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Storia del teatro e dello

spettacolo moduli a-b appunti


Storia del Teatro e dello Spettacolo
Università degli Studi di Milano
105 pag.

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10/02/20
Riflessione sul titolo della disciplina: storia del teatro e dello spettacolo,
Da un punto di vista accademico e scientifico lo spettacolo e il teatro non sono la stessa cosa ma di due
accezioni diverse e non sovrapponibili.
TEATRO: Quando parliamo di teatro andiamo ad analizzare un ambito specifico di costruzione di senso
estetico e testuale ma anche organizzativo, visuale e produttivo che fa riferimento alla progettualità: pensare
il teatro significa collocarsi in un ambito che ha specifici codici di appartenenza e che impone precise
indicazioni compositive che vanno a toccare diversi aspetti del sapere: teorico, letterario, estetico e quello
visivo, organizzativo e produttivo. Con teatro si intende la produzione e la realizzazione di opere destinate alla
rappresentazione (definizione online). Si tratta di un ambito articolato, interdisciplinare che chiama a se
tantissime componenti entro una dimensione che ambisce a creare un risultato coerente.
LO SPETTACOLO è il risultato di questo progetto così articolato -> il prodotto finale di un’elaborazione
raffinata e approfondita che a seconda delle tipologie può essere fatta come diretta emanazione di una civiltà
o in polemica con quella civiltà. La cosa interessante è che il prodotto finale spesso corrisponde solo
parzialmente alle intenzioni di partenza, in qualche caso può anche non esserci.
Il teatro diventa spettacolo; ma esiste anche un teatro senza spettacolo che è solo nelle intenzioni, esiste un
teatro che può essere solo mentale, legato all’attività di un drammaturgo che scrive senza pensare alla messa
in scena, o esiste il teatro (teatro di sperimentazione) che non arriva allo spettacolo e che si ferma alle prove,
al laboratorio.
Tutte queste forme di teatro sono in egual modo degne di attenzione. La nostra prospettiva sarà quella di
mettere a confronto, nel nostro itinerario storico, questa dialettica tra il teatro e l’esito dello spettacolo.
PANORAMICA: la nostra panoramica storica parte dall’antica Grecia ma arriva al XX secolo per una ragione
legata al fatto che, per tutto questo lungo arco storico fino al 900, è sempre possibile individuare delle idee di
teatro coerenti, dei codici unitari che descrivono il teatro di un’epoca e che sono diretta emanazione dei
valori di una società: è possibile quindi parlare di teatro rinascimentale, settecentesco, elisabettiano,
romantico in maniera corretta perché con quell’aggettivo riusciamo a raccogliere una serie di contenuti che
individuano una particolare società, un particolare sistema di valori, di teorie, di estetica.
Nel 900 tutto questo non si può più fare, non esiste un teatro del 900, perché con il XX secolo il teatro rimette
in discussione tutto il suo statuto.
1900: L’evento più importante per poter parlare di teatro del 900 è la nascita del cinema (1895) che costringe
il teatro nel giro di pochi decenni a ripensare interamente al suo statuto. Davanti ad un mezzo di
comunicazione di massa e la potenza del cinema, il teatro capisce che la partita sull’illusione è persa in
partenza. Non si può pensare di andare a teatro e competere con la forza illusionistica del cinema, con la
capillarità di diffusione del cinema, con i mezzi del cinema.
PUNTO DI FORZA DEL TEATRO: da questa crisi il teatro trova una nuova opportunità individuando il suo nuovo
nucleo vivo nell’essere uno spettacolo in presenza, uno spettacolo dal vivo che è fondato sulla coesistenza di
attore e spettatore e sulla sua unicità -> uno spettacolo teatrale non è mai uguale a se stesso, anche quando
gli attori lo padroneggiano perfettamente perché è diverso il pubblico e l’evento teatrale viene ripensato
completamente in una gamma di possibilità estremamente varie. Se parliamo quindi di teatro del 900 non è
l’emanazione di un’epoca, è semplicemente una categoria temporale generale.
MODULO B -> Metra-teatralità: percorso di approfondimento su uno dei fili rossi che attraversa il teatro
contemporaneo, la consapevolezza della finzione, trasformando lo spettacolo in una riflessione sulle stesse
regole del teatro, questo a partire dalla tecnica di scrittura e dalla considerazione che la modalità di scrittura
più comune della metra-teatralità è il teatro nel teatro (che non è un’invenzione del 900 ma molto più antica).
Pirandello- “sei personaggi in cerca d’autore” e tutta la trilogia del teatro nel teatro
Edoardo De Filippo- “la grande magia” commedia sulla magia del teatro. Edoardo era interprete delle sue
stesse commedie che venivano continuamente modificate prendendo spunto e riferimento dalla prassi della
messa in scena.
Monografico.organizzazione@outlook.com Oggetto “abbonamenti piccolo teatro 2020”

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MODULO C -> Letteratura teatrale: il teatro è un testo che ha una natura ambivalente perché si compone con
l’ambizione di arrivare a fissarsi su una pagina ma che è pensato per la messa in scena e condizionato dalle
caratteristiche della messa in scena. Tuttavia in molti casi riesce ad avere una sua vita autonoma sulla pagina,
molti di questi testi sono dei capolavori della letteratura: le tragedie greche, le tragedie di Shakespeare. La
letteratura teatrale si occupa quindi di testo.
IL TEATRO DELL’ANTICA GRECIA (IV SECOLO)

Le origini del teatro occidentale affondano


all’interno dell’antica Grecia dove le
manifestazioni teatrali avevano una
strettissima correlazione con le cerimonie
rituali e religiose.
Il problema delle origini del teatro e della
sua connessione con l’aspetto religioso è un
problema estremamente complesso che
chiama in cause competenze diverse,
religiose, storiche, antropologiche.

Le poche fonti che noi abbiamo concordano tutte sul fatto di collocare l’origine degli spettacoli teatrali
all’interno del rituale religioso, in particolare le manifestazioni teatrali che ci sono attestati dalle fonti
archeologiche e storiche mettono in correlazione i primi modelli di canto rituale e quindi di manifestazione
teatrale con i riti del dio Dionisio, che diventerà Bacco nella tradizione latina, il Dio del vino.
A Dionisio era dedicato il principale teatro dell’antica Grecia, quello di Atene e per molto tempo era compresa
nello spazio teatrale un’ara per i sacrifici a questa divinità. Al rituale dionisiaco, che prevedeva una serie di
inni danzati e cantati, sono strettamente connessi i termini legati all’origine della tragedia:
- il ditirambo era un canto rituale eseguito in onore del Dio
- etimologia della parola tragedia (tragoidia), è composta dalle parole tragos e oidè (canto del capro)
che rimandava al rituale sacrificale tipico di Dioniso.
L’IDEA DI TEATRO originario dell’antica Grecia è una dimensione collettiva in cui la comunità si riunisce per
rinsaldare e confermare la propria adesione a valori comuni.
In effetti lo spettacolo teatrale dell’antica Grecia e del mondo antico è sempre uno spettacolo destinato
all’intera collettività e collocato in precisi momenti dell’anno coincidenti con le feste religiose.
Il teatro nasce in Grecia caricato di fortissimi valori collettivi prima religiosi e poi civili e culturali.
Lo spettacolo è un evento che riguarda tutta la comunità e che si colloca in un tempo festivo, quindi in cui la
quotidianità viene sospesa e tutti si dedicano alla celebrazione di quell’evento.
Questa è una caratteristica che durerà nel mondo occidentale fino al rinascimento, nella metà del 500.
Il teatro non è come nel mondo contemporaneo un’attività che scorre parallela al fluire della vita
professionale ma un’attività dedicata alla celebrazione di precisi eventi, categoria della festa che è sia
religiosa che civile, e si colloca al di fuori della temporalità ordinaria (dobbiamo arrivare alla nascita degli
iconici dell’arte per far si che lo spettacolo diventi parallelo alla vita consueta).
Atene era la principale città dove si svolgevano gli spettacoli teatrali.
La maggiore festività religiosa era quella delle grandi dionisie: celebrazioni in onore di Dioniso che si
svolgevano in primavera, quando si riapriva la stagione della navigazione e ad Atene confluivano numerosi
visitatori e rappresentanti delle città alleate ai quali la città offriva come esempio della sua coesione culturale
e della sua potenza proprio gli spettacoli teatrali. Grande rilievo all’interno della vita collettiva assegnata al
teatro come attività civile, morale e religiosa, sostenuta e finanziata dallo stato.

Organizzazione degli spettacoli: sono le autorità cittadine che organizzano gli spettacoli, questo è uno dei
tratti che arriverà al punto di svolta.
Esisteva un magistrato preposto all’organizzazione degli spettacoli, “arconte Eponimo” quello che dava il

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nome all’anno, un magistrato di primo livello che si occupava del finanziamento degli spettacoli durante le
grandi Dionisie, il quale andava a scegliere un privato cittadino che si incaricasse materialmente del
pagamento e dell’organizzazione dello spettacolo: il cosiddetto “corego”.
Il corego dell’antica Grecia è un cittadino che svolge un’importante funzione civica a favore della propria
comunità: era un cittadino benestante o ricco che si caricava di questo onere in cambio dell’enorme
popolarità che ne derivava al fine di aprirsi una carriera politica o di mostrarsi i candidati ideali per importanti
incarichi amministrativi. Investire in teatro aveva un ritorno di immagine straordinario, permettendo al corego
di essere esentato dalla guerra e dal servizio militare e di mettersi in luce come benefattore all’interno della
comunità. Questo elemento ci permette di capire quanto alto fosse il prestigio di un evento teatrale in
quell’epoca.
Struttura degli spettacoli: gli spettacoli erano molto amati da tutto il pubblico perché si presentavano
sottoforma di concorsi, gara drammatica.
Il corego sceglieva 3 autori che presentavano ciascuno una trilogia tragica, cioè tre tragedie seguite da un
dramma satiresco, cioè una composizione di carattere parodistico che aveva la funzione di rasserenare
l’animo degli spettatori.
A ciascuno dei 3 autori era riservata un’intera giornata e nel corso della giornata il pubblico assisteva alle 3
tragedie e alla rappresentazione del dramma satiresco. I drammi dionisiaci avevano una durata variabile tra i
5 e i 6 giorni (6 quando c’era un giorno destinato alla commedia, quando il teatro fiorisce nel V secolo era
questa la struttura).
Le grandi dionisie duravano 6 giorni:
• primo giorno di celebrazioni e di presentazione del gruppo degli autori e dei cori che sono
fondamentali all’interno della tragedia greca
• secondo giorno destinato alle gare comiche
• 3-4-5 le rappresentazioni dei 3 autori e del dramma satiresco
• 6 giorno la proclamazione del vincitore che otteneva il riconoscimento pubblico e l’onorificenza
dell’intera città.
A teatro andavano tutti e il teatro era un luogo fondamentale all’interno della polis greca, un luogo che trova
la sua collocazione vicino l’acropoli.

Struttura teatro: questa è una ricostruzione del teatro di Dioniso che esiste ancora.
Originariamente le strutture destinate al teatro sono rudimentali, non siamo in presenza di un edificio, è
scorretto dire che il teatro greco è un edificio, non c’è una struttura architettonica che sostenga il teatro e la
parte destinato al pubblico è il pendio della collina, quindi luogo naturale dove venivano poggiate delle travi
di legno e che poi con gli anni vennero trasformate in gradinate di pietra
Theatron cioè “luogo da cui si guarda” -> questo significa che in origine il teatro è atto per essere
guardato e questo malgrado si ritenga che il teatro greco sia il teatro del logos, delle parole.
Spettacolo invece viene da “spectaculum, il luogo da cui si guarda”, quindi torniamo sempre alla radice,
cioè l’aspetto visuale è l’aspetto fondante del teatro, la parola esiste ma lo spettacolo, l’evento teatrale
è fin dalle origini qualcosa che si guarda.
- questi sono teatri che hanno una capienza di 12000 spettatori.

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- Gli spettatori prendevano posto nelle varie gratinate divise in settori dove ci sono le scalette
“klimakes”
- due corridoi “diazoma”; questo consentiva al pubblico di avere molte vie di accesso.
- Nel teatro greco avendo la collina l’accesso poteva venire dall’alto oppure dalla parte più bassa dove
esistono altri due elementi fondamentali del teatro greco.
- L’orchestra, nel più antico teatro gli archeologi hanno scoperto che in realtà ci sono state due
orchestre, una più antica dell’altra.
La prima (1) è quella più grande dove c’era un’ara dedicata a Dioniso -> originariamente infatti il
teatro greco era fatto dall’orchestra e dal Theatron, perché era il luogo delle cerimonie rituali e canti
ditirambici dedicati a Dioniso. I canti erano tenuti e svolti dal coro che trovava posto nell’orchestra.
Anche la parola orchestra è una parola significativa nella storia del teatro e viene dal verbo greco
“orchiomai” cioè “muoversi danzando”.
- Originariamente avevamo l’ingresso del coro da due parti, i due ingressi da cui entrava il coro al livello
dell’orchestra sono le parodoi. La parodos era la porta che concretamente nel luogo scenico segnava
l’ingresso del coro.
- Originariamente abbiamo uno spettacolo basato su due elementi, il theatron con il pubblico e
l’orchestra con il coro.
- Ad un certo punto all’interno del coro si stacca un risponditore (2), cioè l’attore singolo e l’inno
diventa un dialogo -> nasce il dialogo teatrale. La cosa ha molto successo quindi la parte singola, del
risponditore (l’attore) diventa sempre più importante. Il ruolo del core diventa accessorio o
complementare a lui, e lo spettacolo diventa il dialogo tra l’attore e il coro.
- Skene: Si crea la necessità di avere una struttura dove appoggiare questi risponditori cioè la skene, la
scena. Per fare posto alla skene, si ridimensiona l’orchestra perché ormai il coro non è più così
importante per dare un fondale scenico all’attore. La parola skene originariamente vuol dire “tenda”
perché è una baracca fatta di pali e tessuti dove si nascondevano i costumi, le maschere, gli accessori
necessari per la rappresentazione. Poi diventerà una struttura monumentale.
La cosa interessante è che a questo punto però lo spettacolo si è complicato, siamo arrivati a tre
elementi pubblico, coro e attore.
- Ci sono queste strutture “paraschena” che contengono la scena. Probabilmente la cosa è ancora
contrastata dagli studiosi, comincia ad esserci un piccolo palco (di 10 cm) su cui l’attore comincia a
salire. C’è una distinzione tra il coro e l’attore anche se i due continuano a parlare l’uno con l’altro e a
scambiarsi le posizioni, l’attore scende spesso in mezzo al coro.
A questo punto comincia ad esserci un fondale dietro che assume delle volontà scenografiche, nasce la
struttura base del teatro su cui comincerà a nascere la drammaturgia, cioè la scrittura per il teatro.
11/02/20
La civiltà teatrale dell’antica Grecia è alla base della tradizione occidentale in quanto concezione del teatro
come evento di riunione della collettività che a teatro rinsalda la propria appartenenza e coesione per i valori
religiosi e civili.
Nel V e nel IV secolo delle polis greche a teatro vanno tutti e lo spettacolo è finanziato dalle autorità statali.
Tra questi “tutti” del pubblico bisogna intendersi: gli studiosi sono divisi tra
- coloro che riconoscono come certa la presenza a teatro di tutta la popolazione maschile
- coloro che intendono il tutti in maniera più ampia, sulla base di alcune testimonianze che possono
derivare dai testi, alla presenza in teatro anche delle donne, bambini e addirittura schiavi.
THEORICON: Quello che però è importante sottolineare al di là di queste sfumature di collettività che
prendeva posto nello spazio teatrale è il fatto che alla presenza del pubblico lo stato prestasse un particolare
oggetto di attenzione, tanto che è documentata la presenza di un sistema di regolamentazione dell’ingresso
che non era la semplice gratuità: a teatro non si andava liberamente essendo lo spettacolo offerto come
evento a tutta la cittadinanza: esisteva un biglietto simbolico (theoricon) che era una piccola tessera di
terracotta con scritto il nome del settore a cui corrispondeva una piccola somma di denaro.
Lo spettatore lo acquistava e quando lo presentava a teatro gli veniva restituita la somma -> questo per
sottolineare l’importanza di recarsi a teatro, il biglietto era rimborsato una volta che lo spettatore aveva
dimostrato di utilizzarlo, a riprova di quel valore collettivo dello spettacolo che si vedeva investito di una
funzione educativa che diventerà un modello e un mito per i teorici successivi.

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Più volte nel corso dei secoli si tornerà a parlare di questa età dell’oro della Grecia antica di cui davvero lo
spettacolo vedeva riconosciuta in se una funzione morale e civile.
SPAZIO TEATRALE: abbiamo anche visto come lo spazio fosse pensato per l’intera comunità e come si fosse
modificato in base all’evolversi della comunicazione teatrale dal ditirambo a quella che sarà la forma
primordiale della tragedia.
RISPONDITORE: ad un certo punto si ebbe un distacco del coro di un risponditore che assume una funzione
dialogica con il resto del coro, costituendo il primo nucleo di dialogo drammatico.
L’attore che originariamente è uno solo, è destinato ad avere sempre maggiore successo e ad attirare a se
l’attenzione del pubblico -> questo fa si che dalle prime forma di tragedia con un attore si passi ben presto
alla tragedia articolata su due attori, fino ad arrivare alla tragedia del V secolo costituita da tre attori.

MASCHERA: questo non significa che esistessero soltanto tre personaggi perché l’attore nel mondo greco
poteva interpretare più parti grazie alla presenza di una maschera che gli copriva interamente il volto, quindi
il teatro poteva anche avere 5-6 personaggi, perché i tre attori potevano rivestire altri ruoli.
Di solito solo il protagonista faceva una sola parte (perché la parte più lunga e più impegnativa) gli altri due
attori facevano più personaggi. Tutto questo era reso possibile attraverso la presenza della maschera.

“Il vaso Pronomos” (conservato al museo


archeologico di Napoli) raffigura una compagnia di
attori che si stanno preparando a recitare una
tragedia.
Ci permette di vedere quali fossero le caratteristiche
di questi interpreti del mondo antico -> ci
soffermiamo sulla figura dell’attore vestito con la
lunga tunica “il chitone” che porta in mano una
maschera (molto diversa da quella che sarà la
commedia dell’arte) che copre interamente il volto ed
è corredata da una lunga parrucca “onkos” che copre
tutta la testa e copre la capigliatura. Questo fa si che
le fattezze umane dell’attore vengano cancellate e che
la maschera fissi un’espressione costante per tutta la
rappresentazione.

<- APPROFONDIMENTO
LIBRO

SIGNIFICATI DELL’USO DELLA MASCHERA: Per la maschera, che è costante almeno per la tragedia, è possibile
concordare con la maggioranza degli studiosi riconoscendogli due significati:
• RITUALE: il primo era di origine rituale che si ricollega a quelle che erano le origini rituali del teatro
per cui l’autore diventa altro da se e interpreta l’archetipo umano e non la figura individualizzata, il
che ci indica molti significati su quello che è la lettura dei personaggi della tragedia greca, figure
eroiche, elevate di incarnazione di valori.

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• PRATICA: è inevitabile riconoscere una funzione pratica alla maschera che serviva a rendere l’attore
individuabile dalla grande moltitudine del pubblico spesso messo a distanza dall’attore, per cui
l’espressività marcata (che sarà ancora più marcata in età ellenistica) aveva il compito di rendere
immediatamente riconoscibile il personaggio che l’attore interpretava agli occhi del pubblico.

In più la maschera aveva funzione di amplificatore della voce -> Per un attore del mondo antico la
voce era l’elemento fondamentale del talento artistico e l’aspetto su cui maggiormente si
concentrava il consenso del pubblico. Sappiamo che Sofocle (uno dei tragediografi) in gioventù tentò
di fare l’attore ma dovette rinunciare per la mancanza della potenza vocalica.
All’attore greco era richiesta una grande capacità vocale, sia come potenza che come modulazione
della voce perché la recitazione che era in versi era qualcosa di simile alla nostra salmodia, o
comunque ad una ritmicità di recitazione che richiedeva una buona padronanza ritmica e tonale.
LA TUNICA: completava il costume dell’attore la tunica completata da alcuni accessori che dovevano indicare
le caratteristiche del personaggio -> nella foto vediamo
a) un attore che interpreta Ercole e lo sappiamo sicuramente perché ha la clava e la testa con la pelliccia
di leone
b) poi c’è un altro attore che ha un abbigliamento caprino e quindi fa pensare alla guida del coro,
corifeo.
c) Tutti gli altri sono i componenti del coro.
Tutta la tragedia greca aveva all’interno degli interpreti
- un gruppo di attori che erano inizialmente dilettanti ma che poi diventano professionisti
- il gruppo del coro, 12 o 15 componenti, a seconda delle tragedie, questa volta dilettanti, spesso presi
tra la popolazione dal corego e portati sulla scena, istruiti a danzare e recitare le parti del coro.
Questo cementava ancora di più la partecipazione del pubblico che non conosceva gli attori ma
poteva conoscere i componenti del coro.
CALZATURE: Un altro dettaglio è quello della calzatura-> nel V secolo gli attori indossano dei sandali rasoterra
molto simili a quelli della vita quotidiana, questo perché il movimento degli attori fra il palchetto “logheion” e
l’orchestra era minimo; le altezze permettevano un passaggio degli attori anche nella parte dell’orchestra,
alcuni studiosi hanno supposto che nel V secolo non ci fosse un vero palcoscenico.
SKENÈ: c’era sicuramente la skenè, la parete scenica che si ergeva dietro gli attori e che era nata con una
funzione assolutamente pratica. Skenè in greco significa “tenda” perché originariamente di questo si trattava,
di una baracca costruita con parti di tela e adibita alla conservazione delle maschere (che era più di una
perché l’attore rappresentava più di un personaggio).
Piano piano la skenè va modificandosi diventando una parete in pietra che assume carattere sempre più
monumentale fino a raffigurare la facciata di un palazzo.
Questa evoluzione va di pari passo con l’evoluzione dello spazio teatrale greco nel momento del passaggio
all’età ellenistica.
TEATRO DI EPIDAURO: Il più famoso teatro greco del IV secolo ancora esistente, cioè quello di Epidauro,
straordinariamente concepito con delle capacità acustiche straordinarie ma che già attesta una fase dello
spettacolo che è ormai distinta da quello spettacolo del V secolo in cui erano nate le grandi tragedie della
classicità.

Pianta: la parte dell’orchestra è ridotta e più


addossata al theatron, la parte dove sta il
pubblico il quale è più vicino alla parte della
scena; la scena si è avvicinata.
Architettonicamente la cosa è ancora più
evidente in questa ricostruzione ipotetica
fatta dagli studiosi di archeologia che
ripropone l’immagine del teatro di Epidauro
per quello che poteva presentarsi ad uno
spettatore dell’età ellenistica.

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C’è una maggiore saldatura tra il theatron e la skenè, architettonicamente marcata dai portali (le parodoi, la
parte da cui entrava il coro) e un’elevazione del palco che sta davanti alla skenè, che è ormai elevato e rende
impossibile la comunicazione con l’orchestra dove ci sono i seggi per gli spettatori eminenti.
Questo è il segno del cambiamento del tempo, l’attenzione dello spettatore non è più per l’orchestra ma per il
palcoscenico. È un processo che si compie con il teatro romano e che fissa quella che è fino al 900 la divisione
tra il palcoscenico e la platea/il pubblico.
Nel IV secolo la grande stagione della produzione teatrale si è andata esaurendo soprattutto per quanto
riguarda le tragedie e lo spettacolo si limita alla riproposizione di grandi pezzi di bravura delle tragedie
precedenti. La conseguenza è la diminuita importanza del coro, che è diventata una presenza accessoria e
svincolato dall’azione che si svolge sul palco.
L’attenzione del pubblico è ormai tutta sul palco e sull’azione drammatica che su esso si svolge.

<- APPROFONDIMENTO
LIBRO

SCENOGRAFIA ED EFFETTI SPECIALI: questo è il periodo in cui si cominciano ad avere elementi di scenografia
ed effetti speciali.
Tra gli elementi di scenografia si impone la regola delle 3 aperture della skenè, quella centrale per il
protagonista, quelle laterali per i due attori di contorno e l’utilizzo di alcuni effetti ->
- theologeion, la terrazza sopra la parete scenica che ormai è di pietra, la skenè che veniva usata per
l’apparizione degli dei,
- Mechanè legata ad un espediente drammaturgico già rodato nel V secolo con Euripide e cioè
l’espediente del deus ex machina che era la divinità che entrava nel finale per risolvere una situazione
che le forza umane non avrebbero potuto portare a nessuna conclusione.
L’intervento esterno che improvvisamente produce la soluzione in un contesto apparentemente
bloccato. Il deus ex machina era una divinità calata attraverso una carrucola o a far scendere il
personaggio che veniva salvato verso gli dei.
- Ekkyklema: pedana che veniva fatta avanzare attraverso le porte per rilevare l’esito di una tragedia.
La norma della morale greca impediva lo svolgimento di omicidi direttamente sulla scena, per cui
avvenivano fuori scena e venivano narrati. Questo era collegato anche ai condizionamenti dello
spettacolo, perché in un teatro come quello greco in cui non esiste sipario, quindi si crea un
meccanismo che possa mostrare l’esito della tragedia.
- Altra cosa legata all’apparizione degli dei era la scaletta di Caronte, passaggio sotterraneo attestato in
alcuni teatri, che partiva dalla skenè ed emergeva nell’orchestra per cui l’attore poteva sparire e poi
riapparire dall’orchestra dando un effetto particolare.
ABBIGLIAMENTO ATTORI: questi effetti scenici diventano gli effetti più in uso durante l’età ellenistica dove
cambia il costume dell’attore. Per adeguarsi all’aumento della monumentalità dell’edificio, la visione
dell’attore va modificandosi rispetto al secolo precedente:
- Gli attori cercano di aumentare la loro statura con delle calzature -> coturni (zeppa altissima per
adeguarsi alle proporzioni del teatro)
- adeguano anche la dimensione dei costumi -> spesso gli attori si mettevano anche delle imbottiture
per sembrare più possenti, adeguandosi alla statura eroica dei personaggi.
- Così si sviluppano anche le maschere che assumono un’espressione molto più marcata rispetto alle
dimensioni delle maschere precedenti di cui sono rimasti molti esempi.
- Onkos: parrucca che è elevata in altezza.

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Così combinato l’attore non può muoversi e già da queste condizioni capiamo come è definito un
personaggio dell’antichità

APPROFONDIMENTO LIBRO ꜜ

ATTORI UOMINI Il fatto che il teatro greco sia legato alla narrazione ed espressione verbale dell’emozione e
dei sentimenti, è collegato alla difficoltà di costruire delle azioni mimiche, di muoversi con disinvoltura
all’interno di questo contesto.
Gli attori erano tutti uomini e lo saranno per moltissimo tempo, anche qui la svolta arriva nel 500 con la
commedia dell’arte. Per tutto il mondo antico e per il medioevo si ritiene immorale per le donne andare in
scena. Ci saranno alcuni esempi di donne attrici nell’antica Roma ma la loro qualifica morale e sociale le
apparentava alle prostitute.
Il grande teatro che si investe di contenuti culturali e civili è sempre e solo recitato dagli uomini questo ci
spiega perché la scrittura delle tragedie va in una direzione che non è realistica e per cui le passioni, le
emozioni, le grandi eroine devono essere rilette in questo contesto, tenendo in conto delle condizioni per cui
sono state scritte e create.
TRAGEDIA V SECOLO: dobbiamo tenere conto che questi grandi capolavori sono scritti per la
rappresentazione e solo a partire dal IV secolo, quindi a partire dalla fine della grande parabola della tragedia,
che lo stato ateniese decide di depositare presso gli archivi di stato i testi delle grandi tragedie del passato per
dare una versione ufficiale a delle storie che erano state nel corso del tempo travisate e corrotte.
Questo decreto del 330 a.C. che deposita le copie autentiche, che salva le tragedie e le fa entrare nel canone
della letteratura perché da lì vengono prese le copie che si diffonderanno in tutto il mondo ellenistico
diventando punti di riferimento -> questo vuol dire che Eschilo, Sofocle ed Euripide, i tre grandi tragici
scrivono dei copioni per andare in scena alle Dionisie sperando di vincere. Scrivono dei testi che devono
essere immediatamente recitati e per questi non hanno le didascalie. Uno dei problemi filologi della Grecia
antica è appunto quello delle didascalie che sono moderne. L’autore era lì e seguiva l’allestimento e quindi
dobbiamo pensare che quella poesia veniva pensata per essere letta.
LA STRUTTURA DELLA TRAGEDIA era fatta per seguire l’andamento dello spettacolo così come era costruito in
quel momento, infatti se andiamo a guardare la scrittura delle tragedie non troviamo atto I scena I ma una
struttura diversa, quella dello spettacolo.
• Prologo: poteva anche non esserci, come in quelle più antiche
• Parodo: l’entrata del coro
• Episodi: recitazione degli attori spesso in dialogo con il coro
• Stasimi: i canti del coro che per tutto il tempo stava nell’orchestra
• Epiologo: fine della tragedia che prevedeva l’uscita sia degli attori che del coro
TEMATICHE DELLE TRAGEDIE: il pubblico amava moltissimo la tragedia, molto più che la commedia perché la
tragedia presentava temi appartenenti al patrimonio culturale collettivo, tratti dai racconti mitici che il
pubblico già conosceva e che quindi valutava la bravura dell’autore attraverso la capacità di trasmettere i
valori condividi dall’intera comunità attraverso la storia dei miti.

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Originariamente i concorsi drammatici prevedevano la presentazione di una trilogia + un dramma satiresco.
La trilogia di tragedie poteva essere legata dallo stesso tema comune o svincolato.
La storia dei tre tragici greci ci racconta proprio l’evoluzione dello spettacolo tragico
ESCHILO (525-476 a.C.) di lui ci sono arrivate sette tragedie che ci dicono che si tratta del primo tragediografo
importante. Quattro su sette prendono il nome del coro. È il coro che dà il titolo alla tragedia e quindi la prima
caratteristica della scrittura di Eschilo è l’importanza conferita al coro perché quello che gli interessa è il
rapporto tra la collettività e l’individuo.
TECNICA DI SCRITTURA: scrittura risponde perfettamente agli intenti tematici dell’autore.
OPERE: di Eschilo è arrivata l’unica trilogia completa dell’antichità:
- Orestea: composta da tre tragedie:
◼ Agamennone
◼ Coefore
◼ Eumenidi:
TRAMA: racconta la storia delle Atridi a partire dal ritorno dalla guerra di Troia di Agamennone che riporta in
patria come schiava la principessa Cassandra, la quale profetizza i lutti che arriveranno sulla famiglia.
Infatti la prima tragedia che prende il nome dal protagonista Agamennone appunto, si conclude con la sua
uccisione da parte della moglie Clitemnestra e di Egisto.
- Le altre due tragedie raccontano la vendetta che il figlio Oreste, all’epoca del delitto bambino, torna a
compiere per vendicare il padre, e la persecuzione che Oreste subisce da parte delle Erinni che lo
accusano di avere ucciso la madre per vendicare il padre, fino all’assoluzione finale fatta da un
tribunale che ristabilisce la giustizia umana e il perdono divino.
Si tratta di una trilogia legata, perché il tema è lo stesso, la storia della famiglia che va avanti per compiere
le tre tappe fondamentali, per completare il discorso poetico che sta a cuore ad Eschilo.
ELENCO OPERE ESCHILO
• 499 a.C. esordisce nei concorsi drammatici e si classifica terzo
• 490 a.C. combatte fra le truppe greche a Maratona, e nel 480 a Salamina
• 484 a.C. ottiene la sua prima vittoria tragica
• 472 a.C. con la coregia di Pericle si afferma al concorso tragico con una trilogia a cui appartengono i
Persiani.
• 467 a.C. presenta una tetralogia dedicata al ciclo tebano, di cui è pervenuta soltanto la terza tragedia,
Sette contro Tebe
• 463 a.C. in competizione con Sofocle presenta Le Supplici, primo testo di una trilogia incentrata sul
mito delle Dadaidi, risultando vincitore
• 458 a.C. Con l’Orestea (Agamennone, Coefore, Eumenidi) ottiene la sua ultima vittoria.
(non è necessario ricordarle tutte)
SOFOCLE: (496-406 a.C.) tragediografo più fortunato e più applaudito ai suoi tempi. Vince moltissime
competizioni tragiche e si impone su Eschilo che quasi improvvisamente sembra vecchio.
La misura della scrittura di Sofocle è la singola tragedia.
Anche Sofocle deve fare la trilogia altrimenti non potrebbe partecipare al concorso ma fa tre tragedie diverse
su tre personaggi diversi, una indipendente dall’altra.
Si afferma la misura della tragedia per come la concepiamo ancora nei tempi moderni. Anche di Sofocle
abbiamo sette tragedie ma c’è un solo titolo che è collegato al coro, tutti gli altri prendono il nome dal
personaggio protagonista. È Sofocle che costruisce queste figure capaci di incarnare le grandi passioni e i
grandi ideali.
OPERE:
◼ è lui l’autore di Antigone, personaggio destinato ad una grandissima fortuna anche nella
contemporaneità

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◼ è lui l’autore di Edipo Re, che Aristotele nel IV secolo definisce “la migliore delle tragedie greche”
perché la trova la più perfetta per quanto riguarda la struttura e per quanto riguarda la
configurazione del protagonista.
ELENCO OPERE SOFOCLE
• 468 a.C. esordiente nei concorsi drammatici, ottiene la sua prima vittoria, trionfando su Eschilo
• 450-440 a.C. compone Aiace
• 450-438 a.C. vengono scritte e presentate le Trachinie
• 442 a.C. con Antigone ottiene la vittoria alle Grandi Dionisie
• 429 a.C. composizione della sua più famosa tragedia, Edipo Re
• 413 a.C. cade forse in tale anno la rappresentazione dell’Elettra
• 409 a.C. l’allestimento di Filottete gli procura una nuova vittoria
• 401 a.C. il nipote Sofocle cura l’allestimento di Edipo a Colono

EURIPIDE: vive alla fine del V secolo ed è tra i tre il meno apprezzato dai contemporanei, quasi mai vince alla
Dionisie e il pubblico dei conservatori lo considera dissacratore perché si fa interprete di quella sensibilità che
vede diminuita la fiducia nei valori che hanno fatto la gloria della polis e sente molto forti le dissonanze che
hanno portato alla decadenza del mondo della polis greca: sfiducia nei grandi valori collegata alla mancata
fiducia nei miti
CARATTERISTICHE: Infatti la caratteristica che accomuna la produzione di Euripide è la tendenza a rielaborare
i miti -> spesso racconta delle storie mitiche che manipola.
Introduce la storia secondo cui Elena non sarebbe mai arrivata a Troia ma resta in Egitto mandando a Troia il
suo fantasma.
L’idea di Euripide è quella di essere un grande innovatore, di aggirare la sostanza mitica che è il pilastro base
della trama di una tragedia per concentrarsi sull’intreccio e sul personaggio.
Mentre le tragedie di Eschilo e Sofocle sono semplicissime dal punto di vista dell’azione, in quelle di Euripide
sono intricate, ci sono dei colpi di scena, dei ribaltamenti delle sorti -> ad Euripide interessa mettere in luce i
cambiamenti emotivi dei personaggi.
PERSONAGGI: I suoi personaggi non hanno più la statura degli eroi precedenti ma sono personaggi
combattuti, fragili e molto umani, dominati dagli istinti e dalle passioni.
Euripide è interprete di una sensibilità orientata verso il futuro (quella del mondo ellenistico), motivo per cui
non è un caso che ci siano molte più tragedie di Euripide: 17 tragedie contro 7 e 7 dei precedenti.
Euripide è amatissimo dai posteri perché è quello meno legato al mondo dei V secolo.
PERSONAGGI FEMMINILI: è il grande tragediografo dei personaggi femminili: Medea, Andromaca, Fedra,
sono figure che introduce lui nella drammaturgia.
IPPOLITO INCORONATO: La tragedia di Euripide con Fedra si chiama Ippolito -> quando Euripide rappresenta
sulla scena l’incesto tra Fedra e Ippolito con il titolo “Ippolito velato”, perché il personaggio si sarebbe coperto
il viso per la vergogna, il pubblico lo censura e la tragedia non va in scena. Euripide riscrive la tragedia per
poter partecipare al concorso e lo chiama “Ippolito incoronato” dove c’è una modifica della struttura che
riesce ad aggirare la censura morale del tempo; e comunque all’interno della vicenda si impone sempre e
comunque la figura della regina Fedra più che quella di Ippolito.
TRAMA MEDEA: è uno dei grandi successi di Euripide (si era piazzato terzo) -> mette al centro la figura di una
donna dominata da una passione d’amore distruttiva. Medea è una straniera che ha sposato Giasone, eroe
degli Argonauti, che una volta diventata moglie e madre di due figli, si vede scavalcata da una donna più
giovane. Impazzisce di gelosia e di rabbia, uccidendo i figli avuti da Giasone per punire l’uomo di questo
tradimento.
Il mito di Medea rientra nel teatro variamente giudicato perché Medea si copre del peggiore dei delitti quindi
non può essere moralmente giustificata (Euripide arriva al limite della sfiga) eppure è il personaggio che
domina la tragedia per la forza, per la rabbia con cui grida, la passione che l’ha portata dimenticare tutta se
stessa per l’uomo in cui credeva. Questo fa si che Euripide alla fine non la punisca. La tragedia non finisce con

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la morte di Medea ma con il Deus ex machina che con la carrucola salva Medea, figlia del sole dal quale viene
salvata. È un finale rivoluzionario che non mancò di far discutere il pubblico.
Youtube: Elisabetta Pozzi e Maurizio Donadoni Medea finale 7 min.
ELENCO OPERE EURIPIDE

• 455 a.C. partecipa per la prima volta alle gare tragiche


• 438 a.C. compone Alcesti, la più antica tra le sue tragedie pervenuteci
• 431 a.C. con la rappresentazione di Medea si classifica terzo ai concorsi drammatici delle Grandi
Dionisie.
• 430-429 a.C. rappresentazione degli Eraclidi
• 429-425 a.C. composizione dell’Andromaca
• 425 va in scena ad Atene Ecuba
• 428 a.C. dopo lo scandalo nato in seguito alla presentazione dell’Ippolito velato, censurato per motivi
morali, E. compone una nuova tragedia con il titolo Ippolito incoronato.
• 424-420 a.C. Allestimento delle Supplici
• 418-414 a.C. probabilmente in questo periodo viene composta Elettra
• 415 a.C. ottiene il secondo posto con una trilogia ispirata alla guerra di Troia, di cui rimane solo il
terzo dramma, Le Troiane
• 412 a.C. rappresenta Elena e, poco dopo, Ifigenia in Tauride, tragedia a lieto fine dominate
dall’elemento romanzesco
• 408 a.C. composizione di Oreste, e presumibilmente delle Fenicie e di Ione
• 406 a.C. muore a Pella, in Macedonia, presso la corte del re Archelao
• 406-405 a.C. Ifigenia in Aulide e Le Baccanti vengono rappresentate postume a cura del figlio.
Dobbiamo dedurre la posizione di Euripide in rapporto con la religione tradizionale, Zeus non è in grado di
assistere Giasone, i valori del logos, della giustizia e del fato si sbriciolano davanti la forza oscura dell’amore e
della passione.
TEATRO ROMANO: Se dal teatro greco spostiamo la nostra attenzione sul teatro romano troviamo molte
caratteristiche apparentemente comuni perché sostanzialmente la concezione del teatro muta, scompare la
funziona civile ed educativa che il teatro aveva assunto all’interno della civiltà greca per lasciare il posto ad
una concezione edonistica di puro divertimento.
TEATRO E RELIGIONE: apparentemente il teatro a Roma continua a mantenere un legame con la religione,
anche a Roma come tutto il mondo antico, gli spettacoli sono collocati in particolari periodi festivi cioè i ludi
che si tengono in onore di alcune divinità. Sono vari tipi di celebrazioni che contengono all’interno delle
manifestazioni spettacolari. Il legame con la religione è puramente esteriore e contingente.
L’attività teatrale non si occupa di valori della società e al contrario mira ad attrarre il pubblico con
divertimenti puri e semplici giocati sulla visività.
IDEA DI TEATRO: per i romani il teatro è spettacolo, qualcosa da vedere, e in quanto dominato dalla visività il
teatro ha una prevalenza di generi in cui la parola e i contenuti sono del tutto secondari.
I romani amano moltissimo quelli che noi oggi chiamiamo “gli eventi dello sport spettacoli” cioè i
combattimenti uomo-animale, i giochi gladiatori, le corse dei cavalli.
Ci saranno anche i mimi, pantomimi e giochi legati alla danza (anche venationes, naumachie, balletti
acquatici), cioè esibizioni che si fermano alla pura contemplazione esteriore.
Il teatro per i romani è “l’insieme dei circenses” cioè i giochi del circo.
Gli spettacoli aumentarono vertiginosamente durante l’impero perché erano pagati e promossi dalle
personalità politiche, i grandi generali prima ma anche gli imperatori, quali per sostenere la loro popolarità
presso il popolo, promuovevano tantissime rappresentazioni spettacolari proprio con l’intenzione
propagandistica.
MORALITÀ: dal punto di vista morale però il teatro era ritenuto qualcosa di estraneo all’etica del cittadino
romano e infatti durante la Roma repubblicana il senato combatteva i divertimenti teatrali come elementi di
una sensibilità di importazione che non si addiceva all’austerità del cittadino romano.
Per molto tempo anche le commedie non potevano avere un’ambientazione romana per ragioni morali.

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STRUTTURA TEATRO: analogamente il senato combatteva la costruzione dei luoghi dello spettacolo che erano
ritenuti occasioni di ozio improduttivo; per cui di fatto i grandi commediografi come Plauto e Terenzio
potevano rappresentare i loro spettacoli in teatrini improvvisati.
Si usavano delle baracche di legno, o gli scalini dei templi per far sedere il pubblico.
TEATRO MARCELLO: per avere un teatro in muratura dobbiamo arrivare alle soglie dell’impero cioè al 13 a.C.
con il “teatro di Marcello” che è il più antico edificio romano pervenuto fino a noi.
Marcello era il nipote di Augusto a cui il principe concesse di aver dedicato un edificio stabile per lo spettacolo
a Roma.
È un edificio che rappresenta una svolta: in primo luogo perché è un edificio, può essere autonomo e
collocato all’interno della città.

