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LUIGI PIRANDELLO

Noemi Corrado VD; appunti: italiano.

Pirandello è uno dei nomi più importanti della letteratura italiana del ‘900. Fu l’unico scrittore italiano del
‘900 di fama mondiale. Da Pirandello derivano alcuni termini italiani, tra cui “pirandelliano” (indica una
situazione o un avvenimento paradossale) e “pirandellismo” (definisce un atteggiamento ispirato al
moderno relativismo), che vengono usati ancora adesso, termini diffusi nel mondo occidentale. Con
Pirandello entrano nella letteratura italiana alcuni temi fondamentali della letteratura europea,
dell’avanguardia europea del tempo: le crisi ideologiche, il relativismo, il gusto del paradosso, che si
esprime con una scelta di temi al limite del possibile, la tendenza alla scomposizione e la deformazione
grottesca delle persone, degli elementi, delle situazioni. Questa è una tendenza completamente
espressionistica, le situazioni sono esasperate per mostrare la violenza e il dramma che vivono i
protagonisti, questo spiega anche la scelta della dissonanza, dell’ironia, dell’allegoria e dell’umorismo.

LA VITA
Luigi Pirandello nacque il 28 giugno 1867 presso Girgenti - ribattezzata poi Agrigento sotto il regime
fascista - da una famiglia di agiata condizione borghese: il padre, un ex garibaldiano di tradizioni
risorgimentali, dirigeva alcune miniere di zolfo prese in affitto. Dopo gli studi liceali si iscrisse all’Università
di Palermo, poi alla facoltà di lettere dell’Università di Roma. In seguito ad un contrasto sorto con un
professore si trasferì all’Università di Bonn, dove si laureò nel 1891 in filologia romanza. Nel frattempo
aveva già iniziato la produzione letteraria, scrivendo poesie è una tragedia. L’esperienza degli studi in
Germania fu importante per lo scrittore perché lo mise in contatto con la cultura tedesca e in particolare
con gli autori romantici, che ebbero una profonda influenza sulla sua opera e sulle sue teorie riguardanti
l’umorismo. Dal 1892 si stabilì a Roma dedicandosi interamente alla letteratura. Nel 1893 scrisse il suo
primo romanzo, l’esclusa e nel 1894 di della stampa una prima raccolta di racconti, amori senza amore.
Nello stesso anno aveva sposato a Girgenti Maria Antonietta portolano, tornando poi a vivere con la
moglie a Roma. Nel 1897 iniziò come supplente, l’insegnamento di lingua italiana presso l’Istituto superiore
di Magistero di Roma dove poi dal 1908 divenne docente di ruolo. Nel frattempo pubblicò diversi articoli e
saggi su varie riviste e scrisse la sua prima commedia, il nibbio nel 1896, che riprese più tardi con il titolo Se
non così 1915. Nel 1903 un allagamento della miniera di zolfo in cui il padre aveva investito tutto il suo
patrimonio e la dote stessa della nuora provocò il dissesto economico della famiglia. Il fatto ebbe
conseguenze drammatiche nella vita e lo scrittore: alla notizia del disastro la moglie, il cui equilibrio
psichico era già fragile, ebbe una crisi che la fece sprofondare irreversibilmente nella follia. La convivenza
con una donna ossessionata da una patologica gelosia, costituì per Pirandello un tormento continuo, che
può essere visto come l’inizio della sua concezione dell’istituto familiare come “trappola” che imprigiona e
soffoca l’uomo. Con la perdita delle rendite mutò anche la condizione sociale di Pirandello, che fu costretto
ad integrare il non lauto stipendio di professore intensificando la sua produzione di novelle e romanzi, che
fra il 1904 e 1915 si fece particolarmente fitta. Lavorò anche per l’industria cinematografica, che stava
allora muovendo i primi passi, scrivendo soggetti per film. L’esistenza di Pirandello dunque fu segnata
dall’esperienza della declassazione: del passaggio dalla vita di agio borghese ad una condizione piccolo
borghese, con i suoi disagi economici le sue frustrazioni, un fenomeno tipico della situazione sociale del
tempo e particolar modo della condizione intellettuale. Questo fatto gli fornì lo spunto per la
rappresentazione del grigiore soffocante della vita piccolo borghese.
Dal 1910 Pirandello ebbe il primo contatto con il mondo teatrale, con la rappresentazione di due atti unici:
Lumiè di Sicilia e La morsa. Dal 1915 la sua produzione teatrale si intensificò. In quell’anno venne messa
in scena a Milano, della compagnia di Marco Praga, la prima commedia in tre atti, Se non così risalente al
1896. Pirandello divenne soprattutto scrittore per il teatro, anche se non abbandonò mai la narrativa. Tra il
1916 e il 1918 scrisse e fece rappresentare una serie di drammi che modificarono profondamente il
linguaggio della scena del tempo: Pensaci Giacomino!, Liolà, Così è (se vi pare), Il berretto a sonagli, Il
piacere dell’onestà, Il giuoco delle parti. Tutte queste rappresentazioni suscitano delle reazioni sconcertate
nella critica e nel pubblico. Erano anche gli anni della guerra. Pirandello aveva visto come favore
dell’intervento, considerandolo come una sorta di compimento del processo risorgimentale, ma la guerra
incise dolorosamente sulla sua vita: il figlio Stefano, partito volontario, fu subito fatto prigioniero dagli
austriaci e il padre si adoperò con ogni mezzo per la sua liberazione, ma invano.
Dal 1920, il teatro di Pirandello cominciò conoscere successo di pubblico. Del 1921 sono i Sei personaggi in
cerca d’autore. La condizione dello scrittore ne fu profondamente modificata: abbandonò la vita sedentaria
piccolo borghese da professore, lasciò il 1922 la cattedra universitaria e si dedicò interamente al teatro,
seguendo le compagnie nelle loro tournée in Europa e in America. Dal 1925 assunse la direzione del teatro
d’arte a Roma. Pirandello nel 1924, subito dopo il delitto Matteotti, si iscrisse al partito fascista, e questo
gli servì per ottenere appoggi economici da parte del regime. La sua adesione al fascismo ebbe però
caratteri ambigui e difficilmente definibili. Da un lato il suo conservatorismo politico e sociale lo spingeva a
vedere nel fascismo una garanzia di ordine; dall’altro invece il suo spirito antiborghese lo induceva a
scoprirvi l’affermazione di una genuina energia vitale che spazzava via le forme fasulle. Ben presto però
dovette rendersi conto del carattere di vuota esteriorità del regime e accentuò il suo distacco – pur
evitando una rottura pubblica-, che celava un sottile disprezzo. Negli ultimi anni lo scrittore seguì
particolarmente la pubblicazione organica delle sue opere, in numerosi volumi: le Novelle per un anno e le
Maschere nude. Nel 1934 gli venne assegnato il premio Nobel per la letteratura. Era molto attento anche
al cinema. Mentre negli stabilimenti di Cinecittà a Roma assisteva alle riprese di un film tratto dal suo
romanzo Il fu Mattia Pascal, si ammalò di polmonite e morì il 10 dicembre 1936, lasciando incompiuto il
suo ultimo capolavoro teatrale, I giganti della montagna.

