
di tendenzioso commento, quasi un’opera di secondo grado. Anche In-
termezzo ha una funzione simile, strutturale cioè, cui si aggiunge però la

11 Ivi, p. 1519.

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componente rematica: intermezzo come termine del linguaggio musica-


le, per esempio. Rematico è anche il titolo ‘Flashes’ e dediche, che sdoppia
la definizione di genere e ne minimizza l’entità, tenendosi sul filo della
metafora e dell’arguzia. Pure Silvae è un titolo rematico, se fa riferimento
al genere staziano-polizianesco, caratterizzato dalla varietà dei temi e alla
complessità delle forme;12 ma si connette a un altro titolo, cioè Finisterre,
che è invece tematico, alludendo a un esaurimento storico e forse anche
privato.13 Il legame è dato dalla comune matrice linguistica, latina o la-
tineggiante, che dà peraltro un timbro tragico alle due sezioni, quasi fosse
un retaggio del latino profetico ‘stile Vita nova’ («Qui appare l’Antibea-
trice come nella Vita Nuova», aveva scritto Montale rispondendo a
Guarnieri).14 Infine, i Madrigali privati, che con i ‘Flashes’ è la sezione
strutturalmente in rapporto più stretto con i Mottetti del secondo libro.
Per questo, oltre che per l’allusività un po’ concettosa che risulta dalle
scelte titolatorie del terzo Montale, non è da escludersi una cosciente
opposizione imperniata sui rispettivi generi musicali che i due termini
evocano: mottetti e madrigali appunto. Meno vulgata è la probabile ‘le-
gittimazione’ specialistica che Montale deve aver ricevuto, coerente con
la cultura e le conoscenze dell’autore. Nella Breve storia della musica di
Massimo Mila, uscita in prima edizione nel 1946, Montale poteva infatti
leggere una definizione del madrigale come «corrispondente profano»
del mottetto:

Una certa ricchezza d’espressione e una maggiore libertà erano


consentite al musicista […] della minore forma di musica sacra a
più voci, il mottetto, […] nel breve ambito della sua parabola archi-
tettonica rapidamente conchiusa, capace di ospitare un impulso di
momentanea ispirazione, di dar forma a uno stato d’animo, di tra-
durre un’emozione religiosa personalmente atteggiata.
Il corrispondente profano del mottetto è il madrigale, la breve for-
ma polifonica che, a partire dal terzo decennio del secolo, domina

12 Cfr. R. BETTARINI, Sacro e profano, in EAD., Scritti montaliani. Raccolti per iniziativa
della Società dei Filologi della Letteratura italiana, a cura di A. Pancheri. Introduzione
di C. Segre, Firenze, Le Lettere, 2009, p. 151.
13 «Finisterre mi pare che vada benissimo per l’intera raccolta, à la fois per l’allusione

millenaristica e per quella geografica.Voglio dire che a Finisterre comincia l’Oceano, co-
mincia il mare-dei-morti (punta del Mesco) ecc., di lì si dice addio alla proprietaria dei
primi e alla Proprietaria degli ultimi versi: l’allusione geografica, insomma, è a sua volta
doppia» (dalla lettera di Contini a Montale datata «Domo, 30 [4. 1943]», in Eusebio e
Trabucco. Carteggio di Eugenio Montale e Gianfranco Contini, a cura di D. Isella, Milano,
Adelphi, 1997, p. 87).
14 E. MONTALE, Il secondo mestiere, cit., p. 1519.

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tutto il Cinquecento […]; esso è il rivestimento musicale di qual-


siasi breve poesia profana, in lingua volgare, con libertà di rime e
di metro.15

Sotto questa luce, appare significativa anche una coincidenza crono-


logica: proprio nel ’46, infatti, Montale dedica a Mila lo scritto Paradossi
della cattiva musica, destinato a diventare il testo di apertura delle future
Prime alla Scala.
Un richiamo per opposizione tra il genere ‘mottetto’ e la forma ma-
drigalistica nella Bufera è confermato dallo stesso Montale in termini si-
mili a quelli usati da Mila: «Tutti i flashes hanno intonazione madrigali-
stica, diversissimi in ciò dai Mottetti. […] Tutt’al più si può dire che la
figura dei Madrigali è una controfigura di Clizia in chiave profana».16
Un’espressione da mettere in rapporto proprio con i versi di una poesia
dei Flashes quale Incantesimo: «Intorno il mondo stinge; incandescente, /
nella lava che porta in Galilea / il tuo amore profano» (vv. 9-11, corsivo
mio).

5. Fenomeni di rincaro e di ‘complicità’ metaletteraria come quelli in-


dividuati rientrano in una generale tendenza al manierismo, che agisce
nella Bufera a più livelli, connotandone il rapporto con Le occasioni. Par-
lando di ‘manierismo’, non intendo alludere ai non trascurabili rapporti
di Montale con la poesia manierista e barocca in senso storico;17 uso
piuttosto il termine come categoria stilistica relativa, in contrasto cioè
con il termine e il concetto di ‘classicismo’, decisivi per le Occasioni, me-
no efficaci per la Bufera.18
Oltre che nell’amplificazione, un tratto manieristico risiede nell’ade-
sione allusiva a un modello colto, attraverso il quale l’esperienza viene
filtrata: che l’arte debba nascere dall’arte è, del resto, una delle idee-chia-
ve del Manierismo. Già per Le occasioni si può parlare di una forma di
moderno stilnovismo, giusta anche la concomitanza tra l’uscita di quel

