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SHAKESPEARE E IL META-TEATRO

Lo specchio su cui Shakespeare vuol far sì che l'uomo si rifletta è quello buio del palcoscenico su
cui egli va a rappresentare le proprie opere; il Teatro è per il drammaturgo di Stratford-upon-Avon
quindi il luogo della riflessione declinata come indagine sul reale e sull'umano.

Nel fare ciò egli ricorre in diverse opere a quella tecnica teatrale nota sin dai tempi della antichità
classica e del teatro plautino che consiste nella messa in scena, durante una rappresentazione
teatrale, in una seconda rappresentazione all’interno della prima da parte dei personaggi di
quest'ultima: il Meta-teatro. La natura fittizia ed illusoria dell’intera rappresentazione è così portata
agli occhi del pubblico, che viene stimolato alla riflessione critica. Fra le diverse opere in cui
Shakespeare utilizza una seconda rappresentazione scenica interna alla prima, la più interessante è
senza dubbio Hamlet (Amleto), vero e proprio caposaldo della produzione teatrale moderna. Nel
dramma di un figlio risoluto a vendicare l'assassinio del padre e l'usurpazione del trono di
Danimarca assume importanza centrale la ricerca della Verità; quest'ultima secondo Amleto può
essere trovata solo vedendo la reazione dell'uomo posto dinanzi al riflesso del proprio essere, ed
ecco perché saggiamente egli decide, nella seconda scena del III atto, di inscenare una
rappresentazione per la corte di Elsinore, "L'assassinio di Gonzago", vicenda non dissimile da
quanto accaduto a suo padre, per osservare la reazione di Claudio, suo zio e nuovo re: se egli si
fosse mostrato turbato le accuse del fantasma di suo padre nei suoi confronti sarebbero risultate
fondate.

Parlando con uno degli attori poco prima della messinscena, Amleto si lascia andare a delle
osservazioni che trascendono la sua vicenda personale, permettendoci di percepire dietro di lui la
visione di Shakespeare stesso sul teatro e sulla aderenza di esso alla realtà:

«Il gesto sia accordato alla parola

e la parola al gesto, avendo cura

soprattutto di mai travalicare

i limiti della naturalezza;

ché l’esagerazione, in queste cose,

è contraria allo scopo del teatro;

il cui fine, da quando è nato ad oggi,

è di regger lo specchio alla natura,

di palesare alla virtù il suo volto,

al vizio la sua immagine,

ed al tempo e all’età la loro impronta.


Se tutto questo dall’azione scenica

riesce esagerato o impicciolito,

potrà far ridere l’incompetente,

ma non potrà che urtare il competente

il cui giudizio deve aver per voi,

che siete del mestiere, più importanza

di un’intera platea di tutti gli altri.

Ho visto e udito attori

(e udito anche lodarli e stralodarli,

per non dire di più, quantunque privi

d’accento e di movenze nel gestire

non dico da cristiani o da pagani

ma nemmeno da uomini comuni),

recitare gonfiandosi,

sbuffando e urlando in modo sì scomposto

da far pensare che madre natura

abbia commesso a fabbricare uomini

a qualche manovale da strapazzo,

che li abbia impastati malamente,

tal era la maniera abominevole

con la quale imitavano il reale». 1

L'esagerazione quindi non può trovar spazio sul palcoscenico del teatro, secondo le parole di
Amleto-Shakespeare, giacché essa non fa parte di quella natura che esso ha il rappresentare come
specchio fedele.

L'elemento scenico dello specchio in Amleto, simbolo del doppio e riflesso della coscienza, è
stato sottolineato ed ancor più centralizzato in una recente interpretazione del dramma
shakespeariano ad opera del regista teatrale lituano Oskaras Korsunovas: Amleto allo specchio, nel
quale – con magistrale inventiva – affida al medesimo attore, come acme della specularità, il ruolo
del re ucciso e quello del fratello usurpatore Claudio.

1 William Shakespeare, Amleto, a cura di Goffredo Raponi, traduzione di Goffredo Raponi, 2016.

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