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CIVILTA’ TEATRALE DEL MEDIOEVO LATINO

La letteratura romana è, nell’idea di teatro di cui si fa portatrice, di derivazione greca. L’autore che
ha ottenuto più successo presso il pubblico è Plauto; ma egli è stato anche il meno letterario e,
spesso, può significare anche più spettacolare. Quando Roma comincia a costruire i suoi teatri, vi
colloca non il teatro letterario che desta ammirazione, ma il teatro dei mimi e pantomimi, che al
pubblico colto suscita disprezzo. Si delinea, così, un teatro degradato. L’edificio teatrale non
innesca un processo di teatralità a radicamento funzionale-antropologico, ma viene visto,
semplicemente, come un monumento, di cui la città si serve per ostentare la propria ricchezza. Ciò
nonostante il teatro-edificio romano introduce innovazioni che mutano, non di poco, le
caratteristiche principali. Il teatro romano può essere considerato come un’ibridazione tra il teatro e
l’odeon.
In Grecia, tra essi esisteva proprio una differenzia di funzione di tipologia spaziale, che
determinava un rapporto diverso con il pubblico.
ODEON : costruzione più piccola e coperta, che di solito era affianco al teatro e serviva come sede
di attività accademiche e esecuzioni musicali. Ciò che avviene qui, ha solo funzione di
intrattenimento. Le strutture essenziali erano : il podio e la gradinata semicircolare, per motivi ottici
ed acustici.
TEATRO: il teatro greco classico era composto da una gradinata avvolgente e l’orchestra
semicircolare a unire simbolicamente gli attori e gli spettatori. L’evento teatrale nasce come gesto
religioso, rituale e ha la funzione di coinvolgimento esistenziale.
L’edificio teatrale romano, con la sua struttura spettacolare, si rivela omogeneo alle forme teatrali
che ospita.
Già i fescennini della prima età classica o le atellane dal IV sec. a.C. sono forme portatrici di
un’idea di teatro anti-letterario e basso, in cui il vero fulcro è l’attore. Si tratta di un teatro non-
letterario perchè l’azione è lasciata all’improvvisazione e, soprattutto perchè è l’azione a fare lo
spettacolo, in assenza di valori - dunque un evento, prettamente, di intrattenimento.

Le forme di spettacolo, che più ci interessano, sono quelle del MIMO e del PANTOMIMO. Gli
spettatori convengono in luogo costruito per assistere ad uno spettacolo di passività comunicativa.
In questa idea di teatro, come puro spettacolo, l’elemento comunicativo è l’attore. Questo risulta
essere un fattore paradossale perchè si sa del discredito sociale che circondava l’attore romano.
L’attore romano non ha nulla di religioso e non ha più una dimensione rituale; probabilmente, può
essere uno schiavo o un liberto e proprio per questo diviene oggetto di spettacolo e non
partecipante. Dunque, è evidente che proprio a causa della sua laicità che l’attore tardo-romano è
allo stesso tempo una figura sociale screditata e motore dello spettacolo.
Nel teatro greco la presenza della donna era inconcepibile proprio per la valenza sacrale
dell’evento, mentre nello spettacolo tardo-romano, culturalmente e sociologicamente degradato
anche la donna può salire su un palco, che si è molto abbassato. Questo è coerente con la
spettacolarità degli eventi ginnastici, corse dei carri, gladiatori. I circhi, le arene sono luoghi dove si
mettono in scena questa spettacoli puramente con un fine di intrattenimento e divertimento e i
settori del pubblico sono distinti per classi e, soprattutto il rapporto che lega il pubblico allo
spettacolo è singolare, di ogni spettatore nei confronti dello spettacolo.
Queste sono, dunque, le caratteristiche che lo spettacolo tardo-romano lascia alle epoche
successive : separazione tra spazio dell’azione e spazio degli spettatori; artificialità della
rappresentazione; centralità della figura dell’attore.

Già autori della prima età imperiale, come Seneca, Marziale avevano testimoniato il livello
degradato degli spettacoli; ma, successivamente arrivano LE CONDANNE DEGLI AUTORI
CRISTIANI, soprattutto di Tertulliano.
Gli argomenti per la condanna non sono legati alla moralità; il primo e fondamentale argomento è
che lo spettacolo, qualsiasi spettacolo, per la sua forma e per le sue origini, è idolatria.
Tertulliano, nel De Spectaculis della fine del II secolo, ci mostra come erano gli spettacoli della
Roma imperiale. Per Tertulliano, gli spettacoli sono idolatri per la loro origine e riferimenti continui
dei luoghi e delle azioni che vi si svolgono alle divinità pagane - dunque sono disonesti perchè
attraverso gli spettacolo si venerano gli dei pagani. L’aspetto più interessante è l’accostamento di
Venere al teatro. Tertulliano ci ricorda il contesto religioso della nascita del teatro di Pompeo -
contesto nel quale accadeva che i censori facessero demolire i teatri a tutela della moralità. Per
questo motivo, Pompeo vi sovrappose un tempio di Venere e lo proclamò non teatro, ma tempio.