15 Cito da M. MILA, Breve storia della musica, Torino, Einaudi, 2011, p. 67.
16 Dalla lettera a Guarnieri del 12 febbraio 1966, in E. MONTALE, Il secondo mestiere,
cit., p. 1520.
17 L’incidenza dei poeti metafisici e dell’eufuismo è stata da tempo accreditata dalla

critica; rimando, tra gli studi recenti, a R. GIGLIUCCI, Realismo metafisico e Montale, Ro-
ma, Editori Riuniti, 2007.
18 Per un’analisi dell’idea manierista nella cultura europea attraverso i secoli, si ve-

dano le suggestive pagine di G.R. HOCKE, Il manierismo nella letteratura. Alchimia verbale
e arte combinatoria esoterica, trad. ital. Milano, Il Saggiatore, 1965.

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libro e l’edizione continiana delle Rime. Ciò che distingue La bufera è da


un lato l’ostensione degli stessi modelli che nelle Occasioni restavano im-
pliciti (è nel terzo libro, non prima, che la donna riceve il nome ovidia-
no-dantesco di Clizia), dall’altro la moltiplicazione di fonti di portata
minore che collegano carsicamente testi lontani, anche a cavallo tra le
due raccolte. Una tensione, cioè, verso la creazione di corrispondenze –
ora palesi, ora occulte – che sfocia, di nuovo, nella maniera.
Una di queste fonti, ancora poco esplorata, può avere a che fare an-
che con il numero di sezioni della Bufera. Mi riferisco a Les Tragiques, il
poema di Agrippa d’Aubigné da cui Montale ha tratto la citazione in
esergo alla poesia La bufera: «Les princes n’ont point d’yeux pour voir ces
grand’s merveilles, / Leurs mains ne servent plus qu’à nous persécuter».
Alle tracce recentemente scoperte di Les Tragiques nelle liriche di Finister-
re19 va sommata almeno un’altra agnizione, sempre all’interno della Bu-
fera ma ampiamente dislocata rispetto a Finisterre. Riguarda infatti la si-
tuazione infernale descritta nel Sogno del prigioniero, che sembra diretta-
mente ispirata da Les Tragiques; i tratti comuni, che riguardano soprattutto
il tema dell’antropofagia che i mostruosi tiranni praticano sulla pelle (e
con le carni) degli innocenti e dei perseguitati, si trovano soprattutto nel
Libro I (intitolato Misères):

Cependant que les Rois parés de leur substance


En pompes et festins trompaient leur conscience,
Etoffaient leur grandeur des ruines d’autrui,
Gras du suc innocent, s’égayent de l’ennui,
Stupides, sans goûter ni pitiés ni merveilles,
Pour les pleurs et le cris n’ayant yeux ni oreilles (vv. 361-66, corsivo mio);20

On dit que le manger de Thyeste pareil


Fit norcir et fuir, et cacher le Soleil.
Suivrons-nous plus avant? voulons-nous voir le reste
De ce banquet d’horreur, pire que de Thyeste?
Les membres de ce fils sont connus aux repas,
Et l’autre étant déçu ne le connaissait pas.
Qui pourra voir le plat où la bête farouche
Prends les petits doigts cuits, les jouets de sa bouche? (vv. 543-50).

19 Cfr. C. RICCARDI, Il punto su Clizia e su vecchie e nuove fonti dalla «Bufera» a «Gli

orecchini», «Nuova Rivista di Letteratura Italiana», VII 1-2 (2004), pp. 373 ss.
20 Cito da Agrippa d’Aubigné, Les Tragiques, édition de Frank Lestringant, Paris, Gal-

limard, 2003.

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I brani sono prossimi anche per collocazione al passo citato da Mon-


tale nell’epigrafe della Bufera, e anticipano il motivo del macabro ban-
chetto o «festino» del Sogno del prigioniero; nella prima citazione da d’Au-
bigné si legge proprio la parola festins, che tornerà ancora nel Libro IV
(Les Feux), vv. 1387-8: «Furent trouvés sortant des jeux et des festins /
Ronfler aux seins enflés de leurs pâles putains». Come spesso accade per
Montale, le sollecitazioni sia biografiche che letterarie non hanno solo
un effetto immediato sull’invenzione, ma prolungano nel tempo la loro
azione. Nel caso di Les Tragiques, un contatto avvenuto necessariamente
prima della pubblicazione di Finisterre (1943) deve aver continuato a in-
fluenzare l’immaginario montaliano per oltre dieci anni, cioè almeno fi-
no al 1954, quando viene pubblicata Il sogno del prigioniero.
Se il poema di d’Aubigné inquadra tanto l’inizio quanto la fine della
Bufera e altro, può essere più che una semplice coincidenza il fatto che il
libro, nel suo assetto definitivo, sia ripartito in sette sezioni, tante quante
sono i libri di Les Tragiques. Architettura e struttura tematica sembrano
infatti tendere, nel finale, a una sovrapposizione: il giudizio universale
che chiude il poema ugonotto si rispecchia almeno in parte nell’apoca-
lissi del Piccolo testamento montaliano.
Del resto, la stessa elezione di Les Tragiques come fonte dell’epigrafe
può essere una forma di citazione; anche la prima edizione delle Fleurs
du Mal di Baudelaire esibiva in limine un passo di d’Aubigné:

