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Le poche fonti che noi abbiamo concordano tutte sul fatto di collocare l’origine degli spettacoli teatrali
all’interno del rituale religioso, in particolare le manifestazioni teatrali che ci sono attestati dalle fonti
archeologiche e storiche mettono in correlazione i primi modelli di canto rituale e quindi di manifestazione
teatrale con i riti del dio Dionisio, che diventerà Bacco nella tradizione latina, il Dio del vino.
A Dionisio era dedicato il principale teatro dell’antica Grecia, quello di Atene e per molto tempo era compresa
nello spazio teatrale un’ara per i sacrifici a questa divinità. Al rituale dionisiaco, che prevedeva una serie di
inni danzati e cantati, sono strettamente connessi i termini legati all’origine della tragedia:
- il ditirambo era un canto rituale eseguito in onore del Dio
- etimologia della parola tragedia (tragoidia), è composta dalle parole tragos e oidè (canto del capro)
che rimandava al rituale sacrificale tipico di Dioniso.
L’IDEA DI TEATRO originario dell’antica Grecia è una dimensione collettiva in cui la comunità si riunisce per
rinsaldare e confermare la propria adesione a valori comuni.
In effetti lo spettacolo teatrale dell’antica Grecia e del mondo antico è sempre uno spettacolo destinato
all’intera collettività e collocato in precisi momenti dell’anno coincidenti con le feste religiose.
Il teatro nasce in Grecia caricato di fortissimi valori collettivi prima religiosi e poi civili e culturali.
Lo spettacolo è un evento che riguarda tutta la comunità e che si colloca in un tempo festivo, quindi in cui la
quotidianità viene sospesa e tutti si dedicano alla celebrazione di quell’evento.
Questa è una caratteristica che durerà nel mondo occidentale fino al rinascimento, nella metà del 500.
Il teatro non è come nel mondo contemporaneo un’attività che scorre parallela al fluire della vita
professionale ma un’attività dedicata alla celebrazione di precisi eventi, categoria della festa che è sia
religiosa che civile, e si colloca al di fuori della temporalità ordinaria (dobbiamo arrivare alla nascita degli
iconici dell’arte per far si che lo spettacolo diventi parallelo alla vita consueta).
Atene era la principale città dove si svolgevano gli spettacoli teatrali.
La maggiore festività religiosa era quella delle grandi dionisie: celebrazioni in onore di Dioniso che si
svolgevano in primavera, quando si riapriva la stagione della navigazione e ad Atene confluivano numerosi
visitatori e rappresentanti delle città alleate ai quali la città offriva come esempio della sua coesione culturale
e della sua potenza proprio gli spettacoli teatrali. Grande rilievo all’interno della vita collettiva assegnata al
teatro come attività civile, morale e religiosa, sostenuta e finanziata dallo stato.
Organizzazione degli spettacoli: sono le autorità cittadine che organizzano gli spettacoli, questo è uno dei
tratti che arriverà al punto di svolta.
Esisteva un magistrato preposto all’organizzazione degli spettacoli, “arconte Eponimo” quello che dava il
Struttura teatro: questa è una ricostruzione del teatro di Dioniso che esiste ancora.
Originariamente le strutture destinate al teatro sono rudimentali, non siamo in presenza di un edificio, è
scorretto dire che il teatro greco è un edificio, non c’è una struttura architettonica che sostenga il teatro e la
parte destinato al pubblico è il pendio della collina, quindi luogo naturale dove venivano poggiate delle travi
di legno e che poi con gli anni vennero trasformate in gradinate di pietra
Theatron cioè “luogo da cui si guarda” -> questo significa che in origine il teatro è atto per essere
guardato e questo malgrado si ritenga che il teatro greco sia il teatro del logos, delle parole.
Spettacolo invece viene da “spectaculum, il luogo da cui si guarda”, quindi torniamo sempre alla radice,
cioè l’aspetto visuale è l’aspetto fondante del teatro, la parola esiste ma lo spettacolo, l’evento teatrale
è fin dalle origini qualcosa che si guarda.
- questi sono teatri che hanno una capienza di 12000 spettatori.
MASCHERA: questo non significa che esistessero soltanto tre personaggi perché l’attore nel mondo greco
poteva interpretare più parti grazie alla presenza di una maschera che gli copriva interamente il volto, quindi
il teatro poteva anche avere 5-6 personaggi, perché i tre attori potevano rivestire altri ruoli.
Di solito solo il protagonista faceva una sola parte (perché la parte più lunga e più impegnativa) gli altri due
attori facevano più personaggi. Tutto questo era reso possibile attraverso la presenza della maschera.
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SIGNIFICATI DELL’USO DELLA MASCHERA: Per la maschera, che è costante almeno per la tragedia, è possibile
concordare con la maggioranza degli studiosi riconoscendogli due significati:
• RITUALE: il primo era di origine rituale che si ricollega a quelle che erano le origini rituali del teatro
per cui l’autore diventa altro da se e interpreta l’archetipo umano e non la figura individualizzata, il
che ci indica molti significati su quello che è la lettura dei personaggi della tragedia greca, figure
eroiche, elevate di incarnazione di valori.
In più la maschera aveva funzione di amplificatore della voce -> Per un attore del mondo antico la
voce era l’elemento fondamentale del talento artistico e l’aspetto su cui maggiormente si
concentrava il consenso del pubblico. Sappiamo che Sofocle (uno dei tragediografi) in gioventù tentò
di fare l’attore ma dovette rinunciare per la mancanza della potenza vocalica.
All’attore greco era richiesta una grande capacità vocale, sia come potenza che come modulazione
della voce perché la recitazione che era in versi era qualcosa di simile alla nostra salmodia, o
comunque ad una ritmicità di recitazione che richiedeva una buona padronanza ritmica e tonale.
LA TUNICA: completava il costume dell’attore la tunica completata da alcuni accessori che dovevano indicare
le caratteristiche del personaggio -> nella foto vediamo
a) un attore che interpreta Ercole e lo sappiamo sicuramente perché ha la clava e la testa con la pelliccia
di leone
b) poi c’è un altro attore che ha un abbigliamento caprino e quindi fa pensare alla guida del coro,
corifeo.
c) Tutti gli altri sono i componenti del coro.
Tutta la tragedia greca aveva all’interno degli interpreti
- un gruppo di attori che erano inizialmente dilettanti ma che poi diventano professionisti
- il gruppo del coro, 12 o 15 componenti, a seconda delle tragedie, questa volta dilettanti, spesso presi
tra la popolazione dal corego e portati sulla scena, istruiti a danzare e recitare le parti del coro.
Questo cementava ancora di più la partecipazione del pubblico che non conosceva gli attori ma
poteva conoscere i componenti del coro.
CALZATURE: Un altro dettaglio è quello della calzatura-> nel V secolo gli attori indossano dei sandali rasoterra
molto simili a quelli della vita quotidiana, questo perché il movimento degli attori fra il palchetto “logheion” e
l’orchestra era minimo; le altezze permettevano un passaggio degli attori anche nella parte dell’orchestra,
alcuni studiosi hanno supposto che nel V secolo non ci fosse un vero palcoscenico.
SKENÈ: c’era sicuramente la skenè, la parete scenica che si ergeva dietro gli attori e che era nata con una
funzione assolutamente pratica. Skenè in greco significa “tenda” perché originariamente di questo si trattava,
di una baracca costruita con parti di tela e adibita alla conservazione delle maschere (che era più di una
perché l’attore rappresentava più di un personaggio).
Piano piano la skenè va modificandosi diventando una parete in pietra che assume carattere sempre più
monumentale fino a raffigurare la facciata di un palazzo.
Questa evoluzione va di pari passo con l’evoluzione dello spazio teatrale greco nel momento del passaggio
all’età ellenistica.
TEATRO DI EPIDAURO: Il più famoso teatro greco del IV secolo ancora esistente, cioè quello di Epidauro,
straordinariamente concepito con delle capacità acustiche straordinarie ma che già attesta una fase dello
spettacolo che è ormai distinta da quello spettacolo del V secolo in cui erano nate le grandi tragedie della
classicità.