Tertulliano deduce la negatività dell’elemento teatro dalle valenze dell’elemento Venere, ed è ora
che affiora il dato più significativo della polemica cristiana : il rifiuto della corporeità e della
spettacolarità.
E’ l’aspetto visivo - gli occhi - il bersaglio principale. Sembra esserci, in questi scrittori cristiani, una
sorta di ossessione dello sguardo, per quei vizi che hanno come porta d’ingresso all’anima gli
occhi. Dare spettacolo è dare scandalo, secondo Gerolamo; e se il vizio cattura l’anima è perchè la
rende schiava delle passioni. Ci riportano in brevi passi che il popolo accorreva a spettacoli di
corse, di gladiatori già in preda al furore e all’eccitazione - non sono se stessi. E’ questo che più
polemizzano gli autori : il non essere se stessi degli spettatori.
Lattanzio, altro autore cristiano, insiste sul fuggire qualsiasi tipo di spettacolo.
Per i cristiani non si tratta più di constatare il decadimento, ma di descrivere e condannare i
meccanismi costitutivi della spettacolarità come evento non estetico, ma antropologico.

Agli inizi del Medioevo, a partire dal V secolo, gli edifici teatrali sono abbandonati e vanno in
rovina. Dello spettacolo teatrale, di pantomini o mimi, restano le continue condanne degli scrittori
cristiani. Abbiamo, però, ancora notizie dirette di combattimenti tra gladiatori e belve, e nel 691
abbiamo una notizia del canone 51 del Concilio di Trento che “proibisce assolutamente i mimi e i
loro spettacoli; proibisce inoltre i combattimenti contro le belve e le danze sulla scena.” Occorre,
dunque, pensare che alla fine del VII secolo si dessero ancora non solo i combattimenti, ma anche
le danze su una qualche scena teatrale. Probabilmente, lo spettacolo più popolare e praticato tra
fine V e VI secolo è la corsa dei carri - testimoniato dalla Chiesa che minacciava la scomunica agli
aurighi e rifiutava il battesimo se, non avessero rinunciato alla loro professione. A questi spettacoli
circensi, si aggiungono le finte battaglie con lo scopo di offrire uno spettacolo al popolo e per
evitare che i soldati stessero in ozio. Queste battagliole movimentano tutto l’alto e il medio
Medioevo subendo trasformazioni. Gli spettacoli teatrali adesso sono, dunque, costituiti da tornei,
prove agonistiche, parate - scene di vita pubblica. Gli attori sono comici e tragici, c’è il buffone che
è loquace con i gesti e non parla, il giovane funambolo; ma ciò che è importante davvero è la
figura dell’attore - l’importanza delle abilità degli attori - abilità nobili e circensi. Successivamente,
per un paio di secoli si perdono le tracce dei mimi, ma quello che rimane certo è il valore
socialmente degradato degli attori. Quando il teatro come attività strutturata non esiste più, si inizia
a parlare di TEATRALITA’ DIFFUSA, la quale trova sfogo nelle occasioni festive, sia quelle
comunitarie che quelle più private come le nozze o i banchetti. La partecipazione degli attori ai
banchetti delle feste private è una costante del Medioevo - per non parlare, ovviamente, della
presenza di attori durante le feste pubbliche offerte da principi e regnanti. Quando questa teatralità
si trasforma in spettacolo si istituzionalizzano le categorie degli attori, del pubblico, del teatro.
Trattando della festività si tocca un concetto fondamentale che è quello di cultura popolare. Nel
corso del Medioevo esistono varie forme di cultura legate al sacro, alla natura, agli oggetti e questa
forte cultura è rappresentata da un lato dalla cultura cristiana, dall’altro da quella cavalleresca e
dall’altro dalla cultura umanistica. Nel Medioevo, dunque, il confine tra la cultura ufficiale e la
cultura popolare è molto indefinito. L’uomo medievale non percepisce se stesso se non inserito in
una comunità e questo avviene nella festa che è il momento in cui la comunità si riconosce come
tale. La festa, però, nella concezione medievale è anche il momento in cui si saldano le due
concezioni opposte del tempo : tempo lineare della vita umana e tempo ciclico della natura, che
non muore mai. Il momento in cui queste due concezioni si unificano è la festa. La festa si
caratterizza certamente in una sorta di ritualizzazione - feste legate alla fecondità della terra, i
cambi di stagione, cerimonie di propiziazione - il sostrato del paganesimo è evidente, anche
quando la Chiesa tende a mettere in mostra con questi riti, i propri culti : pasqua, epifania. La
Chiesa, durante tutto il Medioevo, è stata molto dura attraverso le condanne ai ludi, al teatro, agli
attori anche perchè alcune pratiche spesso si insediavano dentro le chiese stesse.
Due sono, dunque, le tradizioni di teatralità diffusa che attraversano il Medioevo : quella dei mimi e
quella della festa e dei riti popolari. Queste forme possiedono le caratteristiche fondanti della
teatralità medievale : la situazione comunitaria, lo scambio di ruoli tra attori e spettatori, il
qualificarsi di queste feste e di questi riti come evento - l’intendere questi atti non nella dimensione
estetica, ma in quella antropologica.

