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Michelangelo Maria Zanghì

Rituale e rito, teatralità e teatro.


La performatività nella Semana Santa

Lla Sacra Rappresentazione proviene da riti pagani che, a loro volta,


furono presi “in prestito” dalla Chiesa, che li riconvertì in rituali cristiani.
Questo ci porta ad affrontare quello che Roberto Tessari definisce come
«problema delle origini».1 Secondo lo studioso, infatti, anche il teatro – al
pari delle altre discipline artistiche – non nasce con la finalità di dare una
soddisfazione estetica al fruitore; il creatore, cioè, non ha come fine il
raggiungimento della perfezione formale, che solitamente è il segno
distintivo di ciò che comunemente chiamiamo “opera d’arte”:

ciò comporta – spiega Tessari – che rispetto a pittura, scultura, architettura, poesia
ecc., il fenomeno-teatro tenda a manifestarsi pressoché sempre all’ombra d’una sua
specifica aura di equivocità: in ogni caso sospeso tra la pretesa di essere giudicato
somma arte della finzione spettacolare e la pur “prestigiosa” condanna a essere
vissuto in quanto evento-rito necessario alla coesione culturale (e, quando ciò non
capita, sacralmente religiosa) d’una comunità.2

È chiaro che l’antropologia goda di un rapporto privilegiato col teatro, o


meglio con la ricerca teatrale, non solo per la trattazione di argomenti ad
essa affini – come il mito, il rito o il sacro – ma anche, come spiega Marco
De Marinis,3 per un’effettiva corrispondenza metodologica. A tal
proposito, risultano emblematiche le parole di Patrice Pavis:

1 Roberto Tessari, Teatro e antropologia, Carocci, Roma, 2004, p. 15.


2 Ivi, p. 16.
3 Marco De Marinis, Capire il teatro. Lineamenti di una nuova teatralogia, Bulzoni, Roma, 2008, p. 159.
L’antropologia trova nel teatro un terreno di sperimentazione eccezionale, poiché
essa ha sotto gli occhi degli uomini che giocano a rappresentare altri uomini. Tale
simulazione mira ad analizzare e a mostrare in che modo questi si comportino in
società [...]. Il teatro e l’antropologia teatrale si danno i mezzi per ricostruire delle
microsocietà e per valutare il legame dell’individuo con il gruppo […].4

La dimostrazione che si tratti di un rapporto privilegiato è data dal fatto


che maestri della scena teatrale mondiale si siano grandemente interessati
alla ricerca antropologica, come Eugenio Barba, Jerzy Grotowski, Richard
Schechner, ma anche Gordon Craig e Tadeusz Kantor. La disputa
“genealogica” è stata, nel corso del Novecento, molto accesa. Tra gli altri,
proprio Craig e Kantor hanno – per esempio – proposto delle visioni
contrastanti circa le genesi del teatro. Per Craig il teatro deve essere il
catalizzatore di un’attorialità che non sia mero esibizionismo fine al
compiacimento dello spettatore, ma che si concretizzi in un «puro atto di
culto gnostico verso l’ineffabile principio creatore».5 Ecco l’idea
dell’inventore della Supermarionetta, nell’interpretazione che ne da lo
stesso Kantor:

Secondo Gordon Craig, da qualche parte sulle rive del Gange due donne fecero
irruzione nel tempio della Divina Marionetta, che custodiva, vigilando il segreto del
vero TEATRO. Le due donne erano gelose di quest’ESSERE perfetto, ne invidiavano
il RUOLO, che era quello di illuminare lo spirito degli uomini con il sentimento
sacro dell’esistenza di Dio; ne invidiavano la GLORIA. Si appropriarono dei suoi
sentimenti e dei suoi gesti, delle sue vesti meravigliose e, attraverso una mediocre
parodia, si misero a soddisfare i gusti volgari della plebe. Quando infine fecero
costruire un tempio a immagine dell’altro, il teatro moderno – quello che conosciamo
fin troppo bene e che dura ancora – era nato: la rumorosa Istituzione di utilità
pubblica. Nello stesso tempo è apparso l’ATTORE.6

