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1 G. CONTINI, Una lunga fedeltà. Scritti su Eugenio Montale, Torino, Einaudi, 1974, p. 9.
2 Ivi, p. 21.
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3 Così scrive infatti Contini nell’Avvertenza al suo volume montaliano: «Il saggio in-
titolato […] Dagli “Ossi” alle “Occasioni” uscì sul fascicolo 8 di ‘Letteratura’ (ottobre
1938) sotto il semplice titolo Eugenio Montale, in quanto capitolo della rubrica collettiva
(di epigrafe nella specie piuttosto impropria) Da “La Voce” a “La Ronda”. Non esiste-
vano dunque ancora Le occasioni, la cui prima edizione, presso Einaudi, uscì nell’ottobre
1939; l’articolo ne fu quindi la prima recensione ante litteram e costituì preterintenzio-
nalmente, almeno da principio, un punto di riferimento obbligato» (ivi, p. VII).
4 Sul rapporto tra il poeta e il critico, e in particolare sulla preferenza di Contini per
gli Ossi rispetto alle Occasioni, cfr. L. BLASUCCI, Di Contini su Montale, in Gianfranco Con-
tini vent’anni dopo. Il romanista, il contemporaneista. Atti del Convegno internazionale di
Arcavacata, Università della Calabria 14-16 aprile 2010, a cura di N. Merola, Pisa, ETS,
2011, pp. 123-36. Dalla bibliografia sull’argomento, estraggo anche il saggio di V. MAR-
CHESE, Contini incontra Montale (1933-1940), «Aevum. Rassegna di Scienze storiche lin-
guistiche e filologiche», LXXXII 3 (2008), pp. 789-802.
5 «La principale costante nella carriera di Montale è che poesia e non-poesia in lui
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3. Tali forme possono essere tanto a carico del paradigma, quanto del
sintagma; ovvero, possono riguardare sia gli elementi di parallelismo e i
richiami associativi tra i due libri (corrispondenze tra testi eminenti, se-
zioni omologhe, situazioni ripetute); sia i tratti di continuità diciamo pu-
re narrativa (il progresso lungo una linea storico-cronologica, la prosecu-
zione di una vicenda sentimentale).
Un tratto marcato di tipo paradigmatico riguarda proprio la struttu-
ra, lo ‘scheletro’: quattro parti maggiori contano Le occasioni, che ricalca-
no in questo il modello degli Ossi, sette La bufera. All’inizio, anche il ter-
zo libro avrebbe dovuto sostanzialmente adeguarsi al modello quadripar-
tito. È noto infatti come gli incunaboli della Bufera (cioè il progetto di
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non proprio quello della poesia pura nel senso che ho indicato prima, ma in quello
del pedale, della musica profonda e della contemplazione» (E. MONTALE, Intenzioni (In-
tervista immaginaria), in ID., Il secondo mestiere. Arte, musica, società, a cura di G. Zampa, Mi-
lano, Mondadori, 1996, pp. 1482-83).
10 Già nelle note a Finisterre 1945, Montale metteva le mani avanti, scrivendo che
«se un giorno Finisterre dovesse risultare il primo nucleo di una sua terza raccolta, poco
male per me (o male solo per il lettore): oggi non posso fare previsioni» (OV, p. 937); e
nella stessa Intervista immaginaria scriveva: «L’avvenire è nelle mani della Provvidenza,
Marforio: posso continuare e posso smettere domani» (Il secondo mestiere, cit., p. 1484).
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11 Ivi, p. 1519.
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12 Cfr. R. BETTARINI, Sacro e profano, in EAD., Scritti montaliani. Raccolti per iniziativa
della Società dei Filologi della Letteratura italiana, a cura di A. Pancheri. Introduzione
di C. Segre, Firenze, Le Lettere, 2009, p. 151.