On dit qu’il faut couler les exécrables choses


Dans le puits de l’oubli et au sépulchre encloses,
Et que par les escrits le mal ressuscité
Infectera les mœurs de la postérité;
Mais le vice n’a point pour mère la science,
Et la vertu n’est pas fille de l’ignorance

Se il titolo della poesia che apre Le occasioni – Il balcone – alludesse,


anche solo lateralmente, alla baudelairiana Le balcon, gli incipit o meglio i
paratesti della seconda e della terza raccolta di Montale troverebbero in
Baudelaire un riferimento comune: corrispondenza minima e quasi tutta
implicita, che può acquistare rilievo in un sistema di allusività diffusa co-
m’è quello che pare di riconoscere tra Occasioni e Bufera.
Queste corrispondenze illustrano ciò che ho definito ‘manierismo’
della Bufera, visibile appunto fin negli elementi paratestuali; se i primi
Ossi erano folti di dediche agli amici artisti e Le occasioni, da un certo
punto in avanti, si aprono all’insegna delle iniziali di Irma (a I. B.), La bu-
fera e altro, attraverso la poesia eponima, espone una citazione culta (cui
si allinea l’esergo pseudodantesco della Primavera hitleriana). Se Montale

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aveva pensato di intitolare Romanzo il suo terzo libro, forse dipendeva


anche dalla consapevolezza di aver ispessito gli schermi della fiction alzati
intorno all’esperienza personale. Per cui, anche in presenza di temi e si-
tuazioni simili, nei testi cruciali della Bufera interviene a volte un ‘trave-
stimento’ che muta in personaggio l’io lirico delle Occasioni. Un processo
di ‘romanzizzazione’, se così si può dire, che coinvolge anche la figura
femminile; questa non solo si rifrange nei diversi caratteri di Clizia,Vol-
pe, G.B.H, ma assume anche altre maschere, per esempio quella di Dio-
tima. Accade l’opposto di quanto si osserva nelle Occasioni: lì infatti pre-
vale l’assimilazione di persone diverse in una medesima figura, per esem-
pio nei Mottetti; una liricizzazione dell’esperienza di cui Montale riven-
dica la legittimità persino con la stessa Irma.21

6. Alcune di queste dinamiche di travestimento si possono apprezzare


facendo perno su una trafila di tre testi, due nelle Occasioni e uno nella
Bufera: il mottetto «Al primo chiaro, quando…», Notizie dall’Amiata e pro-
prio Il sogno del prigioniero.
Tra il mottetto e la conclusione provvisoria c’è un rapporto di somi-
glianza, relativo innanzitutto alla sfera delle percezioni sensoriali. La lo-
cuzione iniziale «Al primo chiaro, quando» (v. 1) si duplica anche sintat-
ticamente all’inizio della seconda strofa:

al primo buio, quando


il bulino che tarla
la scrivanìa rafforza
il suo fervore e il passo
del guardiano s’accosta:
al chiaro e al buio, soste ancora umane
se tu a intrecciarle col tuo refe insisti.

L’incipit del Sogno del prigioniero unisce in un’immagine le due distinte


tonalità atmosferiche, che nel mottetto si trovavano in successione: «Albe

21 Nella lettera del 15 gennaio 1935, Montale, messo evidentemente alle strette da
Irma a proposito della reale identità della destinataria dei primi mottetti, depone l’am-
biguità con cui aveva risposto fino a quel momento e adotta che sfiora l’aggressività (e
il turpiloquio): «Se rileggo i 3 Mottetti ci ritrovo una Miss Gatu che sia stata anche in
un Sanatorio dove si gioca a bridge; la verità biografica va a farsi f… ma la verità poe-
tica no. E non è possibile parlare di poesia a sangue freddo. Damn… ! !» (E. MONTALE,
Lettere a Clizia, a cura di R. Bettarini, G. Manghetti e F. Zabagli, Milano, Mondadori,
2006, p. 122).

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e notti qui variano per pochi segni». Del resto, un accostamento avveniva
anche nella poesia delle Occasioni, v. 12 «al chiaro e al buio, soste ancora
umane». Nel Sogno si nota semmai una sfumatura più concettosa, dovuta
alla fusione delle due polarità luminose in una stessa immagine, quasi os-
simorica e comunque avvertita quale conseguenza di una condizione ec-
cezionale. Anche il passaggio dalla percezione visiva a quella acustica col-
lega il mottetto al Sogno: nel primo caso, è il «subitaneo rumore» della
ferrovia; nell’altro sono il «crac», lo «sfrigolìo», i «colpi» e i «passi», quelli
del guardiano del carcere in cui il personaggio è recluso. Proprio la figura
del «capoguardia» annunciato dal suo passo, presente nel Sogno del prigio-
niero, era già in Al primo chiaro, quando: «e il passo / del guardiano s’acco-
sta» (vv. 10-11). Un’analogia confermata anche dalla generale vicinanza
delle rispettive situazioni, dal momento che nel mottetto, come nel So-
gno, il guardiano «è una presenza percepita dal soggetto solo attraverso il
rumore dei passi, perché è esterna alla casa e alla stanza» in cui si trova il
protagonista; è inoltre «una delle pochissime figure […] che interrompe
l’esclusiva polarità tra i due protagonisti della serie: l’io e il tu femmini-
le».22 Sotto questa luce, l’identità dei referenti – il «guardiano» del mot-
tetto può essere un vigilante notturno, anziché un carceriere come nel
Sogno – conta meno della situazione. La presenza del guardiano, infatti,
assimila metaforicamente a una cella la stanza in cui si trova l’io; il punto
è proprio questo: che la poesia della Bufera sviluppa in senso letterale la
metafora del mottetto, trasformando l’io in un ‘vero’ prigioniero e ma-
scherando dietro i topoi della letteratura carceraria un’esperienza esisten-
ziale.23
C’è da osservare, inoltre, come anche sul piano sintattico-argomenta-
tivo vi sia un’analogia, più precisamente tra l’ultimo verso del mottetto
(«se tu a intrecciarle col tuo refe insisti») e l’ultimo nella prima strofa del
Sogno («se dormendo mi credo ai tuoi piedi»); in entrambi i casi, la frase
ipotetica prevede l’intervento o la presenza del ‘tu’ femminile, alternativa
euforica a una realtà costrittiva.