LA VISIONE DEL MONDO

IL VITALISMO
Alla base della visione del mondo di Pirandello vi è una concezione vitalistica: la realtà tutta è “vita”,
“perpetuo movimento vitale”, inteso come un eterno divenire, un “flusso continuo indistinto”, come lo
scorrere di un magma vulcanico. Tutto ciò che si distacca da questo flusso, e assume “forma” distinta e
individuale, si irrigidisce e comincia a “morire”.
Così avviene dell’identità personale dell’uomo. In realtà noi non siamo che parte indistinta nell’eterno
fluire della vita, ma tendiamo a cristallizzarci in forme individuali, in una personalità che vogliamo
coerente e unitaria. In realtà questa personalità è un’illusione e scaturisce solo dal sentimento soggettivo
che noi abbiamo del mondo. Oltre a noi stessi, anche gli altri, vedendoci ciascuno secondo la sua
prospettiva ci danno determinate “forme”. Noi crediamo di essere “uno” per noi stessi e per gli altri,
mentre siamo tanti individui diversi, a seconda della visione di chi ci guarda. Ognuno si associa ed associa
ad altri una maschera.
Ciascuna di queste “forme” è una costruzione fittizia, una maschera che noi stessi ci imponiamo e che ci
impone la società. Sotto questa maschera non vi è un volto definito, immutabile: non c’è “nessuno”, o
meglio vi è un fluire indistinto e incoerente di stati in perenne trasformazione, per cui un istante più tardi
non siamo più quello che eravamo prima. Pirandello fu influenzato dalle teorie dello psicologo francese,
Alfred Binet, sulle alterazioni della personalità ed era convinto che nell’uomo coesistessero più persone,
ignote a lui stesso, che possono emergere inaspettatamente.