4 Patrice Pavis, “Anthropologie théâtrale”, in Dictionnaire du théâtre, Editions sociales, Paris, 1980. In Ibidem.
5 Roberto Tessari, Teatro e antropologia, Carocci, Roma, 2004, p. 17.
6 Tadeusz Kantor, Il teatro della morte, Ubulibri, Milano, 2000, p. 211.
La teoria genealogica di Craig va inquadrata, dunque, in un’ottica di sacro
servizio nei confronti della divinità. Kantor, invece, vede – a tal proposito
– un uomo singolo che, separandosi dal rito religioso comunitario, diventa
«attore» e tradisce narcisisticamente il resto della collettività e – con essa –
abbandona anche i suoi riti e cerimonie:

Ecco che dal cerchio compatto dei costumi e dei riti religiosi, delle cerimonie e delle
attività ludiche, è uscito QUALCUNO che aveva appena preso la decisione temeraria
di staccarsi dalla comunità culturale […], abbiamo di fronte a noi l’ATTORE.[…]
Sicuramente quest’atto sarà considerato un tradimento nei confronti delle antiche
tradizioni e delle pratiche di culto. […] DI FRONTE a quelli che erano rimasti da
una parte, si è alzato un UOMO PERFETTAMENTE simile a ciascuno di loro e
tuttavia […] infinitamente LONTANO.7

Da questi due esempi, è possibile rendersi conto di come la ricerca


antropologica legata al teatro abbia, o abbia avuto, come principale terreno
di discussione l’origine del teatro stesso e – soprattutto – il suo rapporto
col rito. Tale approccio filogenetico e genealogico, totalmente infruttuoso
sul piano scientifico, sta pian piano lasciando il posto a un altro di tipo
ontogenetico e strutturale in cui il punto focale è ancora dato dalla
relazione vigente fra teatro e rituale, ma in cui quest’ultimo termine è
considerato in un’accezione desacrilazzata e – soprattutto – nel quale non
ci si interroga più sull’eventuale paternità del rito rispetto al teatro, ma in
cui si indagano in maniera scientifica le analogie strutturali tra fenomeni
teatrali e rituali, tra rituali quotidiani e rappresentativi, tra comportamenti
rituali e scenici.
Non è questa la sede per approfondire il dibattito fra l’approccio
filogenetico e quello ontogenetico, ma è certo che teatro e riti passionisti
siano dipendenti l’uno dagli altri. È, infatti, impossibile riferirsi ai riti della
7 Ivi, p. 217-218.
Settimana Santa, spagnola o italiana che sia, senza prendere in
considerazione gli aspetti teatrali – o meglio, performativi – che la
caratterizzano. A tal proposito, José Alonso Ponga – ordinario di Tradizioni
Popolari presso il Dipartimento di Antropologia dell’Università di
Valladolid e tra i maggiori esperti mondiali sui rituali della Semana Santa
– ha le idee chiare:

Qualsiasi processione della Settimana Santa è un fenomeno teatrale; quando ci


riferiamo, per esempio, alla processione della Domenica delle Palme, stiamo
parlando di teatro e più precisamente di teatro di strada. A Valladolid, come a
Zamora, si montano vere e proprie scenografie: si scelgono piazze cittadine molto
belle e affascinanti, che abbiano un'ottima acustica, per realizzare – per esempio –
“L'Incontro” fra la Madonna Addolorata e Cristo. Per creare il pathos, l'ambiente è
fondamentale: si cercano location molto particolari: grandi piazze, oppure spazi con
chiese romaniche o gotiche situate in quartieri storici; i palazzi, a volte, vengono
coperti da grandi teloni neri: io credo che tutto questo sia già teatro.8

La teatralità legata alla Passione di Cristo è presente in tutta la Spagna.


