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UNO, NESSUNO E CENTOMILA

Recensione del romanzo “Uno, Nessuno e Centomila” di Luigi Pirandello. Stampato presso ELCOGRAF
S.p.A. per Mondadori. Edizione numero 45.

Luigi Pirandello è stato uno dei più grandi scrittori e drammaturghi del 1900. Nato a Girgenti ( la odierna
Agrigento) da una famiglia di condizioni agiate, dedicherà la sua giovinezza allo studio delle lettere, con un
particolare interesse per la filologia e la linguistica.
La sensibilità particolare e lo sfortunato matrimonio con Antonietta Portulano, che sarà colpita da una forte
malattia mentale, porteranno Pirandello a studiare il limite tra sanità e pazzia, spingendo il suo studio ad un
livello ancora più radicare, quello del limite tra realtà e apparenza. Le opere di maggior rilevanza trattano
questi temi, che sono parte portante della poetica e dello sceneggiare dello scrittore. Tra le principali opere
troviamo : “Il fù Mattia Pascal” e “Uno , nessuno e centomila”, come romanzi e “Sei personaggi in cerca
d’autore” o “Questa sera si recita a soggetto”, come opere meta-teatrali.
Mori nel 1936 a Roma, insignito di un Premio Nobel per il massiccio lavoro di rinnovamento teatrale.

“Uno, nessuno e centomila” è un romanzo psicologico che però, a differenza di altri volumi appartenenti allo
stesso genere, non si basa su vere e proprie teorie psicoanalitiche, basti vedere “La coscienza di Zeno”, altro
caposaldo del romanzo psicologico che si rifà apertamente alle teorie Freudiane della psiche.
Le avventure di Gengè, difatti, sono dettate da una visione,magari non rivoluzionaria, ma studiata e
sviscerata come mai era stato fatto nella cultura occidentale, portando a pensieri che si potrebbero dire non
essere solamente una teoria, ma pensieri e idee accompagnati da prove empiriche che ognuno di noi può
ricavare, ma che, proprio per lo stesso fenomeno che stiamo studiando, non possiamo mostrarci a vicenda,
ma rimangono solo a noi precluse.
L’ambientazione è un piccolo paese, Richieri, probabilmente situato in Sicilia, mentre il tempo della vicenda,
seuppur lineare nella stragrande porzione della narrazione, presenta salti temporali, flashback e parti
meditative che rendono il romanzo non di facile e istantanea lettura.
Il protagonista è Vitangelo Moscarda, ricco proprietario di una banca ereditata dal padre e gestita da due
amici, che passa le sue giornate senza lavorare. Una considerazione casuale fatta dalla moglie Dida in merito
ad una leggera pendenza a destra del naso del suo Gengè (nomignolo affettuoso), porta Vitangelo a profonde
considerazioni in merito a ciò che è vero e ciò è costruito da noi, considerazioni che porteranno alla
distruzione della realtà stessa e alla creazione di altre centomila realtà parallele. La pazzia di Moscarda, che
altro non è che una grande forza di volontà che lo spinge, non riuscendo a capire chi è realmente, a costruirsi
da zero, porterà grandi movimenti in città, causati dal ribaltamento volontario, come un grande colpo di
scena, di una figura da tutti, seppur ognuno con la sua visione, ritenuta ingenua e anche un po' rimbambita,
ma soprattutto additata a causa del padre, come un Usuraio.
Lo stile è di per sé semplice, le parole sono d’uso comune e, grazie agli studi di Pirandello, scritte con un
Italiano moderno. La complessità è nella costruzione del ragionamento, che porta il lettore a dover svolgere
una lettura attenta.
Certamente ho adorato il romanzo.
La lettura mi ha permesso di rivalutare la figura e la poetica di Pirandello, che avevo sempre ritenuto banale
e scontata. Ironicamente, ecco che viene fuori l’umorismo dell’autore, mi ero creato un’idea sommando le
continue e assurdamente incomplete citazioni che si fanno in merito a questo autore. Capita spessissimo che
chiunque cerchi di mostrarsi acculturato citando Pirandello semplicemente con un discorso incentrato su le
maschere che indossiamo ogni giorno. Ecco, dopo aver letto il romanzo, m’è sembrata un’assurdità
restringere tutto il ragionamento ad un nascondino in cui ognuno di noi cerca di apparire, perché il discorso è
molto più ampio e complesso.
Il mondo di Pirandello non è un mondo di maschere indossate, ma un mondo di maschere imposte e create
continuamente, una realtà di individui che mai si incontrano, creando una tremenda solitudine anche in
mezzo ad una folla. Il mondo di Pirandello è un mondo dove la casa che io vedo non è quella che vedi te,
dove il giallo non è più il giallo e dove la parola diviene inutilizzabile, perché inevitabilmente portatrice di
un significato che non può giungere.
Ecco allora che siamo soli e l’unica via per la distruzione di queste imposizioni è la pazzia, perché, in fin dei
conti, nemmeno noi ci conosciamo realmente e, al massimo, possiamo costruirci, ma non esistere.
Giunge poi al termine in maniera che mi risulta criptica. Moscarda decide di abbandonare i suoi esperimenti
e di darsi ad una vita che forse è simile a quella di alcune correnti spirituali orientali, che impongono il
vivere solo nel presente ( Pirandello parla di rinascere in ogni istante), oppure di sopravvivere in questo
mondo attraverso una resa, restando coscienziosamente stupidi, imponendo alla mente di smettere di
ragionare.
Personalmente penso che l’ultima soluzione sia la migliore. Credo che, se alla fin fine cerchiamo di ridurre al
minimo le differenze tra i vari Noi che inevitabilmente si creano, decidendo con freddo ragionamento di
abbandonarci all’apparenza, si possa vivere, anche se non conoscendo ciò che è reale, almeno, in qual modo,
felici.

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