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Luigi Pirandello

Pirandello nasce nel 1816. Già nel 1903 è nota la sua vena artistica avendo una produzione letteraria alle spalle; stesso
anno in cui tenta il suicidio; l’anno successivo, 1904 egli compone la sua celebre opera Il Fu Mattia Pascal. Molti eventi
lo segnarono nel corso della vita: Lo sconvolgimento arriva quando vi sarà l’allagamento della zolfa dove era
investita la dote della moglie. La moglie si ammalerà tant’è che, nel 1919, sarà internata in una clinica col dubbio
dell’amore incestuoso tra Pirandello e la loro figlia.
Pirandello risalta il tema moderno del difficile rapporto padre-figlio: ha un padre di nome Stefano, che contrasta la
sua vena letteraria; d’altronde Pirandello lo coglierà durante un tradimento in una sacrestia e ne resterà
profondamente segnato.

Nei suoi scritti Pirandello aprirà la via al tema religioso. Egli è sempre stato scettico in campo religioso ma arriverà
ad acquisire una fede semplice grazie alla sua nutrice/ governante Maria Stella. due anni prima di morire scrive
un’opera religiosa di nome Lazzaro.

Lazzaro
Nell’opera si apre il discorso della religione personificata dal figlio Lucio, che indossa gli abiti per seguire le orme
paterne più che per vocazione. Tuttavia subentra la scienza a contrastare la religione grazie alla figura del medico.
Tra il medico e Diego Spina si apre un dialogo conflittuale nel quale, l’uno afferma che la sua resurrezione dopo
esser stato investito da una macchina è grazie al miracolo divino tuttalpiù il medico ribadisce che la scienza opera
comunque attraverso la mano di Dio. Il vero miracolo dell’opera sarà la riabilitazione di Lia nel camminare dopo
esser stata soggetta a paralisi. L’onomastica rimanda al tema divino (Diego Spina, Arcadipane, Lucio)

La forma e la vita
Pirandello definisce l’esistenza individuale come un “non concludere”. Egli scrive un articolo intitolato non conclude,
per dare essenza a due delle sue più grandi ideologie:
 la vita= flusso continuo di avvenimenti interiori-psicologici che tendono a straripare
 la forma= la gabbia della vita; sono forme, abitudini, convenzioni sociali, autoinganni, addirittura tratti
fisionomici che tendono a fissare l’identità come qualcosa di immutabile.
Può accadere però, che per una serie di peripezie, la vita fuoriesca dalla forma conducendo alla destituzione dell’io e
alla perdita del senso dell’esistenza. Pirandello ama coloro che irrompono dalla forma e detesta chi vive in una rete
di autoinganni.
Il tema sarà ribadito in più opere pirandelliane ma specie nelle novelle.
La cariola: il protagonista irrompe dall’afa del vivere (avvertita dopo un sonnellino in un treno, luogo del non dove)
con un gesto insensato della sua cagnolina
Il treno ha fischiato: oppresso dalla famiglia, dal lavoro, Belluca finirà in ospedale dopo una crisi nervosa; durante
una notte un particolare gli farà riscoprire la propria libertà tant’è che inizia a fantasticare su viaggi immaginari, il
fischio di un treno.
Pena di vivere così: la signora Leuca non troverà forma di appagamento né nel pulito (forma della sua ossessione)
tanto meno nel disordine, senza mai giungere alla felicità restando bloccata nella forma anche dopo averla irrotta.

Temi pirandelliani
 la religione
 impossibilità e identità come carcere: i personaggi pirandelliani non sono creatori del loro destino ma vivono
come in una prigione. La prigione sono i rapporti famigliari, il ceto di appartenenza, i tratti fisionomici e il
proprio nome (teoria di Longoroso e riferimento al fu mattia pascal)
 la famiglia e la borghesia: i rapporti famigliari borghesi si riversano nel teatro, il teatro borghese o di salotto=
la borghesia tramite la predominanza del proprio spazio interno, vuole comandare le relazioni interpersonali.
 adulterio, divorzio e questione femminile
 tema del doppio: non conoscere la propria identità per le “centomila” che ci vengono attribuite dagli altri
 morte: biblioteca di mattia Pascal luogo cimiteriale, letto della madre morta