Non si tratta di un teatro professionistico né raffinato, ma di un teatro che
potremmo definire “amatoriale”, del popolo: per esempio, come capita in
alcune città, può trattarsi semplicemente di un uomo che cammina per le
strade interpretando Gesù nell’atto di portare la Croce; in alcune zone
dell'Andalusia abbiamo performance con maschere.
Molto interessante è una rappresentazione che prende il nome di
Desenclavo: si tratta di una statua di Cristo articolata, che viene deposta
dalla Croce dai membri della Confraternita: prima gli si toglie la corona di
spine, poi gli si staccano i chiodi dalle mani, in seguito dai piedi, lo si
depone pian piano dalla Croce e lo si presenta di fronte alla statua della
Madonna Addolorata, che lo aspetta con le braccia tese in avanti; a questo

8 Conversazione avvenuta a Valladolid nell’aprile 2013.


punto inizia la processione per la strada, con la Vergine che porta in
braccio Cristo appena consegnatoli dai Confratelli. Il fatto che la statua di
Gesù sia articolata fa sì che sembri un corpo umano. Tutto questo,
ovviamente, è molto teatrale. Il Desenclavo è un rito barocco, ancora vivo
in molte città spagnole, soprattutto castigliane; esso resiste con maggiore
forza nel mondo rurale e contadino, per il carattere partecipativo della
popolazione, per la carica emotiva che produce e perché complementare al
rito del seppellimento (entierro) di Cristo. Ad ogni modo, questo
particolare rito era comune in moltissime città della Penisola Iberica, come
dimostrato dalla grande quantità di statue articolate di Gesù, ancora oggi
conservate nelle chiese. Francisco Juan de Isla descrive nei dettagli il
rituale del Desenclavo,9 soffermandosi anche su ciò che concerne il ruolo
degli attori, delle loro voci e degli strumenti che utilizzavano per muovere
la statua e rendere lo spettacolo più verosimile. A questa rappresentazione
si aggiungevano anche dei confratelli che interpretavano le figure di
Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea. Gli attori in carne e ossa si trovavano
in una relazione dialogica con le statue di Cristo Crocifisso e della Vergine
ai piedi della Croce.
La chiesa di San Justo, a Segovia, contiene una statua denominata Cristo
de los Gascones: si tratta di una scultura romanica in legno policromato e
ha, anche questa, la particolarità di avere le braccia articolate. Le sue
origini vanno ricercate nelle tradizioni dell’Europa centrale che
commemoravano il ciclo della Passione: si trattava di figure articolate,
costruite espressamente per essere utilizzate nelle cerimonie liturgiche

9 Francisco Juan de Isla, Historia del famoso predicador fray Gerundio de Campazas, alias Zotes, Monlau Editorial,
Madrid, 1945, p. 249.
della Settimana Santa e che furono, a loro volta, una parte fondamentale
del teatro medievale.
Nel 2007, una compagnia teatrale di Segovia, la Nao d´amores, traendo
spunto dalle suggestioni di questo Cristo così particolare e studiando in
maniera certosina un repertorio letterario di testi liturgici medievali, ha
portato in scena uno spettacolo intitolato El Misterio del Cristo de los
Gascones, una piêce che vuole sviluppare una via di investigazione fra
teatro e rituale, contenuto teologico e riflessione personale. Si tratta,
quindi, di una proposta scenica realizzata a partire da testi di diversa
provenienza10 e mediante una ricerca filologica di brani musicali che ne
costituiscono la “colonna sonora”, per un risultato finale che è
un’interessantissima commistione tra il lavoro attoriale professionistico e
quello popolare. Per approcciarsi allo studio di un qualsiasi dramma
medievale bisogna partire da un concetto ampio di teatralità, che –
chiaramente – va molto oltre l’idea di pura creazione drammatica; queste
performance sono, in realtà, molto vicine all’atto rituale con cui si
identifica una collettività. A proposito di El Misterio del Cristo de los
Gascones, la regista e drammaturga Ana Zamora dice:

Ancora oggi, nel bel mezzo del ventunesimo secolo, la più grande celebrazione
rituale dell’Occidente è la commemorazione della morte e la risurrezione del
fondatore del cristianesimo: si tratta dell’ancestrale mito di origine agraria che ci
racconta di un Dio che muore e rinasce ogni anno e che conserva – tutt’ora – un gran
numero di elementi formali praticamente del tutto invariati.11