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SCENOGRAFIA ED EFFETTI SPECIALI: questo è il periodo in cui si cominciano ad avere elementi di scenografia
ed effetti speciali.
Tra gli elementi di scenografia si impone la regola delle 3 aperture della skenè, quella centrale per il
protagonista, quelle laterali per i due attori di contorno e l’utilizzo di alcuni effetti ->
- theologeion, la terrazza sopra la parete scenica che ormai è di pietra, la skenè che veniva usata per
l’apparizione degli dei,
- Mechanè legata ad un espediente drammaturgico già rodato nel V secolo con Euripide e cioè
l’espediente del deus ex machina che era la divinità che entrava nel finale per risolvere una situazione
che le forza umane non avrebbero potuto portare a nessuna conclusione.
L’intervento esterno che improvvisamente produce la soluzione in un contesto apparentemente
bloccato. Il deus ex machina era una divinità calata attraverso una carrucola o a far scendere il
personaggio che veniva salvato verso gli dei.
- Ekkyklema: pedana che veniva fatta avanzare attraverso le porte per rilevare l’esito di una tragedia.
La norma della morale greca impediva lo svolgimento di omicidi direttamente sulla scena, per cui
avvenivano fuori scena e venivano narrati. Questo era collegato anche ai condizionamenti dello
spettacolo, perché in un teatro come quello greco in cui non esiste sipario, quindi si crea un
meccanismo che possa mostrare l’esito della tragedia.
- Altra cosa legata all’apparizione degli dei era la scaletta di Caronte, passaggio sotterraneo attestato in
alcuni teatri, che partiva dalla skenè ed emergeva nell’orchestra per cui l’attore poteva sparire e poi
riapparire dall’orchestra dando un effetto particolare.
ABBIGLIAMENTO ATTORI: questi effetti scenici diventano gli effetti più in uso durante l’età ellenistica dove
cambia il costume dell’attore. Per adeguarsi all’aumento della monumentalità dell’edificio, la visione
dell’attore va modificandosi rispetto al secolo precedente:
- Gli attori cercano di aumentare la loro statura con delle calzature -> coturni (zeppa altissima per
adeguarsi alle proporzioni del teatro)
- adeguano anche la dimensione dei costumi -> spesso gli attori si mettevano anche delle imbottiture
per sembrare più possenti, adeguandosi alla statura eroica dei personaggi.
- Così si sviluppano anche le maschere che assumono un’espressione molto più marcata rispetto alle
dimensioni delle maschere precedenti di cui sono rimasti molti esempi.
- Onkos: parrucca che è elevata in altezza.
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ATTORI UOMINI Il fatto che il teatro greco sia legato alla narrazione ed espressione verbale dell’emozione e
dei sentimenti, è collegato alla difficoltà di costruire delle azioni mimiche, di muoversi con disinvoltura
all’interno di questo contesto.
Gli attori erano tutti uomini e lo saranno per moltissimo tempo, anche qui la svolta arriva nel 500 con la
commedia dell’arte. Per tutto il mondo antico e per il medioevo si ritiene immorale per le donne andare in
scena. Ci saranno alcuni esempi di donne attrici nell’antica Roma ma la loro qualifica morale e sociale le
apparentava alle prostitute.
Il grande teatro che si investe di contenuti culturali e civili è sempre e solo recitato dagli uomini questo ci
spiega perché la scrittura delle tragedie va in una direzione che non è realistica e per cui le passioni, le
emozioni, le grandi eroine devono essere rilette in questo contesto, tenendo in conto delle condizioni per cui
sono state scritte e create.
TRAGEDIA V SECOLO: dobbiamo tenere conto che questi grandi capolavori sono scritti per la
rappresentazione e solo a partire dal IV secolo, quindi a partire dalla fine della grande parabola della tragedia,
che lo stato ateniese decide di depositare presso gli archivi di stato i testi delle grandi tragedie del passato per
dare una versione ufficiale a delle storie che erano state nel corso del tempo travisate e corrotte.
Questo decreto del 330 a.C. che deposita le copie autentiche, che salva le tragedie e le fa entrare nel canone
della letteratura perché da lì vengono prese le copie che si diffonderanno in tutto il mondo ellenistico
diventando punti di riferimento -> questo vuol dire che Eschilo, Sofocle ed Euripide, i tre grandi tragici
scrivono dei copioni per andare in scena alle Dionisie sperando di vincere. Scrivono dei testi che devono
essere immediatamente recitati e per questi non hanno le didascalie. Uno dei problemi filologi della Grecia
antica è appunto quello delle didascalie che sono moderne. L’autore era lì e seguiva l’allestimento e quindi
dobbiamo pensare che quella poesia veniva pensata per essere letta.
LA STRUTTURA DELLA TRAGEDIA era fatta per seguire l’andamento dello spettacolo così come era costruito in
quel momento, infatti se andiamo a guardare la scrittura delle tragedie non troviamo atto I scena I ma una
struttura diversa, quella dello spettacolo.
• Prologo: poteva anche non esserci, come in quelle più antiche
• Parodo: l’entrata del coro
• Episodi: recitazione degli attori spesso in dialogo con il coro
• Stasimi: i canti del coro che per tutto il tempo stava nell’orchestra
• Epiologo: fine della tragedia che prevedeva l’uscita sia degli attori che del coro
TEMATICHE DELLE TRAGEDIE: il pubblico amava moltissimo la tragedia, molto più che la commedia perché la
tragedia presentava temi appartenenti al patrimonio culturale collettivo, tratti dai racconti mitici che il
pubblico già conosceva e che quindi valutava la bravura dell’autore attraverso la capacità di trasmettere i
valori condividi dall’intera comunità attraverso la storia dei miti.
EURIPIDE: vive alla fine del V secolo ed è tra i tre il meno apprezzato dai contemporanei, quasi mai vince alla
Dionisie e il pubblico dei conservatori lo considera dissacratore perché si fa interprete di quella sensibilità che
vede diminuita la fiducia nei valori che hanno fatto la gloria della polis e sente molto forti le dissonanze che
hanno portato alla decadenza del mondo della polis greca: sfiducia nei grandi valori collegata alla mancata
fiducia nei miti
CARATTERISTICHE: Infatti la caratteristica che accomuna la produzione di Euripide è la tendenza a rielaborare
i miti -> spesso racconta delle storie mitiche che manipola.
Introduce la storia secondo cui Elena non sarebbe mai arrivata a Troia ma resta in Egitto mandando a Troia il
suo fantasma.
L’idea di Euripide è quella di essere un grande innovatore, di aggirare la sostanza mitica che è il pilastro base
della trama di una tragedia per concentrarsi sull’intreccio e sul personaggio.
Mentre le tragedie di Eschilo e Sofocle sono semplicissime dal punto di vista dell’azione, in quelle di Euripide
sono intricate, ci sono dei colpi di scena, dei ribaltamenti delle sorti -> ad Euripide interessa mettere in luce i
cambiamenti emotivi dei personaggi.
PERSONAGGI: I suoi personaggi non hanno più la statura degli eroi precedenti ma sono personaggi
combattuti, fragili e molto umani, dominati dagli istinti e dalle passioni.
Euripide è interprete di una sensibilità orientata verso il futuro (quella del mondo ellenistico), motivo per cui
non è un caso che ci siano molte più tragedie di Euripide: 17 tragedie contro 7 e 7 dei precedenti.
Euripide è amatissimo dai posteri perché è quello meno legato al mondo dei V secolo.
PERSONAGGI FEMMINILI: è il grande tragediografo dei personaggi femminili: Medea, Andromaca, Fedra,
sono figure che introduce lui nella drammaturgia.
IPPOLITO INCORONATO: La tragedia di Euripide con Fedra si chiama Ippolito -> quando Euripide rappresenta
sulla scena l’incesto tra Fedra e Ippolito con il titolo “Ippolito velato”, perché il personaggio si sarebbe coperto
il viso per la vergogna, il pubblico lo censura e la tragedia non va in scena. Euripide riscrive la tragedia per
poter partecipare al concorso e lo chiama “Ippolito incoronato” dove c’è una modifica della struttura che
riesce ad aggirare la censura morale del tempo; e comunque all’interno della vicenda si impone sempre e
comunque la figura della regina Fedra più che quella di Ippolito.
