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PLAUTO

VITA
Il nome del poeta è fra i tanti dati incerti. Diverse fonti chiariscono e suggeriscono che Plauto fosse nativo di Sàrsina, cittadina
appenninica dell’Umbria. Plauto, come molti poeti latini, non era originario di Roma, e non appartenevano ad un’area italica già
pienamente grecizzata. Plauto era in oltre un cittadino libero. Ciò che sappiamo con certezza è la data di morte, il 184 a.C. ,
mentre la data di nascita possiamo ipotizzarla grazie a Cicerone, secondo cui Plauto scrisse ormai da anziano la commedia
Pseudolos, che risulta essere rappresentato nel 191 a.C. , e la vecchiaia per i romani cominciava a 60 anni. Perciò noi possiamo
ipotizzare la sua nascita attorno al 255 e 250 a.C. Il periodo più proficuo per Plauto è intorno al 200 a.C.
OPERE E FONTI
Plauto fu un autore di grande successo, ed un autore estremamente produttivo. Pare che nel corso del II secolo circolassero
centotrenta commedie associate al suo nome; tuttavia, non è dato sapere quanto effettivamente gli appartenessero. Verso la fine
del II secolo cominciò un’attività editoriale, che ha grande rilevanza nel suo percorso artistico. Di Plauto furono condotte vere e
proprie “edizioni” ispirate ai criteri della filologia alessandrina, La fase critica di trasmissione dei suoi testi scritti, fu segnata
dall’intervento di Varrone, il quale, nel De comoediis Platinus, ritagliò nell’imponente scritto un certo numero di commedie:
-Amphitruo
-Asinaria (commedia degli asini)
-Alularia (commedia della pentola)
-Bacchides
-Captivi (i prigionieri)
-Càsina
-Cistellaria
-Circulio
-Epìdicus
-Maneachmi
-Maneachimi
-Mercator
-Miles gloriosus
-Mostellaria
-Persa
-Poenulus
-Pseudolus
-Rudens
-Stichus
-Trinummus
-Traculentus
In molteplici delle sue opere vi è un’indiscussa prevedibilità degli intrecci, si tratta comunque di una prevedibilità voluta. Non è
suo interesse porre degli interrogativi sul carattere, ne ha particolare interesse per l’etica e la morale. I personaggi che lui è solito
utilizzare si riducono ad un numero limitato di “tipologie”, che riservano normalmente poche sorprese: il “servo” astuto, il
vecchio, il giovane amatore, il leone, il parassita, il soldato vantone. Queste tipologie di personaggi vengono inquadrate già dai
prologhi, in modo tale che fin da subito il pubblico possa intuire cosa accadrà a breve. Appurato che una delle caratteristiche
principali sia la prevedibilità. Molto spesso nelle sue opere teatrali, vi è uno scontro tra i due antagonisti per il possesso del
“bene”, solitamente una donna e\o una somma di denaro per accaparrarsela e la conclusione è la vittoria di uno e la sconfitta
dell’altro. È solito che accada che il personaggio giovane sia il vincitore, e che il perdente abbia in se la giustificazione per essere
il perdente (ad esempio il vecchio), in modo tale che la vittoria finale di una parte sull’altra trovi piena rispondenza nei codici
culturali che il pubblico già possiede, confermando le aspettative legittime. Adottando questo schema, Plauto è poi libero di
puntare il suo interesse su particolari forme dell’intreccio. La sua forma preferita è quella che viene spesso definita la commedia
del servo. La base sta in questo: l’azione di conquista del “bene” messa in gioco è delegata dal giovane ad un servo ingegnoso,
progressivamente però i suoi servi crescono e si ingegnano, creando inganni, arrivando a terrorizzarli. Al centro delle opere più
mature c’è un’artista della frode, che sotto agli occhi di tutti riesce ad ingannarli. Nonostante la solida coppia “servo raggiratore-
giovane desiderante” sia quella che l’autore preferisce, certo non gli impedisce di creare delle varianti, ma lo schema continua a
funzionare perfettamente. Scandita è anche la scansione temporale, che prevede tre precise fasi: il servo medita l’inganno, agisce
ed alla fine trionfa. Per completare in nostro quadro, manca solo una figura, quella della Fortuna, la Tyche che è la regina
indiscussa del teatro ellenistico. La presenza della Fortuna nelle sue opere ha un forte valore stabilizzante. Il servo ha bisogno di
un’alleata nei suoi inganni. La trama comica stessa ha bisogno di uno scatto irrazionale che crei imprevedibilità. Accanto alla
commedia del servo Plauto afferma un’altra sua preferenza importante, ovvero quella dell’identità nascosta o perduta che alla fine
della storia viene scoperta o ritrovata. Questo tema può comparire anche alla fine della storia, con uno scatto fortunato che
permette l’azione conclusiva. In molte delle suo storie, lo schiavo fa un lavoro immorale, svolto per particolari fini, ma che grazie
alla Fortuna riesce a far trionfare. Lo schiavo lavora su una realtà già esistente, con l’intento di ingannare, confondere, cambiare
connotati. Il contrasto tra messinscena e realtà, seppur divertente, non può durare per sempre. Ed è grazie alla Fortuna che
possiamo scoprire una realtà più autentica e sincera di quella iniziale, quella su cui lo schiavo lavorava i suoi trucchi. “Commedie
della Fortuna” e “commedie del servono”, riescono così a trovare un’interessante equilibrio, saldandosi così in una visione del
mondo capace di inesauribili e potenziali comicità.
I MODELLI GRECI
La grandezza comica di Plauto è per noi più facile da cogliere, rispetto ad un altro aspetto; la maestria ritmica, i numeri innumeri
di Plauto, che ci permettono in oltre di risalire a lui, sono parte integrante della sua arte, tuttavia noi ne cogliamo una misera parte.