Il fu mattia pascal
i maggiori temi pirandelliani costruiscono il romanzo celebre del fu mattia pascal.
Il romanzo ha una struttura ad anello= ring composition. Si apre con le certezze del protagonista “io sono Mattia
Pascal” e si concluderà con la perdita dell’essenza “io sono il Fu Mattia Pascal”.
Il suicidio entra a far parte dell’opera al fine di testimoniare che non c’è forma d’art che possa rendere l’esistenza
diversa da quella che è: un groviglio di pene.
-I modernisti dovevano creare opere coerenti. L’opera venne criticata per essere troppo irrealistica da critici
modernisti: un romanzo quasi inverosimile per la straordinarietà delle peripezie.

Mattia Pascal ha compreso gli inganni sociali, famigliari e tenta di fuggire alla ricerca della libertà. Mattia, e con lui
anche Adriano, fugge dalla propria vita alla ricerca di libertà, ma scopre ben presto, suo malgrado, quanto illusoria
sia quell'idea di libertà. Ha paura di perderla ma nel rincorrerla perde la propria identità, e rinuncia così a vivere,
perché senza un'identità precisa non si può vivere. Al contrario ricadrà nelle trappole sociali, nella nuova identità e
nel nuovo amore impossibile rinchiudendosi nella propria solitudine (non verrà riconosciuto e si limita a portare dei
fiori sula tomba).

La famiglia, il padre e la madre


Mattia Pascal fa riferimento a un padre assente che dopo la sua morte ha lasciato una grande eredità ma nessun
modello per il figlio. Egli cerca di applicare una morte metaforica nei suoi confronti: l’idea e il ricordo paterno
comporta un’incapacità del protagonista a trasgredire tant’è che egli si manterrà (al contrario di Svevo) sempre
all’interno di un conflitto edipico senza mai esternare la propria energia vitale.
La figura materna comporta l’idea dell’abbandono: quest’ultima morirà nello stesso giorno della morte di una delle
sue figlie lasciando il personaggio talmente affranto da far fuoriuscire la componente infantile. Regressus ad
uterum= egli dormirà nel letto della madre deceduta.

Il nome del protagonista rimanda al filosofo Blaise Pascal e a Théophile Pascal, autore di libri teosofici (biblioteca di
Anselmo Paleari)
Il nome della seconda identità, Adriano Meis, deriva da un episodio su un treno. Adriano rimanda a Roma mentre
Meis era il cognome di un sentito Camillo Meis, intermezzo tra profano e sacro. Nome del tutto casuale.

- il caso percorre l’intera vicenda proviene dal modernismo infatti l’uomo moderno è vittima del caso e del non
senso. In Mattia il caso gioca un ruolo fondamentale poiché lo porterà ad avere colpi di fortuna m a anche
difficoltà per le varie peripezie.

Due luoghi emblematici nell’opera sono:


 casinò= luogo diabolico; Mattia però è un giocatore occasionale ma la vocazione all’azzardo si lega anche a
quella spinta erotica che fa sì che Mattia sia mosso da scelte insensate di cui si pente subito dopo; anche il
padre era giocatore d’azzardo perciò il casinò rappresenta anche la rabbia inconscia per non avere ricevuto
le attenzioni dei genitori e che in età adulta lo ha costretto alla ribellione e alla rivalsa che lo respingono
sempre indietro. La fortuna del casinò rimanda al tema del caso, cui l’uomo moderno si sente soggetto ed al
quale non riesce a trovare risposta a questa vita del “non senso”.
 la biblioteca: Mattia è un bibliotecario ma nessun legge i suoi libri. La biblioteca è vista come un luogo
claustrofobico così evade e si dedica un momento al mare dove al tragico è contrapposto il comico del
bagnarsi i piedi e andarsene ciabattando.