10 Gómez Manrique, Lamentaciones fechas para la Semana Santa, Representación del nacimiento de Nuestro Señor
Representación del nacimiento de Nuestro Señor; Alonso del Campo, Auto de la Pasión; Diego de San Pedro,
Pasión trobada, Las siete angustias de Nuestra Señora; Fray Íñigo de Mendoza, Coplas de Vita Christi, Varias
obras religiosas.
11 Ana Zamora, Misterio del Cristo de los Gascones, Germán H. Solís, Segovia, 2007, p. 8 , [tr. mia].
È chiaro che non ci si può avvicinare a un Mistero di ispirazione medievale
senza tenere presenti le connessioni di tale genere in relazione ai rituali
della Semana Santa, di cui è ricchissima la Spagna. Ovviamente non va
dimenticato neanche che il Teatro nasce nella Grecia antica sottoforma di
celebrazione di carattere agrario e che la riflessione sul genere tragico è
stata una costante della civiltà occidentale:

Per questo la morte è il piacere supremo, poiché si tratta di un ritorno alle origini.
Tuttavia, morire non significa scomparire, ma soltanto immergersi nell’ originario,
che instancabilmente produce nuova vita. La vita è – certamente – l’inizio della
morte, ma la morte è la condizione principale di una nuova vita. La legge eterna delle
cose trova il suo compimento nel costante divenire. Non c’è colpa, né – di
conseguenza – redenzione; esiste soltanto l’innocenza del divenire. Rendersi conto di
tutto ciò significa pensare tragicamente. 12

Risulta evidente come la Morte sia il tema fondamentale della Settimana


Santa e delle celebrazioni ad essa connesse. Può, addirittura, apparire
paradossale che nel ciclo pasquale non sia il giorno di Pasqua a godere di
maggior risonanza e partecipazione popolare; peculiarità che, invece,
spettano al Venerdì Santo. Il motivo è (ci si voglia concedere il gioco di
parole) tragicamente chiaro: il genere umano è più attratto dal sangue e
dalla morte che dalla vita e la resurrezione. Eros e Thanatos. Questa innata
propensione al sangue è ancora più viva nella religione cristiana, che è
fondamentalmente una religione di espiazione.
Come già accennato, la ricerca musicologica è stata fondamentale per la
messinscena del Misterio del Cristo de los Gascones. Possono essere
divise in due categorie le musiche che nel medioevo accompagnavano le
celebrazioni passioniste: liturgiche e paraliturgiche (o teatrali). Del canto

