Sei sulla pagina 1di 5

L’EUROPA DEL 1700

1) Andamento demografico del 1700


Assistiamo a una forte ripresa demografica grazie al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, al
diffuso benessere che rese migliore anche a dieta alimentare, alla diminuzione delle epidemie di peste,
tifo, vaiolo e colera, alla diminuzione delle carestie (aumentata capacità produttiva, miglioramento del
clima, miglioramento del processo di distribuzione dei prodotti agricoli – che consentiva un tempestivo
intervento nelle zone di crisi - dovuto al miglioramento dei trasporti).

2) Periodizzazione dell’Età dei “lumi”


Origine del termine: dal tedesco Aufklarung che vuol dire “rischiaramento”.
Trae le sue origini dall’Inghilterra di fine Seicento (filosofia di John Locke) ma conobbe il suo sviluppo
in Francia intorno al 1730 e nel resto d’Europa intorno al 1750. È detta “Primavera dei lumi” (ossia la
massima fioritura dell’illuminismo) il periodo che va dalla fine delle guerre (La guerra dei sette anni -
1763) all’esplosione della rivoluzione francese (1789).

3) Kant e l’Illuminismo
Il tratto comune della cultura dei Lumi, che assunse in breve tempo una dimensione europea, si trova nel
rifiuto del principio di autorità (gli idola theatri di Bacone ma anche la Chiesa), in favore di un
atteggiamento mentale libero e autonomo, o, come suggeriva il filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-
1804), un atteggiamento adulto, consapevole e responsabile di sé. Si trova, ancora, nella fiducia della
ragione che permette di sottoporre a giudizio critico ogni problema (politico, economico, sociale, morale,
scientifico e religioso) facendo su di esso chiarezza. Il “tribunale della ragione”, istituito per valutare
ogni nostra conoscenza o giudizio di valore, deve liberare l’uomo dagli errori, dalle false credenze, dalla
superstizione, dall’ignoranza, dai pregiudizi, dalla tradizione e da tutte le altre forme di accettazione
passiva di pensieri, valori e istituzioni tramandate dalla tradizione in nome del principio di autorità.
Ma ecco la famosa frase di Kant, che rappresenta storicamente il manifesto dell’Illuminismo:
“L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve solo a se stesso. Minorità è
l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa
minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del
coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio
di servirti della tua intelligenza!” È questo il motto dell’Illuminismo”. “Sapere aude” è una famosa
esortazione latina che si traduce letteralmente con “osa sapere” ma il cui significato è “abbi il coraggio di
conoscere”.

4) Collegamenti
L’Umanesimo e il Rinascimento (etica attiva, laicizzazione del sapere, rifiuto dell’esaltazione della
trascendenza che mortifica l’uomo e nega la bellezza della vita terrena, critica al periodo medievale), la
rivoluzione scientifica (la ricerca scientifica impone la necessità di abbandonare i tradizionali schemi
interpretativi d’origine biblica o aristotelica, di ricorrere all’esperienza ma anche, con Bacone, di
liberarsi delle false credenze, della tradizione, della superstizione e dell’ignoranza) e il metodo cartesiano
con il suo esaltare il potere della ragione sia in ambito gnoseologico che morale e il suo sottoporre al
dubbio qualunque cosa prima di accettarla (la qual cosa si concretizzerà ne “tribunale della ragione”
kantiano)

5) La costruzione dell’opinione pubblica


I quotidiani (in Inghilterra il “Times” e “The Spectator” e in Francia “Journal de Paris”), che però, dato
l’alto tasso di analfabetismo, venivano letti solo dai ricchi borghesi e dai nobili (ossia da chi poteva
permettersi un’istruzione), le Accademie, le Società scientifiche, i “Caffè”, i Salotti (soprattutto a Parigi)
e le Biblioteche che si occupavano di diffondere i giornali e, più in generale, la cultura.