Altre ambientazioni che si rifanno alla “voglia di vivere” di Pascal sono:


- Roma: considerata città apparentemente eterna ma in realtà è frivola, guidata da pulsioni velenose. Si rifà
anche al motivo religioso di un Pirandello scettico quando viene citata l’acquasantiera che rimanda alla
figura del papato che scambiata da Anselmo per un posacenere, sarà frantumata. La città è emblematica
per l’uomo moderno poiché propone uno specchio di quello che non vorrebbe essere cioè morto tant’è che
nell’opera Mattia Pascal ripeterà “io voglio vivere”. Tuttavia Roma è filtrata dagli occhi di un romano, cioè
Anselmo Paleari che si è talmente alienato dal luogo in cui vive da diventare misteriosofico.
- Milano: in contrapposizione alla Roma antica vi è Milano moderna. Anselmo si recherà nella grande
metropoli venendo assalito dal frastuono delle macchine. Egli cercherà di recuperare il senso della natura da
cui l’uomo moderno ormai è distaccato, grazie all’immagine di un canarino con il quale Anselmo intrattiene
un discorso del quale non comprende risposta proprio perché essendo uomo moderno, non potrà riavere il
senso della vita grazie all’aiuto della natura.

Il comico e l’umorismo
Pur trattandosi di un romanzo quest’ultimo condivide molto con un’opera teatrale: il personaggio agisce come un
personaggio teatrale con una serie di interrogative; d’altronde Pirandello utilizza dei bozzetti descrittivi dei
personaggi nel quale parla anche del loro abbigliamento che si possono paragonare alle didascalie di una
commedia
la caratteristica del romanzo da un punto di vista stilistico è la commistione di tre registri:
 tragico= per il lato filosofico
 comico= Pirandello si rifà alla comicità per stemperare la tensione letteraria; nel momento in cui la tensione è
troppo alta viene introdotta un’immagine comica per abbassarle il tono. si fa riferimento alla scena delle
scarpe infradiciate dal mare e l’andarsene “ciabattando”. Lo scopo è diluire il tragico con il comico.
 umoristico: l’umorismo pirandelliano segna la maggior parte della produzione letteraria.

Pirandello decide di distinguere il comico dall’umorismo.


Il comico è definito come un avvertimento del contrario che porta ha una facile e diretta risata dopo una scena
divertente.
L’umorismo è definito il sentimento del contrario: La risata iniziale si trasforma successivamente la risata amara
poiché conduce a una riflessione.
Pirandello introduce questa teoria con l’estratto della signora imbellettata. Sei in un primo momento la vista di una
signora di una certa età imbellettata come una ragazzina porta al divertimento successivamente se si comprende il
perché quella signora fa quella determinata azione al nostro riso subentra la parte razionale=La signora si è
conciata in quel modo per attirare l’attenzione del marito che guarda costantemente donne più piccole di lei.
Mentre il comico implica un distacco dal personaggio evidenziando la nostra superiorità che ci fa ridere sull’individuo
al contrario, con l’umorismo si rinuncia a questa superiorità entrando nel dramma del personaggio e rivolgendoci a
quest’ultimo con uno sguardo di pietà.
Pirandello darà vita a un saggio nel 1908 intitolato l’umorismo la quale dedica è rivolta a Mattia Pascal.

Imprecazione a Copernico
Una sequenza del romanzo che si colora di umorismo e l’imprecazione a Copernico. Con la teoria eliocentrica di
Copernico l’uomo si destabilizza dal suo mondo di certezze. L’imprecazione rimanda all’essere quasi nulla
dell’individuo nel sistema dell’universo. Basterebbe infatti un piccolo sbuffo della terra per renderci vermucci
abbrustoliti. Si tratta di uno dei più grandi dilemmi del Mattia Pascal il quale comprende che l’instabilità della natura
comporta la mutevolezza dei soggetti.
L’umorismo subentra nella pietà provata verso l’umanità che patendo la mancanza di certezze creerà un proprio
sistema di illusioni per rendere sopportabile l’esistenza.