Nel Medioevo, come abbiamo già visto, non si può parlare di teatro, ma di teatralità diffusa e
spettacoli. La Chiesa, soprattutto nell’AltoMedioevo organizza vari concili dove si parla di scena
interdetta - non permessa né a chi doveva agire, né a chi doveva assistere. Il X SECOLO è il
periodo nel quale il Medioevo matura la sua essenza, in cui la Chiesa rafforza il controllo
sull’uomo. Si può, sommariamente, affermare che il vero medioevo si sviluppa dall’anno 1000,
essenzialmente perchè :
- si rafforza il controllo della Chiesa (che si manterrà fino al XII secolo) - varie condanne;
- cambia il punto di vista linguistico - gli autori hanno difficoltà di espressione nel lasciare lo stile
barocco (età carolingia). Si fa cultura, ora, raggiungendo la corte degli Ottoni ( ROSVITA DI
GANDERSHEIM). Si abbandonano i testi classici - autonomia espressiva stilistica - prosa
incomprensibile.
Tra il X e XI secolo, in latino, abbiamo il teatro religioso, il quale inteso nella sua globalità, è il
fenomeno più macroscopicamente documentato della teatralità medievale. Così come nelle altre
religioni si sono sviluppare forme rituali con azioni, così anche dalla liturgia cristiana si sviluppano
forme drammatiche. Perché? Perché il fulcro della liturgia è rappresentato dalla presenza del
Cristo e dei suoi insegnamenti, morte e resurrezione per salvare l’umanità. Questa presenza del
Cristo, del suo sacrificio sembrava quasi una realtà effettiva, all’inizio - il popolo era quasi spinto ad
evocare la vita di Cristo e i suoi momenti salienti, rappresentandoli loro stessi. Non bisogna
dimenticare l’apporto dato alla religione e diffusione del teatro sacro, dei testi dell’Antico e Nuovo
Testamento. Il Cristianesimo assume dal Vecchio Testamento tutto ciò di cui la liturgia era fatta :
processioni, danza, coro.
Tutto questo appare, senz’altro, come un paradosso; ma qualche tentativo di spiegazione lo
riprendiamo da alcuni passi degli stessi Padri della Chiesa per costruire un modello che perdeva la
condanna di un teatro cattivo, ma anche il vagheggiamento di un teatro buono. Tertulliano,
Novaziano, lo stesso Sant’ Agostino si espongono riguardo ciò affermando che questi sono gli
spettacoli dei Cristiani: santi, eterni, accessibili a tutti. Sono gli spettacoli che si possono vedere ad
occhi chiusi, lo spettacolo che è dovuto a colui che viene prima di ogni cosa, il Padre del nostro
Signore Gesù Cristo. Sono spettacoli utili che distruggono e costruiscono: distruggono gli déi
recenti e costruiscono la fede nel Dio vero ed eterno.
Nasce l’idea di dare il contributo al Cristianesimo. Partendo dalla messa, Onorio di Autun scrive
nella “Religionis concordias” che la Chiesa è il teatro, il sacerdote è l’attore che rappresenta Cristo
nell’atto di richiamare gli apostoli alla preghiera e che l’azione drammatica, vera e propria, si ha
quando il sacerdote rievoca il mistero dell’ultima cena. Le condanne della Chiesa, dunque, con il
passare del tempo divengono sempre più ambigue quando essa inizia a diventare teatro, non solo
di festività pagane, ma anche di situazioni drammatiche di origine e di tema religiosi - da un lato
quando gli oggetti delle condanne divengono le feste degli innocenti (che non sono estranee al
fenomeno della nascita e della diffusione della teatralità cristiana), dall’altro quando si ha la
necessità di distinguere i ludi cattivi da quelli buoni. Dal XII secolo la condanna della festività e
teatralità nelle chiese comincia a fare i conti con la realtà dei drammi cristiani. Si consideri, infatti,
tutti gli scrittori cristiani che si sono espressi sui mimi o sui giullari che non si esprimono sui
drammi religiosi - due esempi : Giovanni di Salisbury e Ugo di San Vittore. Il primo ha una propria
e affermata idea di teatro come teatro del mondo nel quale la vita dell’uomo sulla terra è una
commedia in cui ciascuno recita la parte di un altro - quasi tutti, sulla terra, si comportano da
istrioni. Per Ugo di San Vittore ciò che per noi è teatro religioso, è qualcosa di religioso, ma non
teatro. Il punto essenziale della questione risulta essere la gestualità.