12 Friederich Nietzske, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano, 1977, p.36.


liturgico della Passione, in latino, esistono esempi a partire dal tredicesimo
secolo. Al canto gregoriano si aggiunsero delle parti polifoniche che si
realizzavano dalla Domenica delle Palme (Vangelo secondo Matteo) fino
al Venerdì Santo (Vangelo secondo Giovanni). Delle celebrazioni
paraliturgiche, e dunque teatrali, i testi degli Autosacramentali ritrovati
nella Penisola Iberica mostrano la presenza della musica sottoforma di
romanze, Villancicos e canzoni sacre in vernacolo. Nel Misterio, la
responsabile delle musiche di scena, Alicia Lázaro, ha cercato di dare
quanto più spazio possibile a entrambe le tradizioni. Ma la storia della
musica europea è anche la cronaca di innumerevoli viaggi, migrazioni e
spostamenti: dalla Borgogna alla Castiglia, dall’Aragona alla Sicilia e
viceversa. Non si conosce il periodo esatto in cui il Cristo de los Gascones
giunse nella città di Segovia, ma ciò che è certo è che nell’epoca del
vescovato di Arias Dávila (1465 – 1497) fu trascritta, nella cittadina
castigliana, una collezione di musiche sacre e profane in latino, francese, e
spagnolo: El Cancionero de Segovia. Il suo contenuto riflette tanto
l’influenza della musica franco-flamenca in Spagna, quanto l’importanza
della musica spagnola sul vernacolo.
Oltre alla Nao d’amores, sono molteplici le compagnie spagnole che si
occupano specificamente ed esclusivamente di teatro passionista; una di
queste è la Teatro Corsario di Valladolid, che dal 1988 propone lo
spettacolo Pasión. Si tratta di una messinscena che trae ispirazione dai riti
e dalle statue processionali del Venerdì Santo castigliano, partendo dai testi
dei quattro evangelisti, riadattati dal drammaturgo e regista Fernando
Urdiales, scomparso nel 2010. Il fattore più interessante di Pasión è dato
dal fatto che, per ciò che concerne l’aspetto puramente scenico, Urdiales si
sia ispirato alle sculture di legno policromo che sfilano per le strade di
Valladolid il Venerdì Santo, realizzate dal più grande scultore castigliano di
età barocca, Gregorio Fernández.13 Costumi di scena molto ricchi,
barocchi, quasi copie delle sculture policrome, fanno sì che questo lavoro
– ritenuto inizialmente «sperimentale» – vada a insinuarsi violentemente
nella sfera emozionale dello spettatore, attraverso un ideale viaggio dal
divino all’umano.
Questi sono tra i pochissimi esempi di teatro professionale; le
rappresentazioni drammatiche a sfondo passionista sono di quasi esclusiva
pertinenza popolare.
Parlando di popolo, non va tralasciato un aspetto molto caratteristico delle
processioni del Giovedì e del Venerdì Santo, sia spagnole che del
meridione d’Italia e in particolare della Sicilia: i Romani. Dietro le statue,
infatti, abbiamo una schiera di persone che interpretano i soldati romani
che al tempo di Gesù occupavano la Palestina. Indossano costumi di scena
molto ricchi e affascinanti, brandendo lance e spade. Degno di attenzione,
a tal proposito, il punto di vista di José Alonso Ponga, secondo cui la
tradizione dei Romani (o Giudei in alcune zone della Sicilia) sia
relativamente nuova, trattandosi di un retaggio Neoclassico e Romantico,
lontano dall’iconografia barocca che tendeva a contestualizzare nel
presente i personaggi minori della Passione.
A proposito di teatro amatoriale esiste – addirittura – una messinscena
caricaturale della Passione di Cristo che si celebra a León, in cui Gesù è un
ubriaco che viene investito da un camion della nettezza urbana.
Restando in provincia di León, nel villaggio di Jiménez de Jamuz si
13 José Martín González, El escultor Gregorio Fernández, Ministerio de Cultura, Madrid, 1980.
celebra una rappresentazione della Pasión tra le meno note del Paese ma
sicuramente tra le più autentiche e sentite, pur non avendo origini
antiche.14 Il tutto nasce nel 1976, per opera di un gruppo di giovani il cui
obiettivo era quello di recuperare una tradizione (quella della Semana
Santa) che all’epoca era sul punto di scomparire; si scelse così di proporre
una messinscena della Pas sione di Cristo. Già a partire dagli anni Ottanta,
la stampa locale diede eco alla manifestazione, tanto da farla diventare una
delle più note della provincia; è proprio in questo periodo che prende il
nome di Vía Crucis Viviente. Nel 1980 più di tremila persone assistettero
alla Passione di Jiménez. Quando, negli anni Settanta, si perse la
tradizione de Las Comedias,15 la gente di Jiménez de Jamuz colse al volo
l’ “occasione” dei riti della Semana Santa per dimostrare a tutti il suo
ancestrale senso drammatico. Gli attori si identificano con i personaggi
interpretati, tanto da raggiungere un’ottima compiutezza formale e un
maturo livello di equità tra religiosità e folklore. Questa simbiosi si
mantiene per tutto il tempo della messinscena, al cui termine, sia attori che
spettatori, si sentono partecipi allo stesso modo. Il tutto accade il Venerdì
Santo: si inizia dal salone parrocchiale, nel quale si inscena il lavaggio
delle mani di Ponzio Pilato.
Dopo la scena dell’Ecce Homo, soldati e popolo iniziano l’itinerario per
varie strade del villaggio, rappresentando le scene delle cadute di Gesù e i