7. La situazione di reclusione accennata nel mottetto si ripete ancora


all’interno delle Occasioni, in Palio:

22 Cito dal commento di T. DE ROGATIS alle Occasioni, Milano, Mondadori, 2011, p.


139.
23 Per l’analisi e un vaglio delle fonti del Sogno del prigioniero rimando a una mia let-

tura pubblicata in «Strumenti critici», XXVII 1 (2012).

191
CONTRIBUTI - Niccolò Scaffai

Sotto la volta diaccia


grava ora un sonno di sasso,
la voce della cantina
nessuno ascolta, o sei te.

La sbarra in croce non scande


la luce per chi s’è smarrito,
la morte non ha altra voce
di quella che spande la vita

e soprattutto in Notizie dall’Amiata. Nel primo movimento, l’io si tro-


va isolato in un ambiente dalle caratteristiche molto simili all’interno de-
scritto in Al primo chiaro, quando: «La stanza ha travature / tarlate ed un
sentore di meloni / penetra dall’assito»; «e ti scrivo di qui, da questo ta-
volo / remoto, dalla cellula di miele / di una sfera lanciata nello spazio».
Come nel caso del mottetto, anche Notizie dall’Amiata mostra dei
punti di contatto con Il sogno del prigioniero, tanto più significativi quanto
più si pensi che entrambe le poesie hanno il ruolo conclusivo nei rispet-
tivi libri. Partiamo da una circostanza ritmico lessicale. Il primo verso del
Sogno del prigioniero – «Albe e notti qui variano per pochi segni» – è scan-
dito in due parti: la prima trocaica, con una tonica seguita da una sillaba
metrica atona (álbe e | nótti); la seconda con attacco dattilico (váriano).
Il monosillabo «qui», su cui cade il terzo ictus, è allo snodo tra le due se-
quenze ritmiche e guadagna forza dalla sua posizione. L’improvviso cam-
bio di velocità, cioè, dà all’avverbio un valore ulteriore rispetto alla sua
neutralità semantica. Nella Bufera, Montale ricorre altre volte al «qui» in
finale di emistichio, subito prima di una cesura forte: «passò di qui, si ri-
posò sul riano» (Personae separatae), «con me tu qui, dentro quest’aria sce-
sa» (Due nel crepuscolo). Anche in tali casi, la posizione dà risalto all’avver-
bio e contribuisce alla sua connotazione nel sistema tematico del libro:
«qui» vi designa infatti uno spazio per così dire postumo, quello in cui si
trova ora il poeta lontano dalla donna o quello dove si trovava allora con
lei e dove non è più.
Fuori dalla Bufera, però, il parallelo coinvolge proprio la prima parte di
Notizie dall’Amiata, vv. 9-11: «e ti scrivo di qui, da questo tavolo / remoto,
dalla cellula di miele / di una sfera lanciata nello spazio». Anche lì il sog-
getto si trova in uno stato di esclusione, sebbene non propriamente di se-
gregazione carceraria; è in una stanza, in un luogo remoto e arcano. La
stessa dialettica tra l’interno e l’esterno torna nel Sogno del prigioniero, dove
però il passaggio dall’uno all’altro ambiente è interdetto dalla condizione
del recluso. Analogamente, viene negata l’alternativa tra luce e buio (le al-
be e le notti sono appena distinguibili, variano appunto «per pochi segni»),
decisiva invece nelle Occasioni e in quelle poesie della Bufera in cui Clizia-

192
Dalle «Occasioni» alla «Bufera»

visiting angel è ancora innalzata al rango di creatura metafisica e salvifica,


o addirittura di figura Christi, come in Iride. Per cui, diversamente che in
Notizie dall’Amiata, la donna a cui il protagonista del Sogno del prigioniero
si rivolge non «schiude» alcun «fondo luminoso».Tuttavia, nelle conclusio-
ni sia del secondo che del terzo libro montaliano, il soggetto contrappone
alla propria solitudine la prospettiva, magari onirica e illusoria, di una con-
tinuazione o di un non raggiunto esaurimento. Si direbbe perciò che tra
i finali dei due libri si apprezzino tanto connessioni di equivalenza, quanto
connessioni di trasformazione24 a partire da motivi analoghi, riproposti
forse proprio con intenzione allusiva.