E’ possibile, però, ripercorrere la storia della nascita e del primo sviluppo di quello che è stato
chiamato DRAMMA LITURGICO. Le teorie tradizionali hanno sviluppato un modello: all’interno
della ritualità cristiana, in corrispondenza di momenti liturgici importanti come la Pasqua, le festività
natalizie, l’Ascensione, si sviluppano dei nuclei drammatici, che a partire dal famoso “Quem
quaeritis” pasquale (“Chi cercate?”), portano a strutture sempre più ampie. Le ragioni della nascita,
dello sviluppo e della diffusione degli uffici drammatici vengono individuate nella loro funzione
catechetica, didattica a favore di un pubblico analfabeta, capace di essere impressionato
attraverso exempla. La tradizione vede la nascita del “Quem quaeritis” nel monastero benedettino
di San Gallo nella prima metà del X secolo, sotto forma di tropo - breve testo cantato. Drumbl,
invece, individua la nascita nel monastero di origine a Fleury, oggi St-Benoit-sur-Loire, nel X
secolo. Il testo è un dialogo inteso tra gli angeli e le pie donne, le Marie, che si recano al sepolcro
di Cristo, dopo la sua resurrezione. E’ una cerimonia con rievocazione simbolica di un momento
particolarmente carico di significato e di emozione - struttura dialogata che, in sè, non costituisce
un dramma; spazio in base alle esigenze di adesione simbolica dell’episodio che si rievoca.
Sembrano mancare due caratteristiche: rappresentazione e impersonificazione, e la funzione
spettacolare. Non c’è impersonificazione perchè i cantori sono portaparola e non personaggi.
Dunque è chiaro che il “Quem quaeritis” è il nucleo sì, originario da cui si fa discendere tutta la
tradizione del dramma liturgico e del teatro religioso, ma non è nato con funzione catechetica
spettacolare - perchè il punto è quello dell’assenza di ogni forma di pubblico. Questa funzione non
la possiede, all’inizio, neppure un’altra cerimonia, che viene confusa con il “Quem quaeritis” per
l’uso dello stesso testo : la VISITATIO SEPULCHRI. Quest’ultima non è la stessa cerimonia,
perchè è diversa la sua funzione liturgica. Essa non si svolge più presso l’altare, ma presso un
Sepolcro appositamente costruito, alla processione al sepolcro partecipa tutta la comunità, non
solo il coro, si utilizzano accessori come i lenzuoli, i quali avrebbero dovuto racchiudere il corpo del
Cristo morto. La data di composizione è quasi contemporanea al “Quem quaeritis” - X secolo.
Con la diffusione della Visitatio, comincia a comparire un elemento importante, cioè una forma di
pubblico che comporta una funzione catechetica - “Il successo della cerimonia non dipendeva più
da coloro che assicuravano l’esecuzione, ma da coloro che vi assistevano”, E’ soprattutto con la
VISITATIO II che questo effetto si fa più evidente - cerimonia nuova, ampliamento delle scene,
introduzione nuovi personaggi - preoccupazione scenografica. In essa si precisa la funzione
drammatica del coro, che da protagonista che era nel “Quem quaeritis”, diviene regista dell’azione.
VISITATIO I - II
ATTORI: monaci che interpretano anche le parti femminili; costumi appartenenti al corredo
ecclesiastico - stola bianca per l’angelo/gli angeli e la dalmatica per le tre donne.
SCENOGRAFIA e COREOGRAFIA: variabili - dalla struttura processionale che prevede l’arrivo al
sepolcro del coro a quella statica che invia solo le donne; dal dialogo presso l’altare alla
costruzione di un apposito sepolcro.
In molti casi la visita al sepolcro che viene descritta è quella che viene chiamata VISITATIO III.
Databile alla seconda metà del XII secolo e il dramma è più articolato: dialogo delle scene già
conosciute con aggiunta dell’apparizione del Cristo stesso, di altri personaggi come l’unguentarius.
Questo tipo di cerimonia, risolta ormai in una dimensione spettacolare, non ha più la stessa
funzione dei normali riti cui la comunità dei fedeli partecipa, dove anche il fedele ignorante si sente
parte - cambia la struttura e il tono - umanizzazione dei personaggi e tono moderno per avvicinarsi
al gusto del pubblico. Questi aspetti non vanno però percepiti come un progressivo processo di
laicizzazione.
Nelle rappresentazioni generali del ciclo pasquale, che vanno sotto il nome di LUDUS
PASCHALIS, i testi spesso costituiscono una somma delle scene delle Resurrezione, del dialogo
delle Marie con il venditore di aromi, del dialogo di Pilato coi soldati. Il più studiato è quello di
Tours, del XIII secolo perchè è più letterariamente evoluto.
Tra i cambiamenti della cerimonia drammatica c’è il luogo - non più nei monasteri, ma nelle chiese
episcopali. Tra XI e XII secolo la proliferazione è notevole. Per il periodo natalizio, altro momento
importante dell’anno liturgico vediamo la diffusione, però limitata, del “Quem quaeritis in presepe”,
nel quale i pastori si recano a visitare Gesù Bambino. In un primo momento il tasso di drammaticità
è quasi inesistente, tanto che i cantori che interrogano il coro dei pastori non assumono
quell’identità di personaggi che li qualificherà come obstetrices, che assumeranno la funzione che
nella rappresentazione pasquale è degli angeli. La cerimonia si svolge presso l’altare.
Successivamente si cerca di conferire spettacolarità alla cerimonia - sospensione in alto dei
personaggi, volo degli angeli.