Questo suo personale aspetto lo distacca completamente dai modelli greci, anzi la predilezione di Plauto a preferire le forme
“cantate”, quindi il “riscrivere” il contenuto di una scena passando dal codice prosaico alle fantasiose armonie dei canti e già una
notevole autonomia artistica. Plauto si preoccupa molto poco di comunicare, nelle sue opere, i modelli da cui trae ispirazione,
forse perché presuppone che il suo pubblico non sia così acculturato da riconoscere le citazioni presenti, in riferimento a famosi
modelli. I titoli di Plauto non sono quasi in nessun caso trasparenti traduzioni di titoli greci. In oltre l’uso dei nomi degli schiavi
come titolo ha poco a che fare con la prassi greca. Seppur Plauto accinga a numerosi poeti greci, e chiaro che in lui non vi sia
alcuna preferenza per qualcuno di essi. Questa è una conseguenza importante, che ci fa comprendere che lo stile di Plauto varia da
commedia a commedia. Le trasformazioni generali delle linee generali sono sicuramente meno profonde, ma pur sempre
significative: a cominciare dalla ristrutturazione metrica e dalla cancellazione della divisione in atti, in oltre Plauto non da mai il
nome di un personaggio che l’originale gli attribuiva, e per di più inserisce una serie di nomi che non sono mai stati inseriti nella
scena a. Tuttavia, e pochissimi nomi riappaio di commedia in commedia, ed inoltre sceglie nomi greci ma non gli stessi dei
modelli. Plauto lavora in maniera maniacale per assimilare i singoli modelli attici e tutto il loro codice formativo, lavorando con
la stessa intensità per distruggere ogni traccia dei modelli che si era scelto.
IL “LIRISMO COMICO”
Il confronto con i modelli greci ci consente di avere un metro di giudizio e di paragone. Tuttavia, può produrre diverse
incomprensioni se usato in modo esclusivo. Nel caso di Plauto i modelli sono perduti, l’interpretazione resta soggetta ad un
movimento circolare. Attraverso la “critica analitica” è possibile avere una buona comprensione dei testi di Plauto. Plauto
trasforma i suoi modelli secondo tendenze e preferenze che possono o meno piacere, rimanendo però coerente ed orientati
secondo un senso preciso. Plauto tende a trascurare la severa coerenza dell’azione drammatica e le sfumature del carattere.
Tuttavia, non si deve pensare che si debba ridurre il teatro ad una singola psicologia, Plauto semplicemente decide e costruisce
un’“altro teatro”. Plauto rinuncia alle virtù di certi modelli greci per spostare l’accento su altri interessi. È ormai certo che il suo
“tipo” preferito di personaggio sia quello del servo, creatore di inganni e risolutore di situazione. È quasi sempre lo schiavo che
ha in mano le redini dell’intreccio. per tanto il servo portatore d’inganno e quindi fonte di comicità. Il servo è il personaggio che
più di ogni altro gioca con le parole utilizzando metafore, doppi senso, allusioni e battutacce; quindi, rimane lui il vero porta voce
della creatività di Plauto. Pur essendo a livello sociale, il sevo, un personaggio debole, riesce comunque ad essere il perno
centrale delle sue storie, addirittura Plauto assimila altri personaggi a questo ruolo e a questo livello.
LA STRUTTURA DEGLI INTRECCI E LA RICEZIONE DEL TEATRO PLAUTINO
Plauto, nei suoi intrecci, è fortemente legato al cogliere le intenzioni autentiche e storicamente determinabili. Nelle sue opere
possiamo notare come la ricerca del “bene”, che potrebbe riferirsi a una donna come a\o del denaro, porti al vacillare dei valori
sociali e familiari. Persone libere vengono trattate da schiavi, padri desiderano donne desiderate dai figli e così via. In questa fase
dell’opera, tutti i valori e tutto ciò che il pubblico considera normale minaccia di essere spazzato via; è normale che i figli
corteggino delle donne e che le persone libere siano trattate come tali. Pur trattando argomenti di un certo, se vogliamo, spessore,
Plauto non entra mai in un’analisi profonda di ciò che accade senza alcuna riflessione critica. Qualche volta questa crisi confonde
e rimescola anche i valori generali e fondamentali dell’identità personale, facendoci trovare in una “commedia degli equivoci”. La
fine tipica di queste commedie è e la risoluzione di tutti i problemi, rimettendo a posto le cose, creando un senso di sollievo e
appagamento nel pubblico. I temi trattati nelle opere di Plauto, sono problemi quotidiani, quali la disponibilità delle donne o l’uso
del denaro in famiglia, e l’utilizzo di nomi e luoghi greci consente che il genere comico risieda altrove, ed i dettagli utilizzati
consentono una facile ambientazione. Lo schiavo, che governa numerose opere di Plauto, risulta essere incompatibile con la
trasmissione di un “serio” messaggio. Egli è la fonte del principale divertimento, e consenta all’autore di marcare il distacco dai
suoi modelli. Il voler utilizzare uno schiavo come personaggio principale, non ha come volontà ultima il voler corrodere i dogmi
della vita sociale, le azioni scorrette che lui compie ed amorali, è solo il voler distaccare e sospendere la normalità dettata dalla
vita quotidiana. Il raggiungimento dello scopo finale dello schiavo, verso un finale legittimo, seppur raggiunto con mezzi
scorretti, è accettabile da tutti. Da questa contraddizione di fondo nasce il paradosso di un’arte che sfugge alle nostre razionali
convinzioni. Plauto non vuole proporre al pubblico una scelta tra realismo e finzione. I personaggi sono così incentrati a giocare
su sé stessi e a mettere in forse la loro verisimiglianza che impedisce al pubblico di porsi questa domanda.

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