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Il sogno
IL SOGNO
Dalla psicologia analitica allo psicodramma junghiano
“non ho una teoria sui sogni, non so come si formino, non sono nemmeno del tutto convinto che il
mio modo di trattarli meriti di essere chiamato ‘metodo’”.
I sogni sono una modalità di parlarci per immagini e non vogliono deliberatamente nasconderci
qualcosa perché non possiamo reggerlo (contrario di Freud e la “censura” che svolge una difesa per
l’organismo che non sarebbe in grado di reggere il peso di certi contenuti onirici), sono difficili da
capire perché parlano un altro linguaggio di tipo simbolico. I sogni propongono di ampliare la
nostra sfera di coscienza, di capire ciò che ancora non è chiaro al nostro io. A volte i sogni fanno
accettare anche situazioni più difficili.
Il sogno è un prodotto dell’inconscio. Si può pensare nella teoria di Jung a quattro vertici
costitutivi:
- prodotto dall’inconscio: il lavoro di sedimentazione ci porta a poter elencare 4 proprietà del
sogno:
1. naturale, spontaneo e obiettivo
2. indipendente dalla coscienza, involontario e nel sonno
3. generato da un moto affettivo
4. individuale, autoreferenziato e aperto sull’interno
- orientato secondo una prospettiva finalistica;
- espresso in forma di composizione drammatica;
- centro del lavoro analitico.
Si possono ritrovare, inoltre, quattro dimensioni differenti attorno alle quali si può articolare
l’analisi del legame tra sogno e inconscio. Si può dire cioè che il sogno sia:
- naturale, spontaneo e obiettivo si può dire del sogno che abbia vocazione di spontaneità e
obiettività tali da convalidare la convenzione di fenomeno del tutto naturale, quindi mancanza
di artifizi e compromessi. Jung esclude l’esistenza di un tentativo di ingannare da parte del
sogno. (contrario di Freud)
- indipendente dalla coscienza, involontario e nel sonno; È teorizzato comunque un legame con
la coscienza, in quanto non è possibile prescindere dalla continuità con essa. Generato da un
moto affettivo; esso stesso potenzialmente soggiacente alla rimozione, in cui sono coinvolti i
complessi.
- Psicologia dei complessi. l’idea di Jung è che nella mente ci siano questi complessi psichici,
ovvero rispetto a una parola vengono legate altre parole (es. statura: brutto, piccolo
inferiore...). questi complessi possono presentarsi anche nei sogni. Quando uno di questi
complessi è attivato, si possono avere dei riscontri nel sogno.
- individuale, auto referenziato e aperto all’interno. È teorizzato comunque un legame con la
coscienza, in quanto non è possibile prescindere dalla continuità con essa.
Un’immagine può essere una radiografia del nostro stato d’animo attuale, ma si può anche fare un
sogno legato a un’altra persona, Jung parla di sogni legati al soggetto e alla conoscenza obbiettiva
dell’oggetto.
Il significato del sogno per il soggetto è l’elemento che più di ogni altro oppone Jung a Freud.
Jung è l’unico che apre la strada al sogno in una prospettiva finalistica, per lui il sogno non è
casuale ma non per questo necessariamente determinato da una causa precedente, non per forza
espressione di un desiderio. Per la comprensione del sogno, ciò che contribuisce a determinarlo
non è meno importante di ciò verso cui il sogno è indirizzato.
Mentre Freud recupera il passato, Jung sviluppa una concezione dinamica che guarda a ciò che il
presente stesso del sogno, pur risalendo al passato, dice per il futuro.
Nel dialogo con i propri sogni nasce quella che Jung chiama l’individuazione, ovvero ciò che
distingue l’individuo e gli fa prendere determinate scelte.
La prospettiva finalistica del sogno riconduce a un intreccio di molteplici funzioni che hanno a che
vedere con
- l’equilibrio;
- la compensazione;
- l’anticipazione o funzione prospettica. (solo i sogni visio predicono ciò che realmente accadrà,
tutti gli altri non ci danno la certezza che ciò che si è sognato accada, solo che ci sia più
probabilità)
Una serie di sogni consente di individuare motivi ricorrenti e variazioni sul tema, così come
trasposizioni di registro e ribaltamenti di piano.
Nella concezione junghiana il sogno è narrazione drammaturgica e azione scenica. Già in Freud c’è
l’idea che nella forma manifesta del sogno si esprima la dissimulazione caratteristica della teatralità
sociale. Più in generale, secondo la lettura egoistica del sogno, il sognatore vedrebbe se stesso
variamente mascherato nei suoi personaggi.
Secondo Jung, il sognatore opererebbe in ogni possibile ruolo previsto o richiesto dalla scena
teatrale.
Nella composizione drammatica del sogno è possibile rintracciare tre aspetti o temi principali:
1. STRUTTURA DEL TESTO
Secondo Jung, il copione dell’azione teatrale, “la sceneggiatura”, tende ad assumere una forma
costante riconducibile a una struttura simile a quella del dramma. Analogamente a Propp nella sua
Morfologia della fiaba, nell’articolazione delle diverse fasi, egli distingue tra:
- esposizione, il luogo dell’azione;
- sviluppo in cui la situazione si complica e subentra una certa tensione;
- culmine o peripezia, momento in cui accade qualcosa di decisivo oppure si verifica un
cambiamento radicale;
- soluzione o lysis che rappresenta il risultato del lavoro onirico, la soluzione proposta
dall’inconscio. (non tutti i sogni hanno questa fase, per cui la persona si sveglia angosciata
prima che il sogno finisca e questo porta a non avere una conclusione al sogno. Moreno
spiegava di cercare di concludere i sogni, anche quelli più brutti o di cercare la soluzione
mettendola in atto nella rappresentazione)
Ci sono sogni, tuttavia, in cui tutto si riassume in un’immagine, una figura, una voce in una cornice
vuota.
2. LINGUAGGIO SIMBOLICO
Il sogno parla la lingua dell’inconscio, un linguaggio simbolico, figurato, che utilizza metafore, che
parla per immagini e si esprime per analogie. Non si tratta del ricorso intenzionale a un codice per
non farsi capire, per dirla con Freud, ma, più semplicemente di una lingua che non si padroneggia
nel campo della coscienza.
L’importanza del simbolo consiste nell’espressione di un collegamento tra linguaggi differenti per
consentire una più alta comunicabilità tra la dimensione conscia e quella inconscia.
3. MATERIALE ORIGINARIO
In questo spazio aperto alla comunicabilità, emergono gli elementi di cui il sognatore stesso è
portatore come testimone di un passato dell’umanità, di una eredità inconscia che rivive in
ciascuno come patrimonio inscritto di un’eredità collettiva. Qui si presenta quell’ambito di
riflessione di Jung che distingue tra inconscio personale e collettivo postulando la coesistenza di
una psiche originaria e di una personale.
inconscio da cui non si è ancora distaccato e, data la continuità tra i due mondi, può
portare così materiale che affiora.