TRAMA MEDEA: è uno dei grandi successi di Euripide (si era piazzato terzo) -> mette al centro la figura di una
donna dominata da una passione d’amore distruttiva. Medea è una straniera che ha sposato Giasone, eroe
degli Argonauti, che una volta diventata moglie e madre di due figli, si vede scavalcata da una donna più
giovane. Impazzisce di gelosia e di rabbia, uccidendo i figli avuti da Giasone per punire l’uomo di questo
tradimento.
Il mito di Medea rientra nel teatro variamente giudicato perché Medea si copre del peggiore dei delitti quindi
non può essere moralmente giustificata (Euripide arriva al limite della sfiga) eppure è il personaggio che
domina la tragedia per la forza, per la rabbia con cui grida, la passione che l’ha portata dimenticare tutta se
stessa per l’uomo in cui credeva. Questo fa si che Euripide alla fine non la punisca. La tragedia non finisce con
INGRESSO A TEATRO: I romani si inventano il sistema di ingresso nel teatro attraverso il sistema di scale e gli
accessi alla cavia. L’edificio era grandissimo e pensato per tutta la collettività che però entrava ordinatamente
perché ciascun settore aveva una porta indicata con un numero e il pubblico aveva un biglietto con il numero
del settore.
STRUTTURA TEATRO: all’interno il teatro romano riprendeva moltissime delle caratteristiche di quello greco,
rimaneva il sistema delle gradinate, rimanevano i corridoi, rimaneva l’orchestra e la scena ma l’evoluzione
dello spettacolo torna a farsi sentire perché la diminuita importanza dell’orchestra qui diventa evidentissima.
L’ORCHESTRA è ridotta ad un semicerchio.
Lo spettacolo si svolge sul palcoscenico, l’orchestra diventa sempre meno importante e a partire dal II secolo
ospita i seggi per gli spettatori eminenti, divenendo una parte quindi della platea.
Questa forma non è la forma più consueta (che è quello dell’anfiteatro, che risponde meglio alle esigenze dei
generi spettacolari visivi).
Quello che conta rimarcare è il cambio di passo e la nascita del vero edificio teatrale, organizzato su due
elementi:
• il pubblico
• la scena
L’orchestra ormai è completamente superata, abbiamo pochissimi esempi di tragedie romane ma
probabilmente il coro agiva sul palcoscenico che si chiamava “pulpitum”.
In questo contesto il teatro drammatico era un genere minoritario che trovò la sua massima espansione nel II
secolo della Repubblica per poi diventare del tutto secondario durante l’impero.
I latini scrivevano per il teatro, lasciando una serie di modelli che hanno fornito fonti di ispirazioni per il teatro
successivo.
FABULA: per definire i generi si usava il termine “fabula” accompagnata da un aggettivo che la definiva:
• Fabula cothurnata che era la tragedia di impianto greco e mitologico
• Fabula praetexta di ambientazione e argomento romano; la toga praetexta era la toga rossa dei
senatori, quindi l’aggettivo che indica la tematica e che connota il genere
• Fabula palliata composizione comica, commedia di ambientazione greca che prendeva il nome dal
pallium che era il mantello corto dal taglio rotondo
2. ATTORE: C’era una seconda motivazione che fa nascere un filone di disprezzo per il teatro che andrà
avanti fino all’800. Ad essere oggetto del discredito è l’attore in quanto professionista del falso -> un
uomo che sale sul palcoscenico, rappresenta discorsi ed emozioni false, spacciandoli per vere. Erige la
falsità a modello di vita. L’esaltazione del falso diventa l’insidia peggiore per una morale che invece
persegue l’obiettivo contrario, e diventa persino un elemento di sovversione sociale.
I padri della chiesa non fanno altro che sviluppare un filone di discredito sociale e morale che nei
confronti dell’attore si era già sviluppato nel mondo romano.
Mentre nel contesto culturale greco l’attore professionista poteva anche avere un notevole prestigio
come figura e come uomo, nel mondo romano l’attore è percepito come una figura estranea alla
moralità del cittadino.
ETIMOLOGIA: basta andare a guardare le parole che designano l’attore.
• In latino esiste la parola actor, dal verbo ago che vuol dire “portare avanti, condurre” ma non
è la parola più consueta per indicare l’artista che lavora sul palcoscenico perché actor è
imparentato con l’arte dell’oratoria.
• Actio era una delle parti della narrazione, infatti Cicerone usa questa parola più per indicare
l’oratore che declama la sua orazione che non per indicare l’artista che recita.
• Nella lingua comune per parlare dell’attore si parlava dell’istrio-oris, parola etrusca, straniera
che indicava proprio il performer, un tipo di interprete che si cimenta in diverse specialità e
come nella nostra lingua, già nel latino classico, istrio ha una connotazione negativa, valenza
spregiativa.
• Nei secoli dell’impero accanto a queste due parole si riprende la parola greca “ipocrites” che
diventa ipocrita. Originariamente vuol dire attore (in greco era addirittura il risponditore del
coro, quindi una parola neutra) ma nei primi secoli dell’era cristiana, anche questa parola
assume una connotazione negativa, ipocrita per noi è colui che dice il falso; torniamo quindi
all’idea che l’attore è colui che dice il falso.
Questa opera di smantellamento di tutto il sistema ideologico dello spettacolo del mondo classico arriva a
risultati devastanti, scompare l’edificio teatrale ma scompare anche l’idea stessa di spettacolo teatrale.
ISIDORO DI SIVIGLIA: Nel VII secolo Isidoro di Siviglia scrive “le etimologie” che sono una sorta di summa di
quella che è la cultura del mondo precedente; è interessante vedere che dice dello spettacolo teatrale cioè
che è fatto da due componenti:
• l’actor che legge o recita le parole
• l’histrio che le drammatizza
Si è persa quindi l’idea stessa della rappresentazione teatrale, nell’alto medioevo non si sa più come era
fatta una rappresentazione teatrale nel mondo classico.
ATTORI: gli attori a quest’altezza sono tutti i chierici, appartengono alle abazie o al clero secolare e recitano
rigorosamente in latino. Sono attori dilettanti, occasionali che si occupano prevalentemente della parte
vocale. Questo vuol dire che se c’è un codice mortificato è quello della gestualità, quello che ci si preoccupa di
fare arrivare è il messaggio.
DRAMMA SACRO:
Le cose cambiano rapidamente grazie al successo della forza comunicativa del teatro.
A partire dal XII secolo in contemporanea con l’uscita del dramma dallo spazio della chiesa la produzione dello
spettacolo interessa sempre di più le autorità laiche, il sagrato e il quadriportico risultano ben presto
inadeguati alla fruizione di tutta la collettività e lo spettacolo diventa un evento della vita cittadina, della sua
produzione cominciano ad interessarsi le confraternite e le corporazioni, cioè le associazioni di categoria delle
arti e dei mestieri, le quali fanno un punto di vanto della loro qualifica nella volontà di partecipare e pagare le
spese di allestimento dello spettacolo.
SPETTACOLO: diventa una sorta di “status symbol” della potenza di una corporazione il fatto di poter
presentare all’interno del dramma sacro l’allestimento di un luogo deputato il più possibile rappresentativo e
sontuoso della loro qualifica personale.
Una prospettiva del genere porta allo sviluppo degli apparati scenografici. Le corporazioni veleggiano una con
l’altra perché il proprio luogo deputato sia più sontuoso e con effetti spettacolari.
Lo spettacolo diventa quindi un evento dal punto di vista visivo, ritorna quell’attrattiva legata alla visività che
nei primi secoli era stata bandita come pericolosa, l’argomento rimane rigorosamente quello sacro.
L’argomento sacro legato alla storia sacra che però assume moltissime varianti.