6) Il ruolo dell’intellettuale – i philosophes


I filosofi (ossia gli intellettuali) sono chiamati a educare gli uomini all’esercizio della ragione e a liberarli
dall’ignoranza; l’attività culturale, per i filosofi, è un’impresa politica giacché essi sono profondamente
convinti che la cultura incida concretamente sull’esistenza degli uomini (per l’uomo è fonte di
emancipazione, di apertura mentale, dell’acquisizione del senso della giustizia, di diffuso miglioramento
spirituale, morale, sociale ed economico: tutti fattori che conducono alla felicità personale e collettiva). Il
vero filosofo, infatti, non si chiude nell’isolamento delle sue ricerche e dei suoi studi ma s’impegna a
divulgare le conoscenze. Bacone diceva: “Sapere è potere”. Il “Partito dei filosofi”, come fu chiamato dai
contemporanei, si rese attivo nella lotta contro le ingiustizie dell’antico regime e contro i privilegi di
nobiltà e clero poiché tutti gli uomini, essendo dotati di ragione, sono uguali.
Da questi presupposti nasce l’idea dell’Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei
mestieri sotto la direzione di Denis Diderot e di Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert. Diderot arruolava
nei caffè gli intellettuali e le menti più aperte per scrivere su qualunque oggetto. Nell’arco di 20 anni
vennero stampati tutti i volumi (1751-1772)

7) Il “Cosmopolitismo”
Da “Kosmos” che vuol dire “mondo” e “Polìtes” che vuol dire cittadino, il cosmopolita pensa e agisce in
una prospettiva universale ed è aperto a tutte le culture e a tutti i Paesi. Contro le guerre e le opposizioni
fra le Nazioni, i filosofi ritengono di far parte di una “comunità mondiale della ragione” perpetuamente
in pace (Kant, ad esempio, scrisse un’opera di filosofia politica intitolata “Per la pace perpetua”).

8) Pensiero religioso: Periodo profondamente ateo o teista (o deista).


Teismo: Inizialmente il termine indicava ogni dottrina e ogni atteggiamento mentale che implicasse
l’asserzione dell’esistenza di una divinità in generale, in contrapposizione all’ateismo e all’agnosticismo.
Dall’epoca medievale in poi, il termine veniva utilizzato come asserzione di una divinità unica
(monoteismo in contrapposizione al politeismo tipico dell’epoca greco-romana), trascendente (in
contrapposizione al panteismo), personale e provvidenziale.
Deismo: dottrina filosofica sviluppatasi in epoca illuministica (1700) che crede in un “Dio puramente
razionale” e in una “religione naturale”, senza alcun riferimento a rivelazioni storiche: il deista, infatti,
rifiuta ogni dogma o autorità religiosa. Il Dio del deista è un Dio “architetto” (ossia è causa prima,
creatore e ordinatore del mondo) che non interviene nelle faccende umane, è totalmente estraneo al
mondo e alla storia (non è, quindi, un Dio “Persona” del Cristianesimo o un Dio che crea un “rapporto
personale” con l’uomo) e che si limita a garantire il corretto funzionamento del mondo naturale. Ciò
implica che la Provvidenza non esiste e solo l’uomo è artefice di se stesso e del proprio destino.
L’Illuminismo fu molto polemico nei confronti delle grandi religioni storiche dell’umanità (ebraismo,
cristianesimo e islamismo) al punto che Mosè, Cristo e Maometto vennero definiti “i tre grandi
impostori”. Le religioni vennero accusate di essere state complici per secoli del potere politico, di aver
contribuito a mantenere gli uomini nella sottomissione, nella schiavitù, nella superstizione, nel
fanatismo, nella paura della pena eterna e nell’ignoranza e di aver alimentato e causato solo danni,
intolleranze e guerre. Le religioni, infatti, sono un fenomeno irrazionale e dannoso, dovuto alla paura
dell’uomo di fronte ai mali del mondo e a tutto ciò che sfugge alla sua comprensione razionale. Inoltre
l’esaltazione della trascendenza, che ogni religione compie, è una negazione della bellezza e delle
potenzialità dell’uomo e della sua vita terrena che invece vanno perseguite (vedi collegamento con
l’Umanesimo e il Rinascimento), così come va perseguito l’ideale della “laicizzazione del sapere” (vedi
Umanesimo e Rinascimento). L’esaltazione della “Ragione umana” (vedi Kant e il suo “tribunale della
ragione” e il suo concetto di “autonomia”), il problema del metodo d’indagine, il ricorso all’esperienza e
alla verifica sperimentale (vedi Galilei e Bacone) avevano dato grande impulso allo sviluppo scientifico e
alle applicazioni tecniche che ne derivavano, mettendo così in crisi il concetto di “sapere come
rivelazione divina”. Il filone ateo respinge ogni religione, non solo quelle “storico-positive” ma anche
quella deista delle “religioni naturali” (il Dio dei filosofi). Secondo il deista a fondamento di tutte le
religioni storiche vi è un’unica religione che è quella naturale fondata su poche verità razionali comuni a
tutti gli uomini: l’esistenza di un “Essere superiore”, intelligenza creatrice e ordinatrice dell’Universo e
dei precetti morali quali l’amore e il rispetto per i propri simili. Tutto quanto è stato aggiunto nel corso
dei secoli dalle varie religioni positive a questo semplice nucleo razionale è falso e portatore solo di
intolleranza, fanatismo e guerre di religione.
9) Pensiero politico