Il lavoro sui sogni consente di cogliere pienamente la rete di quegli elementi inconsci determinanti
per il recupero della storia personale e per la sua riappropriazione da parte del soggetto.
Per quanto Jung rifiuti una rigida adesione al concetto freudiano di residuo diurno, non può
tuttavia che accettare l’evidenza del fatto che i sogni muovono dagli accadimenti del giorno
bisognerà informarsi sugli eventi del giorno precedente, sia dei progetti e delle intenzioni
complessive del sognatore nei giorni o nelle settimane che hanno preceduto il sogno.
CAPITOLO 14: Dall’incubazione del sogno ai tempi di Asclepio all’incubazione del sogno nello
psicodramma junghiano
Il rituale dell’incubazione dei sogni si è sviluppato per diversi secoli nei templi-ospedali dedicati ad
Asclepio, dio greco della medicina. La tradizione del rituale di incubazione del sogno come
strumento di cura era già presente presso gli antichi Egizi.
Il termine incubazione assume diversi significati a seconda del campo in cui viene utilizzato.
Il termine “incubo” viene usato per indicare una categoria di sogni, caratterizzata da angoscia, che
spinge spesso il sognatore a svegliarsi di soprassalto. Gli incubi tendono a trasmettere al sognatore
un messaggio. Quando vi è una crisi nella vita, è molto importante nel lavoro analitico
comprendere il significato degli incubi.
sogno come una rappresentazione interiore. Quindi venne alla luce il genio di Jacob Levy Moreno,
il quale concepì l’Universo come un Grande Teatro e inventò lo psicodramma.
La tecnica dell’incubazione nello psicodramma junghiano ha come obbiettivo, a seconda delle
richieste del conduttore, talvolta di ricordare grandi sogni, incubi oppure lasciare che dall’inconscio
emerga un sogno curativo.
L’incubazione del sogno viene avviata nelle fasi iniziali della seduta: si chiede ai partecipanti del
gruppo di alzarsi e di camminare nelle stanza alla ricerca di un ricordo o di un sogno fatto. Si invita
poi a chiudere gli occhi, aspettando che il ricordo di un sogno appaia sulle palpebre. Si chiede con
voce imperativa “Ricordate il sogno!” e, a volte, queste frasi si accompagnano suonando con un
batacchio la campana tibetana strumento vibratorio in grado di facilitare l’emersione di
immagini psichiche.
Ciò che viene utilizzato nell’incubazione è esclusivamente materiale onirico, sogni realmente fatti e
non immaginazioni attive. Questo è confermato dal fatto che, quasi in ogni gruppo, alcuni
partecipanti riferiscono di non aver avuto nessun ricordo/sogno.
Si invitano i partecipanti a tenere ancora gli occhi chiuso e a riprendere il cammino solo dopo aver
ricordato le immagini del sogno; quindi, si chiede loro di cercare la mano di un compagno/a da
stringere e una volta trovata la mano si possono aprire gli occhi.
Ogni coppia formatasi, una volta deciso chi è A e chi è B, potrà iniziare a raccontarsi i sogni.
L’aver invitato a riprende il cammino solo chi ha ricordato il sogni permette di vedere se vi siano
persone immobili e a queste potrà essere richiesto, nelle sedute successive, di raccontare
un’immaginazione attiva o una fiaba.
Le coppie si salutano e i partecipanti riprendono posto nella circolarità del gruppo. Inizia ora una
fase delicata, in cui il conduttore invita i partecipanti che lo desiderino a raccontare il proprio sogno
per poi, se vogliono, rappresentarlo psicodrammaticamente.
Alcuni sogni possono essere esplorati più profondamente con un lavoro psicodrammatico
incentrato sul protagonista, in grado di connettere simboli e temi del sogno alle tematiche della
sua esistenza: possono essere rappresentati episodi di vita quotidiana oppure si può connettere il
sogno a tendenze o ripetizioni di schemi comportamentali generazionali o, ancora, a una
emergenza gruppale il sogno narrato è letto come l’emergenza gruppale del gruppo che passa
attraverso la voce e le immagini del sognatore.
All’inizio di ogni sessione, uno dei partecipanti esprime il suo desiderio di essere il “Protagonista”,
cioè colui/colei che vorrebbe dare forma a suo psicodramma. Il protagonista è libero di scegliere il
tema che sarà rappresentato.
All’inizio della sessione, il protagonista parla ai membri del gruppo e inizia a camminare all’interno
del cerchio accompagnato dal direttore di scena e dal co-direttore.
Il co-direttore, mantenendo una posizione alle spalle del Protagonista, ne sostiene l’Io attraverso
una sorta di “identificazione cosciente riflessa”, parla in prima persona, come un “Io ausiliario”,
attraverso il protagonista e ogni volta che parla entra in contatto con lui appoggiandogli una mano
sulla spalla.
Il direttore raccoglie in una prima fase, informazioni, idee e associazione del protagonista,
osservando le sue reazioni e i suoi stati d’animo. Cerca di rendersi conto delle sue resistenze e di
mettere a fuoco lo sfondo inconscio degli eventi significativi. Deve trattenersi dal restituire
un’interpretazione verbale, piuttosto mette a fuoco una scena simbolica in cui il problema attuale
del protagonista può essere rappresentato. Questa scena può essere appartenente alla realtà
storica del soggetto o una scena immaginata, deve avere carattere di quotidianità.
In ogni psicodramma, la scena è costruita e realizzata dal Protagonista: mentre racconta il
Protagonista agisce nel concreto, non descrive con distacco.
Cambio di ruolo la protagonista e un altro membro si scambiano le sedie e l’identità.
Seguirà poi un nuovo scambio di ruolo, dove il protagonista tornerà ad essere sé stesso.
In ogni psicodramma è garantita la massima riservatezza al Protagonista e al sogno.
Sognare rappresenta un indispensabile requisito per la salute mentale.
I sogni hanno anche un messaggio, ovvero è un’informazione di significato pregnante che emerge
dall’inconscio ed è indirizzato alla coscienza. Resta incomprensibile perché messaggi che
provengono dalla più alta autorità psichica siano per lo più formulati in un linguaggio arcaico di
immagini. Su questo argomento, la pratica di interpretazione dei sogni, mostra che solo lo sforzo
dell’interpretazione permette che il messaggio sia riconosciuto. In questo lavoro si è rivelato utile
che il sognatore non tenti unicamente sulla base delle sue risorse, ma che venga accompagnato da
qualcuno di più esperto. L’analista, proprio perché non è direttamente coinvolto, può essere d’aiuto
attraverso la “traduzione” del linguaggio del sogno, rendendone possibile l’interpretazione.
Mentre Freud era dell’opinione che un sogno può essere del tutto tradotto in linguaggio
comprensibile, Jung riconobbe come più significativa la dimensione simbolica del sogno i simboli
non sono mai statici, ma racchiudono in sé qualcosa di vivente che muta in continuazione. Le
immagini simboliche hanno assunto temporaneamente la forma che sembra in quel momento più
adeguata a mettere in luce qualcosa di enigmatico, inesprimibile attraverso concetti razionali.