INGRESSO A TEATRO: I romani si inventano il sistema di ingresso nel teatro attraverso il sistema di scale e gli
accessi alla cavia. L’edificio era grandissimo e pensato per tutta la collettività che però entrava ordinatamente
perché ciascun settore aveva una porta indicata con un numero e il pubblico aveva un biglietto con il numero
del settore.
STRUTTURA TEATRO: all’interno il teatro romano riprendeva moltissime delle caratteristiche di quello greco,
rimaneva il sistema delle gradinate, rimanevano i corridoi, rimaneva l’orchestra e la scena ma l’evoluzione
dello spettacolo torna a farsi sentire perché la diminuita importanza dell’orchestra qui diventa evidentissima.
L’ORCHESTRA è ridotta ad un semicerchio.
Lo spettacolo si svolge sul palcoscenico, l’orchestra diventa sempre meno importante e a partire dal II secolo
ospita i seggi per gli spettatori eminenti, divenendo una parte quindi della platea.
Questa forma non è la forma più consueta (che è quello dell’anfiteatro, che risponde meglio alle esigenze dei
generi spettacolari visivi).
Quello che conta rimarcare è il cambio di passo e la nascita del vero edificio teatrale, organizzato su due
elementi:

• il pubblico
• la scena
L’orchestra ormai è completamente superata, abbiamo pochissimi esempi di tragedie romane ma
probabilmente il coro agiva sul palcoscenico che si chiamava “pulpitum”.
In questo contesto il teatro drammatico era un genere minoritario che trovò la sua massima espansione nel II
secolo della Repubblica per poi diventare del tutto secondario durante l’impero.
I latini scrivevano per il teatro, lasciando una serie di modelli che hanno fornito fonti di ispirazioni per il teatro
successivo.
FABULA: per definire i generi si usava il termine “fabula” accompagnata da un aggettivo che la definiva:
• Fabula cothurnata che era la tragedia di impianto greco e mitologico
• Fabula praetexta di ambientazione e argomento romano; la toga praetexta era la toga rossa dei
senatori, quindi l’aggettivo che indica la tematica e che connota il genere
• Fabula palliata composizione comica, commedia di ambientazione greca che prendeva il nome dal
pallium che era il mantello corto dal taglio rotondo

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• Fabula togata che veniva dalla toga, abito latino, commedia di ambientazione italica e non romana
perché mai il senato avrebbe approvato la messa in ridicolo su un palcoscenico dei costumi romani.
• Atellana forma di commedia improvvisata di origine campana giocata sui tipi fissi. Sappiamo
pochissimo dell’atellana, viene considerato il precursore della commedia dell’arte.
Il maggiore autore di palliate è Plauto che è un uomo di teatro. Di lui ci sono arrivate 20 commedie
delle 130 che l’antichità gli attribuiva. Uomo di grandissimo successo, probabilmente secondo la
leggenda era un attore passato a fare il drammaturgo, ma sicuramente un uomo di teatro che
padroneggiava i meccanismi della comicità. Con Plauto comincia la commedia che poi arriverà fino al
500, la commedia basata su una storia.
PLAUTO: La storia base della commedia di Plauto è una storia d’amore contrastato: due giovani che si
amano ma la cui relazione è contrastata dai genitori per ragioni diverse, di solito per diverse condizioni
sociali, per cui i giovani fanno di tutto per vedersi e la situazione si complica finché si scioglie con l’uso
dell’agnizione, cioè un procedimento drammatico estremamente frequente per cui si scopre, grazie ad
una lettera, un cofanetto, al ritorno improvviso di un personaggio, che la ragazza non è quella che si crede
e si ricongiungono le famiglie e il matrimonio si può svolgere. Questa è la base di gran parte del teatro.
13/02/20
IL TEATRO MEDIEVALE
Il punto di partenza è il passaggio dal mondo antico al medioevo.
Abbiamo avuto modo di parlare della concezione dello spettacolo nel mondo romano mettendo in evidenza
come per i romani uno spettacolo fosse legato alla visualità e agli effetti spettacolari, spectaculum, destinato
all’intera comunità e pensato per una fruizione di svago e di consenso politico.
Manca totalmente alla dimensione spectaculum romana quella componente educativa e civile che aveva
caratterizzato lo spettacolo del mondo greco.
CHIESA: Date queste premesse è chiaro capire come per la nascente chiesa cristiana (a partire dal terzo secolo
d.C.) lo spettacolo diventi un bersaglio da colpire e da censurare, diventa quasi l’emblema di quel modello
comportamentale socio-culturale del mondo pagano a cui si vuole contrapporre in maniera netta la nuova
moralità cristiana. È per questo che i padri della chiesa si scagliando con estrema aggressività contro il teatro
e lo spettacolo in tutte le sue componenti, avviano una campagna diffamatoria che porterà all’eliminazione
dei teatri come luoghi fisici e alla stessa cancellazione dell’idea di spettacolo del mondo antico.
Per questo motivo per tutto il medioevo non avremo più uno spettacolo teatrale che possa richiamare il
modello dei generi classici (tragedia, commedia, generi visivi) e non avremo un edificio teatrale.
Per 1000 anni in Europa non c’è più un edificio legato al teatro, dovremmo aspettare la fine del 1500 per
ritrovare degli edifici specificamente pensati per degli spettacoli.
Una condanna che arriva a colpire tutto il mondo dello spettacolo, il “De Civitate Dei” di S. Agostino comincia
dicendo “decadono le città e cadono i teatri” e la precisazione non è casuale.
Il teatro viene assunto a emblema di quella corruzione morale che si vuole combattere.
CONDANNA PER DUE RAGIONI: I padri della chiesa si scagliano con tanta decisione contro il teatro per due
motivi:
1. RAGIONI DI MORALITÀ -> lo spettacolo romano era immorale e perturbante i sensi dello spettatore.
Gli spettacoli romani erano legati soprattutto all’aspetto visivo e all’esibizione del corpo, in
particolare per quanto riguarda gli spettacoli dell’impero, cioè quel periodo in cui la commedia
palliata di Plauto era un genere già tramontato.
GENERI più amanti dal pubblico nei secoli dell’impero erano i mimi e i pantomimi, spettacoli molto fragili
dal punto di vista drammaturgico e basati invece sull’azione corporea, spesso coreografica.
• MIMO: aveva brevi scenette di vita quotidiana, il mimo antico non è quello moderno in cui
non esiste più la parola, ma l’aspetto più importante era la componente gestuale e fisica.
Il mimo antico era l’unica forma di spettacolo in cui potevano agire le donne, nelle compagnie
di mimo c’erano sempre delle componenti femminili (la mima più famosa dell’antichità è
l’imperatrice Teodora, moglie di Giustiniano).

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• PANTOMIMO: era una forma di spettacolo un po' più raffinato in cui ad un cantore che
declamava i versi a cui si accompagna il pantamimo, una sorta di ballerino che danzava e
accompagnava il contenuto delle parole con gesti.
Questo spettacolo aveva un fondo erotico e provocatorio che non poteva essere accettato
dalla nascente morale cristiana, contraria al turbamento dei sensi che il buon cristiano deve
riuscire a controllare.
• Altrettanto combattuti erano gli spettacoli legati all’esibizione dei gladiatori per
l’ostentazione della violenza e la libera espressione degli istinti più bassi dell’uomo. Tutto il
mondo degli spettacoli romani era condannato per il suo carattere immorale

2. ATTORE: C’era una seconda motivazione che fa nascere un filone di disprezzo per il teatro che andrà
avanti fino all’800. Ad essere oggetto del discredito è l’attore in quanto professionista del falso -> un
uomo che sale sul palcoscenico, rappresenta discorsi ed emozioni false, spacciandoli per vere. Erige la
falsità a modello di vita. L’esaltazione del falso diventa l’insidia peggiore per una morale che invece
persegue l’obiettivo contrario, e diventa persino un elemento di sovversione sociale.
I padri della chiesa non fanno altro che sviluppare un filone di discredito sociale e morale che nei
confronti dell’attore si era già sviluppato nel mondo romano.

Mentre nel contesto culturale greco l’attore professionista poteva anche avere un notevole prestigio
come figura e come uomo, nel mondo romano l’attore è percepito come una figura estranea alla
moralità del cittadino.
ETIMOLOGIA: basta andare a guardare le parole che designano l’attore.
• In latino esiste la parola actor, dal verbo ago che vuol dire “portare avanti, condurre” ma non
è la parola più consueta per indicare l’artista che lavora sul palcoscenico perché actor è
imparentato con l’arte dell’oratoria.
• Actio era una delle parti della narrazione, infatti Cicerone usa questa parola più per indicare
l’oratore che declama la sua orazione che non per indicare l’artista che recita.
• Nella lingua comune per parlare dell’attore si parlava dell’istrio-oris, parola etrusca, straniera
che indicava proprio il performer, un tipo di interprete che si cimenta in diverse specialità e
come nella nostra lingua, già nel latino classico, istrio ha una connotazione negativa, valenza
spregiativa.
• Nei secoli dell’impero accanto a queste due parole si riprende la parola greca “ipocrites” che
diventa ipocrita. Originariamente vuol dire attore (in greco era addirittura il risponditore del
coro, quindi una parola neutra) ma nei primi secoli dell’era cristiana, anche questa parola
assume una connotazione negativa, ipocrita per noi è colui che dice il falso; torniamo quindi
all’idea che l’attore è colui che dice il falso.
Questa opera di smantellamento di tutto il sistema ideologico dello spettacolo del mondo classico arriva a
risultati devastanti, scompare l’edificio teatrale ma scompare anche l’idea stessa di spettacolo teatrale.
ISIDORO DI SIVIGLIA: Nel VII secolo Isidoro di Siviglia scrive “le etimologie” che sono una sorta di summa di
quella che è la cultura del mondo precedente; è interessante vedere che dice dello spettacolo teatrale cioè
che è fatto da due componenti:
• l’actor che legge o recita le parole
• l’histrio che le drammatizza
Si è persa quindi l’idea stessa della rappresentazione teatrale, nell’alto medioevo non si sa più come era
fatta una rappresentazione teatrale nel mondo classico.

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Questa è una miniatura (ormai siamo nel 400) di un codice delle
tragedie di Seneca (che vive all’epoca di Nerone) che rappresenta
l’idea che si aveva di una rappresentazione di una tragedia: c’è una
piccola edicola al centro con l’autore che legge il testo, poi c’è il
coro e poi ci sono gli attori. C’è una specie di palcoscenico, si sono
persi i connotati di una rappresentazione teatrale sostituita da
questa sorta di lettura drammatizzata dove l’actor spesso coincide
con l’autor, che l’azione drammatica è semplicemente un’azione
pantomimica eseguita da altri attori.

L’azione demolitrice dei padri della chiesa ha conseguenze durature.


RINASCITA TEATRO: quando arriva il rinascimento si riscopre il teatro e non solo come luogo scenico ma
anche come evento rappresentativo che era totalmente scomparso durante il medioevo.
La chiesa non è così cieca da non comprendere la valenza comunicativa del mezzo teatrale e la potenzialità
che il teatro può avere se usato a fini edificanti.
Il teatro che era stato bandito in quanto emblema del mondo pagano, viene ripescato dalla stessa chiesa e
piegato ai fini di un’educazione cristiana del pubblico, soprattutto della parte illetterata del pubblico che non
capisce la liturgia.
USO DEL TEATRO DA PARTE DELLA CHIESA: a partire dal X secolo ricompare dentro la chiesa, dentro la messa,
una forma di drammatizzazione che vede rinascere il teatro con altre caratteristiche, altre modalità ma fini
non così lontani da quel mondo di cui si era voluto prendere le distanze.
Il dramma viene recuperato come forma di educazione della popolazione sia in senso strettamente
catechetico, di insegnare gli episodi delle sacre scritture, sia in senso etico morale.
Immediatamente si capisce che questo è un medium molto più efficace degli stessi affreschi, sculture, dei
sermoni, perché capace di arrivare in maniera capillare.
DUE FASI: Ci sono due fasi di questo teatro sacro medievale:
• DRAMMA LITURGICO: il primo è quello che occupa i secoli X e XI e vede il teatro presentarsi i brevi
spazi all’interno della liturgia, per questo si chiama “dramma liturgico”.
In alcune solennità dell’anno (Pasqua e Natale) la messa ospita dei momenti di rappresentazione
drammatica degli episodi sacri più importanti, creando un successo strepitoso.
La chiesa, che a quell’epoca è il punto di maggior confluenza pubblica di tutta la comunità, reagisce
con grande partecipazione e grande entusiasmo e questo provoca un crescente interesse da parte
delle gerarchie ecclesiastiche verso questa forma di comunicazione. Di lì l’estensione di piccoli
frammenti che potevano essere ospitati nella liturgia fino a costruire piccoli spettacoli autonomi.
• DRAMMA SACRO: la messa non sarà più la sede per ospitare una forma di spettacolo più articolata ma
allo spettacolo sarà destinato un altro momento e un’altra collocazione, non più la chiesa, prima il
sacrato e poi la piazza principale della città. Questo avviene a partire dal XII secolo con la nascita del
“dramma sacro”.
VS: La differenza tra dramma sacro e liturgico è che il secondo è contenuto nella liturgia, quello sacro ha
un suo spazio, una sua modalità autonoma, ha dei generi e un’articolazione che copre interi archi della
giornata con una serie di rappresentazioni destinate a tutta la collettività quindi pensato per l’intera
popolazione, esattamente come era il teatro antico. La sua organizzazione e produzione è in mano alle
autorità, dapprima solo quelle religiose, poi subentrano anche quelle cittadine.

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DRAMMA LITURGICO: si presenta nel X secolo all’interno della messa cristiana.
Ci è arrivato il primo esempio di questo tipo di drammatizzazione:
Il “tropo di san Gallo” (fine X sec.) -> Il tropo era una forma di canto ritmato, in questo caso presente presso
l’abbazia di San Gallo in Svizzera. Era uno dei canti che faceva parte della messa del sabato santo, messa della
resurrezione, e sceneggiava l’episodio della resurrezione di Gesù.
QUEM QUARITIS: Il testo è in latino e il titolo “quem quaeritis” “chi cercate” -> l’episodio è quello delle tre
Marie che arrivano al sepolcro la mattina della domenica e trovano il sepolcro vuoto e l’angelo che dice loro
che Cristo non è lì ma è risorto. Si tratta di uno scambio molto veloce ->
- Interrogatio: quem quaeritis in Sepulchro, Christicolae? (chi cercate nel sepolcro, seguaci di Cristo?)
- Responsio: Jesys Nazarenume crucifixum, o Caelicolae (Gesù nazareno crocifisso o abitante del cielo)
- Interrogatio: non est hic. Surrexit sicut praedixerat. Ite et nuntiate quia surrexit (non è qui, è risorto come
aveva predetto, andate e annunziatelo)
È un pezzo del vangelo della mattina di Pasqua trasformato in un’azione drammatica che si svolgeva nella sua
versione originale presso l’altare dove arrivavano tre chierici che rappresentavano le tre donne e un altro che
rappresentava l’angelo. Da questo nucleo che immediatamente ottiene moltissimo successo, la cerimonia di
Pasqua vede uno sviluppo della situazione, tanto che lo si sposta dalla parte centrale della messa dove era
collocato alla parte finale e lo si arricchisce di un ulteriore dettaglio.
VISITATIO SEPULCHRI: nel corso del secolo successivo il “quem quaeritis” diventa uno spettacolo vero e
proprio, che prende il nome di “visitatio”.
Se quella che abbiamo visto era già una forma di visitatio, ne abbiamo altre due:
- l’arrivo degli apostoli che vengono anche loro a cercare il corpo del maestro
- ma soprattutto una terza visitatio dove compare Cristo che incontra la Maddalena e l’arrivo delle tre
Marie che si fermano a comprare i profumi per odorare la salma che credono di poter visitare.
La scultura romanica che nasce proprio in questo secolo (XI) trae spunto da questi episodi che sono
totalmente apocrifi, tanto che uno dei soggetti più frequentati dalle sculture e dai capitelli romanici sono
queste tre scene. C’è un’influenza della drammatizzazione scenica che arriva alle arti figurative, testimonianza
di quanto questo spettacolo avesse presa sul pubblico.
CHIESA: È chiaro che l’elaborazione dello spettacolo è anche elaborazione dello spazio.
La prima forma si svolgeva solo nell’altare ma nel momento in cui intervengono dei personaggi secondari lo
spazio dell’altare è insufficiente e quindi lo spazio del teatro diventa l’intera chiesa e lo spettacolo diventa
itinerante. Da diversi punti della chiesa entravano i personaggi che eseguivano la loro scena a tappe,
passando in mezzo al pubblico arrivando verso la fine all’altare dove era allestito il sepolcro.
SCENA MULTIPLA: In questo processo di sviluppo del dramma sacro, viene a costituirsi la caratteristica della
scena medievale, il fatto cioè di essere una scena multipla: non esiste più un luogo teatrale, non esiste più il
palcoscenico. L’apparato scenico che sostiene questo spettacolo è fatto di scene multiple, cioè da piccoli
palchetti arredati che coesistono sotto lo sguardo del pubblico e gli attori si spostano da un palchetto ad un
altro.
Il pubblico in questa fase è fermo, collocato nei suoi posti, ma tra poco diventerà anche lui itinerante.
LOCI DEPUTATI: La presenza di questi piccoli palchetti è definita nei codici medievali con nomi differenti a
seconda delle arie geografiche:
- in latino si chiamano “loci deputati”, cioè luoghi deputati.
- In ambito francese o franco-tedesco diventano le “mansiones”.

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Quello che conta rimarcare è che i luoghi deputati sono tutti
contemporaneamente sotto lo sguardo dello spettatore per cui la scena è
multipla e nei casi più complessi persino simultanea. Multipla vuol dire che
molte scene sono compresenti, e simultanea che le azioni possono essere
contemporaneamente agite su due palchetti.

(Quando da noi arriva il 68 le compagnie della sperimentazione, ripropongono


al pubblico occidentale un’organizzazione dello spazio che ha molto del teatro
medievale, riscoperte che il teatro contemporaneo farò con una volontà di
rottura con la tradizione ma che in realtà vanno a ripescare una radice del
teatro medievale. A questo punto importante di discontinuità della civiltà
teatrale che aveva già sperimentato la forza comunicativa del pubblico-attore)

ATTORI: gli attori a quest’altezza sono tutti i chierici, appartengono alle abazie o al clero secolare e recitano
rigorosamente in latino. Sono attori dilettanti, occasionali che si occupano prevalentemente della parte
vocale. Questo vuol dire che se c’è un codice mortificato è quello della gestualità, quello che ci si preoccupa di
fare arrivare è il messaggio.
DRAMMA SACRO:
Le cose cambiano rapidamente grazie al successo della forza comunicativa del teatro.
A partire dal XII secolo in contemporanea con l’uscita del dramma dallo spazio della chiesa la produzione dello
spettacolo interessa sempre di più le autorità laiche, il sagrato e il quadriportico risultano ben presto
inadeguati alla fruizione di tutta la collettività e lo spettacolo diventa un evento della vita cittadina, della sua
produzione cominciano ad interessarsi le confraternite e le corporazioni, cioè le associazioni di categoria delle
arti e dei mestieri, le quali fanno un punto di vanto della loro qualifica nella volontà di partecipare e pagare le
spese di allestimento dello spettacolo.
SPETTACOLO: diventa una sorta di “status symbol” della potenza di una corporazione il fatto di poter
presentare all’interno del dramma sacro l’allestimento di un luogo deputato il più possibile rappresentativo e
sontuoso della loro qualifica personale.
Una prospettiva del genere porta allo sviluppo degli apparati scenografici. Le corporazioni veleggiano una con
l’altra perché il proprio luogo deputato sia più sontuoso e con effetti spettacolari.
Lo spettacolo diventa quindi un evento dal punto di vista visivo, ritorna quell’attrattiva legata alla visività che
nei primi secoli era stata bandita come pericolosa, l’argomento rimane rigorosamente quello sacro.
L’argomento sacro legato alla storia sacra che però assume moltissime varianti.
A partire proprio dal XII secolo si comincia a distinguere veri e propri generi nel dramma sacro che andranno
avanti nel teatro europeo ben oltre il rinascimento, arrivando ad essere rappresentati fino alla metà del 600.
Il teatro medievale va avanti parallelamente al teatro rinascimentale (che è un’invenzione italiana) per molto
tempo, e quindi due filoni coesistono all’interno della civiltà teatrale europea a conferma dell’impatto
emotivo che questo tipo di spettacoli avevano sulla collettività.
Lo spettacolo medievale è amato da tutto il popolo.
GENERI:
• MISTERI: Il genere più famoso è quello dei misteri inteso in senso liturgico come episodi di storia
sacra, con una tematica che passa da quello della risurrezione a quello della passione.
Il tipo di mistero più rappresentato è la passione in cui il tema centrale è la figura umana del cristo
sofferente. (I sociologi della letteratura troveranno questa cosa molto significativa perché coincide
con quel recupero per l’interesse dell’umano che va a sostituire l’immagine della divinità). In questa
dimensione il messaggio principale è quello della sofferenza, del sacrificio del Dio uomo.
TEMI: I misteri diventano sempre più complicati.
◼ la passione ha degli episodi preliminari e degli episodi successivi, spesso prevede anche la
resurrezione, l’ascensione al cielo. Se questo è il tema centrale dei misteri ci sono poi dei temi
secondari.
◼ Un altro tema molto amato è quello del Natale -> abbiamo testimonianze di misteri come la
processione dei pastori che andavano a visitare il bambino alla grotta

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◼ sicuramente quello più famoso è quello dei Re Magi, soprattutto in Spagna la rappresentazione
del corteo dei magi che porta i doni al bambino Gesù era occasione di grandissimi spettacoli che
portavano con se la possibilità di arricchire l’apparato spettacolare, basti pensare che i re Magi
vengano da tre località diverse.

• MIRACOLI: Altro genere differente ma imparentato con il sacro erano i miracoli della madonna e dei
santi, anche questo con un intento catechetico molto chiaro -> il fatto di trasmettere un’idea
dell’intercessione della figura dei santi e della vergine Maria che potevano essere mediatori della
grazia divina per gli onesti e i devoti fedeli e che potevano anche essere i protettori delle arti e delle
corporazioni che avevano pagato gli allestimenti. Sono arrivati fino a noi moltissimi miracoli i quali
spesso erano legati ai committenti dello spettacolo e all’esaltazione di particolari ambiti o virtù.
• LA MORALITÀ: era un po' più ristretto per quanto riguarda la diffusione. La moralità era uno
spettacolo allegorico che consisteva nel contrasto tra le virtù e i vizi, che erano personificazioni che si
contendevano l’anima del povero cristiano impegnata a resistere alle tentazioni e aiutato da virtù
(speranza, preghiera e povertà) che assicuravano nel finale l’arrivo in paradiso.
Già da quel poco che abbiamo detto si capisce perché
◼ questo tipo di spettacolo fosse per un pubblico più stretto capace di decodificare il significato
allegorico che stava sotto le personificazioni.
◼ La moralità ha una fortuna meno duratura e meno incisiva rispetto agli altri perché è un genere
più colto.
◼ Come abbiamo detto infatti il teatro medievale è un grande spettacolo popolare perché assume
caratteristiche vicine allo spettatore a cui si rivolge.
Il dramma liturgico è sempre e soltanto in latino, il dramma sacro è prevalentemente in volgare, viene
scritto cioè nelle lingue nazionali. È vero che mantiene delle parti in latino, ma tutto il resto è in volgare -> in
questo tutto il resto sono da annoverare le battute che illustrano le vicende della storia sacra, ma sono una
serie di episodi secondari, liberamente aggiunti ed inventati che spesso mirano verso il comico.
Il dramma sacro ha episodi anche divertenti che attirano il pubblico e lo appassionano a quello che vedono.
SCENE: Divertenti, sagaci e persino volgari sono le scene tra i diavoli: nel momento in cui entra (abbastanza
presto) il luogo dell’inferno ci sono i diavoli che recitano scene comiche che si lasciano andare a battute molto
pesanti e volgari che hanno lo scopo di divertire e spaventare il pubblico. Oppure accanto ai personaggi sacri
ci sono personaggi umili che sono accompagnatori degli apostoli, dei santi, i quali danno vita a scenette di
piccola quotidianità che attirano e appassionano molto il pubblico.
Da queste piccole scenette nasce quello che poi alla fine del medioevo diventa un genere autonomo cioè
quello della “farsa”. Anche qui la parola ci aiuta, falsa vuol dire farcitura, cioè il pezzetto comico che veniva
inserito in una trama seria per alleggerire e mantenere alta l’attenzione del pubblico. Da lì la farsa si sviluppa
e diventerà uno dei generi comici autonomi.
ORGANIZZAZIONE DELLO SPAZIO: LA PASSIONE DI VILLINGEN (fine XVI- inizio XVII)

III sezione: Tombe (14-15-16-17), sepolcro (21), croci


dei ladroni (18-19), croce di Cristo (20), porta (13)

II sezione: Erode, Pilato, Caifa, Anna (6-7-10-11),


ultima cena (12), colonna della flagellazione (8),
colonna del Gallo (9), porta (5)

I sezione: Inferno (2), orto dei Getsemani (3), Monte


degli ulivi (4), porta (1)

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Questa è un’immagine ricostruita dalla pianta di un manoscritto tedesco della fine del XVI secolo, inizio XVII
(tra 500 e 600)
Si tratta del mistero della passione di Villingen: è la pianta di una grande piazza ovale della città tedesca che
ospitava l’evento.
Lo spazio della piazza è diviso in tre grandi sezioni:
- la sezione centrale (un lunghissimo rettangolo)
- le due sezioni laterali erano invece destinate al pubblico (il pubblico privilegiato invece poteva
mescolarsi nei luoghi deputati e occupavano lo spazio centrale).
PLATEA: questo spazio di terreno tra i palchetti era chiamato “platea”, cioè spazio pianeggiante che sta
davanti il palchetto. Platea vuol dire “luogo dove si stava in piedi”.
PERCORSO: La rappresentazione della passione è molto complicata, divisa in tre sezioni contraddistinte tra tre
porte che ritmavano le tre parti dello spettacolo.
Si partiva dal tradimento di Gesù nell’orto degli ulivi per arrivare alla parte centrale della flagellazione, la
successiva colonna del Gallo e infine la salita al calvario e poi l’ultimo luogo deputato che è il sepolcro.
SPETTACOLO: lo spettacolo si svolgeva con una serie di percorsi itineranti e con delle vere e proprie scene
drammatizzate su ciascuno dei luoghi deputati. Contestualmente gli altri luoghi deputati continuavano ad
agire con alcune scenette di riempitivo quindi si realizzava la simultaneità cioè l’azione contemporanea di più
palchi. Era impossibile che tutto il pubblico riuscisse a vedere un unico punto, lo spettacolo medievale ha una
fruizione differenziata che dipende dalla posizione dello spettatore e dalla libertà dello spettatore di costruirsi
un percorso.
Dal punto di vista della comunicazione teatrale lo spettacolo medievale supera un grosso problema della
sociologia, cioè quello della ricezione passiva del pubblico -> invece il pubblico medievale poteva scegliersi il
percorso.
PUBBLICO: difficilmente tutti gli spettatori avrebbero avuto la stessa visione, quello che era importante era
partecipare all’evento. Il pubblico era quello dell’intera comunità (donne, uomini e bambini) a cui lo
spettacolo era offerto gratuitamente e promosso come vanto della città, tanto che era in grado di attirare
spettatori anche dalle città vicine.
Tutti gli strati della popolazione partecipavano allo spettacolo e ben presto per gli spettatori eminenti si
cominciarono a costruire piccole tribune, piccoli palchi per garantire loro una visività migliore rispetto ad altri.
Questa è l’ultima occasione in cui la civiltà spettacolare è davvero riservata a tutta la popolazione che
partecipa compatta.
ORGANIZZAZIONE: Organizzare un evento di questo genere era molto costoso e molto dispendioso anche in
termini di energie e di tempo, per cui gli spettacoli si svolgevano eccezionalmente, spesso non con un
calendario fisso (anche se dal 400 in poi si cercò di fare almeno un evento teatrale l’anno e di solito si faceva
in corrispondenza alla festa del corpus domini, in particolar modo nel nord-Europa).
TESTIMONIANZE: non abbiamo documenti diretti, ma in generale dobbiamo rifarci alle miniature, alla pittura,
alle decorazioni che dichiarano di riprendere gli elementi dello spettacolo di cui poi parlano i testi.
Davanti a questi documenti abbiamo il limite di un’iconografia che non è direttamente un documento dello
spettacolo ma che passa attraverso il filtro della sensibilità del pittore.

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LA PASSIONE DI VALENCIENNES:
Una famosa miniatura della
biblioteca nazionale di
Francia che rappresenta i
luoghi deputati della
passione di Valenciennes
(1545, siamo in pieno
rinascimento).
Vediamo una serie di luoghi
deputati collocati su un
grande palco rettilineo, su
questa collocazione gli
studiosi si sono molto
interrogati.
Quello della passione di Valenciennes è un grande palco su cui stavano tutti questi luoghi deputati?
Alcuni ritengono di sì, l’inferno con i dialoghi, il paradiso con la sfera celeste, il palazzo di Erede, un mare con
una nave, diventa abbastanza improbabile che ci fosse un luogo così grande dove fossero collocati i luoghi
deputati quindi l’opinione comune degli studiosi è che il miniaturista abbia riassunto in una visione d’insieme
dei luoghi deputati che in realtà erano disposti in uno spazio molto più ampio.
Quello che conta però vedere era che ogni luogo deputato era emanazione diretta del lavoro di una
corporazione, per cui la corporazione che aveva fatto l’inferno si era occupata di allestirlo.
Ci interessa vedere come il luogo deputato fosse un piccolo palcoscenico autonomo di una dimensione
abbastanza articolata che permetteva lo svolgimento di una vera e propria scena drammatica e addirittura in
altri casi lo svolgimento di effetti spettacoli. Per un luogo come l’inferno non era importante il dialogo quanto
attirare l’attenzione con degli elementi visivi per impressionare il pubblico. In questo caso sembra assodato
che i luoghi deputati fossero messi più in un percorso rettilineo.

<- APPROFONDIMENTO
LIBRO

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IL MARTIRIO DI SANTA APOLLONIA: Un altro modello di organizzazione dei luoghi deputati è quello circolare.

Altra miniatura: Il martirio di Santa


Apollonia è la rappresentazione di una
scena del martirio di questa santa,
organizzato con una disposizione circolare
dei luoghi deputati. Sostanzialmente i
luoghi deputati sono messi in centro, il
centro è libero per la realizzazione delle
scene topiche dello spettacolo in cui si
mescolano gli attori e una parte del
pubblico. La cosa interessante da notare è
che i luoghi deputati sono in parte
destinati alla rappresentazione delle
scene, ma di fianco c’è una piccola tribuna
dove ci sono gli spettatori. Quindi è quasi
accertato che ad un certo punto i luoghi
deputati si accostino alle tribune per il
pubblico distinto.

L’altra cosa interessante dello spettacolo


medievale è la figura in blu con libro e
bacchetta, “maestro delle cerimonie”,
conduttore dello spettacolo.

COORDINATORE:In effetti esisteva nel


teatro medievale la figura di un
coordinatore -> era una sorta di direttore
di scena, non un regista, che si occupava di
organizzare i movimenti degli attori da un
luogo deputato ad un altro.

Era una figura esterna, dirigenziale che non aveva ambizioni artistiche che però ci dice un’altra cosa
importante dello spettacolo medievale: nello spettacolo medievale la finzione era sempre sotto gli occhi dello
spettatore, non siamo ancora nel momento in cui il teatro perseguirà l’obiettivo di illudere.
Uno spazio come quello del teatro medievale è uno spazio che dichiara la sua funzione e quindi lo spettatore
ha contemporaneamente lo spettacolo e lo svelamento della funzione che sta dietro lo spettacolo.
Un altro modello di organizzazione dello spazio è quello dello spettacolo itinerante, ne abbiamo già parlato
per quanto riguarda le processioni. Di carattere religioso era attivo soprattutto in area spagnola e inglese.

<- APPROFONDIMENTO
LIBRO

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PAGEANTS: carri costituiti da due parti, carri allegorici montati su ruote
che passavano in mezzo alla città. Quello che vediamo rappresenta la
presentazione di Gesù al pubblico dopo il processo di Erode.
Il carro era organizzato in due parti:

- nella parte superiore gli attori si presentavano al pubblico come


un quadro vivente mentre il carro passava in mezzo alle vie,
passando per punti importanti della città e lì si svolgeva la
rappresentazione della scena.
Poi il carro ripartiva e si rifermava in un altro punto dove ripartiva
la drammatizzazione della scena, in modo che la sfilata dei carri
permettesse la visualizzazione di uno spettacolo a stazioni, a
blocchi, ad una maggiore quantità di spettatori.
- La parte sottostante il carro, quella coperta da questo telo, era una parte di servizio: conteneva
costumi, accessori di scena, potendo anche dare vita a piccoli effetti spettacolari. Abbiamo anche qui
dei palchi perfettamente organizzati che davano vita ad uno spettacolo offerto a tutta la popolazione.
Nell’Inghilterra medievale ma fino alla fine del 500, queste furono rappresentazioni annuali che festeggiavano
il corpus domini e permettevano la diffusione delle storie sacre ad un pubblico ormai incapace di
comprendere la lingua latina.
[Un altro tipo di organizzazione del luogo deputato è questo mistero tedesco, “la città non è sicura” fa parte
di una incisione del 500 con la disposizione dei luoghi deputati verticali.
Abbiamo ancora un unico palco, c’è la rappresentazione rettilinea ma in senso verticale con delle scale che
presentano l’ascensione di Gesù, per cui partiamo dalla base dove c’è l’inferno, la passione di Gesù e infine
Dio che raccoglie l’ascensione di Cristo in cielo. In questo caso la struttura del luogo deputato è assorbita in
una serie di piani; i palcoscenici sono comunque multipli, e ciascuno agisce a prescindere dalla
drammatizzazione, ma sono contemporaneamente sotto gli occhi dello spettatore]
LA MORALITÀ- IL CASTELLO DELLA PERSEVERANZA: Manoscritto del XVI secolo, è uno dei pochi documenti
originali che abbiamo, esiste questo manoscritto inglese
che in una pagina porta lo schema della rappresentazione,
racconta in termini allegorici il consueto tema delle
tentazioni. L’umanità è sottoposta da attacchi dei vizi e
delle tentazioni a cui cerca di sottrarsi fino ad arrivare a
difendersi dentro la torre del “castello della perseveranza”,
dove si potrà trovare rifugio alla fine dello spettacolo. C’è
una disposizione circolare di varie personificazioni; non
siamo proprio in presenza di luoghi deputati ma piuttosto
di figure che avevano con se accessori che le potevano far
distinguere, o qualche apparato scenico di ausilio messe
nella parte attorno la torre o al di là di questo che era un
fossato d’acqua. Il pubblico poteva attraverso delle
passerelle collocate in punti del cerchio, attraversare le
varie parti del fossato e seguire le varie scene.
Parallelamente allo svolgersi di questo spettacolo, ancora
una volta itinerante, che aveva come fine la torre della
perseveranza. Anche in questo caso è un pubblico più
ristretto a cui si chiede una competenza più alta rispetto
agli esempi che abbiamo visto prima, e questo spiega
perché la moralità non abbiano quella incidenza e quella
diffusione che hanno invece avuto gli altri due generi
medievali.

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<- APPROFONDIMENTO
LIBRO

ITALIA: anche in Italia abbiamo una tradizione un po' diversa da quella dei misteri e dei miracoli di
rappresentazioni sacre: si tratta di spettacoli itineranti sviluppati soprattutto nelle confraternite dell’Umbria e
della Toscana e legati alle laudi.
LAUDA: è la corrispondente italiana di molti dei testi sacri del dramma sacro: rappresenta il tema della
passione oppure il dolore di Maria e si svolge come forma di spettacolo itinerante, come processione della
confraternita di solito nel periodo della settimana santa con una serie di cerimonie accessorie.
Uno sviluppo più spettacolare in sintonia con gli esempi stranieri visti finora si ha nel 400 con la nascita del
genere della “sacra rappresentazione”, che arriva ai suoi vertici artistici più alti in area fiorentina, anche grazie
alla promozione che la città di Firenze fa per l’organizzazione degli apparati dello spettacolo legato al dramma
sacro. Es:
• lo scenografo che lavora per questo spettacolo è Brunelleschi il quale crea per la sacra
rappresentazione dell’annunziazione un “ingenio” cioè un apparato scenico che permetta la
rappresentazione dell’arrivo dell’angelo.
La rappresentazione si svolgeva all’interno della chiesa, quindi torniamo all’interno della chiesa della
Santa Annunziata di Firenze in occasione dell’annunciazione.
Brunelleschi aveva costruito due ingeni:
◼ una sulla parte sopra l’altare, dove c’era la tribuna con il paradiso e la collocazione con il Dio
padre
◼ l’altra sopra la porta di ingresso dove c’era di Maria, in mezzo una carrucola che consentiva
all’angelo di arrivare direttamente da Dio a Maria.
L’anno dopo il nostro Brunelleschi viene scritturato per fare un’altra rappresentazione dell’empireo,
del sistema dei cieli, e crea questo ingenio con degli angeli volanti con musiche che doveva
rappresentare l’immagine del paradiso. Anche qui il luogo deputato che veniva dalla tradizione del
grande spettacolo all’aperto e che in questo caso viene contenuto nello spettacolo al chiuso. Siamo
nel 1430.

17/02/2020
Abbiamo percorso l’età medievale e le caratteristiche di un periodo in cui il teatro era rinato e si era
sviluppato secondo dei percorsi totalmente estranei a quella che era la comunicazione teatrale e la prassi del
mondo antico, arrivando a cancellare la nozione stessa di rappresentazione scenica come si era configurata
nell’età classica.

RINASCIMENTO ITALIANO (1486-1545): il fenomeno del rinascimento italiano occupa i decenni che vanno
dalla fine del ‘400 alla metà del ‘500 e gli storici del teatro designano quest’epoca come l’epoca della
“riscoperta del teatro” o “rinascita del teatro”.

RINASCITA DEL TEATRO: rinascita nel senso di ritorno all’antico, propria di tutte le arti e letterature del tempo
(il movimento non a caso si chiama rinascimento), ma che è tanto più spiccata per il teatro.
Gli umanisti del ‘400 e gli autori del Rinascimento consapevolmente intendono ricollegare il loro operato e la
loro arte teatrale con il mondo antico, presentando i risultati e i prodotti dello spettacolo come dirette
derivazioni dell’estetica legata all’età dei classici -> non si tratta di sovrapposizione storiografica successiva ma
come raramente capita nella storia del teatro di una consapevolezza viva dei contemporanei che in tutti i
modi cercano di rendere esplicita la derivazione della loro civiltà teatrale da quella degli antichi.

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DUE DATE: come raramente capita nelle epoche storiche per quanto riguarda il rinascimento teatrale
abbiamo due date di inizio e di fine largamente condivise dagli studiosi:

• 1486, data d’inizio che segna la prima rappresentazione a Ferrara di una commedia di Plauto
“Menecmi” (“la commedia dei gemelli”) in forma volgare -> si tratta di quello che all’epoca si
chiamava il “volgarizzamento” cioè la traduzione in lingua volgare di un’opera della classicità.
Questo da il via a una serie di rappresentazioni, di riscoperta del patrimonio della drammaturgia
classica in lingua latina che sarà fonte di ispirazione per il teatro prodotto dagli autori.
• 1545 il punto di arrivo del rinascimento coincidente con un importante trattato di scenografia che
stabilisce le norme per la scenografia prospettica in teatro di Sebastiano Serlio.

Contemporaneamente il 1545 è ritenuta la data di nascita della Commedia dell’Arte, visto che a
quest’anno risale il primo documento che attesta la presenza di una compagnia; la nascita quindi di un
fenomeno che si estenderà per molti secoli e che apre una prospettiva diversa da quella del
Rinascimento.

Fenomeno tipicamente italiano che dall’Italia va a diffondersi in tutta l’Europa, gradualmente imponendosi
sulle forme di teatro medioevali che continuano per tutto il 500 a vedere le loro rappresentazioni coinvolgere
gran parte della popolazione.

TEATRO RINASCIMENTALE: la coesistenza delle rappresentazioni del teatro medievale dei grandi spettacoli dei
misteri e dei miracoli, delle sacre rappresentazioni italiane riesce a coesistere con il fenomeno del teatro
rinascimentale perché questo tipo di teatro è un teatro elitario, di corte.
Il teatro rinascimentale nasce come prodotto della politica culturale delle corti dell’Italia settentrionale come
- Ferrara con le rappresentazioni promosse dagli Estensi, è infatti una rappresentazione estense quella
che inizio alla datazione
- Mantova con i Gonzaga
- Urbino con i Montefeltro
- Firenze con i Medici
- Milano con gli Sforza e Leonardo da Vinci come scenografo
- Roma che era la capitale papale
Il teatro diventa una delle cerimonie fondamentali di manifestazione del potere del principe

CARATTERISTICHE: la caratteristica fondamentale di questo teatro è il prodotto del mecenatismo dei principi,
essere diretta emanazione della politica del principe con fini celebrativi; è il principe che organizza lo
spettacolo, lo finanzia e lo concepisce come offerta rivolta alla corte e agli ospiti stranieri.
La prima conseguenza di questo fenomeno è che il teatro viene strettamente legato alla dimensione della
festa di corte -> le rappresentazioni teatrali sono legate a
- eventi della famiglia come nascite, compleanni e matrimoni
- eventi politici come entrate, celebrazioni trattati o chiusure di alleanze

Questo fa in modo che intorno allo spettacolo si crei un cerimoniale che abbia come principale risultato quello
di far emergere la magnificenza del signore, la grandezza e lo splendore della corte.
Il messaggio che si trasmette con lo spettacolo è un’attestazione di orgoglio per il possesso di cultura alta e di
un’arte raffinatissima. Questo spiega anche quanto la scelta di richiamarsi ai classici vada nella direzione di
rappresentare un eco della gloria passata, in cui i nuovi principi indirettamente sarebbero gli eredi.
Questo comporta per la prima volta nel teatro occidentale una fortissima restrizione del pubblico, anche se è
vero che alcuni documenti del 500 italiano testimoniano che i signori sceglievano rappresentanza delle classi
più basse a cui dare possibilità di accedere al teatro, è vero anche che il teatro rinascimentale è un teatro di
elite, pensato per un pubblico colto e molto raffinato, capace di cogliere tutte le stratificazioni di senso, gli
echi che lo spettacolo può presentare.

Gli studiosi di sociologia del teatro nel Rinascimento due livelli di teatro:
• Colto di impostazione classica
• Popolare rappresentato dalle rappresentazioni sacre legate al teatro medievale, aperte a tutta la
popolazione

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C’è quindi un’identità tra l’emittente e il destinatario (il pubblico della corte) a cui non si sottrae nemmeno
l’attore.

INTERPRETI: gli interpreti delle commedie e degli spettacoli di corte rinascimentali sono i cortigiani stessi,
quindi attori dilettanti che occasionalmente si prestano alla recita e all’interpretazione di questi testi.

LUOGO SCENICO: l’aspetto più interessante è che non c’è un teatro, quello che manca è lo spazio teatrale, il
luogo teatrale destinato agli spettacoli e sarà così fino alla fine del ‘500.
Tutti questi spettacoli si svolgono nei luoghi della corte senza avere edificio o almeno un luogo del palazzo
destinato agli spettacoli. Dovremo aspettare i primi del ‘500 per avere teatri accademici che sono sedi
stabilmente destinati allo spettacolo.

In genere gli spazi sono quelli del palazzo:


- il cortile (esempio: Palazzo Pitti a
Firenze)
- il salone più grande delle feste, tipo
quello del trono, che sono destinati ad
ospitare lo spettacolo per uso
temporaneo. Qui si montava un palco di
legno che ospitava un apparato scenico
innovativo.
In occasione della festa si creano quindi
apparati nello spazio della corte.

<- Cortile di palazzo Pitti a Firenze con apparato


(1589)

Non esiste quindi il teatro ma esiste per la prima volta dopo l’antichità un impianto scenico, cioè quanto di più
all’avanguardia si potesse immaginare all’epoca.

SCENA PROSPETTICA: compare qui per la prima volta nel teatro occidentale la scenografia dipinta e
prospettica (non abbiamo mai parlato di scenografie vere e proprie per il mondo antico, di apparati) che
utilizza a scopo teatrale la grande invenzione del mondo artistico dell’epoca, la scenografia prospettica
centrale.
È un’invenzione italiana che si diffonderà in tutta Europa, inizia qui con i primi scenografi del rinascimento, i
principi li manderanno a lavorare nelle corti straniere come prestito della loro magnificenza.

La grande tradizione italiana, che arriverà fino alle grandi famiglie scenografe del melodramma dell’800, fa si
che l’Italia nell’ambito generale dell’economia dello spettacolo abbia rilevanza soprattutto per l’aspetto
scenografico e attoriale.
Il teatro italiano è basato sull’attore e sulla scenografia, non sui testi. Percentualmente il taglio del nostro
teatro è spettacolistico, siamo grandissimi nella storia del teatro per scenografi e attori -> a parte Goldoni e
Pirandello non c’è nulla della nostra drammaturgia, ma ci sono scenografi, attori e registri.
La scena prospettica rappresenta sempre una città che non è specifica (se la rappresentazione è a Ferrara non
rappresenta la città di Ferrara) ma ideale e in stretta consonanza con quelli che sono ideali dell’estetica del
rinascimento e gli scopi dello spettacolo cioè far esaltare il buon governo del principe che rappresenta un
modo ordinato e gerarchicamente costruito e perfetto.
STRUTTURA:
- due serie di quinte e un fondale modello
- una prospettiva sempre centrale che privilegia il punto di vista del principe nello spettacolo
rinascimentale che prende posto sempre al centro della sala (piccola tribuna rialzata, per vedere
meglio e per essere visti dal pubblico).
- Questo tipo di scenografia è fissa, per tutto il 500 la scena prospettica dipinta non permette il cambio
scena (che sarà novità del barocco); la scena prospettica è immutabile.

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SERLIO: Il maggior teorico della scenografia rinascimentale è Sebastiano Serlio autore del trattato “Il secondo
libro di Perspectivo” (1545), punto di arrivo del rinascimento. Serlio è uno scenografo che aveva lavorato in
diverse corti padane teorizzando le scene prospettiche che aveva visto realizzato nel concreto. Riassume e
propone una modalità della scenografia che si fissa come modello.

Serlio individua tre possibili tipi di scena: i primi due sono due modelli di città con due tipologie di edifici
diversi
• Modello scena tragica:

<- presenta degli edifici classicheggianti,


c’è un obelisco alla fine del fondale, c’è
una sorta di piccolo arco di trionfo
coronato da una statua, ci sono delle
costruzioni con colonnati di taglio classico
per la tragedia che esiste ma è il genere
minoritario.

• Modello scena comica:


APPROFONDIMENTO LIBRO ꜜ

molto più diffusa è la commedia che presenta una scena in cui


le architetture sono più legate ad una dimensione realistica.

In ogni caso la scena 500esca è sempre costruita con la stessa tecnica:


- Partendo dal fondo la scenografia ha un fondale dipinto, fondale dove c’è questa sorta di tela con i
due campanili. È una tela dipinta che chiude il fondo del palcoscenico.
- Dal fondale partono una serie di quinte fisse angolari perché sono costruite ad angolo, c’è una faccia
della quinta dipinta parallela al proscenio, e incardinata una parte obliqua sempre dipinta che
rappresenta il prosieguo dell’edificio -> si tratta di uno spezzato costruito da due pannelli fissi che non
si possono cambiare. La quinta fissa angolare è anche chiamata “quinta serliana”, perché teorizzata
da questo trattato.
◼ In questo caso la prima coppia di quinte, quella vicina al proscenio è praticabile, ha delle aperture
permettendo all’attore di entrare e uscire, addirittura a volte dotate di finestre, balconcini che
rendeva possibile salirci.
◼ Decorative (non praticabili in nessun modo) invece sono quelle successive che hanno altezza
digradante per non rompere l’effetto della prospettiva

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- come incrinato è il pavimento, se analizziamo la pavimentazione delle scenografie 500esche ci
accorgiamo che il pavimento prevede una prima parte in piano (il proscenio) e una parte incrinata
verso il fondo del palcoscenico.