Il Giusnaturalismo
Il Giusnaturalismo è una dottrina filosofico-giuridica che nasce con il “De jure belli ac pacis” del 1625 di
Ugo Grozio e continua nel XVIII secolo con il “Contratto sociale” del 1762 di Rousseau. Alla base di
questa dottrina c’è l’idea di uno stato di natura e il riconoscimento di norme di diritti naturali,
anteriori a ogni norma giuridica positiva stabilità da un’autorità. Il diritto naturale dovrebbe essere il
modello su cui formulare e giudicare le leggi positive. Il giusnaturalismo considera infatti lo Stato come
il prodotto di un patto tra gli individui, in vista della tutela dei diritti naturali. È necessario uscire dallo
stato di natura, perché solo il potere è capace di garantire la civile convivenza. Prima dello Stato esiste
solo una moltitudine dispersa di singoli individui ed è solo la stipula di un contratto, con cui gli
individui si sottomettono a un potere comune, a consentire la costituzione di una vera e propria comunità.
Sia Hobbes che Locke si ispirarono al giusnaturalismo, da cui ripresero l’idea fondamentale di uno stato
di natura, ovvero l’idea di una condizione originaria dell’uomo, anteriore alla costituzione di uno Stato.
Molte delle loro idee confluirono nel più importante movimento culturale e politico del Settecento:
l’Illuminismo.

Hobbes e il “Leviatano” del 1651: la Monarchia assoluta.


Lo stato di natura viene presentato dal filosofo come uno stato di guerra incessante d tutti contro tutti:
l’uomo è per natura egoista, pretende di godere da solo dei beni comuni e, di conseguenza, entra
necessariamente in conflitto con i propri simili. Se l’uomo fosse privo di ragione, allo stato di guerra non
ci sarebbe rimedio e ciò condurrebbe inevitabilmente alla distruzione totale del genere umano. Ma la
ragione, capace di prevedere e provvedere, suggerisce all’uomo di rinunciare al suo diritto naturale su
tutto e uscire dallo stato di natura. Mediante un contratto, in cui ciascun individuo accetta di sottomettersi
a un unico potere supremo, viene così istituito lo Stato. Hobbes sostenne la necessità di riconoscere allo
Stato un potere assoluto, in cui l’arbitrio del sovrano, che non ha partecipato al contratto e ha dunque
conservato il diritto naturale su tutto, non ha e non deve avere limiti di sorta. È nell’interesse dei sudditi
che il potere del sovrano sia assoluto e, quindi, atto a stroncare sul nascere ogni motivo di contesa e di
disordine. Dove nasce la società, ivi cessano i diritti naturali dell’uomo, che, secondo l’autore, sarebbero
solo fonte di anarchia e di guerra. Lo Stato di Hobbes è il è il grande Leviatano, il mostro biblico di cui si
parla nel libro di Giobbe:” Non c’è niente sulla terra che sia paragonabile a lui. È fatto in modo da non
aver paura”. Hobbes ricorre all’autorità biblica, per convincere gli Inglesi ad accettare l’assolutismo, ma
ricorre anche alla forza delle immagini visive, in linea con la lunga tradizione iconografica religiosa
cristiana. Il Leviatano presenta, infatti, nel frontespizio una sintesi visiva del suo cardine concettuale.
Nella parte superiore vi è un immenso gigante, dal volto umano e incoronato, con la spada nella mano
destra, simbolo del potere temporale, e il pastorale nella mano sinistra, simbolo del potere religioso
(perché nello Stato assoluto di Hobbes vale l’alleanza fra trono e altare e il sovrano è anche capo della
Chiesa nazionale). Il corpo è composto da una grande moltitudine di uomini (suoi sudditi, che si trovano
letteralmente “incorporati” nello Stato, senza possibilità di vita autonoma) e sovrasta un paesaggio rurale
e urbano. In alto, una citazione biblica dal libro di Giobbe: “Non esiste sulla Terra un potere che possa
misurarsi con lui”. Lo sguardo dei cittadini volto verso il viso del gigante stesso significa il loro
consenso, la loro dipendenza e la loro vigile attenzione ai suoi comandi. Solo a lui spetta l’uso della forza
per mantenere in ordine lo Stato; le città e le campagne circostanti appaiono ordinate e pacifiche, a
dimostrare come il sovrano vegli su di esse assicurando pace e prosperità.

