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LUIGI PIRANDELLO

Il pensiero di Luigi Pirandello si fonda sul rapporto dialettico tra vita e forma. La vita, pur
essendo continuamente mobile, per un destino burlone tende a calarsi in una forma in cui
resta prigioniera ed alla quale cerca di uscire per assumere nuove forme senza mai trovare
pace. Dal rapporto tra vita e forma deriva il relativismo psicologico, che si svolge, per così
dire, in due sensi: in senso orizzontale e riguarda il rapporto dell’individuo con gli altri e in
senso verticale che riguarda il rapporto dell’individuo con se stesso.

Secondo Pirandello gli uomini non sono liberi ma sono come tanti pupi nelle mani di un
burattinaio invisibile e capriccioso: il caso. Quando noi nasciamo ci troviamo inseriti per puro
caso in una società precostituita regolata da leggi, abitudini, fissate in precedenza
indipendentemente dalla nostra volontà. Inseriti in un determinato contesto o società a noi
stessi assegniamo una maschera obbligandoci a muoverci secondo schemi ben definiti che
accettiamo o per pigrizia o per convenienza senza avere mai coraggio di rifiutarli, anche
quando contrastano con la nostra natura. Sotto la maschera il nostro spirito freme per la sua
continua mutabilità, ma ci freniamo sia per non urtare contro i pregiudizi della società sia per
la nostra tranquillità perché nel mondo mutevole ed enigmatico in cui viviamo, quella nostra
Forma o maschera fissa è l’unico punto fermo al quale ci aggrappiamo disperatamente per
non essere travolti dalla tempesta. Ma a volte capita che l’anima istintiva che è in noi
esploda violentemente, in contrasto con l’anima morale, facendo saltare i pudori e i freni
inibitori. Allora la maschera si spezza e siamo come un violino fuor di chiave, cioè stonato
come un attore che si mette a recitare sulla scena una parte che nel copione non gli è stata
assegnata.

Ma anche in questo caso non abbiamo motivo di rallegrarci perché una volta usciti dalla
vecchia maschera il senso di libertà che proviamo è di breve durata in quanto il nuovo modo
di vivere ci imprigiona in un’altra forma, diversa dalla prima, ma altrettanto soffocante ed
allora tanto vale entrare nell’antica forma: un ritorno che però si rivela impossibile per il
continuo mutare della realtà.

Secondo Pirandello quando l’uomo scopre il contrasto tra la forma e la vita può reagire in tre
modi: la reazione passiva, la reazione ironico-umoristica e la drammatica. La passiva è
quella dei deboli che si rassegnano alla maschera che li imprigiona, incapaci di ribellarsi o
delusi dopo l’esperienza di una nuova maschera, è la reazione di “Mattia Pascal” nell’ultima
parte del romanzo. Chi si rassegna sente la pena del vedersi vivere come se i suoi atti
fossero staccati da sé ed appartenessero ad un’altra persona e vive perciò quel senso
doloroso di una frattura tra la vita che vorrebbe vivere e quella che è costretto a vivere. C’è
poi la reazione ironico-umoristica di chi non si rassegna alla maschera e visto che non se ne
può liberare sta al gioco delle parti, ma con un atteggiamento ironico, polemico, aggressivo,
umoristico in senso pirandelliano (La patente). Il terzo punto, la reazione drammatica di chi,
sopraffatto dall’esasperazione, né si rassegna, né riesce a sorridere alla vita; allora si chiude
in una solitudine disperata che lo porta o al suicidio o alla pazzia

Il disagio dell’uomo non deriva solo dall’urto con la società, ma anche dalla continua
ribellione del suo spirito che non gli permette di conoscere bene se stesso, né di
cristallizzarsi tra il rapporto vita e forma in una personalità definita.
Proprio per il suo continuo divenire l’uomo è nello stesso tempo uno, nessuno, centomila: è
uno perché è quello che di volta in volta crede di essere, è nessuno perché dato il suo
continuo cambiamento è incapace di fissarsi in una personalità, né si riconosce nella forma
che gli altri gli attribuiscono; è infine centomila perché ciascuno di quelli che lo avvicinano lo
vede a suo modo ed egli assume tante forme o apparenze, quante sono quelle che gli
attribuiscono.

PIRANDELLO: PENSIERO SULL’UMORISMO


L’umorismo è il sentimento del contrario che nasce dall’azione combinata di due forze
diverse ma complementari. Le due forze sono il sentimento che crea le situazioni della vita e
la ragione che interviene e le analizza scomponendole nei loro elementi costitutivi che ne
rivelano i meccanismi. Per spiegare la complementarità delle due forze da cui si genera
l’umorismo, Pirandello si serve di due immagini: prima dice che la ragione è come una
superficie di acqua gelata in cui il sentimento si tuffa e si smorza, il friggere dell’acqua
rappresenta il riso che l’umorista suscita; oppure, dice ancora Pirandello, la ragione è come
un demonietto che ha lo scopo di squarciare i veli che avvolgono la realtà per penetrarla a
fondo e smontare i congegni di cui ogni caso della vita è formato.

IL TRENO HA FISCHIATO: RIASSUNTO Il protagonista della novella Il treno ha fischiato è


il ragionier Belluca. Pirandello dice che sembrava impazzito: parlava insistentemente di un
treno che fischiava. I colleghi che andavano a fargli visita all'ospizio dei matti lo
descrivevano come malato grave, affetto da encefalite e da febbre cerebrale.

Era accaduto tutto all'improvviso: l'impiegato modello, puntuale, irreprensibile, preciso,


sottomesso, ad un tratto era andato fuori di testa e si era permesso di ribellarsi al suo
capoufficio. Nessuno l'aveva mai visto così. Ma chi ci viveva vicino e conosceva le sue
abitudini, le sue condizioni di vita, non poteva meravigliarsi poi tanto, poichè ad un uomo che
viveva come Belluca anche un piccolo imprevisto poteva produrre effetti straordinari.
La sua era una vita impossibile, scandita dal lavoro in ufficio e dalla assistenza a tre donne
vecchie e cieche (la moglie, la suocera e la sorella della suocera), con cui, insieme a due
sorelle vedove ed a i loro sette figli, era costretto a dividere l'angusta casa ed i pochi soldi.
La sera lavorava anche fino a notte fonda per arrotondare le entrate, e poi esausto si
coricava su un divano sgangherato. Ed era stato lì che aveva udito una notte il fischio di un
treno all'improvviso, ed aveva cominciato a pensare ad un viaggio in luoghi lontani, esotici, o
in città conosciute in gioventù.

Il mondo gli era entrato nello spirito, quel mondo che lui aveva dimenticato e che ad un tratto
aveva ricominciato ad esistere per lui. Aveva compreso che oltre quella casa orrenda c'era il
mondo ed il solo pensiero l'avrebbe consolato dalle angustie quotidiane. Questo gli bastava.
Naturalmente avrebbe ripreso la sua vita, avrebbe ripreso la sua vita, avrebbe continuato il
suo lavoro di computisteria, si sarebbe scusato con il capoufficio, il quale gli avrebbe
concesso, di tanto in tanto, una fuga immaginaria in Siberia o in Congo, su quel treno che
fischiava.

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