L’intenzione era quella di salvare la prospettiva dell’impianto ma la conseguenza è che l’attore rinascimentale
recita nella parte antistante della scena, se l’attore arretra si perde l’illusione. Di qui la conseguenza che la
drammaturgia 500esca sarà costruita principalmente su scambi di parole. Non posso presentare un gioco
scenico troppo complesso con un numero troppo elevato di attori perché perderei la verisimiglianza della
visione, l’attore recita quindi solo nella prima parte della scena ma assolutamente non interagisce con
l’apparato scenico.

• Modello scena pastorale (boschereccia):

Stesso criterio di scrittura, come ambientazione campestre,


fondale e quinte sagomate e ritagliate a forma di albero a
favore dell’invenzione del teatro rinascimentale pieno, nel
corso degli spettacoli di corte il genere prevalente è la
commedia perché la commedia di impianto classico,
soprattutto quella tratta da Plauto, rappresenta la metafora di
quello che dovrebbe essere il mondo governato dal principe, un
mondo che viene perturbato da una serie di equivoci ma che
torna perfettamente a posto, è il messaggio rassicurante che il
potere del principe, che si autocelebra nello spettacolo, vuole
trasmettere ai suoi ospiti.

Molto più rischiosa è la tragedia che spesso presenta questioni di grande rilievo anche dal punto di
vista politico (Antigone con il rapporto tra la legge dello stato e la legge umana) elementi
rischiosissimi per un teatro che si svolge come emanazione di un potere.
Nella ripresa dei generi classici, accanto alla tragedia e alla commedia, gli autori del rinascimento si
rifanno a quell’ultima parte della tetralogia greca che era il dramma satiresco, molto misterioso per
l’epoca perché non si conoscono drammi satireschi -> salterà fuori solo “Il Ciclope” di Euripide ma
nell’incertezza delle caratteristiche di questo genere il teatro di corte inventa un terzo genere che
chiama “boschereccio” o “pastorale” -> si tratta un genere intermedio, meno ilare di una commedia
ma non drammatico come tragedia che racconta storie d’amore contrastato vissuto in ambiente
bucolico, di solito i protagonisti sono i pastori, lasciando spazio all’espressione dei sentimenti
(“Aminta” di T. Tasso è un dramma pastorale che attesta che la rappresentazione dello spettacolo è
fatta all’aperto e che la scena che Serlio teorizza qui fu raramente molto realizzata).
I drammi pastorali quando venivano commissionati dalla corta, erano oggetto di rappresentazione nei
parchi, quindi raramente vedremo realizzazioni di queste scene che Serlio ha teorizzato per
completare il quadro dei generi drammatici.
Con l’ambientazione campestre la struttura è la stessa: serie di quinte serliane e fondale, mantenendo
le caratteristiche Serliane.

COMMEDIA ERUDITA: quando si parla di teatro del rinascimento quasi sempre si parla di uno spettacolo
comico, ma di che tipo di commedia? una commedia di grandissima qualità e spesso di grandissima fattezza
letteraria. Si parte negli anni 80 del 400 dal recupero dei codici di Plauto, 20 commedie che sono arrivate fino
a noi che gli umanisti portano nelle corti e che prima vengono recitate in latino ma che presto vengono
tradotte in italiano antico cioè “volgarizzamenti”.
Sono gli stessi autori che lavorano a corte a ricalcare il modello plautino ricalcandolo al mondo
contemporaneo, nascendo la commedia del rinascimento che sarà la base del teatro comico europeo fino alla
fine del 700.
AMBIENTAZIONE: La commedia rinascimentale ha sempre ambientazione contemporanea, e di solito si svolge
in una città, i personaggi abitano in città e appartengono ad una classe popolare che diventerà la classe media
degli artigiani, mercanti.

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TEMI: Le tematiche fondamentali sono due spesso combinate:
• AMORE CONTRASTATO: influsso plautino, la storia base che viene dalla commedia ellenistica greca ->
due ragazzi che si amano ma il loro amore è contrastato dai genitori il servo li aiuta a realizzare il loro
progetto amoroso, nascono una serie di complicazioni ed equivoci, e alla fine con procedimento
risolutivo portano al lieto fine. Modello classico ambientato nel 500.
• BEFFA: a questo si aggiunge un tema tipicamente letterario -> beffa che viene prevalentemente da
Boccaccio nel Decameron, e che viene usato dagli autori per creare situazioni esilaranti.
Qualche volta la beffa può avere anche risvolti pesanti ma alla fine i rapporti sociali vengono ristabiliti

RISTABILIMENTO ORDINE: all’interno di questo teatro il messaggio finale è il ristabilimento dell’ordine


costituito, se anche il beffato è un personaggio degno di rispettabilità, nel finale chi lo ha beffato sarà
adeguatamente punito, perché tutto deve tornare in ordine nella commedia del 500, ritorno alla
condizione di equilibrio iniziale.

AUTORI: chi scrive le commedie del 500? Ludovico Ariosto, Machiavelli, Dovizi.
Il primo filo è quello di osservare i primi due nomi che dovrebbero dirci che tutti e due sono noti nella
letteratura per altro. Sono letterati che si dedicano al teatro come attività secondaria: questa è la
caratteristica generale dell’autore drammatico del primo 500, uomo di raffinatissima cultura, spesso un genio
artistico, ma il teatro entra come attività tangenziale/secondaria:
• ARIOSTO: per lui era un’attività obbligata, scrive le commedie in due fasi della carriera
◼ “La Cassaria”
◼ “Il Negromante”
per obbedire alla committenza della corte estense che lo obbliga a dirigere le prove e l’allestimento. Il
cardinale Ippolito d’Este costringe Ariosto a fare il regista, direttore di attori, a seguire l’allestimento e
quindi ad occuparsi di teatro all’interno dei suoi obblighi, cosa che fa bene ma che non risponde alla
vocazione primaria;
• MACHIAVELLI
◼ “La Clizia”
◼ “La Mandragora”
sono scritti in un momento di transizione della sua carriera, quando Machiavelli ha tempo cerca di
rientrare nei favori delle autorità fiorentine esercitandosi per il teatro
• DOVIZI BERNARDO da Bibbione è diplomatico, uomo politico, autore del maggiore successo del teatro
del rinascimento
◼ “La Calandria” l’argomento di questa commedia è preso da Calandrino personaggio del
Decameron, un personaggio all’origine delle novelle sulla beffa che Dovizi riplasma ricavandone
una commedia.

RUZANTE: all’interno della commedia del Rinascimento un posto a parte occupa un altro drammaturgo
Ruzante che all’interno di questo panorama drammatico è l’autore che è arrivato fino a noi (a parte
Machiavelli che ancora può contare su qualche rappresentazione della Mandragola, dimenticatissimo Ariosto)
Perché Ruzante ha scavalcato i secoli? Perché il suo teatro è ancora in grado di dirci qualcosa?
Ruzante è un autore-attore che passa alla storia con il nome del personaggio delle sue commedie “Ruzante”,
non è un soprannome, è un autore che scrive e recita le sue commedie.
Angelo Beolco (detto Ruzante 1496-1542) era un amministratore di professione delle tenute di un nobile
veneto Alvise Cornaro che a Padova aveva estesissimi possedimenti che il suo amministratore provvedeva a
curare.
Per il suo padrone Beolco comincia a scrivere dei testi che satireggiano la vita dei contadini che lui conosceva
bene in quanto vi era a contatto ogni giorno.
Non autore contadino ma colto, abituato a vivere a contatto con i contadini.
I FASE: comincia a scrivere una serie di brevi testi in versi:
- “La Pastorale”
- la “Betia”
prendendosi gioco dell’ingenuità, della goffaggine, dell’incapacità di destreggiarsi nelle situazioni tipico delle
persone più umili e povere. Lui stesso recita questo tipo di testo che scrive in dialetto padano che era una
parlata della zona a sud di Padova, suscitando un incredibile eco all’interno delle piccole feste che Cornaro
dava all’interno della sua corte.

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presenta la scenografia della “Betia” che non ha nulla
a che vedere con scenografia prospettica perché
presenta tre piccole casette una a fianco all’altra:
Betia, Amante e Antagonista.
Siamo negli anni 20 del ‘500.
L’allestimento avvenne nella loggia Cornaro a Padova,
fu costruita per gli spettacoli da dare agli ospiti, e
all’interno degli archi verranno collocate le tre
casette, una commissione di teatro medievale
(sembrano ancora i luoghi deputati, le casette sono le
mansiones, inserita in una scenografia classica che
era quella della loggia), un allestimento libero da una
visione erudita propria delle corti e che da libera espressione al talento di Ruzante.

II FASE: dopo questa prima fase di commedie in versi, intorno alla fine degli anni 20 (tra ’29 e’30) Ruzante
inaugura una nuova fase, scrive in prosa padana e presenta una nuova immagine del contadino protagonista,
lo stesso Ruzante. I testi sono:
- “Il parlamento di Ruzante che iera vegnu del campo”, dialogo
- la “bilora”, dialogo
- “la moscheta”, commedia in cinque atti
I primi due sono dialoghi, il terzo è una commedia in cinque atti.

Questi tre testi e in particolare “Il parlamento di Ruzzante” si staccano completamente dalla tradizione: la
satira del contadino ignorante apparteneva già alla letteratura (Toscana del 400 e 500) da lì era partito anche
lui. La frequentazione diretta delle campagne intorno a Padova lo aveva convertito ad una nuova visione, più
realistica, più amara e più drammatica della vita del contadino; quindi il Ruzante protagonista è personaggio
solo superficialmente può essere definito comico perché porta in scena la sua miseria, la sua disperazione, il
suo fallimento esistenziale che lo porta a essere disprezzato e sconfitto malgrado non meriti questo
trattamento, essendo una persona buona e altruista.
Il riso di Ruzante diventa qualcosa di più approfondito, che porta con se una ricerca psicologica sul
personaggio che lascia intravedere risvolti amari e drammatici.
Ad ottenere questo risultato concorrono due fattori:

1. REALTÀ STORICA: il fatto che le storie di Ruzante sono calate nella realtà storica di quel momento (in
generale la satira del contadino non aveva una connotazione precisa) qui si parla di un Ruzante che è
tornato dal fronte dove era stato arruolato agli ordini della Rep. Di Venezia con la promessa in cambio
di terreno, animali, sementi cioè che avrebbe diminuito la sua condizione di estrema miseria.
Avendo perduto tutto e avendo vissuto sulla sua pelle l’orrore della guerra quando torna dalla guerra
trova la sua campagna disastrata e abbandonata, sua moglie fuggita con un altro per non morire di
fame e nel “Bilora” va a Venezia per riprendersela ma lo rifiuta non perché non lo ami ma perché non
vuole morire di fame in quanto Ruzzante non può garantirle nulla. Al di la del beffato quello che
emerge è una situazione drammatica vera.
2. LINGUA: il secondo elemento che fa grande il teatro di Ruzante è la lingua -> pavano piegato a fini
espressionistici con la deformazione delle parole che in parte dipendono dall’ignoranza di Ruzante
che non sa esprimersi adeguatamente ma che traducono la drammaticità di quel momento, così che
attraverso le parole, che non si capiscono del tutto, che emerge la valenza teatrale del personaggio e
tutta la capacità di Ruzante di inserire una battuta comica che si gira subito in battuta drammatica.

VIDEO → https://www.youtube.com/watch?v=xQclPqZX1G0
Dario Fo recita “Parlamento de Ruzzante che iera vegnù de campo” di Angelo Beolco. Fo amava moltissimo
Ruzante, è stato uno degli autori che ha recitato più a lungo nella sua vita, perché riteneva che la lingua, la
recitazione, la capacità mimica dell’attore fosse lo strumento con cui Ruzante riuscisse a superare qualsiasi
barriera arrivando fino a noi. La capacità di Fò che fa una lettura drammatica, senza scenografia e senza
costume restituisce questo componente: la drammaticità della storia e della lingua capace di tradurre tutta
l’angoscia del personaggio. La scena iniziale in cui Ruzante torna a casa e passa da un suo campo dove

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incontra un suo amico che non lo riconosce, perché è sfigurato dalla guerra (guerra tra Francia e Spagna del
500); qui scopre di essere quasi un fantasma, che il suo campo è distrutto e che la sua donna lo ha
abbandonato.
Personaggio comico, basso, con espressioni volgari al limite dell’osceno ma personaggio che intenerisce e fa
pensare, drammaticamente capace di restituire la drammaticità della guerra anche in maniera molto
semplice, addirittura dubitando di essere vivo.
FINE CARRIERA: Negli anni 30 è diventato molto famoso perché il suo teatro è arrivato fino a Venezia, ormai
notissimo cerca di riavvicinarsi al modello classico ricalcando le commedie plautine; fa un percorso contrario
rispetto agli autori della commedia erudita, cerca di instaurare il suo Ruzante all’interno di strutture legate a
queste trame plautine. Ruzante diventa alternativa al servo che ordisce l’intreccio, capace di levarsi d’impiccio
grazie all’istintiva capacità di sopravvivenza.

III FASE: commedie di modello plautino →


- “La Piovana” (1532)
- “La vaccaria” (1533)
- “L’anconitana” (1534);

L’EDIFICIO TEATRALE- LA RISCOPERTA DI VITRUVIO: l’ultimo elemento che entra nel discorso del rinascimento
è l’edificio teatrale. Per moltissimi decenni tutti gli spettacoli sono rappresentati in luoghi non pensati per il
teatro.
Questo nonostante quel 1486 da cui siamo partiti sia ancora una data significativa: nello stesso anno viene
pubblicato il trattato “De architettura” di Vitruvio che è un ritrovamento degli umanisti del più importante
trattato di architettura civile della latinità.
Vitruvio era un architetto del I secolo d.C. che ha lasciato descrizione dei principali edifici dell’architettura
romana e tra questi anche tra il modello di teatro che in quel secolo si era cominciato a diffondere.
Su questo trattato riflettono tutti gli architetti del 500, che da lui scoprono lo schema della “cavea a gradoni”
e l’idea di un teatro elegante, ornato con tutti gli apparati che facevano monumentale la scena romana.

Nella seconda metà del secolo si sovrappongono le idee di coloro che cercano di utilizzare lo schema
vitruviano per fare dei teatri:
SERLIO: (1545) che oltre a fare la modernizzazione della scenografia fa un’ipotesi del teatro (un disegno che
non verrà mai realizzato); vuole adattare le idee del teatro classico al salone delle feste rinascimentale,
riscrivendo il modello dell’edificio antico all’interno di uno spazio rettangolare (il salone delle feste) e di
abbinarlo alla sua invenzione che era la prospettiva.
SERLIO- PROGETTO DI TEATRO RINASCIMENTALE
combinazione della scena prospettica:
- per quanto riguarda la zona del
pubblico la proposta di piccola cavea
nella parte antistante per sedili di
spettatori eminenti
- un’ultima parte cioè i fasci di ellissi
che compensano la costruzione
circolare con la necessità di iscriverla

in uno perimetro rettangolare.


Il modello della cavea diventa un modello per la
rappresentazione centrale e l’idea delle gradinate
compensa la necessità di colmare lo spazio della sala
aumentando lo spazio del teatro.
La cavea viene usata come struttura a gradoni, ma
viene abbandonata la circolarità (che va bene per una
porzione stretta) e viene sostituita dal fascio di ellisse.

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18/02/20

COMMEDIA DELL’ARTE

1545 è una data spartiacque per il mondo del teatro perché


- da un lato segna il culmine e la fine del fenomeno del rinascimento italiano
- dall’altro l’emergere di un fenomeno che cambierà le sorti del teatro occidentale, cioè la commedia
dell’arte.
È l’anno a cui risale il primo documento che attesti l’esistenza di una compagnia di comici dell’arte
professionisti -> si tratta di un documento notarile redatto a Padova che contiene l’atto costitutivo di una
compagnia “fraternal compagnia” composta da otto uomini di cui alla fine ci sono le firme, il capocomico si
chiama Ser Mafio.
Questi otto uomini si uniscono in società “per recitare commedie di loco in loco al fine di guadagnar denaro”.
Questa frase apre un programma operativo e organizzativo in cui è contenuta la svolta -> si tratta di una
compagnia nomade che vuole recitare commedie spostandosi di città in città, di luogo in luogo, e che lo fa per
guadagnare denaro, dichiarando esplicitamente il fine.

PROFESSIONISMO ATTORIALE: il contratto della compagnia


segna la nascita del professionismo attoriale e
dell’organizzazione della compagnia, nomade e professionistica.
È un evento che fino a quel momento non si era mai verificato
nella storia del teatro occidentale, dall’antica Grecia fino a quel
momento, sia perché per gran parte dei secoli l’attore era stato
dilettante, , sia perché anche nei casi in cui ci fossero dei
professionisti (come nell’antica Grecia) si trattava di singole
persone, non costituite in compagnia.

NUOVA IDEA DI SPETTACOLO: la nascita della prima compagnia dell’arte inaugura una nuova modalità del fare
spettacolo, perché lo spettacolo teatrale, la recita diventa un prodotto da vendere e il teatro un sistema di
mercato che si sottrae alle modalità organizzative fino ad allora in auge.
Il termine arte infatti “commedia dell’arte” che compare più tardi rispetto a questa data, circa un secolo
dopo, va inteso nell’accezione medievale di arte, cioè come mestiere.

COMICI: i comici dell’arte sono i comici di mestiere, i quali si uniscono in compagnia per costituire un’impresa
commerciale.
Se guardiamo il documento notarile di Ser Mafio vediamo che le clausole previste dal contratto sono:
- diritti e doveri dei soci di carattere economico-finanziario
- divisione degli utili
- concorso comune delle spese

Quindi un contratto che si ispira al mondo del commercio e dell’imprenditorialità, di certo non di scelte
artistiche; la compagnia è prima di tutto un’impresa.

ATTORE PROFESSIONISTA: con la commedia dell’arte nasce l’attore professionista che impone il suo metodo
di lavoro ben presto all’intero contesto teatrale facendo tramontare quella modalità organizzativa della festa,
il teatro che abbiamo raccontato fino ad adesso era organizzato in alcuni periodi, in cui la
quotidianità veniva sospesa (prima le grandi Dionisie, poi i Ludi che potevano essere religiosi o imperiali)
periodi festivi dove gli spettacoli trovavano luogo.

TEATRO COME MERCATO: con la commedia dell’arte tutto cambia e il teatro diventa un mercato, un prodotto
offerto ad un pubblico pagante che si innesta in periodi dell’anno regolari, che non interferisce più con il
lavoro delle istituzioni, anzi ne entra in conflitto.
Nasce quindi una modalità di programmazione che non si era mia vista, tanto estesa quanto più il bacino del
pubblico lo permette, perché i comici dell’arte hanno bisogno di un pubblico che paghi il biglietto dello
spettacolo, e il loro essere nomadi dipende anche da questa necessità -> si fermano in un determinato loco
finché c’è pubblico pagante e poi si spostano per cercare nuovo pubblico.

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Con la commedia dell’arte nasce dunque una modalità di presentazione dello spettacolo che si diffonde
dall’Italia in tutta Europa e che è destinata a durare fino alla fine dell’800, addirittura in Italia fino al secondo
dopo guerra. Il contributo dell’Italia alla storia del teatro occidentale è soprattutto attoriale e scenografico.
L’attore dell’arte diventa famoso in tutto il mondo.

La commedia dell’arte dura fino alla fine del 700, già alla metà del 700 la commedia dell’arte è un genere
ormai in crisi, ma le compagnie dell’arte continuano a lavorare in Italia per tutto il 700 e le ultime compagnie
vengono messe fuori legge dai rivoluzionari napoleonici che occupano l’Italia del nord (dove le compagnie
dell’arte sono in particolar modo attive) alla fine del 700.

NOVITÀ- DONNE SULLA SCENA: la grande novità e la grande attrattiva della commedia dell’arte è
rappresentata non soltanto dal professionismo dell’attore ma anche l’introduzione delle donne sulla scena ->
nasce l’attrice professionista.
Abbiamo già avuto modo di osservare quanto il mondo antico e medioevo avessero escluso le donne dalla
scena per ragioni di moralità, quindi l’apparire delle prime comiche dell’arte negli anni 70 del 500 (non subito
la compagnia acquisisce elementi femminili), suscita sul pubblico un effetto dirompente.

ATTRICI diventano elemento di grande seduzione, di attrattività che trascina a teatro un pubblico ancora più
numeroso e che ammanta il lavoro dei comici dell’arte di un marchio di immoralità e di infamia che li
accompagnerà per tutta la parabola.
Le attrici sono il bersaglio preferito delle istituzioni culturali e soprattutto della chiesa. Il modello di vita
emancipato che conducono le attrici (portate ad esibirsi in scena e a lavorare fuori casa) destinate ad una
modalità di relazione inusuale per una donna di quel tempo, fa si che a loro venisse associata l’idea della
prostituta. Teniamo conto che l’attrice mette in mostra le proprie bellezze fisiche, qualche volta in modo
disinvolto e scollacciato.

TEATRO, CHIESA E CULTURA: già alla fine del 500 si realizzano una serie di sermoni religiosi che invitano i
giovani ad astenersi dal teatro proprio per ragioni di moralità -> siamo all’epoca del concilio di Trento e la
compagnia dell’arte diventa bersaglio
- della chiesa da una parte perché l’immagine del teatro diviene un’immagine di perversione, di
corruzione morale che male si addice alle indicazioni di continenza e di misura che dovrebbero
guidare il comportamento dei cristiani
- della cultura dall’altra parte perché i comici sono accusati di essere estranei alle regole del buon
vivere sociale per il loro nomadismo, tanto che alcune autorità degli antichi stati regionali italiani
perseguitano i comici perché senza fissa dimora. Appartengono alla parte della società che è poco
controllabile e accanto a questo perché non sono portatori di un messaggio culturale ispirato alla
tradizione in cui si riconoscevano i dilettanti e gli accademici che lavoravano nelle corti, che facevano
spettacolo all’interno della festa rinascimentale. Un fenomeno che fa nascere una società fuori dai
canoni.

CONDANNA: con la commedia dell’arte nasce quel mito dell’attore come micro-società libera, come
esponente di una moralità alternativa, sottratta alla regole dei ben pensanti e della morale comune.
Nascono una serie di pregiudizi nei confronti del mestiere del teatro accusato di essere peccaminoso,
libertino, offensivo nei confronti dei buoni principi del vivere civile che andrà avanti ancora per molti secoli.
Nasce la condanna degli attori che in alcuni paesi Europei arriva ad escludere gli attori dai sacramenti.
ES. MOLLIER: nel 600 francese, il maggiore autore di commedie francesi Mollier era un attore che malgrado
l’altezza dei suoi prodotti, l’ammirazione che aveva ottenuto da parte delle corti e degli intellettuali, in quanto
attore rischiò di non avere il funerale. Quando morì (sulla scena, con una delle morti più romantiche, si sente
male, gli altri attori lo portano fuori scena e muore qualche ora dopo) in quanto attore gli vengono negati i
sacramenti, la sepoltura. Deve intervenire Luigi XIV facendo fare un funerale notturno per far seppellire il
povero drammaturgo.
Questo per dire quanto l’infamia nei confronti dell’attore protagonista, esponente di un mondo alternativo, si
estende da un fenomeno di carattere organizzativo a un fenomeno sociologico, creando una figura che fino a
quel momento non esisteva all’interno della società.

Il fenomeno della commedia dell’arte dilaga e si articola a diversi livelli.

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QUINDI RIEPILOGANDO:
• Il termine “arte” significa mestiere”
• Nasce il professionismo attoriale
• Lo spettacolo diventa merce da replicare per un pubblico pagante
• La compagnia teatrale diventa nomade per trovare nuovo pubblico
• Dagli anni 70 del 500 compaiono in scena le attrici.

TIPOLOGIE DI COMICI: gli studiosi hanno riconosciuto tre diverse tipologie di comici in base alla loro
collocazione sociale.
1. CIARLATANI:

Al livello più basso abbiamo i ciarlatani chiamati anche


saltimbanchi, erano artisti di strada che si esibivano nelle
piazze in occasione del mercato, ed erano venditori di
prodotti più o meno esotici che vantavano proprietà
miracolose (unguenti o piccoli oggetti), ed usavano lo
spettacolo per attirare il pubblico degli eventuali compratori.
Lo racconta anche la stessa parola “saltimbanchi” -> indicava
l’azione del venditore che salta sulla bancarella di vendita e lo
trasformava in un palcoscenico.

I ciarlatani offrivano un piccolo spettacolo drammatizzato, spesso corredato da musiche o da piccoli pezzi
cantati che servivano ad attirare il pubblico. Il loro spettacolo era gratuito e solo alla fine uno dei componenti
della compagnia passava a raccogliere l’ovolo che lo spettatore generoso volutamente lasciava, mentre gli
altri componenti davano avvio alla vendita di cui lo spettacolo era stato il preambolo; l’obiettivo era appunto
attirare il pubblico per poter vendere il prodotto.
Si trattava di spettacoli molto brevi, estremamente rozzi, ma non mancavano gli effetti spettacolari e
acrobatici di questi artisti che erano in grado di attirare il pubblico.

2. COMPAGNIE CHE LAVORANO NELLE STANZE:

Ad un livello un po' più elevato dal punto di vista sociale, c’erano


le compagnie che lavoravano nelle stanze.
Se abbiamo detto che il comico dell’arte ha bisogno di un pubblico
pagante, l’esibizione nelle piazze non è l’ideale, perché soltanto
una parte del pubblico, quella più generosa, può essere spinta a
pagare per uno spettacolo.
L’esigenza fondamentale delle compagnie è trovare uno spazio
chiuso in cui il pubblico può fatto entrare a condizione che paghi il
biglietto.
Nel 500 gli edifici teatrali ancora non ci sono e i comici prendono in
affitto delle stanze, di solito di proprietà di associazioni,
confraternite e qualche volte di famiglie patrizie (per esempio a
Venezia) e li usano come spazi per recitare.
All’interno delle stanze non c’è un palcoscenico e i comici si organizzano montando delle piccole pedane
rudimentali e organizzando la scena con pochi fondali dipinti, di solito non hanno quinte.
Il pubblico sta nelle panche (nella situazione migliore in cui le panche siano disponibili) o in piedi.
REPLICA: la presenza della stanza consente agli attori di poter fare delle recite regolari, e di introdurre il
concetto di replica -> Il tutto il mondo occidentale, antico e medievale lo spettacolo viene rappresentato
un’unica volta, con l’invenzione della stanza è possibile replicare il giorno dopo lo stesso spettacolo per un
pubblico diverso. Il mercato dello spettacolo porta con se la nascita del concetto di “replica seriale”, una
recita che può essere ripetuta. In genere le repliche che esistono non sono numerosissime (massimo 4 sere)
perché alla base c’è il principio di attirare il pubblico quindi la varietà garantisce una maggiore attrattiva.
Le compagnie che recitano nelle stanze sono in generale delle compagnie familiari.
NUCLEI FAMILIARI: mentre i ciarlatani sono gruppi di artisti di solito isolati che si associano per la necessità di
sopravvivenza, la compagnia delle stanze è fondata sul nucleo familiare o su un clan di famiglie.

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Anche questa è un’altra delle caratteristiche che connota il teatro dell’arte. Per la quasi totalità dei casi
comico dell’arte si nasce, non si diventa, è un mestiere che si trasmette di padre in figlio.
All’interno della compagnia ci sono da 8 a 2 componenti e tutti hanno il loro compito, compresi i bambini che
a partire dai 3-4 anni cominciano ad esibirsi sul palcoscenico in piccole danze, o come comparse e imparano il
mestiere. Anche questo è un altro filo che andrà avanti fino al 900, fino al teatro di regia. Tutti i più grandi
attori italiani sono tutti figli d’arti, figli di attori che hanno imparato a fare gli attori grazie alla loro vicenda
biografica familiare. Dovremmo arrivare in Italia al 1935 con l’apertura di accademia di arte drammatica per
avere una politica di attore di scuola. Il canale fondamentale è quello dei figli d’arte, la passione per il teatro si
impara da bambini.

3. COMICI ONORATI:

Al livello più alto della società dei comici dell’arte ci sono i “comici onorati”
sono i comici dell’arte che hanno la fortuna di arrivare a lavorare alla corte.
Dagli anni 70 del 500, quando il fenomeno dilaga, le stesse corti post-
rinascimentali, chiamano a lavorare per loro i comici dell’arte, li fanno entrare
in corte per fare degli spettacoli e li pagano.
Abbiamo parlato dell’Aminta di T. Tasso, gli attori che la recitano sono appunto
dei comici dell’arte.
Le compagnie chiamate a lavorare alla corte spesso vengono pagate dal signore
che le mette al loro servizio, tenendole a disposizione della propria corte ma
anche usandoli come merce di scambio, come ambasciatori della magnificenza
della corte presso altri alleati o altri paesi stranieri. I signori italiani cominciano a
mandare i loro comici dell’arte agli alleati stranieri (re di Francia per i casi
migliori ma anche i principi tedeschi).

Il comico parte con la sua compagnia, rappresenta il signore, diventa una sorta di ambasciatore culturale del
signore e svolge un’azione diplomatica, offrendo la sua arte come emblema dell’amicizia del signore
protettore che lo manda. Questo fenomeno ha una duplice conseguenza, una positiva e una negativa
- CONSEGUENZA POSITIVA è che riscatta i comici dalla povertà, dall’insicurezza di una vita esposta ad
un fattore di rischio altissimo, l’impossibilità per esempio di lavorare con costanza, il rischio
dell’insuccesso, l’ostilità delle istituzioni.
Sempre in questo periodo nasce il veto della chiesa di fare spettacoli in alcuni periodi dell’anno, primo
fra tutti la quaresima. Durante la quaresima nei territori della chiesa cattolica sono vietati gli
spettacoli teatrali e i comici non lavorano, di qui quell’avversione per il colore viola che è diventata
leggendaria. Il viola è il colore liturgico della quaresima e per secoli per gli attori è un periodo di
assoluta inattività, che per la gran parte di essi rappresenta un periodo di miseria, di difficoltà di
garantire a se e alla propria famiglia la sopravvivenza.
Tutto questo non riguarda la compagnia dei comici onorati che sono pagati dai signori, dando loro la
possibilità anche di studiare, di elevare la propria cultura. I comici onorati sono comici che diventano
poeti, scrittori, che raffinano il loro repertorio e il loro modo di stare in scena. Per distinguersi dagli
altri, questi comici hanno anche nomi ispirati alle accademie, per esempio i gelosi (la compagnia in
assoluto più famosa) accanto a questo i confidenti, gli accesi, tutti nomi che cercano di mobilitare la
formazione assimilandola a quella che è l’attività delle accademie poetiche del secondo 500.
- CONSEGUENZA NEGATIVA: il comico onorato limita la possibilità della sua libera iniziativa, accetta il
volere e il potere del suo protettore che usa il suo talento artistico come un prezioso giocattolo, che
sceglie dove mandare il comico senza che questo abbia la possibilità di opporsi, di cui ne orienta
l’attività. L’attore diventa un po' cortigiano e alla fine è meno libero dell’artista di strada di cui
abbiamo detto prima, perché costretto a compiacere il signore. Con l’andare del tempo questa
limitazione finirà per impoverire l’inventiva di artisti.

LA FAMIGLIA ANDREINI: in assoluto i comici più importanti del teatro comico sia in Italia che in Europa tra la
fine del 500 e i primi del 600. Non solo italiana ma europea perché sono i primi comici che vengono chiamati
in Francia alla corte di Enrico III e che da lì cominciano una serie di tounée fortunate della loro compagnia e di
altre compagnie che vengono chiamate grazie al loro successo diffondendo il successo della commedia
dell’arte in Francia e in maniera minore in Germania. Sono quindi artisti internazionali.

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<- RITRATTO DI ISABELLA ANDREINI

Il nucleo fondamentale della famiglia è formato dai primi due: Francesco


Andreini e Isabella Andreini, marito e moglie. Lui specializzato nel ruolo del
capitano, lei il ruolo dell’innamorata, della prima donna. Isabella fu una donna
molto colta, poetessa, infatti l’incisione della foto è tratta dalla stampa delle sue
poesie, leggendaria per questa sua capacità di unire l’aspetto scenico e artistico
ad un aspetto di cultura.
Il loro figlio Giovan Battista Andreini detto Lelio che all’inizio del 600 unisce
l’attività di comico dell’arte alla scrittura drammaturgica con l’intento di
nobilitare l’arte dei comici dell’arte, scrivendo alcune commedie.

IMPROVVISAZIONE: I comici dell’arte basano il loro lavoro sull’improvvisazione, un teatro che prescinde dal
testo scritto e la novità del loro modello è questa fortissima distinzione tra
- il teatro regolare dei cortigiani che recitavano un testo scritto, spesso di grande qualità letteraria
- e un modo di stare in scena che prescindeva dal contributo di un autore.
Il teatro dell’arte è un teatro d’attore, fondato sulla capacità dell’attore di esprimersi autonomamente sulla
scena attraverso la sua creazione e il suo talento personale.
I grandi attori dell’arte attirano il pubblico perché distinguono lo spettacolo con il loro contributo eccezionale.
Questo non vuol dire che la loro improvvisazione sia un’invenzione approssimativa.
Quando nella vita quotidiana dobbiamo improvvisare intendiamo affrontare una situazione in modo
approssimativo, inventando lì per lì quello che ci sembra migliore; nulla a che vedere quest’atteggiamento con
la tecnica di improvvisazione dei comici dell’arte che è un montaggio molto ragionato e raffinato di materiali
preesistenti inseriti su un intreccio schematico.
L’iniziativa dell’attore stava nello scegliere tra le varie potenzialità a sua disposizione quella che poteva avere
la maggiore efficacia scenica e inserirla coerentemente in una traccia di commedia -> era quindi un lavoro che
prevedeva una strategia calcolata, e una solida padronanza dei mezzi tecnici.

CANOVACCIO: gli elementi fondamentali per lavorare in questo modo erano “il canovaccio” o “scenario” cioè
una trama schematica della commedia.
Anche qui la parola ci aiuta a capire di cosa si trattasse -> il canovaccio è un tessuto a maglie larghe dove si
vede la trama, da lì era nata la parola che designava lo schema della commedia dove erano indicate le scene
fondamentali, gli scambi che avrebbero prodotto l’azione per il continuo della vicenda.
Il canovaccio a partire dal ‘600 viene anche chiamato scenario perché presenta l’elenco delle scene.
In quanto elenco delle scene veniva di solito attaccato ad uno dei pilastri della stanza a promemoria per gli
attori per ricordare loro l’ingresso e le uscite a seconda del loro ruolo. Indicava quali personaggi dovessero
essere in scena e quali fuori e sinteticamente dava un’indicazione dell’azione da recitare e del contenuto dei
dialoghi da presentare.
CATALOGO DELLE ROBE: l’altro elemento fondamentale per l’allestimento di una commedia era l’elenco degli
accessori necessari. In generale non c’era un apparato scenografico. Il catalogo delle “robbe” indicava
- gli accessori di scena che erano necessari all’attore per poter portare avanti l’azione
- arredi
- apparati scenografici
- e le indicazioni dei fondali che venivano arrotolati e facevano parte dei bagagli della compagnia
nomade che si spostava di città in città.

REPERTORI: su questa base iniziava il lavoro degli attori: l’improvvisazione era un montaggio di materiali
preesistenti contenuti in particolari cataloghi di proprietà personale di ciascun attore, chiamati “generici” o
“repertori” o “zibaldoni”.
Ci sono arrivati diversi generici, cataloghi organizzati per pezzi che contenevano delle parti dialogate, delle
poesie, degli scambi dialogici da usare a seconda dell’occorrenza -> la scena del litigio, della gelosia d’amore,
la scena comica.
Ovviamente ciascun attore in base al ruolo che faceva imparava a memoria la parte spesso chiedendo aiuto
all’interlocutore che doveva fare la scena con lui, e la metteva a punto e, quando il canovaccio lo permetteva,
la inseriva, quindi c’erano dei pezzi di bravura che ciascun attore decideva di inserire.

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DUE TIPOLOGIE: da un punto di vista generale nei generici e negli zibaldoni si distinguevano due tipologie:
- GENERICO DELLE PARTI (monologhi, duetti, tirate) con le parti scritte, tratte dalla drammaturgia
contemporanea o dalla poesia
- LAZZI (sequenza mimiche- gestuali) che erano alcuni lavori dell’arte con delle parti mimiche. “I lazzi”
erano delle sequenze mimico gestuali che potevano comprendere anche delle componenti
acrobatiche. Il lazzo era il punto di bravura dell’attore e di uno specifico tipo di attore che
interpretava i servi. I servi che nella commedia dell’arte prendevano il nome di “zanni”. Lo zanni più
famoso di tutti è Arlecchino.

Il teatro dell’arte ha una sua fortuna e attrattiva presso il pubblico perché è soprattutto teatro di ritmo,
basato sull’esibizione del corpo. La commedia è molto vivace, è uno spettacolo incalzante che non
permetteva al pubblico di annoiarsi, bisognava stupirlo e sorprenderlo quindi oltre alle parti recitate la
commedia si avvaleva di momenti estremamente comici che prevedevano sequenze gestuali ed esibizioni
virtuosistiche e acrobatiche.

https://www.youtube.com/watch?v=zC0a24NJIgY
STRHLER fa un lavoro di ricerca e di ricostruzione delle tecniche dell’arte che erano ormai andate perdute nel
‘900, nessuno sapeva più come recitava un attore dell’arte. S. aveva il testo di Goldoni che era nato come un
canovaccio ma certe indicazioni (come i lazzi) non erano indicati da Goldoni.
LAZZO DELLA MOSCA: Strehler quindi fa una ricerca, uno dei lazzi storici che ritrova è quello della mosca che è
usato a metà del secondo atto, un lazzo di entrata in scena.
Arlecchino entra in scena inseguendo una mosca, è un momento estremamente comico perché Arlecchino
cattura la mosca ma essendo affamatissimo si mangia la mosca che non muore, rimane dentro Arlecchino e lo
fa continuamente saltare in su e in giù perché non vuole essere digerita. Il pubblico ride, Arlecchino lavora con
il pubblico perché chiede di fare silenzio e quello che è un semplice ingresso in scena diventa un momento di
grande spettacolarità, solo alla fine Arlecchino comincia a parlare. L’attore ha la capacità di trasformare un
normale ingresso in scena in un momento di grande spettacolo. Arlecchino deve strabiliare il pubblico.

LAZZO ALL’INTERNO DELLE BATTUTE: a metà del primo atto -> Arlecchino ha deciso di servire due padroni, ha
troppa fame e ha bisogno di lavorare, si trova davanti l’occasione di poter servire contemporaneamente due
padroni uno all’insaputa dell’altro. Lo fa per avere doppia razione di cibo e doppio pagamento ma essendo un
pasticcione si mette subito nei guai. Il primo incarico che tutti e due i padroni gli danno è di andare alla posta
a ritirare delle lettere che stanno aspettando. Arlecchino non sa leggere quindi consegna ad uno la lettera
dell’altro. Il primo padrone lo scopre e si arrabbia, riconsegna la lettera con la quale ha scoperto l’identità
dell’altra persona chiedendo ad Arlecchino di fargli conoscere il fantomatico servitore che si è inventato che
gli avrebbe dato la lettera e Arlecchino deve chiudere la lettera. Come fa a chiudere la lettera? Si inventa un
lazzo. (Ferruccio Soleri l’attore di Arlecchino oggi 90enne che fino al 2018 ha recitato questa parte)

ELEMENTI STORICI NELLO SPETTACOLO DI S. -> l’ambientazione è filologicamente corretta per quanto
riguarda le recite della commedia dell’arte. Il fondale è dipinto, prospettico con dei tagli all’interno che gli
attori usano come entrate, non è la scenografia rinascimentale, la commedia dell’arte ha un apparato
scenografico estremamente rudimentale quindi non c’è l’idea della verosimiglianza. La scena rappresenta
Venezia e il taglio sta sul ponte e l’attore entra aprendo il fondale, non c’è il problema di dove entra e della
mancanza di verosimiglianza.
Il palcoscenico è una pedana di legno che costruivano i comici stessi e questi sono i fondamentali lumi della
ribalta -> si chiamavano così perché l’asse su cui erano poggiati permetteva di ribaltare i lumi che venivano
accesi ed erano schermati da queste coperture di metallo che riflettevano la luce sul palcoscenico per
illuminare l’attore.

LAZZO: il lazzo era una creazione personale dell’attore che inseriva in maniera appropriata all’interno della
situazione una serie di gag mimico-gestuale. Il lazzo della mosca è universale e serviva per l’entrata in scena e
aveva la peculiarità di vivacizzare un momento che sarebbe passato inosservato, trasformandolo in un
momento di spettacolo e di esaltazione della figura dello zanni, in particolare di Arlecchino che era
perseguitato dalla continua fame insaziabile che arrivava ad esercitarsi con crudeltà sulla mosca.

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La cattiveria di Arlecchino stacca le ali alla mosca prima di ingoiarla, ma il pubblico ride perché è trascinato
dalla vivacità e dal ritmo dell’azione.

LAZZO DELLA LETTERA: stessa cosa anche se rapportata al dialogo con gli altri personaggi nel “lazzo della
lettera”. Nella commedia di Goldoni il lazzo della lettera è previsto nel testo perché è la conclusione della
scena di Florindo che era il primo moroso. Arlecchino però non si limita a piegare e sigillare la lettera ma si
inventa una serie di elementi di carattere mimico-gestuale che stimola l’ilarità del pubblico.
Il lazzo è addirittura elaborato in tre elementi:
- Il primo è quello della piegatura della lettera (in cui Arlecchino si sdraia sul palcoscenico)
- Il secondo è quello della sigillatura
- Il terzo quello della chiusura della lettera.

Il problema della sigillatura è un’invenzione Strehleriana che va a pescare nelle doti mimiche dell’attore
comico, attingendo ad alcuni elementi del mimo.
Goldoni dice che Arlecchino decide di sigillare la lettera con la mollica di pane e che essendo costantemente
affamato quando inumidisce con la saliva il pane, lo inghiotte (questo è il testo di Goldoni).
Il lazzo di Strehler è diverso -> Arlecchino ha estratto dalla sua piccola borsa un sacchetto gigantesco dove è
conservato il pane che è piccolissimo, la sproporzione delle due cose suscita ilarità.

Interessante è la realizzazione della sigillatura dopo la masticazione ->mentre l’Arlecchino di Goldoni lo fa una
volta, quello di Strehler lo fa tre volte e inventa l’espediente dello spago che attinge alla tecnica del mimo,
uno spago lunghissimo a cui àncora il pezzettino di pane per evitare di mangiarsi quel pane che invece gli
serve: la lotta del personaggio con se stesso, altro elemento che accentua la comicità del momento.

Nella sigillatura Strehler e i suoi attori inventano questa forma -> Arlecchino per non sporcare la lettera non
può sigillarla con i piedi ne con le mani che sono sporche, quindi decide di sedersi sopra la lettera che però gli
rimane attaccata e quindi non riesce a liberarsene.

LAZZO FINALE: è proprio l’interazione con il pubblico che è un’altra delle caratteristiche del lazzo dell’arte, ed
è il vero margine di improvvisazione. Arlecchino chiede al pubblico dove sta la lettera e a seconda della
partecipazione del pubblico, questo momento può essere più o meno lungo. Il pubblico indica ad Arlecchino
le direzioni che può costruire una gag che ha una durata estensibile a seconda della reazione dell’uditorio.
La caratteristica tornava anche nel lazzo della mosca, quando entra e chiede silenzio al pubblico.
Se il pubblico ride Arlecchino si arrabbia e rimprovera il pubblico.
All’interno del lazzo ci sono davvero gli spazi di improvvisazione che sono legati all’interazione con il pubblico,
e lì è l’attore che con la sua sensibilità e con il suo rapportarsi di sera in sera alla reazione dell’uditorio può
cambiare leggermente uno spettacolo.
Per Strehler e per i suoi attori lo spettacolo era fissato quasi totalmente, Arlecchino rimane se stesso in quasi
tutte le 10 edizioni. Quando l’attore entra in interazione con il pubblico l’improvvisazione diventa vera.

I RUOLI DELLA COMPAGNIA DELL’ARTE: una recitazione così può essere fatta da un attore che fa il
personaggio per tutta la vita, se no la tecnica del canovaccio non funziona.
La conseguenza della tecnica dell’improvvisazione è che l’attore deve svolgere lo stesso ruolo nel corso della
carriera -> in genere i comici dell’arte non cambiavano ruolo. Per le competenze tecniche che ciascun ruolo
comportava l’attore si formava in uno specifico ruolo, si costruiva o ereditava un generico o zibaldone e lo
teneva per tutta la vita. Se era un attore di talento poteva arricchirlo e poi lo avrebbe trasmesso ad un
familiare che avrebbe continuato la sua carriera.
Quanto più l’attore era bravo quanto più l’invenzione all’interno del suo generico sarebbe stata unica.
C’erano nella compagnia dell’arte dei ruoli sempre presenti che si chiamavano “ruoli fissi” e altri ruoli che
potevano esserci o non esserci a seconda della ricchezza, numerosità dell’organico e del tipo di repertorio che
si decideva di fare.