I lanternini e lanternoni
Egli condensa questa riflessione nella filosofia dei lanternini. Pirandello afferma quanto l’uomo è alla continua ricerca
di certezze che trova sempre nei lanternini, piccoli cerchi che creano una luce in contrasto con il buio. Nel momento
in cui subentra un soffio che spegne questi lanternini (nonché la morte) il buio diventa totale=l’uomo arriva alla
consapevolezza che quella luce non era altro che illusione.
D’altronde i lanternini visti come sistema di autodifesa dell’uomo moderno che crea piccole illusioni, sono sorretti dai
lanternoni nonché valori e idee sociali che se si spengono, portano a spegnere anche i lanternini.
Ecco come sopraggiunge l’illusione e l’immaginazione a sanare la tragedia del Copernico.
La vita considerata sentimento vario, è un continuo correre verso la morte. Pirandello ci presenta la morte
metaforica che coincide con la presa d’atto che tutto quello che ci circonda è effimero e vano.
La presa d’atto coincide con la disillusione e lo strappo del nostro cielo.

Lo strappo nel cielo di carta- Oreste e Amleto


L’individuo vive sotto un cielo fatto di carta velina, di un’illusione che dà forza per andare avanti. Come il vento
spegne i lanternini, così il cielo è soggetto a uno strappo rivelandosi per il vero: un cielo buio senza stelle pieno di
incertezze e inganni; un cielo verso l’infinito che rivela la fragilità umana.
Per spiegare la teoria del cielo di carta, Pirandello riprende due figure: Amleto dalla tragedia moderna e Oreste dalla
tragedia classica.
Oreste è l’eroe tragico per eccellenza, la cui mano ferma vendica la morte del padre. Nel momento in cui anche
Oreste è soggetto allo strappo del cielo di carta, da essere eroe indiscutibile, si disorienta e diventa titubante come
l’Amleto. Ecco una caratteristica dei moderni= il non saper agire, la titubanza.
Oreste è ripreso anche per la presenza di marionette dalle quali Pirandello è totalmente affascinato. Egli invidia
quest’ultime le quali non sono soggette al libero arbitrio delle scelte ma vincolate da fili e ingranaggi. Subentra
l’angoscia del vivere del personaggio moderno costretto a vagare per libere scelte.
Spiritismo
Pirandello riporta la sua visione agnostica della religione nel componimento. Come vedremo si parlerà di una
biblioteca nata in una chiesetta sconsacrata, in cui libri sacri e profani sono mescolati insieme. Più che fede e credo
religioso, si narra di una componente misteriosofica che apre la via allo spiritismo.
Anselmo Paleari è il possessore di libri misteriosofici d’altro canto nella sua dimora si terranno sedute spiritiche alle
quali lo stesso Adriano si sottoporrà.
Durante una di queste, per cui viene invitata Silvia Caporale che sarà la medium, invocando un suo amico dall’aldilà
nonché Max Oliz, l’alter-ego di Terenzio (personaggio negativo come Battamalagna, cognato di Adriana che tenta di
sedurla per mantenere la sua dote) Scipione, tenterà di derubare Adriano delle sue vincite. La seduta è avvenuta per
estorcere ruberie ma assumerà un tratto talmente horror che tutti lasceranno mentre Adriano resterà poiché nel
buio, cercherà un bacio da Adriana.

Uno, nessuno e centomila


Uno, nessuno e centomila fu completato nel 1926. All’interno dell’opera non si narra solo della perdita dell’identità o lo
sdoppiamento di quest’ultima, ma vi è la molteplicità dell’essere evocato dal titolo. Pirandello interpreta una vanità di
essere diversi da quello che si è, mettendo in luce l’autoinganno.
La distruzione del protagonista, Vitangelo Moscarda, detto Gengè, parte dalla scoperta di un lieve difetto fisico= il
suo naso che pende verso destra (notato dalla moglie). Questo sconvolge la sua vita poiché comprende quanto
l’immagine che ognuno di noi ha di sé non corrisponde a quella che gli altri possano avere di noi. Ecco come l’uomo
non è ma appare.
Tuttavia egli fa una riflessione parallela al tempo del Fu Mattia Pascal: se per Mattia il tempo è indefinito e largo
come la sua libertà alla quale vuol mettere un limite per poter consistere, in Vitangelo il tempo cambia
continuamente assieme alla realtà quella realtà che “è solo una rappresentazione parziale”.