FRAMMENTAZIONE DELL'IO E RELATIVISMO CULTURALE


Questa teoria della frammentazione dell’io è un dato storicamente significativo: nella civiltà novecentesca
entra in crisi sia l’dea di una realtà oggettiva, interpretabile secondo gli schemi della ragione; sia di un
soggetto “forte”, un punto di riferimento sicuro di ogni rapporto con la realtà. L’Io si disintegra, si
smarrisce. La crisi dell’idea di identità e di persona risente evidentemente dei grandi processi in atto nella
realtà contemporanea. Se non esiste una realtà oggettiva, anche l'individuo non esiste, perché ognuno di
noi ha tanti volti quanti sono gli osservatori. Il tema della dissoluzione dell’io è affrontato in particolar modo
nel romanzo Uno, Nessuno, Centomila, nel quale il protagonista, Vitangelo Moscarda, all'improvviso si
accorge di avere una piccola malformazione al naso. Lui non se ne era mai accorto, ma forse gli altri sì. Lui
credeva di essere “uno” - uguale per tutti – e invece ha centomila volti differenti, in base a quanti
osservatori ha; alla fine si accorge di essere nessuno. L’individuo si illude di avere una consistenza univoca e
invece è frantumato in centomila parti differenti
Nascendo in una società precostituita, l'uomo si trova a vivere secondo una parte a lui assegnata, da cui
non può sottrarsi. Ciascuno è costretto a seguire le regole e i principi che la società impone, solo il caso può
portare l'individuo a liberarsi, come accade a Mattia Pascal nel romanzo di Pirandello, ma a costo di dover
rinunciare alla vita, alla forma precedente. L'uomo, inoltre, indossando una maschera, o recitando una
parte assegnata, non può essere capito e capire gli altri, dal momento che dietro la maschera si
nascondono personalità e individualità molteplici e complesse. Questo porta all'incomunicabilità tra
individui, dal momento che ognuno possiede un proprio modo di vedere la realtà, credendo in una propria
verità. Questo provoca un senso di solitudine nell'individuo e di esclusione dagli altri, come da sé stessi.

LA “TRAPPOLA” DELLA VITA SOCIALE


Queste maschere sono sentite come una “trappola”, come un “carcere” in cui l’individuo si dibatte,
lottando invano per liberarsi. Pirandello ha un senso acutissimo della crudeltà che domina i rapporti
sociali. La società gli appare come un’”enorme pupazzata”, una costruzione artificiosa e falsa che isola
irreparabilmente l’uomo dalla “vita”, lo impoverisce e lo irrigidisce conducendolo alla morte.
Alla base di tutta l’opera pirandelliana si può scorgere un rifiuto della vita sociale, dei suoi istituti, dei ruoli
che essa impone, e un bisogno disperato di autenticità, immediatezza e spontaneità vitale. Pirandello è un
ribelle insofferente dei legami della società, contro cui si scaglia la sua critica impietosa. Le convenzioni, le
finzioni su cui la vita sociale si fonda, le maschere e le “parti” fittizie che essa impone, vengono nella sua
opera narrativa e teatrale irrise e disgregate, soprattutto quella dell’Italia giolittiana. L’istituto in cui si
manifesta per eccellenza la “trappola” della “forma” che imprigiona l’uomo è la famiglia. Pirandello è
acutissimo nel cogliere il carattere opprimente dell’ambiente familiare.
L’altra “trappola” è quella economica, costituita dal lavoro. I suoi eroi sono prigionieri di una condizione
misera e stentata, di lavori monotoni e frustranti, di un’organizzazione gerarchica oppressiva. Per
Pirandello non si può uscire da questa “trappola”. Il suo pessimismo è totale.