20/02/2020

[Esistono nella storia del fenomeno diversi livelli di compagnie, dal più basso quello dei saltimbanchi e dei
ciarlatani, ai comici dell’arte, fino ai comici onorati. Anche la numerosità teneva conto dello status della

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compagnia, della ricchezza economica della compagnia, per cui i primi gruppi di artisti di strada erano
composti da 2-3 componenti che invece diventavano un organico più numeroso a livelli più anti.
Di solito una compagnia media aveva un numero di attori compresa tra gli 8 e i 12 componenti, legati tra di
loro da vincoli familiari. La compagnia dell’arte è un clan familiare, al cui interno tutti i componenti danno il
loro contributo, compresi i bambini che vengono avviati a questa professione sia dalla tenera età, tanto che la
figura dell’attore mercenario in Italia è quasi sempre di origine familiare. Nasce qui la figura del figlio d’arte
che caratterizza il nostro spettacolo]

RUOLO: il lavoro del comico dell’arte era basato sul ruolo cioè la tipologia del personaggio che l’attore
sceglieva di impersonare e in cui si specializzava in genere per tutta la vita.
Non poteva essere altrimenti data la caratteristica del lavoro di improvvisazione. Per riuscire ad improvvisare
l’attore doveva essere specializzato e conoscere le caratteristiche di un personaggio da portare sulla scena.

All’interno di una compagnia si distinguevano due tipologie di ruoli:


• FISSI: necessari per qualsiasi commedia dell’arte. I ruoli fissi erano a coppia (due vecchi, due zanni,
due innamorati)
• MOBILI: (Il capitano, la servetta, musici, comparse e figuranti) personaggi che potevano comparire o
non comparire e che spesso caratterizzavano la variante originale della compagnia, costituivano un
valore aggiunto che poteva fare la differenza rispetto alla concorrenza. Il pubblico poteva accorrere a
teatro per vedere la performance di un singolo comico il cui ruolo non era presenta in altre
compagnie.

Ciascun ruolo aveva delle precise caratteristiche espressive, mimiche e gestuali.


- Espressive perché i vari personaggi della commedia dell’arte si esprimevano in lingue diverse. Una
delle caratteristiche dello spettacolo dell’arte è il plurilinguismo, per cui ci sono personaggi che
parlano in italiano letterario e personaggi che parlano in dialetto, mescolando le varie parlate
regionali e parodizzandole in effetti comici.
La mescolanza del linguaggio e dei registri stava alla base della vivacità e del risultato comico che lo
spettacolo si proponeva di ottenere.
- Altrettanto distinte erano le sequenze mimico testuali su cui si poteva esercitare il talento personale
dell’attore. All’interno dei confini di un ruolo l’attore aveva la possibilità di variare e mescolare per
rendere più efficacie il personaggio.

I VECCHI: a loro era affidato il compito di sviluppare gli intralci che si opponevano allo svolgimento dei piani
(sentimentali) dei giovani secondo la vecchia e canonica struttura della commedia che abbiamo visto risalire a
Plauto. L’intreccio di un tipico canovaccio della commedia dell’arte riprendeva quella storia dei due ragazzi
che si amano ma che non riescono a coronare il loro sogno d’amore, complicata in questo caso da una serie di
equivoci e problemi in cui intervenivano i vari personaggi.
I vecchi avevano appunto il compito di ostacolare il progetto dei giovani e finivano per riconoscere la loro
sconfitta. Le due figure che vanno definendosi già alla fine del 500 sono il vecchio mercante e l’avvocato
saccente.

Nella tradizione veneziana che diventa il polo trainante di tutta la commedia dell’arte europea hanno
“pantalone” e “il dottore”.
- PANTALONE:

è la caricatura del mercante veneziano arricchitosi con il suo lavoro ma


caratterizzato da una profonda acidità e dalla dominanza dei vizi.
La maschera dell’arte è negativa, comica per l’eccesso di vizio che la
contraddistingue.
Il pantalone della commedia dell’arte è un mercante avaro fino al
cinismo, vecchio libidinoso che insidia qualsiasi fanciulla capiti sulla sua
strada. La valenza comica sta nel fatto che entrambi i vizi sono destinati
ad essere sconfitti alla fine della commedia, per cui pantalone si
arrabbia, insidia le fanciulle, ma alla fine viene sconfitto.

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- AVVOCATO SACCENTE:

BALANZONE: l’altra versione parodizzata del ruolo


sociale del vecchio è quella dell’avvocato saccente,
il dott. “Balanzone”, è un personaggio pedante e
curioso che ostenta una cultura formale che non
corrisponde a nessuna sostanza, vanta di avere
studiato nella più prestigiosa università dell’epoca
(Bologna, infatti in genere parla il bolognese).

La connotazione dialettale delle maschere dei vecchi è fortissima perché la loro comicità si gioca anche sul
contrasto verbale. Pantalone è la parodia del mercante veneziano che parla in veneziano strettissimo, e
l’avvocato si esprime in bolognese.
I loro bisticci sono giocati sui fraintendimenti lessicali -> equivoci con effetti comici.

ZANNI:

L’altra coppia fondamentale della commedia dell’arte era


rappresentata dai servi che erano definiti “gli zanni”. Secondo gli
studiosi questa parola deriva da una deformazione della pronuncia
veneziana del nome Giovanni che pare essere il nome più comune per i
servitori di aria veneta.
Le fonti attestano la parola zanni come nome comune per indicare i
servitori che agiscono in coppia, sono uno la spalla dell’altro e sono
divisi in servo astuto e servo sciocco con una combinazione che è
destinata ad una grande fortuna, attraversando tutto il teatro comico.

I nomi dei servi possono essere vari perché è attorno al servo e al suo essere motore del proseguimento
dell’intreccio che si gioca il successo della commedia.
Il pubblico ama moltissimo lo zanni della commedia dell’arte e va al teatro per ridere, i nomi sono molto vari, i
più diffusi
- sono Brighella che è il servo astuto
- Arlecchino che è il servo sciocco.

I nomi sono molto vari perché ogni attore connota la propria maschera con un nome diverso per cui il
secondo zanni può chiamarsi Truffaldino, Pulcinella (tutti nomi del secondo zarri).
(Abbiamo visto lo spettacolo di Strehler in cui il secondo zarri si chiama Arlecchino ma è bene precisare che
questa è una scelta di Strehler, Il secondo zarri di Goldoni si chiama Truffaldino perché l’attore per cui Goldoni
scrive il canovaccio si chiamava come nome d’arte Truffaldino (Antonio Sacchi).
Quando Goldoni decide di trasformare il canovaccio dell’arte che aveva avuto un grade successo presso il
pubblico di tutta Europa decide di trasformare il canovaccio commedia scritta e mantiene come omaggio il
nome del personaggio Truffaldino, e Strehler a distanza di due secoli decide di fare questo cambiamento
perché Arlecchino era più noto al pubblico novecentesco)

LINGUA ZANNI: parlano in dialetto (Arlecchino e Brighella parlano in veneziano ma adottano un ritmo
vorticoso, è difficile capire cosa dice Arlecchino). Questo perché una delle caratteristiche della maschera è il
vorticoso muoversi sulla scena che corrisponde ad un vorticoso ritmo della parlata. La loro recitazione è
quella a cui maggiormente è affidata la comicità-> sono questi gli attori che usano quasi esclusivamente i lazzi.

MASCHERA: i vecchi e gli zarri sono le maschere della commedia dell’arte -> nel linguaggio comune quando si
parla della commedia dell’arte si parla di “teatro delle maschere”, è sbagliato, solo alcuni attori indossano le
maschere. Le 4 maschere sono queste: due vecchi e due zarri, gli altri recitano senza maschera.

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La maschera della commedia dell’arte è differente rispetto a quella che abbiamo visto nel mondo antico
perché copre soltanto la parte superiore del viso, è nera in cuoio che gli attori si facevano confezionare per
uso personale in modo che rispondesse alle fattezze del loro viso, e che aveva dei tratti deformati.

Quando Strehler decide di ritornare alla commedia dell’arte, uno dei principali problemi degli attori della sua
compagnia è proprio la recitazione con la maschera. L’attore 900esco non è più capace di recitare con la
maschera che comporta una serie di limitazioni in cui i comici dell’arte mostravano tutto il loro talento nella
capacità di aggirare questa difficoltà. La maschera limita il campo visivo perché nasconde una parte di
possibilità dell’occhio di circoscrivere il campo attorno al corpo.
Dal lavoro Strehleriano si è capito come la maschera condizioni la gestualità e l’andatura. Le maschere
sembrano sempre avanzare un po' protese in avanti, sembrano guardare dove mettono i piedi, ed è così
perché non hanno campo visivo, per cui Arlecchino che cammina inchinato in avanti, o Pantalone sembra
gobbo, in realtà adottano questa andatura come conseguenza tecnica dell’uso della maschera.
Interessante è vedere come la maschera condiziona l’uscita della voce che non è più naturale, o più alta per
cui la vocalità era la risultanza dell’obbligo di recitare a voce più alta possibile, con uno ostacolo che impedisca
il consueto modello respiratorio e l’emissione della voce.

GESTUALITÀ: è interessante spiegare la recitazione della commedia dell’arte con l’enfasi della gestualità.
Quasi tutti gli spettatori del 600-700 sottolineano l’esagerazione dei gesti da parte degli attori, la quale ancora
si spiega con il fatto che l’attore si vede privato di uno strumento espressivo fondamentale: la mimica facciale.
Tutti i gesti, le espressioni, i cambiamenti emotivi che un attore di teatro può esprimere con il viso vengono
annullati (Arlecchino non può piangere quindi per il pianto dovrà inventarsi un gesto delle braccia per far
capire a chi ascolta che si sta asciugando le lacrime). Tutta quella gestualità studiata e tipicamente teatrale
che va di pari passo con questo stile è legata alla presenza dell’oggetto maschera, per cui la consueta idea che
la commedia dell’arte potenziasse l’espressività del corpo va valutata secondo la legge della sostituzione delle
funzioni di cui abbiamo detto prima, perché l’attore si concentrava sulla gestualità.

Questa serie di limitazioni poteva rilevarsi uno straordinario fattore comunicativo perché la lontananza del
pubblico, la scarsa illuminazione della scena permettevano allo spettatore di capire i gesti che con la sola
mimica facciale si sarebbero un è po' persi.
Quindi il successo della maschera dell’arte è legato alla tecnica dell’oggetto maschera che ne condizionava la
recitazione ma nello stesso tempo la orientava secondo uno stile preciso.

GLI INNAMORATI:

Non portano le maschere. L’innamorato, o l’innamorata ancora di più si


richiedeva come primo requisito di essere di bell’aspetto. Un attore di
bell’aspetto non si mette la maschera.
Amorosi erano i divi dell’epoca che volevano con la loro recitazione
attirare le simpatie degli spettatori. I costumi degli amorosi erano ricalcati
agli abiti dell’aristocrazia, gli attori tenevano molto ad avere un costume
distinto. Per questo a partire dalla commedia dell’arte si introduce
l’abitudine per cui il costume è proprietà personale dell’attore.
È l’attore che si compra il costume e decide come presentarsi sulla scena.
Per gli attori dell’arte il problema era limitato facendo sempre lo stesso
ruolo, le maschere avevano un abbinamento fisso.

Gli amorosi potevano cambiare, anzi la ricchezza del loro abbigliamento diventava un valore aggiunto per la
fascinazione del pubblico.
LINGUA INNAMORATI: gli amorosi parlavano in italiano letterario, spesso si esprimevano in versi e il loro
fraseggio, contenuto nei generici, era spesso tratto da brani famosi della letteratura italiana.
In ogni commedia dell’arte il moroso e la morosa avevano dei monologhi, per lei la pazzia e la gelosia, per lui
la disperazione e la vendetta. Gli amorosi studiavano a memoria, quindi la loro improvvisazione era un
montaggio di parti già preparate e per essere una brava coppia di amorosi, bisognava essere molto affiatati.
In una compagnia media le coppie di amorosi erano almeno due, qualche volta tre.

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È proprio da questa categorizzazione che nel corso del tempo vengono a sorgere i primi ruoli, la prima attrice
e il primo attore sono il primo amoroso e la prima amorosa. Sarà quasi automatico quando alla fine del 700
avverrà il passaggio alla recitazione su testo d’autore (premeditata su testo interamente scritto) che i
protagonisti diventino il primo amoroso e la prima amorosa.

IL CAPITANO E LA SERVETTA: Fra i ruoli mobili gli esempi sono molteplici, era un ruolo non necessario che la
compagnia poteva presentare come valore aggiunto. I due più frequenti sono il capitano e la servetta.

Il capitano era famoso soprattutto nelle compagnie


dell’arte del 600 (Francesco Andreini era il “capitan
spaventa”).
Era la figura del soldato spaccone e millantatore che spesso
si esprimeva con termini spagnoleschi, e la caricatura del
militare assume questo tipo di connotazione.
La cosa interessante è che in genere il capitano recita con
la maschera, e quindi la sua recitazione inclina verso il
comico, in quella categoria che lo avvicina alle quattro
maschere fisse dell’arte.

Molto amato dal pubblico era il ruolo femminile della servetta (Colombina,
Smeraldina, Argentina) che era un personaggio funzionale per mandare
avanti l’intreccio. Era la cameriera dell’amorosa, destinata a raccogliere le
confidenze della sua padrona ma anche ad agire in favore della sua padrona
(così come lo zanni aiutava di solito il giovane padrone). Per questo suo ruolo
più basso la servetta poteva permettersi impertinenze, civetterie, battute di
doppio senso che ne facevano un personaggio attrattivo.
Era l’attrice che si presentava con costumi più scollacciati, con gestualità fin
troppo esplicite e che spesso finiva per intrecciare una relazione con
entrambi gli zarri, per poi finire fidanzata con uno dei due. C’era una linea
bassa di trama amorosa che scorreva parallelamente a quella alta che
vivacizzava lo spettacolo. Tutti i ruoli concorrono a creare uno spettacolo
vivacissimo, di ritmo. L’obiettivo era che il pubblico non si annoiasse mai, e il
montaggio delle parti garantiva l’incalzante successione degli eventi.
La servetta ha un’evoluzione interessante nel corso del 700 perché diventa l’alter ego di una figura femminile
patetica, eccessivamente zuccherosa e sentimentale, tanto che Goldoni ad un certo punto della sua carriera
concentra la sua attenzione sulla servetta, promuovendola a protagonista (la locandiera, una servetta che con
uno scivolamento di ruolo diventa la protagonista).
Nella commedia dell’arte la servetta non è mai una protagonista, ma con Goldoni c’è lo slittamento di ruolo
per cui un’attrice di grande talento (tipico della recitazione della servetta) riesce a diventare il modello
femminile della più famosa commedia goldoniana.

LA GESTUALITÀ DI ARLECCHINO: La fortuna della commedia dell’arte è sempre legata al gioco gestuale, la
commedia dell’arte è passata nella storia della critica come teatro del corpo. Tutte le raffigurazioni della
commedia dell’arte tendono a riprodurre l’attore all’interno di situazioni di recitazione corporea. La grande
innovazione è proprio questa, anche da un punto di vista iconografico gli attori precedenti erano sempre
rappresentati mentre recitavano. Con la commedia dell’arte il teatro diventa ludico, esercizio corporeo
gestuale di vivacità.

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Tutta questa sequenza di
incisioni che riprendono
Arlecchino che sospira,
che piange, goloso sono di
aria francese. Tutte queste
immagini sono d’origine
francese perché la fortuna
della commedia dell’arte è
soprattutto francese.

Risale a quell’esperienza di tounee fortunate che già a partire dagli anni 70-80 del 500 i comici dell’arte
svolgono presso la corte di Francia.
Il fenomeno dei comici prestati dalle corti italiane alle corte francese, la Francia e in particolar modo Parigi,
diventano per i comici dell’arte il terreno più favorevole allo sviluppo della loro attività teatrale.

“Comici dell’arte alla corte di Carlo IX” si può riconoscere la


prima raffigurazione delle maschere, c’è Pantalone e c’è
Arlecchino. Quest’ultimo non porta ancora il costume variopinto
ma l’originale costume 500esco dello zanni -> una casacca in
forma rattoppata in alcuni punti. Il rattoppo era di colore
contrastante rispetto alla casacca per indicare la povertà del
servo che non aveva trovato una stoffa in tono con l’abito e da
questo rattoppo si evolve l’idea del costume a losanghe che
viene fuori alla fine del 600 all’interno del gruppo francese.
Già fissato invece è il costume di Pantalone: la calzamaglia rossa
con la zimarra nera. Poi ci sono gli amorosi impegnati in una
scena di gelosia che vestono sempre dell’epoca contemporanea.

ITALIANI IN FRANCIA: perché gli italiani in Francia hanno così successo?


La corte francese finanzia le recite dei comici dell’arte. Dapprima in maniera episodica tra ‘500 e ‘600 tutte le
compagnie più importanti ottengono la possibilità di avere degli inviti dalla Francia, quindi avendo pagate
tutte le spese, che per una compagnia di professionisti non era una cosa indifferente associando il soggiorno
parigino, meta principale, a tournee che li portano nell’Europa del nord, Belgio, Germania e Inghilterra.
Il fenomeno cresce e a metà del 600 (1653) il re di Francia Luigi XIV affida ai comici dell’arte un teatro in cui a
Parigi possano esercitare regolarmente la loro funzione di attori.
La COMEDY ITALIEN” sarà un’istituzione che accompagnerà il panorama teatrale francese fino alla rivoluzione
francese.

Gli italiani saranno cacciati da Parigi nel 1697, nell’ultima parte del regno di
Luigi XIV, sotto l’influenza del regno rigorista di Madame de Maintenon, la
corte francese giudica la commedia dell’arte spettacolo scandaloso, e
quindi bandisce i comici dalla città. Questo nonostante la seconda metà
del 600 avesse visto un alleggerimento dei toni pesanti ed osceni che
caratterizzavano la prima commedia dell’arte verso una modalità di teatro
più stilizzata.

Passeranno circa 20 anni e nel 1718 gli italiani saranno richiamati a Parigi.
Questo ritorno (con la seconda comedy italien) è legato ad un attore molto
famoso, Luigi Riccoboni, attore colto che torna a fare spettacolo ma non
ripropone più la commedia dell’arte come era nella versione italiana,
perché si rende conto che il pubblico con capisce i canovacci della
commedia italiana quindi è necessario modificare le trame con inserti
francesi e con reinvenzioni francesi.

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Nel dipinto vediamo la presentazione al pubblico di Pierrot che è un secondo zanni che nasce negli anni della
commedia italiana in Francia con delle caratteristiche completamente diverse dagli zanni che abbiamo
raccontato.
Comincia così un’ultima fase della commedia italiana in Francia che si interseca con la tradizione degli autori,
non più solo canovacci ma parti recitate all’improvviso all’interno di testi completamente scritti.
L’autore più interessante per questo fenomeno è Marivaux che lavora nella prima metà del 700 con i comici
italiani e che è un esempio di autore francese che utilizza i personaggi della commedia dell’arte all’interno
delle sue commedie. Il fenomeno della commedia dell’arte attraversa due secoli interi, dalla metà del 500 alla
metà del 700, e continua ad attirare dentro di se il fascino del pubblico, anche se nel frattempo a questo
fenomeno dello spettacolo italiano si associano fenomeni altrettanto importanti all’intero dei teatri delle
varie nazioni europee.

TEATRO ELISABETTIANO: a partire dalla fine del 500 non è più possibile fare un discorso univoco, ma
distinguere le varie aree geografiche mettendone in evidenza le differenze.
In ordine cronologico la prima nazione che emerge per l’importanza conferita al teatro è l’Inghilterra
Elisabettiana.
Il teatro è il principale fenomeno culturale del rinascimento inglese (che si sviluppa con 50 anni di ritardo
rispetto a quello italiano).
La prima fase coincide con il regno di Elisabetta I (1558-1603), età di splendore economico e culturale che
trova nel teatro l’elemento di maggiore esaltazione dei valori culturali dell’epoca.
La seconda metà del 500 vede Londra sviluppare un mercato teatrale professionistico (teatro a pagamento)
che non è paragonabile a nessun’altra città europea
[Nemmeno Venezia, patria della commedia dell’arte che poi nel 600 diventerà l’indiscussa capitale dello
spettacolo, a metà del 500 ha una vivacità teatrale paragonabile a quella di Londra, anzi fino all’ultimo
decennio del 500 in Italia non ci sono edifici teatrali destinati allo spettacolo, ma ci sono invece a Londra.]
Nell’ultimo quarto di secolo Londra sviluppa un quartiere destinato allo spettacolo, al divertimento teatrale.
È la zona a sud del Tamigi opposto alla City (la parte della città tradizionalmente sede delle istituzioni
politiche, culturali e religiose) in cui si sviluppano una serie di edifici specificamente dedicati allo spettacolo. È
la prima volta in Europa. (verranno tutti abbattuti dalla rivoluzione puritana, l’attuale Globe è ricostruito)
All’epoca sicuramente è un fenomeno all’avanguardia.

Il primo è il Theatre (1575) fino all’ultimo, il più famoso The Globe (1599 teatro costruito dalla compagnia di
cui faceva parte Shakespere) sono teatri commerciali, per un pubblico che paga il biglietto.
• The theatre 1576
• The Curtain 1577
• The Rose 1587
• The Swan 1596
• The Globe 1599

Un elemento di novità è che siamo di fronte ad un teatro commerciale (e non d’elite come era quello che
abbiamo visto nell’Italia rinascimentale).
Il pubblico che frequentava i teatri elisabettiani era appartenente a tutti gli strati della popolazione, sappiamo
che esistevano categorie diverse di prezzi, si poteva entrare con un biglietto base e stare in piedi oppure un
posto a sedere, addirittura pagando un supplemento per il cuscino, o riservarsi una piccola zona a parte con
un prezzo ancora più alto.
Questi teatri facevano uno spettacolo a fine di lucro, erano compagnie professionistiche che vendevano la
propria arte; il teatro era una merce, un prodotto.
L’originalità del teatro elisabettiano sta anche nell’aver prodotto un luogo teatrale originale che non ha alla
base il recupero del teatro antico (che abbiamo visto aver guidato le teorie degli uomini di teatro
rinascimentale).
Qui il modello era funzionale, gli studiosi concordano nel riconoscere che il teatro elisabettiano aveva alla
base l’idea dei cortili delle locande dove per le prime volte si tenevano gli spettacoli e contemporaneamente
dei luoghi destinati al combattimento degli animali, presenti nella riva a sud di Londra, del Tamigi, in questo
quartiere destinato ai divertimento.

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RICOSTRUZIONE DI THE THEATRE:

Nasce il teatro di forma circolare o poligonale.


Era un edificio che presentava uno spazio centrale a cielo aperto, prevedendo
una copertura soltanto per la parte delle gradinate e per la struttura della
scena. La scelta di avere uno spazio a cielo aperto era a ragioni funzionali (per
poter sviluppare la luce naturale), gli spettacoli avvenivano a partire dalla
stagione primaverile nel pomeriggio, terminando prima del tramonto del sole.
Lo spazio centrale era occupato per metà da un palcoscenico accettante, che
avanzava per un terzo di questa arena centrale e che era chiamato “STAGE” o
“apron” che vuol dire grembiule.
Il pubblico più popolare stava intorno al palcoscenico che era di 1,60- 1,80 cm di
altezza in quello che si chiamava “Yard”, una sorta di platea.
Tutto intorno c’era un sistema di gallerie di legno “GALLERIES” che erano
completamente aperte e percorribili dove il pubblico poteva andarsi a scegliere
il posto che gli piaceva.
L’unico spazio riservato era questa serie di palchetti (che avevano l’ingresso di
dietro) riservati agli spettatori eminenti che non volevano mescolarsi con la
folla e che prendeva il nome di “GENTELMEN’S ROOM” -> era il palchetto riservato ai gentiluomini. I nobili
erano molto esibizionisti e abbiamo attestazioni che i posti più illustri erano proprio sullo stage.
La parte più originale era quella scenica “PLAYHOUSE” che diventa poi il nome di tutto il teatro, una struttura
sostenuta da due colonne e coperta da un tetto e divisa a più livelli.

Tutti gli studiosi distinguono due livelli presenti nella scenografia:


- l’inner stage che è la parte superiore del palcoscenico, una balconata dove si recitavano le scene
poste in alto, ideale per la scena del balcone di Giulietta e Romeo, i drammi elisabettiani prevedono
spesso la presenza di due personaggi, uno che sta in alto in un balcone e l’altro in basso
- l’upper stage cioè il palcoscenico interno -> con il teatro elisabettiano ci troviamo ad una
cancellazione delle fonti, non abbiamo documenti diretti. Tutti queste osservazioni derivano dallo
studio dei testi e dalle poche testimonianze che abbiamo. Non siamo autenticamente sicuri che sia
proprio questa la funzione dell’inner stage.

THE SWAN THEATRE: uno dei pochi documenti originali della scena
elisabettiana, “the swan theatre” è un disegno del 1596 tratto dal diario di
un turista olandese Johannes de Witt che racconta nel suo diario di essere
stato a questo teatro e pensando di pubblicare il diario una volta rientrato
in patria, ritiene necessario far capire ai suoi connazionali come era fatto
un teatro -> grazie a lui abbiamo una foto del teatro.
Quello con le due porte (nella foto) è proprio l’inner stage.

INNER STAGE: aveva due porte o tende che servivano per l’ingresso in scena degli attori e permettevano
all’inventiva degli autori elisabettiani di realizzare degli effetti scenici; è sicuro che l’inner stage fosse usato
nel terzo atto dell’Amleto nella scena in cui Amleto uccide Polonio, che stava nascosto dietro un tendaggio,
Amleto grida, vede muoversi il tendaggio e pensa che dietro ci sia Re Claudio che sta origliando il suo
colloquio con la madre, grida e trafigge Polonio.
La genialità di Shakespere è quella di usare lo spazio.
Il teatro è scritto tenendo conto delle convenzioni del tempo e dello spazio.

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SHAKESPEARE lavora per un teatro commerciale e deve adeguare il suo genio a quelle strutture, per cui la
morte di Polonio dentro l’arazzo è una soluzione che è indotta dalla presenza di questo inner stege.
Le tende spesso si aprivano per far vedere l’interno, non è escluso che alcune scene di interno potessero
svolgersi dentro, nella parte posteriore della scena anche se è molto improbabile perché gli spettatori non
avrebbero sentito nulla.
In questa direzione molti studiosi pensano alla possibilità di far vedere una pedana che mostrasse un interno
portato all’esterno, molti infatti hanno ritenuto che in questo senso va interpretata l’espressione “discovery
space” “spazio della scoperta” che troviamo in alcuni documenti. Siamo sempre nell’ambito delle ipotesi, non
abbiamo edifici ne documenti.
È un teatro senza scenografia, non abbiamo un apparato scenico che possa ricordare il fenomeno coevo della
prospettica che abbiamo trovato nella scena del rinascimento.
Questo è un teatro estremamente stilizzato ed essenziale.
Gli apparati scenici sono ridotti a pochi elementi che si potevano portare in scena e agli accessori e i testi non
fanno che testimoniare questa prassi.
I testi di S. contengono delle descrizioni molto lunghe degli ambienti, quelle che la critica chiama “le didascalia
verbali”, il personaggio entra e spiega cose che lo spettatore non può vedere e che potrebbe solamente
immaginare.
Quello che gli attori elisabettiani possono fare è compensare con il costume che è molto ricco, colorato e
ornato con gioielli, piume e ventagli perché visivamente almeno il costume appagasse la visione dello
spettatore, e poi c’erano gli effetti scenici molto semplici, c’era la botola che serviva all’apparizione o
sparizione di figure sovraumane, anche qui nel terzo atto dell’Amleto quando il fantasma riappare nella stanza
della madre riappare dalla botola.
C’era sopra le colonne un cielo stellato che permetteva l’idea di uno spazio aperto, le carrucole che si vedono
dal pezzo del tetto che lasciava intravedere i meccanismi, c’era sempre uno spazio dedicato ai musici, il
sottofondo musicale aveva una grande funzione di creazione dell’atmosfera. Per il resto tutto era basato su
un teatro di parola, recitato dagli attori che erano professionisti.

La bandiera è immancabile nel teatro elisabettiano e indica che il


teatro è aperto, veniva issata perché da tutta la città il pubblico
potesse vedere che c’era rappresentazione in quel giorno, la
mattina veniva issata la bandiera e il possibile spettatore sapeva
che ci sarebbe stato spettacolo.
ATTORI: gli attori erano professionisti ed erano tutti uomini. Era
vietato alle donne per legge pena arresto per prostituzione e
immoralità; pure i personaggi femminili erano recitati da uomini.
All’interno delle compagnie gli attori più giovani assumevano i
ruoli femminili, poi passavano ai ruoli maschili. L’accusa di
immoralità che colpiva le donne impedendo loro di recitare
contagiava anche gli uomini.

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Nella società ben pensante gli attori erano mal visti, considerati una minaccia per la pubblica tranquillità.
La legge puniva con l’arresto i vagabondi e senza fissa dimora, e gli attori del teatro del 500 erano nomadi e
quindi non avevano fissa dimora, e quindi rischiavano l’arresto.
Di qui l’escamotage di queste compagnie di mettersi sotto la protezione di un signore, la protezione di un
nobile permetteva loro di fissare presso la sua dimora una sede, diventando i loro servitore, questo gli
garantiva la tranquillità di fronte la legge.

Le due campagnie dove lavora Shakespeare sono patentate cioè che hanno la protezione di un signore:
- L ord Chamberlain Man (i servi, man in quell’epoca lì vuol dire soprattutto servitore) dal 1596 al 1603
- King’s man, gli uomini del re, i servitori del nuovo sovrano che sale al trono dopo la morte di
Elisabetta.
Shakespeare era ormai famosissimo ma la sua compagnia ha ancora bisogno di questa protezione perché per
l’opinione comune la professione dell’attore è qualcosa di insidioso da cui guardarsi.

La struttura della compagnia elisabettiana è societaria, gli attori principali sono soci e dividono spese e
guadagni e Shakespeare era uno dei soci della sua compagnia addetto alla fornitura dei copioni.
Una leggenda dice che per la prima parte della sua carriera S. abbia anche recitato, facendo ruoli minori.
L’attore elisabettiano doveva avere delle capacità tecniche non indifferenti, era importantissima la voce e
l’abilità nel canto e nella danza perché molte scene in repertorio prevedevano parti cantate e danzate (la
presenza di musici è attestata come una presenza costante) e soprattutto doveva avere grande memoria,
perché lo spettacolo cambiava quasi ogni sera, per mantenere alta l’attenzione del pubblico con la
conseguente ricerca della novità era fondamentale.

9/03/2020

Continuiamo l’analisi del teatro durante l’età elisabettiana, cioè durante l’ultimo quarto del XVI secolo sotto il
regno di Elisabetta I in cui in Inghilterra si origina una civiltà teatrale del tutto originale per luogo teatrale,
organizzazione dello spettacolo e sistema delle compagnie professionistiche.

TEATRO COMMERCIALE: puntiamo l’attenzione sul mercato dei copioni e sul lavoro degli autori.
Ci troviamo di fronte ad un teatro di carattere commerciale e professionistico, a pagamento in cui il fine del
lavoro delle compagnie è quella di attirare la maggiore quantità di spettatori a teatro.
DRAMMATURGHI: da qui la straordinaria fioritura di drammaturghi che scrivono al servizio delle compagnie ->
si tratta di un gruppo di mestieranti più o meno geniali il cui massimo esponente è W. Shakepere ma che si
scrivono in un fenomeno estremamente vasto e differenziato con una vastissima produzione di testi.
TESTI: sono composti rapidamente con una grande libertà compositiva con soggetti che sono tratti da testi
altrui, quindi non originale, con l’unico scopo di fornire dei copioni destinato al lavoro della compagnia
immediatamente scritti per la messa in scena.
La prassi elisabettiana prevede che l’autore venda il testo drammatico da lui composto alla compagnia e che
perda ogni diritto su di esso.
Il testo diventa proprietà della compagnia che ne mantiene la versione originale anche adattandola alle
esigenze e da queste ricava le parti per gli attori. La pubblicazione del testo non è prevista in fase di
composizione, può arrivare successivamente nel caso in cui il testo, che ha avuto una grande fortuna scenica,
possa mantenere un certo interesse, allora la compagnia quando la fortuna a teatro comincia a declinare
decide di pubblicare il testo per ottenere ulteriori guadagni.
QUINDI:
- Gli autori scrivono copioni per la scena
- Il copione è venduto alla compagnia e l’autore ne perde i diritti
- Stampe commerciali senza considerazione letteraria

L’opera da stampare una volta superata la censura preventiva e ottenuta l’autorizzazione alla stampa viene
registrata nel registro degli stampatori che permette di risalire alla prima edizione. Questa estrema fluidità del
mercato dei copioni che fa si che il teatro sia inteso solo come un tipo di attività commerciale, si riflette sulle
questioni filosofiche legate al teatro di Shakespere.

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AMLETO: Di Amleto che è il testo più famoso di S. abbiamo tre edizioni e tre versioni molto diverse e molto
distanti una dall’altra.
- 1603 -> la tragedia viene messa in scena nel 1601 ma la prima edizione a stampa è del 1603- prima
edizione in quarto
- 1604 un’altra edizione- seconda edizione in quarto
- 1623 un’ultima edizione dopo la morte di S.- edizione in folio
(Le edizioni 500esce sono designate in base al formato, formato in quarto cioè tascabile con piegatura
del foglio in 4 parti mentre l’edizione in foglio era un’edizione lussuosa e prestigiosa che prevedeva il
foglio con la realizzazione in un’unica pagina)

VS: Primo confronto 1603 e 1604, due edizioni estremamente diverse per estensioni:
- 2200 righe nella prima edizione del 1603
- 3700 di quella del 1604.
Benché l’andamento e la storia della vicenda siano le medesime, la versione del 1603 è semplificata, molti
passaggi mancano e altri sono collocati in altri passaggi del testo
ES: il famoso monologo dell’“essere o non essere” si trova nel secondo atto (1603) rispetto alla
collocazione nel terzo atto dell’edizione del 1604.
Per spiegare la differenza tra le due edizioni gli studiosi hanno pensato per molto tempo che la prima
edizione sia pirata, un falso dell’Amleto, un falso che registra l’abitudine della prassi elisabettiana secondo
cui durante la recita alcuni spettatori maliziosi avrebbero stenografato il testo dalle battute degli attori
per poi rivenderlo ad altre compagnie o pubblicarlo per ottenerne denaro -> questa è stata la versione
che ha fatto si che l’edizione 1603 non venisse mai considerata per la pubblicazione.
Recentemente, 20 anni fa si è fatta luce una seconda ipotesi che parte dall’osservazione che l’edizione del
1603 risulta un adattamento coerente, ben condotto e quindi difficilmente realizzabile da uno spettatore
inesperto.
L’ipotesi che è stata avanzata da uno studioso italiano è che siamo di fronte ad un’edizione semplificata,
realizzata per un pubblico della provincia, pubblico genuino e meno esigente della capitale Londra.
Nel 1604 si realizza la seconda edizione di Amleto che porta nel titolo l’indicazione della tragica storia del
principe di Danimarca Amleto, stampata secondo la vera e perfetta copia. Questa indicazione ci porta a
concludere che l’edizione 1604 è la risposta del 1603, che si era già diffusa e che rappresenti la versione in
possesso della compagnia. Questa infatti è la versione base delle edizioni moderne.
C’è poi un’ultima versione del 1623, contenuta nella famosa edizione in foglio che costituisce il canone
Shakespeariano.
In quell’anno due attori della compagnia di S., dopo la sua morte, raccolgono tutte le sue opere
drammatiche e propongono una versione di Amleto che differisce da quella del 1604 -> è una versione più
breve, meno elaborata, con alcuni tagli della parte di Amleto e con modifiche per quanto riguardano le
didascalie, più ampie e più precise di quelle precedenti.
Questo cambiamento si spiega con il fatto che la versione del 1623 riflette lo stadio del testo nell’ultima
parte di vita della compagnia, in particolar modo nell’ultima parte il dramma veniva messo in scena dopo
la morte dell’attore per cui era stata scritta la parte di Amleto (Richard Barbage, in grado di portare in
scena un personaggio con delle parti recitative lunghissime).
Dopo la morte dell’attore il suo sostituto aveva semplificato la parte e ne aveva ridotto la portata verbale
pur mantenendone le connotazioni all’interno della vicenda.
Questa complicazione ha, da un punto di vista storico, una grandissima importanza perché ci permette di
capire quanto all’interno di un autore che noi consideriamo il massimo della drammaturgia, la vicenda
scenica abbia influenzato non solo la composizione del testo ma anche la sua trasmissione e la sua
fortuna nei primi decenni della rappresentazione.
WILLIAM SHAKESPEARE (1564-1616) non fu un grande attore, ma un uomo di teatro nel senso più pieno del
termine.
OPERE: ci sono arrivate 37 opere drammatiche rappresentate tra il 1593 (anno in cui arriva a Londra e
comincia la sua composizione) e il 1613 (anno in cui si ritira dalle scene, pochi anni prima della sua morte).

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PRIMA EDIZIONE IN FOLIO del 1623 che per gli studiosi è ritenuta il “canone Shakespeariano” con il titolo di
“Mr. William Shakespeare Comedies,Histories and Tragedies, published according to the true original copies”
La visione della compagnia che pubblica l’edizione originale per sottrarsi alle edizioni pirate -> si tratta di un
volume curato da due attori della compagnia di Shakespeare che raccolgono le sue opere in tre categorie:
- Comedies
- Histories
- Tragedies.

Si tratta di generi molto diversi da quelli adottati negli stessi anni (ormai siamo nel 600) all’interno
della visione classicistica maturata nel secondo ‘500 italiano e caratterizzata dalla grandissima libertà
compositiva nella struttura che prescinde dal rispetto delle tre unità.
All’interno di queste tre grandi categorie possiamo brevemente analizzare le sezioni:
• HISTORIES che sono drammi storici nel quale rientrano le storie collegate alle vicende patriottiche
dell’Inghilterra 300esca e 400esca come
◼ le “CRONICLE HOSTORIES” che raccontano il consolidamento della monarchia nel tardo medioevo
e che quindi vanno letti come esaltazione dei valori nazionali inglesi attraverso le tappe che dal
feudalesimo avevano portato all’affermazione della monarchia e il consolidamento dello stato
nazionale.
La passione del pubblico per questo tipo di opere intitolate di solito ai regnanti del tempo,
Riccardo II, Riccardo III, Re Giovanni, Enrico IV, V, VI, VII, è collegata al fatto che i sovrani
diventavano una sorta di protagonisti epici di vicende che terminavano con il consolidamento
dell’ordine.
◼ DRAMMI ROMANI: più vicini alle tragedie che non alle storie di cronache, in cui S., ispirandosi alle
fonti classiche, racconta e sceneggia vicende di grandi personaggi da Giulio Cesare, ad Antonio e
Cleopatra a Coriolano.

• COMEDIES: composizione libera. Danno un saggio della vastità della capacità di adattamento di S. alle
varie categorie di intreccio e di struttura all’interno della scrittura comica.
◼ COMMEDIA DI IMPIANTO LETTERARIO come la “commedia degli errori” che ha una matrice
classicistica, basata sul gioco dei dubbi e sui gemelli che quindi risente dell’influsso della
commedia plautina
◼ COMMEDIE DI IMPIANTO FANTASTICO il cui esempio più famoso è “sogno di una notte di mezza
estate” e “come vi piace”
◼ COMMEDIE DI SENTIMENTO ROMANTICO o patetico con vicende avventurose come “pene
d’amore perdute” o “la dodicesima notte o quel che volete”
◼ DARK COMEDIES cioè commedie estremamente cupe e drammatiche che risalgono agli ultimi
anni della tradizione di Shakespeare, il titolo più famoso e tuttora rappresentato è “misura per
misura” o “tutto è bene quel che finisce bene”

• TRAGEDIES -> la definizione di tragedia va intesa non in senso classicistico ma in senso teatrale,
perché si tratta di vicende che portano sulla scena azioni drammatiche e luttuose con protagonisti che
si trovano a combattere contro le grandi passioni e le forze del destino. Anche in questo caso nella
categoria che il folio propone come Tragedies c’è di tutto:
◼ DRAMMA DIALETTICO il cui maggior esempio è l’Amleto (1601 ca)
◼ TRAGEDIE vere tragedie moderne risalenti ai primi anni del ‘600 con titoli famosissimi come “Re
Lear” (1603), “Machbeth” (1605) e “Otello” (1606)
◼ TRAGICOMMEDIE quando la tragedia si mescola con elementi patetici e sentimentali come in
“Romeo e Giulietta” che è testo molto più antico rispetto agli altri (1596-1597).
Le tragedie di Shakespeare prendono sempre il titolo dal protagonista che campeggia sugli altri
personaggi. Questo ne garantisce nei secoli la straordinaria fortuna scenica in quanto fornisce
grandissime parti di attori e presenta all’interno della vicenda il suo conflitto con le grandi passioni e
con le condizioni dell’uomo in confronto ad un mondo insensibile, corrotto e ingrato che non
riconosce né il potere né i sentimenti e che quindi li porta quindi alle reazioni sproporzionate che
generano poi distruzione, morte e autodistruzione per i personaggi stessi.

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AMLETO (1600-1601) -> tragedia e dramma dialettico come gran parte dei testi Shakespeariani.
È un testo che parte da un argomento non originale che si richiama ad un genere alla moda quello della
“revenge tragedy” con testo scritto per la scena.
STRUTTURA: è la struttura della tragedia che fa si che l’interesse dell’autore non vada tanto al finale o allo
sviluppo della vicenda quanto al percorso dialettico del personaggio che alla fine arriva alla verità, alla
riflessione dell’uomo su se stesso dopo il crollo delle certezze e del suo equilibrio iniziale frantumato dopo la
rivelazione del fantasma.
EPISODIO ATTORI A CORTE: approfondimento scena seconda atto III, in cui S. ricorre all’uso del teatro nel
teatro. Dopo la rivelazione del fantasma Amleto vuole la prova che lo zio Claudio sia il colpevole
dell’assassinio, decide di provare la colpevolezza del re rappresentando sotto i suoi occhi una pantomima che
rappresenti l’uccisione di suo padre; vuole usare il teatro per ottenere la verità, “il teatro sarà il modo con cui
catturerò la cattiva coscienza del re” (Amleto)
https://www.youtube.com/watch?v=gvcaBQaDGMA Dal minuto 1.14.00 al 1.21.30
È versione importante della messa in scena italiana perché è quella realizzata con la regia di Squarzina e
l’interpretazione di Gassman nella parte di Amleto del 1952, primo Amleto integrale della scena italiana.
Per la prima volta il pubblico italiano vedeva recitato a teatro il testo integrale di S. dopo anni in cui la tecnica
del grande attore aveva fatto sì che Amleto venisse conosciuto dal nostro pubblico con moltissimi tagli,
finalizzati a mettere in evidenza la parte del protagonista a detrimento degli altri personaggi minori.
In genere la prassi italiana faceva sì che il testo finisse con la morte di Amleto e la clamorosa battuta “il resto è
silenzio”; mentre nell’originale di S. c’è tutta una scena successiva che prevede l’ingresso di Fortebraccio e il
passaggio del regno nelle mani del nuovo principe.
Squarzina si rende conto della necessità di recuperare l’integrità del testo S. con una traduzione che esegue in
prima persona e l’interpretazione di Gassman che riesce a combinare felicemente una recitazione da primo
attore con spettacolo di regia.
Questo Amleto ebbe un successo strepitoso e consacrò Gassman come il primo attore italiano del tempo ma
ebbe anche il merito di restituire alle platee italiane il testo di Shakespeare per come era stato scritto.
TEATRO NEL TEATRO: in questo episodio si segue la modalità che presenta sulla scena uno spettacolo interno
a cui i personaggi della tragedia assistono come spettatori.
L’ idea di base è quella di Amleto che approfittando dell’arrivo alla corte di Danimarca di attori girovaghi,
chiede loro di recitare una breve scena in cui si rappresenti l’avvelenamento di un sovrano da parte del nipote
che si impossessa della corona e sposa la vedova -> è lo specchio di quanto è avvenuto nella realtà e Amleto
assume all’interno della vicenda un ruolo di personaggio estremamente distinto.
Amleto è l’unico tra i personaggi spettatori a sapere e a condurre le fila della vicenda cioè il “personaggio
demiurgo” che guida con i commenti la rappresentazione e provoca la reazione del re.
Per Shakespeare il teatro è lo specchio della realtà, la verità è raddoppiata dalla finzione ed esplode proprio
rispecchiandosi nella finzione.
Il teatro è lo strumento per catturare la cattiva coscienza del re (come dice appunto lo stesso Amleto).
Shakespeare prevede due fasi nella scena recitata:
- gli attori dapprima mimano
- poi recitano con le battute la scena dell’uccisione del re.
All’inizio il Re Claudio resta indifferente alla pantomima, soltanto nel momento in cui gli attori
pronunciano le battute il re entra in crisi e interrompe la presentazione -> questo è un particolare degno
di osservazione, una metafora sull’idea di teatro che Shakespeare ha e che sta alla base del teatro
occidentale.
Il teatro è parola e la parola agita dall’attore e solo in questo modo il teatro arriva a realizzare il suo
potere potenziale e coinvolge gli spettatori come uno specchio e li spiazza fino a quando non li coinvolge
e li rende insopportabili allo specchio della realtà che si trova difronte come avviene con Claudio che
interrompe lo spettacolo ed esce di scena.