Gli analisti junghiano lasciano che siano i pazienti a dare ai loro sogni, o ai simboli individuali degli
stessi, la forma più appropriata.
Il Protagonista non espone il sogno davanti ad un individuo, nella prospettiva di interpretarlo, ma
lo condivide all’interno di un gruppo, nella prospettiva di portare il sogno alla sua completezza
attraverso la sua rappresentazione.
Il personaggio che prende forma nel gioco drammatico emerge da un, dal sogno del Protagonista e,
dall’altro, dalla caratteristiche della persona reale che interpreta il ruolo chi interpretano i ruoli,
non solo riproduce nei minimi dettagli i tratti del personaggi di cui era stata messa al corrente dal
protagonista, ma li arricchisce. Le figure del sogno vengono trasferite dall’autore del sogno sui
protagonisti, per essergli successivamente restituite.
Dal giocatore del ruolo tutti si aspettano empatia e capacità di coinvolgimento, al punto che
frequentemente il soggetto di sente travolto dalla parte, per poi trovarsi esausto alla fine del gioco.
Per questo motivo, quando un membro viene scelto dal Protagonista per interpretare un ruolo, il
conduttore chiederà al giocatore chiamato se si sente pronto o meno.
È da tenere presente che uno psicodramma non termina mai finché i giocatori di ruoli e gli Io-
ausiliari non sono stati riportati a sé stessi con la formula “Ora tu sei di nuovo X o Y”.
Cosa avviene ai membri del gruppo che non prendono parte attiva all’azione drammatica? Essi
sono attivi testimoni di ciò che accade e prendono parte nel “doppiaggio”, ovvero in qualunque
momento ognuno può assumere una posizione alle spalle del protagonista o a una delle figure del
sogno, può appoggiare le mani sulle spalle dell’uno e dell’altro e poi parlare attraverso di lui nel
fornire una possibilità di offrire i propri sentimenti e associazioni emersi dall’identificazione con il
Protagonista o con una figura del sogno. il protagonista poi decide se accettarli o rifiutarli.
Nell’ultima parte della sessione psicodrammatica, i singoli giocatori rimandano al Protagonista, il
quale ora ascolta senza fare commenti, ciò che loro hanno sperimentato e sentito nei rispettivi
ruoli. Solamente dopo questa esplicitazione essi verranno riportati indietro a loro stessi dal
direttore.
L’ultimo a dare rimandi è l’Io ausiliario che descrive come si sentiva, cosa pensava e cosa
sperimentava mentre viveva la condizione di identificazione con il protagonista.
La condivisione dei vissuti prosegue in un’altra forma: ogni membro del gruppo riferisce che cosa
ha significato per lui la drammatizzazione del sogno e che sorta di effetti ha evocato. Sono evitati
commenti psicologici o consigli rivolti al protagonista.
Il protagonista sperimenta direttamente ciò che da una parte egli stesso realizza mettendo in scena
il suo sogno, dall’altra parte si trova anche a “essere vissuto” passivamente dalle immagini e dalle
forme che impersona nella drammatizzazione.
All’inizio della successiva sessione di psicodramma è data al Protagonista l’opportunità di riferire il
suo feedback.
CAPITOLO 17: L’analisi dei sogni secondo la metodologia dello Psicodramma Analitico
Individuativo
Negli anni 70 vennero condotti gruppi seguendo la teoria dello psicodramma analitico, e colpiva il
fatto che se un paziente portava nel gruppo un sogno, a volte bastava farglielo drammatizzare per
condurlo a una profonda e illuminante comprensione di un suo attuale problema, mentre altre
volte il mettere in scena il sogno era spettacolare, ma analiticamente inefficace.
Nell’analisi, a seconda delle problematiche che in un dato momento sta affrontando il paziente, si
rivela a volte più utile interpretare i sogni con riferimento all’oggetto, cioè su come i problemi
attuali della vita diurna sono visti dal suo inconscio così da fornirgli nuove prospettive e possibili
soluzioni; a volte a livello del soggetto mostrandogli, nella forma dei personaggi che agiscono nel
sono le sue parti interne. In psicodramma far giocare il sogno e far immedesimare il protagonista
attraverso cambi di ruolo, nei personaggi che in esso apparivano, corrisponde all’interpretazione
con riferimento al soggetto; per lavorare con riferimento all’oggetto occorre mettere in gioco
eventi diurni associati al sogno.
Negli ultimi anni la teoria dello psicodramma ha dato un’importanza maggiore alla continua
interconnessione tre le dinamiche relazionali della vita diurna, la dinamica intrapsichica dei ruoli
interni e le dinamiche che si attivano nel gruppo terapeutico scene della vita diurna possono
assumere, nel momento in cui vengono portate in gruppo, lo stesso significato che se fossero state
sognate.
Come un resto diurno può venir utilizzato dall’inconscio del sognatore per esprimere in un sogno
un certo tipo di cose, così un evento accidentale può venir usato dall’inconscio del protagonista per
rivelargli, attraverso un gioco psicodrammatico costruito con una dinamica simile al sogno, un
messaggio significativo per lui e per il gruppo.
La tecnica attuale dello Psicodramma Analitico Individuativo è centrata su sequenze di quattro-
cinque scene per ciascun protagonista, mirate a evidenziare in profondità un problema focale,
esponendone differenti aspetti e a collegarlo al percorso analitico globale del paziente.
Un’ipotesi sostenuta da molti autori, come Jung e Adler, è quella secondo cui i sogni sono un
prodotto del lavoro di una parte della psiche che si differenzia da quella diurna per due ragioni:
- l’uso di un pensiero per immagini, caratterizzato da una molteplicità di possibili connessioni,
che si contrappone alla linearità logico-concettuale della veglia;
- la libertà dalla necessità, propria del pensiero diurno, di conseguire risultati immediati.
Il sogno è anche visto come problem solving il sogno è visto come uno sforzo della psiche
inconscia volo a risolvere un conflitto focale, attivo nel sognatore al momento del sogno, attraverso
l’elaborazione di un insieme di conflitti subfocali connessi al conflitto focale stesso. Le ricerche di
neurofisiologica sono in sintonia con questa ipotesi. L’attività onirica appare costituita da un lavoro
di riequilibrio delle rete neuronale, al cui funzione sembra essere quella di riorganizzare
l’esperienza diurna. La soppressione del sonno REM danneggia quelle attività di problem solving
che per realizzarsi necessita di modalità di pensiero divergente.
Bertini considera il sogno come un’agenzia di trasformazione che, che attraverso lo sblocco dei
circuito consueti, e la modificazione dei reciproci rapporti, permette di riformulare i programmi
facendo emergere nuove soluzioni.
Foulkes considera il sogno come un processo di integrazione dei dati e delle esperienze diurne in
un insieme organizzato e dotato di senso. Ritiene che tale processo avvenga non attraverso una
sequenza di immagini e impressioni che si susseguono, ma tramite una simulazione multimediale
dell’esperienza di veglia il sogno, in questo senso, può essere inteso come una sorta di
psicodramma spontaneo.
