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LA VITA
Nacque il 28 giugno 1867 presso Girgenti (ribattezzata Agrigento sotto il fascismo), da una famiglia di agiata
condizione borghese. Dopo gli studi liceali si iscrisse all’università di Palermo, poi alla facoltà di lettere all’università
di Roma. In seguito ad un contrasto con un professore si trasferì all’università di Bonn, dove si laureò nel 1891 in
Filologia romanza. Dal 1892, grazie ad un assegno concessogli dal padre, si stabilì a Roma, dedicandosi interamente
alla letteratura. Nel 1893 scrisse il suo primo romanzo, L’Esclusa e nel 1894 diede alle stampe la prima raccolta di
racconti, Amori senza amore. Nello stesso anno aveva sposato Maria Antonietta Portulano. Dal 1897 iniziò come
supplente l’insegnamento di lingua italiana presso l’Istituto Superiore di Magistero di Roma. Nel 1903 un
allagamento della miniera di zolfo in cui il padre aveva investito tutto il suo patrimonio e la dote stessa della nuora
provocò il dissesto economico della famiglia. Il fatto ebbe conseguenze drammatiche nella vita dello scrittore: alla
notizia del disastro la moglie, il cui equilibrio psichico era già fragile, ebbe una crisi che la sprofondò nella follia. La
convivenza con la donna costituì per Pirandello un tormento continuo, che può essere visto come il germe della sua
concezione dell’istituto familiare come “trappola” che imprigiona e soffoca l’uomo. Con la perdita delle rendite mutò
anche la condizione sociale di Pirandello, fu quindi costretto ad intensificare la sua produzione di novelle e romanzi.
Lavorò anche per l’industria cinematografica scrivendo soggetto per film. Anche l’esistenza di Pirandello dunque fu
segnata dall’esperienza della declassazione, del passaggio da una vita di agio borghese ad una condizione piccolo
borghese. Anche questo fatto gli fornì lo spunto per la rappresentazione del grigiore soffocante dalla vita piccolo
borghese, ma soprattutto il rancore e l’insofferenza che ne derivano acuirono il suo rifiuto irrazionalistico del
meccanismo sociale alienante.
Dal 1910 Pirandello ebbe il primo contratto con il mondo teatrale. Dal 1915 la sua produzione teatrale si intensificò e
da quel momento Pirandello divenne soprattutto scrittore per il teatro. questi erano anche gli anni della guerra. Egli,
in nome delle sue posizioni patriottiche, aveva visto con favore l’intervento, considerandolo come una sorta di
compimento del processo risorgimentale, ma la guerra incise dolorosamente sulla sua vita: il figlio Stefano, partito
volontario, fu subito fatto prigioniero dagli Austriaci. La malattia mentale della moglie si aggravò, tanto che lo
scrittore fu costretta a farla ricoverare in una casa di cura, dove vi rimase fino alla morte. Dal 1920 il teatro di
Pirandello cominciò a conoscere il successo di pubblico. La condizione dello scrittore ne fu profondamente
modificata: lasciò la cattedra universitaria e si dedico interamente al teatro. nel mondo del teatro si legò
sentimentalmente, ma in modo platonico, ad una giovane attrice della compagnia, Marta Abba per la quale scrisse
vari drammi.
Pirandello, nel 1924, subito dopo il delitto Matteotti, si era iscritto al partito fascista, e questo gli servì per ottenere
appoggi da parte del regime. Ben presto però dovette rendersi conto del carattere di vuota esteriorità del regime,
allora si accentuò il suo distacco che celava anche un sottile disprezzo. Nel 1934 gli venne assegnato il premio Nobel
per la Letteratura. Mentre negli stabilimenti di Cinecittà a Roma assisteva alle riprese di un film tratto dal suo
romanzo Il fu Mattia Pascal, si ammalò di polmonite e morì il 10 dicembre 1936.
Queste “forme” sono sentite come una “trappola” in cui l’individuo si dibatte, lottando invano per liberarsi.
Pirandello ha un senso acutissimo della crudeltà che domina i rapporti sociali; la società gli appare come un’enorme
pupazzata, una costruzione artificiosa e fittizia, che isola l’uomo dalla vita e lo conduce alla morte anche se
apparentemente continua a vivere. Alla base di tutta l’opera pirandelliana si può scorgere un rifiuto delle forme della
vita sociale, e un bisogno disperato di autenticità, di spontaneità vitale. Il campione di società su cui l’opera
distruttiva di Pirandello si esercita è l’Italia giolittiana e postbellica: in particolare Pirandello si appunta sulla
condizione piccolo borghese e sulla sua angustia soffocante, mentre il teatro predilige ambienti alto borghesi.
L’istituto per eccellenza che imprigiona l’uomo è la famiglia. Pirandello è acutissimo nel cogliere il carattere
opprimente dell’ambiente familiare. L’altra trappola è quella economica, costituita dalla condizione sociale e dal
lavoro: i suoi eroi sono prigionieri di una condizione misera e stentata, di lavori monotoni e frustranti. Da questa
trappola per Pirandello non si dà una via di uscita storica; la sua critica feroce delle istituzioni borghesi reta perciò
puramente negativa, non propone alternative, anzi, ideologicamente si accompagna a posizioni fortemente
conservatrici.