8. Prima si accennava alla corrispondenza che, attraverso una condi-


visione di fonti, si stabilisce tra le poesie di raccolte diverse. Questo può
essere il caso di Notizie dall’Amiata e del Sogno del prigioniero; qualche
elemento di comune ispirazione potrebbe derivare dalla lettura di un li-
bro che Montale cita – caso piuttosto raro – nel carteggio con Guar-
nieri: «L’Amiata è il regno di David Lazzaretti, vedi libro di Barzellotti».
Giacomo Barzellotti, docente di storia della filosofia e di morale alle
Università di Pavia, Napoli e Roma, era nato a Firenze nel 1844 e mor-
to a Piancastagnaio, in terra amiatina, nel 1917. Socio dei Lincei e sena-
tore, aveva pubblicato nel 1885 da Zanichelli un volume intitolato Da-
vide Lazzaretti. Nel 1910, per i tipi dei Fratelli Treves, aveva visto la luce
una seconda edizione ampliata di quel libro, intitolata Monte Amiata e il
suo profeta (Davide Lazzaretti). Non saprei dire come e quando Montale
è venuto a conoscenza del lavoro di Barzellotti, di cui risultano presenti
a catalogo due copie presso la Biblioteca Berio di Genova. Forse duran-
te un soggiorno amiatino, in prossimità della stesura della poesia; forse
prima, dato che le implicazioni etico-religiose della ricostruzione stori-
ca potrebbero aver sollecitato la curiosità della sorella Marianna, ancora
negli anni genovesi. Certo è che, almeno nell’entourage montaliano, il
nome di quell’autore doveva essere meno peregrino di quanto non ap-
paia oggi.25 Comunque sia, il libro di Barzellotti su Lazzaretti può aver
contribuito alla coloritura mistica di certe poesie delle Occasioni26 e so-

24 Adotto la terminologia di M. SANTAGATA, Connessioni intertestuali nel canzoniere del

Petrarca, in ID., Dal sonetto al Canzoniere, Padova, Liviana, 1989.


25 Nell’Introduzione a De Sanctis, Contini cita uno scritto di BARZELLOTTI (Francesco

De Sanctis nell’anniversario della sua morte) apparso sulla «Nuova antologia» nel 1890 (cfr.
G. CONTINI, Varianti e altra linguistica: una raccolta di saggi [1938-1968], Torino, Einaudi,
1970, p. 504).
26 Al libro di Barzellotti accenna anche U. CARPI, Analisi dell’«Elegia di Pico Farnese:

193
CONTRIBUTI - Niccolò Scaffai

prattutto di Notizie dall’Amiata, depositandosi poi nella ‘cultura pratica’


(detto con le parole di Contini) di Montale; successivi e, probabilmente,
non intenzionali affioramenti si osserverebbero più tardi nella Bufera, in
particolare nel Sogno. Tra gli episodi della storia amiatina che Barzellotti
rievoca nel suo studio, vi è infatti quello della prigionia di un fattore del
Marchese di Piancastagnaio, rinchiuso nella Rocca della città (di cui nel
libro si trova una foto): situazione e ambiente compatibili con il décor
medievaleggiante del Sogno montaliano, peraltro anticipato dalle «archi-
tetture annerite dal tempo e dal carbone» di Notizie dall’Amiata (II, vv.
19-20). Anche altri elementi offrono spunti per un confronto con la te-
matica montaliana tra Occasioni e Bufera; il motivo della «rissa cristana»
(Notizie dall’Amiata, III, v. 47), per esempio, può essere messo in conso-
nanza con il titolo di uno scritto di Lazzaretti, citato da Barzellotti, La
mia lotta con Dio. Mentre il motivo della visione del Cristo incarnato in
«forma feminea», cui Barzellotti accenna in uno dei capitoli conclusivi
sull’eredità del lazzarettismo, è coerente con la cristologia montaliana
all’altezza di Iride:

I Guglielmiti – così chiamati per la loro fede nella missione divina


di una suora Guglielma, morta a Milano e da alcuni ritenuta figlia
o sorella di un re di Boemia – credevano che essa sarebbe risorta
avanti l’universale risurrezione, incarnando nella sua la terza per-
sona della Trinità, riapparsa nel mondo per rinnovarlo e redimer-
lo; credevano che, come Cristo aveva patito in forma umana, così
il nuovo redentore avrebbe nella persona di lei patito in forma fe-
minea pei nostri peccati e salvato ebrei e pagani, per poi risalire al
cielo, come Cristo, in forma corporea.27 (corsivo mio)

Infine, lo stigma che Lazzaretti avrebbe avuto inciso sulla fronte, dive-
nuto poi insegna della sua setta, può avere a che fare con il «solco… graf-
fiato a sangue, croce cresima / incantesimo jattura voto vale / perdizione
e salvezza» di Se t’hanno assomigliato. Questo il passo di Barzellotti:

Sparsasi la fama della sua conversione tra questa gente, che se lo


vide comparire innanzi dopo una lunga assenza, tutt’altro da quel
di prima, col viso solenne e ispirato e in fronte uno stigma con
una croce in mezzo a due C (ɆÌ), ch’egli diceva avuto da San

un esempio di formalizzazione dell’ideologia», in ID., Il poeta e la politica. Leopardi Belli Mon-


tale, Napoli, Liguori, 1978.
27 Giacomo BARZELLOTTI, Monte Amiata e il suo profeta (Davide Lazzaretti), Milano,

Treves, 1910, p. 343.