Hillman definisce il sogno come una digestione mentale che permette di assimilare le esperienze
diurne al notturno logos dell’anima.
La concezione drammatica del sogno fu introdotta da Jung. I personaggi di tale teatro però sono i
complessi autonomi, nuclei di rappresentazione e di attività psichica non integrati nella coscienza
diurna, che costituiscono vere personalità parziali della psiche.
Leutz ha rilevato come, mediante lo psicodramma, senza bisogno di un’interpretazione teorica
dell’analista, attraverso la presa di coscienza dei suoi stessi vissuti nei cambi di ruolo, il
protagonista si riappropri dei significati onirici latenti e dei collegamenti tra i contenuti del sogno e
le sue condizioni di vita.
“Il linguaggio del sogno può venire riappreso, ma non tradotto; il tradurlo significherebbe non
comprenderne l’essenza. L’inconscio di serve di un linguaggio diverso da quello dell’Io e lo
psicodramma analitico funge da luogo di ascolto di questo linguaggio”
Come rilevato da Whitmont e Perera, il sogno non veicola soltanto messaggi sulle strutture
psichiche e sui complessi intrapsichici del sognatore, ma trasmette anche informazioni sulle
relazioni del sognatore con colore su cui tali strutture e complessi sono proiettati.
È compito del conduttore, attraverso sequenze di scene che si rivolgono ai tre domini – quello del
mondo interno, immaginale del soggetto, quello dell’oggetto riferito all’ambito sociale attuale del
protagonista e infine il domino della dinamica di gruppo – sciogliere l’intreccio rivelandone le
connessioni.
Come funziona un gruppo di psicodramma analitico?
L’elaborazione di un sogno, di conflitto o di una dinamica del gruppo stessi avviene non attraverso
le verbalizzazioni del gruppo, ma attraverso il gioco drammatico. La cosa da analizzare viene messa
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a fuoco attraverso una sequenza di scene emblematiche tratte dall’esperienza del protagonista. Il
protagonista sceglie tra i membri del gruppo e assegna le parti. Nel corso del gioco, il protagonista
può venir invitato a cambiare ruolo. Il conduttore può doppiare il protagonista, mettendosi alle sue
spalle e parlando come fosse una parte interna di lui, che riecheggia i suoi pensieri o si pone delle
domande la funzione del doppio è essenzialmente di esplicitare i sentimenti impliciti e di
portare il protagonista ad osservarsi come una sorta di distacco riflesso
In sintesi, dopo il racconto di un sogno, il conduttore esplora con un primo gioco il contesto diurno
che lo ha provocato evento precipitante. Ciò si traduce solitamente in un primo gioco che
presentifica le emozioni connesse all’attuale situazione che ha generato il sogno. Seguono la
drammatizzazione del sogno stesso e si giocano eventi più lontani.
In uno psicodramma analitico l’obbiettivo non può essere quello di usare semplicemente i sogni,
ma deve essere quello di chiarirne il significato. Il conduttore non può dirsi soddisfatto finchè dai
giochi non è emerso il conflitto focale con la causa attuale che lo ha generato e le sue radici nel
lontano passato che ha portato alla nascita del sogno.
Spesso i pazienti, per il solo fatto di aver preso il posto di un altro personaggio, sono giunti a
esprimere sentimenti e una comprensione di certi problemi che sarebbe stata impossibile fino a un
momento prima, rivelando aspetti fino a quel momento ignoti sia al paziente sia all’analista.
Come è possibile ciò?
Per chiarirlo bisogna tornare ad alcuni collegamenti tra la teoria junghiana dei complessi autonomi
e a quella psicodrammatica dei ruoli-progetto.
Nella teoria dei ruoli-progetto la nascita della dimensione immaginale, così come quella sociale dei
ruoli, risale alla fase del sorriso: il neonato di pochi mesi risponde sorridendo a colui che gli sorride
il neonato tende ad imitare spontaneamente i movimenti che osserva e il sorriso evoca un
programma kinestetico. Ora, il neonato, con un processi di assimilazione proiettiva, attribuisce
all’adulto i propri sentimento e, con questi, la propria intenzionalità e la propria visione del mondo.
Con questo atto di attribuzione all’Altro del proprio programma, il bambino comincia a costruirsi un
modello dell’altro che non è mero oggetto, ma soggetto cosciente con dei desideri e dei progetti
propri.
Tutto avviene come se l’intenzione dell’altro abitasse il mio corpo e le mie intenzioni abitassero il
suo base dei neuroni specchio, ovvero circuiti cerebrali capaci sia di rappresentarsi le azioni del
soggetto, che di simulare le azioni osservate in altri, riproducendone il significato, le emozioni e lo
scopo.
Alcuni modelli kinestetici perdono i contatti con la coscienza e si radicano nel preconscio o
nell’inconscio. Costituiscono così il nucleo dei complessi autonomi che Jung descrive come
personalità relativamente indipendenti, che compaiono nel campo della coscienza come
personaggi dei sogni.
Il cambio di ruolo con tali personaggi interni ne attiva la loro visione del mondo, che differisce da
quella del complesso dell’Io e comporta l’accesso a elementi esclusi dalla coscienza. Questa è
l’interpretazione propria dello psicodramma, che è l’interpretazione che un attore dà di un
dramma, ben diversa dall’interpretazione che uno psicoanalista può dare. Nell’interpretazione
psicodrammatica, il protagonista si trova ad immedesimarsi in angoli visuali propri di istanze che
popolano il suo inconscio, ma continua a rapportarsi alla propria dimensione conscia, realizzano
così quella che Jung chiama funzione trascendente.
Può lo psicodramma analitico rapportarsi efficacemente alla dimensione archetipica? Accade talora
che, nei gruppi a orientamento junghiano, si sviluppi una vera e propria inflazione di sogni pieni di
simboli. Lo psicodramma si presta a farli rivivere, amplificandone le connotazioni emotive.
Ciascun membro del gruppo si sentirà portato a ricordare e giocare sogni sempre più simbolici o
fantasie grandiose tratte da miti o drammi letterari. Se conduttore e osservatore incoraggiano tale
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cura di nutrire e menzionarli tutti, tirandoli dentro anche solo con il nome o il ricordo di una loro
parola.
Lo psicodramma junghiano dà molta importanza alla rappresentazione dei sogni. Le figure che
compaiono nella produzione onirica rappresentano elementi intrapsichici del sognatore, ma anche
la scena psicodrammatica può essere letta come sogno.
Molti dei sogni rappresentati possono essere letti come una metafora del gruppo, anche quando
presentano contenuti molto personali.