14 José Luis Alonso Ponga, a cura di, La Semana Santa: Antropología y Religión en Latinoamérica, Ayuntamiento de
Valladolid, Valladolid, 2008, p. 517.
15 Piccole opere teatrali che si mettevano in scena in autunno. Alla manifestazione partecipavano la Filodrammatica di
Jiménez de Jamuz e altre compagnie amatoriali della provincia. Le scene erano costituite da oggetti e materiali che
gli attori avevano in casa e che sarebbero, altrimenti, stati destinati a essere cestinati. Cfr. José Carrero
Rodríguez, Gran Diccionario de la Semana Santa, Editorial Almuzara, Malaga, 1981, p. 49.
suoi incontri con le donne. In diverse zone si trovano i personaggi citati nei
Vangeli: Veronica, Maria Maddalena, la Madonna, Cireneo, San Giovanni,
ecc. Il rito della Pasión è accompagnato da donne che piangono per
l’intera durata della Vía Crucis e da gruppi di uomini che ne sottolineano,
cantando, i momenti più patetici. Dopo un’ora di straziante agonia, il
corteo giunge al luogo eletto per la crocifissione: una collina, ricca di
grotte, che sovrasta il villaggio, dove Cristo e i due ladroni vengono
inchiodati alle rispettive croci. Si tratta di una scena che tocca l’apice della
suggestione e dell’emozione, il punto culminante dell’intera Vía Crucis.
Più tardi, avverrà la deposizione: il cadavere di Gesù verrà sceso dalla
croce e trasportato in una delle grotte, rappresentante il sepolcro.
I rituali primaverili iniziano, in Spagna, con il Ciclo de Pascua.16 Esso
prende il via il giorno del Domingo de Ramos (Domenica delle Palme)
dura fino al lunedì successivo e ingloba tutta una serie di celebrazioni e
commemorazioni sacre. Nella Penisola Iberica, così come in molte altre
nazioni europee, in questo arco temporale hanno luogo numerosi atti
devozionali e drammatici. Come detto precedentemente,17 si deve al
Cristianesimo la nascita di svariati miti che presentano come matrice
comune La Passione, ossia la rappresentazione – a volte anche abbastanza
violenta – del martirio di Cristo, della disperazione della Madonna e di
Maria Maddalena, e – infine – della Resurrezione e Ascensione di Gesù al
Regno dei Cieli.
Rituale, questo, di chiara radice neolitica, ma che in Spagna e altri paesi
del bacino mediterraneo è stato “cristianizzato”, andando – così – a

16 José Miguel Gomez Tabanera, El folklore Español, Istituto Español de Antropologia Aplicada, Madrid, 1988, p. 172.
17 Cap. 1 – 1.1, p. 3.
costituire quella che convenzionalmente viene definita Settimana Santa.
El Domingo de Ramos celebra l’entrata trionfale di Cristo a Gerusalemme
e, con la benedizione di palme e rami d’ulivo, apre il tempo sacro.18
Questo è il giorno in cui gli artigiani che intrecciano i rami di palme fanno
affari d’oro: la tradizione delle palme intrecciate è, infatti, ampiamente
diffusa in tutto il Levante spagnolo, soprattutto nella città di Elche.19
Elementi tipici della Semana Santa spagnola sono le processioni e le
rappresentazioni drammatiche che vengono celebrate come
commemorazione della Passione e Morte di Cristo: il fasto e la grande
carica di pathos, hanno reso questi rituali celebri in tutto il pianeta.
Il Mercoledì Santo si celebra un rito notevolmente suggestivo ed
emozionante: El Oficio de Tinieblas. Esso è celebrato all’interno delle
chiese. Si tratta di un rituale con una forte componente “teatrale”; i canti
intonati dai fedeli e la particolare disposizione di ceri e candele intorno
all’altare, conferiscono un’atmosfera tetra a tutta la chiesa, nella quale
viene recitata la preghiera della Liturgia delle Ore. Sull’altare è posto un
particolare candelabro, il Tenebrario, sul quale vengono collocate quindici
candele gialle che rappresentano gli undici apostoli (Giuda è escluso), le
Tre Marie e la Madonna, raffigurata da un cero più distaccato rispetto al
resto delle candele, le quali si spengono l’una dopo l’altra durante il canto
dei salmi fino a quando rimane accesso solo il cero ritraente la madre di
Dio. Le candele che si spengono rappresentano la fuga degli Apostoli che,
abbandonando Cristo da solo dinnanzi alla Morte, lasciano – pian piano –