194
Dalle «Occasioni» alla «Bufera»

Pietro ad attestare la sua missione, moltissimi ovunque andasse


correvano ad accoglierlo e a parlargli, non esclusi i preti.28

Se è vero che la fronte segnata dallo stigma è un topos mistico poco


specifico, è vero però anche che la doppia ‘C’ del simbolo lazzarettiano
corrisponderebbe alle ‘c’ di ‘croce’ e di ‘cresima’ (e una croce del resto
compare nel simbolo del profeta amiatino).

9. Già Contini aveva riconosciuto l’etimo della Bufera in Notizie


dall’Amiata e in alcune altre poesie delle Occasioni: «L’attacco alla Bufera
è qui, nella rissa cristiana, come nei funesti ‘indizi’ e ‘annunzi’ di Palio,
nella ‘tregenda’ di Nuove stanze. Nella Bufera quelle premonizioni sono
divenute esperienza instante».29 Non so se il rapporto che lega Occasioni
e Bufera possa essere spiegato nei termini di una conferma degli indizi.
Certo è che la situazione di Notizie dall’Amiata ha inciso sull’«esperienza
instante», per dirla con Contini, qual è vissuta dal protagonista della terza
raccolta. Lo si vede bene in Finisterre, che conferma in questo la doppia
funzione di cui si parlava all’inizio: da un lato anello di congiunzione
con Le occasioni, dall’altro introduzione al resto della Bufera.
Quell’incidenza si nota tanto sul piano narrativo, quanto su quello as-
sociativo. Un legame di tipo narrativo esiste già subito tra Notizie dal-
l’Amiata e la poesia La bufera. La solitudine del protagonista di Notizie
dall’Amiata si spiega infatti, mettendosi nella prospettiva del racconto,
con la condizione di distanza in cui si trova la donna nella Bufera; una
circostanza sottolineata dagli ambienti dell’uno e dell’altro personaggio:
alla «stanza dalle travature tarlate», alla «cellula di miele» corrisponde un
interno altrettanto riparato, il «nido notturno» della Bufera. Al décor pre-
moderno dell’esilio amiatino si contrappongono però i segni di una ci-
viltà ben coltivata (i mogani, i libri rilegati).
Per quanto riguarda il livello associativo, molte delle poesie di Fini-
sterre sembrano ripetere la situazione in cui il personaggio si trova alla fi-
ne del libro precedente, in Notizie dall’Amiata: un isolamento senza tem-
po, in cui le due opposte estensioni di «eternità» e «istante» possono
coincidere (come nella poesia La bufera e soprattutto in Giorno e notte:
«risorgere eguali / da secoli, o da istanti»).30 Se La bufera e altro è il libro

28 Ivi, p. 96.
29 Montale e «La bufera», in Una lunga fedeltà, cit., p. 89.
30 Riprendo qui alcune delle considerazioni contenute in N. SCAFFAI, Sul tempo in

Montale (con un’interpretazione di «Finisterre»), in Il tempo e la poesia. Un quadro novecente-


sco, a cura di E. Graziosi, Bologna, Clueb, 2008, pp. 109-27.

195
CONTRIBUTI - Niccolò Scaffai

montaliano in cui la dimensione del tempo si estende verso un futuro


connotato in senso escatologico, Finisterre ha ancora un fulcro nel pre-
sente «attimale» delle Occasioni. Muta però il segno, la connotazione
dell’attimo: non più – o non solo – un istante privilegiato in cui possa
realizzarsi la percezione euforica, ma una presentificazione di fatti mini-
mi, incapaci di trasmettere all’«io» un senso e una prospettiva sul «tu». Gli
ambiti a cui tali fatti appartengono sono quasi sempre gli stessi delle Oc-
casioni (in primis il suono, la luce e i fenomeni atmosferici), anche se lo
sfondo tragico e le allusioni storiche contribuiscono a incupire quel-
l’imagery:

il lampo che candisce


alberi e muri e li sorprende in quella
eternità d’istante – marmo manna
e distruzione […] (La bufera, vv. 10-13);

[…] Punge il suono d’una


giga crudele, l’avversario chiude
la celata sul viso. […] (Nel sonno, vv. 9-11);

Ronzano èlitre fuori, ronza il folle


mortorio e sa che due vite non contano. (Gli orecchini, vv. 9-10);

Luce la madreperla, la calanca


vertiginosa inghiotte ancora vittime (Il ventaglio, vv. 9-10);

La tempesta di primavera ha sconvolto


l’ombrello del salice (L’arca, vv. 1-2);

[…] rimbomba improvviso il colpo che t’arrossa


la gola e schianta l’ali (Giorno e notte, vv. 14-15).

L’equivalenza di ‘eternità’ e ‘istante’ dipende dall’assenza della donna;


la sua lontananza o scomparsa svuotano l’«occasione» delle qualità cono-
scitive che deteneva nel secondo libro, lasciandole un’apparenza fenome-
nica non più illuminata dal bagliore di una presenza, anche solo mentale,
o di un auspicio:

[…] È poca cosa la parola,


poca cosa lo spazio in questi crudi
noviluni annebbiati: ciò che manca,
e che ci torce il cuore e qui m’attarda
tra gli alberi, ad attenderti, è un perduto

196
Dalle «Occasioni» alla «Bufera»

senso, o il fuoco, se vuoi, che a terra stampi,


figure parallele, ombre concordi (Personae separatae, vv. 6-12).