La rappresentazione psicodrammatica di un sogno si legge a più livelli:
1. personale, il sogno racconta la storia del protagonista nel presenta ma ha anche un
significato prospettico per la sua vita, un messaggio profondo dell’inconscio che guida il suo
percorso d’individuazione;
2. il sogno è “emergenza gruppale” termine che illustra un prodotto dell’individuo che è
anche metafora dell’inconscio del gruppo;
3. Società allargata, in cui la gestalt del sogno viene a costruire dei significati che hanno un
forte valore sociale. Il Social Dreaming Matrix, modello di lavoro incentrato sui sogni,
introdotto da Lawrence, si articola su questo terzo livello;
Jung suggeriva che i sogni con una buona forma presentano generalmente la struttura di un
dramma in quattro fasi: la rappresentazione del luogo, dei protagonisti e del tempo dell’azione; lo
sviluppo della trama; il culmine; la soluzione o lisi che mostra la soluzione di cui il sognatore è
inconsciamente in cerca.
Lo psicodramma junghiano in co-conduzione amplifica straordinariamente le possibilità
terapeutiche poiché la figura dell’osservatore fornisce ai partecipanti una funzione riflessiva e di
elaborazione, agisce da contenitore delle pulsioni, degli affetti e dei fantasmi che circolano tra i
partecipanti.
CAPITOLO 22: Lo psicodramma delle fiabe: una fonte di creazione dei sogni
Una delle grandi vie di comunicazione tra l’inconscio e la coscienza è certamente rappresentata dal
sogno. I sogni sono uno specchio dell’inconscio e ricordali è già di per sé una forma di coscienza.
Le fiabe rappresentano i grandi sogni archetipici dell’umanità. Attraverso lo psicodramma delle
fiabe è possibile entrare pienamente (con inconscio e coscienza allo stesso tempo) nel dominio dei
grandi sogni archetipici. Lungo tutto il ciclo di vita, l’essere umano costruisce la propria identità;
specialmente nella seconda metà di vita l’individuo può realizzare un lavoro per rinnovare la
connessione con l’inconscio Jung parla in questi termini di processo di individuazione. I sogni ci
aiutano in questo processo in modo spontaneo e involontario. Con l’immersione nelle fiabe,
possiamo invece potenziare intenzionalmente questo dialogo tra coscienza e inconscio,
amplificarlo e renderlo progressivamente più trasparente.
Tramite il racconto e la scrittura di un sogno, l’essere umano può narrare e trasmettere agli altri la
sua esperienza e la sua elaborazione cosciente.
Parallelamente alla narrazione storica, sorgono altre forme narrative che la completano, quali miti,
fiabe e storie di fantasia. Queste affondano le loro radici nella tradizione orale. Con le fiabe l’essere
umano racconta le proprie vicissitudini psicologiche, il proprio viaggio interiore; esse mostrano il
versante complementare della storia dei fatti e degli eventi reali, allo stesso modo in cui l’esistenza
individuale, che si sviluppa durante il girono con il succedere dei fatti è controbilanciata dal mondo
del sogno.
Le fiabe forniscono un complesso ed esaustivo caleidoscopio di identificazioni e di proiezioni di
aspetti della personalità tra loro anche molto diversi. Così come nei sogni i personaggi, le sequenze
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e le scene ci parlano di parti della personalità del dormiente, nelle fiabe tutti questi aspetti
costituiscono singole parti di un’identità globale, ovvero del Sé.
Psicodramma simbolico dei “Dodici Racconti” dodici storie metaforiche che, simbolicamente
rappresentano le tappe evolutive psicologiche che hanno luogo dall’inizio dell’individuazione fino
alla costituzione dell’identità adulta, rappresentata dal superamento dell’adolescenza.
Tali racconti rivelano, in modo sequenziale, le tappe chiave della crescita psicologica e i legami di
costruzione del Sé e le vicende e i contenuti psichici fondamentali dell’essere umano.
Le dodici storie sono state selezionate dopo un lavoro svolto in gruppi di psicodramma di fiabe con
bambini di età compresa tra i 5 e i 12 anni. Successivamente sono stati selezionati e messi in
evidenza gli elementi più caratteristici o “archetipici” di ogni fiaba. Infine, si è stabilita una
sequenza ordinata tra le dodici storie, tale da rappresentare simbolicamente il processo evolutivo
dell’individuo.
Il metodo ha come obiettivi l’aiuto del processo di individuazione e la connessione con il valore e il
senso genuino di ognuna delle sue tappe. Può favorire un miglioramento del processo evolutivo
nel proprio tempo attuale, la ricostruzione di tappe anteriori nelle quali si ha avuto un danno o una
carenza, l’acquisizione di nuovi schemi emozionali e cognitivi e la possibilità di disattivare
dimensioni narrative ostacolanti e cognitivi e la possibilità di disattivare dimensioni narrative
ostacolanti e la generazione di nuove più gratificanti e costruttive.
1. Il lupo e i sette caprettini
2. Cappuccetto rosso
3. I tre porcellini
4. La casetta di cioccolata
5. Pollicino
6. La regina delle api
7. Il brutto anatraccolo
8. Pinocchio
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9. Cenerentola
10. La bella addormentata
11. Biancaneve
12. La bella e la bestia
Nella fiaba si deve discriminare tra elementi essenziali ed elementi complementari : i primi
rappresentano la struttura e la profonda base simbolica della fiaba, i secondi apportano alla fiaba il
contesto, le sfumature e una maggiore definizione.
È importante inoltre distinguere adeguatamente tra livello di significato essenziale o profondo del
racconto, livello di significato individuale e il livello di significato gruppale.
Il contenuto latente fa riferimento al suo livello di significato essenziale o profondo del racconto,
ovvero ai motivi e alla linea argomentativa di carattere più archetipico. Possiamo individuare un
cambio di livello nel momento in cui la versione del racconto è trasmessa e raccontata nel gruppo
di psicodramma simbolico. Il racconto torna a ricrearsi sia nel narratore della equipe di
psicodramma sia in ognuno dei partecipanti: a questi, chiedendo loro una scena e un titolo, viene
data la possibilità che in loro inizi a prendere forma un proprio racconto interiore. Questa selezione
costituisce di per sé una creazione che apporta al racconto contenuti e sfumature del mondo
interiore del soggetto. Ci siamo quindi avvicinati al livello di significato individuale.
Quando nel gruppo viene scelta una delle scene proposte da uno dei partecipanti, il quale diventa
così i protagonista della drammatizzazione, ci si avvicina al livello di significato gruppale; nella
scelta stessa, il gruppo come sistema sta depositano propri significati e il protagonista è portatore
di contenuti allo stesso tempo individuali e che interessano il gruppo come unità.