Lo Stato liberale: Locke e la Monarchia costituzionale.


Fondatore del pensiero liberale, riteneva che prima del diritto positivo (quello, cioè, sancito dalle leggi di
ogni Stato) vi fosse un “diritto naturale” che riconosceva ad ogni uomo i tre fondamentali diritti: il diritto
alla vita, alla libertà e alla proprietà. Lo Stato civile nasce per garantire la tutela di tali diritti naturali e
difendere la persona ed i suoi beni. Insomma, viene prima l’individuo e poi lo Stato.
Locke si occupa di politica nei “Due trattati sul governo” del 1690. Anche Locke era convinto che
fossero gli uomini a fondare lo Stato: sono essi e non Dio ad affidare il potere a un sovrano. Ma per quale
motivo lo fanno? Ogni uomo è naturalmente attratto da tre beni fondamentali: la vita, la libertà e la
proprietà. Poiché è un soggetto ragionevole, l’uomo è disposto a riconoscere agli altri il diritto a questi
beni: capisce cioè che se non riconosce agli altri tale diritto non può pretenderlo per sé. Lo stato di natura
presenta però un grave limite: l’assenza di un arbitro che intervenga e risolva secondo regole certe i
conflitti tra gli individui. L’unica soluzione è dunque quella di affidare a qualcuno il compito di fare
l’”arbitro”, cioè di enunciare con chiarezza le regole e farle valere per tutti. Proprio questo fanno gli
uomini quando escono dallo stato di natura: rinunciano a difendere da soli i propri diritti e delegano
questa difesa allo Stato. In pratica, stipulano un contratto: tutti rinunciano a una parte del loro potere (in
particolare all’uso della forza) e la somma di questi poteri costituisce la sovranità dello Stato. Da quanto
detto derivano alcune fondamentali considerazioni. La prima è che gli uomini sono naturalmente
portatori di alcuni diritti, dunque da questo punto di vista sono tutti uguali: pertanto devono essere uguali
anche di fronte alla legge; ciò include l’eliminazione dei privilegi. La seconda è che i diritti esistono
prima dello Stato: non si tratta quindi di privilegi che spetta all’autorità concedere. La terza è che il
contratto che dà vita allo Stato ha l’obiettivo dichiarato di garantire a tutti il godimento dei diritti di
natura (vita, libertà e proprietà). Lo Stato quindi è fondato dagli uomini, gode di un potere limitato dai
diritti naturali del cittadino e ha un compito ben preciso e molto circoscritto. Qualora tale compito sia
tradito da chi concretamente esercita il potere è lecito che i sudditi si ribellino. Inoltre lo Stato si occupa
di cittadini e non di anime, dell’interesse generale e non di religione. Ciò comporta che lo Stato non deve
intervenire nelle questioni religiose, né può farlo la Chiesa che non è abilitata all’uso della forza,
prerogativa del potere civile. Di fronte ai fenomeni religiosi lo Stato non potrà, dunque, intervenire con
la forza ma avere un atteggiamento tollerante: dovrà accettare, cioè, che gli uomini si organizzino
liberamente e volontariamente per adorare pubblicamente Dio.