IL RIFIUTO DELLA SOCIALITA’


L’unica via di relativa salvezza dalla trappola che si dà ai suoi eroi è la fuga nell’irrazionale:
 nell’immaginazione che trasporta verso un “altrove” fantastico, come per Belluca di Il treno ha
fischiato, che sogna paesi lontani e attraverso questa evasione può sopportare l’oppressione del
suo lavoro e della famiglia;
 oppure nella follia, che è lo strumento di contestazione per eccellenza, l’arma che fa esplodere
convenzioni e rituali, riducendoli all’assurdo e rivelandone l’inconsistenza.
Il rifiuto della vita sociale dà luogo nell’opera pirandelliana ad una figura ricorrente, il “forestiere della
vita”, colui che “ha capito il gioco”, ha preso coscienza del carattere del tutto fittizio del meccanismo sociale
e si esclude, si isola, guardando vivere gli altri dall’esterno della vita e dall’alto della sua superiore
consapevolezza, rifiutando di assumere la sua “parte”, osservando gli uomini imprigionati dalla “trappola”
con un atteggiamento “umoristico”, di irrisione e pietà.
E’ quella che Pirandello definisce anche “filosofia del lontano”: essa consiste nel contemplare la realtà
come da un’infinita distanza, in modo da vedere in una prospettiva straniata tutto ciò che l’abitudine ci fa
considerare “normale”, e in modo quindi da coglierne l’inconsistenza, l’assurdità, la mancanza totale di
senso. In questa figura di eroe si proietta la condizione stessa di Pirandello come intellettuale che rifiuta il
ruolo politico attivo perseguito dagli altri intellettuali del primo Novecento e, nel suo pessimismo radicale,
si riserva un ruolo contemplativo del reale.
La poetica

L’”UMORISMO”
L’umorismo, che risale al 1908 è un testo chiave per penetrare nell’universo pirandelliano. Il volume si
compone di una parte storica, in cui l’autore esamina varie manifestazioni dell’arte umoristica, e di
una parte teorica, in cui viene definito il concetto stesso di umorismo.
L’opera d’arte, secondo Pirandello, nasce “dal libero movimento della vita interiore”, la riflessione, al
momento della concezione, resta invisibile. Nell’opera umoristica invece la riflessione non si nasconde,
non è una forma del sentimento, ma si pone dinanzi ad esso come un giudice, lo analizza e lo scompone. Di
qui nasce il “sentimento del contrario”, che è il tratto caratterizzante l’umorismo per Pirandello. Lo
scrittore propone un esempio: se vedo una vecchia signora coi capelli tinti e tutta imbellettata, avverto che
è il contrario di ciò che una vecchia signora dovrebbe essere. Questo avvertimento del contrario è il comico.
Ma se interviene la riflessione, si capisce che non si può solo ridere. Dall’avvertimento del
contrario (comico) si passa al sentimento del contrario (umoristico).
La riflessione nell’arte umoristica coglie così il carattere molteplice e contraddittorio della realtà, permette
di vederla da diverse prospettive contemporaneamente. Se coglie il ridicolo di una persona, di un fatto, ne
individua anche il fondo dolente e drammatico. Tutto ciò vale anche al contrario, di un fatto serio non può
evitare di far emergere anche il ridicolo. In una realtà multiforme e polivalente, tragico e comico vanno
sempre insieme.

Le novelle
LE NOVELLE PER UN ANNO
Pirandello scrisse novelle per tutto l’arco della sua attività creativa. Si tratta di una produzione
copiosissima, nata per lo più in modo occasionale, per la pubblicazione su quotidiani o riviste. Tuttavia lo
scrittore si preoccupò subito di raccoglierla in volumi. Nel 1922 progettò una sistemazione globale in
ventiquattro volumi, col titolo complessivo di Novelle per un anno.
A differenza delle raccolte classiche, di Boccaccio o dei novellieri rinascimentali, nella raccolta
pirandelliana non si riesce a individuare un ordine determinato.

LE NOVELLE “SICILIANE”
All’interno della raccolta si possono distinguere le novelle collocate in una Sicilia contadina da quelle
focalizzate su ambienti piccolo borghesi continentali. Le novelle siciliane possono a prima vista ricordare il
clima verista, ma osservate più attentamente rivelano di appartenere ad una dimensione diversa in quanto
sono assenti i temi veristi.
Pirandello diverge dal Verismo in due direzioni: da un lato riscopre il sostrato mistico ancestrale della terra
siciliana, fondando il racconto su immagini archetipiche come quelle della Terra Madre o della luna, ed in
questo si rivela più vicino al clima decadente (anche se è ben lontano dalla sensualità infuocata e dal gusto
di regredire di un mondo primitivo e violento che caratterizzano le novelle di d’Annunzio); dall’altro lato
quelle figure di un arcaico mondo contadino sono deformate da una carica grottesca che le trasforma in
immagini bizzarre, stravolte ai limiti della follia e oltre, e le vicende divengono casi paradossali,
estremizzati sino all’assurdo.