In che modo distinti aspetti del sogno appaiono nei “Dodici Racconti” studiati dallo Psicodramma
Simbolico:
Sogno come stato vegetativo: nei primi 5 racconti, il fenomeno del sogno appare poco
differenziato. Ciò si deve al fatto che questi racconti parlano dei processi della prima
infanzia, nella quale si sta giustamente stabilendo la differenziazione tra fantasia e realtà,
inconscio e coscienza. Specialmente nei primi tre racconti, le allusioni al sogno rimandano a
uno stato di vulnerabilità e di mancanza di coscienza;
Sogno come mancanza di coscienza: in Pollicino, ad esempio, la presa di coscienza acquista
un valore fondamentale in due momenti cruciali del racconto lui rimane sveglio, mentre i
suoi fratelli sono stati vinti dal sonno; questo permetterà a Pollicino di salvare i suoi fratelli
in due momenti diversi dalla morte certa. A partire da Pollicino, iniziamo a incontrare un
altro tipo di sogno, un sonno che dormono i personaggi ma con una caratteristica speciale
essi, infatti, sono addormentati come fossero statue dormienti. Si tratta di un
incantesimo che deve essere sciolto affinché tutto torni a vivere e per poter avanzare a un
livello superiore di coscienza e di sviluppo;
Sogno come incantesimo: nella Bella addormentata, il sonno descritto ricorda il sonno della
morte, ossia un sonno nel quale avviene una profonda trasformazione, dopo il quale al
risveglio il protagonista rinasce in una nuova condizione o stato nel quale incontrerà il
partner ci sarà quindi una congiunzione tra maschile e femminile, uno dei simboli del Sé
più emblematici. Questo sonno di morte ci pone di fronte a una delle fonti più remote delle
fiabe, ovvero i rituali iniziatici di passaggio che avevano luogo nella pubertà. Secondo
Mircea Eliade, le fiabe ci parlano in chiave simbolica dei momenti iniziatici che hanno luogo
lungo tutto l’arco della vita e che individuano tappe di processo di crescita;
Sogno come qualcosa di meraviglioso: nel caso del brutto anatroccolo, che inizialmente
non riconosce la propria immagine riflessa nel lago, sente che ciò che vede è come un
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sogno, il sogno della trasformazione avvenuta in sé stesso. Nel caso del brutto anatroccolo,
il sogno rappresenta il culmine di un processo e costituisce una nuova realtà.
In Cenerentola, la Fata trasforma alcuni elementi della vita quotidiana in elementi
fantastici, che porteranno Cenerentola alla realizzazione del suo desiderio. In questo caso
però, il sogno ha un tempo limitato. È significativo che rimanga una testimonianza di questo
sogno, ovvero la scarpetta perduta;
Sogno come aspirazione e desiderio: in Pinocchio e La Bella e la bestia, il sogno della bestia
è il sogno dell’umanizzazione, della trasformazione in un essere umano completo, che ama
e che è amato. Nel racconto di pinocchio Geppetto, realizza un burattino, il quale arriva a
sognare di diventare un bambino vero, è durante la notte che il burattino prende vita.
Possiamo interpretare la creazione di Pinocchio e il fatto che questo burattino prende vita
come un prototipo del sogno come aspirazione.
Il processo di creazione e di ricostruzione dei simboli delle fiabe, sia individuali sia gruppali,
avviene partendo dalle versione archetipiche, derivate da un primo lavoro sui Dodici Racconti. Così,
a seconda della tappa evolutiva, delle caratteristiche e delle situazione del gruppo, alcuni contenuti
o immagini acquisiscono maggiore o minore rilevanza. Mediante un lavoro profondo con i simboli
archetipici delle fiabe, questi “sogni universali” permettono la presa di contatto con i sogni
personali, rendendo possibile una rivitalizzazione di simboli e aprendo una “fonte di creazione” di
nuovi sogni e in seguito, la possibilità di una nuova visione, ossia la costruzione di una nuova
persona.
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“Paesaggistico” quale è il nostro paesaggio interno? Quale quello esterno? Se durante una
rappresentazione psicodrammatica usiamo l’associazione, facciamo emergere qualcosa del nostro
paesaggio interno. Il termine esprime bene l’idea di un qualcosa di ampio.
Riassumendo: le nostre scelte non sono dovute al caso, ma noi scegliamo a partire dalla struttura
della nostra personalità e secondo un legame con la nostra storia. Questo atto di scelta è alla base
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L’intreccio del sogno non è altro che lo svolgersi dell’interazione di diverse parti del sognatore
stesso: i complessi autonomi si associano e si separano costantemente. Le loro vicende seguono
nella vita onirica gli schemi della sequenza teatrale esiste un antefatto, un’ambientazione, una
presentazione dei personaggi, cui segue l’inizio dell’azione, la peripezia, il culmine e la lisi.,
Attraverso i cambi di ruolo, le parti “altre” vengono restituite al sognatore e condivise dal gruppo,
che le vive in prima persona e le riflette.
Lo spazio scenico dove si concretizzano via via le immagini psicodrammatiche diviene il
palcoscenico di emozioni che animano il mondo interno del protagonista e del gruppo. Le immagini
appartenenti al sogni, dapprima racchiuse nel mondo interno dei singoli, riscoprono una possibilità
di comunicazione nello spazio evocativo che si è creato.
Il cerchio come immagine mandalica della totalità, simbolo della completezza e dell’equidistanza
dal centro, separa uno spazio “esterno” a cui si ritorna quando il rito ha esaurito la sua
celebrazione, dallo spazio “interno”, dove una sorta di protezione dal cosiddetto “fuori” permette
il catalizzare l’emergere e il prendere forma delle energie psichiche.
Il conduttore siede con gli altri partecipanti all’interno del cerchio, contribuendo alla strutturazione
dell’immagine mandalica. Da questo punto inizia lo spostamento delle energie e delle aspettative
dal conduttore al gruppo nelle diverse fasi.
I sogni di qualche componente del gruppo che riguardano il gruppo stesso incontrano l’interesse
di tutti. Quando un sogno viene scelto in base all’attenzione che suscita, si tratta solitamente di una
sorta di metafora che riguarda, attraverso l’espressione del singolo, il gruppo stesso.
Il lavoro nelle scene si mantiene essenzialmente fedele alla narrazione del protagonista. Tuttavia,
successive reazioni e risonanze individuali riaffiorano poi spesso nello sharing o in successivi temi,
giochi o sogni.
Il sogno-metafora può sottolineare aspetti del gruppo palesi o reconditi; attraverso la costruzione
delle immagini psicodrammatiche, ne vengono messe in luce diverse sfumature.
Jung distingue un “pensar per immagini” e un “pensare indirizzato”: il primo richiede una sorta di
passività propria dell’ascolto, mentre il secondo è un movimento del pensiero, una sorta di
riorganizzazione attiva o di rielaborazione in un racconto di ciò che passivamente è stato
precedentemente recepito.
In psicodramma, così come nell’analisi, c’è un continuo alternarsi di questi due momenti, nello
psicodramma si aggiunge l’azione. Il gruppo ha parte attiva in tutto ciò.
Così come avviene che il narratore di fiabe si ritrovi più o meno inconsciamente ad aggiungere
particolari o a mutare aspetti ai temi della narrazione, analogamente il sogno narrato assume
forme diverse a seconda degli interlocutori e, ancora di più, muta attraverso la ricostruzione delle
immagini oniriche in immagini psicodrammatiche personaggi scelti, gli sguardi, il contesto,
l’atmosfera del gruppo, ne ricreano la storia mettendone in luce aspetti differenti attraverso cui il
gruppo esprime le sue metafore.