La trama
Vitangelo Moscarda, detto Gengè, è un uomo benestante. Una mattina sua moglie Dida gli fa un’osservazione in sé
innocua, ma che lo fa sprofondare in una profonda crisi esistenziale. La donna infatti gli fa scoprire una lieve
pendenza del naso, un piccolo difetto di cui egli non aveva coscienza. Si accorge così che lui pensava di conoscersi e
di sapere chi fosse, ma non è così: gli altri vedono in lui una moltitudine di difetti e di caratteristiche di cui lui non è a
conoscenza. Lui non è “uno”, come credeva di essere, ma è “centomila”: ogni persona con cui entra in contatto lo
vede in molto diverso. Il suo io è fratturato in un’infinità di maschere in cui lui non si riconosce.

In un primo tempo cerca di disfarsi delle immagini fittizie che gli altri hanno di lui. Considerato da tutti un usuraio,
decide di infrangere platealmente questa maschera. Finge di sfrattare un poveraccio, Marco di Dio, quindi a
sorpresa gli regala un’abitazione molto più bella. Ma il tentativo non ha l’effetto sperato: la folla, lungi dal ricredersi di
avere una visione distorta della sua persona, lo considera matto.
La “follia” di Vitangelo (ovvero il suo sforzo di distruggere le maschere) continua: fa liquidare la banca paterna da cui
ricavava il suo benessere, maltratta la moglie… Finché gli amministratori, Dida e il suocero non iniziano a complottare
per rinchiuderlo in manicomio. Vitangelo è avvertito della macchinazione da Anna Rosa, un’amica della moglie.
Vitangelo, riconoscente, prova quindi a renderla partecipe della sua scoperta esistenziale, ma la donna, sconvolta,
per lo shock gli spara.
Ora tutti sono convinti che Vitangelo abbia avuto una relazione illegittima con Anna Rosa, cosa non vera. Ma
Vitangelo decide di sopportare questa maschera, non vera, come dopotutto non sono vere tutte le altre. Fa mostra
di pentimento, come se fosse davvero colpevole, dona tutti i suoi averi e costruisce un ospizio per i poveri, dove lui
stesso va a vivere.
Solo, povero, creduto pazzo da tutti, Vitangelo in qualche modo ne esce vincitore: ora non è più costretto a essere
“qualcuno”, può essere “nessuno” , rifiutare ogni identità e rinnegare il suo stesso nome, abbandonarsi allo scorrere
puro dell’essere e disgregarsi nella natura, vivendo attimo per attimo senza cristallizzarsi in nessuna
maschera. Comprende che se ritenuto pazzo, i pazzi nella società moderna sono i più sani di tutti.

Pirandello usa dei sinonimi: la pazzia è uno stato alterato che produce sofferenza psichica; la follia proviene da un
disagio sociale; l’esser matto è un’altra forma più blanda.

Come Mattia, Vitangelo non conclude e ha compreso che la vita è un gioco di autoinganni. Anch’egli si ribella al
modello del padre, diluendo tutti i suoi averi.
Ritorna il motivo della banca un luogo di illusioni e di ipocrisia (il padre presta soldi all’usura).
Entrambi scelgono di vivere anziché vedersi vivere e decidono di irrompere dalla forma cristallizzata dell’esistenza.
Pertanto se Mattia opterà per la morte, Vitangelo cercherà di intraprendere un cammino panico con la natura per
diventarne un tutt’uno.

un parallelismo vi è anche tra le figure degli amministratori: come Battamalagna uomo disonesto, qui troviamo
Quantorzo e Firbo, due amministratori che si alleano con sua moglie per mettere sotto processo Vitangelo.
Firbo, conosciuto come gobbo, simboleggia la furbizia, il rimando all’aggettivo “furbo” colui che frusta con le tasse gli
imprenditori con una dose di scaltrezza.
Quantorzo contiene il termine latino ordeum nonché orzo che riporta alle spighe che feriscono pungendo.
La degradazione fisica va di pari passo con quella morale, di questi due avidi gestori.