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ROMANCES 1604-1613
• Racconto d’inverno
• Ciembelino
• Pericle
• La Tempesta
• compagnia dei Kings men
• Blackfriars theatre.
L’ultimo periodo della produzione shakespeariana è quello dei
romances, drammi di contenuto romanzesco e favolistico con
ambientazioni esotiche ed indefinite e un’atmosfera più rasserenante
rispetto ai testi del periodo precedente.
Si tratta di opere composte per la compagnia del re Gioacomo I, i
King’s man, presso la quale l’autore lavora dal 1604 e presentati presso
il “Blackfriars Theatre” situato sulla riva opposta del Tamigi rispetto
agli altri teatri, cioè in prossimità della city e molto amato dalla corte.

LA TEMPESTA (1611 circa) è l’ultimo testo shakespeariano che rappresenta il congedo del drammaturgo dal
teatro. Contiene una sorta di testamento spirituale ed è anche l’unico testo S. di argomento originale.
Quello che rende questo testo attrattivo per la scena contemporanea è il suo taglio meta teatrale.
TRAMA: alla base della storia della vicenda c’è Prospero, signore di Milano, mago e ingiustamente esiliato su
un’isola da un nemico in compagnia della figlia ma grazie alle sue doti magiche sottomette gli abitanti e le
potenze dell’isola e ne fa un suo regno personale. Durante una tempesta la nave con i suoi nemici arriva in
prossimità dell’isola e Prospero fa in modo che l’equipaggio faccia naufragio e da lì inizia un percorso di
recupero e di riavvicinamento ai vecchi nemici che si pentono e gli propongono una riconciliazione e un
ritorno alla civiltà.
Nelle magie di Prospero, capace di mutare gli animi, c’è l’immagine dell’autore di teatro -> Prospero è
Shakespeare e le sue magie sono le creazioni del teatro, l’isola su cui Prospero vive è il teatro che è
contemporaneamente il mondo e la soluzione finale con la con i propri nemici e la decisione di uscire
dall’isola e tornare alla realtà è il congedo dell’autore che esce dal teatro e torna a vivere nel mondo.
https://www.youtube.com/watch?v=aVN94wgXRd4 dal minuto 0.30 al minuto 26.50
La tempesta di Giorgio Strehler del 1978 realizza in teatro con mezzi teatrali senza ricorrere ad effetti speciali
ma usando i mezzi del teatro che sa padroneggiare.
- la presentazione di Prospero che incontra la figlia a cui racconta la vicenda pregressa
- poi incontra il folletto Ariel che realizza in modo eccezionale.
La tempesta diventa metafora anche del lavoro del registra-> non c’è soltanto Prospero e Shakespeare ma
Prospero-Shakespeare-Strehler perché la magia del teatro non è solo la magia del drammaturgo ma
anche la magia del regista, infatti il Prospero di Strehler rappresenta il regista con la bacchetta del
direttore d’orchestra e il copione teatrale.
CRISTOPHER MARLOWE coetaneo di Shakespeare, morto quasi 30enne durante una rissa in una locanda
inglese, è un intellettuale laico e blasfemo chiacchierato ai suoi temi ma un autore estremamente
interessante per quanto riguarda l’epoca della fioritura dei teatri inglesi sulla riva sud del Tamigi.
La sua fama è legata a
- “Tamerlano il grande” (1587), il testo che gli dà il primo successo dedicato a un mitico condottiero
asiatico del medioevo che era la trasposizione dell’individualità eroica dei capitani navali di un
Inghilterra lanciata alla conquista dei mari
- il “Doctor Faust” del 1593 più famoso del primo, è la prima versione della storia tedesca di Faust che
poi sarà immortalata da Goethe
- “L’ebreo di Malta” del 1589 che registra le tensioni sociali anti-ebraiche della società Europea a cui si
richiamerà anche Shakespeare nel mercante di Venezia.
BEN JONSON (1572-1637) autore meno rappresentativo dell’Inghilterra elisabettiana perché legato ad una
poetica che guarda più alla dimensione continentale, più legato all’ispirazione dei modelli della classicità e alle

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fonti letterarie del teatro italiano del rinascimento.
A lui è legato l’affermazione del masque di corte, con figurini realizzati da Inigo Jones, spettacolo raffinato con
musiche e danze. I suoi testi più importanti sono
- “la commedia degli umori” del 1598
- “il volpone” del 1606, quest’ultimo testo di un lucido realismo che riesce a rappresentare in maniera
diretta il cinismo dei rapporti della società del tempo.
10/03/20

IL SIGLO DE ORO: IL SEICENTO SPAGNOLO


Il teatro spagnolo registra un notevole sviluppo con la nascita di un sistema di teatro professionistico simile a
quello dell’Inghilterra Elisabettiana.
Ci troviamo anche qui difronte ad un teatro a pagamento agito da compagnie professionistiche che si
avvalgono di una grande produzione di testi progettati esclusivamente per la scena.
SPAGNA VS INGHILTERRA: ciò avviene in un momento storico estremamente diverso da quello dell’Inghilterra
elisabettiana, perché mentre l’Inghilterra nei ultimi decenni del 600 vive un momento di espansione
commerciale e di stabilità politica, la Spagna affronta un processo inverso imboccando una strada di
decadenza che è storica e politica ed economica ma che non può non riflettersi sulla vita culturale.
Ciò nonostante tra 500 e 600 la cultura spagnola registra esiti altissimi nella produzione dei testi letterali
tanto che comunemente questo periodo è chiamato dagli studiosi il Siglo de Oro “Il secolo d’oro”
- TEATRO: tra i vari genere il teatro è sicuramente il genere più richiesto, tanto da registrare un
interesse enorme da parte di un pubblico interclassista cioè di un pubblico appartenente a classi
sociali diverse comprese quelle che fino a quel momento erano state escluse dai divertimenti teatrali.
I numeri sono impressionanti tanto che gli studiosi mettendo a confronto il sistema teatrale inglese
con quello spagnolo hanno messo in evidenza come i testi prodotti complessivamente per la scena
elisabettiana arrivano fino a circa 1500, mentre quelli spagnoli superano i 10 mila, sono dei numeri
estremamente importanti che si spiegano con la principale differenza tra il sistema teatrale inglese e
quello spagnolo.
- LUOGHI: in Inghilterra abbiamo una capitale indiscussa dello spettacolo che è Londra e una provincia
in cui si svolgono delle tournee delle compagnie in tono minore, ad esempio la prima edizione di
Amleto; mentre in Spagna il sistema teatrale è articolato su diversi centri teatrali autonomi e
assolutamente vivaci, quindi non solo Madrid ma un ventaglio di città che hanno la loro vita teatrale
(Barcellona, Siviglia, Toledo, Valladolid e Valencia hanno tutte in questo periodo le loro sedi teatrali
per lo sviluppo dello spettacolo).
SPETTACOLO TEATRALE SPAGNOLO -> si tratta di uno spettacolo prevalentemente professionistico e a
pagamento agito da compagnie nomadi in cui è registrata la presenza delle donne (c’è differenza rispetto al
modello inglese dove le compagnie sono tutte composte da attori uomini).
La donna in Spagna sale sul palcoscenico e gli studiosi pensano che la sua presenza, testata tra gli anni 70 e 80
del 500, sia una diretta derivazione della presenza delle compagnie dell’arte italiane che fanno tournee in
Spagna.
Il teatro è quindi aperto per ben parte dell’anno, in generale nella stagione estiva con attori professionisti che
assoldano dei drammaturghi perché producano per loro dei testi.
Il fenomeno teatrale è completato dalla sopravvivenza del teatro religioso -> a differenza di altri stati la
Spagna porta avanti fino alla fine del 600 un’autentica passione per il teatro sacro che continua a vivere
parallelamente a quello profano con delle commedie e rappresentazioni che attingono a personaggi sacri e
soprattutto con il genere dell’”AUTO-SACRAMENTAL” utilizzato dai grandi autori del 600 e che ha un enorme
seguito di pubblico.

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CORRAL:

Come in Inghilterra anche in Spagna nasce in questo


periodo un luogo specifico destinato agli spettacoli
teatrali: si tratta del Corral “Coral de comedias”
specificatamente pensato per la rappresentazione di
commedie.
Corral in spagnolo significa cortile ed è uno spazio chiuso
su tutti e quattro i lati su cui si affacciano delle
abitazioni.
<- CORRAL DE PRINCIPE (MADRID 1583)

Originariamente si tratta dello sfruttamento dello spazio già esistente tra edifici già presenti (in consonanza
con l’origine del luogo del teatro elisabettiano che molti studiosi riconducono al cortile delle locande, dove in
Inghilterra avvenivano i primi spettacoli).
In Spagna le rappresentazioni sfruttano lo spazio interno tra i quattro lati di edifici che permettono l’ingresso
a pagamento riservato soltanto al pubblico che voglia fruire dello spettacolo.
A partire dal 1580 i Corral vengono costruiti appositamente per le rappresentazioni teatrali, il più antico è il
Corral di Madrid.
Lo spazio del Corral è ripartito in due parti:
- LATO CORTO: su uno dei lati corti si trova il palcoscenico di fronte al quale sta il lungo spazio interno
che raccoglie il pubblico plebeo in piedi oppure su delle panche (che potevano essere messe o tolte)
SUI LATI invece c’è la presenza di gradinate destinate a un pubblico pagante un biglietto più alto
- PIANI SUPERIORI finestre e balconi erano affittati alla nobiltà o agli spettatori di una classe sociale più
alta.
CAZUELA: uno spazio preciso era riservato alle donne-> si trattava di una galleria posta al primo piano di
fronte al palcoscenico cioè la “cazuela” che era adibita soltanto all’ospitalità del pubblico femminile.
Il corral era di solito coperto da una tettoia o telone che aveva il compito di proteggere dal sole il pubblico che
si trovava in platea e, come nel teatro elisabettiano, lo spazio centrale era aperto e risolveva il problema
dell’illuminazione.
Gli spettacoli infatti si svolgevano sempre in periodo diurno, in particolar modo nella parte finale del
pomeriggio per evitare le ore più calde e per sopperire ai problemi di illuminazione.

<- APPROFONDIMENTO LIBRO

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TERMINI DEL LUOGO TEATRALE:
- Corral significa recinto che era uno spazio rettangolare
- portici e gallerie attrezzate con gradinate o sedie, la platea ospitava le persone in piedi.
- al primo piano c’erano delle gallerie collegate all’ingresso del teatro, “gallerie superiori”
- uno spazio riservato era per le donne e si chiama Cazuela.
- il teatro è protetto da un telone che aveva il compito di ombreggiare il pubblico.
- Il palcoscenico è aggettante, simile a quello inglese dell’età elisabettiana.
In molti corral il pubblico circondava il palcoscenico su tutti e tre i lati e presentava una struttura su
più piani:
- c’era in generale un balcone o una galleria con più ingressi
- una copertura in mattoni che consentiva la protezione del palcoscenico con una tettoia
- questo consentiva di avere una scena multipla.
- In generale sul palcoscenico c’era la presenza di botole (di cui il teatro spagnolo fa uso)
- nel sottopalco c’erano i camerini per gli attori.

CORRAL DI ALMAGRO (XVI)


È uno dei corral ricostruiti su quello che era il
modello originale del palcoscenico.
Il palcoscenico che aveva una struttura bipartita
con ingressi dal fondo.
In generale lo spettacolo si svolgeva con gli attori
che entrano sempre dal fondo, perché gli spettatori
potevano essere messi (come si vede
nell’immagine) sui lati laterali.

Interessanti sono gli sviluppi degli ingressi laterali: molti ingressi (di solito tre ma potevano essere di più)
erano schermati da tende (questo ci riporta all’Inghilterra elisabettiana e all’utilizzo di quello spazio che si
chiamava innerstage)
Anche nel teatro spagnolo del ‘600 l’ingresso schermato da una tenda poteva essere impiegato per scene
d’interno oppure per scene particolari, sappiamo che in questa collocazione era collocata la prigione di
Sigismondo ne “la Vita e Sogno”
Alle spalle del palco c’era il fondale e nella parte superiore le gallerie praticabili, gli attori potevano quindi
entrare anche dal piano superiore e spesso la presenza delle scale consentiva loro di scendere al piano del
palcoscenico.
Anche qui un esempio da “la vita e sogno” può essere utile -> la scena iniziale prevede l’arrivo di Rosaura su
una montagna e poi la sua discesa sul palcoscenico; tutto questo era realizzato con l’ingresso dell’attrice alla
parte del piano superiore e la discesa attraverso la scala.
Una scena così concepita permette di avere degli spazi multipli compresenti (una delle caratteristiche del
teatro spagnolo e della scrittura compositiva degli autori). I testi prevedono più ambientazioni, spesso con
alternanza rapida da un luogo all’altro, reso possibile dalla compresenza di luoghi scenici già esistenti sul
palcoscenico.

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<- APPROFONDIMENTO LIBRO

LOPE DE LA VEGA che è il teorico della modalità di scrittura della commedia di questo periodo, parla di una
scena a scacchiera cioè una scena che contemporaneamente permette la compresenza di più luoghi scenici.
In realtà, come già nella scena elisabettiana, gli apparati scenografici erano rudimentali ed essenziali,
compensati da un’oggettistica e costumi molto ricchi.
Probabilmente c’era qualche pannello dipinto e qualche elemento scenico che rimandava ad
un’ambientazione piuttosto che a un’altra. Molto veniva fatto dagli attori
Come nell’età elisabettiana, i testi prevedono delle scenografie verbali cioè delle battute descrittive in cui il
personaggio si sofferma ad illustrare il luogo in cui si svolge l’azione in modo da sollecitare nel pubblico la
fantasia che viene a sopperire a quella mancanza di apparato visivo che invece la scena spagnola non poteva
fare.
CALDERON DE LA BARCA sono molto ricchi di questo tipo di battute spesso scritte anche in rima e di grande
qualità letteraria, in cui il personaggio si sofferma a ricreare l’ambiente e a descrivere lo spazio, suggerendo
l’atmosfera cercando di sopperire a quella che è la mancanza di un apparato visivo.
Il luogo teatrale è comunemente definito “corral de comedias” proprio dalla tipologia di testi che venivano
maggiormente rappresentati, cioè le commedie (genere più diffuso)

COMEDIA NUEVA: si tratta di un modello di scrittura comica ben distinto da quella che è la commedia
classicamente intesa e canonizzata dal 500 italiano come commedia letteraria.
- È teorizzata da Lope de Vega in un trattato del 1609 la “Nuova arte di far commedie in questi tempi”
in cui a questo autore professionista dalla produzione fecondissima gli vengono riconosciuti 400 testi.
- Riassume quelle che sono le caratteristiche del nuovo genere di produzione teatrale, partendo dal
riconoscimento che la composizione della Comedia Nueva è basata sulla libertà della concezione
spazio-temporale che prescinde dal rispetto delle unità aristoteliche di tempo, luogo e azione.
- Nella commedia spagnola del 600 le vicende sono molto intricate e non seguono una sola azione ma
le vicende di più personaggi si estendono nel tempo in almeno tre giornate e prevedono
ambientazioni in moltissimi luoghi. Le vicende sono organizzate anche con intrecci estremamente
intricati che prevedono episodi tragici e comici, non c’è la separazione dei generi ma la mescolanza di
tragico e comico. Superamento della divisione dei generi.
- La struttura a differenza della commedia classicamente intesa che è in cinque atti, prevede tre atti, e
lo stile è costituito da una scelta di metri vari che cercano di imitare il parlato quotidiano connotando
linguisticamente e stilisticamente i diversi personaggi.
- Un’altra delle caratteristiche su cui Lope de Vage insiste è il fatto che si tratta di una scrittura fatta in
vista dell’esecuzione delle compagnie.

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- Il sistema dei personaggi previsto dalla commedia nueva ricalca l’organico delle compagnie, la
presenza di due o tre coppie e soprattutto l’immancabile ruolo del “grasioso” tipico del teatro
spagnolo prevede che nella commedia sia lasciato spazio ad un personaggio di servitore spesso
comico, caratterizzato da una grande capacità d’iniziativa, spesso motore dello spettacolo ma nel
contempo capace di svolgere ironicamente anche il ruolo di controcanto del protagonista -> quindi
una figura ben distinta dal servitore della commedia rinascimentale per questa capacità di riflessione
e di commento ironico.
RAPPORTO CON I MODELLI: Un altro aspetto interessante è il rapporto con i modelli e la precettistica classica
da cui gli autori prendono consapevolmente le distanze.
PRECETTO: uno dei precetti di Lope de Vega è: “quando devo scrivere una commedia chiudo a chiave i
precetti con sei mandate perché, dato che paga il volgo, è giusto parlargli terra a terra per divertirlo”.
Siamo quindi davanti a una serie di autori letterati ben consapevoli di fare un lavoro di carattere commerciale
non per incapacità, per mancata conoscenza della precettistica e delle letterature classiche di riferimento, ma
per scelta -> si tratta di produrre un teatro di consumo per un pubblico variegato, spesso non dotato delle
competenze necessarie ad apprezzare un prodotto molto raffinato -> una presa di distanza dai modelli e il
coraggio che per i tempi è di riconoscere la centralità sociologica del pubblico che paga e proprio perché paga
è il vero committente dello spettacolo, per cui il drammaturgo deve mettersi in sintonia anche con i limiti
culturali dei suoi spettatori.
SVOLTA: l’autore professionista riconosce la necessità di tenere presente l’orizzonte d’attesa del pubblico, di
scrivere per divertire il pubblico mettendo il suo talento al servizio dello spettacolo. La genialità degli autori
spagnoli è quella di riuscire nella sfida di mettersi alla prova venendo incontro al desiderio del pubblico ma
nello stesso tempo producendo risultati artistici di grandissimo valore.
PEDRO CALDERON DE LA BARCA (1600-1681) è l’autore più significativo della tradizione spagnola, autore di
una grandissima quantità di commedie, circa 200 (di cui 80 sono auto-sacramental) che estende la sua
produzione
- nella prima metà del 600 con un primo periodo, quello delle commedie, che lo vede impegnato in un
teatro laico
- in un secondo periodo, dopo il 1650, anno in cui prende i voti e si dedica prevalentemente a un
teatro di carattere religioso.
LA VITA È SOGNO (1635): tra le sue commedie, sicuramente il capolavoro indiscusso, capace di scavalcare i
secoli e di essere tuttora rappresentato nei teatri di tutto il mondo, è “La vita è sogno”.
È un testo scritto per le compagnie e per la rappresentazione tanto che la pubblicazione del testo avviene
cinque anni dopo la sua prima rappresentazione -> il 1635 è la data di pubblicazione mentre la prima
rappresentazione si colloca tra il 1628 e il 1629.
“La vita è sogno” è un tipo di commedia nueva la cui struttura rispetta i precetti di Lope de Vega:
- la divisione in tre atti o in tre giornate
- la presenza di un’azione multipla
- due linee di intreccio che si estendono nel tempo oltre le 24h
- una ricca pluralità di luoghi sia esterni che interni (dalla montagna, alla corte, alla prigione, alla
pianura)
- con una vicenda che permette a Calderon di trattare temi morali e politici.
- Doppia vicenda -> si tratta di un doppio intreccio in cui
◼ PRINCIPE SIGISMONDO: da una parte viene rappresentata la vicenda del Principe Sigismondo,
figlio del Re di Polonia Basilio, che date le sue conoscenze astrologiche ha scoperto che una
maledizione incombe sul suo erede, destinato ad uccidere il padre e a diventare tiranno.
Per questa ragione Basilio ha rinchiuso il giovane Sigismondo in una torre facendolo crescere
isolato con la sola guida del suo precettore Clotaldo. Tuttavia, arrivato alla vecchiaia, Basilio ha un
ripensamento e vuole offrire al suo giovane principe un’occasione di riscatto mettendolo alla
prova per verificare se davvero le stelle hanno previsto un destino malvagio per Sigismondo.
Pensa quindi di offrirgli la possibilità di vivere un giorno da principe, lo farà narcotizzare e lo
porterà nella reggia e lo metterà alla prova affidandogli il regno per un giorno -> se Sigismondo
sarà saggio e mostrerà di essere all’altezza del suo compito gli verrà rivelata la verità, altrimenti lo
si riporterà nella torre e gli si dirà che tutto quello che ha vissuto è stato solo un sogno.

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È quello che avviene nel II atto de “la vita è sogno” quando Sigismondo si risveglia e non appena
apprende il cambiamento della sua situazione si lascia andare ai suoi istinti più bassi e aggressivi,
cerca di violentare una dama, scaraventa fuori dalla finestra un servo, tanto che i dignitari di corte
decidono improvvisamente di riportarlo nella torre. Quando Sigismondo si risveglia il giorno dopo,
gli viene detto che tutto è stato un sogno e a questo punto Sigismondo, che è un uomo colto e
ben preparato, viene preso dal dubbio e dall’angoscia.
La battuta è “ma, sia realtà o sogno, una sola cosa importa: agire bene” (III, 4) -> questa battuta
chiave è il punto d’arrivo della riflessione di Sigismondo che prende amaramente atto che è
impossibile distinguere il sogno dalla realtà, ha creduto di vivere quello che gli viene detto sia
stato solo un sogno.
C’è un’ambiguità di fondo nell’esistenza e un’incertezza continua che accompagna le azioni
dell’uomo, e allora di fronte a questo stato di continuo dubbio, l’unica soluzione ragionevole è
quella di operare bene, perché in questo modo non si arriverà mai alla delusione e all’amarezza
del riconoscimento di un errore.
◼ ROSAURA: accanto a questa storia si intreccia la seconda linea d’azione che vede invece
protagonista Rosaura, una fanciulla che è arrivata in Polonia dalla Moscovia per cercare il suo
seduttore Astolfo, si è travestita da uomo. È lei apre la commedia con il suo arrivo in ippogrifo
(scena di grande spettacolarità) e riesce ad entrare alla corte.
Si intreccia la sua vicenda con quella di Sigismondo perché Rosaura, con una serie di
riconoscimenti avventurosi, riuscirà a ritrovare non solo il suo seduttore Astolfo, che è il cugino di
Sigismondo, ma anche il suo vero padre Clotaldo.
Nel finale le due linee di intreccio si uniscono perché Sigismondo riportato nella torre, viene liberato
da una ribellione del popolo che lo acclama Re. Nasce quindi una guerra civile fra il giovane principe e
il sovrano che si conclude con il riconoscimento della legittimità di Sigismondo che diventa principe
saggio, perché ora padrone del disinganno che lo ha reso consapevole che la vita può essere un sogno
e che quindi saggiamente rimette l’ordine nel proprio paese, fa sposare Rosaura con Astolfo e prende
in moglie Stella che era la cugina predestinatagli già dal padre.
GRASIOSO CLARINO: Interessante per il ruolo di commento e di controcanto ironico alle vicende dei
personaggi alti è proprio la figura del “grasioso Clarino” che è il servitore di Rosaura ma che è anche la guida
dello spettatore all’interno dell’interpretazione di questo mondo.
La “vita è sogno” è un grande capolavoro che merita di attraversare i secoli. FILE DI APPROFONDIMENTO “la
vita è sogno ovvero la vita è teatro”, regia di Luca Ronconi, come inaugurazione della stagione teatrale del
teatro piccolo di Milano nel gennaio del 2000. “La vita è sogno ovvero la vita è teatro” è il motto con cui
Ronconi costruisce la sua regia.

AUTOSACRAMENTAL- DE LA BARCA: è utile dire qualcosa anche dell’altro grande genere di cui Calderon si
occupa cioè gli “Autos sacramentales” scritti soprattutto a partire dalla metà del secolo
- L’auto-sacramental più importante di Calderon è “il Gran Teatro del Mondo” la cui composizione si
colloca intorno al 1645.
È interessante perché, come già suggerisce il titolo, il testo tratta della metafora della vita come
Teatro, è il cosiddetto “Topos del Theatrum mundi”, topos che si trovava già nel Medioevo ma che
assume una nuova vitalità alla fine del 500 e nel barocco, secondo cui la vita dell’uomo può essere
vista come una grande recita svolta sotto gli occhi di Dio. Ciascuno di noi è chiamato a recitare la sua
parte nella vita, non può sottrarsi a vivere e alla fine della sua recita sarà giudicato dal tribunale divino
che gli darà un giudizio sulla sua interpretazione.
È esattamente quello che accade in questo auto-sacramental -> c’è l’autore che è appunto Dio che
scrive un canovaccio che si chiama “Dio ti guarda, opera bene” e che affida la messa in scena al suo
servitore più fedele, ovvero “Il mondo” che distribuisce le parti tra gli attori che sono il Ricco, il
Povero, il Re, il Contadino, il Bambino, la Bellezza e la Discrezione, chiamati tutti ad entrare in scena e
a recitare la loro parte.
Lo spettacolo si realizza all’interno della Corral, ci sono due porte d’ingresso
- una è la porta d’ingresso della culla ovvero la nascita

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- poi i personaggi entrano in scena e attraversano il lungo palco anche arrivando alle parti superiori e
alla fine escono di scena dalla porta della tomba.
Alla fine però tutti vengono richiamati sulla scena dal giudice supremo che dà il loro giudizio e la
ricompensa e naturalmente
• punisce il ricco e il re che hanno mal recitato e mal condotto
• non giudica il bambino che non ha avuto tempo di sviluppare la propria esistenza
• premia la discrezione del povero e del contadino che hanno saputo sopportare le sofferenze e
superare le varie prove.
Ovviamente l’impianto moralistico è importantissimo e il testo vive di questa volontà anche
catechistica che però ci dà la misura del peso che la religione aveva all’interno della cultura spagnola
del tempo. Calderon a metà della sua vita prende i voti.
TIRSO DE MOLINA (1579-1648) di cui ricordiamo un’importantissima commedia “El burlador de Sevilla y
convidado de pietra” (l’ingannatore di Siviglia o il convitato di pietra”) del 1630 -> è il testo che dà origine al
mito di Don Giovanni.

È ormai risaputo che questa commedia non è la versione originale della storia di
Don Giovanni, seduttore di molte fanciulle la cui impenitente tracotanza arriva a
sfidare la statua dell’uomo che ha ucciso dopo avergli sedotto la figlia e che
accetta il suo invito a cena per poi stritolarlo, bruciarlo con le fiamme
dell’inferno, sprofondandolo nella dannazione.

Questa storia che originariamente per molto tempo è stata creduta creata da
Tirso de Molina è ormai invece conosciuta dagli studiosi come un’eredità che
Tirso prende dalle compagnie d’arte.
In particolar modo gli studi di teatro spagnolo hanno messo in evidenza come fosse la compagnia di un
capocomico italiano Andrea del Claramonte, morto nel 1626, che fa circolare in Spagna un canovaccio di
questa storia e Tirso de Molina non fa altro che mettere per iscritto quella che era una vicenda
evidentemente molto amata dal pubblico del tempo.
Lo fa con intenti moraleggianti per indicare quanto la tracotanza e la superbia del protagonista sia poi
destinata ad una giusta punizione.
È lo stesso titolo che mette subito sull’avviso di questo impianto moraleggiante e binario del testo.
L’ingannatore di Siviglia ha come controcampo il convitato di pietra per cui
- da una parte c’è la seduzione e l’inganno perpetrati dal protagonista
- ma dall’altra parte la giustizia implacabile e divina che su di lui arriverà a placare e a condannarlo
giustamente.
Non è un caso che nel titolo del testo non compaia il nome del personaggio -> questo è il testo che
fonda il mito di Don Giovanni e che da qui poi prende le mosse per una fortuna incredibile soprattutto
attraverso le due versioni di Molière, di circa 35 anni dopo che si chiama “Don Giovanni” e di quella
700esca di Lorenzo da Ponte che fa da base all’opera di Mozart.
In tutte e due le versioni, Don Giovanni diventa l’indiscusso protagonista e l’aspetto moralistico, che
era così fondamentale nella versione spagnola che fa da modello poi alle altre versioni europee, viene
ad essere scomparso.
12/03/20
LE GRAND SIECLE- IL SEICENTO FRANCESE
La Francia nel XVII secolo assiste ad un grande sviluppo dello spettacolo e della drammaturgia.
Anche per la Francia il 600 è il grande secolo, come in Spagna è stato “il siglo de oro” e in Inghilterra il “golden
age”.
VS: a differenza però della Spagna e dell’Inghilterra che avevano avuto uno sviluppo originale, la traduzione di
un teatro che per molti versi aveva mantenuto legami con la tradizione medievale come il luogo scenico, la

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libertà compositiva, la distanza dalle regole classicistiche, la Francia sviluppa un teatro che si colloca sotto la
diretta influenza dei principi del rinascimento italiano.
IL GRANDE SECOLO DEL TEATRO fa sì che
- il teatro e la drammaturgia siano un genere letterario apprezzato e coltivato dai letterati
- che l’allestimento teatrale che si accompagna alla composizione dei testi sia vissuta come
un’espressione artistica.
- spettacolo si interessino tutte le classi dirigenti e l’aristocrazia che ne fa il divertimento mondano
maggiormente apprezzato.
La caratteristica fondamentale è quella di seguire nella composizione teatrale le indicazioni che provengono
dall’Italia, soprattutto in direzione del rispetto del canone letterario diviso in generi come commedia e
tragedia, e che la composizione del testo sia vissuta come un esercizio di cultura.
La grande novità del teatro francese del 600 è la considerazione della cultura anche del teatro come affare di
Stato.
ACADEMIE FRANCAISE: nel 1635 il cardinale Richelieu fonda l’”Academie Francaise”, un organo che segna
l’intervento statale nella gestione della cultura e che si occuperà delle maggiori questioni di carattere
linguistico, tematico e strutturale dei testi letterali del tempo.
COMEDIE FRANCAISE 1680: il secondo evento che prosegue nella medesima direzione dell’intervento diretto
dello stato nella vita culturale è la nascita della “Comedie Francaise” che è il primo teatro stabile finanziato
dallo Stato (stabile perché ospita una compagnia che stabilmente si occupa di mettere in scena i capolavori
riconosciuti dalla cultura francese e di presentarli a beneficio della nazione).
Un contesto di questo tipo consente un’attenzione di produzione del loro lavoro che altrimenti non sarebbe
stato possibile.
MOLIERE: (1622-1673) che nell’ambito della commedia porta la Francia a livelli artistici finora mai raggiunti.
Ci troviamo di fronte ad una figura di autore e attore che ci permette di ribadire come i grandi testi della
letteratura drammatica non nascano per la pagina e come prodotti letterari ma per la scena pensati e
strutturati per lo spettacolo -> per M. è più vero che mai perché è un grande attore, drammaturgo e un gran
capocomico, che scrive per se stesso e per la sua compagnia, è quindi un uomo di teatro a pieno titolo,
malgrado nella sua biografia il teatro non fosse prescritto, al contrario aveva alle spalle una famiglia borghese
che lo avrebbe indirizzato ad una professione affermata, era figlio di un tappezziere del re e pertanto
destinato ad ereditare l’impresa del padre. Studiò nei migliori collegi di Parigi in direzione di questa carriera
già avviata ma improvvisamente a 20 anni si innamora di un’attrice per cui abbandona la famiglia, cambia
nome (prende appunto il nome d’arte Moliere ) e si dedica al teatro.
Diventa direttore di compagnie:
- L’ILLUSTRE THEATRE fondata nel 1644 con Madeline e la sua famiglia con cui gira la provincia e nel
1658 arriva a Parigi per mettersi sotto alla protezione del fratello del Re.
- LA COMPAGNIE DE MONSIEUR era la sua seconda compagnia. Il fratello del Re Filippo D’Orleans gli
permette di entrare nei circuiti di teatro della capitale.
Da questo momento la sua carriera è in ascesa, conosce il Re Luigi XIV che ama e apprezza il teatro e lo
porta a corte per cui la vita di Moliére vede una produzione divisa per gli spettacoli fatti a corte e quelli
fatti per la Capitale. Due sono le compagnie che Moliére dirige
- LA TROUPE DU ROI
- LE THEATRE DE MOLIERE che condurrà fino alla fine dei suoi giorni.
Moliere scrive dei copioni che vanno direttamente in scena, scrive per se stesso, recita sempre nelle sue
commedie e si occupa anche della riduzione a stampa, a differenza di Shakespeare è il proprietario dei
diritti dei suoi testi, non li cederà mai a nessuno, è lui il capocomico della sua compagnia, si preoccuperà
di dare una versione letteraria e a stampa delle sue commedie curandole lui stesso.

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Dividiamo la sua grande opera in quattro grandi gruppi di:

• LE FARSE:
Si collocano nella prima fase della vita di Moliére, nella fase della vita in provincia
tra il 1644 al 1658. Sono interessanti perché registrano l’influenza della commedia
dell’arte e della tradizione italiana del rinascimento.
La commedia dell’arte ha uno straordinario sviluppo, una grande fortuna in Francia
-> la commedia dell’arte trova in Francia la sua seconda patria perché dal 1653 il Re
Sole consente ai comici italiani di avere un teatro stabilmente aperto a Parigi
(comedy italien).
Quindi Moliere non può non aver subito gli influssi della commedia dell’arte, lui
stesso racconta che da bambino seguiva gli spettacoli di piazza dei comici dell’arte a
Parigi e da lì trae la vivacità degli intrecci e gli sviluppi farseschi.

Alcuni titoli delle sue farse sono:


◼ “Il matrimonio per forza”
◼ “L’amore medico”
◼ “Il medico suo malgrado”.
Le tematiche sono quelle della satira dei medici che sono una sorta di filo rosso della vicenda comica di
Moliére, in cui mette alla prova la tenuta, il ritmo e i tempi comici.
Moliere inventa per sé il personaggio di Sganarello che recitava direttamente sulla scena reinterpretando i
moduli della commedia dell’arte.

• COMMEDIE DI COSTUME:

a partire dal 1659 quando torna a Parigi


◼ Le preziose ridicole del 1659 sono il suo grande successo -> si
tratta di una commedia giocata sulla satira del preziosismo, cioè
la moda delle intellettuali, che inaugura il filone delle commedie
di costume.
Accanto alle vicende comiche, satireggia i costumi della società
contemporanea spesso nascondendo sotto la patina brillante
degli intrecci sempre vivaci, una comicità piuttosto amara.
◼ La scuola dei mariti è la seconda commedia di costume del
1661,
◼ La scuola delle mogli è la commedia più interessante di questo
filone, è del 1662 e introduce il tema del ruolo della donna nella
società del 600, ripreso anche in commedie successive.
◼ Le donne saccenti del 1672 riprende il tema del ruolo della
donna nella società.

LA SCUOLA DELLE MOGLI è la prima commedia che vede Moliére coinvolto in una polemica dei circoli culturali
del tempo, inaugurando una vicenda che lo vedrà protagonista per tutto il resto della sua vita.
TRAMA Racconta una vicenda che serve a Moliére per satireggiare il costume dei matrimoni combinati tra
uomini maturi e giovani donne che era dominante nella Francia del 600 -> la storia racconta sotto forma
scherzosa la vicenda di Arnolfo, uomo maturo che vuole sposare una giovane donna che ha preparato al
matrimonio come tutore, la giovane Agnese è stata allevata in totale isolamento in campagna senza nessuno
svago, intenta solo a dei lavori femminili, in totale ignoranza che viene esaltata come innocenza e che manda
in visibilio il futuro e maturo sposo Arnolfo. In realtà però Agnese non è una sciocca, è una giovane che si apre
all’amore, conosce un suo coetaneo che la corteggia e che lei ricambia, alla fine riuscirà ad affrancarsi dalla
tutela di questo amaro tutore e a coronare il suo sogno d’amore.

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La comicità della situazione denuncia un problema sociale quello della posizione delle ragazze che venivano
trattate come oggetti da vendere, manipolare e usare per le convenienze delle famiglie, la commedia suscita
una violenta reazione di scandalo, che lo porta ad essere accusato di immoralità.
In particolar modo l’immoralità sta nei doppi sensi contenuti in alcune scene, ma quello che disturba il
pubblico benpensante è l’aver messo in discussione una mentalità imperante, aver capito sotto quanto una
benevolenza apparente si nascondesse un fatto di ipocrisia e cinismo nei confronti delle fanciulle.
Moliére risponde a questa polemica con l’atto unico che si chiama “La critica alla scuola delle mogli” in cui
mette in scena i suoi detrattori che lo criticano e la sua compagnia e sé stesso che rispondono. È una piccola
commedia che ci dà la grandezza di Moliére con il teatro nel teatro, perché la rappresentazione rappresenta
sé stessa e la compagnia nel dibattito con il pubblico per difendere la sua volontà di portare dentro la
commedia i temi della società contemporanea.
https://www.youtube.com/watch?v=FLWLflcrVxc : dal minuto 23. 30 al minuto 34.10
Scena del confronto tra Arnolfo e Agnese -> questa scena nell’adattamento Rai del 1955 si trova alla fine del I
atto (mentre nello spettacolo si trova nel secondo atto), è la cosiddetta “scena del nastro”, ovvero quando
Agnese è interrogata dal suo tutore su chi abbia ricevuto e su cosa abbia scambiato con lui, ammette di aver
ricevuto dall’innamorato qualcosa di molto suo, che si rivela essere, dopo piccanti scambi di battute il suo
nastro per capelli -> era una scena divertente che però all’epoca i detrattori usarono per indicare quanto
goliardico fosse Moliére, ricco di doppi sensi, immorale e offensivo nei confronti delle giovani donne.
COMMEDIE DI CARATTERE:

Questo filone si colloca negli anni 60 (quando lavora per la Troupe du Roi), che
è caratterizzata da grandi commedie che prendono il titolo dal protagonista
◼ il Don Giovanni del 1665
◼ Il Misantropo del 1666
◼ L’Avaro del 1668
◼ Il Tartufo del 1664 e del 1669
Sono tutte commedie al cui centro si staglia un personaggio che Moliére
tratteggia psicologicamente sfaccettandolo in maniera complessa e molto
ricca, mettendolo in relazione con l’ambiente a cui appartiene.
AVARO: è una commedia interessante dalla prospettiva storica perché è
ispirata alla commedia plautina “Aulularia”-> è un esempio di traduzione del
modello classico nel teatro moderno.
Addirittura c’è un pezzo preso dalla commedia di Plauto, riportato in scena con

una semplice trascrizione cioè il monologo del IV atto in cui il protagonista è un avaro che ha seppellito i suoi
soldi in giardino dentro una cassetta e scopre che gli è stata rubata.
Il monologo del povero avaro che si rivolge al pubblico, chiedendo se qualcuno può aiutarlo a trovare il ladro,
è un rifacimento molto da vicino dello stesso monologo di Plauto in cui Euclione, nella sua versione latina,
aveva seppellito il suo denaro in una pentola ovvero in un aulula, da cui prende il titolo.
Moliére ricostruisce un avaro universale ma nel contempo anche un borghese del suo tempo, infatti rispetto
alla raffigurazione di Plauto, c’è un contrasto con il mondo esterno.
L’”Arpagone” di Moliére, rispetto a quello di Plauto, presenta una sensibile differenza -> non è semplicemente
un personaggio farsesco di comici sberleffi ma una figura inquieta, spesso in contrasto con sé stessa.
La prima caratteristica di Arpagone è la brama di accumulare denaro, ma non è soltanto questo, non è l’unica
passione, Arpagone ha diversi punti deboli che sono riconducibili a una classe e ad un ambiente che è quella
del 600 francese.
Vuole essere giudicato positivamente e fare bella figura, questo riconduce la figura di Arpagone a quelli che
sono già i caratteri della mentalità borghese, accanto a questo Arpagone ha un’aspirazione sentimentale,
vuole coronare il suo sogno d’amore, vuole sposare una ragazza giovanissima che non è innamorata di lui ma
che è innamorata di suo figlio.

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https://www.youtube.com/watch?v=l07vdzk4JQk dal minuto 10.00 al minuto 21.00
Brano video Rai -> parte finale del I atto ovvero Arpagone che dialoga prima con il servo sulla tematica del
denaro e poi il contrasto con i figli per l’aspetto della vicenda sentimentale che caratterizza la complessità del
personaggio. Moliére sta dalla parte dei giovani e infine l’amore dei giovani trionferà contro l’avaro.
LE COMEDIES BALLET:

Queste occupano quasi un terzo della sua produzione.


Sono commedie con inserti in musica e di danze che Moliére scrive su
commissione del Re per la corte di Versailles confezionando un prodotto di
teatro parlato in cui però sono presenti anche momenti musicali e momenti
coreografici -> si tratta di testi che percorrono tutti gli anni 60, che si
concentrano in particolar modo negli ultimi anni di vita di Moliére.
I due capolavori delle Comédies Ballet sono
◼ il Borghese Gentiluomo del 1670
◼ il Malato Immaginario del 1672
La base delle commedie è quella di satireggiare ancora una volta i vizi e le
abitudini dei costumi dell’epoca ma il tutto viene svolto all’interno di un
contesto più raffinato dove alla fine degli atti si apre un momento di strumenti
musicali e danza che alleggeriscono il peso della commedia.

MALATO IMMAGINARIO:

<- Il malato immaginario, Versailles 1674


Recitato da Moliére stesso nel 1674 conclude la sua
vita in un modo quasi romanzesco -> muore
praticamente in scena durante una delle repliche del
Malato Immaginario a Parigi, si sente male sul palco, il
pubblico ride perché pensa a una gag dell’attore, gli
attori invece si rendono conto che sta veramente
male, riescono a portarlo fuori scena sulla poltrona
che ancora oggi è conservata alla “Comedie Francaise”
e qualche ora dopo muore come aveva sempre
sognato cioè direttamente sulla scena.

LA TRAGEDIA CLASSICISTICA: è un genere che si sviluppa e codifica nel 17esimo secolo in Francia e diventa il
punto di riferimento per tutta la drammaturgia tragica europea almeno fino al Romanticismo.
La tragedia classicistica è direttamente ispirata alla trattatistica rinascimentale che prevedeva la divisione
netta dei generi tra commedia e tragedia.
La tragedia prevedeva la necessità che trattasse di tematiche storico-mitologiche tratte dal mondo antico, in
particolar modo alla storia o alla mitologia greca e romana
Inoltre la composizione tragica doveva essere una composizione composta da 5 atti e condotta nel rispetto
delle unità aristoteliche di luogo, tempo e azione che erano riconosciute come regole imprescindibili per
qualsiasi composizione teatrale di carattere elevato.
PERSONAGGI: accanto a questo la tragedia doveva sempre essere agita da personaggi nobili e dignitosi,
secondo il criterio francese delle Bienséance ovvero la buona creanza, cioè una serie di regole di modello
comportamentale onorato e dignitoso prescritto ai personaggi.
Nessun personaggio tragico poteva abbandonarsi ad azioni volgari, né tantomeno in scena si potevano vedere
azioni violente, tutto doveva essere dignitoso e controllato ed elevato, a partire dall’aspetto formale.
La tragedia classicistica è sempre una tragedia in versi musicali (per la Francia si tratta del verso alessandrino)
composto da un lessico e da una sintassi estremamente controllata con una lingua epurata ed elevata.

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- Una prima conseguenza di questa trattatistica è che la struttura di una tragedia classicistica
prevedeva delle regole estremamente strette che non si potevano in nessun modo violare.
L’imposizione del rispetto delle tre unità faceva sì che l’azione scenica di una tragedia classicistica
fosse molto ridotta -> se l’azione deve svolgersi in un unico luogo e nel giro delle 24 ore presentando
un unico intreccio, è necessario che l’azione tragica sia sviluppata nell’esodo di quello che è un
conflitto di cui lo spettatore viene informato ma che non può vedere realizzato in scena.
- La seconda conseguenza della tragedia classicistica è che raramente le azioni avvengono direttamente
sotto gli occhi dello spettatore, le cose più importanti avvengono prima dell’inizio o tra un atto e
l’altro e in scena, lo spettatore vede solo il conflitto dell’eroe e l’esito funesto.
I personaggi sono importantissimi perché possono aiutare i protagonisti a comprendere l’esito della
situazione che poi viene reso noto anche allo spettatore.
Importanti nella tragedia classicistica sono i personaggi dei confidenti o dei narratori che possono essere
precettori, servi, nutrici, amici o consiglieri che hanno il compito di fare da doppio al protagonista e di
raccontare uno svolgimento avvenuto fuori dalla scena oppure di raccogliere le confidenze del dilemma
interiore che il protagonista sta vivendo.
Un eroe tragico ha sempre un comportamento dignitoso, esprime con precisione e cura nella scelta delle
parole il suo dolore e il suo dilemma ma non si non si lascerà mai andare ad azioni inconsulte.
La recitazione dei personaggi tragici è basata sulla vocalità della parola, raramente l’eroe tragico ha a
disposizione una sequenza mimica molto articolata proprio perché non e al rispetto della bienseance. Inoltre
non sono ammessi elementi di realismo volgare ne scene comiche ne intermezzi che possano alleggerire la
tensione che al contrario va crescendo sempre di più.
PIERRE CORNEILLE è uno degli autori di riferimento della commedia classicista. Vive e opera nella prima metà
del secolo e nella parte centrale del secolo.
CID: arriva al successo nel 1637 con Il “Cid” che è una tragicommedia, non una tragedia classicistica.
Il Cid infatti è un’opera compositiva che ha un enorme successo per la mescolanza di elementi lieti e di
elementi tragici -> si tratta di una storia d’amore e d’onore che prevede il lieto fine.
Nel finale della storia di ambientazione spagnola, i due giovani protagonisti Rodrigo e Shimen si sposano.
TEMA: Il tema di tutta la storia, che trae spunto dall’ambientazione spagnola e dei racconti epici del periodo
iberico, è legata alla contrapposizione delle due famiglie a cui appartengono i giovani protagonisti che
entrano in conflitto per un’accusa di disonore rivolta da un padre all’altro.
Il giovane Rodrigo è incaricato dal padre di riparare a questa profonda offesa sfidando a duello il padre
dell’amata. L’esito del duello è la morte del padre di Shimen e la ragazza chiede giustizia al Re contro il suo
amato ma soltanto il fatto che l’invasione dei Mori mette a repentaglio il paese e Rodrigo si mette a capo
dell’armata cristiana salvando la città potrà risolvere la questione.
Il Re interviene facendo riavvicinare i due giovani e si conclude con il matrimonio tra i due.
DIBATTITO: Il Cid ebbe un enorme successo di pubblico e un enorme risonanza anche negli ambienti
intellettuali e mondani della Francia del tempo. Ne nacque una disputa che travalicò i limiti del teatro
arrivando ad investire tutta la cultura francese -> è la “Querelle du Cid” cioè il dibattito che contrappose
- un partito di sostenitori del lavoro di Corneille
- al partito dei detrattori che lo accusavano di inverosimiglianza e di immoralità perché non si poteva
accettare il fatto che una fanciulla sposasse l’assassino di suo padre
- e accanto a questo di inverosimiglianza per il disinvolto uso delle unità che Corneille aveva forzato
andando oltre l’unità di luogo e di tempo.
La profondità del dibattito scatenò l’intervento dell’”Academie Francaise” che per la prima volta intervenne in
materia teatrale ripristinando l’ordine e soprattutto ribadendo la necessità che il teatro si attenesse alle
regole del classicismo.
La querelle du cid finisce con l’assoluzione di Corneille, con la sua conversione a una vera e propria poetica
classicistica, infatti tutta la parte successiva delle tragedie di Corneille è improntata al classicismo.
Le tragedie classicistiche sono:
• Orazio
• Cinna
• Poliuto.