A partire proprio dal XII secolo si comincia a distinguere veri e propri generi nel dramma sacro che andranno
avanti nel teatro europeo ben oltre il rinascimento, arrivando ad essere rappresentati fino alla metà del 600.
Il teatro medievale va avanti parallelamente al teatro rinascimentale (che è un’invenzione italiana) per molto
tempo, e quindi due filoni coesistono all’interno della civiltà teatrale europea a conferma dell’impatto
emotivo che questo tipo di spettacoli avevano sulla collettività.
Lo spettacolo medievale è amato da tutto il popolo.
GENERI:
• MISTERI: Il genere più famoso è quello dei misteri inteso in senso liturgico come episodi di storia
sacra, con una tematica che passa da quello della risurrezione a quello della passione.
Il tipo di mistero più rappresentato è la passione in cui il tema centrale è la figura umana del cristo
sofferente. (I sociologi della letteratura troveranno questa cosa molto significativa perché coincide
con quel recupero per l’interesse dell’umano che va a sostituire l’immagine della divinità). In questa
dimensione il messaggio principale è quello della sofferenza, del sacrificio del Dio uomo.
TEMI: I misteri diventano sempre più complicati.
◼ la passione ha degli episodi preliminari e degli episodi successivi, spesso prevede anche la
resurrezione, l’ascensione al cielo. Se questo è il tema centrale dei misteri ci sono poi dei temi
secondari.
◼ Un altro tema molto amato è quello del Natale -> abbiamo testimonianze di misteri come la
processione dei pastori che andavano a visitare il bambino alla grotta
• MIRACOLI: Altro genere differente ma imparentato con il sacro erano i miracoli della madonna e dei
santi, anche questo con un intento catechetico molto chiaro -> il fatto di trasmettere un’idea
dell’intercessione della figura dei santi e della vergine Maria che potevano essere mediatori della
grazia divina per gli onesti e i devoti fedeli e che potevano anche essere i protettori delle arti e delle
corporazioni che avevano pagato gli allestimenti. Sono arrivati fino a noi moltissimi miracoli i quali
spesso erano legati ai committenti dello spettacolo e all’esaltazione di particolari ambiti o virtù.
• LA MORALITÀ: era un po' più ristretto per quanto riguarda la diffusione. La moralità era uno
spettacolo allegorico che consisteva nel contrasto tra le virtù e i vizi, che erano personificazioni che si
contendevano l’anima del povero cristiano impegnata a resistere alle tentazioni e aiutato da virtù
(speranza, preghiera e povertà) che assicuravano nel finale l’arrivo in paradiso.
Già da quel poco che abbiamo detto si capisce perché
◼ questo tipo di spettacolo fosse per un pubblico più stretto capace di decodificare il significato
allegorico che stava sotto le personificazioni.
◼ La moralità ha una fortuna meno duratura e meno incisiva rispetto agli altri perché è un genere
più colto.
◼ Come abbiamo detto infatti il teatro medievale è un grande spettacolo popolare perché assume
caratteristiche vicine allo spettatore a cui si rivolge.
Il dramma liturgico è sempre e soltanto in latino, il dramma sacro è prevalentemente in volgare, viene
scritto cioè nelle lingue nazionali. È vero che mantiene delle parti in latino, ma tutto il resto è in volgare -> in
questo tutto il resto sono da annoverare le battute che illustrano le vicende della storia sacra, ma sono una
serie di episodi secondari, liberamente aggiunti ed inventati che spesso mirano verso il comico.
Il dramma sacro ha episodi anche divertenti che attirano il pubblico e lo appassionano a quello che vedono.
SCENE: Divertenti, sagaci e persino volgari sono le scene tra i diavoli: nel momento in cui entra (abbastanza
presto) il luogo dell’inferno ci sono i diavoli che recitano scene comiche che si lasciano andare a battute molto
pesanti e volgari che hanno lo scopo di divertire e spaventare il pubblico. Oppure accanto ai personaggi sacri
ci sono personaggi umili che sono accompagnatori degli apostoli, dei santi, i quali danno vita a scenette di
piccola quotidianità che attirano e appassionano molto il pubblico.
Da queste piccole scenette nasce quello che poi alla fine del medioevo diventa un genere autonomo cioè
quello della “farsa”. Anche qui la parola ci aiuta, falsa vuol dire farcitura, cioè il pezzetto comico che veniva
inserito in una trama seria per alleggerire e mantenere alta l’attenzione del pubblico. Da lì la farsa si sviluppa
e diventerà uno dei generi comici autonomi.
ORGANIZZAZIONE DELLO SPAZIO: LA PASSIONE DI VILLINGEN (fine XVI- inizio XVII)
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Era una figura esterna, dirigenziale che non aveva ambizioni artistiche che però ci dice un’altra cosa
importante dello spettacolo medievale: nello spettacolo medievale la finzione era sempre sotto gli occhi dello
spettatore, non siamo ancora nel momento in cui il teatro perseguirà l’obiettivo di illudere.
Uno spazio come quello del teatro medievale è uno spazio che dichiara la sua funzione e quindi lo spettatore
ha contemporaneamente lo spettacolo e lo svelamento della funzione che sta dietro lo spettacolo.
Un altro modello di organizzazione dello spazio è quello dello spettacolo itinerante, ne abbiamo già parlato
per quanto riguarda le processioni. Di carattere religioso era attivo soprattutto in area spagnola e inglese.
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ITALIA: anche in Italia abbiamo una tradizione un po' diversa da quella dei misteri e dei miracoli di
rappresentazioni sacre: si tratta di spettacoli itineranti sviluppati soprattutto nelle confraternite dell’Umbria e
della Toscana e legati alle laudi.
LAUDA: è la corrispondente italiana di molti dei testi sacri del dramma sacro: rappresenta il tema della
passione oppure il dolore di Maria e si svolge come forma di spettacolo itinerante, come processione della
confraternita di solito nel periodo della settimana santa con una serie di cerimonie accessorie.
Uno sviluppo più spettacolare in sintonia con gli esempi stranieri visti finora si ha nel 400 con la nascita del
genere della “sacra rappresentazione”, che arriva ai suoi vertici artistici più alti in area fiorentina, anche grazie
alla promozione che la città di Firenze fa per l’organizzazione degli apparati dello spettacolo legato al dramma
sacro. Es:
• lo scenografo che lavora per questo spettacolo è Brunelleschi il quale crea per la sacra
rappresentazione dell’annunziazione un “ingenio” cioè un apparato scenico che permetta la
rappresentazione dell’arrivo dell’angelo.
La rappresentazione si svolgeva all’interno della chiesa, quindi torniamo all’interno della chiesa della
Santa Annunziata di Firenze in occasione dell’annunciazione.
Brunelleschi aveva costruito due ingeni:
◼ una sulla parte sopra l’altare, dove c’era la tribuna con il paradiso e la collocazione con il Dio
padre
◼ l’altra sopra la porta di ingresso dove c’era di Maria, in mezzo una carrucola che consentiva
all’angelo di arrivare direttamente da Dio a Maria.
L’anno dopo il nostro Brunelleschi viene scritturato per fare un’altra rappresentazione dell’empireo,
del sistema dei cieli, e crea questo ingenio con degli angeli volanti con musiche che doveva
rappresentare l’immagine del paradiso. Anche qui il luogo deputato che veniva dalla tradizione del
grande spettacolo all’aperto e che in questo caso viene contenuto nello spettacolo al chiuso. Siamo
nel 1430.
17/02/2020
Abbiamo percorso l’età medievale e le caratteristiche di un periodo in cui il teatro era rinato e si era
sviluppato secondo dei percorsi totalmente estranei a quella che era la comunicazione teatrale e la prassi del
mondo antico, arrivando a cancellare la nozione stessa di rappresentazione scenica come si era configurata
nell’età classica.
RINASCIMENTO ITALIANO (1486-1545): il fenomeno del rinascimento italiano occupa i decenni che vanno
dalla fine del ‘400 alla metà del ‘500 e gli storici del teatro designano quest’epoca come l’epoca della
“riscoperta del teatro” o “rinascita del teatro”.