Il nome Vitangelo e Gengè


il nome Vitangelo riporta al desiderio del protagonista, di intraprendere una vita in ascesa, che si innalza purtroppo, il
cognome contrasta il volare alto con Moscarda che rimanda allo stridio del volo dell’animale. Questo farà perdere la
trascendenza del volo angelico miniaturizzandolo in una mosca.
Vitangelo però viene anche chiamato “Gengè” (gingillo onomatopeico) da sua moglie la quale è designata da un
altro vezzeggiativo “Dida”. Ecco il ritorno al motivo infantile pirandelliano per cui la moglie si diverte con il marito
come se fosse un pupazzetto, un burattino.
Questo gioco sull’onomastica implicherà un matrimonio infelice Vitangelo scopre che Dida si è talmente tanto
fatta un’idea diversa di lui appunto di averlo soppiantato di questo Gengè. Talmente forte questo aspetto che
Vitangelo arriva ad essere geloso di questo sostituto. C’è una sequenza quasi epica che descrive questo paradosso:
Vida si presenta in un’acconciatura diversa da quella abituale che però a Vitangelo piaceva molto ma
evidentemente, non piaceva a Gengè. Questa scena lunga e comica finisce in termine paradossale con lei che si
scompiglia i capelli per tornare ad essere quella di prima.

La scomposizione della banca


Dopo la scoperta degli inganni esistenziali e delle molteplici personalità con le quali gli altri vedono il nostro io,
Vitangelo decide di estremizzare la scoperta che sconvolgerà la sua vita. Il tutto parte dal liberarsi della figura di
usuraio con la quale è riconosciuto in società, proprio come il padre. Decide di scomporre la banca e liquidare la sua
eredità con la quale costruirà un ospizio, rinchiudendosi in esso per il resto della vita come un mendicante (contatto
con la natura).
La banca rappresenta il primo inganno, il luogo delle illusioni, punto nevralgico dell’organizzazione sociale piuttosto
segno di ipocrisia. Egli macchierà l’usura, figura famigliare, al fine di liberarsi della figura paterna e di pulire i suoi
guai.

Marco di dio
La figura di Marco di dio subentra nel momento della scomposizione della banca. Vitangelo decidere di diluire i suoi
averi e dare dignità a Marco di Dio “marcato da Dio”. Egli con sua moglie, risiedeva in una catapecchia dalla quale
vengono sfrattati dal padre di Moscarda. Vitangelo decide di restituire una dimora comprata da lui stesso a questi
personaggi, non per un gesto di bontà ma per accreditarsi ufficialmente la patente di pazzo. La società infatti lo
perseguiterà e lo giudicherà costantemente definendolo pazzo ma sarà proprio la pazzia a restituirgli la libertà.
Peraltro Pirandello affermava quanto la pazzia incarnava sintomo di saggezza e moralità per cui i malati sono i più
sani di tutti.
Marco di Dio incarna quella che è definita come “teoria del gancio” = compiere un atto e non riconoscersi in
quest’ultimo cioè restare agganciati a un atto dal forte potere negativo che influenzerà la nostra intera esistenza
anche se, non riversiamo totalmente noi stessi in quell’azione che in un altro momento avremo potuto non
commettere.
Marco di Dio era un allievo-scultore che avendo preso consistenza al marmo, ne rimase pietrificato. Il maestro
doveva realizzare un gruppo statuario con dei santi dalle forme massicciamente violente al fine di adescare un
fanciullo. Talmente tanto assunse a forma di quella statua che adescò un fanciullo.
Per questo gesto occasionario, che lo segnerà per l’eternità, viene espulso dalla società (da qui si comprende il senso
del nome). Viene espulso come se fosse escremento della società e non è un caso che si voglia riscattare dai cessi
della società pulendo.
L’invenzione dei cessi inodori per i paesi senz’acqua era un modo simbolico per trasformare la caduta in ascesa:
questa trovata fu progettata in Inghilterra (luogo del lucroso sterco del diavolo= il denaro). Pirandello riconosce la
potenza luciferina del denaro perciò si serve dei paesi anglosassoni per mostrarci come un “marchiato da Dio” possa
diventare ricco riscattarsi con la pulizia. In realtà questi finiranno per diventare urinali esposti alla vista di tutti
ovvero, l’universo escrementizio legato a tale simbologia non può avere riscatto tant’è che quella definita come
grande trovata per produrre denaro, diventa vecchio urinale alla vista di tutti. Pirandello evidenzia come non si tratti
di bisogni fisiologici piuttosto di sporcizia dell’anima.