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JEAN RACINE è l’autore più significativo del classicismo francese la cui attività si sviluppa nella seconda metà
del 600, diventando il maggior punto di riferimento della drammaturgia di tutta Europa.
TRAGEDIA: per Racine la tragedia diventa uno dei terreni più congeniali, la sua opera si colloca
completamente all’interno dell’adesione al sistema delle regole della poetica classicistica, il suo genio è
proprio la capacità di piegare questo sistema di regole trasformandolo nello strumento perfetto per la sua
visione poetica.
La tragedia di Racine è una tragedia incentrata sulla psicologia del personaggio e soprattutto all’analisi della
psicologia femminile:
• La Tebaide del 1664 dedicata al personaggio protagonista
• Alessandro Il Grande del 1666
• Britannico del 1670
• Bajazet del 1672
• Mitridate del 1673
• Andromaca del 1668 (il maggior successo in vita)
• Fedra del 1677 è oggi il suo capolavoro indiscusso, è una tragedia che all’epoca non ebbe un
grandissimo successo ma che invece oggi è forse l’opera più rappresentata di tutta la produzione
tragica del 600 francese.
Questo vertice di importanza di Fedra è collegato alla complessità del personaggio che Racine mette
al centro della tragedia.
Il personaggio di Fedra era un personaggio ereditato dalla mitologia tragica antica (presente
nell’Ippolito di Euripide, poi nella versione di Fedra scritta da Seneca), ma con Racine diventa un
personaggio moderno.
La Fedra di Racine è la moglie di Teseo, innamorata del figlio che Teseo ha avuto dal primo
matrimonio, Ippolito che alla fine viene accusato dal padre di averla violentata e quindi condannato a
morte provocando in lei la disperazione e la conseguente decisione del suicidio.
In Racine Fedra è una personalità estremamente complessa che unisce il furore della passione,
l’intensità di un amore sensuale alla dimensione del peccato -> la Fedra di Racine è dilaniata da un
senso di colpa che la schiaccia ogni qual volta la passione d’amore erompe e sembra travolgerla e
portarla al di là del limite della convenienza che una regina dovrebbe rispettare.
A questo punto è proprio il senso morale che dà la misura del dramma interiore di Fedra e che la
rende particolarmente importante per la scena contemporanea.
La modernità di Racine in Fedra, come in altri personaggi,sta nello spietato scandaglio interiore della
psicologia del personaggio quasi con una capacità pre- freudiana che è stata ben messa in luce dalle
messe in scena contemporanee.
Racine infatti riesce a mettere in luce degli aspetti tenebrosi e inquietanti dell’inconscio della sua
eroina e anche dei suoi eroi.
La tragedia di Racine si svolge nel giro di poche ore e presenta un’azione semplice che si svolge in un solo
giorno e soprattutto in un solo luogo, spesso in una sola stanza, mentre tutta l’attenzione dell’autore si
concentra sul conflitto dei sentimenti e delle passioni dei personaggi.
Di solito nelle sue tragedie i giochi sono fatti ancora prima che si alzi il sipario, l’azione consiste nella presa di
coscienza dell’eroe o dell’eroina della impossibilità di sostenere il proprio conflitto tragico e nella decisione
estrema del suicidio.

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16/03/2020
TEATRO ALL’ITALIANA

Torniamo ad occuparci dell’Italia tra 500 e 600 da un punto di vista non drammaturgico ma architettonico e
organizzativo.

COS’È IL TEATRO ALL’ITALIANA?

Per teatro all’Italiana si intende un modello architettonico nato tra


il 500 e il 600 e affermatosi alla metà dell’800 in tutta Europa che
corrisponde alla struttura di un teatro basato sulla netta
separazione tra la scena e il pubblico, con una scena incorniciata
da una struttura architettonica posta di fronte alla quale si pone il
pubblico. È per dirla in termini semplici l’idea che corrisponde al
nostro comune immaginario di teatro, quello con il sipario di
velluto, con la platea con le poltroncine e con la parete dei palchi.
In realtà il teatro all’italiana corrisponde non soltanto a una struttura architettonica ma ad un vero e proprio
modo di concepire, produrre e di fare il teatro, pensato prevalentemente per determinati generi e
altrettanto significativamente a un modo di fruire il teatro, di guardare il teatro, di andare al teatro.
Al teatro all’Italiana si associa sempre più nel corso dei decenni l’idea del teatro come rito mondano dove si
va per vedere ma anche per essere visti.

Gli elementi fondamentali di un teatro all’italiana sono:


• la netta separazione tra scena e spazio del pubblico
• una disposizione ordinata e gerarchica degli spettatori
che corrisponde alla stratificazione sociale della società
barocca in cui questo modello di teatro si origina.
• La fruizione per guardare ed essere guardati
• La mentalità e gli orizzonti di attesa del pubblico.

<- TEATRO ALLA SCALA 1827

Con l’andare dei decenni, l’idea che andare a teatro non sia soltanto un divertimento in quanto rito sociale o
un dovere d’immagine per promuovere la propria collocazione all’interno della società -> andare a teatro
corrisponde a esercitare un certo tipo di potere e ad aspirare ad un certo tipo di fruizione di genere teatrale.

LE ORIGINI: le origini di questo modello risalgono alla metà del 500, cioè a quel momento in cui abbiamo visto
l’Italia vedere
- la fine della parabola culturale del Rinascimento
- la nascita del grande fenomeno della commedia dell’arte
- la codificazione attraverso il dibattito teorico di quelle che erano state le decisioni e le valutazioni
emerse dalla riscoperta dei classici.

Alla base del pensiero architettonico c’era sicuramente il trattato “De Architectura” di Vitruvio che era
l’unico trattato dell’antichità sopravvissuto dal mondo antico in cui erano descritti anche gli edifici teatrali
e su cui gli uomini del teatro e i teorici del 500 basavano il loro sogno di ricostruzione del teatro antico.

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Per molto tempo l’Italia non ha un edificio teatrale
specifico -> gli spettacoli si svolgono in spazi
provvisori: sale dei banchetti, cortili e logge.
Questa raffigurata sotto è la loggia del Cardinale
Cornaro a Padova, dove si erano svolti anche gli
spettacoli di Ruzante e che era stata
appositamente costruita come spazio dei
divertimenti cercando di prendere sulla base di
Vitruvio la Scenefrance del teatro romano.

Per grande parte del 500 l’Italia non ha un teatro nel vero senso del termine
TEATRO OLIMPICO DI VICENZA- ANDREA PALLADIO 1580

Per avere un edificio stabilmente dedicato allo spettacolo dobbiamo arrivare al 1580 con il progetto del teatro
olimpico di Vicenza commissionato dall’accademia degli olimpici ad Andrea Palladio, il quale muovendo
proprio dal trattato di Vitruvio costruisce e progetta un edificio che riprenda in gran parte le caratteristiche
del teatro romano.
Infatti Palladio si ispira al teatro romano per:
- la cavea
- per la presenza di un peristilio che circonda la parte alta con una corona di statue secondo gli ordini di
Vitruvio
- e con la presenza della Scenefrance estremamente ricca e decorata articolata su più ordini, come era
descritta nel trattato antico della Scenefrance, Palladio mantiene
◼ le tre aperture di fondo
◼ la porta regia che è quella centrale
◼ le due porte laterali
◼ le ospitalia
◼ versure.
Riprende anche l’idea un’orchestra infossandola come negli esempi più alti del teatro antico.

<- PIANTA DEL TEATRO OLIMPICO DI VICENZA


Però Palladio non si ferma qui e rielabora gli elementi del
teatro classico alla luce delle esigenze contemporanee.
Palladio non ha un edificio autonomo ma deve adattare lo
spazio del teatro a quello che era l’edificio preesistente che
ospitava le carceri di Vicenza -> si trova a dover iscrivere la sua
cavea classica all’interno di un perimetro grossomodo
rettangolare. Di qui la necessità di forzare la forma
semicircolare originaria per ottenere un maggiore spazio, una
capienza per il teatro.

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La struttura dell’olimpico non è una struttura con cavea semicircolare ma piuttosto con cavea semiellittica e
soprattutto l’idea di Palladio è quella di dar vita a un tipo di teatro che preveda la presenza di un pubblico e
frontalmente una scena.
C’è ancora l’orchestra ma è prevista ed utilizzata sempre come luogo per gli spettatori eminenti in modo da
ampliare lo spazio per il pubblico, non è mai usato come spazio per lo spettacolo.
Palladio muore a metà del 1580, quando ha appena terminato il progetto e i lavori per il teatro sono appena
iniziati. Non fa quindi in tempo a vedere la realizzazione del suo progetto e a completare i particolari.
<- UNA DELLE PROSPETTIVE PROSPETTICHE DI SCAMOZZI

Erano rimaste ancora da definire le porzioni legate alla


scenografia che vengono risolte dal successore di Palladio,
Vincenzo Scamozzi, il quale realizza queste 7 vie costruite e
pluri-focali, immaginando 7 vie che dovevano essere le 7 vie di
Tebe che potessero essere realizzate in modo che da qualsiasi
punto del teatro lo spettatore riuscisse a vederne almeno una
interamente.
L’idea era quella di presentare la scenografia ideale per l’opera
di inaugurazione -> il teatro fu inaugurato nel 1585 con una
versione dell’“Edipo Re” di Sofocle (con una traduzione di
Orsatto Giustiniani) il cui titolo era “Edipo Tiranno”.
L’idea era quella di rappresentare le sette vie di Tebe, in realtà come si vede dalla foto, Scamozzi riproduce 7
vie di una città cinquecentesca, una città ideale. Molti ritengono che l’ispirazione di Scamozzi sia stata la
città di Vicenza.
Fatto sta che questa parte della scenografia fa sì che questo teatro riproponga i modelli classici ma con uno
sguardo al presente, se non al futuro per la presenza di una scenografia praticabile e percorribile dagli attori
che possono arrivare anche dal fondo delle vie.

IL TEATRO OLIMPICO DI VICENZA:

La novità del teatro di Vicenza che diventa il primo


edificio stabilmente dedicato allo spettacolo e che
presenta notevoli richiami classici accanto agli
elementi innovativi come
- la cavea a pianta semiellittica
- l’uso dell’orchestra destinato al pubblico
- le vie prospettiche pluri-focali di Scamozzi
- la novità del materiale: l’Olimpico è costruito in
legno e stucco decorato in modo da sembrare
marmo, ma si tratta di un miracolo
dell’artigianato cinquecentesco che simula il
marmo con un materiale che invece è lo stucco.
Questo rende ancora più prezioso l’olimpico perché è l’unico teatro di quest’epoca ad essere arrivato
intatto fino a noi, visto che il materiale ligneo rendeva fortemente a rischio i teatri che venivano spesso
incendiati e molti di questi sono stati distrutti.
https://www.youtube.com/watch?v=2nHHIGXL2u0 dal minuto 5.18 al minuto 15.12
Approfondimento sugli spazi dell’Olimpico che è una sorta di pietra miliare per la nostra architettura ma
anche per la nostra storia dello spettacolo -> si tratta di un video realizzato negli anni 90 dall’Università di
Firenze che propone alcuni brani con la visione interna degli spazi del teatro di quest’epoca.

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TEATRO SABBIONETA:

Di 10 anni successivo è il teatro di Sabbioneta, sempre progettato da


Vincenzo Scamozzi che viene incaricato di realizzare uno spazio
teatrale da Vespasiano Gonzaga, duca di Sabbioneta (una piccola
cittadina vicino a Mantova). Questo duca fortemente appassionato di
cultura classica voleva far rivivere il mito della città ideale -> avendo
visto il lavoro di Scamozzi all’Olimpico lo incarica così nel 1588 di
realizzare un teatro edificato autonomamente.
Per la prima volta c’è un edificio che è pensato e destinato
esclusivamente alla fruizione teatrale, Scamozzi realizza per
Vespasiano Gonzaga un modello di teatro di corte che voglia essere la
ripresa del mito dell’antica grandezza di Roma richiamata nel motto
che sta fuori dal teatro “Quanto fu grande Roma lo insegnano le sue
stesse rovine”.

La parte interessante del teatro di Sabbioneta è


- da una parte lo stretto richiamo al modello Olimpico
- ma anche l’evoluzione delle teorie di progettazione del teatro che Scamozzi fa sulla base della
preesistente esperienza

All’Olimpico si richiama

- il peristilio
- la coronatura con le statue la presenza della cavea
- lo spazio per il pubblico -> dello spazio per la scena non è
ormai rimasto nulla però in origine questo palco
presentava una scenografia costruita e prospettica
secondo il modello della scena fissa e della scena di città
prescritta dai trattati del 500.

https://www.youtube.com/watch?v=2nHHIGXL2u0 dal
minuto 15.20 al minuto 23.55, video di approfondimento

TEATRO FARNESE DI PARMA (1618)

La tappa successiva è quella del teatro Farnese di


Parma del 1618, ad opera di Giovan Battista Aleotti,
si tratta di un teatro di transizione tra il passato e il
futuro perché è uno spazio che presenta elementi
derivati dal passato recente ma ha ripensamenti e
soluzioni che anticipano quello che sarà il vero e
proprio teatro all’italiana.
Si tratta ancora di un teatro di corte perché collocato
ancora all’interno del palazzo della Pilotta, cioè il
palazzo dei Farnese a Parma.

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È un edificio che presenta un ripensamento della cavea
classica già rielaborata da Palladio e Scamozzi.
Qui la forma della cavea è già a U allungata con un
prolungamento dei due bracci laterali per ampliare la
capienza del teatro dove prendevano posto i cortigiani.
Sulle strutture della cavea lignea si trovavano i cortigiani,
mentre sulla parte delle logge che erano percorribili e
praticabili così come era già stato a Sabbioneta, si
trovavano in generale le dame.

Il principe aveva una sua tribuna collocata sopra l’ingresso della cavea. interessante era anche il fatto che
precedeva l’ingresso del teatro un atrio in cui i cortigiani potevano stazionare prima di entrare in questo
modello di spazio museale che riprendeva le grandezze dell’architettura teatrale passata.

<- APPROFONDIMENTO LIBRO

SPAZIO SCENICO:
ARCOSCENICO: proiettato invece verso il futuro era lo spazio
destinato alla scena dove per la prima volta si trova la
presenza dell’Arcoscenico o Boccascena -> una cornice
architettonica che inquadra la scena distinguendola in
maniera netta dallo spazio per il pubblico.
l’Arcoscenico derivava probabilmente da una dilatazione
della cornice trionfale della porta regia della vecchia
Scenefrance o da una dilatazione dell’arco di trionfo a tre
fornici proprio della classicità romana, ma diventava un
elemento funzionale indispensabile in questa fase dello
spettacolo seicentesco perché permetteva la cancellazione
dello spazio destinato ai macchinari che cominciano ad
essere importantissimi all’interno dello spettacolo barocco.
Infatti il palcoscenico del Farnese per la prima volta ha delle quinte mobili, cioè delle quinte che
permettano il cambio di scena e accanto alle quinte la presenza di macchinari per gli effetti speciali che
danno vita a spettacoli sontuosi dal punto di vista visivo e scenografico.

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<- APPROFONDIMENTO LIBRO

PLATEA: elemento interessante del Farnese è l’utilizzo dello spazio della platea. Si sa che il teatro finito
nel 1618 diventa un luogo di spettacoli a partire dal 1628, anno dell’inaugurazione del primo spettacolo,
con uno spettacolo che era un’opera torneo, cioè un’opera che prevedeva delle evoluzioni con cavalli
che si svolgevano nella platea.
Per gran parte del 600 la platea del Farnese trovò un utilizzo dal punto di vista spettacolare soprattutto
per la forma degli intermezzi.
https://www.youtube.com/watch?v=2nHHIGXL2u0 dal minuto 24.00 al minuto 32.30 –
approfondimento
QUINDI: TEATRO FARNESE
- Cavea a U allungata
- Atrio di accesso
- Spazio della platea
- Arcoscenico
- Palcoscenico con quinte mobili e macchinari per gli effetti speciali

Dal teatro di corte al teatro pubblico a pagamento, eretto nel centro della città per ospitare un pubblico
differenziato.

MELODRAMMA: è l’elemento fondamentale per il salto di qualità dal teatro di corte al teatro pubblico
cittadino. È detta anche opera in musica, nasce alla fine del 500 e comincia ad affermarsi tra 500 e 600.
Si tratta di un genere teatrale con caratteristiche specifiche:
- inizialmente i melodrammi sono rappresentati nell’ambito delle celebrazioni di corte, così avviene
per i primi melodrammi come “l’Euridice” di Peri nel 1600 oppure “l’Orfeo” di Monteverdi del 1607
- ben presto per le caratteristiche di grande spettacolarità e di monumentalità degli effetti e delle
componenti dello spettacolo, il melodramma diventa specificamente il genere spettacolare legato a
una diffusione per un pubblico variegato e differenziato socialmente, un modello di spettacolo
pensato per un intrattenimento a pagamento in una sala specificamente costruita per le sue
caratteristiche.

È un genere drammatico e spettacolare del “recitar cantando”


DUE FASI:

- I fase: assorbito nelle celebrazioni di Corte


- II fase: spettacolo pubblico a pagamento (A Venezia dal 1637)

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PRIMO TEATRO PUBBLICO A VENEZIA- SAN CASSIAN: L’apertura è del 1637, è il primo teatro pubblico a
pagamento esistente in Italia.
- Non è un caso che questo tipo di teatro nasca per un’opera in musica e per una gestione
impresiariale dell’opera dello spettacolo.
- L’acceso del pubblico non è più selezionato dal principe che procede per invito ma sarà regolato dal
pagamento di un biglietto. Lo spettacolo quindi è aperto a tutti coloro che possono pagare un
biglietto, trovando una collocazione nel teatro proporzionalmente alla propria capacità di sostenere
il costo dello spettacolo.
- Il teatro pubblico all’italiana ospita solo allestimenti teatrali prevalentemente per opere musicali e
rappresentazioni in prosa, collocate però nelle parti meno importanti dell’anno.
- La cosa più importante è che nell’ambito dell’architettura urbanistica, l’edificio teatrale è
considerato autonomo e destinato alle rappresentazioni teatrali, aperto a tutta la città
- il pubblico si presenta ordinato secondo una gerarchia netta e distinta che riflette l’idea degli ordini
dell’Ancien Regime.

TEATRI DA MELODRAMMA A VENEZIA

<- PIANTE DEL TEATRO DEI SANTI GIOVANNI E PAOLO 1639.


SOTTO: VISTA DEL TEATRO DI S. GIOVANNI CRISTOSTOMO 1678

È infatti collegato a questa finalità il fatto che con il teatro del melodramma cominci a comparire la
consueta struttura con la parete dei palchi, quella che all’epoca chiameranno “la struttura ad alveare della
sala”.
L’INVENZIONE DELLA PARETE A PALCHI

L’invenzione della parete a


palchi è una sovrapposizione
di logge su una pianta con
una curvatura che riflette e
rielabora le piante allungate
che avevamo trovato
all’inizio del 600 nel teatro
Farnese di Parma.
Con la sovrapposizione e la
divisione delle logge in spazi
privati, i palchetti, è possibile
ospitare a teatro una
quantità di spettatori molto

più numerosa rispetto agli altri, e nel contempo garantire quella distinzione sociale delle classi che era

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considerata ineliminabile all’interno della società barocca è proprio in questi decenni che muta la
destinazione della sala che diventa non solo il luogo dello spettacolo ma il luogo dell’incontro privilegiato,
luogo degli incontri mondani e della vita relazionale.
TEATRO DELLA FORTUNA DI FANO (immagine) Con lo spaccato della ricostruzione del teatro della Fortuna
di Fano progettato da Giacomo Torelli, uno degli scenografi e degli architetti teatrali del 600, possiamo
cercare di ricostruire schematicamente la distribuzione del pubblico:
- PLATEA: c’era una platea di fronte al palcoscenico che nella prima parte ospitava la presenza degli
orchestrali -> si tratta dell’opera in musica, quindi l’orchestra trovava spazio in questo periodo
nella parte antistante della platea.
Il resto della platea era invece destinato al pubblico che però stava in piedi, non era uno spazio
particolarmente privilegiato e di solito era occupato da studenti, intellettuali e giornalisti che
assistevano in condizioni non sicuramente di grande comodità.
- PALCHETTO: il luogo più ambito era sicuramente quello del palchetto, poteva essere affittato o
acquistato dalle famiglie più in vista della città che ne facevano una proprietà privata.
Consentiva di accedervi in maniera personale e privata anche a spettacolo già iniziato e poteva
essere arredato personalmente a seconda dei gusti del proprietario.
La disposizione dei palchi era differente a seconda del prestigio delle famiglie; gli ordini più ambiti
erano il secondo e il terzo ordine.
Il secondo ordine è a livello del palcoscenico e quindi quello che garantisce la migliore visibilità,
infatti a metà del secondo ordine si trova in tutti i teatri il “palco reale” che è un palco
dall’estensione più ampia degli altri, di solito occupa l’estensione di sei palchetti, che era
destinato al signore o alle autorità dominati della città.
◼ Secondo e terzo ordine erano occupati in genere dall’aristocrazia
◼ Il quarto e il primo ordine erano destinati alla borghesia

- LOGGIONE: L’ultima sezione di logge aperte della galleria era il loggione o piccionaia che esiste
ancora nei nostri teatri. Era destinato originariamente ai servitori che accompagnavano i signori a
teatro, era uno spazio dotato di sedie con la possibilità di vedere lo spettacolo ma da un luogo
meno privilegiato.

ARCOSCENICO E ZONA DELL’ILLUSIONE

TEATRO DELLA PERGOLA- FIRENZE TEATRO COMUNALE - BOLOGNA

Di fronte alla parete dei palchi si apriva il sontuoso arcoscenico che circondava la zona dell’illusione.
L’azione del palcoscenico era estremamente profonda e articolata per uno spettacolo che basava la sua
attrattività non soltanto sulla musica o sulla performance dei cantanti e degli attori, ma anche sugli effetti
scenografici e speciali che l’arcoscenico contribuiva a celare dalla presenza delle macchine e delle quinte
che cominciano ad essere dal 600 delle quinte mobili che permettono il cambio di scena.
Molto spesso attaccato all’arcoscenico si apriva il sistema dei palchi di proscenio, palchetti che davano

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direttamente sul palcoscenico che erano ambiti da coloro che avevano uno stretto rapporto di visione con
lo spettacolo come nel teatro la pergola di Firenze.
DIBATTITO SULLA FORMA DELLA SALA:

Il modello della sala italiana diventa velocemente il modello vincente ed edifici di questo tipo vengono
costruiti non solo a Venezia ma anche nelle principali città italiane.
Gli architetti e i progettisti si interrogano e si confrontano soprattutto sulla forma della sala, cioè su quella
che può essere la curvatura migliore dei palchi per ottenere una visibilità migliore e soprattutto
un’acustica migliore visto che si tratta di uno spettacolo basato sulla musica.
PIANTA AD U: il punto di partenza è la pianta a U allungata nel teatro Farnese con doppio sistema di logge
che viene poi elaborata quando si capisce che non consente ai palchi laterali di avere una buona visibilità.
PIANTA AD ELLISSE: di qui la bombatura della curva con la versione di pianta a ellissi tagliata che si trova
alla fine del 600 e soprattutto le rielaborazioni della scena settecentesca.
Nel 700 i due modelli di pianta che meglio rispondono all’esigenza di acustica e di visibilità ottimali sono
- la pianta a campana del teatro Filarmonico di Verona del 1715
- la pianta a Ferro di Cavallo, che sarà poi quella vincente maggiormente diffusa per tutto il 700,
compare per la prima volta nel Teatro San Carlo di Napoli del 1737.

Entrambe le curvature per la sala presentano

- la disposizione radiale dei tramezzi tra un palco e l’altro


- le pareti divisorie fra un palchetto e l’altro sono messe in maniera obliqua
- sul fondo il palco è più largo
- sul davanti, sull’affaccio della sala, è più stretto, ma questa posizione obliqua della parete divisoria
consente di aumentare la possibilità di visibilità soprattutto nei palchi laterali.

IL TEATRO ALLA SCALA DI MILANO 1778:


Il massimo esempio di teatro del 700 italiano è il teatro alla Scala di Milano, inaugurato nel 1778 -> si
tratta di un teatro che viene costruito nel giro di due anni dopo che nel 1776, il teatro regio ducale che
esisteva a Milano nel palazzo reale vicino a piazza Duomo viene colpito da un incendio.
A questo punto la presenza della corte asburgica sceglie di costruire un teatro al di fuori dello spazio del
palazzo reale e individua come area dedicata al teatro, l’area della chiesa sconsacrata di Santa Maria della
Scala.
Il progetto viene affidato all’architetto regio Giuseppe Piermarini che costruisce una sala all’italiana
potendo contare su un finanziamento da parte del governo austriaco che paga l’area e i muri perimetrali.
La struttura interna della sala e quindi la proprietà dei palchetti è coperte nelle spese e nella
manutenzione dalle famiglie che compongono la società dei palchettisti -> erano un gruppo di proprietari
dei palchi, appartenenti alle maggiori famiglie aristocratiche milanesi che si autotassavano, finanziavano il

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palco in compenso potevano godere dell’utilizzo del palco per tutta l’apertura del teatro nel corso degli
anni.

La struttura che Piermarini presenta è quella di una sala a ferro di cavallo con
una parete e dei palchi in mezzo alla quale si apre il palchetto reale e che è
contornata da una serie di locali che erano a servizio dei palchi, sono i
cosiddetti camerini retropalco che erano di proprietà dei palchettisti, i quali
potevano destinarli all’uso che preferivano.
Questo a riprova di quanto il teatro a metà del 700 fosse oltre ad un luogo
di spettacolo, un luogo di incontro e di conferma dello status sociale dei
proprietari.
A questa finalità rispondevano anche tutti i locali che sono il “Foyer” del
piano terra e soprattutto il “Ridotto” del primo piano dove all’epoca
dell’inaugurazione della scala si esercitava il gioco d’azzardo che serviva per
finanziare gli spettacoli.
IL PANCOSCENICO: la profondità è uguale alla sala del pubblico ed è
corredata da un sistema di quinte piatte e fondali che sono tipiche del 600 e
700. Sono presentate come un pacchetto di quinte sovrapposte l’una
all’altra che potevano permettere il cambio di scena: si tratta di quinte
piatte a scorrimento laterale.

Nel palcoscenico del teatro esistevano dei binari che consentivano di far scivolare via le quinte in modo da
realizzare i cambi di scena a vista, la stessa cosa avveniva per i fondali (n8) -> un sistema di fondali tagliati
a metà che potevano scorrere su binari lateralmente consentendo i cambi di scena a vista tanto amati dal
pubblico del melodramma del tempo.
A completare la sontuosità di uno spettacolo che si fondava sugli effetti spettacolari e scenografici c’è un
profondissimo retropalco (n10) che serviva per ospitare i macchinari necessari alla realizzazione degli
effetti scenici.

LA VITA NEI PALCHI:

La vita nei palchi di teatri come la Scala rispondeva a


quella che era l’ottica del teatro all’italiana, quella di
andare a teatro sì per vedere lo spettacolo ma anche per
incontrare gli altri spettatori e dare vita ad un rito di
incontro mondano e di prestigio sociale.
Questo faceva sì che:

- la fruizione degli spettatori fosse discontinua ->


erano attenti ai momenti di grande impatto
emotivo ma frequentemente distratti vicende di
incontri e conversazioni, che spesso sono

attestate come fonte di ulteriore distrazione e di rumore continuo di fondo presente nella sala.
- A questo tipo di fruizione dello spettacolo contribuiva il fatto che la luce in sala fosse
costantemente accesa.
Il grande lampadario centrale veniva fatto scendere prima dell’inizio dello spettacolo e acceso con
mille candele che poi rilucevano nella sala. Le luci erano anche moltiplicate dalla possibilità che i
proprietari dei palchi avevano di esporre sui loro parapetti delle ulteriori fonti di illuminazione per
attirare l’attenzione e sottolineare il loro prestigio.
- In questo modo lo spazio del palco a teatro diventava l’appendice del salotto di casa dove i
proprietari potevano ricevere i loro ospiti e accoglierli con un arredamento che era legato al gusto

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personale -> alla Scala e negli altri teatri all’italiana ogni proprietario arredava il proprio palco
secondo le proprie preferenze e i palchi erano corredati da tendine di chiusura che consentivano di
chiudere la vista all’esterno della sala in modo da proteggersi dagli sguardi indiscreti degli altri
spettatori.
- Ad un utilizzo privato dello spazio del teatro rispondevano poi i camerini retropalco, dove molti
signori facevano preparare ai loro servitori degli spuntini o delle vere e proprie cene.

GRAN TEATRO LA FENICE:

A completamento del panorama dei teatri all’italiana dell’Italia


del 700 va citato il Gran Teatro La Fenice di Venezia del 1790. È
l’ultimo delle grandi sale all’italiana costruite nel 18 secolo, ha
una storia di committenza interessante -> a Venezia non c’è una
autorità dominante, si tratta di una Repubblica e i committenti
della costruzione della sala sono i componenti della società dei
palchettisti dell’ex teatro di San Benedetto. Quest’ultimo era
bruciato e quindi i palchettisti avevano deciso di finanziare la
costruzione di una nuova sala per la quale avevano indetto un
bando (a cui avevano partecipato 28 progetti).
Il vincitore fu l’architetto Gianantonio Selva, che propose una
sintesi degli elementi vincenti del teatro all’italiana: una pianta
a ferro di cavallo con un ordine di 5 ordini di palchi e una
struttura di locali accessori collegati all’uso mondano del teatro.

Il nome che venne scelto fu quello del “la Fenice” -> mitico uccello che risorgeva dalle proprie ceneri come
elemento benaugurante; fu realizzato nella parte centrale di Venezia, nell’area del Sestriere di San Marco,
con due facciate perché a Venezia non si arrivava a teatro solo via terra come nelle altre maggiori città
d’Italia, ma anche via gondola, quindi c’è la facciata di terra e la facciata di acqua.
https://www.youtube.com/watch?v=2nHHIGXL2u0 dal minuto 32.30 al minuto 46 - Approfondimento
sull’importanza di Venezia come capitale dello spettacolo del 700
17/03/2020
SETTECENTO A TEATRO- UN SECOLO DI RINNOVAMENTO

TRA PRODUZIONE TEATRALE E TEORIA


• crisi dei generi tradizionali della tragedia e della
commedia
• Degenerazione del teatro professionistico
• Crisi del melodramma
• Crisi della Commedia dell’Arte
• Istanze teoriche di rinnovamento

LA TEORIA ILLUMINISTA:
• Valore educativo del teatro
• necessità di sottrarre il teatro al suo antico ruolo di “giocattolo di corte”.
• necessità di ridare dignità agli attori perseguitati dalla chiesa e subordinati al potere

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• Encyclopédie: la voce «Ginevra» di D’Alembert
• La Lettre è Monsieur D’Alembert sur les spectacles di Rousseau

LA RIFORMA DEL MELODRAMMA:

• Riforma del libretto con Piero Metastasio


• Didone abbandonata (1729)

• Riforma della struttura del genere Gluck


• Orfeo e Euridice (1762)

FRANCIA: LA NASCITA DEL “DRAME”


• Denis Diderot, Discorso sulla poesia drammatica (1758)
• definizione di un NUOVO GENERE
Il DRAME non comico e non tragico
Liberarsi dalle convenzioni sceniche e letterarie
Rappresentare i protagonisti della nuova realtà sociale
• Contenuti realistici e non tratti dal mito o dalla storia
• Ambientazione contemporanea e spazio del salotto
OPERE DRAMMATICHE DI DIDEROT:
• Il padre di famiglia (1758)
• Il figlio naturale (1757)
Ambientazione contemporanea:
• didascalie precise e dettagliate
• storie di sentimenti e patrimoni familiari ( amore e denaro)
• Personaggi medi
• Lingua realistica
ITALIA: LA RIFORMA DI CARLO GOLDONI

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• Attività veneziana tra il 1748- 1762
• Superamento della Commedia dell’Arte
• Testo interamente scritto
• Personaggi verosimili
• Ambientazioni contemporanee
• Contenuti seri

GERMANIA- GOTTHOLD EPHRAIM LESSING (1722- 1781)


• La riforma della scena tedesca
• 1767: nasce il primo teatro stabile ad Amburgo
• Lessing «dramaturg»
• La «drammaturgia d’Amburgo»

Minna von Barnhelm (1767) è una


• Vicenda seria e sentimentale
• Storia nazionale
• Personaggi medi e tedeschi

LA RIFORMA DELLA RECITAZIONE:

La posizione emozionalista:
• L’attore prova in sé le emozioni del personaggio
• Remond de Sainte Albine

La posizione antiemozionalista:

• L’attore costruisce a freddo la propria interpretazione


• Antoine Francois Riccoboni
• Denis Diderot, Il paradosso dell’attore

APPROFONDIMENTO “IL SETTECENTO A TEATRO” (PDF ARIEL)

19/03/2020

GOLDONI- LA RIFORMA DEL TEATRO


Un’analisi del 700 teatrale non può non conservare un posto specifico all’opera di Carlo Goldoni e alla sua
riforma del teatro comico che rappresenta l’evento centrale della storia del teatro italiano del 700.
Goldoni riesce anche a farsi interprete originale delle istanze riformatrici del suo tempo e arriva a
realizzare una serie di commedie che costituiscono dei risultati artistici così alti da essere in grado di
superare i secoli e di arrivare fino a noi. Questo fa di Goldoni, insieme a Pirandello, l’autore italiano
ancora oggi più rappresentato fra gli autori classici.

GLI ANNI DELL’APPRENDISTATO


Il lavoro di Goldoni si sviluppa a stretto contatto con il mondo del teatro ed è proprio questo il segreto
che porta Goldoni ad interpretare adeguatamente quelle esigenze di riforma che tante volte erano
state proclamate ma mai realizzate.
Goldoni lavora a contatto con il mondo degli attori professionisti nella sua città d’origine che è Venezia,
ma anche in altre parti d’Italia, lavorandoci come autore legato per contratto ad una compagnia.
Questo gli dà modo di conoscere i meccanismi della produzione di uno spettacolo e di approfondire la

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conoscenza e le tecniche del teatro d’attore impadronendosi della compagnia della commedia
dell’arte.

COMPAGNIA IMER:

Gli anni dell’apprendistato di Goldoni si collocano intorno alla


metà degli anni 30, quando Goldoni che ha conseguito la laurea in
legge nel 1731, incontra la compagnia di Giuseppe Imer -> una
compagnia di comici che scrittura Goldoni come compositore di
nuovi testi.
Il suo incarico infatti sancito da un contratto, è quello di comporre
testi nuovi:

- inizia la sua carriera componendo tragedie, tragicommedie


e solo più tardi arriveranno commedie

- accanto a questa opera di drammaturgo, il suo contratto prevede anche l’obbligo di aggiornare
generici e canovacci in possesso degli attori.

- La compagnia di Imer è una compagnia di comici dell’arte e ha bisogno di rinnovare il repertorio


cercando di conquistare anche nuove sezioni del mercato. Qui Goldoni ha l’incarico di lavorare
su canovacci già esistenti e nello stesso tempo di comporre delle parti per gli intermezzi in
musica in cui la compagnia era specializzata, avendo fra i suoi componenti attori e attrici che
cantavano in maniera accettabile sulla scena.

Per Giuseppe Imer, Goldoni lavora fino al 1743 con il contratto presso il Teatro San Samuele di
Venezia, ma presto questo suo lavoro diventa un lavoro a “mezzo servizio”.

AVVOCATO: a partire dal 1739, accanto alla carriera teatrale Goldoni associa la carriera diplomatica e
forense. Nel 1739 assunse il nome di Console della Repubblica di Genova e parallelamente ricomincia la
sua attività di avvocato (1743-1747). Questi sono gli anni in cui incomincia a comporre le prime
commedie scritte:

- “MOMOLO CORTESAN”(1739) è la prima in cui è scritta interamente solo la parte del


protagonista mentre il resto è ancora lasciata alla tecnica del canovaccio, cioè
all’improvvisazione degli attori.

- “DONNA DI GARBO”(1743): per arrivare ad una commedia completamente scritta in tutte le


parti bisogna aspettare “Donna di Garbo”.
Per ironia della sorte ha un’infelicissima fortuna -> l’attrice per cui era stata scritta muore poco
dopo e Goldoni non fa nemmeno in tempo a vedere la riprogrammazione della commedia
perché deve lasciare Venezia (probabilmente inseguito dai debiti).

Per alcuni anni, dalla fine del 1743 al 1747, Goldoni si trasferirà in Toscana e tornerà a dedicarsi
esclusivamente alla carriera di avvocato, lavorando soltanto in maniera occasionale a testi teatrali
su commissione. Questo è il periodo in cui si colloca un famoso canovaccio:

- “IL SERVITORE DI DUE PADRONI” scritto per Antonio Sacchi nel 1745. Nasce da una
commissione di un attore dell’arte che conoscendo Goldoni gli affida il compito di creare un
canovaccio per lui (all’interno di quel lavoro di apprendistato che sa che aveva potuto
apprezzare all’interno della compagnia Imer), destinato a diventare negli anni successivi una
commedia interamente scritta e nel 900 divenne lo spettacolo più famoso del teatro Piccolo di
Milano con il nome di “Arlecchino, servo di due padron”.

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LA COMPAGNIA MEDEBACH
Il 1747 è l’anno della svolta perché in questo anno Goldoni incontra la compagnia di Girolamo Medebach
che sarà la compagnia che lo accompagnerà ad un passaggio completamente dedicato al teatro e gli
permetterà di realizzare la riforma della commedia.
L’origine di questo incontro è legato ad uno degli attori della compagnia perché nel 1747 il pantalone della
compagnia (Cesare D’Arbes) si reca da Goldoni per chiedergli di scrivere una commedia senza maschera.
Goldoni accetta questo incarico in cambio di denaro e accosta il mondo degli attori: alla prima commedia
che ha un ottimo successo ne seguono altre due.
VENEZIA: poi arriva la proposta di Girolamo Medebach di scritturare Goldoni e portarlo a Venezia dove ha
appena affittato il Teatro Sant’Angelo (che stava su Canal Grande) e che Medebach voleva dedicare
completamente alle commedie. Così Goldoni, con un contratto che lo nomina poeta di compagnia, realizza
una serie di 8 commedie all’anno imponendo uno stile nuovo.
La compagnia è una compagnia sperimentale di recente formazione raccolta da questo capocomico di origine
tedesca sulla base di un nucleo di artisti di strada.
MARLIANI: il gruppo fondamentale era rappresentato dai Marliani a cui apparteneva:
- Girolamo Medebach detto Ottavio
- Teodora che era la moglie di Medebach ed era detta Rosaura
- Giuseppe Maliani che è Brighella
- Cesare D’Arbes è Pantalone
- Caterina e Luzio Landi sono Beatrice e Lelio
- Francesco e Vittoria Falchi sono Florindo ed Eleonora
- Maddalena Marliani è Corallina
- il Dottore
- Arlecchino
Sono tutti attori legati a questa famiglia originariamente dedita al funambolismo, erano infatti ballerini
di corda che si esibivano sulle piazze.
La conversione ad attori era per Goldoni un limite ma un grande vantaggio, erano attori di recente
formazione non fossilizzati sulla tecnica dell’arte e quindi più disponibili alla sperimentazione.
Di qui l’idea che Goldoni possa trovare un’ambiente favorevole per innovare la tradizione senza spiazzare il
pubblico.

TESTI:

- i testi scritti per i comici di Medebach si distinguono per l’impostazione realistica delle vicende.
La scelta di Goldoni è quella di raccontare nelle commedie scene di vita contemporanea con
ambientazione veneziana anche se nelle vicende intervengono ancora le maschere con stilemi
romanzeschi tipici del teatro del tempo come travestimenti o cambi di persona.

- La seconda novità è quella del testo interamente scritto sulla base del talento dell’attore di
riferimento. Ci sono testi scritti per la protagonista femminile che è Teodora Medebach, donna
di avvenente aspetto dotata di una voce dolce e musicale adatta a parti di eroina romantica e
sentimentale per cui Goldoni scrive:
◼ “La putta onorata” del 1749
◼ “la buona moglie” del 1749
◼ “la vedova scaltra” del 1748, primo successo
- la figura di Pantalone di D’Arbes per cui Goldoni scrive
◼ “l’uomo prudente”
◼ “la famiglia dell’antiquario” del 1749

introducendo i primi elementi di rilettura della maschera legata alla riabilitazione morale di
Pantalone.
Se pantalone nella commedia dell’arte era una maschera comica di un vecchio avaro, il Pantalone

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recitato da D’Arbes è la metafora teatrale di quella che è la laboriosità del mercante veneziano,
intraprendente, onesto, legato alla famiglia capace di gestire in maniera equilibrata i contrasti della
vita.

LA RIFORMA DEL TEATRO:

È proprio da questi elementi che Goldoni mette in pratica la riforma del teatro.

Lui stesso nel 1750 pubblica la prima edizione delle sue commedie che due sono stati i pilastri di
riferimento del suo teatro:
- il mondo
- il teatro.

Nella prefazione alle commedie “i due libri su cui ho più meditato e di cui non mi pentirò mai di essermi
servito sono il mondo e il teatro”

MONDO: per mondo si intende il testo di ambientazione contemporanea, l’osservazione diretta della
realtà ripresa con le sue dinamiche sociali, con il suo sistema di valori che in questo periodo coincidono
con i valori di onorabilità della società veneziana. È un’ispirazione ai comportamenti in cui Goldoni
ripone la sua fiducia per un rinnovamento morale e sociale degli spettatori.
L’aspirazione del teatro di Goldoni è avere un teatro educativo che possa essere di esempio morale e di
guida allo spettatore che si reca a teatro.
TEATRO: (secondo libro) è l’insieme di tecniche e procedimenti teatrali che si adattano al linguaggio e
alle convenzioni della scena e che portano a tradurre i contenuti della realtà in modo gradevole al
pubblico.
Il frutto della conoscenza della tecnica e del patrimonio artigianale, che Goldoni aveva accumulato
negli anni precedenti, spiega la realizzazione delle commedie attraverso il connubio tra mondo e
teatro.
- Il teatro si esercita nella scrittura calibrata sugli attori di cui Goldoni esalta il talento, scrivendo
delle parti che risultano facili per l’attore perché sono pensati sulle sue misure artistiche.
- Farà uso di colpi di scena per mantenere desta l’attenzione degli spettatori
- l’uso moderato delle maschere che vengono trasformazione ed estromesse poi dalla composizione
delle commedie.

LE 16 COMMEDIE NUOVE: nel 1750 quando la riforma sembra ormai pronta a dominare i palcoscenici
di Venezia guadagnandosi il consenso del pubblico, Goldoni si trova davanti ad un contrattempo
inaspettato -> Nel febbraio Cesare D’Arbes abbandona la compagnia Medebach perché ha ottenuto
una lucrosa scrittura presso il Duca di Sassonia e non può rinunciare ad un’offerta simile.
Questo evento mette in allarme i comici e allontana dalla compagnia i favori del pubblico (proprio
mentre si vendevano gli abbonamenti per la stagione successiva che a Venezia era lunghissima per il
carnevale)
Per soccorrere la compagnia Goldoni promette al suo pubblico, invece delle 8 commedie per contratto,
16 commedie nuove.
La stagione delle 16 commedie è la stagione più famosa di tutta la produzione goldoniana perché
all’interna di trovano molti dei capolavori che confermano la riforma.