13 «Finisterre mi pare che vada benissimo per l’intera raccolta, à la fois per l’allusione
millenaristica e per quella geografica.Voglio dire che a Finisterre comincia l’Oceano, co-
mincia il mare-dei-morti (punta del Mesco) ecc., di lì si dice addio alla proprietaria dei
primi e alla Proprietaria degli ultimi versi: l’allusione geografica, insomma, è a sua volta
doppia» (dalla lettera di Contini a Montale datata «Domo, 30 [4. 1943]», in Eusebio e
Trabucco. Carteggio di Eugenio Montale e Gianfranco Contini, a cura di D. Isella, Milano,
Adelphi, 1997, p. 87).
14 E. MONTALE, Il secondo mestiere, cit., p. 1519.
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15 Cito da M. MILA, Breve storia della musica, Torino, Einaudi, 2011, p. 67.
16 Dalla lettera a Guarnieri del 12 febbraio 1966, in E. MONTALE, Il secondo mestiere,
cit., p. 1520.
17 L’incidenza dei poeti metafisici e dell’eufuismo è stata da tempo accreditata dalla
critica; rimando, tra gli studi recenti, a R. GIGLIUCCI, Realismo metafisico e Montale, Ro-
ma, Editori Riuniti, 2007.
18 Per un’analisi dell’idea manierista nella cultura europea attraverso i secoli, si ve-
dano le suggestive pagine di G.R. HOCKE, Il manierismo nella letteratura. Alchimia verbale
e arte combinatoria esoterica, trad. ital. Milano, Il Saggiatore, 1965.
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19 Cfr. C. RICCARDI, Il punto su Clizia e su vecchie e nuove fonti dalla «Bufera» a «Gli
orecchini», «Nuova Rivista di Letteratura Italiana», VII 1-2 (2004), pp. 373 ss.
20 Cito da Agrippa d’Aubigné, Les Tragiques, édition de Frank Lestringant, Paris, Gal-
limard, 2003.
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21 Nella lettera del 15 gennaio 1935, Montale, messo evidentemente alle strette da
Irma a proposito della reale identità della destinataria dei primi mottetti, depone l’am-
biguità con cui aveva risposto fino a quel momento e adotta che sfiora l’aggressività (e
il turpiloquio): «Se rileggo i 3 Mottetti ci ritrovo una Miss Gatu che sia stata anche in
un Sanatorio dove si gioca a bridge; la verità biografica va a farsi f… ma la verità poe-
tica no. E non è possibile parlare di poesia a sangue freddo. Damn… ! !» (E. MONTALE,
Lettere a Clizia, a cura di R. Bettarini, G. Manghetti e F. Zabagli, Milano, Mondadori,
2006, p. 122).
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e notti qui variano per pochi segni». Del resto, un accostamento avveniva
anche nella poesia delle Occasioni, v. 12 «al chiaro e al buio, soste ancora
umane». Nel Sogno si nota semmai una sfumatura più concettosa, dovuta
alla fusione delle due polarità luminose in una stessa immagine, quasi os-
simorica e comunque avvertita quale conseguenza di una condizione ec-
cezionale. Anche il passaggio dalla percezione visiva a quella acustica col-
lega il mottetto al Sogno: nel primo caso, è il «subitaneo rumore» della
ferrovia; nell’altro sono il «crac», lo «sfrigolìo», i «colpi» e i «passi», quelli
del guardiano del carcere in cui il personaggio è recluso. Proprio la figura
del «capoguardia» annunciato dal suo passo, presente nel Sogno del prigio-
niero, era già in Al primo chiaro, quando: «e il passo / del guardiano s’acco-
sta» (vv. 10-11). Un’analogia confermata anche dalla generale vicinanza
delle rispettive situazioni, dal momento che nel mottetto, come nel So-
gno, il guardiano «è una presenza percepita dal soggetto solo attraverso il
rumore dei passi, perché è esterna alla casa e alla stanza» in cui si trova il
protagonista; è inoltre «una delle pochissime figure […] che interrompe
l’esclusiva polarità tra i due protagonisti della serie: l’io e il tu femmini-
le».22 Sotto questa luce, l’identità dei referenti – il «guardiano» del mot-
tetto può essere un vigilante notturno, anziché un carceriere come nel
Sogno – conta meno della situazione. La presenza del guardiano, infatti,
assimila metaforicamente a una cella la stanza in cui si trova l’io; il punto
è proprio questo: che la poesia della Bufera sviluppa in senso letterale la
metafora del mottetto, trasformando l’io in un ‘vero’ prigioniero e ma-
scherando dietro i topoi della letteratura carceraria un’esperienza esisten-
ziale.23
C’è da osservare, inoltre, come anche sul piano sintattico-argomenta-
tivo vi sia un’analogia, più precisamente tra l’ultimo verso del mottetto
(«se tu a intrecciarle col tuo refe insisti») e l’ultimo nella prima strofa del
Sogno («se dormendo mi credo ai tuoi piedi»); in entrambi i casi, la frase
ipotetica prevede l’intervento o la presenza del ‘tu’ femminile, alternativa
euforica a una realtà costrittiva.