Il sogno riflette spesso la situazione esistenziale del sognatore medesimo, espressa sotto forma di
metafora. La tecnica moreniana prevede che il protagonista dormiente venga messo in scena,
mentre di fronte a lui si svolge la trama onirica.
Le immagini oniriche riprendono, in modo apparentemente scoordinato e sconnesso, le trame
sottili della vita diurna.
Il sogno esprime, attraverso un linguaggio metaforico, la situazione presente in cui si trova il
protagonista e la sua storia, che si riflette in quella del gruppo attraverso le sue immagini.
Il sognatore, attraverso la costruzione di immagi messe in scena, si mette in viaggio assieme al
gruppo per cercare quale metafora della sua vita viene rappresentata dalla immagini del sogno e
quali nessi mantengono o aprono con la sua vita diurna.
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Sia Moreno sia Jung sottolineano questa visione prospettica la nostra vita diurna come frutto,
almeno parziale, di ciò che la vita onirica ci mostra nei sogni e di come questi ultimi abbiano il
potere di influenzarla.
In psicodramma, attraverso i cambi di ruolo, la visione prospettica del sogno assume diverse
angolature, che ci permettono sia di focalizzare la possibile evoluzione di nodi conflittuali sia di
intravedere nuove potenzialità di elaborazione.
Talvolta l’inconscio si permette, attraverso il sogno, di indicare falsi percorsi, fornendo messaggi
paradossali.
Helmut Barz sottolinea come sia fuorviante parlare di “interpretazione” dei sogni; questo termine
suggerisce l’idea di una lavoro in cui predomina la funzione “pensiero” appoggiata dall’intuizione,
ma in cui poco spazio resta alle funzioni sentimento o sensazione. Al termine “interpretazione”
propone di sostituire quello di lavoro sui sogni.
Attraverso la rappresentazione della scena onirica, si realizza sia la frammentazione dei consueti
legami spazio-temporali attraverso l0ingresso in una realtà dove tutto è possibile, sia, attraverso la
ricostruzione concreta di scene, l’apertura di nuove possibilità attraverso la creazione di schemi di
riferimento non ancora sperimentati.
Conduttore come guida e garante dell’equilibrio emotivo del gruppo stesso cogliere messaggi
sotterranei che, a volte, il sognatore ignora. Individuare quali nodi conflittuali il sognatore è in
grado di accettare in quel momento e quali è meglio svelare successivamente deve essere in
grado di filtrare il materiale. È fondamentale che sappia modulare in modo appropriato la sua
presenza fisica ed emotiva nel gruppo.
Le osservazioni rappresentano il completamento della cornice in cui è racchiusa la sessione
psicodrammatica. Relativamente alla immagini oniriche, si potrà osservare che cosa ha colpito il
gruppo e i singoli componenti, quali immagini catalizzano di più l’attenzione.
Attraverso le osservazioni possono essere sottolineate connessioni con la realtà del gruppo e dei
protagonisti; è possibile osservare quali temi siano stati approfonditi e quali siano stati lasciati
cadere, interrogandosi a proposito; viene messa in luce l’evoluzione delle immagini oniriche
attraverso la loro trasformazione in immagini drammatiche e quali sono stati i sentimenti e le
emozioni che li hanno accompagnati.
La ritualità dello psicodramma è un’altra componente fondamentale. La ritualità iniziatica ha il
compito di trascendere la realtà del mondo quotidiano, rimandando alle realtà più profonde e più
ampie proprie del mito. Grazie alla sua affinità con il rituale, il lavoro analitico sia individuale sia di
gruppo favorisce facilmente l’affiorare di immagini iniziatiche, che prendono forma nei sogni, nel
materiale inerente alla quotidianità che viene portato al gruppo.
Lavorare analiticamente sui temi della simbologia iniziatica in un contesto di gruppo permette alla
psicoterapia di affrancarsi dal rischio di una dimensione troppo narcisistica di rapporto con sé
stessi. Grazie al concetto di iniziazione è infatti possibile rendersi conto di come, nell’ambito del
lavoro analitico e psicodrammatico, l’individuo entra in contatto con le immagini archetipiche che
popolano la propria psiche, in un contesto non sono individuale, ma anche collettivo. È proprio
questa l’esperienza a cui conduce lo psicodramma attraverso l’azione e la messa in scena, si
tratta di permettere l’ingresso dei singoli partecipanti in una sorta di flusso energetico che si
sviluppa attraverso il vivere insieme un’esperienza che agisce per ciascuno come cassa di risonanza
di elementi personali e collettivi allo stesso tempo.
L’esperienza chiave a cui conduce lo psicodramma fino dai tempi di Moreno: attraverso l’azione e la
messa in scena, si tratta di facilitare e di permettere l’ingresso dei singoli partecipanti in una sorta
di flusso energetico, che si sviluppa ponendo in contatto il gruppo e il conduttore stesso attraverso
il vivere insieme un’esperienza che agisce per ciascuno in ogni attimo come cassa di risonanza di
elementi personali e allo stesso tempo collettivi.
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Per mezzo della drammatizzazione, i temi del sogno assumono uno sviluppo e un’evoluzione
spontanea che va al di la di qualsiasi interpretazione verbale. Nel contesto del gruppo è possibile
lasciarsi andare alla corrente e al flusso delle emozioni e dei sentimenti evocati dalle immagini
oniriche. Queste si esprimono attraverso un linguaggio complesso e la loro rappresentazione
coinvolge tutte e quattro le funzioni psichiche junghiane: intuizione, sentimento, pensiero,
sensazione.
All’ingresso sulla scena, il protagonista fa spesso esperienza di inquietudine o paura, in quanto
implica la rinuncia a ciò che solitamente è “privato” l’entrare nello psicodramma, attiva
immagini archetipiche legate al sacrificio. Si tratta del sacrificio temporaneo della propria
individualità il gruppo richiede questo sacrificio temporaneo per poter partecipare a uno spazio
condiviso.
La disposizione in cerchio permette ai presenti di essere seduti in modo equidistante dal centro, di
poter partecipare in egual misura a uno spazio-realtà condiviso; esso rappresenta fin dall’inizio
un’immagine simbolica frequente nell’ambito del pensiero junghiano: il mandala.
Pensando allo psicodramma junghiano il palcoscenico, ovvero lo spazio circolare creato dai
partecipanti, è sempre rappresentato dal mandala.
Jung aveva riconosciuto alla psiche una funzione “naturalmente religiosa”, spostando il conetto di
libido dalla concezione biologica e causale del pensiero freudiano a una visione finalistica, volta
verso una ricerca di significato dell’esistere stesso. Meta ultima della libido è la ricerca del Sé inteso
come simbolo della totalità e meta del processo di individuazione.
L’intero processo è guidato dalla funzione trascendente, che indirizza l’inconscio favorendo
l’affiorare di immagini simboliche attraverso sogni e fantasie, a volte del tutto criptate, legate a
complessi ideo-affettivi e archetipi.