TEATRO COMICO: La prima delle 16 nuove commedie è il “teatro comico” del 1750.
Questa commedia è costruita sulla tecnica del teatro nel teatro.
Goldoni propone una vicenda costruita su due livelli:

- una vicenda esterna cioè il mondo rappresentato dalla compagnia Medebach che va in scena
nella prima versione con i nomi biografici e che racconta le difficoltà di una compagnia che si
trova a recitare con tecniche e abitudini diverse da quelle della commedia dell’arte.

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- la vicenda interna cioè il teatro narra della piccola farsa che si chiama “il padre rivale del figlio”
facendo vedere le modalità della prova in scena e tutti i problemi legati alla messa in scena, in
modo che Goldoni spiega attraverso la vicenda di una commedia i principi della riforma.

APPROFONDIMENTO “Il teatro nel teatro nella scrittura di Goldoni” (PDF ARIEL)
LE DIFFICOLTÀ DELLA RIFORMA: all’interno della vicenda del teatro comico, Goldoni parla in commedia
di quelle che sono le difficoltà della riforma cioè del fatto che non tutti gli attori erano disponibili a
sperimentare la nuova tecnica del premeditato ->
- c’è Placida che è la prima Amorosa che è schierata dalla parte dell’autore
- il nuovo Pantalone invece che era Antonio Mattiuzzi detto “il collatto” (Tonino) denuncia tutta la
sua difficoltà ad imparare dei testi a memoria e a rinunciare alle tecniche della messa in scena per
adeguarsi di volta in volta delle caratteristiche diverse a seconda della scrittura prevista dall’autore.

IL LAVORO CON LE MASCHERE: anche il lavoro con le maschere è analizzato all’interno della commedia
->
la seconda donna chiede al capocomico Orazio perché non è opportuno eliminare subito le maschere.
Orazio risponde con le parole di Goldoni dicendo che la novità non doveva essere imposta in maniera
repentina al pubblico rischiando di spiazzarne le aspettative ma, trattandosi di una riforma, occorreva
modificare pian piano il carattere delle maschere trasformandole in personaggi in modo tale che ad un
certo punto la sostituzione tra la maschera e il personaggio diventasse automatico e il pubblico non lo
notasse come una mancanza.

LA LOCANDIERA
Il rapporto con Girolamo Medebach e la compagnia va guastandosi per una serie di motivi, non ultima
la questione editoriale che pone difronte come contendenti il capocomico (proprietario dei copioni) e
Goldoni che rivendicava il diritto di pubblicare le sue commedie ricevendone i diritti.
Il rapporto va logorandosi e alla fine del 1752 Goldoni decide di lasciare la compagnia. Prima di
andarsene scrive ancora molte commedie importanti fra cui “La Locandiera”.
Opera scritta per la servetta Maddalena Marliani, l’attrice su cui Goldoni
aveva concentrato il suo interesse creativo spostandolo dalla prima
donna Teodora Medebach.
Maddalena (Corallina) aveva un carattere di sfrontatezza, vivacità
scenica e gusto per la battuta, spirito arguto che avevano affascinato
Goldoni. Così alla fine di quell’anno, approfittando del malore della prima
attrice, Goldoni scrive una commedia in cui la servetta diventa
protagonista, da figura secondaria assume la centralità del personaggio
scatenando le ire di Teodora.
La locandiera riprende i caratteri della riforma ormai matura perché intorno alla vicenda di
Mirandolina, locandiera in Firenze ma che in realtà ripropone la struttura veneziana, Goldoni ripropone
il sistema di valori dell’etica dell’imprenditorialità, onestà, moralità, capacità di intraprendenza che
avevano fatto grandi le commedie dell’anno precedente.
Accanto a Mirandolina introduce una società che rappresenta la stratificazione sociale del suo tempo:
- i clienti appartengono alla nobiltà
- i conti e i marchesi e cavalieri sono nobili
- Mirandolina rappresenta la Borghesia
- il cameriere Fabrizio rappresenta lo stato popolare
C’è quindi il mondo dentro la locandiera ma c’è anche il teatro rappresentato dalla figura delle
attrici che arrivano a vivacizzare la situazione della locanda ma soprattutto l’utilizzo della capacità di
finzione che Mirandolina mette in atto per sedurre il cavaliere nemico delle donne.

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https://www.youtube.com/watch?v=Zt5wWh3hbuo dal minuto 0.00 al minuto 7.06

Scena 15esima del primo atto in cui Mirandolina seduce il cavaliere attraverso il gioco della finzione,
finzione che mima la realtà e che utilizza la capacità del teatro. Miranodolina dichiara la sua avversione
alle finzioni nel momento in cui sta mettendo in atto una simulazione per poter sedurre il cavaliere e
fargli cambiare idea sulle donne.

<-APPROFONDIEMENTO LIBRO

TEATRO SAN LUCA

Goldoni passa al servizio del teatro San Luca di Venezia che è il teatro più
importante della città, a gestione impresariale. Non c’è un capocomico ma
un impresario che è Francesco Vendramin che gestisce la compagnia.
Per Goldoni questo passaggio è vissuto come una promozione e
liberazione da molto vincoli che la compagnia Medebach gli aveva
imposto. È più libero, deve scrivere meno ed è meglio pagato.
In realtà il periodo di San Luca sarà un periodo molto difficile in quanto la
compagnia è in continuo mutamento. Goldoni infatti non può più
applicare quel metodo di studio degli attori che gli era consueto, la sala è
molto più ampia e quindi male si addice alle commedie raccolte di
ambientazione di interni che sapeva scrivere, e proprio per questo Goldoni
va incontro a un momento di crisi compositiva.
Ci sono pochi successi tra cui la “Trilogia Persiana”-> sono tre commedie di
ambientazione esotica, che vanno incontro a questa necessità di scendere
a patti con le contingenze che non gli sono favorevoli.
Sono anche gli anni della concorrenza prima con Pietro Chiari poi con Carlo
Gozzi che amareggiano molto Goldoni.

LA GRANDE STAGIONE DEL 1760-1762


Solo l’ultimo triennio riporta Goldoni al pieno successo e alla piena padronanza dei suoi mezzi artistici e a
una felicità di ispirazione che rende le commedie degli autentici capolavori -> si tratta di commedie di

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impianto corale, non più collegate esclusivamente ad un unico attore, in cui Goldoni riflette la sua visione
matura della società veneziana, una visione più amara rispetto a quella del decennio precedente e in cui lo
studio psicologico del carattere si unisce all’attenzione per l’ambiente, per cui il contesto e il personaggio
diventano una relazione fondamentale per la risoluzione della commedia. I titoli sono molto interessanti:
- I rusteghi (1760)
- La trilogia della villeggiatura (1761) composta da tre commedie: “le smanie per la villeggiatura”, “le
avventure della villeggiatura” e “il ritorno dalla villeggiatura”
- Una delle ultime sere di Carnovale (1762)

VISIONE VENEZIANA: la visione che Goldoni restituisce, attraverso le commedie del mondo veneziano di
quel tempo, è una visione molto più amara.
Sono commedie che si avvicinano molto alle commedie del dramma borghese, perché il tono è molto
serio e amaro e al centro delle vicende c’è una classe media che ha fallito la sua missione riformatrice,
si è ripiegata su sé stessa, si è incupita e si vede in ostilità con il mondo (come avviene nei Rustichi che
sono dei selvatici che contrastano il mondo sociale che li circonda, o una borghesia che scimmiotta
l’aristocrazia imitandone il rito sociale come avviene nella trilogia della villeggiatura).

TRILOGIA DELLA VILLEGGIATURA: racconta in tre commedie la parabola di due famiglie appartenenti alla
borghesia di Livorno che si indebitano pur di andare a in villeggiatura e condurre una vita dispendiosa sul
modello dell’aristocrazia.
TRAMA: al centro della vicenda c’è la storia di Giacinta che è fidanzata ufficialmente con Leonardo ma
che durante la villeggiatura scopre di amare ricambiata Guglielmo. L’amore tuttavia viene soffocato
dalla ragazza, accettato anche da Guglielmo in nome delle convenienze borghesi.
Sia Giacinta che Guglielmo capiscono che nel mondo delle relazioni interpersonali della classe media
borghese quello che conta è soprattutto la rispettabilità esterna, l’opinione che la collettività ha
dell’individuo e il contratto matrimoniale che Giacinta ha firmato e la condanna la ragazza all’infelicità.

https://www.youtube.com/watch?v=zld4GEPAyDM dal minuto 1.17.00 al minuto 1.26.30.


Leonard Regia di massimo Castri III atto

Dichiarazione che Giacinta fa a Guglielmo dicendo però subito dopo che non accetterà più la sua storia
perché si sente legata a Leonardo. Guglielmo accetta la situazione e i due vengono sorpresi da
Leonardo che chiede cosa ci facessero loro due appartati e Giacinta si inventa una storia inverosimile
cioè che Guglielmo aveva chiesto a lei di intercedere per Leonardo per farlo fidanzare con la sorella di
Leonardo, Vittoria, in questo modo condanna se stessa all’infelicità e anche a Guglielmo a un matrimonio
che non vuole.

23/03/2020
IL TEATRO NELL’800

LA RIVOLUZIONE FRANCESE:
Le radici del teatro ottocentesco affondano negli anni della
rivoluzione francese.
Anche per lo spettacolo la rivoluzione francese rappresenta
uno spartiacque perché la caduta delle norme censorie
dell’Ancien Règime porta immediatamente uno sviluppo
estremo dei teatri, con la liberalizzazione dell’apertura
delle sale prima a Parigi e poi nel resto della Francia.
A questo proposto la critica ha parlato di un vero e proprio
delirio spettacolistico che investe il territorio francese ed
europeo sulla scorta degli eventi rivoluzionari.
Per i rivoluzionari il teatro è un importante messo di comunicazione di massa con particolare riguardo

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all’importanza del teatro drammatico che può farsi scuola di virtù civiche, di ideali di libertà, di democrazia
e carattere rivoluzionario. L’attore diventa investito di una funziona civica di educatore e, contro il modello
dell’attore guitto e professionista legato semplicemente a un’esibizione che sia divertimento per il
pubblico, i rivoluzionari francesi esaltano il modello dell’attore cittadino, colto e di scuola che sappia
rendersi interprete dei valori civici della nazione.
La parabola del teatro rivoluzionario è estremamente lunga e articolata, ma schematizzando il decennio
della rivoluzione che va dal 1789 fino al 1799, vede sorgere due filoni fondamentali nell’ambito dello
spettacolo:
- TEATRO POLITICO: il primo è quello del teatro politico e di propaganda sviluppatosi nei primi anni
della Rivoluzione fino al 1794, che trova come principale espressione lo sviluppo del “la festa
rivoluzionaria”, già teorizzata da Rousseau negli anni dell’Illuminismo.
Per i rivoluzionari la festa che unisce la collettività cittadina in un rito celebrativo diventa la
manifestazione spettacolare più significativa degli anni della rivoluzione.
Le feste sono create come una vera e propria rappresentazione teatrale, con scansioni di tempi, di
cortei ed effetti scenici ben calcolati. La differenza è che gli attori sono spesso gli stessi cittadini, o
comunque, anche quando non lo sono e quindi fanno solo parte del pubblico, la festa prevede
sempre un coinvolgimento finale.
Gli illuministi sognano il superamento della passività del pubblico in un coinvolgimento che è
condivisione di valori.
Le principali feste rivoluzionarie parigine, come la “Festa della Federazione” (1790) e la “Festa
dell’Ente Supremo” (1749) diventano il modello per numerose altre celebrazioni festive che dalla
Francia arrivano ai territori dominanti dalle conquiste napoleoniche, tra cui anche l’Italia.
Accanto a questo, il teatro della Rivoluzione è un teatro che produce drammi e commedie di
carattere specificatamente politico di propaganda -> si va infatti
◼ da tragedie che esaltano la romanità e le virtù repubblicane
◼ a commedie satiriche e parodistiche che esaltano il ribaltamento degli ordini sociali promossi
dalla Rivoluzione.
Tuttavia questi generi rimangono legati ai caratteri dei tempi, non superano gli anni finali di questa
rivoluzione. Tant’è vero che dal 1795 vengono dimenticate.
- DIRETTORIO: Il periodo dominato dal Direttorio è il periodo in cui nasce un nuovo tipo di
intrattenimento, destinato a una maggiore fortuna -> si tratta di un divertimento legato all’esigenza
di un pubblico popolare che la Rivoluzione aveva abituato ad andare a teatro.
Mentre nell’Ancien Regime la fascia più bassa della popolazione era esclusa dai divertimenti
teatrali, con la rivoluzione il popolo impara ad andare a teatro.
Alla fine della Rivoluzione il popolo rivendica il suo diritto a un intrattenimento teatrale che lo
diverta e che sia per lui un momento di confronto con la collettività e con i valori in cui crede.
È il momento in cui nasce un tipo di teatro popolare che scorre parallelamente e quello di cultura
che come vedremo diventerà uno dei tratti caratteristici dell’Ottocento.
Durante il Direttorio nascono due generi destinati a grande fortuna:
◼ IL VAUDEVILLE è una sorta di progenitore della commedia musicale -> si tratta di brevi
commedie di carattere brillante e leggero con parti cantate.
Il nome del genere veniva proprio dall’espressione “voix de ville”, “voce della città”, che
andavano ad indicare delle strofette cantate su motivetti popolari, i cosiddetti “couplets” cioè
piccole canzonette che, usando ritornelli già noti al pubblico, vivacizzavano i momenti finali
delle commedie.
Il vaudeville era un genere industriale perché alla sua composizione concorrevano più autori:
a) quello che costruiva la struttura della commedia
b) quello che si occupava di scrivere i versi delle canzonette e di scegliere i motivi recuperandoli
dal patrimonio preesistente
c) c’era “l’uomo memoria” che si occupava dell’adattamento dei couplets alla messa in scena e

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all’assegnazione delle parti degli attori
◼ IL MELODRAME era ancora più famoso del vaudeville, ha un successo strepitoso tra la fine del
700 e l’inizio dell’800 perché intercetta quel gusto per il romanzesco e il sentimentale che era
proprio di quei tempi.
Il mélodrame era quindi una bella commedia passionale, romantica e sentimentale con molte
peripezie, molti effetti scenici e un’immancabile lieto fine.
Il nome veniva dalla presenza di stacchi musicali che costellavano i momenti più importanti
della commedia. Gli stacchi musicali erano però sempre indipendenti dalla parte recitata.
Il mélodrame francese non ha nulla a che fare con il melodramma italiano, cioè con un’opera in
musica in cui la parte musicale e la parte verbale si fondono.
Il melodrama non è mai cantato è solo una commedia in cui i momenti più importanti sono
preceduti da stacchi musicali che permettono al pubblico di capire.
Un altro momento importante nella struttura drammaturgica di un mélodrame è quello del
“tableux” cioè il quadro scenico vivente che prevedeva che nei momenti più emozionanti gli
attori si fermassero sulla scena a instaurare quello che chiamiamo tableux vivant, cioè un
quadro fatto a vantaggio dello spettatore che poteva godersi la visione del momento clou in cui
l’azione si fermava per permettergli di osservare tutti i particolari.
La rappresentazione dei vaudeville e dei mélodrame era confinata ad alcuni teatri periferici, non avveniva
nei teatri centrali soprattutto Parigi (che Napoleone aveva regolamentato con una precisa legislazione).
I teatri di periferia sono noti come “teatri di boulevard” perché erano collocati sui viali periferici di accesso
alla città. Da questa collocazione delle sale che nasce il genere del “théatre di boulevard” che va avanti per
tutto l’Ottocento e per buona parte del Novecento identificando un genere commerciale brillante e
leggero di grande successo di pubblico.

DUE LIVELLI DI TEATRO E SPETTACOLO: Possiamo quindi dire che già nei primi anni dell’Ottocento l’eredità
della Rivoluzione francese si esprime nella coesistenza di due livelli di teatro e spettacolo, cosa che nei
secoli precedenti non si era mai verificata:
- TEATRO VISIBILE in cui ci sono una serie di generi commerciali e di scarso impegno culturale che
vengono rappresentati applauditi e che hanno un grande pubblico-> si tratta di generi con
contenuti leggeri e poco impegnativi, di solito molto tradizionalisti nella conferma di valori della
famiglia, onore e matrimonio. Per questa ragione sono generi favoriti dalla censura degli stati
restaurati dell’Europa che fondano il loro segreto sulla perfetta costruzione scenica capace di
mantenere desta l’attenzione degli spettatori.
Questo è il teatro che gli spettatori dell’800 vanno a vedere e applaudire.
- TEATRO INVISIBILE -> si tratta di un teatro di grande impegno e cultura, di veste letteraria molto
alta e raffinata. È il teatro dei grandi autori destinati a entrare nella storia della drammaturgia e
della letteratura ma scarsamente rappresentato. Raramente uno spettatore dell’800 sarebbe
riuscito a vedere a teatro quello che invece è il teatro di cui si parla nelle storie della drammaturgia.

I GENERI DEL TEATRO VISIBILE: cioè quelli che effettivamente venivano rappresentati all’epoca.
Già, nei primi anni del 700 nascono i due generi del teatro visibile che sono il mélodrame e il vaudeville.
Negli anni 20 dell’800 nasce un terzo genere, destinato a una fortuna ancora più grande:
LA PIECE BIEN FAITE” “rappresentazione drammatica ben costruita” -> si tratta di commedie e, in alcuni
casi anche di drammi, che sono dei perfetti congegni scenici basati su meccanismi estremamente fluidi e
congegnati, con una concatenazione di eventi molto complicati di equivoci e colpi di scena che presentano
una situazione sempre più intricata, fino ad arrivare a una scena centrale dove c’è la resa dei conti di tutti i
personaggi. È la cosiddetta “scena madre”, collocata di solito a metà del testo, da cui prendono il via una
serie di procedimenti che portano allo scioglimento.
Lo spettatore è coinvolto da questo ritmo incalzante che lo cattura anche senza renderlo consapevole
delle molte incongruenze e dei passaggi illogici che talvolta questo tipo di testo prevede, è soprattutto

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ammaliato dal ritmo e dal dialogo brillante dei personaggi.
Si tratta quindi di un teatro capace di tenere incollato lo spettatore alla scena senza mai annoiarlo.
Di questa tecnica sono maestri alcuni autori francesi tra cui Eugène Scribe nella prima metà dell’800
autore per cui la critica conia l’espressione pièce bien faite), Victorien Sardou (autore di molte delle pièces
più applaudite della fine dell’800, come la famosa Tosca da cui Puccini prenderà il soggetto dell’ opera) e
Georges Feyedau (autore di altre brillanti commedie, rappresentate ancora oggi).

I GENERI DEL TEATRO INVISIBILE: Sono i generi che troviamo nelle storie delle letterature.
- TRAGEDIA ROMANTICA: primo fra tutti la tragedia romantica tedesca, italiana e inglese di cui sono
autori grandissimi nomi della letteratura come Goethe e Schiller per la Germania, Lord Byron per
l’Inghilterra e Manzoni per l’Italia.
I romantici tedeschi godono di una breve stagione di fortuna scenica negli inizi dell’800 quando
sono messi in scena per poi essere dimenticati dal teatro ma ricordati da parte di critici e
intellettuali. È un teatro che non viene rappresentato ma viene fruito sulla pagina. È in questo
senso che è “teatro invisibile”, un teatro che si legge più che vedersi.
- DRAMMA ROMANTICO: l’unica eccezione in questo teatro è il dramma romantico francese. Anche
in questo caso si tratta di testi con una fortuna più letteraria che scenica, ad eccezione dell’Hernani
di Victor Hugo del 1830.

L’immagine è legata al famoso episodio della battaglia di


Hernani che si tenne nei teatri francesi nel gennaio del
1830. La Comédie Française, quando il dramma venne
rappresentato per la prima volta questo dramma, che si
proponeva di portate a teatro i principi del Romanticismo,
provocando così una sommossa all’interno della platea tra i
sostenitori della scuola romantica e i critici tradizionalisti (a
cui si riferisce la vignetta tratta da un giornale dell’epoca).

La tragedia romantica si proponeva di superare i limiti delle


unità pseudo- aristoteliche e della distinzione dei generi e
quindi di presentare una sintesi tra il comico e il tragico,
contemporaneamente dando vita a un genere molto
elevato.

La tragedia romantica è sempre in versi, prevede una grande introspezione psicologica dell’interiorità dei
personaggi protagonisti con una particolare attenzione all’esplosione delle passioni, all’esaltazione
dell’individuo.
Accanto a questo ha la struttura di un dramma molto più complesso della tragedia classicistica quindi
l’esaltazione degli spazi aperti e l’estensione temporale che copre un arco di diversi anni.
L’ultima caratteristica riguarda l’ampio ventaglio di tematiche che può comprendere al suo interno e che la
vede rivolgersi soprattutto ad episodi della storia nazionale e medievale come elemento di ricerca delle
identità linguistiche e culturali del pubblico a cui il dramma viene rivolto.

LO SPETTACOLO TEATRALE DELL’800


Durante l’800 il pubblico va a teatro prevalentemente per vedere gli attori.
È il secolo in cui nasce il Divismo e gli spettatori che sono molto competenti amano paragonare fra la stessa
parte recitata da diversi artisti che sanno apprezzare le loro caratteristiche e che seguono con passione e
fedeltà.

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LA COMPAGNIA CAPOCOMICALE:
La struttura organizzativa di base del teatro
europeo dell’800 è la compagnia capocomicale,
nomade e privata.
A parte qualche esempio di compagnia stabile
presente in Francia e Germania, nel resto
d’Europa il teatro si regge sulle compagnie
private, gestite in generale da un capocomico
proprietario, che può essere il primo attore o il
direttore della compagnia, che gira per un
circuito più o meno ampio a seconda delle

caratteristiche del paese fermandosi per periodi più o meno lunghi nelle varie città che all’epoca si
definiscono “piazze”. Questo sistema è particolarmente radicato nel teatro italiano dove è possibile
distinguere diversi livelli di compagnie
DUE CATEGORIE:
- LA COMPAGNIA PRIVILEGGIATA, caratteristica del primo 800 quando molti sovrani degli stati
restaurati finanziano delle compagnie attraverso delle sovvenzioni affinché propongano un
programma di testi e allestimenti particolarmente curati in modo da trasformarli nell’immagine
culturale della loro politica.
- LA COMPAGNIA NOMADE non invece ha alcun finanziamento e a seconda della ricchezza del loro
organico si distinguono in
◼ Primarie che possono contare su attori molto reputati e che hanno un buon corredo di scenari
e una varietà di repertorio
◼ Secondarie poco numerose e presentano dei repertori estremamente ridotti
◼ di Terz’ordine poco numerose e presentano dei repertori estremamente ridotti
Tutte però si basano sulla formazione di attori che hanno maturato l’esperienza del mestiere
direttamente sulla scena -> continua la tradizione dell’attore italiano per cui attori si nasce e non si
diventa, non si va a scuola. Tutti i più grandi attori dell’800 sono figli d’arte che hanno appreso il
mestiere dai genitori.
Il repertorio di una compagnia nomade tiene contemporaneamente in scena un 20/30 titoli per cui
la compagnia è abituata a cambiare spettacolo quasi ogni sera e le repliche sono un’eccezione,
effettuate soltanto in caso di una novità che possono attirare la curiosità del pubblico oppure di
grandi successi degli attori -> in quel caso è il pubblico stesso a chiedere la replica.
Quando la compagnia è molto famosa, l’attore può avere diritto a una recita a beneficio “beneficiata” -> si
tratta di una recita in cui l’incasso andava o per la metà o totalmente a favore dell’attore che poteva
scegliere come strutturare lo spettacolo al fine di attirare al massimo il proprio pubblico e assicurarsi un
guadagno molto più lucroso.

TEATRO DEI RUOLI La base del lavoro di una compagnia 800esca fino alla fine del secolo è il cosiddetto
“teatro dei ruoli”.
I RUOLI erano una modalità di scritturazione degli attori: nei contratti veniva indicato per quale ruolo
l’attore era parte della compagnia. Questa condizione era fortemente limitante, soprattutto per un attore
che non avesse una scritturazione nei primi ruoli.
Il ruolo è una categoria di parti simili per carattere, o per ruolo sociale, in cui l’attore arrivava a
specializzarsi (Es: il ruolo della prima attrice giovane comprendeva in se le parti di Desnemona e le parti di
Giulietta, quindi la categoria del ruolo era quella della giovane donna innamorata, la parte era quella del
singolo personaggio).
Per un attore dell’800, costretto a tenere a mente più spettacoli, il ruolo era il metodo che gli consentiva di

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andare in scena con un’adeguata preparazione senza poter contare su un numero di prove ampio e
approfondito.
L’affinità fra i personaggi consentiva l’utilizzo dei medesimi costumi (che per tutto l’800 italiano sono
ancora possesso dell’attore) ma anche di una serie di controscene, di intonazioni, di intercalari che
potevano aiutarlo nel momento in cui la parte fosse stata appresa in maniera imperfetta.
Gli attori assumevano i ruoli in base alle loro caratteristiche fisiche e alla loro età, per cui con l’andare degli
anni, potevano passare da un ruolo all’altro.
Quello che era comune un po’ a tutti i ruoli era lo studio della parte che era approssimativo -> molti attori
preparavano molto bene la loro parte ma mancavano di concertazione con gli altri, poiché le prove erano
ridotte al minimo (due-tre prove per controllare le entrate e le uscite) e quindi non c’era quel lavoro di
insieme della resa globale della scena (che in Italia si vedrà solo con la regia) -> Da qui un grande squilibrio
nella resa dello spettacolo con prime parti dotate di un certo talento e parti inferiori che erano meno che
accettabili.
Tra i ruoli troviamo quelli di
- Primo attore e Prima attrice che per contratto avevano diritto al ruolo di protagonista.
- Quando si trattava di protagonisti giovani potevano essere con Attore e Attrice giovane
- Caratterista che era tipico del teatro 800esco che aveva una serie di parti di carattere comico. In
genere incarnava personaggi dominati da passioni particolari, producendo degli effetti ironici e
dando anche spazio alla riflessione.
Da questa caratteristica il Caratterista sfuma nel ruolo del Brillante
- Brillante è un abile conversatore, capace di tirare la morale dalla situazione in cui si trova immerso.
Da questo suo carattere di commentatore della situazione il Brillante diventerà all’inizio del teatro
del 900, la figura del Resonnaire che andremo ad approfondire in seguito nel teatro di Pirandello.
- Promiscuo
- Seconda donna
- Padre/madre nobile
- Generico

IL TEATRO DEL GRANDE ATTORE


La seconda metà del secolo vede in Italia e in maniera meno
significativa in Europa un’evoluzione del teatro dei ruoli nel
fenomeno del teatro del grande attore. Nasce come tipicamente
italiano, anche gli ultimi studi hanno messo in luce come esistano
anche degli omologhi nel teatro europeo di questa concezione
dello spettacolo.
Il grande attore non è solo l’attore più importante della
compagnia e che fa il protagonista, è il responsabile intero dello
spettacolo che viene sottoposto a un modello di produzione e
concezione tutto ricondotto alla figura di un unico personaggio
centrale -> si tratta quindi di qualcosa di complesso che investe
tutti gli aspetti dello spettacolo

Il grande attore è sempre capocomico della compagnia che conduce e quindi ha il diritto di scegliere ogni
aspetto dello spettacolo a partire dal testo, che può adattare anche in maniera molto vistosa e profonda al
fine di far risaltare il protagonista (tagliando tutte le parti secondarie che potrebbero dargli ombra, o
facendo preparare una traduzione che mettesse in luce il talento dell’attore).
Comune a tutti i grandi attori è che sono dotati di straordinarie capacità interpretativa, una grande abilità
nella modulazione della voce e nell’invenzione dei giochi mimici.
Gli italiani n questo sono gli esempi più alti di questa tecnica che li rende molto famosi in tutto il mondo -> I

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grandi attori come “Ernesto Rossi” e “Tommaso Salvini” (nell’immagine) sono più noti all’esterno che non in
Italia -> è interessante il fatto che questi attori recitassero all’estero sempre in lingua italiana e il pubblico li
adora perché la loro capacità interpretativa andava ben oltre l’aspetto semantico della lingua e consente al
grande attore di impressionare il pubblico grazie alla propria performance.
Nelle tournee internazionali i grandi attori riescono a scritturare una compagnia fatta da attori stranieri.
Nel caso di interpretazioni shakespeariane era possibile sentire il protagonista che parlava in italiano e i
personaggi secondari che parlavano in inglese o nelle lingue nazionali.

ADELAIDE RISTORI La sua fama è soprattutto internazionale e comincia nel 1855, quando si reca a Parigi per
una tournee trionfale che la rende nota in tutta Europa.
La capacità di fascinazione di Adelaide era soprattutto legata alla sua abilità mimica e gestuale che
accompagnava le battute con un tono delle voca suggestivo e seducente e dei gesti più esplicativi di quanto
non fossero le parole.
Le due foto seguenti sono dei due allestimenti importanti della sua carriera:
<- MEDEA: <- LADY MACBETH: portata in scena
recitata nel 1856, nel 1857 realizzata per la tournée
una versione della londinese. Questo ultimo
celebre eroina spettacolo è interessante per i fini
antica scritta per di un discorso sul grande attore
lei da un autore perché spiega come lavorava un
francese che ne grande attore. In vista della sua
aveva rivisto i tournée in Inghilterra, Adelaide
contorni sulla Ristori chiede a Giulio Carcano di
basa del talento modificare e rivedere Macbeth
dell’attrice riscrivendola in chiave femminile.

Crea sulle proprie misure un proprio copione che è incentrato sul personaggio femminile e che consacra la
sua celebrità al di là della manica.
Questa della foto è la scena del delirio e delle mani che la Ristori sapeva realizzare in maniera
impressionante che tutte le recensioni ne parlano come qualcosa di insuperabile. Ciò nonostante la Lady
Macbeth di Adelaide era qualcosa di diverso dal testo shakespeariano che passava in secondo piano ->
quello che era importante era la performance dell’attore.

ELEONORA DUSE

<- LA CITTÀ MORTA 1900

->LA SIGNORA DALLE


CAMELIE 1980

Alla fine del secolo, negli anni ’80 dell’800, si fa strada una nuova generazione di attori più moderni di cui
esempio più interessante del teatro italiano è quello di Eleonora Duse.
Non siamo più legati al metodo di lavoro del grande attore che modifica violentemente il testo, piuttosto a
un tipo di interprete artista che lavora sul testo, modificandolo secondo la propria interiorità rimanendo
fedele alla partitura gestuale -> è l’interpretazione che aggiunge, secondo la Duse, valore al testo senza che
ci sia bisogno di un’operazione drammaturgica a monte.

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La sua vena artistica si afferma a partire dagli anni ’80 quando la Duse è attrice nella compagnia di Cesare
Rossi con una serie di eroine che appartengono al repertorio del tempo e che lei riesce a rendere in
maniera del tutto originale.
Il pubblico parla di una recitazione moderna che supera le convezioni del ruolo e lascia spazio a
un’interpretazione molto interiorizzata del personaggio per far emergere dei conflitti nascosti e un dolore
interiore che il personaggio non riesce a esprimere -> Eleonora Duse è capace di infondere a eroine, fino ad
allora concepite come superficiali, una complessità psicologica e un sottofondo malinconico e nevrotico
grazie a piccoli gesti che riesce a sovrapporre ad un tono di voce spezzato e nervoso, senza modificare la
battuta del testo.
LA SIGNORA DELLE CAMELIE: Interpreta Margherita Gautier e infonde al personaggio un disagio della sua
condizione psicologia, una profondità di sofferenza che ben si può vedere nella scena del V atto (immagine)
mentre legge una lettera che Armando le aveva mandato e che rivelava le vere ragioni dell’ abbandono.
Nel testo di Alexandre Dumas, Margherita legge la lettera che rivela l’innocenza agli occhi del suo amato,
mentre nella versione della Duse l’attrice recitava guardando direttamente il pubblico perché era una
lettera che aveva imparato a memoria, essendo per lei così importante. L’intensità di questa scena viene
ripresa da quasi tutte le recensioni ed è un indizio della capacità di rielaborazione che l’attrice era in grado
di fare sulla base del testo dell’autore
LA CITTÀ MORTA: appartiene alla fase con Gabriele D’Annunzio con cui Eleonora inizia una relazione
artistica e sentimentale che va avanti per circa dieci anni. I due si adoperano per un progetto di
realizzazione di una tragedia in versi che fosse una versione moderna di quello che era il teatro tragico.
La Duse sostiene il progetto di D’Annunzio anche da un punto di vista economico, andando a rovinarsi per
sostenere le spese di allestimenti ma alla fine rinuncia alla rappresentazione delle tragedie e alla relazione
con D’Annunzio.
Il periodo Dannunziano infonde al suo stile recitativo una stilizzazione, di pulizia maggiore nel gesto e nella
vocalità-> il gesto diventa più calcolato, simbolico e calcolato e lo stile diventa essenziale e minimale sia nei
costumi che negli atteggiamenti.
La città morta colpì la critica perché la Duse per la prima volta era una prima attrice che recitava sul fondo
della scena: non si era mai vista un’attrice protagonista capace di imporsi sull’attenzione pur recitando sullo
sfondo e dando al suo personaggio una connotazione che non fosse di autopromozione come era stato fino
ad allora.

APPROFONDIMENTO “ATTORI E COMPAGNIE DEL XIX SECOLO” (PDF ARIE)

INNOVAZIONI DELLO SPAZIO E DELLA SCENOTECNICA:


L’800 è importante anche su questo profilo soprattutto per quanto riguarda gli sviluppi della scenografia e
degli aspetti scenici.
Nella prima metà del secolo, in consonanza prima con il Romanticismo e poi con il Realismo, la scenografia
teatrale si caratterizza per la ricerca di un maggiore realismo filologico nelle ambientazioni -> non ci sono
più infatti le ambientazioni convenzionali delle scene precedenti e si cerca un apparto scenico che, sia per
arredi che per fondali (che sono sempre dipinti) possa riflettere l’epoca di ambientazione dei testi.
Gli sviluppi della tecnica fanno sì che il teatro si avvalga di alcuni effetti che il pubblico ama moltissimo cioè
gli effetti speciali delle realizzazioni del

- PANORAMA era caratteristico del primo 800 ma con l’andare del tempo le raffinatezze
tecnologiche consentono di moltiplicare gli affetti speciali. Nasce così il Diorama
- DIORAMA che viene dallo scenografo francese “Daguerre” che lo aveva inventato in cui il fondale
del Panorama del panorama si caratterizza dal movimento su rulli e soprattutto da effetti
illuministici che realizzano l’alba, il pieno giorno, il crepuscolo e la notte con effetti suggestivi.
Quando poi lo spazio teatrale lo permette, il Diorama può anche avere la variante del Ciclorama.
- CICLORAMA che è un fondale circolare che circonda completamente lo spettatore regalandogli
l’effetto dell’illuminismo e delle modifiche del paesaggio naturale.

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Si tratta di grandi fondali che riproducevano un paesaggio naturale, corredati da effetti illuministici.
Questo era il panorama che spesso era uno spettacolo di intrattenimento per un pubblico popolare.

LUCE: la grande scoperta dell’800 è l’uso della luce in teatro -> già a partire dall’inizio del secolo le candele
non si usavano più, soppiantate prima all’illuminazione ad olio e poi a quella con lampade a gas, che
permetteva di controllare l’intensità della luce. La luce elettrica arriva nell’ultimo quarto dell’800 e spalanca
delle potenzialità enormi di suggestione al teatro e alla regia teatrale che sta nascendo proprio in quegli
anni. In Italia la luce elettrica arriva negli anni ’80 e nel 1882 il teatro alla Scala è il primo teatro italiano ad
avere interamente l’illuminazione elettrica.

IL TEATRO DI RICHARD WAGNER

Si tratta di un grandissimo compositore che elabora un’opera di riforma totale per quanto riguarda l’opera
d’arte e non soltanto l’opera in musica.
Ciò che ci interessa davvero di Wagner è la sua idea di teorico e realizzatore di una nuova fruizione di
spettacolo -> per Wagner lo spettatore che va a vedere un’opera d’arte deve avere un luogo idoneo alla
concentrazione sul palcoscenico. Lo spettacolo deve essere un evento culturale a cui il pubblico deve essere
condotto consapevole.
Da qui l’idea di combattere il teatro all’italiana (il modello dei palchi e la fruizione ad intermittenza).
Accanto a questo l’idea di suggerire una grande suggestione allo spettacolo rendendo invisibile l’orchestra -
> La grande idea di Wagner è quella di infossare l’orchestra coprendone la vista al pubblico con un
parapetto incurvato.
In questo modo la musica sembra arrivare da un posto mistico “golfo mistico” che concentrerà tutta la
suggestione dello spettatore su quello che vede in palcoscenico.
A questo si aggiunge il fatto che grazie alla luce elettrica Wagner è il primo a usare lo spegnimento delle luci
in sala per cui il pubblico viene immerso nel buio e può concentrarsi solo sullo spettacolo.

IL TEATRO DI BAYREUTH (BAIROIT)

Inaugurato nel 1876 su progetto


dell’architetto Otto Bruchwald.
Come si vede nell’immagine, lo spazio
dei palchi è completamente sostituita
da un sistema di gradinate che riprende
la porzione centrale della cavea su cui
Wagner fa mettere delle file di
poltroncine che ripropongono una
visione più democratica finalizzata alla
visione del palcoscenico.

Lo spazio per il pubblico è completato da un colonnato addossato alle pareti che delimita la cave anche
ancora guida la visione del pubblico verso il palcoscenico che è l’unico punto di vero interesse.

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PIANTA DEL TEATRO DI BAYREUH

Se andiamo osservare la piantina possiamo notare la struttura del luogo scenico e di come alla fine di
questa parte centrale della cavea si collochi nel Golfo mistico, con una curvatura e il parapetto per
l’orchestra infossata.
La seconda parte dell’edificio ospita un palcoscenico molto profondo, circondato da numerosi locali attigui
che hanno lo scopo di ospitare le scenografie, le macchine per gli effetti speciali, ma anche i camerini
dell’attore -> questo ancora con l’effetto di suggestione e di grade completezza dello spettacolo così come
Wagner lo aveva concepito.

24/03/2020

HENRIK IBSEN

È il drammaturgo più importante per il dramma


borghese della seconda metà dell’800.
Ci siamo già occupati di questo genere drammatico
segnalandone la sua nascita a metà del 700 con la
teoria di Diderot.
La fortuna di questo genere medio, di
ambientazione contemporanea, attento alle
tematiche del mondo borghese rimane marginale
per quanto riguarda la produzione su palcoscenico
fino alla metà dell’800.
È soprattutto nell’ultimo quarto dell’800 in consonanza con l’affermarsi della poetica realista prima e
naturalista, con una rinascita di attenzione nei confronti della drammaturgia di cultura, poi che il dramma
borghese diventa il genere di riferimento della grande drammaturgia Europea, soprattutto con un gruppo
di autori non francesi ma appartengono al nord Europa, in questo caso alla Norvegia, cioè a paesi che fino a
quel momento erano rimasti ai margini della produzione.

FASI DELLA CARRIERA: L’approdo al dramma borghese per Ibsen non avvenne subito, ma dopo una prima
fase della carriera in cui ebbe la possibilità di esercitare la carriera di “dramaturg” per i teatri di
“Cristiania” (l’odierna Oslo) per un periodo piuttosto esteso che va dal 1850- 1864.
Questo consente a Ibsedn di avere una vasta conoscenza della drammaturgia contemporanea francese, di
impadronirsi dei meccanismi di scrittura e di capire i limiti di questa drammaturgia (sia per quella storica
che per quella di ambientazione contemporanea).
A questo Ibsen aggiunge dei viaggi nell’ Europa del sud condotti per la sua salute ma che concorrono a
sviluppare in lui una grandissima conoscenza delle tematiche e le tecniche di scrittura del dramma.

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Comincia a scrivere una serie di testi che fanno parte della sua prima produzione che vanno da drammi
storici a poemi drammatici in cui cerca di coniugare la novità della sua ispirazione con le conoscenze
pregresse. Tutta questa prima parte lo delude nel momento della rappresentazione perché va incontro a
insuccessi che ne scoraggiano la continuazione e fanno in lui la convinzione che occorre cambiare
completamente registro, modalità di scrittura e approccio alle tematiche teatrali.

IL DRAMMA BORGHESE: questa novità avviene con l’approdo al dramma borghese.


Dopo l’insuccesso dei poemi drammatici, lo stesso Ibsen, in una lettera ad un amico drammaturgo, scrive
che si dedicherà al teatro fotografia, indicando la volontà di un teatro che restituisca sulla scena una
rappresentazione veritiera fino alla crudezza delle relazioni interpersonali dei suoi contemporanei con
particolare riguardo alle relazioni familiari.
Quello che gli interessa è una drammaturgia di ambientazione contemporanea in cui l’attenzione sia
rivolta al personaggio, allo scandaglio della sua psicologia e delle reazioni che si motivano nel suo rapporto
con le convenzioni sociali e con le persone con cui si trova a contatto.

La prima conseguenza è che nei suoi drammi l’azione diventa secondaria, quello che conta è la reazione a
quelle azioni, la resa dei conti dei personaggi che hanno sbagliato nel passato sacrificando le proprie
aspirazioni in nome di scelte economicamente o personalmente vantaggiose ma che hanno tradito le loro
aspirazioni profonde -> di qui una rappresentazione della società borghese completamente diversa da
quella delle coeve “piéce bien faite” di impostazione francese ma anche di alcuni drammi realisti, perché
la visione della classe borghese è fortemente critica, amara e in molti casi polemica.

CASA DI BAMBOLA

È il primo testo che rivela Ibsen ai contemporanei come un


drammaturgo controcorrente “Casa di Bambola” del 1879, un testo
che subito al suo apparire (foto della prima rappresentazione in
Danimarca di questo testo dopo che il primo allestimento in Norvegia fu
fermato per questioni di censura) fece scandalo per la rappresentazione
di una vicenda familiare ai limiti dell’accettabilità.

TRAMA: al centro della vicenda c’è la storia di una giovane moglie Nora, che è ritenuta frivola e inconsistente
dal marito che però la adora per la sua bellezza e che la relega ad essere una moglie bambola.
In realtà Nora in passato ha contratto un debito per salvare la vita del marito falsificando delle firme su
delle cambiali, indebitandosi in modo impossibile per una signora borghese.
Quando però il marito diventa direttore di banca, il suo creditore (un usuraio) pensa di ricattarla.
Nora sta pagando faticosamente queste cambiali facendo sparire delle piccole somme di denaro al marito,
che lo attribuisce alla sua incapacità di gestire il denaro, ma che in realtà le consentono di conservare
questo segreto di cui lei è molto orgogliosa.
Quando l’usuraio minaccia di denunciarla Nora pensa che suo marito comprenderà la nobiltà del suo gesto
e la perdonerà, invece quando il marito viene a conoscenza della storia va su tutte le furie, la rimprovera e
la minaccia di toglierle la tutela dei figli e di relegarla in casa impedendole di uscire e di intrattenere
qualsiasi relazione per la vergogna che il suo gesto ha gettato sulla famiglia. Poi ritratta la posizione di
minaccia quando scopre che l’usuraio ha ritirato la denuncia.
Per Nora questa è stata la prova della falsità e della mancanza di sentimento che suo marito nutre nei suoi
confronti. Da questa delusione matura la volontà di allontanarsi di casa per ricostruire una vita più
autentica e coerente in solitudine.
Il finale di questo dramma, una donna sposata che lascia marito e figli in cerca di sé stessa era
inaccettabile per la morale borghese. Molti interpretarono il dramma in una chiave femminista accusando
Ibsen di sostenere le cause protofemministe in sviluppo in quegli anni. Non era questa la sua intenzione di
Ibsen, come lui stesso dichiarò durante una conferenza in Inghilterra in cui parlò della volontà di usare
Nora come prototipo dell’individuo che si scontrava condro delle convinzioni borghesi, indifferente delle

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azioni individuali e delle aspirazioni più sincere dell’animo umano.
Ma Casa di Bambola fu considerato l’elemento scandaloso che regalò ad Ibsen il successo nel Nord Europa
ma che lo classificò come drammaturgo controcorrente.

Dal punto di vista drammaturgico è un testo interessante per indagare le tecniche di scrittura del dramma
borghese -> in primo luogo per la scelta dell’ambientazione che coincide con il salotto (che è la tipica
ambientazione dei drammi di Ibsen). Il salotto è l’ambiente più rappresentativo della famiglia perché
mette in relazione l’interiorità, la relazione privata con la dimensione pubblica di questo nucleo familiare,
diventando l’immagine della famiglia e dei personaggi.
Questa attenzione all’ambiente si riflette nel grandissimo peso che nella drammaturgia di Ibsen è
conferito alle didascalie.

DIDASCALIE: nel suo teatro le didascalie si fanno lunghe e dettagliate, accurate fino alla meticolosità.
Non c’è dettaglio che Ibsen non prescriva senza un preciso motivo.
Si potrebbe dire dalla didascalia è già possibile sottolineare la fisionomia psicologica del personaggio. Gli
oggetti di cui si circonda, gli ambienti, la luce, il calore, l’atmosfera dicono molto della storia pregressa del
personaggio, e quindi la prima indagine sul personaggio viene proprio dalla sua relazione con gli ambienti.
[Se per Goldoni e Moliere gli interni possono essere indifferenti e il salotto e le stanze sono delle semplici
cornici in cui si colloca un’azione, non è così per Ibsen]

Il salotto di Nora è solo il salotto di Nora, e solo lei può motivare quelle scelte di arredamento e di gusto,
Questo spiega perché con Ibsen si sviluppa l’attenzione all’allestimento. Non è casuale che lo sviluppo
della drammaturgia borghese di fino 800 vada di pari passi con lo sviluppo della prassi registica.