RINASCITA DEL TEATRO: rinascita nel senso di ritorno all’antico, propria di tutte le arti e letterature del tempo
(il movimento non a caso si chiama rinascimento), ma che è tanto più spiccata per il teatro.
Gli umanisti del ‘400 e gli autori del Rinascimento consapevolmente intendono ricollegare il loro operato e la
loro arte teatrale con il mondo antico, presentando i risultati e i prodotti dello spettacolo come dirette
derivazioni dell’estetica legata all’età dei classici -> non si tratta di sovrapposizione storiografica successiva ma
come raramente capita nella storia del teatro di una consapevolezza viva dei contemporanei che in tutti i
modi cercano di rendere esplicita la derivazione della loro civiltà teatrale da quella degli antichi.
• 1486, data d’inizio che segna la prima rappresentazione a Ferrara di una commedia di Plauto
“Menecmi” (“la commedia dei gemelli”) in forma volgare -> si tratta di quello che all’epoca si
chiamava il “volgarizzamento” cioè la traduzione in lingua volgare di un’opera della classicità.
Questo da il via a una serie di rappresentazioni, di riscoperta del patrimonio della drammaturgia
classica in lingua latina che sarà fonte di ispirazione per il teatro prodotto dagli autori.
• 1545 il punto di arrivo del rinascimento coincidente con un importante trattato di scenografia che
stabilisce le norme per la scenografia prospettica in teatro di Sebastiano Serlio.
Contemporaneamente il 1545 è ritenuta la data di nascita della Commedia dell’Arte, visto che a
quest’anno risale il primo documento che attesta la presenza di una compagnia; la nascita quindi di un
fenomeno che si estenderà per molti secoli e che apre una prospettiva diversa da quella del
Rinascimento.
Fenomeno tipicamente italiano che dall’Italia va a diffondersi in tutta l’Europa, gradualmente imponendosi
sulle forme di teatro medioevali che continuano per tutto il 500 a vedere le loro rappresentazioni coinvolgere
gran parte della popolazione.
TEATRO RINASCIMENTALE: la coesistenza delle rappresentazioni del teatro medievale dei grandi spettacoli dei
misteri e dei miracoli, delle sacre rappresentazioni italiane riesce a coesistere con il fenomeno del teatro
rinascimentale perché questo tipo di teatro è un teatro elitario, di corte.
Il teatro rinascimentale nasce come prodotto della politica culturale delle corti dell’Italia settentrionale come
- Ferrara con le rappresentazioni promosse dagli Estensi, è infatti una rappresentazione estense quella
che inizio alla datazione
- Mantova con i Gonzaga
- Urbino con i Montefeltro
- Firenze con i Medici
- Milano con gli Sforza e Leonardo da Vinci come scenografo
- Roma che era la capitale papale
Il teatro diventa una delle cerimonie fondamentali di manifestazione del potere del principe
CARATTERISTICHE: la caratteristica fondamentale di questo teatro è il prodotto del mecenatismo dei principi,
essere diretta emanazione della politica del principe con fini celebrativi; è il principe che organizza lo
spettacolo, lo finanzia e lo concepisce come offerta rivolta alla corte e agli ospiti stranieri.
La prima conseguenza di questo fenomeno è che il teatro viene strettamente legato alla dimensione della
festa di corte -> le rappresentazioni teatrali sono legate a
- eventi della famiglia come nascite, compleanni e matrimoni
- eventi politici come entrate, celebrazioni trattati o chiusure di alleanze
Questo fa in modo che intorno allo spettacolo si crei un cerimoniale che abbia come principale risultato quello
di far emergere la magnificenza del signore, la grandezza e lo splendore della corte.
Il messaggio che si trasmette con lo spettacolo è un’attestazione di orgoglio per il possesso di cultura alta e di
un’arte raffinatissima. Questo spiega anche quanto la scelta di richiamarsi ai classici vada nella direzione di
rappresentare un eco della gloria passata, in cui i nuovi principi indirettamente sarebbero gli eredi.
Questo comporta per la prima volta nel teatro occidentale una fortissima restrizione del pubblico, anche se è
vero che alcuni documenti del 500 italiano testimoniano che i signori sceglievano rappresentanza delle classi
più basse a cui dare possibilità di accedere al teatro, è vero anche che il teatro rinascimentale è un teatro di
elite, pensato per un pubblico colto e molto raffinato, capace di cogliere tutte le stratificazioni di senso, gli
echi che lo spettacolo può presentare.
Gli studiosi di sociologia del teatro nel Rinascimento due livelli di teatro:
• Colto di impostazione classica
• Popolare rappresentato dalle rappresentazioni sacre legate al teatro medievale, aperte a tutta la
popolazione
INTERPRETI: gli interpreti delle commedie e degli spettacoli di corte rinascimentali sono i cortigiani stessi,
quindi attori dilettanti che occasionalmente si prestano alla recita e all’interpretazione di questi testi.
LUOGO SCENICO: l’aspetto più interessante è che non c’è un teatro, quello che manca è lo spazio teatrale, il
luogo teatrale destinato agli spettacoli e sarà così fino alla fine del ‘500.
Tutti questi spettacoli si svolgono nei luoghi della corte senza avere edificio o almeno un luogo del palazzo
destinato agli spettacoli. Dovremo aspettare i primi del ‘500 per avere teatri accademici che sono sedi
stabilmente destinati allo spettacolo.
Non esiste quindi il teatro ma esiste per la prima volta dopo l’antichità un impianto scenico, cioè quanto di più
all’avanguardia si potesse immaginare all’epoca.
SCENA PROSPETTICA: compare qui per la prima volta nel teatro occidentale la scenografia dipinta e
prospettica (non abbiamo mai parlato di scenografie vere e proprie per il mondo antico, di apparati) che
utilizza a scopo teatrale la grande invenzione del mondo artistico dell’epoca, la scenografia prospettica
centrale.
È un’invenzione italiana che si diffonderà in tutta Europa, inizia qui con i primi scenografi del rinascimento, i
principi li manderanno a lavorare nelle corti straniere come prestito della loro magnificenza.
La grande tradizione italiana, che arriverà fino alle grandi famiglie scenografe del melodramma dell’800, fa si
che l’Italia nell’ambito generale dell’economia dello spettacolo abbia rilevanza soprattutto per l’aspetto
scenografico e attoriale.
Il teatro italiano è basato sull’attore e sulla scenografia, non sui testi. Percentualmente il taglio del nostro
teatro è spettacolistico, siamo grandissimi nella storia del teatro per scenografi e attori -> a parte Goldoni e
Pirandello non c’è nulla della nostra drammaturgia, ma ci sono scenografi, attori e registri.
La scena prospettica rappresenta sempre una città che non è specifica (se la rappresentazione è a Ferrara non
rappresenta la città di Ferrara) ma ideale e in stretta consonanza con quelli che sono ideali dell’estetica del
rinascimento e gli scopi dello spettacolo cioè far esaltare il buon governo del principe che rappresenta un
modo ordinato e gerarchicamente costruito e perfetto.
STRUTTURA:
- due serie di quinte e un fondale modello
- una prospettiva sempre centrale che privilegia il punto di vista del principe nello spettacolo
rinascimentale che prende posto sempre al centro della sala (piccola tribuna rialzata, per vedere
meglio e per essere visti dal pubblico).
- Questo tipo di scenografia è fissa, per tutto il 500 la scena prospettica dipinta non permette il cambio
scena (che sarà novità del barocco); la scena prospettica è immutabile.
Serlio individua tre possibili tipi di scena: i primi due sono due modelli di città con due tipologie di edifici
diversi
• Modello scena tragica:
L’intenzione era quella di salvare la prospettiva dell’impianto ma la conseguenza è che l’attore rinascimentale
recita nella parte antistante della scena, se l’attore arretra si perde l’illusione. Di qui la conseguenza che la
drammaturgia 500esca sarà costruita principalmente su scambi di parole. Non posso presentare un gioco
scenico troppo complesso con un numero troppo elevato di attori perché perderei la verisimiglianza della
visione, l’attore recita quindi solo nella prima parte della scena ma assolutamente non interagisce con
l’apparato scenico.