Un rischio da tenere presente è che un gruppo ben protetto, delimitato e lungo termine nei suoi
spazi acquisisca una connotazione chiusa e a rischio di sterilità.
Così come la psicoterapia mira, in modo più o meno esplicito, ad ampliare le potenzialità
relazionali dei singoli, la terapia di gruppo si può dire che lavori nella stessa direzione, monitorando
continuamente il processo di apertura a nuove relazioni sociali e all’incremento delle capacità di
incontro e di dialogo.
È importante che il “nuovo” venga messo in condizione di trasformarsi da possibile fonte di
destabilizzazione, caos, confusione e minaccia in elemento creativo e portatore di innovazione e
cambiamento.
Social Dreaming Matrix simile alle esperienze di large group, anche se più focalizzate, almeno
nelle indicazioni iniziali, alla condivisione di materiale onirico offerto in forma quasi del tutto
anonima. Nella Social Dreaming Matrix i partecipanti si siedono su sedie o su cuscini che
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delimitano una forma a spirale (una disposizione che non permette uno scambio di sguardi diretto)
e sono invitati a chiudere gli occhi nel corso dell’esperienza. La spirale aperta permette ad altri di
aggiungersi anche durante l’esperienza in corso. Il silenzio e l’ascolto sono richiesti in modo
implicito attraverso un linguaggio di gesti o di comunicazioni non verbali. Solo il tempo è
circoscritto in un intervallo temporale limitato; il numero dei partecipanti che si possono
aggiungere sono definiti unicamente dalla struttura della sala e dalla disposizione delle sedie o dei
cuscini. Il songo condiviso in questo contesto è la “matrice” stessa e si trasforma in veicolo di
comunicazione. Nella seconda fase, ovvero il passaggio a successivi approfondimenti del materiale
emerso, scelto dal gruppo, a differenza della prima, il gruppo mantiene la sua stabilità ed è chiuso,
almeno temporaneamente, ai nuovi ingressi. I temi a cui il gruppo da voce permettono l’emergere
dei contenuti costellati dall’inconscio collettivo del gruppo stesso, in relazione al processo di
individuazione.
CAPITOLO 25: I sette mondi del sogno e la loro rappresentazione nello psicodramma junghiano
Nell’universo del sogno esistono “sette mondi”, ovvero categorie di sogni, che richiedono modalità
di lavoro differenti in analisi, nei gruppi analitici e, nello specifico, nello psicodramma junghiano.
Sia Freud sia Jung sottolineano l’importanza del lavoro associativo; Jung, in particolare, enfatizzava
l’importanza di soffermarsi sulla prima o sulla seconda associazione.
Sicuramente, il sogno va contestualizzato nella relazione terapeutica.
Il simbolo è il migliore modo per esprimere un dato di fatto relativamente sconosciuto. I simboli
sono per Jung dei mediatori di energia tra inconscio e conscio e tra l’inconscio personale e
l’inconscio collettivo.
Il sogno ha anche una funzione compensatoria, una sorta di autogoverno della psiche che ha lo
scopo di un adattamento completo attraverso una dialogo tra inconscio e conscio sono un
indizio, un sintomo che l’individuo non è più in sintonia con l’inconscio.
Nella concezione di Freud, il sogno è sempre letto in chiave personale e intrapsichica. Jung postulò
invece l’esistenza di grandi sogni che avevano un senso sociale.
1) Il SOGNO SOMNIUM sogni simbolici, ovvero quelli per cui è necessaria un lavori di
traduzione interpretativa. È importante comprendere l’inizio e il luogo del sogno simbolico
comprendere l’inizio del sogno può aiutarci nel comprendere il sogno in maniera
generale.
Ci sono sogni simbolici che hanno un significato prospettico, finalistico: il simbolismo del
sogno porta ad affrontare qualcosa che sta per accadere.
Analisi individuale: nell’analisi individuale, i primi indizi dei rebus rappresentati dai
sogni simbolici, sono fonte di riflessione per l’analista. Queste informazioni saranno
utilizzate nell’ambito del processo interpretativo e gli indizi saranno collegati ai dati
emergenti dal resto della trama del sogno e dalla conoscenza del sognatore.
Rappresentazione: nello psicodramma junghiano, è importante rappresentare la prima
scena di un sogno anche se essa costituisce solo una parte di un sogno lungo. Spesso la
presentazione di un sogno in un gruppo o in una seduta individuale è un modo di
richiedere, di esprimere una Gestalt emotiva aperta e talvolta sanguinante, in tutta la
sua problematicità.
2) La VISIONE o SOGNO VISIO ci descrive un’immagine precisa di come si svilupperà un
evento che avrà luogo in futuro. Sono molto rari.
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consiste, in fondo, nel fare emergere, attraverso i sogni, le Gestalt interiori che danno un
senso alla vita.
Analisi individuale: I sogni ricorrenti presentano una notevole difficoltà interpretativa
perché i contenuti onirici cronicizzati bloccando la spontaneità dei nessi associativi,
impediscono di tornare al ricordo del primo sogno della serie. Prima di interpretarlo, il
sogno va accompagnato con tutte le funzioni psichiche: va disegnato, rappresentato,
scritto, giocato per ripristinare il collegamento con il motivo oscuro e segreto che lo ha
attivato.
Rappresentazione: nel lavoro psicodrammatico è utile chiedere al protagonista di
soffermarsi su un momento della rappresentazione del sogno in cui si trova in alterato
stato di coscienza, di chiudere gli occhi e di associare il primo ricordo che emerge
precedente alla prima manifestazione del sogno.
7) Il SOGNO SOCIALE o “GRANDE SOGNO” non parlano solo del destino del singolo, ma
parlano della collettività, hanno info che parlano del gruppo. Gordon Lawrence, ideatore
del modello del Social Dreaming Matrix, sostiene che è limitativo vedere il sogno secondo
una chiave interpretativa unicamente personale intrapsichica. Alcuni sogni hanno
contenuto sociale, percepiscono una dinamica in un campo sociale, gruppale, comunitario
e concepiscono in modo immaginativo soluzioni creative delle tensioni di forze opposte la
cui complessità è spesso rappresentata simbolicamente.
Nei sogni sociali il sognatore, spesso, riesce a cogliere qualcosa del piccolo gruppo o della
comunità in cui è inserito e a dare importanza ai contenuti del sogno per scopi sociali.
Rappresentazione: Il sogno fu rappresentato ripetutamente dalla protagonista con
diversi cambi di ruolo e costituì una svolta per il gruppo che raccolse il messaggio del
giudice Falcone. Oltre a imprimere un nuovo senso alle pratiche professionali dei
singoli, la rappresentazione contribuì ad accrescere la coesione del gruppo.
Il compito dl conduttore consiste nel far crescere nel gruppo le immagini e il messaggio
del sogno sociale affinché sia vivo nella memoria. Il sogno dev’essere drammatizzato più
volte, con sacralità, facendo sì che il protagonista depositi nella drammatizzazione tutta
la carica emotiva delle proprie immagini oniriche.
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