Come abbiamo detto, l’altro momento drammatico negli uffici liturgici è quello della visita dei Re
Magi a Gesù e ciò che gli sta intorno: l’incontro dei Magi con Erode, la strage degli Innocenti.
Questa tipologia prende il nome di Ordo Stellae, Officium Stellae. Esso nasce nella schola di un
grande monastero o cattedrale nella prima metà delll’XI secolo. Durante i primissimi secoli cristiani,
esso era legato all’arrivo dei Magi. Successivamente se ne distacca per poi ritenere utile unire le
due parti, per rappresentare meglio il Natale : arrivo dei Magi + il ritorno da Erode con successiva
strage degli Innocenti. Esso, dunque, si diffonde quasi contemporaneo alle Visitatio. L’incipit di
questo dramma è “Stella fulgore nimbo rutilat - una stella di straordinario fulgore risplende”, cui
seguono il dialogo tra i Magi ed Erode in cui quest’ultimo li interroga sui motivi della loro venuta,
poi l’incontro dei Magi con le ostetriche, l’offerta dei doni - oro,incenso e mirra (simbolo di regalità,
funzione di sacerdote e simbolo di mortalità e umanità di Cristo) - il sonno dei Magi durante il quale
appare l’angelo che li avverte di tornare per altra via. Esso, andando avanti nel tempo presenta
una evidente dimensione teatrale e una notevole diffusione. La vera protagonista è la stella, la
quale diviene protagonista delle azioni. L’Ordo Stellae si arresta sempre alle soglie della strage
degli Innocenti, quale episodio non poteva non trovare uno sviluppo drammatico col nome di Ordo
Rachelis - dal nome della donna che, a simbolo di tutte le madri ebree, piange il suo figlio ucciso.
Siamo difronte ad un progetto drammaturgico che non rinuncia all’utilizzo di materiali evangelici e
neppure rescinde i legami con la liturgia, ma che possiede un nuovo scopo e una nuova attenzione
alle regole che si vanno riscoprendo della drammaturgia intesa come genere autonomo. Questa
drammaturgia appartiene al XII e al XIII secolo, per cui non è possibile intenderla come una
evoluzione sostitutiva delle cerimonie drammatiche, che infatti proseguono parallelamente.
Il vero trionfo della spettacolarità, tuttavia, è nel “Ludus de Antichristo”, scritto in latino da un
autore, probabilmente della Germania meridionale poco dopo la metà del XII secolo. Lo spettacolo
è grandioso: il tempio del Signore e sette troni regali, scene di massa con battaglie, assedio,
terremoto finale che rovescia l’Anticristo, e poi tre finti miracoli. Con queste rappresentazioni
teatrali è cambiata la composizione delle compagnie di attori - non più monaci benedettini, ma
scolari almeno per ruoli come quello dei diavoli e dei giullari. Cambia lo spazio: luogo originale
nella storia dello spettacolo - domus, mansiones, sedes - i quali luoghi prendono connotazione dai
personaggi che le abitano.

Nel corso del XII secolo si registra anche l’inizio del teatro religioso in volgare, soprattutto in
Francia o comunque fuori d’Italia, la quale all’inizio si presenta come una contaminazione di
linguaggi - termine tecnico “farcitura” - parti in lingua volgare nel contesto del dramma liturgico in
latino. I primi documenti del teatro europeo, carichi di simbologie, si possono identificare
specialemente nelle : “Jeu d’Adam” e “Seinte Resureccion”.
Il primo è un testo anonimo della metà del XII secolo, in francese occidentale ma forse scritto in
Inghilterra, con lunghe didascalie in latino. Diviso in tre o quattro episodi : storia di Adamo ed Eva,
quella di Caino e Abele, processione dei Profeti e i Quindici segno che annunciano il Giudizio
Finale. Quello che appare primario è la funzione dello spettacolo, del tutto nuova, nei riguardi del
pubblico - struttura comunicativa - l’evento teatrale è un atto di comunicazione che individua un
destinatario nel pubblico che assiste - funzione catechetica. L’uso della farcitura è importante per
capire ciò poiché i dialoghi in volgare sono per gli spettatori illetterati, le didascalie in latino per gli
organizzatori dello spettacolo, colti, poiché egli è colui che cala nella messa in scena i valori e i
contenuti che sono del testo. Luogo scenico : piazza - spazio per il popolo che assiste.
Il secondo documento “Seine Resureccion” è importante perchè esplicita dalla prima didascalia lo
spazio delle mansiones. E’ importante anche perchè prevede la compresenza di attori che recitano
e di un lettore incaricato di fare da narratore. Tutto questo furori d’Italia poiché dentro la situazione
appare diversa perchè non esistono atti di fondazione della drammaturgia in volgare così precisi.