Molto più rischiosa è la tragedia che spesso presenta questioni di grande rilievo anche dal punto di
vista politico (Antigone con il rapporto tra la legge dello stato e la legge umana) elementi
rischiosissimi per un teatro che si svolge come emanazione di un potere.
Nella ripresa dei generi classici, accanto alla tragedia e alla commedia, gli autori del rinascimento si
rifanno a quell’ultima parte della tetralogia greca che era il dramma satiresco, molto misterioso per
l’epoca perché non si conoscono drammi satireschi -> salterà fuori solo “Il Ciclope” di Euripide ma
nell’incertezza delle caratteristiche di questo genere il teatro di corte inventa un terzo genere che
chiama “boschereccio” o “pastorale” -> si tratta un genere intermedio, meno ilare di una commedia
ma non drammatico come tragedia che racconta storie d’amore contrastato vissuto in ambiente
bucolico, di solito i protagonisti sono i pastori, lasciando spazio all’espressione dei sentimenti
(“Aminta” di T. Tasso è un dramma pastorale che attesta che la rappresentazione dello spettacolo è
fatta all’aperto e che la scena che Serlio teorizza qui fu raramente molto realizzata).
I drammi pastorali quando venivano commissionati dalla corta, erano oggetto di rappresentazione nei
parchi, quindi raramente vedremo realizzazioni di queste scene che Serlio ha teorizzato per
completare il quadro dei generi drammatici.
Con l’ambientazione campestre la struttura è la stessa: serie di quinte serliane e fondale, mantenendo
le caratteristiche Serliane.
COMMEDIA ERUDITA: quando si parla di teatro del rinascimento quasi sempre si parla di uno spettacolo
comico, ma di che tipo di commedia? una commedia di grandissima qualità e spesso di grandissima fattezza
letteraria. Si parte negli anni 80 del 400 dal recupero dei codici di Plauto, 20 commedie che sono arrivate fino
a noi che gli umanisti portano nelle corti e che prima vengono recitate in latino ma che presto vengono
tradotte in italiano antico cioè “volgarizzamenti”.
Sono gli stessi autori che lavorano a corte a ricalcare il modello plautino ricalcandolo al mondo
contemporaneo, nascendo la commedia del rinascimento che sarà la base del teatro comico europeo fino alla
fine del 700.
AMBIENTAZIONE: La commedia rinascimentale ha sempre ambientazione contemporanea, e di solito si svolge
in una città, i personaggi abitano in città e appartengono ad una classe popolare che diventerà la classe media
degli artigiani, mercanti.
AUTORI: chi scrive le commedie del 500? Ludovico Ariosto, Machiavelli, Dovizi.
Il primo filo è quello di osservare i primi due nomi che dovrebbero dirci che tutti e due sono noti nella
letteratura per altro. Sono letterati che si dedicano al teatro come attività secondaria: questa è la
caratteristica generale dell’autore drammatico del primo 500, uomo di raffinatissima cultura, spesso un genio
artistico, ma il teatro entra come attività tangenziale/secondaria:
• ARIOSTO: per lui era un’attività obbligata, scrive le commedie in due fasi della carriera
◼ “La Cassaria”
◼ “Il Negromante”
per obbedire alla committenza della corte estense che lo obbliga a dirigere le prove e l’allestimento. Il
cardinale Ippolito d’Este costringe Ariosto a fare il regista, direttore di attori, a seguire l’allestimento e
quindi ad occuparsi di teatro all’interno dei suoi obblighi, cosa che fa bene ma che non risponde alla
vocazione primaria;
• MACHIAVELLI
◼ “La Clizia”
◼ “La Mandragora”
sono scritti in un momento di transizione della sua carriera, quando Machiavelli ha tempo cerca di
rientrare nei favori delle autorità fiorentine esercitandosi per il teatro
• DOVIZI BERNARDO da Bibbione è diplomatico, uomo politico, autore del maggiore successo del teatro
del rinascimento
◼ “La Calandria” l’argomento di questa commedia è preso da Calandrino personaggio del
Decameron, un personaggio all’origine delle novelle sulla beffa che Dovizi riplasma ricavandone
una commedia.
RUZANTE: all’interno della commedia del Rinascimento un posto a parte occupa un altro drammaturgo
Ruzante che all’interno di questo panorama drammatico è l’autore che è arrivato fino a noi (a parte
Machiavelli che ancora può contare su qualche rappresentazione della Mandragola, dimenticatissimo Ariosto)
Perché Ruzante ha scavalcato i secoli? Perché il suo teatro è ancora in grado di dirci qualcosa?
Ruzante è un autore-attore che passa alla storia con il nome del personaggio delle sue commedie “Ruzante”,
non è un soprannome, è un autore che scrive e recita le sue commedie.
Angelo Beolco (detto Ruzante 1496-1542) era un amministratore di professione delle tenute di un nobile
veneto Alvise Cornaro che a Padova aveva estesissimi possedimenti che il suo amministratore provvedeva a
curare.
Per il suo padrone Beolco comincia a scrivere dei testi che satireggiano la vita dei contadini che lui conosceva
bene in quanto vi era a contatto ogni giorno.
Non autore contadino ma colto, abituato a vivere a contatto con i contadini.
I FASE: comincia a scrivere una serie di brevi testi in versi:
- “La Pastorale”
- la “Betia”
prendendosi gioco dell’ingenuità, della goffaggine, dell’incapacità di destreggiarsi nelle situazioni tipico delle
persone più umili e povere. Lui stesso recita questo tipo di testo che scrive in dialetto padano che era una
parlata della zona a sud di Padova, suscitando un incredibile eco all’interno delle piccole feste che Cornaro
dava all’interno della sua corte.
II FASE: dopo questa prima fase di commedie in versi, intorno alla fine degli anni 20 (tra ’29 e’30) Ruzante
inaugura una nuova fase, scrive in prosa padana e presenta una nuova immagine del contadino protagonista,
lo stesso Ruzante. I testi sono:
- “Il parlamento di Ruzante che iera vegnu del campo”, dialogo
- la “bilora”, dialogo
- “la moscheta”, commedia in cinque atti
I primi due sono dialoghi, il terzo è una commedia in cinque atti.
Questi tre testi e in particolare “Il parlamento di Ruzzante” si staccano completamente dalla tradizione: la
satira del contadino ignorante apparteneva già alla letteratura (Toscana del 400 e 500) da lì era partito anche
lui. La frequentazione diretta delle campagne intorno a Padova lo aveva convertito ad una nuova visione, più
realistica, più amara e più drammatica della vita del contadino; quindi il Ruzante protagonista è personaggio
solo superficialmente può essere definito comico perché porta in scena la sua miseria, la sua disperazione, il
suo fallimento esistenziale che lo porta a essere disprezzato e sconfitto malgrado non meriti questo
trattamento, essendo una persona buona e altruista.
Il riso di Ruzante diventa qualcosa di più approfondito, che porta con se una ricerca psicologica sul
personaggio che lascia intravedere risvolti amari e drammatici.
Ad ottenere questo risultato concorrono due fattori:
1. REALTÀ STORICA: il fatto che le storie di Ruzante sono calate nella realtà storica di quel momento (in
generale la satira del contadino non aveva una connotazione precisa) qui si parla di un Ruzante che è
tornato dal fronte dove era stato arruolato agli ordini della Rep. Di Venezia con la promessa in cambio
di terreno, animali, sementi cioè che avrebbe diminuito la sua condizione di estrema miseria.
Avendo perduto tutto e avendo vissuto sulla sua pelle l’orrore della guerra quando torna dalla guerra
trova la sua campagna disastrata e abbandonata, sua moglie fuggita con un altro per non morire di
fame e nel “Bilora” va a Venezia per riprendersela ma lo rifiuta non perché non lo ami ma perché non
vuole morire di fame in quanto Ruzzante non può garantirle nulla. Al di la del beffato quello che
emerge è una situazione drammatica vera.
