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Tito Maccio Plauto

Plauto è il primo letterato importante della letteratura latina. Scrittore di palliate, ebbe un immediato successo
grazie alla sua invettiva verbale, alle trovate comiche estemporanee e alla varietà metrico-stilistica. La
licenziosità delle sue opere lo ha portato ad essere dimenticato nel Medioevo, ma sarebbe stato scoperto in
seguito dagli umanisti.
Vita: È originario di Sarsina. La diceria per cui avrebbe lavorato da schiavo presso un mulino è una falsità,
dovuta all’accostamento che si fa di Plauto con la figura del servo, rilevante nelle sue commedie. Era quindi
un uomo libero. L’unica data certa della sua vita è quella relativa alla sua morte, avvenuta nel 184 a. C. Resta
quindi da stabilire la data di nascita: nel Cato Maior, Cicerone ci riferisce che Plauto ha scritto lo Pseudolus
da senex, un appellativo che i romani davano agli uomini ultrasessantenni. Questo ci porta a considerare la
data di nascita in un periodo compreso tra il 255 e il 250 a. C. e l’attività letteraria tra il 215 a. C. ca. e la data
di morte.
Opere: Al successo che portarono le sue opere conseguì un numero esorbitante di plagi e imitazioni: più di
130 commedie erano legate al nome di Plauto nell’antichità. Questa situazione portò gli eruditi di metà II sec.
a compiere un’attività editoriale sui testi di Plauto (cosa che portò tra l’altro l’aggiunta di didascalie e delle
sigle dei personaggi). Fondamentale fu il contributo di Marco Terenzio Varrone, a cui si deve il cosiddetto
“canone varroniano”, una selezione di ventuno commedie ritenute autentiche tra i vari plagi, contenute nel De
comoediis plautinis. Il codice le tramanda nel seguente ordine: Amphitruo, Asinaria, Aulularia, Captivi,
Curculio, Casina, Cistellaria, Epidicus, Bacchides, Mostellaria, Maenechmi, Miles Gloriosus, Mercator,
Pseudolus, Poenulus, Persa, Rudens, Stichus, Trinummus, Truculentus e Vidularia (quest’ultima mutila
dell’ultima parte perché posta alla fine del codice). Difficile stabilire la cronologia di stesura delle opere. Forse
le commedie che presentano una maggiore ricchezza di ritmi e metri sono da considerare in una fase più
matura.
Struttura delle commedie: Le trame sono tutte simili, cosa che provoca una certa prevedibilità da parte del
pubblico. Questa situazione è voluta: a Plauto non interessa porre interrogativi su problemi psicologici o etici.
Motivo per cui i suoi personaggi non presentano spessore psicologico ma si tratta sempre di “tipi umani” (servo
astuto, vecchio, giovane, lenone, parassita…). La prevedibilità è anche accentuata dai suoi prologhi, che non
hanno altra funzione se non quella di esporre antefatti e trama delle commedie.
Lo schema narrativo è quasi sempre lo stesso: un giovane e un vecchio si contestano un bottino, che può essere
una donna o del denaro; da questa contesa esce vincitore il giovane, mentre il perdente il vecchio. Lo status di
questo ultimo tra l’altro giustifica la condizione di perdente in cui si trova, facendo così rispondere la situazione
presentata alle aspettative culturali del pubblico.
Tra gli intrecci messi in atto da Plauto, il più celebre è forse quello ricordato come commedia del servo, in cui
un servo astuto tesse la trama della commedia al fine di far raggiungere al giovane, suo padrone, il proprio
scopo, che sia una donna o del denaro. La coppia giovane innamorato-servo ingannatore è una costante
plautina. Oltretutto, volendo schematizzare, possiamo suddividere l’azione del servo in tre fasi: meditazione,
in cui il servo medita il proprio piano, azione, in cui il piano viene messo in atto, e trionfo, in cui viene raggiunto
lo scopo. La figura del servo ha talmente tanta importanza che non a caso da spesso il proprio nome al titolo
della commedia. Certo non bisogna pensare che il servo sia l’unica pedina che mette in moto la vicenda;
accanto a lui si inserisce una forza onnipresente, impalpabile, che è la Fortuna, ricalcata sul concetto di Τύχη
del teatro ellenistico, che non a caso è il modello a cui guarda Plauto. La Fortuna agisce come un valore
stabilizzante, antagonista e al tempo stesso alleata del servo, necessaria all’imprevedibilità della vicenda.