Finale
Dopo aver compreso il giuoco, Vitangelo sceglie la solitudine. Risolve le sue scomposizioni nella ricerca di una zona
franca della natura. Mantiene fino alle ultime pagine del romanzo, una pazzia filtrata dalla lucida ch coscienza che gli
permette di fuggire dalla forma della vita. Il finale è un non conclude come l’esistenza, egli cerca di sfuggire alla
pietrificazione tramite la conciliazione di essere e divenire.

I vecchi e i giovani
Scritto tra il 1906 e 1909 è il primo romanzo pirandelliano definito come storico. Lo scenario è quello di Agrigento
durante l’Italia contemporanea. Si narra degli esiti dell’unità d’Italia e dei moti siciliani sfociati in rivolte sanguinose.
I vecchi e i giovani sono un romanzo di amarezza e di ripensamento sull’epopea risorgimentale per la Sicilia
dimenticata. Due squadre si fronteggiano. I vecchi sono la famiglia Laurentano di potente casato che raffigura il
passato con le figure dei fratelli Ippolito e Don Cosmo abituati a una vita ritirata. Ippolito è un uomo affezionato a un
mondo che non esiste più mentre Don Cosmo è alter-ego del narratore che comprende quel nichilismo all’interno del
quadro famigliare e che sa che la lotta che sta per scoppiare non porterà a nulla.
Tra i vecchi vi è anche la sorella Caterina vedova di un ex-garibaldino e madre di Roberto, il giovane, colui che a 12
anni prese parte all’impresa garibaldina per poi ritirarsi a Roma.
Se fino ad ora si narra di pari assenti qui, i padri sono presenti ma sono anti-modelli poiché incarnano l’impossibilità
di un futuro e un triste presente. Sono coloro che hanno affiancato l’impresa garibaldina, incapaci di risolvere la
questione meridionale e che ora, si basano su privilegi conducendo una vita mediocre.
Tra i giovani vi è anche Lando, figlio di Ippolito che raffigura presente e futuro ma per le idee rivoluzionarie siciliane
scappa anch’egli a Roma per socializzare con qualche velleità rivoluzionaria.
Siamo alla fine dell’800 dove in Sicilia sta per scoppiare la rivolta dei fasci siciliani per una Sicilia abbandonata e
arretrata costellata di arretrati. I primi a non comprendere questa richiesta di aiuto sono i protagonisti della riscossa
risorgimentale.
Un personaggio essenziale nella logica del romanzo è Mauro Mortara un contadino che fa da memoria per la lotta
combattuta al fine di raggiungere l’unità d’Italia; egli sarà il primo a scagliarsi contro l’idea della restaurazione di una
nuova democrazia per maggiore libertà che deriva dai moti siciliani, morendo colpito da un fuoco di un suo amico
mentre cercava di sedare queste rivolte popolari.
Vi sono dunque gli uomini di un tempo i vecchi contro i disorientati nonché i giovani: tale contrapposizione disegna
più che il fallimento di un progetto politico, il fallimento di una parabola esistenziale.
I giovani sono oppressi dalla loro ideologia in quanto incarnano il cambiamento e il progresso sociale, civile e
politico.
In Sicilia si muovono rivolte popolari desiderose di emanciparsi ma destinate a spegnersi; tutti sono perdenti=
anziane figure della classe dirigente che non portano al risvolto storico sopprimono la purezza degli ideali giovanili.
La storia si conclude con la domanda retorica “chi avevano ucciso?” Essa mette in evidenza l’impossibilità di
evoluzione per una società cristallizzata come quella siciliana.

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