2. LINGUA: il secondo elemento che fa grande il teatro di Ruzante è la lingua -> pavano piegato a fini
espressionistici con la deformazione delle parole che in parte dipendono dall’ignoranza di Ruzante
che non sa esprimersi adeguatamente ma che traducono la drammaticità di quel momento, così che
attraverso le parole, che non si capiscono del tutto, che emerge la valenza teatrale del personaggio e
tutta la capacità di Ruzante di inserire una battuta comica che si gira subito in battuta drammatica.
VIDEO → https://www.youtube.com/watch?v=xQclPqZX1G0
Dario Fo recita “Parlamento de Ruzzante che iera vegnù de campo” di Angelo Beolco. Fo amava moltissimo
Ruzante, è stato uno degli autori che ha recitato più a lungo nella sua vita, perché riteneva che la lingua, la
recitazione, la capacità mimica dell’attore fosse lo strumento con cui Ruzante riuscisse a superare qualsiasi
barriera arrivando fino a noi. La capacità di Fò che fa una lettura drammatica, senza scenografia e senza
costume restituisce questo componente: la drammaticità della storia e della lingua capace di tradurre tutta
l’angoscia del personaggio. La scena iniziale in cui Ruzante torna a casa e passa da un suo campo dove
L’EDIFICIO TEATRALE- LA RISCOPERTA DI VITRUVIO: l’ultimo elemento che entra nel discorso del rinascimento
è l’edificio teatrale. Per moltissimi decenni tutti gli spettacoli sono rappresentati in luoghi non pensati per il
teatro.
Questo nonostante quel 1486 da cui siamo partiti sia ancora una data significativa: nello stesso anno viene
pubblicato il trattato “De architettura” di Vitruvio che è un ritrovamento degli umanisti del più importante
trattato di architettura civile della latinità.
Vitruvio era un architetto del I secolo d.C. che ha lasciato descrizione dei principali edifici dell’architettura
romana e tra questi anche tra il modello di teatro che in quel secolo si era cominciato a diffondere.
Su questo trattato riflettono tutti gli architetti del 500, che da lui scoprono lo schema della “cavea a gradoni”
e l’idea di un teatro elegante, ornato con tutti gli apparati che facevano monumentale la scena romana.
Nella seconda metà del secolo si sovrappongono le idee di coloro che cercano di utilizzare lo schema
vitruviano per fare dei teatri:
SERLIO: (1545) che oltre a fare la modernizzazione della scenografia fa un’ipotesi del teatro (un disegno che
non verrà mai realizzato); vuole adattare le idee del teatro classico al salone delle feste rinascimentale,
riscrivendo il modello dell’edificio antico all’interno di uno spazio rettangolare (il salone delle feste) e di
abbinarlo alla sua invenzione che era la prospettiva.
SERLIO- PROGETTO DI TEATRO RINASCIMENTALE
combinazione della scena prospettica:
- per quanto riguarda la zona del
pubblico la proposta di piccola cavea
nella parte antistante per sedili di
spettatori eminenti
- un’ultima parte cioè i fasci di ellissi
che compensano la costruzione
circolare con la necessità di iscriverla
COMMEDIA DELL’ARTE
NUOVA IDEA DI SPETTACOLO: la nascita della prima compagnia dell’arte inaugura una nuova modalità del fare
spettacolo, perché lo spettacolo teatrale, la recita diventa un prodotto da vendere e il teatro un sistema di
mercato che si sottrae alle modalità organizzative fino ad allora in auge.
Il termine arte infatti “commedia dell’arte” che compare più tardi rispetto a questa data, circa un secolo
dopo, va inteso nell’accezione medievale di arte, cioè come mestiere.
COMICI: i comici dell’arte sono i comici di mestiere, i quali si uniscono in compagnia per costituire un’impresa
commerciale.
Se guardiamo il documento notarile di Ser Mafio vediamo che le clausole previste dal contratto sono:
- diritti e doveri dei soci di carattere economico-finanziario
- divisione degli utili
- concorso comune delle spese
Quindi un contratto che si ispira al mondo del commercio e dell’imprenditorialità, di certo non di scelte
artistiche; la compagnia è prima di tutto un’impresa.
ATTORE PROFESSIONISTA: con la commedia dell’arte nasce l’attore professionista che impone il suo metodo
di lavoro ben presto all’intero contesto teatrale facendo tramontare quella modalità organizzativa della festa,
il teatro che abbiamo raccontato fino ad adesso era organizzato in alcuni periodi, in cui la
quotidianità veniva sospesa (prima le grandi Dionisie, poi i Ludi che potevano essere religiosi o imperiali)
periodi festivi dove gli spettacoli trovavano luogo.
TEATRO COME MERCATO: con la commedia dell’arte tutto cambia e il teatro diventa un mercato, un prodotto
offerto ad un pubblico pagante che si innesta in periodi dell’anno regolari, che non interferisce più con il
lavoro delle istituzioni, anzi ne entra in conflitto.
Nasce quindi una modalità di programmazione che non si era mia vista, tanto estesa quanto più il bacino del
pubblico lo permette, perché i comici dell’arte hanno bisogno di un pubblico che paghi il biglietto dello
spettacolo, e il loro essere nomadi dipende anche da questa necessità -> si fermano in un determinato loco
finché c’è pubblico pagante e poi si spostano per cercare nuovo pubblico.
La commedia dell’arte dura fino alla fine del 700, già alla metà del 700 la commedia dell’arte è un genere
ormai in crisi, ma le compagnie dell’arte continuano a lavorare in Italia per tutto il 700 e le ultime compagnie
vengono messe fuori legge dai rivoluzionari napoleonici che occupano l’Italia del nord (dove le compagnie
dell’arte sono in particolar modo attive) alla fine del 700.
NOVITÀ- DONNE SULLA SCENA: la grande novità e la grande attrattiva della commedia dell’arte è
rappresentata non soltanto dal professionismo dell’attore ma anche l’introduzione delle donne sulla scena ->
nasce l’attrice professionista.
Abbiamo già avuto modo di osservare quanto il mondo antico e medioevo avessero escluso le donne dalla
scena per ragioni di moralità, quindi l’apparire delle prime comiche dell’arte negli anni 70 del 500 (non subito
la compagnia acquisisce elementi femminili), suscita sul pubblico un effetto dirompente.
ATTRICI diventano elemento di grande seduzione, di attrattività che trascina a teatro un pubblico ancora più
numeroso e che ammanta il lavoro dei comici dell’arte di un marchio di immoralità e di infamia che li
accompagnerà per tutta la parabola.
Le attrici sono il bersaglio preferito delle istituzioni culturali e soprattutto della chiesa. Il modello di vita
emancipato che conducono le attrici (portate ad esibirsi in scena e a lavorare fuori casa) destinate ad una
modalità di relazione inusuale per una donna di quel tempo, fa si che a loro venisse associata l’idea della
prostituta. Teniamo conto che l’attrice mette in mostra le proprie bellezze fisiche, qualche volta in modo
disinvolto e scollacciato.
TEATRO, CHIESA E CULTURA: già alla fine del 500 si realizzano una serie di sermoni religiosi che invitano i
giovani ad astenersi dal teatro proprio per ragioni di moralità -> siamo all’epoca del concilio di Trento e la
compagnia dell’arte diventa bersaglio
- della chiesa da una parte perché l’immagine del teatro diviene un’immagine di perversione, di
corruzione morale che male si addice alle indicazioni di continenza e di misura che dovrebbero
guidare il comportamento dei cristiani
- della cultura dall’altra parte perché i comici sono accusati di essere estranei alle regole del buon
vivere sociale per il loro nomadismo, tanto che alcune autorità degli antichi stati regionali italiani
perseguitano i comici perché senza fissa dimora. Appartengono alla parte della società che è poco
controllabile e accanto a questo perché non sono portatori di un messaggio culturale ispirato alla
tradizione in cui si riconoscevano i dilettanti e gli accademici che lavoravano nelle corti, che facevano
spettacolo all’interno della festa rinascimentale. Un fenomeno che fa nascere una società fuori dai
canoni.