Non che l’«io» abbia smarrito la chiave d’accensione del meccanismo


conoscitivo; tale meccanismo si rivela però inefficace, si disperde in ma-
nifestazioni insignificanti che non schiudono alcun senso o percezione
autentica della donna. In Giorno e notte, lo scacco dell’occasione è illu-
strato con chiarezza; la «piuma che vola», il «raggio che gioca a rimpiat-
tino», il «rimando dello specchio» possono riportare alla mente una «fi-
gura». Ma poi

[…] la notte afosa


sulla piazzola, e i passi, e sempre questa dura
fatica di affondare per risorgere eguali
da secoli, o da istanti, d’incubi che non possono
ritrovare la luce dei tuoi occhi nell’antro
incandescente […] (vv. 7-12).

10. Nel Sogno del prigioniero interviene un’analoga equivalenza disfo-


rica tra la durata e l’istantaneità (il «fondo dove il secolo è il minuto»).
Solo che lì la possibilità di ridare senso e valore alla temporalità, di ‘ri-
trovare’ il tempo, viene contemplata, attraverso un altro ritrovamento,
quello dell’amata, sia pure per via onirica. Da una parte, perciò, la prima
e l’ultima sezione della Bufera si corrispondono, come estremi di una vi-
cenda sentimentale e conoscitiva che assomiglia a un falso movimento,
tra progressi ideali e regressi materiali alla condizione di partenza. D’altra
parte, la premessa di quella vicenda, come si è detto, risale alle Occasioni.
Lo suggerisce una coincidenza lessicale paradigmatica: il ‘segno’, prero-
gativa magico-sacrale che appartiene al visiting angel; in particolare, dal
mottetto 8 («Ecco il segno; s’innerva / sul muro che s’indora»), lo stigma
dell’epifania si trasferisce nelle Conclusioni provvisorie («Giusto era il se-
gno», in Piccolo testamento).
Questa non è l’unica connessione tra le poesie dei due libri; le oc-
correnze lessicali comuni sono molto numerose, ma si tratta di stabilire
quali di esse possano avere un reale valore connettivo. In sé, la ripetizione
del sintagma può non essere significativa ed esaurirsi nell’ambito di una
generica consonanza retorica; la funzionalità del connettivo è determi-
nata infatti dal contesto tematico in cui riappare. Nella poesia montaliana
dalle Occasioni alla Bufera sono da considerare delle vere connessioni so-
prattutto quelle che riguardano la fenomenologia del personaggio fem-
minile (in accordo, peraltro, con il repertorio della forma-canzoniere). Le

197
CONTRIBUTI - Niccolò Scaffai

parole legate al volo, immagine privilegiata dell’ispiratrice montaliana,


permettono per esempio di seguire il filo di una corrispondenza: espres-
sioni come il «lungo / viaggio per il sentiero fatto d’aria» e le «fronti
d’angiole / precipitate a volo…» dell’Orto ‘dipendono’ infatti, narrativa-
mente, dal tema del mottetto Ti libero la fronte dai ghiaccioli.
Un caso simile è quello che riguarda la coppia di parole amuleto/por-
tafortuna: la prima in Dora Markus I («forse / ti salva un amuleto che tu
tieni / vicino alla matita delle labbra»), la seconda in Piccolo testamento
(«Conservane la cipria nello specchietto […] Non è un’eredità, un por-
tafortuna / che può reggere all’urto dei monsoni»). In entrambi i casi,
l’oggetto magico appartiene alla dotazione del personaggio femminile.
L’associazione assume un connotato narrativo quando si considerano i
distinti contesti in cui l’oggetto ricorre: privato e esistenziale nelle Occa-
sioni; storico-apocalittico nella Bufera. Ne consegue anche un diverso ef-
fetto stilistico: in Dora Markus la matita delle labbra, il piumino, ecc. sono
assunti nel campo del dicibile lirico, in grazia di un processo di estensio-
ne del lessico poetico agli oggetti ‘poveri’ o quotidiani;31 nel Piccolo testa-
mento, la situazione – così culturalmente sostenuta (l’Apocalissi, probabil-
mente l’Eliot di The Waste Land VV) – fuoriesce dalla lirica e gli stessi
oggetti poveri (lo specchietto per la cipria) entrano in attrito con lo sce-
nario.
Credo che le sfumature di questa circostanza intertestuale esprimano
bene la differenza di fondo tra Le occasioni e La bufera. Il primo, come è
stato mostrato dalla critica32 è un libro ‘classicistico’, per la gestione tra-
gica della materia, il registro costantentemente elevato, il controllo si-
gnorile sui modelli; il secondo è un libro che appare solidale all’altro solo
separandone artificialmente, come per elettroforesi, le componenti reto-
riche, lessicali, metriche, tematiche e di trascurarne quasi del tutto una
macrofigura fondamentale com’è quella dell’ossimoro, del contrasto. La
bufera invece è composta e organizzata proprio intorno a queste lacera-
zioni, che esprimono un’attitudine centrifuga rispetto alla struttura delle
Occasioni: struttura che il terzo libro mette sotto sforzo in tutti i suoi ele-
menti portanti.

31 Cfr. L. BLASUCCI, Storia della lingua e critica letteraria. (Per una diacronia dell’oggetto

poetico in Montale), in ID., Gli oggetti di Montale, Bologna, il Mulino, 2002, pp. 49-70.
32 Cfr. almeno T. DE ROGATIS, Montale e il classicismo moderno, Pisa-Roma, Istituti

Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2002 e G. SIMONETTI, Dopo Montale. Le «Occasio-


ni» e la poesia italiana del Novecento, Lucca, Pacini Fazzi, 2002.