Un altro intreccio spesso presentato da Plauto è quello della commedia del riconoscimento, anche detto
“agnizione”. Il riconoscimento consiste nella rivelazione di una identità o di una parentela prima nascosta a
tutti, evento che porta allo scioglimento della vicenda. È una vicenda narrativa che spesso porta anche a errori
o confusioni di persone, sfociando così in una commedia degli equivoci. Spesso questa agnizione è frutto del
confronto tra servo e Fortuna.
Rapporto con le commedie greche: È indubbio che i modelli di riferimento di Plauto, soprattutto per l’aspetto
degli intrecci comici, siano quelli della Commedia Nuova di III sec. a. C., di cui Menandro è il massimo
esponente. Ma a differenza di Terenzio, Plauto si guarderà sempre dal comunicare il nome della commedia di
ispirazione, perché il pubblico a cui si rivolge non era di certo ellenizzato; infatti, i suoi titoli non hanno mai
traduzioni di titoli greci. In generale in Plauto si nota una certa varietà di modelli, da Menandro ai meno
conosciuti Difilo, Alessi e Demofilo.
Per quanto riguarda le differenze strutturali, Plauto è presente una ristrutturazione metrica (l’utilizzo cioè di
metri diversi da quelli ellenistici), un’eliminazione della divisione in atti (che rendeva l’azione più continua) e
una trasformazione del sistema onomastico. In particolare i nomi (greci) dei personaggi plautini non sono gli
stessi utilizzati dai comici ellenistici e non si ritrovano tra una commedia e l’altra; probabilmente Plauto era
intenzionato a distaccarsi dal modello greco, utilizzando nomi propri. Si denota quindi un comportamento
bidirezionale: da una parte Plauto assimila i caratteri della Commedia Nuova, dall’altro se ne distacca,
cercando un adattamento dei suoi modelli all’ambiente romano, per rendere più facile la comprensione. Non
poteva in tutto e per tutto rifarsi ai propri modelli. Per di più la volontà di rendere tutto più comprendibile è
presente anche nel suo stile, compatto e coerente in tutta la sua produzione.
Rapporto con il pubblico: Benché fosse assente un fine didattico, gli intrecci plautini portavano comunque il
pubblico a riflessioni circa gli aspetti della loro società. Le situazioni conflittuali messe in scena presentavano
un mondo alla rovescia, in cui vacillavano i valori sociali e familiari: persone libere trattate come schiavi,
mariti che pretendono altre donne, padri che si contestano una donna con il proprio figlio…Lo scioglimento
finale della vicenda portava al ristabilimento dell’ordine, cosa gradevole al pubblico.
Essendo commedie palliate, l’ambientazione della vicenda era sempre greca, così al realismo dell’intreccio si
aggiungeva lo straniamento dei luoghi e della realtà.
Elementi di originalità: Cosa rende Plauto autonomo dai modelli greci? Sicuramente la maestria ritmica: è
celebre la definizione che Varrone e Gellio attribuiscono a Plauto stesso riguardo alla sua varietà metrica,
ovvero numeri innumeri, ‘infiniti metri’. Non a caso Plauto preferisce di gran lunga le parti cantate (cantica),
in cui può fare sfoggio delle sue doti metriche, a quelle recitate (deverbia), staccandosi dallo stile piano dei
trimetri greci.
Diversamente dai suoi modelli, in Plauto è assente la coerenza drammatica delle proprie trame e uno spessore
psicologico dei personaggi, che appaiono per lo più schematici e convenzionali. Ovviamente il personaggio
prediletto da Plauto è il servo, creatore di inganni e quindi di comicità. Questa sua capacità inventiva lo porta
a creare tranelli, trame secondarie, scherzi, burle, rendendosi equivalente del poeta drammatico: per questo
motivo si può parlare di metateatro plautino. Il servo è padrone incontrastato della scena, a differenza della
Commedia Nuova e di Terenzio, e questo porta altri personaggi, socialmente più elevati, ad abbassarsi
drammaticamente al suo livello.
Lingua e stile: Plauto è sicuramente una fonte per conoscere la lingua d’uso medio colto. È data molta
importanza al dialogo, cosa che mette in risalto la funzione emotiva (incentrata sull’emittente) e la funzione
conativa (sul destinatario) del linguaggio.
È presente una certa tendenza al risparmio, un’economicità del linguaggio: si predilige la paratassi all’ipotassi;
c’è spesso ellissi di soggetto e verbo ‘essere’; frequenti frasi nominali; i verbi facio e dico sono preferiti rispetto
a verbi più specifici.
Sono presenti grecismi, che rendono più ricco il linguaggio di Plauto (ubertas sermonis Plautini) e che ne
attestano la presenza anche nella lingua d’uso: chiaro segno dell’influenza greca su Roma.
La lingua di Plauto ha caratteri arcaici, è distante dal latino classico di I secolo.

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