LE NOVELLE “PICCOLO BORGHESI”


Nelle pagine pirandelliane si allinea una successione sterminata di figure umane che rappresentano la
condizione piccolo borghese, una condizione meschina, grigia, frustrata. Queste figure avvilite e dolenti
non sono che la metafora di una condizione esistenziale assoluta: il rapprendersi del movimento vitale in
forme che lo irrigidiscono. La trappola in cui questi esseri sono prigionieri è costituita sistematicamente da
una famiglia oppressiva e soffocante o da un lavoro monotono e meccanico, che mortifica e fa intristire
l’individuo.
Tuttavia, l’analisi di Pirandello si appunta sulle convenzioni sociali che impongono all’uomo maschere
fittizie e ruoli fissi, rivelando così la sua acrimonia antiborghese e il suo rifiuto anarchico di ogni forma di
società organizzata.

L’ATTEGGIAMENTO “UMORISTICO”
Nel descrivere questo campionario di umanità Pirandello mette in opera il suo tipico atteggiamento
“umoristico”. Lo scrittore si accanisce nel deformare espressionisticamente i tratti fisici, carica sino al
parossismo i gesti e i movimenti, trasformando le figure umane in gesticolanti marionette. Porta all’estremo
dell’inverosimiglianza e dell’assurdo i casi comuni della vita. Da tutto questo meccanismo assurdo
scaturisce forzatamente il riso che è sempre accompagnato, in nome del sentimento del contrario, da una
pietà dolente per un’umanità così avvilita.

I romanzi
Il livello stilistico dei romanzi di Luigi Pirandello offre una molteplicità di elementi di interesse; caratteri che
si rivelano del resto coerenti con la poetica dell’autore siciliano, e che spesso hanno la funzione di
strumenti privilegiati per il suo lavoro letterario. Tre sono i punti principali a cui si possono ricondurre,
secondo la critica, i fenomeni della scrittura di Pirandello: la composizione di strutture non lineari del
racconto; l’opzione per una particolare medietà linguistica (e cioè per una lingua non stilisticamente
elevata, ed anzi con ampio ricorso alle forme dell’oralità); l’influenza del teatro, della sua lingua e dei suoi
procedimenti rappresentativi nella scrittura romanzesca, strettamente connessa, com’è chiaro, con la
stesura di veri e propri capolavori delle scene come l'Enrico IV o i Sei personaggi in cerca di autore.

L’ESCLUSA
“L’esclusa” di Luigi Pirandello è il suo primo romanzo. Il titolo inizialmente pensato da Pirandello è “Marta
Ajala”, ma quando il romanzo viene pubblicato nel 1901 sulle pagine della rivista “La tribuna”, prende il
nome de “L’esclusa”. La pubblicazione in volume è del 1908, Pirandello lavora al testo anche negli anni
seguenti per arrivare alla stesura definitiva del 1927. al centro: protagonista, moglie fedele e onesta,
disonorata e cacciata dal marito perché accusata di adulterio. È innocente e paradossalmente verrà
riaccolta in casa nel momento in cui compirà l’adulterio con l’amante che le era stato attribuito.
Ha dei legami con il verismo: ambientazione (Sicilia), convenzioni sociali, codice d’onore.
Tema dell’adulterio: molto sentito sul piano sociale siciliano.
Struttura narrattiva: narratore esterno con focalizzazione interna, uso del discorso indiretto libero. Quello
che emerge è la relatività dei punti di vista: non esiste una verità oggettiva ma ognuno vede la realtà dal
proprio punto di vista fino all’assurdo e si riversa anche sull’analisi accurata della psicologia della
protagonista (prima colpevole fuori, innocente dentro e poi viceversa)  ribalta il romanzo verista (no
determinismo), in mano al caso.
Impostazione umoristica: da un lato vicenda seria e drammatica di Marta, dall’altro personaggi grotteschi,
paradossali, assurdi.
Obiettivo: colpire le convenzioni sociali, l’ipocrisia della società.
Tematiche: esclusione, contrasto tra apparenza e realtà, trappola familiare.