Rousseau: critica gli Stati moderni che, istituendo, aumentando e legittimando le diseguaglianze (ricchi e
poveri, schiavi e liberi, potenti e deboli) invece di attenuarle, fanno dell’uomo (che sarebbe naturalmente
buono, secondo Rousseau, a differenza della visione pessimistica di Hobbes su di esso) un essere
bugiardo, meschino, vile e corrotto. Nello “stato di natura” l’uomo, sempre a differenza di quanto
pensava Hobbes, non viveva in uno stato “di guerra di tutti contro tutti” ma in uno stato di pacifica
felicità (collegamento con il mito del buon selvaggio che nacque in seguito alle scoperte geografiche) in
quanto veniva rispettato sia il diritto alla proprietà sia quello della naturale uguaglianza fra gli uomini. A
tal fine l’unica forma politica di governo adeguata è quella di uno Stato democratico e repubblicano,
fondato sulla sovranità popolare (Democrazia – da “Démos che vuol dire popolo e “Kràtos che vuol dire
potere). Ma per essere realmente sovrano il popolo deve esercitare direttamente il potere in assemblea e
non affidarlo a dei rappresentanti, che finiranno con il far prevalere la loro volontà particolare al posto di
quella di tutti (la forma, quindi, è quella della Democrazia diretta e non indiretta).
Montesquieu: contro gli abusi di potere e nella convinzione che venga prima l’individuo con i propri
diritti e poi lo Stato, egli propone “la divisione dei poteri” come di fatto già avveniva in Inghilterra con il
potere legislativo al Parlamento (diviso a sua volta fra una “Camera alta” – ossia la Camera dei Lords
che rappresentava l’aristocrazia - e una “Camera bassa” - ossia la Camera dei Comuni che
rappresentava la borghesia ), il potere esecutivo al Sovrano e quello giudiziario ad una Magistratura
completamente indipendente. L’Inghilterra rappresentava il classico esempio di Monarchia parlamentare.
Secondo Montesquieu, che ha una concezione pessimistica dell’uomo che vive in società, i tre poteri
devono essere attribuiti a organi separati perché: “Ogni uomo che ha potere è portato ad abusarne finché
non incontra dei limiti” e per arrestare questa “inarrestabile sete di dominio” è necessario che “il potere
arresti il potere”.
Voltaire: in aperto contrasto con il pensiero di Rousseau, è ostile alla democrazia popolare; il popolo,
essendo disomogeneo e ignorante, non è in grado di stabilire qual è il meglio per una Nazione (Scrisse in
proposito: “Io intendo per popolo la plebaglia che non ha che le proprie braccia per vivere. Dubito che
questa categoria di cittadini abbia il tempo o la capacità di istruirsi, morirebbero di fame prima di
diventare filosofi: mi sembra essenziale che siano dei pezzenti ignoranti. Se voi faceste fruttare come me
una tenuta, e aveste degli aratri, sareste del mio parere, non è la manovalanza che bisogna istruire ma il
borghese medio, l’abitante della città”). Egli, però, è contrario anche all’assolutismo monarchico e
dispotico tipico dell’antico regime. Quello che Voltaire vuole è una collaborazione fra sovrani e
philosophes (ossia delle menti colte e illuminate), quello che definiremo come “Dispotismo illuminato”.
Il sovrano ascolterà i consigli delle menti più illuminate e opererà con determinazione e autorità in nome
della felicità dei sudditi. Egli era deista e riteneva l’ateismo pericoloso dal punto di vista della
convivenza civile, in quanto sembrava negare qualsiasi fondamento morale comune all’umanità.
10) Pensiero economico: liberismo contro protezionismo
Contro il Mercantilismo, che prevedeva l’intervento dello Stato nelle questioni economiche per dare
sostegno all’economia nazionale e promuoverne lo sviluppo, nacque il Liberismo (attenzione a non
confondere il termine con “liberalismo”), ossia la convinzione che l’attività economica debba svilupparsi
fuori da ogni controllo e vincolo da parte dello Stato. I due principali esponenti furono Adam Smith,
nell’Inghilterra dove erano già iniziate quelle trasformazioni economiche che porteranno alla
“Rivoluzione industriale”, e Francois Quesnay, nella Francia ancora prevalentemente agricola.