Pirandello non ricerca le cause storiche per cui la società è una “trappola”: la società borghese del suo tempo è una
manifestazione particolare di una condizione universale. L’unica via di relativa salvezza che si dà ai suoi eroi è la fuga
nell’irrazionale: nell’immaginazione, come per l’impiegato Belluca, o nella follia, che è lo strumento di contestazione
per eccellenza. Il rifiuto della vita sociale dà luogo nell’opera pirandelliana ad una figura ricorrente: il “forestiere
della vita”, colui che ha preso coscienza e si esclude, guardando vivere gli altri dall’esterno della vita. Ciò consiste
nella filosofia del lontano che consiste nel contemplare la realtà come da un’infinita distanza, in modo da vedere in
una prospettiva straniata ciò che l’abitudine ci fa considerare normale. In questa figura di eroe estraniato dalla realtà
si proietta la condizione stessa di Pirandello come intellettuale, e nel suo pessimismo radicale, si riserva solo un ruolo
di lucida coscienza critica del reale.
Se la realtà è in continuo divenire, essa non si può fissare in schemi e moduli d’ordine totalizzanti. Ogni immagine
globale che pretenda di sistemarla organicamente non è che una proiezione soggettiva. Il reale è multiforme, non
esiste una prospettiva privilegiata da cui osservarlo. Caratteristico della visione pirandelliana è dunque un radicale
relativismo conoscitivo: ognuna ha la sua verità. Ne deriva un’inevitabile incomunicabilità fra gli uomini: essi non
possono intendersi. Tutto ciò ricollega Pirandello al clima culturale europeo del primo Novecento in cui si consuma la
crisi delle certezze positivistiche. La posizione di Pirandello viene quindi fatta rientrare nell’ambito del Decadentismo.
Si possono ravvisare nell’opera di Pirandello tendenze di questo genere, tuttavia, esse entrano in conflitto con
tendenze di segno opposto: nella visione umoristica di Pirandello la realtà si sfalda in una pluralità di frammenti che
non hanno un senso complessivo. A questo punto non resta che prendere atto dell’incoerenza e della mancanza di
senso del reale. Il Decadentismo che portava alla chiusura gelosa nella soggettività, poneva l’io al centro del mondo;
per Pirandello questa assolutizzazione del soggetto è impossibile; l’io si annulla anch’esso in una serie di frammenti
incoerenti: il soggetto da identità assoluta diventa “nessuno”.
LA POETICA
Dalla visione complessiva del mondo scaturiscono anche la concezione dell’arte e la poetica di Pirandello. L’opera
d’arte, secondo Pirandello, nasce dal libero movimento della vita interiore; la riflessione al momento della
concezione resta invisibile. Nell’opera umoristica invece la riflessione non si nasconde, non è una forma del
sentimento, ma si pone dinanzi ad esso come un giudice. Di qui nasce il sentimento del contrario. Lo scrittore
propone un esempio: se vedo una vecchia signora coi capelli tinti e tutta imbellettata, avverto che è il contrario di ciò
che una vecchia signora dovrebbe essere. Questo avvertimento del contrario è il comico. Ma se interviene la
riflessione e suggerisce che quella signora soffre a pararsi così e lo fa solo nell’illusione di poter trattenere l’amore
del marito più giovane, non posso più solo ridere: dal comico passo all’atteggiamento umoristico. La riflessione
nell’arte umoristica coglie così il carattere molteplice e contraddittorio della realtà; tragico e comico vanno sempre
insieme.
Pirandello afferma che l’umorismo si trova nella letteratura di tutti i tempi, ma in realtà la definizione che egli ne
propone si attaglia perfettamente all’arte contemporanea. Si tratta di un’arte riflessa, sempre accompagnata da una
lucida consapevolezza di sé stessa, che deve sempre vedere l’oggetto anche dal punto di vista opposto. È un’arte
disarmonica e piena di continue dissonanze, in cui ogni pensiero genera sempre contemporaneamente il suo
opposto. È un’arte che tende a scomporre, a disgregare, a fare emergere contrasti. È l’arte moderna per eccellenza,
perché riflette la coscienza di un mondo non più ordinato ma frantumato, in cui non vi sono più prospettive
privilegiate e punti di riferimento fissi, ma solo ambiguità e contraddizioni laceranti.
LE NOVELLE
Pirandello scrisse novelle per tutto l’arco della sua attività creativa. Si tratta di una produzione copiosissima che lo
scrittore raccolse in volumi. Nel 1922 progettò ina sistemazione globale in ventiquattro volumi, con titolo
complessivo di Novelle per un anno. A differenza delle raccolte classiche non si riesce ad individuare un ordine
determinato. Il corpus sembra quindi riflettere la visione globale del mondo che è propria di Pirandello, un mondo
non ordinato e armonico, ma disgregato in una miriade di aspetti frantumati, il cui senso complessivo sembra
irraggiungibile.