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De Sanctis nell’anniversario della sua morte) apparso sulla «Nuova antologia» nel 1890 (cfr.
G. CONTINI, Varianti e altra linguistica: una raccolta di saggi [1938-1968], Torino, Einaudi,
1970, p. 504).
26 Al libro di Barzellotti accenna anche U. CARPI, Analisi dell’«Elegia di Pico Farnese:
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Infine, lo stigma che Lazzaretti avrebbe avuto inciso sulla fronte, dive-
nuto poi insegna della sua setta, può avere a che fare con il «solco… graf-
fiato a sangue, croce cresima / incantesimo jattura voto vale / perdizione
e salvezza» di Se t’hanno assomigliato. Questo il passo di Barzellotti:
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28 Ivi, p. 96.
29 Montale e «La bufera», in Una lunga fedeltà, cit., p. 89.
30 Riprendo qui alcune delle considerazioni contenute in N. SCAFFAI, Sul tempo in
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31 Cfr. L. BLASUCCI, Storia della lingua e critica letteraria. (Per una diacronia dell’oggetto
poetico in Montale), in ID., Gli oggetti di Montale, Bologna, il Mulino, 2002, pp. 49-70.
32 Cfr. almeno T. DE ROGATIS, Montale e il classicismo moderno, Pisa-Roma, Istituti
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tleriana, a cominciare dalla probabile identità della situazione storica di base, come ha
mostrato R. LEPORATTI, Il mottetto XIII di Eugenio Montale. Offenbach e la primavera hitle-
riana, «Per Leggere»,VI 11 (2006), pp. 88-132.
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opere e autori che Montale stesso cita, anche quando questi sono peri-
ferici rispetto alle direttrici principali della poesia di ‘grande stile’. Que-
sto implica un diverso tipo di difficoltà rispetto alle Occasioni: lì erano so-
prattutto i termini dell’‘idioletto’ a sollecitare l’impegno interpretativo;
nella Bufera, dando per scontata l’esistenza di un qualche riferimento cul-
to, la questione è trovare la ‘chiave’ giusta.
Il manierismo della Bufera incide anche sull’individuazione della do-
minante stilistica, che serve a sua volta nella descrizione metrica e nella
scelta delle voci da annotare e sul modo di chiosarle. Per una poesia co-
me Il sogno del prigioniero, ad esempio, bisogna dar conto sia della regola
classicistica tipicamente montaliana, che prevede un adempimento rimi-
co alla fine di una strofa o lassa; sia della saturazione espressiva che deriva
dall’uso, abnorme nel Montale ‘tragico’, di rime ravvicinate. Per quanto
riguarda le note, se il commentatore sceglie di chiosare «picco irto del
Mesco» (L’orto), dovrà guardare all’oggetto della nota con una sorta di
‘doppia vista’: da un lato la denotazione geografica, dall’altro la conno-
tazione intratestuale che il riferimento implica.
Nella lettera a Guarnieri del febbraio ’66, già citata, Montale scrive
che la sua «poesia non è vera, non è vissuta, non è autobiografica», salvo
aggiungere poco dopo che in essa convergono «esperienze che vengono
da tutte le parti della sua vita e spesso sono inventate».35 Mai come nella
Bufera queste contraddittorie informazioni agiscono come principi di
poetica, che sta a noi ricevere per avvicinarsi, se non a una coerenza as-
soluta, alle verità provvisorie da conquistare testo per testo, come tocca
fare in ogni commento.
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