DIDASCALIA DI APERTURA DELLA CASA DI BAMBOLA- IL SALOTTO DI NORA – I ATTO

Il testo che prende avvio la vigilia di Natale in una ricca casa borghese ->
“Un salotto accogliente, arredato con molto gusto, ma senza lusso. Sulla parete in fondo: a destra, una
porta che comunica con l’anticamera; a sinistra, un’altra che conduce allo studio di Helmer. Fra questi due
usci c’è un piano forte. A metà della parete una porta e, più avanti una finestra. Accanto a questa tavola
rotonda con un divanetto e alcune poltrone. Sulla parete laterale destra, un po' indietro, un uscio e quasi
in primo piano, una stufa in maiolica con qualche poltrona e una sedia a dondolo. Fra lo studio e la porta,
un tavolino. Stampe appese qua e là alle pareti. Uno scaffale con porcellane e altri ninnoli. Una piccola
libreria con libri splendidamente rilegati. Il pavimento è coperto da un tappeto. La stufa è accesa. È una
giornata d’inverno”

È un ambiente raccontato in tutti i dettagli di cui Ibsen si preoccupa di dare una connotazione di classe.
È il salotto di una classe media che ha gusto e se ne intende ma che non può permettersi lusso -> lo
capiamo perché all’inizio del dramma il marito di Nora è stato appena nominato direttore di banca, ci sarà
un periodo di ricchezza economica per la famiglia che però è nell’avvenire, potrà permettersi lussi che
però ancora non ci sono.
Ci sono delle suppellettili che vanno nella direzione del buon gusto di cui la giovane Nora è una perfetta
esponente, ci sono i vari arredi come il divano, la sedia a dondolo e la stufa in maiolica, i ninnoli e la
libreria con libri splendidamente rilegati -> è gente che se ne intende, compra pochi libri con particolare
cura delle edizioni per metterle in mostra come status symbol di cultura a cui la famiglia aspira.
PORTE: una particolare osservazione va riservata alle porte -> Ibsen è meticolosissimo nella descrizione
delle porte che devono essere collocate dove la didascalia lo prescrive all’interno della messa in scena,
perché il rapporto del salotto con le altre stanze è collegato alle porte.
Il salotto borghese di Ibsen è sempre uno spazio che può essere spiato dalle altre porte, c’è sempre una
tentazione da parte di chi vive la casa di origliare dall’altra stanza, e viceversa un sospetto di chi sta
parlando con un interlocutore che qualcuno stia ascoltando la loro conversazione.
È quindi l’immagine di una relazione familiare basata sul sospetto, la famiglia rappresentata da Ibsen è
regolata da rapporti di convenienza, di formalità esteriore che spesso escludono il rapporto fiduciario e

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istintivo che non c’è tra i due coniugi.
La didascalia che Ibsen ci presenta all’inizio di “casa di bambola” ci dà l’immagine di questa famiglia e delle
loro relazioni e mettendo la sottolineatura sull’accoglienza. All’inizio del testo la casa è accogliente e calda
(stufa accesa, tappeto) ma il dramma si dedicherà a dimostrare che questo focolare è estraneo alla
perfezione, solo formale.

LA SCENA FINALE: Indaghiamo il momento in cui crolla la formale serenità della famiglia affrontando la
scena finale della resa finale tra marito e moglie, il momento in cui dapprima il marito scopre la lettera di
denuncia dell’usuraio e poi la seconda lettera che il marito riceve in cui l’usurai ritratta e decide di
rinunciare alla denuncia.
Prima Torvald condanna Nora senza possibilità di recupero per poi ritrattare perché quello che lo
preoccupava, lo scandalo esteriore e il giudizio che la comunità avrebbe dato di lui e della famiglia, è
venuto a cadere e quindi come se nulla fosse Torvald riprende la sua immagine di marito tradizionalista.
Nora ha scoperto però la vera identità del marito e quindi decide di andarsene. La scena dell’abbandono
in cui Nora spiega al marito perché vuole andarsene da casa e vuole ritrovare se stessa è la tipica scena
che Ibsen costruisce attraverso l’uso della tecnica analitica, non c’è più un’azione scenica ma una resa dei
conti in cui due personaggi si confrontano.
I personaggi si confrontano, cercano di dire la loro verità e spesso questa confessione dimostra la
lontananza di punti di vista, l’incomunicabilità dei due personaggi e si raccontano cose che in tutta la
convivenza non avevano mai raccontato. Due punti di vista distanti:

- da una parte Nora che parla dei doveri sacri nei confronti di se stessa, della sua interiorità, dei suoi
sentimenti e delle sue emozioni
- dall’altra parte Torvald che è il perfetto individuo borghese che giudica la vicenda privata e
sentimentale attraverso l’occhio delle convenzioni borghesi. Quello che gli interessa è il giudizio
esteriore che gli altri hanno di lui e non la vera e autentica relazione con la moglie.

Dalla presa di coscienza di questa distanza incolmabile Nora matura la volontà di allontanarsi anche dai figli.

https://www.youtube.com/watch?v=S-n88pOP2To dal minuto 2.03.00 al minuto 2.21.00

APPROFONDIMENTO sulla scena finale. Questo video fa parte della versione Tv della “Casa di Bambola”
del 1968, con Giulia Lazzarini (Nora) e Renato de Carmine (Torvald), Regia di G.Giagni.

SPETTRI (1881): Il dramma successivo di Ibsen che lo consacra a livello internazionale, che continua il tema
di casa di bambole ma sviluppa e introduce un altro grande tema che è l’importanza del passato.
TRAMA: in questo dramma si racconta la storia di una signora matura della buona borghesia norvegese
Helene Alving che per tutta la vita ha cercato di tutelare il buon nome del marito al quale ha anche
costruito in memoria un asilo che sta per essere inaugurato. In realtà il marito, da anni scomparso, era un
uomo depravato e corrotto, che ha tradito più volte la moglie anche con la governante di casa da cui ha
avuto una figlia illegittima che però Helene ha tenuto in casa e allevato. Helene inoltre allontana dalla casa
il suo unico figlio per salvarlo dalla corruzione del padre.

All’inizio del dramma tutto pare crollare e andare contro contro Helene -> il figlio che torna a casa per
l’inaugurazione dell’asilo si rivela malato di sifilide, malattia che probabilmente ha ereditato dal padre ma
che contribuito ad alimentare da se conducendo una vita depravata. Il giovane si invaghisce della
sorellastra. I due riprendono la storia che Helene aveva visto dal marito e dalla governante.
A questo crollo delle certezze e della situazione familiare si aggiungono altri disastri come la devastazione
dell’asilo da parte di una figura bieca a cui Helene aveva posto fiducia.
Nel finale Helene si trova da sola a prendere atto che il figlio sta sprofondando nella pazzia a causa della
malattia.

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È un dramma a fortissime tinte che interessa in quanto la vicenda in sé è soltanto la presa di coscienza del
totale fallimento esistenziale e quello che conta è il passato, che continua a tornare, a chiedere conto ai
personaggi di quello che non era stato fatto, di azioni mancate e di coraggio non manifestato quando si
doveva come avrebbe dovuto fare Helene all’inizio della sua vita ribellandosi alla situazione di ipocrisia che
ha assecondato e alimentato.

Questo dramma viene usato da Andrè Antoine come pièce


introduttiva della seconda stagione del Théatre Libre di Parigi
(1888), uno dei primi teatri importanti per la nascita della regia
in Europa e la sua rappresentazione regala ad Ibsen la notorietà
Europea.
Secondo Antoine, “Spettri” è un dramma sull’ereditarietà che
dimostra come la tara della sifilide passata dal padre al figlio
possa avere esiti devastanti sull’intero gruppo familiare.

I DRAMMI DEGLI ANNI 80


I drammi degli anni 80 che Ibsen continua a scrivere vanno nella direzione dello scandaglio dell’interiorità
del personaggio a scapito dell’azione.
Il passato diventa l’elemento scatenante su cui i personaggi sono chiamati a confrontarsi e l’azione diventa
più inconsistente, mentre gli scambi dialogici servono a mettere in luce i drammi nascosti all’interno della
psiche.
Accanto alla fama di autore naturalista, Ibsen maturi anche una fama di autore capace di un’analisi
psicologica che si apre anche al simbolismo. Ci sono drammi degli ultimi anni 80 come
- “L’anitra selvatica” del 1884

- “Casa Rosmer” del 1886

CASA ROSMER: è il caso più interessante in cui si racconta una torbida vicenda di una mancata relazione
sentimentale tra il Pastore Rosmer (il protagonista) e la governante Rebecca. Nonostante si amino
reciprocamente non riescono a sviluppare un rapporto d’amore sereno e costruttivo, perché entrambi
hanno un legame torbido e irrisolto con il passato, un passato di cui sono stati complici -> tutti e due
hanno indotto al suicidio la prima moglie del pastore Rosmer che si è annegata.
Da quel momento in poi la vita all’interno della grande casa di campagna è diventata per loro
insopportabile, ogni elemento dell’arredo, ogni locale, ogni passaggio della vita quotidiana ricorda loro
quel passato delittuoso, tanto che la vita diventa per loro insopportabile ed il dramma finisce con la
decisione di entrambi di votarsi al suicidio.

“Casa Rosmer” è interessante perché il suo legame con il simbolismo diventa palese quando nel 1893, il
principale regista simbolista francese Aurelien Lugné-Poe, sceglie questo testo per l’inaugurazione del
Théatre de l’Oeuvre, primo teatro simbolista che si apre a Parigi. A noi interessa perché la scelta depone
a testimonianza che Ibsen è considerato il grande autore dell’800 borghese.
Nella sua drammaturgia ci sono elementi di scandaglio del personaggio, di analisi di elementi inconsci
che spiegano perché diventi per i simbolisti un autore di riferimento.

L’ULTIMO IBSEN:

L’ultimo Ibsen va nella direzione di un superamento dell’interesse per l’azione e di una concentrazione
assoluta sulla figura del personaggio che negli anni 90 diventa un eroe maschile che rappresenta la figura
del capitalista, il personaggio del self made men, era alla fine dell’800 una vera e propria categoria
sociale -> l’uomo che si era fatto da solo, aveva fatto grande fortuna e aveva dedicato tutto se stesso agli
affari e all’etica del lavoro spesso calpestando i sentimenti e le relazioni personali.
Proprio su questo modello si concentra l’attenzione di Ibsen negli ultimi drammi

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- “Il Costruttore Solness” 1892
- “John Gabriel Borkman” 1896
- “Quando noi morti ci destiamo” 1899.

In tutti e tre questi drammi l’azione è ridotta e semplice e quello che interessa è il bilancio con il
passato. Il tema del passato torna ad essere dominante perché in questi testi i protagonisti sono tutti
personaggi ormai anziani che hanno la possibilità di fare un bilancio della loro vita personale e della
loro carriera.

JOHN GABRIEL BORKMAN: è un banchiere che ha subito il fallimento e dopo un periodo in carcere vive
isolato in casa, è separato in casa dalla moglie.
All’inizio del dramma arriva a far visita alla moglie la sorella di lei, Ella che riporta i due personaggi nel
passato rivelando di essere stata fidanzata con Borkman ma di essere stata poi rifiutata da lui per la
sorella più giovane.
Il dramma spiegala resa dei conti di questo mancato rapporto sentimentale -> Borkman ha rinunciato a
lei che pure amava per il ricatto di un collega che gli prometteva un avanzamento del lavoro. Ha quindi
sacrificato la sua vita personale per un avanzamento economico e in questo modo si è condannato ad
una vita infelice. È una presa di coscienza di una vita consumata nella perdita dei veri valori in nome di
qualcosa che comunque ha portato tutti al fallimento. Alla fine cerca di riscattarsi dicendo la verità alla
collettività, ma all’uscita viene sopraffatto dal freddo norvegese e muore per un attacco di cuore.

Il tempo anche qui è il motivo centrale del testo per cui l’azione dei personaggi è annullata e il passato è
l’unico elemento su cui i personaggi riflettono. La constatazione che il passato ha plasmato la psicologia e
ha reso infelice la vita a tutti i personaggi.
Ultimo elemento presente è lo scandaglio del rapporto uomo-donna che si rivela molto spesso infelice
basato sulla incomunicabilità, sull’ ossessione del singolo di trovare nell’altro una corrispondenza che
invece non gli sarà possibile ravvisare.

26/03/2020

LA REGIA NATURALISTA
Il fenomeno della regia, le cui origini si collocano all’intero dell’800 ma che si imporrà a pieno all’inizio del
900.
Il problema delle origini della regia è ancora oggi dibattuto dagli studiosi che hanno posizioni diverse.
Per la gran parte degli studiosi l’origine di questo fenomeno si può collocare a partire dagli anni ’30 dell’800
quando, soprattutto in Francia, si impone un modello produttivo dello spettacolo che comporta delle
competenze coordinatrici di diversi professionisti, primo fra tutti l’autore.
Sarebbe quindi l’autore la figura di regista ante litteram che per difendere il proprio testo dagli abusi degli
attori avrebbe introdotto un sistema di direzione della compagnia, delle scenografie e dell’intero progetto
spettacolare.
Nell’ultimo quarto dell’800, con il Realismo prima e il Naturalismo poi, si impone questa nuova procedura
di organizzazione dello spettacolo che è concepita in alternativa al teatro d’attore.

CARATTERI DEL TEATRO DI REGIA:


- l’idea di un teatro di regia nasce con l’obbiettivo di trasformare lo spettacolo teatrale drammatico
in un’opera d’arte unitaria a cui concorrano tutti i codici dello spettacolo, senza che nessuno di
essi prevalga sugli altri.
Questo significa, all’interno del panorama 800esco, un ridimensionamento del divismo degli attori
ricondotti a un operato che debba mantenersi entro dei limiti, volti a salvaguardare la coerenza
del testo.
- La lotta contro il diviso delle prime attrici e dei primi attori è l’elemento che accomuna i primi
registi della fine dell’800 -> all’attore affermato e applaudito i registi preferiscono attori giovani,
spesso dilettanti, ben consapevoli che abbiano meno talento ma disposti a sacrificare il talento
attoriale delle prime parti in nome del maggiore equilibrio di tutta la messa in scena -> nella
concezione del teatro di regia l’attore è solo una delle componenti dello spettacolo. È il registra che

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decide quale parte attribuirgli, come far lavorare l’attore all’interno dello spettacolo.
- Uno dei principi delle compagnie guidate da questi registi dell’800 è la famosa “rotazione dei
ruoli”, cioè la possibilità che il regista scelga di affidare la parte del protagonista a un attore e che
in uno spettacolo successivo questo attore sia chiamato a fare una parte secondaria o minima, in
modo che tutti gli attori possano avere a rotazione il ruolo del protagonista.
- Accanto a questo l’idea di uno spettacolo organico in cui tutte le componenti concorrono
ugualmente al risultato crea nuovi spazi per la preparazione dello spettacolo. Diventano
importanti nel teatro di regia elementi che prima erano del tutto secondari.
- Viene dato maggiore rilievo alle prove che diventano più lunghe, più articolate e condotte sotto la
direzione di un regista che guida gli attori in tutte le fasi di preparazione dello spettacolo.
- Accanto a questo, è importantissima la preparazione che sta a monte dello spettacolo, prima
ancora che inizino le prove. È il periodo in cui nascono costumisti, scenografi e addetti alle luci che
diventano dei professionisti dello spettacolo chiamati a lavorare e a collaborare con il regista. Ne
consegue un ripensamento globale dell’intero allestimento spettacolare, dell’intera messa in
scena il cui autore si distingue sempre più da quello del testo, e diventa il responsabile dello
spettacolo, il regista o “maître de scène” cioè colui che mette in scena.

LA COMPAGNIA DEI MEININGER

Il primo esempio di una rinnovata concezione dello spettacolo in senso equilibrato e collettivo si ha con la
compagnia tedesca dei Meininger, che attraversano l’Europa in una lunghissima tournee che comincia nel
1874 e finisce nel 1890. È una compagnia fuori dalle norme delle compagnie capo-comicali o grand-
attoriali dell’800 -> è una compagnia molto numerosa formata da ben 70 componenti, tutti stipendiati e
messi al servizio del duca Georg II di Sax Meiningen.
Il duca essendo appassionato di arte e di teatro dedica la sua vita all’allestimento di spettacoli teatrali
basati su drammi storici, per lo più shakespeariani, allestiti con una grandissima attenzione per la
ricostruzione filologica degli ambienti.
Il duca impiega moltissimo tempo per la preparazione dello spettacolo progettando di persona le
scenografie che sono ricalcate su studi archeologici o di pittura, così come si occupa anche della
preparazione dei costumi (che non sono più del singolo attore) e dedica moltissimo tempo alle prove.
Lo spettacolo che ne deriva è uno spettacolo di complesso e per questo utilizza in modo dittatoriale e
militaresco la compagnia facendo ruotare i ruoli per cui chi fa il protagonista in uno spettacolo, nello
spettacolo successivo occupa un ruolo minore.
Quello che interessa i contemporanei che fruiscono questo spettacolo è la sinergia delle parti, la capacità
degli attori sulla scena di dar vita a delle scene collettive e di massa perfettamente orchestrate
dall’apparenza perfettamente spontanea e naturale.
In realtà questo lavoro sulle scene di massa che rende i Meininger così leggendari era qualcosa di studiato:
il duca divideva la compagnia in piccoli gruppi e in ognuno inseriva un istruttore che aveva il compito di
coordinare gli attori, in modo da agire con delle controscene in maniera sinergica con gli altri.
Ne risultava una visione viva e articolata che metteva sotto gli occhi dello spettatore qualcosa che non si
era mai visto cioè “lo spettacolo di complesso”, orchestrato da una mente esterna.

È il caso dell’immagine che riprende il momento


del III atto dello spettacolo più famoso dei
Meininger: “Giulio Cesare” di Shakespeare ->
impressionò tutta l’Europa e alcuni dei più
grandi uomini di teatro di quel tempo che
rimangono colpiti dalla sinergia. Quello nella
foto è il III atto con il discorso di Antonio che
mostra al popolo romano la salma di Cesare.
Tradizionalmente, negli allestimenti
shakespeariani, questo momento dello spettacolo
era vissuto come una tirata da grande attore,

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il discorso di Antonio era molto amato dagli attori per la capacità di impressionare il pubblico.
Nel caso dei Meininger il discorso si perdeva all’interno delle reazioni scomposte ma emotive di tutta la
folla che stava attorno, per cui lo sguardo dello spettatore quindi, più che sulle parole e su Antonio, andava a
posarsi sulla folla, come effettivamente doveva essere, perché quello che era interessante era la reazione
del popolo romano difronte alle parole di Antonio. È stata una scena che ha reso leggendari i Meininger.

IL THEATRE LIBRE DI ANDRE ANTOINE

Nel 1887 apre il Théâtre Libre. È la prima sala di teatro


naturalista che fa sua la poetica di Zola teorizzata nel
1881 nel naturalismo a teatro che reclama che sulle
scene teatrali fosse portata la vita vera.
André Antoine fa tesoro delle parole di Zola e imposta
una compagnia semi dilettante di attori che va a far
lavorare in una piccola sala che stava nelle parti di
Montmartre -> era una sala privata a cui si accedeva
solo su inviti e abbonamenti, proprio perché
l’intenzione del regista era quella di aggirare la censura e di garantirsi un pubblico ristretto ma affezionato
per poter presentare ad un pubblico competente i suoi esperimenti drammatici.
Gli attori recitavano secondo la tecnica della rotazione dei ruoli ed erano rigidamente diretti dal regista, il
quale imponeva loro una perfetta adesione a quelli che erano i dettami dell’autore.
Antoine infatti voleva fare della messa in scena una vera e fedele traduzione del testo dell’autore -> si
proclamava servo dell’autore e cercava di rappresentare sulla scena tutti gli spunti presenti nel testo.
La messa in scena era naturalista, quindi con una scena costruita dal vero, con mobili autentici collocati in
maniera da riprodurre una stanza così come la si vedeva nelle realtà, con costumi veri, suppellettili veri,

persino alcuni eccessi come parti di animali macellati, una minestra fumante o la fontanella che zampillava
acqua vera.
L’idea di Antoine era che davvero lo spettatore arrivato a teatro potesse ritrovare sulla scena una realtà
identica a quella della sua quotidianità.

ANTOINE- LA QUARTA PARETE

<- MESSA IN SCENA THEATRE LIBRE DELLA “LA


TERRA” DI EMILE ZOLA (1900)

Antoine adotta come principio fondante


naturalista quello della “quarta parete”, destinato
ad avere una notevole fortuna ben oltre l’800 e per
gran parte della regia del primo 900.
Il principio della quarta parete era già stato
teorizzato da Diderot in sede drammaturgica,
quando aveva parlato della teoria del dramma.
Ora diventa un vero e proprio principio
operativo, un metodo di direzione degli attori.
Antoine parte dall’idea dello spazio scenico come una scatola chiusa, una stanza con quattro pareti in cui
gli attori sono chiamati a vivere come si trovassero nella stanza di casa loro. Addirittura, per abituarli a
questa percezione, Antoine colloca la sala prove del suo teatro in una stanza che ha più o meno le
dimensioni del palco scenico, senza comunicare agli attori quale sarà la parete che lascerà cadere per
lasciare lo spazio alla visione. Si tratta della percezione che l’attore deve avere di un pubblico che lo spia
ma che in effetti non deve essere considerato. L’attore deve recitare sulla scena come se il pubblico non ci
fosse. Quella quarta parete trasparente che è il diaframma tra il palcoscenico e la platea per lui deve

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diventare un vero e proprio muro opaco. La sua recitazione non deve avvenire in nome del pubblico, le
disposizioni non dovranno essere pensate per essere ben visti e applauditi e la scenografia sarà collocata
come se davvero il pubblico non esistesse. Anche qui Antoine arriva ad alcuni eccessi come quello di
mettere sedie o mobili con la spalliera rivolta verso il proscenio in modo da suscitare la presenza di una
quarta parete.
L’arredamento era sempre costruito e progettato in modo da riprodurre realisticamente un ambiente
reale e questo era facilitato dal fatto che Antoine sceglie prevalentemente testi di ambientazione
contemporanea.

IL THEATRE LIBRE DI ANTOINE

TESSITORI DI HOUPTMANN è una scena in cui


Antoine ricostruisce l’interno di una merceria che
aveva fatto arredare con mobili presi
direttamente dai negozi con dei cassetti che
contenevano merce presa in prestuto dai
venditori, quindi con accessori reali e materiali
autentici.
La collocazione degli attori era fatta in modo che
tutta la profondità della scena fosse occupata
non soltanto la parte antistante del proscenio in modo che gli attori potessero essere visti nitidamente dal
pubblico. Interessante è anche la presenza de tavolo messo al centro della scena, quasi come un
impedimento per gli attori che entravano dalle parti laterali perché La presenza degli arredi che intralciava
il movimento degli attori, secondo Antoine avrebbe aiutato gli attori ad avere una gestualità e dei
movimenti scenici molto più naturali.

IL TEATRO D’ARTE DI MOSCA 1898


Si compie un passo successivo nel 1898. Il teatro di Antoine chiude nel 1896 indirizzandosi verso altri teatri
dove continua a svolgere la professione di regista. Nel 1898 si apre questa piccola sala che sarà
l’antesignana di una serie di teatri che da questo prenderanno il nome: Il teatro d’Arte di Mosca -> si
proponeva di fare un teatro di cultura, di selezione di testi e di allestimenti per un pubblico desideroso di
un impegno, di un confronto con la componente teatrale ben lontana da quella che era una visione
commerciale, o comunque di divertimento dei teatri ufficiali (che in genere per la Russia erano a San
Pietroburgo) Non è un caso che questo teatro di trovi a Mosca e che rivendichi la presenza di un pubblico
molto ristretto, in modo che il palcoscenico e il pubblico fossero molto vicini .
Lo spettatore aveva quindi la possibilità di osservare da un punto di vista ravvicinato il lavoro curato
dell’allestimento e delle scenografie e potesse apprezzare l’interpretazione dell’attore.
L’attore era fatto oggetto di una particolare attenzione, tanto che per la prima volta si era pensato alla
presenza di camerini per tutti gli attori e non solo per le prime parti che tradizionalmente avevano il loro
spazio, ma per tutti gli attori nell’idea di una compagnia che concorresse in tutte le parti alla formazione
dello spettacolo.

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La compagnia del teatro d’Arte di Mosca, i cui celebri
fondatori sono Vladimir Dancenko e Konstantin
Stanislavskij, era una compagnia fatta da giovani attori,
appena diplomati e non di grande nome tutti
considerati sullo stesso piano -> da qui la volontà che
tutti avessero il medesimo trattamento, così da potersi
impegnare in spettacoli di impianto corale e collettivo.
Il palcoscenico aveva dei luoghi di servizi per il cambio
delle scene, giacché l’allestimento si basava su una
accurata preparazione dell’impianto scenografico che
fosse restituito alla maggiore fedeltà possibile
all’ambientazione del testo.
Questo teatro avvia una nuova era per la regia naturalista legata a Stanislavskij ma solo la prima fare del
teatro di Mosca è ricalcata sugli esempi della regia 800esca-
Questa sopra è l’immagine di un teatro che avrà un’evoluzione molto vicina a quella del suo fondatore
Stanislavskij e che proietterà dall’800 al 900.

FONDAZIONE DEL TEATRO DI MOSCA


La fondazione del teatro di Mosca rappresenta un punto di svolta, tanto che gli studiosi riconducono al
1898 l’inizio del Novecento teatrale -> si tratta di un evento che cambia non solo del teatro russo, ma
anche quelle del teatro europeo e del modo di lavorare dell’attore.

All’origine della fondazione del teatro d’arte di Mosca ci sono

- Konstantin Stanislavskij, attore e regista a cui compete il compito di


dirigere la messa in scena, impostare il piano di regia, la scenografia e
seguire gli attori nel loro lavoro
- Vladimir Dancenko, autore, dramaturg e direttore d’attore che si occupa
prevalentemente della scelta del repertorio, dell’adattamento dei testi
(delle novità del teatro contemporaneo) e della preparazione iniziale
degli attori.

I due si dividono le competenze anche se comune è il progetto che matura


nell’estate del 1898 di dar vita a un teatro privato che proponesse un repertorio
selezionato e una modalità di messa in scena rinnovata.
PRIMA FASE DEL TEATRO DI STANISLACSKIJ
La prima attività del teatro d’Arte di Mosca e la prima attività di regia di Stanislavskij è all’insegna della
regia europea di impianto naturalistico e filologico.
Anche Stanislavskij, che ha visto i Meininger e ha conosciuto Antoine, cerca di improntare le sue messe in
scena a una restituzione realista e meticolosa della realtà -> si occupa soprattutto di testi di impianto
storico, come “lo Zar Fedor” di Tolstoj che è lo spettacolo che inaugura il teatro d’Arte, ricostruiti sulla
scena con meticolosa precisione con la cosiddetta fase del “realismo esteriore”.
Stanislavskij è convito che la quota di realtà da trasmettere allo spettatore passi prima di tutto ai codici
visivi della scenografia, dei costumi e degli accessori di scena e di qui la meticolosa ricostruzione degli
ambienti che non manca di suscitare molta attenzione nella critica e di attirare l’occhio del pubblico,
almeno di quello più attento, verso il giovane teatro di Mosca.

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L’INCONTRO CON CHECOV
Già alla fine del primo anno di attività, il teatro ha un punto di svolta nel momento in cui Dancenko
propone a Stanislavskij e alla compagnia il testo di un drammaturgo allora quasi sconosciuto: Anton
Cechov -> si tratta de “Il Gabbiano”, un testo già andato in scena nel 1896 al teatro Aleksandriskij di San
Pietroburgo, uno dei teatri imperiali più in voga ma che aveva registrato però un clamoroso insuccesso.
Il pubblico non aveva gradito questo testo così fragile per quanto riguarda l’azione, fatto soprattutto di
atmosfera e di studio dell’ambiente.

Dancenko pensa che per la compagnia questo testo possa


costituire una sfida molto interessante.
Stanislavskij invece sulle prime è un po’ perplesso ->
ritiene che le modalità della scrittura di Cechov e
soprattutto l’ambientazione contemporanea dei suoi
drammi, poco abbiano a che fare con i suoi metodi di
regia. Si ricrederà nel momento della lettura del testo alla
compagnia fatta dall’autore stesso Cechov (a cui si
riferisce la foto).
Cechov rivela a Stanislavskij una nuova dimensione del far regia: non più un realismo basato
sull’esteriorità dei codici visivi, ma un realismo basato sulle emozioni, sui conflitti.
È la svolta fondamentale della carriera di Stanislavskij che passa dal puntare l’attenzione sui codici dello
spettacolo legati alla scenografia e ai costumi al lavoro degli attori -> le sue messe in scena saranno ancora
molto curate e meticolose, ma la sua idea è che l’ambiente debba costituire il contenitore ideale per un
lavoro di autenticità che deve emergere dall’attore.
Il centro dell’attenzione del regista diventa per Stanislavskij l’attore.

IL GABBIANO

A questo approccio viene incontro alle caratteristiche


della drammaturgia Checoviana il testo Il Gabbiano di
cui diventa l’emblema -> un tipo di scrittura in cui
l’azione è assente dalla scena, l’intreccio è esile e
l’attenzione è posta su un gruppo di personaggi.
È difficile trovare in un dramma di Checov un singolo
personaggio che faccia da protagonista al dramma
perché l’attenzione del drammaturgo è distribuita su
una serie di personaggi, ciascuno portatore di una
propria infelicità, di un proprio dramma.

Questo si riflette sulle caratteristiche sul linguaggio-> il linguaggio dei personaggi cecoviani e i loro dialoghi
spesso procedono per linee parallele: in qualche caso si incontrano con le ragioni dell’interlocutore ma poi
tornano a distanziarsi.
È quello che la critica ha chiamato “procedura del dialogo a mosaico”, quasi come se ciascuno dei
personaggi mantenesse una propria linea di sviluppo che va ad intrecciarsi con quelle di altri per formare
un quadro composito in cui domina un’atmosfera di eterna sconfitta, malinconia e rinuncia all’azione
ancora prima di partire.
Le battute iniziali dove due personaggi comprimari stanno dialogando e il personaggio maschile chiede
alla giovane ragazza perché vesta sempre di nero. Lei risponde “porto il lutto per la mia vita, io sono
infelice”.
Ecco il tipico modo di esprimersi dei personaggi checoviani che spesso non riescono ad articolare
compiutamente nel dialogo il loro pensiero, ma si esprimono attraverso pause, false partenze o lunghi
silenzi che sono più significativi delle parole anche perché si accompagnano nella scena ad un
atteggiamento di micro-scene significative.

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Altra caratteristica del lavoro cecoviano è l’ambientazione negli spazi aperti -> non c’è più il salotto
consueto del dramma borghese Ibseniano ma una serie di interni che si alternano con gli esterni e i grandi
spazi della provincia russa in cui i personaggi si sentono soli e sperduti, incapaci di agire e di influire sul
cambiamento della loro vita.
TRAMA: il caso de Il Gabbiano è forse il più significativo: ha una trama molto esile e racconta la vanità
delle illusioni e delle aspirazioni a una vita artisticamente compiuta dalla giovane donna Nina che
inizialmente è fidanzata con Konstantin, nipote del proprietario della tenuta in cui si svolge l’azione che
vorrebbe fare il drammaturgo ed è attratto dagli echi simbolistici. Nina tradisce questo amore partendo
per Mosca per seguire un volgare scrittore che la ha promesso una carriera d’attrice e che poi
l’abbandonerà. Nina tornerà nel suo paese natale per confessare a Kostia il suo fallimento artistico e la
sua volontà di chiudersi in una solitudine provocando la disperazione e il suicidio del giovane nella parte
finale.
Il gabbiano del titolo è la metafora della voglia di Nina di volare, episodio apparentemente secondario
dell’atto II, quando Kostia per capriccio uccide un gabbiano e lo pone ai piedi di Nina -> per lei quello è
l’emblema di quello che potrebbe essere il fallimento della sua vita.

L’allestimento di Stanislavskij realizzato alla fine del 1898 fu un enorme successo che rivelò al pubblico la
grandezza di una regia che non passava dagli effetti scenografici delle ricostruzioni storiche.
Il Gabbiano diventerà da questo momento in poi l’emblema del teatro di Mosca

APPROFONDIMENTO: https://www.youtube.com/watch?v=uzcl4j5qxJM dal minuto 1.30 al minuto 17.40


I scena del Gabbiano nella versione di Orazio costa, versione con adattamento televisivo

SCHEMA A MOSAICO DEL DIALOGO -> si tratta un concertato di diverse voci che vanno tutte ad attestare
un’atmosfera di grande malinconia.
Siamo nella tenuta di campagna dove Kostia sta preparando il suo spettacolo e i futuri spettatori stanno
arrivando per assistere alla rappresentazione.
Quello che domina è la diversa infelicità e la rinuncia a vivere di tutti i personaggi, giovani e vecchi.

- È infelice Kostia che non trova un senso alla sua vita, che vorrebbe una vita artisticamente
compiuta ma che si sente prigioniero di questa piccola provincia.
- Anche lo zio è infelice che vive la vecchiaia con amarezza, come il fallimento delle proprie
aspirazioni, dominata da noia e ostilità nei confronti della campagna dove si rinchiuso.
- È infelice la giovane che apre il testo
- È infelice persino la madre di Kostia che ha un rapporto irrisolto con il figlio.

I personaggi di Čechov hanno tutti una loro pena esistenziale e si impongono alla dimensione dello
spettatore proprio per questa loro dimensione eterna, universale di mancata capacità di incidere sul
presente, si rifugiano nel passato o aspirano al futuro.

DRAMMATURGIA CHECOVIANA

I caratteri de Il Gabbiano si ritrovano anche nelle opere successive che Cechov scrive per la compagnia del
teatro d’Arte di Mosca e che Stanislavskij mette in scena con la sua regia cioè

- lo scarso utilizzo dell’azione


- l’utilizzo di una tecnica decentrata per cui gli eventi, se ci sono, avvengono fra gli atti mentre sulla
scena c’è una stanca conversazione di uomini che, ciascuno in preda al loro affanno, non
comunicano ma tentano a ripetere la loro vana aspirazione.

Si tratta di un modo immobile, chiuso in se stesso con personaggi molteplici all’interno di ogni dramma (5-6
personaggi) di cui si raccontano parallelamente le sconfitte.
Tutto è concentrato alla ricreazione dell’atmosfera.

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Dal punto di vista del carattere i personaggi sono tutti uniti da un’inettitudine all’azione, da una incapacità
di influenzare il presente, anche se sono molto giovani, come avviene per

LE TRE SORELLE 1901 in cui la vicenda delle tre ragazze le coglie all’inizio della vita.

- La più grande Olga ha 28 anni


- poi c’è Masha
- e la più giovane Irina che all’inizio del dramma ha solo 18 anni.

Sono tutte incapaci di assumere un atteggiamento propositivo, attivo e di incidere e modificare la loro
situazione.

La vicenda delle Tre sorelle si risolve su un doppio binario:

- il rifiuto della grettezza della provincia


- l’aspirazione ad un passato che ormai è tramontato: quello dell’infanzia trascorsa a Mosca e
l’aspirazione ad un futuro, infatti il motto ripetuto dalle sorelle è “a Mosca! a Mosca!”.

Tra di loro i personaggi tendono a costituirsi come delle entità isolate, per cui il tipico andamento del
dialogo è quello dell’andamento a mosaico.
In un’atmosfera di questo tipo hanno molta importanza le didascalie e la prescrizione degli oggetti, dei
particolari che si caricano di suggestioni simboliche, diventano emblemi per una vita sciupata o che non si
potrà realizzare.
Questo fa sì che l’atmosfera fondamentale di Cechov non sia tanto il cupo pessimismo ma la malinconia.
La vita di questi personaggi scorre quasi senza che loro se ne accorgano.
Lo spettatore ha l’impressione di qualcosa che si ripete sempre uguale e inutilmente uguale.

QUINDI:

- Scarso interesse per l’azione


- Coralità del dramma
- Scandaglio delle psicologie dei personaggi
- Inettitudine all’azione e conflitto interiore
- Incomunicabilità cioè dialogo a mosaico

IL GIARDINO DEI CILIEGI 1904

È l’ultimo testo di Checov e viene realizzato da Stanislavskij circa sei mesi prima
della morte dell’autore.
Le caratteristiche della scrittura cecoviana si ripresentano mescolate ad altre, ci
sono mescolanza di registri, un montaggio di sentimenti che parte dalla vicenda
personale di una famiglia per poi estendersi a una dimensione universale.
(Nella terza unità faremo un approfondimento del Giardino dei Ciliegi)

QUINDI:

- Mescolanza di registri
- Coralità e autonomia dei personaggi
- Incomunicabilità del dialogo
- Montaggio di sentimenti
- Sconfitta collettiva

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IL SISTEMA DI STANISLAVSKIJ- IL REGISTA PEDAGOGO
La morte di Čechov influenza anche la carriera di Stanislavskij, tanto che si può parlare di punto di svolta.
Da questo momento Stanislavskij dirada le messe in scena dedicandosi alla teoria e alla riflessione sul
lavoro dell’attore -> diventa quindi un regista pedagogo.
L’individuazione avuta grazie alla drammaturgia Checoviaiana della centralità dell’autore nello spettacolo
teatrale lo porterà ad elaborare una teoria che verrà conosciuta come il “sistema di Stanislavskij” -> si
tratta di una teoria e di un insieme di modalità di lavoro dell’attore che parte dal 1906 e va sviluppandosi
nel corso degli anni con notevoli ripensamenti in un’ultima fase, stratificandosi prima in una serie di
contributi teorici e poi all’interno di opere specificamente dedicate al lavoro dell’attore.

Il punto di partenza di S. è che personaggi come quelli di Cechov, dotati di una psicologia psicologica e
interiore profonda, hanno bisogno che l’attore li approfondisca con un lavoro di immedesimazione che sia
oggetto di un vero percorso psicotecnico che porti a vivere più che a recitare la parte.
Bisogna quindi fare una distinzione tra vivere e recitare:

- RECITARE è l’atto dell’attore che sulla base del ruolo prende su di sé le caratteristiche del
personaggio esteriormente, ma non riuscirà mai a essere davvero autentico e a colpire dritto nel
cuore del pubblico.
- VIVERE: l’attore deve vivere la parte e fare quell’operazione che in senso tecnico si chiama
“reviviscenza” cioè il caricarsi delle emozioni del personaggio cercando di restituirle attraverso il filtro
della propria personalità.

È proprio questo l’obiettivo dell’attore e da questo il regista deve condurre il suo attore.
Nel sistema di Stanislavskij l’attore diventa proprio il centro dello spettacolo teatrale e la sua
interpretazione si avvale del suo contributo come persona e come individuo-> questo fa sì che la sua
interpretazione diventi unica e irripetibile. Se l’attore riuscirà a vivere dentro di se le emozioni del
personaggio, la sua interpretazione sarà vera e l’emozione che trasmetterà al pubblico sarà reale e non
realistica.
Per arrivare a questo obbiettivo Stanislavskij individua alcune fasi fondamentali del processo che l’attore
compie sotto la guida del regista.

- CICOSTANZE DATE: il primo è un approfondimento e uno studio del testo, per impossessarsi di una
serie di elementi che lo aiuteranno a entrare nella parte, le cosiddette “circostanze date” che sono
rappresentate dalla trama, dagli avvenimenti, dal tempo e luogo dell’azione, dalle condizioni sociali e
storiche dei personaggi, dalle loro relazioni personali in modo che l’attore conosca le dinamiche
strutturali del testo e ripercorra il processo creativo che ha fatto l’autore conoscendo tutto il testo e
non la sua sola parte.

- SOTTOTESTO l’attore comincia poi a fare appello alla propria dimensione immaginativa, occorre che
l’attore ricostruisca tutta la biografia del personaggio e non solo ciò che è rappresentato nel testo.
Deve chiedersi che cosa c’è stato prima per quel personaggio e che cosa potrebbe esserci dopo, deve
immaginare quello che S. definisce il “sottotesto” -> il sottotesto è basato su indizi presenti nel testo,
rielaborazioni e riflessioni che spiegano il perché di certi atteggiamenti.
L’attore riesce così ad entrare nella testa del personaggio e a spiegarsi certi comportamenti.

- MAGICO SE: perché il processo si compia è necessario l’ultimo e più importante passaggio: “il magico
sé”, cioè la domanda chiave. L’attore si deve chiedere “che cosa proverei se fossi in quella
situazione?” Per dare una risposta l’attore deve fare ricorso alla sua biografia e alla sua storia
emozionale. È il vissuto dell’attore che aiuta a vivere autenticamente il personaggio.

Se l’attore si chiedesse cosa proverebbe, potrebbe trovare la risposta attraverso la “memoria emotiva” -
> si tratta di una sorta di archivio delle emozioni che stanno dentro ciascuno di noi e da cui l’attore deve
trarre quella più giusta.
Lo scopo del ricorso alla memoria emotiva è ritrovare un’emozione autentica e il più possibile vicina

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a quella richiesta, attraverso un’attività di posizione similare all’atteggiamento del personaggio.
Come dice Stanislavskij, se un attore deve rappresentare Otello e la gelosia non deve essergli capitata la
stessa cosa nella realtà ma dovrà andare a cercare nella sua memoria emotiva un momento di passione
intensa, di gelosia e frustrazione che lo ha portato a perdere il controllo di se stesso e indotto a
comportarsi come non avrebbe mai fatto -> solo in quel modo potrà trovare l’intensità della emozione.
Non si tratta di andare a ricostruire le dinamiche di un’emozione per ricostruirla sulla scena ma di trovare
la “perlina” e riportarla dal proprio vissuto a quella del personaggio, una piccola porzione di emozione
intensa e vera che potrà produrre una soluzione efficace sulla scena. Una ricerca nel privato perché
scateni un’operazione creativa che finisca per riflettersi sull’io personaggio.

LE OPERE TEORICHE DI STANISLAVKIJ

- “LA MIA VITA NELL’ARTE” 1924. È una biografia del momento in cui S. si è trasferito in America per
fuggire dalla Rivoluzione del suo paese dove farà ritorno episodicamente trascorrendo gli ultimi anni
della sua vita negli USA e in Europa.
- “IL LAVORO DELL’ATTORE SU SE STESSO” 1936
- “IL LAVORO DELL’ATTORE SUL PERSONAGGIO” lasciata incompiuta nel 1938 e poi pubblicato nel 1961

Nell’edizione italiana più diffusa i due volumi sono uniti in due volumi il titolo di “Il lavoro dell’attore”.

Negli ultimi anni, quelli relativi alla fase americana, Stanislavskij ripensa radicalmente al suo metodo di
approccio all’attore che denota quando la sua attenzione nei confronti della pedagogia dell’attore venisse
verificata di volta in volta e sulle difficoltà che gli interpreti potevano riscontrare nell’applicazione -> si
rende conto che il metodo di psicotecnica che l’attore deve mettere in atto è estremamente difficile,
soprattutto ha delle percentuali di fallimento altissime per quanto riguarda la difficoltà dell’autore di
ottenere un’emozione efficace e soprattutto di riprodurla identica a se stessa nel corso delle repliche -> Lo
spettacolo teatrale va recitato ogni sere e l’attore non sarà in grado di riprodurre con la stessa efficacia
l’emozione ritrovata. Questo spiega perché il metodo Stanislavskij diventa in America il più adatto per gli
attori cinematografici e come invece in teatro vada limato e coniugato con altre esigenze.

METODO DELLE AZIONI FISICHE: S. mostra di rendersi conto di questi limiti e negli ultimi cinque anni della
sua vita elabora un altro approccio, il cosiddetto “metodo delle azioni fisiche” -> l’obbiettivo finale resta
sempre lo stesso, quello di avere una e una resa autentica sulla scena.
Quello che cambia è il percorso e infatti Stanislavskij pensa che la domanda più facile per l’attore è “come
agirei se fossi personaggio?” In questo secondo caso si va a chiamare in causa il corpo e quindi il montaggio
di azioni fisiche specifiche che possono aiutare l’attore a creare una sua memoria.
I discepoli americani di Stanislavskij traducono la versione in un passaggio alla terza persona e quindi
l’attore si potrebbe chiedere “come agirebbe il personaggio?” in questo modo mettendo una distanza tra
sé e il personaggio e comprendendo all’interno del processo creativo quelle parti che sono troppo lontane
dalla sua psicologia e dal vissuto dell’attore.

Il metodo delle azioni fisiche mostra la sensibilità di S. alla scena 900esca dei suoi anni che è caratterizzata
da una rinnovata attenzione per il corpo e per il movimento.
Il punto di partenza è infatti una serie di improvvisazioni fisiche di movimenti senza che l’attore conosca il
testo.
Quello che S. chiede agli attori è quella di immaginarsi la situazione in cui si trova il personaggio e di creare
una serie di azioni fisiche che motiverebbe la risposta del personaggio.
È importante che l’attore non sappia il testo a memoria, deve solo individuare azioni e oggetti, poi ci sarà
il montaggio di queste azioni e sono all’ultimo si introdurrà il dialogo.

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