All’interno della raccolta è possibile distinguere le novelle collocate in una Sicilia contadina da quelle focalizzate su
ambienti piccolo borghesi continentali, spesso sul ceto impiegatizio della capitale. Le novelle siciliane possono a
prima vista ricordare il clima verista, ma in realtà, non vi si riscontra per nulla l’attenzione ai dati documentari né
l’indagine scientifica sui meccanismi della società e della lotta per la vita. Pirandello diverge dal verismo in due
direzioni: da un lato riscopre il sostrato mitico della terra siciliana, ed in questo si rivela più vicino al clima decadente;
dall’altro lato quelle figure di un arcaico mondo contadino sono deformate fino al prossimo da una carica grottesca,
che le trasforma in immagini bizzarre, e le vicende prive di un ogni riferimento diretto ad un contesto sociale,
divengono casi paradossali, estremizzati sino all’assurdo. Pirandello anche nella Sicilia contadina coglie il grottesco
della vita, la causalità che fa saltare l’idea di mondo ordinato.
Su una linea affine si collocano le novelle “romane”, che rappresentano la condizione piccolo borghese, una
condizione meschina. Queste figure avvilite e dolenti non sono che la metafora di una condizione esistenziale
assoluta: il rapprendersi del movimento vitale in forme che lo irrigidiscono. La trappola in cui questi esseri sono
prigionieri è costituita da una famiglia oppressiva e soffocante o da un lavoro monotono e meccanico. L’analisi di
Pirandello si appunta con feroce lucidità sulle convenzioni sociali che impongono all’uomo maschere fittizie e ruoli
fissi, rivelando così il suo rifiuto anarchico e irrazionalistico di ogni forma di società organizzata. Ai miseri esseri
prigionieri del meccanismo sociale non si propone alcuna vera via d’uscita: la loro insofferenza a lungo covata può
esplodere in gesti inaspettati e folli; poiché il personaggio non vive ma si vede vivere.
Nel tratteggiare questo variegato campionario di umanità Pirandello mette in opera il suo tipico atteggiamento
umoristico. Lo scrittore si accanisce nel deformare espressionisticamente i tratti fisici, trasformando le figure in
gesticolanti marionette; per dimostrare che la legge che li governa non è il deterministico rapporto di causa ed
effetto postulato dal Naturalismo, ma la casualità più bizzarra, in cui non è possibile ravvisare alcun senso. Da tutto
questo meccanismo assurdo scaturisce il riso, ma è un riso sempre accompagnato, in nome del sentimento del
contrario, da una pietà dolente per un’umanità così avvilita, per la sua sofferenza senza riscatto. Caricando
espressionisticamente la maschera che ognuno porta sul volto, Pirandello distrugge l’idea stessa di personalità
coerente, rivela le varie persone che si annidano nell’individuo, a lui stesso ignote, che possono erompere
all’improvviso, per motivi più causali e futili.
L’ESCLUSA E IL TURNO
Nell’estate nel 1893, a ventisei anni, Pirandello scrisse il suo primo romanzo, Marta Ajala; lo pubblicò però solo nel
1901 col titolo L’esclusa. È la storia, ambientata in Sicilia, di una donna accusata ingiustamente di adulterio, che
viene cacciata di casa dal marito e vi verrà riammessa solo dopo essersi resa effettivamente colpevole. Il romanzo ha
ancora legami con il naturalismo, sia nella materia, sia nell’impianto narrativo (narrazione in terza persona). Al
centro, come nella narrativa verista, vi è ancora un fatto dal forte potere condizionante, l’adulterio; ma il fatto non
ha vera consistenza oggettiva, Marta di fatto non è colpevole. La fatalità deterministica scaturisce non da un evento
reale, ma da una realtà solo soggettiva, il convincimento della colpa di Marta quale si afferma nella mente del
marito, della famiglia e dei concittadini. La struttura della vicenda sottolinea glia spetti assurdi, paradossali delle
azioni umane, che possono provocare conseguenze totalmente diverse da quelle previste. Al meccanismo
deterministico si sostituisce il gioco imprevedibile e beffardo del caso: Pirandello così facendo, conduce un’implicita
polemica nei confronti del naturalismo. Nel romanzo si può anche scorgere l’impostazione umoristica, da un lato si
ha la vicenda seria e drammatica di Marta, dall’altro ad essa si contrappone una folta galleria di figure grottesche, il
cui aspetto fisico è ritratto con esasperata deformazione espressionistica. Questa singolare struttura frammenta
risponde all’idea pirandelliana dell’arte umoristica.
Il gioco del caso è ancora ripreso nel breve romanzo successivo, Il Turno, dove un innamorato deve aspettare il suo
turno per sposare la donna amata, dopo la morte di altri due mariti. Il tema però è impostato a livello di minore
responsabilità concettuale, come divertimento comico, dai risvolti bizzarri, quasi marionettistici.