Quello che potrebbe essere l’equivalente di questi documenti, in Italia è un testo in latino, la
famosa Passione di Montecassino. Notiamo qui dei versi (di un pianto della Madonna,in volgare) a
conclusione dell’opera che sono intesi come l’indizio dell’esistenza anche in Italia del dramma
farcito. La caratteristica impressionante è la tensione al realismo totalmente rappresentativa
(Giuda che si impicca, Cristo flagellato e messo in croce e umiliato concretamente, attraverso gli
sputi). Per quanto riguarda il luogo non sappiamo quale sia la collocazione dello spettacolo, se
dentro la chiesa o in un altro luogo. Siamo, dunque, difronte alla costruzione di un evento che non
celebra, ma che rende presenti gli episodi evangelici di cui tratta. Esempio unico in Italia per il
soggetto che rappresenta che è quello della Passione e non quello dell’epoca della Resurrezione;
e poi per il rapporto con il proprio pubblico. I personaggi più interessanti sono il diavolo e la
Madonna. Il diavolo è rappresentato muto, ma è importante perchè mette in scena un discorso
fatto solo di azione. Il personaggio della Madonna conferisce una una forte carica drammatica, una
grande umanità - impregnata di contemporaneità. Presenta il dolore di una madre - atteggiamento
di protendere il ventre verso la croce.
Non è un caso, dunque, che la lauda, lirica e drammatica, alla quale si fa risalire la nascita di
questa nuova drammaturgia ha come fulcro di devozione la Madonna. Confraternite di laudesi,
ossia di laici associati con lo scopo di cantare laude devozionali anche in volgare, in onore della
Vergine sono presenti in Italia, ma è col movimento dei flagellanti che la pratica di riunirsi in
confraternite acquista ampiezza. A favorire la nascita del dramma religioso è da un lato la forza
delle confraternite nei riguardi dei giullari, e dall’altro l’esempio metodologico che ai laici delle
confraternite viene dalle cerimonie liturgiche spettacolarizzate del clero. Il rapporto col mondo
giullaresco insiste su un universo culturale che si è costruito una propria dignità letteraria ed anche
uno status sociale che gli permette di poter funzionare come modello - tanto che in alcune laude
del XIV secolo si può notare la mano di un giullare. Nella concezione dello spettacolo, tipica del
Medioevo, gli attori non escono poi del tutto dalla scena, ossia pur non parlando restano sulla
scena silenziosi assimilando a se stessi, gli spettatori. Da questo punto di vista, la devozione nelle
confraternite significa un recupero della dimensione partecipativa dell’evento religioso. Il fedele
non assiste, ma fa: anche quando ascolta solamente, si sente partecipe dell’evento perchè in
grado di comprendere i significati e le parole. E’ vedere che caratterizza il rapporto del fedele col
rito. Tuttavia, la nuova drammaturgia non è solo una traduzione di quella latina, ma appare
indirizzata verso altri temi col proprio pubblico. Il sentimento religioso si umanizza e si concretizza
nelle figure di personaggi dotati di una psicologia più libera. Centrale è la figura della Madonna -
maggiore coinvolgimento del pubblico dei fedeli. A questo punto bisogna attenuare la divisione tra
drammaturgia del clero e drammaturgia dei laici, l’una poi qualificata come colta e l’altra come
popolare. La fonte della comunicazione rimane nelle mani della Chiesa, che tocca le corde più
accessibili della sensibilità dei fedeli.
Per quanto riguarda la LAUDA, essa nasce in Umbria nel XIII secolo. I luoghi di principale
produzione sono Perugia - che è il centro esportatore non solo della tipologia, ma anche dei
componimenti, poi Assisi, Orvieto e altri centri. Le composizioni drammatiche si trovano o nei
laudari - volumi in cui si trovano riunite le laude - oppure anche in documenti sparsi. Il successo
sociale di questa nuova - che unisce una pratica di religiosità con un sentimento di protagonismo
ritrovato attraverso le confraternite - è inarrestabile. Nelle città maggiori ed aperte alla circolazione,
la linea di sviluppo è verso la spettacolarità. Nella “Natività” senese ci troviamo difronte ad una
spettacolarizzazione notevole perchè ci sono angeli che cantano, ballano e fanno coreografia;
anche i pastori, dopo aver offerto doni a Gesù (vino e formaggio), se ne vanno ballando e
cantando. Dunque, si può dire che è attraverso la visività spettacolare, più che attraverso la forma
drammaturgica che la devozione religiosa lascia campo al teatro. La designazione del luogo può
avvenire anche con una scritta, con un simbolo che vada a qualificare quel determinato spazio; i
costumi tentano di adeguarsi al personaggio, sottolineandone realisticamente la condizione o lo
stato d’animo.
Le grandi rappresentazioni francesi, ma anche quelle tedesche o inglesi, costituiscono davvero
fenomeni di enorme ampiezza, in grado di coinvolgere a vari livelli di partecipazione intere città. A
questo si fa riferimento quando si vuole parlare di teatro medievale. Anche nel tardo Medioevo
troviamo quell’oscillazione di pensiero tra la volontà di osservanza di una tradizione che condanna
e la necessità quotidiana di non privarsi del mezzo scenico. Tanto è vero che alla fine di questo
momento, ricompaiono le condanne del teatro. Il teatro medievale è inestricabilmente connesso
alla dimensione festiva e gioiosa - la spettacolarità medievale è impensabile al di fuori della
dimensione festiva. Un’altra caratteristica è la comunitarietà - il teatro medievale è sempre stato
inteso come fondato sulla comunitarietà. In un mondo come quello medievale non è casuale
collocare un luogo scenico in un punto piuttosto che in un altro, poiché quel luogo è di necessità
teatrale e reale. Un confine importante è quello tra attori e spettatori; nello spettacolo del tardo
Medioevo, c’è una sostanziale uniformità tra universo degli attori e universo degli spettatori.