18 Francisc Massip, Història del teatre català, Editorial Arola, Tarragona, 2007, p. 66
19 Comune situato nella Comunità Autonoma di Valencia, famoso per il suo Palmesario, dichiarato Patrimonio
Mondiale dell’Umanità UNESCO nel 2000.
la chiesa nelle tenebre: da qui il nome Tinieblas. Quando rimane un solo
cero acceso, i fedeli intonano un Miserere, mentre un altro cero viene
collocato nella parte posteriore dell’altare e coperto con un velo: ciò
rappresenta la deposizione di Gesù nel Sepolcro e la fede del popolo della
Chiesa, che aspetta la Luce che tornerà splendente. Finito il Miserere, i
fedeli e il clero producono dei rumori per mezzo di un particolare
strumento musicale: la Matraca.20 L’intento di questo rumore assordante è
quello di inscenare un terremoto,21 il quale cesserà – con grande effetto
drammatico – all’apparire della luce proveniente dal cero nascosto dietro
l’altare.
Il Giovedì Santo si celebra la messa pontificale con i paramenti bianchi,
mentre rintoccano le campane di tutte le chiese; campane che non
suoneranno più fino a sabato, per ricordare (ancora una volta) la fuga degli
Apostoli di fronte all’imminente Passione del loro Maestro. La sera tocca
al rito del Monumento: gli altari sono privati delle stoffe e degli oggetti
sacri, a indicare la nudità di Cristo sulla Croce; in chiesa - in prossimità
dell’altare - vengono posti fiori, spighe di grano e sementi, raffiguranti il
rinnovamento, il ritorno alla vita dopo la morte; i sacerdoti di ogni
parrocchia lavano i piedi a dodici poveri (o più frequentemente a dodici
parrocchiani) che, vestiti con quelli che potremmo definire «costumi di
scena», interpretano gli Apostoli durante L’ultima cena. Anche in Sicilia
avviene un rito praticamente identico a quello del Monumento: ‘i Sipuccra,
i Sepolcri.

20 Strumento musicale a percussione, appartenente alla famiglia degli idiofoni, formato da un corpo di legno e da una
serie di martelletti che colpiscono la parte centrale. La Matraca si utilizza anche durante le processioni del Venerdì
Santo per intimare silenzio alla gente, in segno di rispetto per la morte di Cristo.
21 Cfr. Vangelo secondo Matteo 27, 51; Vangelo secondo Marco 15, 38; Vangelo secondo Luca 23, 45.
L’apice del pathos si raggiunge il Venerdì Santo con il Sermone delle tre
ore,22 l’Adorazione della Croce, la tristezza vera dei fedeli, il silenzio
irreale delle strade, la sospensione di ogni tipo di attività lavorativa, i riti,
le musiche e i canti, l’austerità che si respira per ogni via.
Ma il vero avvenimento del Venerdì Santo è la Sacra Representación, in
cui vengono esteriorizzati in forma plastica e drammatica dogmi e riti
religiosi.
Documentata a partire dai Misteri medievali, la Sacra Representación
racconta storie tratte dalla Bibbia e dai Vangeli: le vite dei Santi, scene
oniriche di Gloria e Inferno, allegorie morali, e – ovviamente – la
Passione di Cristo.
Come sappiamo, molte di queste manifestazioni furono vietate – a fasi
alterne – a cominciare dal tredicesimo secolo, cioè da quando il Concilio
di Basilea23 proibì gli spettacoli dentro le chiese e tacciò di blasfemia le
rappresentazioni religiose messe in scena a teatro. Ciononostante, le Sacre
Rappresentazioni e le processioni riconquisteranno le scene nel sedicesimo
secolo (grazie alla Controriforma), sviluppandosi durante tutto il
diciassettesimo e diciottesimo secolo e divenendo dei «classici» di molte
città spagnole più o meno grandi, come Esparraguera, Molíns del Rey,
Barcelona, Tarragona, per non parlare di Valladolid, in Castiglia e Leon, o
di diversi luoghi dell’Andalusia, come Siviglia.
Altre rappresentazioni di spessore della Semana Santa andalusa sono
quelle di Granada, di Cádiz, di Almería, di Córdova.
Fin dal sedicesimo secolo, in Andalusia, hanno luogo alcune processioni e