Francois Quesnay: in una Francia che costruiva la propria economia ancora sull’agricoltura, egli
proclamò la “Fisiocrazia” (letteralmente “dominio della natura); la terra è fonte di ogni ricchezza
produttiva ma, affinché dia i suoi frutti, deve essere gestita attraverso l’organizzazione di grandi aziende
agricole, basate su metodi di conduzione razionali e moderni, sull’impiego di cospicui investimenti e di
efficienti macchinari. Inoltre deve esserci la libera circolazione dei prodotti e l’abolizione di ogni forma
di controllo e restrizione da parte dello Stato (come le dogane interne, le corporazioni, ecc.).

Adam Smith: l’economia risulta in grado di regolarsi da sola attraverso le semplici leggi di mercato,
ossia la legge della domanda e dell’offerta. Tale legge determina, da sola, l’oscillazione dei prezzi, delle
vendite, dei profitti e dei salari. È come se l’economia fosse governata da una “mano invisibile”, nel
senso che ognuno opera per il proprio tornaconto, ma questo si trasforma automaticamente in un
vantaggio per tutta la società. Lo stato deve lasciare totale libertà di iniziativa al singolo individuo il
quale, nel cercare di arricchire se stesso, porterà, senza volerlo, un incremento della ricchezza e del bene
comune e, quindi, ricchezza e prosperità per la Nazione di appartenenza. Lo Stato deve limitarsi a lasciar
fare e i meccanismi interni e naturali dell’economia garantiranno la crescita della ricchezza e la
diffusione del benessere. L’ottimismo di Smith si spiega perché in Inghilterra la produttività del lavoro
stava straordinariamente crescendo grazie alla sempre più diffusa utilizzazione delle macchine e alla
“divisione del lavoro”. Le leggi naturali di mercato riguardano anche la concorrenza: per battere la
concorrenza, infatti, bisogna vendere prodotti migliori a prezzi più bassi perché i compratori vogliono
spendere poco e avere prodotti di qualità. Per guadagnare di più, dunque, il produttore e il venditore sono
obbligati a fare gli interessi dei consumatori.

Il protezionismo, invece, era la politica economica inaugurata da Elisabetta I nell’Inghilterra nel 1500
(con il nome di mercantilismo) e applicata successivamente, nel 1600, dal ministro delle finanze
Colbert nella Francia di Luigi XIV (con il nome di colbertismo) che prevedeva l’intervento dello Stato
nell’economia. Tale politica ha come obiettivo l’ampliamento della ricchezza nazionale e ha le seguenti
caratteristiche:
1. Difesa della riserva monetaria e dei metalli preziosi: la ricchezza di una Nazione dipende
dall’abbondanza di moneta e di metalli preziosi e, quindi, bisogna impedire le importazioni
(comprando i prodotti all’estero, infatti, si impoverisce il proprio Stato a favore degli Stati stranieri) e
favorire le esportazioni (gli Stati stranieri acquistano i prodotti nazionali creando entrate monetarie
nelle casse dello Stato).
2. Per evitare le importazioni è necessario che lo Stato diventi autosufficiente, ossia che produca tutto
all’interno senza bisogno di dover acquistare all’estero. Per ottenere questo risultato lo Stato:
● Sovvenziona, favorisce, incentiva e finanzia la produzione di quei prodotti mancanti sul suolo
nazionale e che per questo motivo vengono compratati all’estero.
● Aumenta le tariffe doganali e le tasse sui prodotti stranieri.
● Elimina o diminuisce le tariffe doganali e le tasse sui prodotti nazionali.
● Elimina i pedaggi interni (che erano all’origine dell’innalzamento del prezzo sulle merci
prodotte all’interno della Nazione)
● Favorisce i rapporti interni e lo scambio interno di merci attraverso il miglioramento delle vie
di comunicazione
● Il miglioramento delle vie di comunicazione (via terra, via mare e via fiume) prevede la
costruzione, l’ampliamento e la manutenzione di strade, ponti e porti; la qual cosa determina
anche la nascita di nuovi posti di lavoro per la popolazione.

Potrebbero piacerti anche