IL TURNO
Il protagonista è Pepè Alletto che deve aspettare il suo turno per poter sposare la donna amata Stellina.
Già stata sposata prima con uomo vecchissimo e ricchissimo per interesse economico sperando che muoia,
ma non muore mai e quindi si separa. Poi con un avvocato della separazione che muore, quindi arriva il
turno di Pepè. Situazioni comiche e paradossali al fine di demolire i pilastri della società borghese, la
famiglia, il matrimonio, criticare le convenzioni sociali.

IL FU MATTIA PASCAL (vedi dopo)

I VECCHI E I GIOVANI
struttura che si avvicina al romanzo verista, formalmente un romanzo storico, racconta le vicende politche
e sociali della Sicilia e dell’Italia del 1992-1993.
Nobile famiglia di Girgenti: Laurentano, a confronto le vecchie e le nuove generazioni.
Vecchi: quelli che hanno fatto l’Italia, calpestati i propri valori risorgimentali dalla corruzione politica.
Giovani: quelli disorientati, incerti su questo futuro, confronto generazionale (I Malavoglia).
Personaggio chiave: Don Cosmo Laurentano, vecchio della famiglia, il quale si pone come filosofo del
lontano che si estranea da tutto e da un’infinita distanza guarda la realtà che ha davanti. Colui che ha
capito il giuoco e decide di estraniarsi da tutto e non lasciarsi coinvolgere.

SUO MARITO
altro titolo “Giustino Roncella nato Bogiolo”. Narra la storia di Silvia Roncella, scrittrice di romanzi arriva a
Roma, sposata con Giustino che tenta di trasformare i romanzi della moglia in un modo per arrichirsi.
Quando esce questo romanzo provoca uno scandalo perché la protagonista identifica Deledda e Giustino il
marito. Lo ritira, pubblicando poi con un altro titolo.
Tema della soggettività: realtà dal proprio punto di vista -> provoca incomunicabilità sempre più acuta,
umorismo da un lato vicenda seria di Silvia e dall’altro ragioni del contrario di Giustino. Spingere a non
prendere la parti di nessuno, non esiste una verità oggettiva.

I QUADERNI DI SERAFINO GUBBIO OPERATORE


Serafino Gubbio è direttore cinema. Il narratore autodiegetico annota nei quaderni tutto quello che
succede nel suo ambiente, la storia di un’attrice Varia Nestrof, attrice russa. Serafino è un eroe filosofo, si
estranea dal mondo e lo guarda da lontano (forestiere della vita). Non vive quello che succede ma lo
riprende da lontano.
Altro tema: trionfo della macchina, l’uomo si nasconde, si fa sopraffare dalla macchina. - > cinepresa
Il giovane attore è innamorato di Varia, questi doveva girare una scena in cui uccideva una tigre ma sposta
la mira della pistola e uccide Varia. Serafino Gubbio continua a riprendere questa tragedia, anche l’altro
non sopravvive perché la tigre assalta l’attore e lo sbrana. Da quel momento diventerà muto dallo shock.
Metafore sull’incomunicabilità, sulla macchina e la società di massa che ti annulla.