22 Josè Miguel Gomez Tabanera, El folklore Español, Istituto Español de Antropologia Aplicada, Madrid, 1988, p. 173.
23 Convocato da Papa Martino V nel 1431.
performance di carattere religioso molto somiglianti ad altre che, a partire
dallo stesso periodo, si celebrano a Palermo; ancora oggi, infatti, avviene
l’incontro tra il Cristo risorto e la Madonna.24 Partendo da due
luoghi differenti, mentre le statue si cercano per le chiese della città, si
svolgono due processioni distinte: quella di Gesù e quella di Maria. La
Vergine, avvisata da San Giovanni, cercherà il Figlio sino a trovarlo;
quando i due si saranno riuniti, dal manto nero dell’Addolorata prenderà il
volo una colomba e le due processioni diventeranno una sola, marciando
per le vie del capoluogo siciliano. In Andalusia, l’incontro tra Cristo e sua
Madre è celebrato in alcune città della provincia di Córdova, come
Montoro.
Dopo i tristi offici del Venerdì Santo è il turno dell’allegria del Sabado de
Gloria e della Pasqua e quindi della Rinascita che si manifesta con canti di
giubilo, col profumo d’incenso, con ornamenti riccamente decorati, con le
campane che tornano a riempire le strade con i loro rintocchi, con
l’Alleluia intonato in ogni chiesa. Finalmente, insomma, si compie la
Buona Novella: Cristo è risorto e con la sua rinascita hanno fine la
tristezza, il lutto, i silenzi e i lamenti che lasciano il posto alla gioia della
Primavera e, con essa, all’inizio della Stagione dei Tori, e all’apertura della
Feria de Abril di Siviglia, appuntamento irrinunciabile per la maggior
parte degli spagnoli.
In molte città e villaggi, per i festeggiamenti pasquali, si celebra il
Fusilamiento (fucilazione) di Giuda: l’Iscariota, rappresentato da un
grottesco fantoccio, è assalito a calci e pugni da ragazzini e adulti e, infine,

24 Santi Correnti, Guida insolita ai misteri, alle leggende e alle curiosità della Sicilia, Newton & Compton, Roma,
1998, p. 91.
incendiato. Sicuramente, questa celebrazione è un retaggio carnascialesco,
quando L’Anno Vecchio veniva ucciso per lasciare il posto al nuovo.
Nel giorno di Pasqua i ragazzi dei villaggi dell’Andalusia si trasformano in
veri e propri cantastorie e, col supporto di chitarre e tamburi, vanno di casa
in casa cantando scene tratte dalla Passione, Morte e Resurrezione,
ricevendo, come goloso omaggio alle loro performance, dolci tipici a base
di pane condito con frutta secca e uova infornate e abbondanti razioni di
vino.
Anche nella ricca e moderna Catalogna, le celebrazioni del Ciclo de
Pascua godono di particolare importanza, pur se col passare degli anni si
stanno via via affievolendo: una tra le più importanti è El canto de las
caramellas. Si tratta di un canto religioso intonato da ragazzi e ragazze per
le vie delle città. Il nome caramella deriva molto probabilmente dal
caramillo pastoril,25 strumento musicale appartenente alla famiglia degli
aerofoni, molto utilizzato – fino alla metà dell’Ottocento – nella Spagna
rurale. Ogni gruppo di caramellas che si rispetti, dovrà cimentarsi in prove
serrate per almeno un mese e avrà bisogno, nel suo organico, di un
musicista professionista e di una figura – possibilmente un poeta – in
grado di scrivere agevolmente in versi. Anche in questo caso, gli artisti
vengono remunerati con dolci e vino. La prima testimonianza del Canto de
las caramellas svoltosi a Barcellona è del 1776.26

25 Xavier Fabregas, Història del teatre català, Editorial Milà, Barcelona, 1978, pp. 53 – 54.
26 Ibidem.

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