198
Dalle «Occasioni» alla «Bufera»

11. Queste considerazioni hanno inevitabilmente una ricaduta sul


commento: se La bufera è un’opera ‘di secondo grado’ rispetto alle Occa-
sioni, il commento dovrà dar conto dei fenomeni di intratestualità che i
testi esibiscono.33 Sia, com’è ovvio, attraverso i rimandi puntuali nelle
note, utili in presenza di richiami circoscritti; sia attraverso i cappelli in-
troduttivi, in cui andranno spiegati i rapporti di allusività, sviluppo, al li-
mite di ‘riscrittura’ tra un intero testo della Bufera e un intero testo della
raccolta precedente:34 una necessità specifica della Bufera che, mi pare, le
Occasioni non hanno o hanno in misura minore.
Per ragioni analoghe, la ricerca intertestuale dovrebbe avere un rilie-
vo maggiore che nei commenti alle raccolte precedenti; non perché non
vi siano in quelli delle fonti importanti, dichiarate o nascoste in filigrana
(da Keepsake a Costa San Giorgio), ma perché nella Bufera l’intertestualità
è un principio ispiratore generale, sotto cui il libro si inscrive quasi dal-
l’inizio alla fine. Inoltre, nelle Occasioni l’intertestualità sembra spesso ar-
ricchire una sorta di idioletto, perché il primum della comunicazione ri-
mane, come negli Ossi, esistenziale; nella Bufera il primum è culturale. (In
alcuni casi, gli stessi riferimenti alla Storia contemporanea contano meno
come oggetto di esperienza che come poli di attrazione nei confronti di
situazioni già di secondo grado, autorizzate dalla letteratura e dalla teo-
logia che fa da ‘mastice’ dove la tenuta è più fragile. In questo, Montale
si mostra, in senso tecnico-retorico, molto ‘eliotiano’).
D’altra parte, la provocazione non è condotta solo sul terreno della
poesia illustre; anche altri sono i campi da esplorare, dalla narrativa al ci-
nema contemporanei. Questa varietà produce talvolta simultaneità: vale
a dire, compresenza di modelli non immediatamente gerarchizzabili, at-
tratti dalla consonanza tematica. In questi casi, la Bufera spinge al limite
la teoria dell’intertestualità, invitando a ripensarne in sua funzione alcu-
ne categorie. Può avvenire, infatti, che un particolare modello attivi un
processo di aggregazione di altre pseudo-fonti culturalmente più aristo-
cratiche. In generale, può essere consigliabile procedere, nella ricognizio-
ne delle fonti, leggendo Montale iuxta propria principia, cioè esaminando

33 Sul metodo e i problemi di un commento a Montale, cfr. L. BLASUCCI, Appunti


per un commento montaliano, in ID., Gli oggetti di Montale, cit., pp. 203-27 e M. ROMOLINI,
Strategie di un depistaggio. Bilanci e prove per un commento montaliano, in Il commento. Rifles-
sioni e analisi sulla poesia del Novecento, a cura di A. Dolfi, Roma, Bulzoni, 2011, pp. 93-
112.
34 Un nesso profondo è, ad esempio, quello che lega Nuove stanze a La primavera hi-

tleriana, a cominciare dalla probabile identità della situazione storica di base, come ha
mostrato R. LEPORATTI, Il mottetto XIII di Eugenio Montale. Offenbach e la primavera hitle-
riana, «Per Leggere»,VI 11 (2006), pp. 88-132.

199
CONTRIBUTI - Niccolò Scaffai

opere e autori che Montale stesso cita, anche quando questi sono peri-
ferici rispetto alle direttrici principali della poesia di ‘grande stile’. Que-
sto implica un diverso tipo di difficoltà rispetto alle Occasioni: lì erano so-
prattutto i termini dell’‘idioletto’ a sollecitare l’impegno interpretativo;
nella Bufera, dando per scontata l’esistenza di un qualche riferimento cul-
to, la questione è trovare la ‘chiave’ giusta.
Il manierismo della Bufera incide anche sull’individuazione della do-
minante stilistica, che serve a sua volta nella descrizione metrica e nella
scelta delle voci da annotare e sul modo di chiosarle. Per una poesia co-
me Il sogno del prigioniero, ad esempio, bisogna dar conto sia della regola
classicistica tipicamente montaliana, che prevede un adempimento rimi-
co alla fine di una strofa o lassa; sia della saturazione espressiva che deriva
dall’uso, abnorme nel Montale ‘tragico’, di rime ravvicinate. Per quanto
riguarda le note, se il commentatore sceglie di chiosare «picco irto del
Mesco» (L’orto), dovrà guardare all’oggetto della nota con una sorta di
‘doppia vista’: da un lato la denotazione geografica, dall’altro la conno-
tazione intratestuale che il riferimento implica.

Nella lettera a Guarnieri del febbraio ’66, già citata, Montale scrive
che la sua «poesia non è vera, non è vissuta, non è autobiografica», salvo
aggiungere poco dopo che in essa convergono «esperienze che vengono
da tutte le parti della sua vita e spesso sono inventate».35 Mai come nella
Bufera queste contraddittorie informazioni agiscono come principi di
poetica, che sta a noi ricevere per avvicinarsi, se non a una coerenza as-
soluta, alle verità provvisorie da conquistare testo per testo, come tocca
fare in ogni commento.

35 E. MONTALE, Il secondo mestiere, cit., p. 1520.

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