Tutto il Medioevo non conosce edifici teatrali. Il Medioevo cristiano non può legittimare la pratica
teatrale con un atto che risulterebbe strano, come la costruzione di teatri. Se la teatralità è
condannata ideologicamente, è necessario che quando la si accetti non la si situi in spazi specifici,
ma in spazi già dati e cui le simbologie non sono censurabili - piazze. Per questo lo spazio teatrale
medievale non si sostituisce, ma si sovrappone agli spazi - sono luoghi provvisori. Per la cultura
medievale, innovare è peccato - dunque, non è pensabile che lo scrittore del Medioevo si mette a
tavolino e scrive un testo dotato di un’autonomia letteraria e drammaturgica, che costituisce la vera
opera destinata a venir rappresentata da una compagnia di attori. Il processo è : c’è
un’organizzazione che allestisce uno spettacolo e commissiona ad un poeta un testo che non
costituisca un progetti scenico e drammaturgico, ma che contenga le parole che gli attori devono
pronunciare. Questo modello vale più per l’Italia che per altri contesti.
E’ logico pensare che da un lato gli artisti figurativi trovino ispirazione nelle invenzioni
iconografiche, e che dall’altro gli allestitori attingano al patrimonio di immagini fornito dall’arte
sacra. E, infatti, nei documenti relativi agli spettacoli troviamo molto spesso riferimenti
all’iconografia artistica per costumi e atteggiamenti dei personaggi. Non è legittimo pensare alla
scena medievale come ad un’immagine davanti a cui agiscono gli attori. Nel Medioevo la centralità
è dell’accadimento, del contenuto per cui la scenografia rimane contesto e non ancora testo.
L’idea medievale di teatro può fare a meno della scenografia, ma non dell’azione.

Anche il teatro religioso nel corso del XV secolo, in Italia, delega sempre più all’impianto
spettacolare e alla ricchezza delle scene la sua possibilità di influire sul pubblico, maggiormente
con gli spettacoli gestiti dalle corti che non con quelli affidati alle confraternite.
Fuori d’Italia la struttura medievale di spettacolo continuerà fin verso la fine del XVI secolo, spenta
soltanto dall’esportazione europea di quella che si chiamerà scena all’italiana.

LA FIGURA DEL GIULLARE

La figura del giullare viene presa di mira dalla Chiesa per varie ragioni :
1. non ha una meta fissa - vanno vagabondando : ERRANO - e in latino questo verbo sta a
significare la possibilità di errare;
2. non hanno una cultura scritta, ma solo orale - dunque, possono cambiare le coscienze di
coloro che vanno a vedere le loro esibizioni;
3. esibiscono il loro corpo - fisicità e gestualità mostrata con sfrontatezza;
4. si pongono fuori dalla società anche per il loro modo di vestire a pezze colorate di verde e
giallo (colori della follia) - significava non avere un ordine.
C’è da fare una distinzione, però, tra giullari e trovatori - nel periodo nel quale poi i giullari danno
vita a rappresentazioni presso le corti.
I giullari è colui che recita o canta composizioni non sue, mentre il trovatore è il compositore che
spesso si serve del giullare per far eseguire in pubblico le proprie opere. Quest’ultima è una figura
nuova intorno al XII-XIII secolo - è il risultato di un processo di culturalizzazione cui hanno
contribuito l’accostarsi alla giulleria e la contaminazione con la cultura dotta.
Quando i giullari iniziano a eseguire rappresentazioni presso le corti con il fine di allietare i festini di
quell’ambiente, dunque la Chiesa permette loro le performance a tale fine. Però ad un certo punto
sorgono gli ordini dei francescani e dei domenicani e la Chiesa si accorge che non bastano più i
soli luoghi di preghiera per propagandare il Vangelo e il resto - dunque scendono nelle piazze - è il
periodo che coincide con la formazione delle città (XII-XIIIsec.). Così si appropriano della piazza -
luogo dove la folla era radunata e più attenta a seguire. Del resto lo stesso San Francesco si
definiva come il giullare di Dio.
Siamo nel XIII secolo - momento nel quale si va a chiudere quella profonda ferita tra anima e
corpo, che l’Altomedioevo aveva accentuato profondamente. La letizia francescana è una letizia
che celebra il corpo, la natura, tutto ciò che Dio ha creato - il corpo non viene visto più come
qualcosa di peccaminoso. Anche la morte, la morte corporale è rivista nell’ottica della resurrezione.