UNO, NESSUNO E CENTOMILA


Il protagonista del romanzo "Uno nessuno centomila" è Vitangelo Moscarda (Gengè per gli amici), figlio
scansafatiche di un banchiere usuraio dal quale ha ereditato la banca che gli permette di vivere di rendita.
Tutta la vicenda prende avvio da un evento insignificante, lo scrutarsi allo specchio del protagonista e la
scoperta di un difetto, il naso che pende verso destra. Vitangelo non aveva mai notato questo particolare, è
la moglie che glielo sottolinea. La scoperta del difetto del naso, seguita poi da altri difetti che la moglie gli fa
notare, come le sopracciglia che sembrano due accenti circonflessi, l’attaccatura delle orecchie, la diversità
della gamba destra rispetto alla sinistra, scatenano in lui una crisi di identità. Vitangelo si rende conto che la
moglie e le persone intorno a lui hanno un'immagine della sua persona completamente diversa da quella
che egli si è fatto di sé stesso. Vitangelo Moscarda decide quindi di cambiare vita per scardinare l'immagine
stereotipata che gli altri hanno di lui, alla ricerca della sua vera identità. Al termine della vicenda, Vitangelo
dona tutti i suoi beni per la costruzione e la gestione di un manicomio per poveri indigenti, in cui egli stesso
si ritira a vivere. Nell’ospizio Vitangelo si sente finalmente libero da ogni regola e dalla prigione dell’identità
attraverso l’immersione nella natura, vive come un elemento della natura o un animale, è diventato
nessuno, è senza nome, identità e pensieri, immerso nel fluire insensato della vita.
Uno nessuno centomila è l’ultimo romanzo pirandelliano, viene pubblicato nel 1925, dopo una lunga
gestazione. Pirandello vi stava lavorando già da circa quindici anni, alternando la stesura dell’opera
all’attività di autore teatrale. La narrazione consiste in un ininterrotto monologo, costituito da riflessioni,
divagazioni, interruzioni, digressioni del protagonista/voce narrante: Vitangelo Moscarda. L’intento è di
riuscire a individuare nelle «centomila» proiezioni che gli altri hanno di lui, il suo vero “io”, l’”uno”, la sua
unicità, per scoprire invece che non esiste «nessuno».
Incipit: La vicenda ha avvio con la domanda che la moglie di Vitangelo Moscarda rivolge all’improvviso al
protagonista: “Che fai?”, da cui si dipana un incipit del libro spiazzante: l’azione banale e ordinaria del
protagonista di guardarsi allo specchio e la distratta osservazione della moglie sul particolare del naso, mai
notato prima, che pende a destra, tutti questi elementi insignificanti, che rientrano nell’ordinario della vita
di tutti i giorni, portano ad una scoperta inattesa che scatena, come un vero e proprio cataclisma, lo
svolgimento della vicenda. Già dall’inizio del racconto il procedimento è tipicamente umoristico: un
elemento insignificante assume dimensioni eccezionali e la ridicola ed eccessiva reazione del protagonista
non può che suscitare il riso nel lettore, il quale attraverso la comicità viene però indotto ad un secondo
livello di lettura basato sulla riflessione e sull’analisi relativi alla rappresentazione dell’io e al concetto di
identità. Anche il protagonista di questo ultimo libro di Pirandello, è un inetto come il Pascal del Fu Mattia
Pascal. Vitangelo Moscarda è infatti uno scioperato figlio di papà che come Pascal non si riconosce nel
proprio corpo e che si è sposato per imposizione altrui. Tuttavia Moscarda a differenza di Pascal non si
adegua ad assistere passivamente a quella che definisce la “pupazzata” quotidiana che è la vita, ma va alla
ricerca di una soluzione che lo riscatti dalla condizione di inetto.
Moscarda prova inizialmente a liberarsi della prigione della forma, ma non ci riesce. Constata che i
pregiudizi sono inamovibili e che ogni tentativo di darsi un’identità irrigidisce la persona in una sorta di
maschera, impedendogli di essere altro. Il nome, che viene definito non a caso un’epigrafe funeraria, e la
forma che ci imprigiona in uno schema, stabiliscono limiti precisi e rigidi e schiacciano la vita che è flusso e
movimento. Allora Moscarda realizza che per vivere veramente non bisogna essere più nessuno, afferma
deliberatamente di non voler essere più nessuno ed arriva a rifiutare il proprio nome.
Uno nessuno centomila rivela dal punto di vista formale soluzioni innovative e l’influsso dell’attività teatrale
di Pirandello. La narrazione, come nel Fu Mattia Pascal è retrospettiva (i fatti sono già accaduti nel
momento in cui viene narrata la storia) e condotta dal punto di vista soggettivo e parziale del protagonista
(narratore “inattendibile”). È un monologo in cui vi è un richiamo frequente ad un interlocutore
immaginario, chiamato in causa in qualità di testimone e giudice. Con quest’opera Pirandello porta alle
estreme conseguenze la destrutturazione delle forme narrative tradizionali, è una specie di anti-
romanzo, in cui una voce narrante, riflette tra sé e sé, dissolvendo la tradizionale concatenazione dei
fatti, non c’è una trama vera e propria e si salta frequentemente da un tema all’altro. Per questo
motivo si avvicina alle esperienze narrative di Proust, Joyce e Svevo che andavano affermandosi negli anni
Venti.

IL FU MATTIA PASCAL

Il teatro

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