La Chiesa contende ai giullari il luogo della predicazione - le piazze - manda i domenicani,
soprattutto, perchè profondamente istruiti di retorica per sostituire con discorsi molto eruditi, le
leggerezze dei giullari. Non è più una chiesa chiusa - riscossa della cultura popolare e/o
manifestazioni nelle piazze non più dei giullari, ma degli ordini domenicani prima, e francescani
poi. I giullari erano maltrattati e costituivano l’anti-retorica del mondo; erano il disordine. Diventano
soggetti pericolosi per la Chiesa.
La figura del giullare si colora di caratteristiche particolari secondo la zona e dunque il contesto
politico e sociale in cui opera - l’aspetto da non sottovalutare e il più attivo è proprio lo scambio
reciproco delle culture locali. Caratteristica dei giullari, come abbiamo detto prima, è il nomadismo.
Esso sta a significare instabilità e instabilità vuol dire festa: il fattore comune è lo spiazzamento -
dunque essere sempre fuori posto.
Il giullare non ha un ruolo sociale e dunque non ha identità - l’unica identità che gli è concessa è
un’identità fittizia, un nome che designa la propria attività : un nome d’arte. Nella vita quotidiana
egli è sempre ospite di qualcuno, occupa uno spazio altrui. Egli è considerato diverso in quanto
portatore di tecniche che sono incompatibili con le strutture del quotidiano e che possono essere
coerenti solo con la situazione festiva. Dato il suo nomadismo, il giullare ha la possibilità di toccare
culture lontani - ed egli stesso diventa luogo, sede in cui trovano posto una pratica e un
meccanismo simbolico della cultura medievale, quelli del viaggio, dello spostamento.
I giullari oltre all’ambito delle festività, si occupano anche di un momento molto importante nella
vita dell’uomo medievale : la guerra. Essi accompagnano i soldati nelle campagne militari, spesso
con finalità ricreative durante le pause dei combattimenti, ma a volta anche con scopi più operativi.
Questa caratteristica dell’essere fuori ruolo e fuori luogo si attenua, ma non va perduta quando il
giullare si stanzia stabilmente al servizio di qualche signore perchè il giullare non smette per
questo di viaggiare - diventa messaggero. Dal XIII e soprattutto nel XVI/XV secolo non c’è corte
che non abbia giullari con compiti di intrattenimento; e spesso si trovano anche in situazioni di
notevole familiarità, data la consuetudine, col signore. Dunque il giullare arriva ad una promozione
sociale decisiva, ottiene un riconoscimento della propria professionalità - si crea una sorta di
gerarchia tra il giullare con una condizione sociale più alta : menestrello e, tutti gli altri giullari. In
questo contesto esistono anche le giullaresse, che però data la considerazione nei confronti della
donna, esse vengono a volte confuse con le prostitute. Ci sono anche i goliardi, che sono chierici
vaganti, che abbandonati gli studi o gli ambienti religiosi, iniziano a girare il mondo conducendo la
vita come i giullari.
Per quanto riguarda gli strumenti e le modalità e gli strumenti della teatralità giullaresca possiamo
innanzitutto, parlare delle immagini, specie quelle di committenza religiosa.Il giullare viene spesso
raffigurato come un musico - e il musico è da sempre superiore all’acrobata. Dunque anche
all’interno della categoria dei musici affiorano delle differenze gerarchiche - non è solo questione
del suono, ma soprattutto una questione di specializzazione.
Il giullare è sempre lungo tutto il Medioevo, e in ogni contesto, legato alla danza. Sia in quanto
portatore di musica, sia in quanto egli stesso danzatore professionista, sia come elemento
scatenante della danza e della festa. E’ nella danza che si mostrano le valenze della corporeità
come strumento per comunicare e per essere; è qui che il giullare trova l’unico vero luogo che gli
sia proprio nei meccanismi della società.
Il giullare non rappresenta, ma racconta - è teatralità pura. L’attore che, successivamente, lo
sostituisce si farà strumento di rappresentazione ponendo i presupposti teorici del teatro moderno.
La ricostruzione corrente vuole che il percorso sia dal giullare narratore, al giullare drammatizzante
che si f carico da solo di più parti, e da questo alla suddivisione tra persone diverse delle diverse
parti, con la ricomparsa del rapporto attore-personaggio : da qui si rifonda il meccanismo della
rappresentazione e dunque il nucleo di base del teatro si ricompone. In realtà, per diversi secoli ci
sia stata la compresenza di differenti tipologie. Rilevante è il dato della dipendenza dai testi
letterari. Quando il giullare si fa affabulatore e narra storie che non gli appartengono, nella maggior
parte dei casi tanto la memoria che la trasmissione delle parole è orale e non scritta. E quand’è
scritta non ci si pone un problema di rappresentazione di un testo, dato che quel testo è un
deposito di memoria collettiva e non un copione. Per la via della drammaturgia comica giullaresca,
la letteratura drammatica e, dunque, il teatro in senso pieno, è necessario uno scatto ulteriore, cioè
l’intervento di una figura sociale e culturale nuova, quella del drammaturgo.

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