CONDANNA: con la commedia dell’arte nasce quel mito dell’attore come micro-società libera, come
esponente di una moralità alternativa, sottratta alla regole dei ben pensanti e della morale comune.
Nascono una serie di pregiudizi nei confronti del mestiere del teatro accusato di essere peccaminoso,
libertino, offensivo nei confronti dei buoni principi del vivere civile che andrà avanti ancora per molti secoli.
Nasce la condanna degli attori che in alcuni paesi Europei arriva ad escludere gli attori dai sacramenti.
ES. MOLLIER: nel 600 francese, il maggiore autore di commedie francesi Mollier era un attore che malgrado
l’altezza dei suoi prodotti, l’ammirazione che aveva ottenuto da parte delle corti e degli intellettuali, in quanto
attore rischiò di non avere il funerale. Quando morì (sulla scena, con una delle morti più romantiche, si sente
male, gli altri attori lo portano fuori scena e muore qualche ora dopo) in quanto attore gli vengono negati i
sacramenti, la sepoltura. Deve intervenire Luigi XIV facendo fare un funerale notturno per far seppellire il
povero drammaturgo.
Questo per dire quanto l’infamia nei confronti dell’attore protagonista, esponente di un mondo alternativo, si
estende da un fenomeno di carattere organizzativo a un fenomeno sociologico, creando una figura che fino a
quel momento non esisteva all’interno della società.
TIPOLOGIE DI COMICI: gli studiosi hanno riconosciuto tre diverse tipologie di comici in base alla loro
collocazione sociale.
1. CIARLATANI:
I ciarlatani offrivano un piccolo spettacolo drammatizzato, spesso corredato da musiche o da piccoli pezzi
cantati che servivano ad attirare il pubblico. Il loro spettacolo era gratuito e solo alla fine uno dei componenti
della compagnia passava a raccogliere l’ovolo che lo spettatore generoso volutamente lasciava, mentre gli
altri componenti davano avvio alla vendita di cui lo spettacolo era stato il preambolo; l’obiettivo era appunto
attirare il pubblico per poter vendere il prodotto.
Si trattava di spettacoli molto brevi, estremamente rozzi, ma non mancavano gli effetti spettacolari e
acrobatici di questi artisti che erano in grado di attirare il pubblico.
3. COMICI ONORATI:
Al livello più alto della società dei comici dell’arte ci sono i “comici onorati”
sono i comici dell’arte che hanno la fortuna di arrivare a lavorare alla corte.
Dagli anni 70 del 500, quando il fenomeno dilaga, le stesse corti post-
rinascimentali, chiamano a lavorare per loro i comici dell’arte, li fanno entrare
in corte per fare degli spettacoli e li pagano.
Abbiamo parlato dell’Aminta di T. Tasso, gli attori che la recitano sono appunto
dei comici dell’arte.
Le compagnie chiamate a lavorare alla corte spesso vengono pagate dal signore
che le mette al loro servizio, tenendole a disposizione della propria corte ma
anche usandoli come merce di scambio, come ambasciatori della magnificenza
della corte presso altri alleati o altri paesi stranieri. I signori italiani cominciano a
mandare i loro comici dell’arte agli alleati stranieri (re di Francia per i casi
migliori ma anche i principi tedeschi).
Il comico parte con la sua compagnia, rappresenta il signore, diventa una sorta di ambasciatore culturale del
signore e svolge un’azione diplomatica, offrendo la sua arte come emblema dell’amicizia del signore
protettore che lo manda. Questo fenomeno ha una duplice conseguenza, una positiva e una negativa
- CONSEGUENZA POSITIVA è che riscatta i comici dalla povertà, dall’insicurezza di una vita esposta ad
un fattore di rischio altissimo, l’impossibilità per esempio di lavorare con costanza, il rischio
dell’insuccesso, l’ostilità delle istituzioni.
Sempre in questo periodo nasce il veto della chiesa di fare spettacoli in alcuni periodi dell’anno, primo
fra tutti la quaresima. Durante la quaresima nei territori della chiesa cattolica sono vietati gli
spettacoli teatrali e i comici non lavorano, di qui quell’avversione per il colore viola che è diventata
leggendaria. Il viola è il colore liturgico della quaresima e per secoli per gli attori è un periodo di
assoluta inattività, che per la gran parte di essi rappresenta un periodo di miseria, di difficoltà di
garantire a se e alla propria famiglia la sopravvivenza.
Tutto questo non riguarda la compagnia dei comici onorati che sono pagati dai signori, dando loro la
possibilità anche di studiare, di elevare la propria cultura. I comici onorati sono comici che diventano
poeti, scrittori, che raffinano il loro repertorio e il loro modo di stare in scena. Per distinguersi dagli
altri, questi comici hanno anche nomi ispirati alle accademie, per esempio i gelosi (la compagnia in
assoluto più famosa) accanto a questo i confidenti, gli accesi, tutti nomi che cercano di mobilitare la
formazione assimilandola a quella che è l’attività delle accademie poetiche del secondo 500.
- CONSEGUENZA NEGATIVA: il comico onorato limita la possibilità della sua libera iniziativa, accetta il
volere e il potere del suo protettore che usa il suo talento artistico come un prezioso giocattolo, che
sceglie dove mandare il comico senza che questo abbia la possibilità di opporsi, di cui ne orienta
l’attività. L’attore diventa un po' cortigiano e alla fine è meno libero dell’artista di strada di cui
abbiamo detto prima, perché costretto a compiacere il signore. Con l’andare del tempo questa
limitazione finirà per impoverire l’inventiva di artisti.
LA FAMIGLIA ANDREINI: in assoluto i comici più importanti del teatro comico sia in Italia che in Europa tra la
fine del 500 e i primi del 600. Non solo italiana ma europea perché sono i primi comici che vengono chiamati
in Francia alla corte di Enrico III e che da lì cominciano una serie di tounée fortunate della loro compagnia e di
altre compagnie che vengono chiamate grazie al loro successo diffondendo il successo della commedia
dell’arte in Francia e in maniera minore in Germania. Sono quindi artisti internazionali.
IMPROVVISAZIONE: I comici dell’arte basano il loro lavoro sull’improvvisazione, un teatro che prescinde dal
testo scritto e la novità del loro modello è questa fortissima distinzione tra
- il teatro regolare dei cortigiani che recitavano un testo scritto, spesso di grande qualità letteraria
- e un modo di stare in scena che prescindeva dal contributo di un autore.
Il teatro dell’arte è un teatro d’attore, fondato sulla capacità dell’attore di esprimersi autonomamente sulla
scena attraverso la sua creazione e il suo talento personale.
I grandi attori dell’arte attirano il pubblico perché distinguono lo spettacolo con il loro contributo eccezionale.
Questo non vuol dire che la loro improvvisazione sia un’invenzione approssimativa.
Quando nella vita quotidiana dobbiamo improvvisare intendiamo affrontare una situazione in modo
approssimativo, inventando lì per lì quello che ci sembra migliore; nulla a che vedere quest’atteggiamento con
la tecnica di improvvisazione dei comici dell’arte che è un montaggio molto ragionato e raffinato di materiali
preesistenti inseriti su un intreccio schematico.
L’iniziativa dell’attore stava nello scegliere tra le varie potenzialità a sua disposizione quella che poteva avere
la maggiore efficacia scenica e inserirla coerentemente in una traccia di commedia -> era quindi un lavoro che
prevedeva una strategia calcolata, e una solida padronanza dei mezzi tecnici.
CANOVACCIO: gli elementi fondamentali per lavorare in questo modo erano “il canovaccio” o “scenario” cioè
una trama schematica della commedia.
Anche qui la parola ci aiuta a capire di cosa si trattasse -> il canovaccio è un tessuto a maglie larghe dove si
vede la trama, da lì era nata la parola che designava lo schema della commedia dove erano indicate le scene
fondamentali, gli scambi che avrebbero prodotto l’azione per il continuo della vicenda.
Il canovaccio a partire dal ‘600 viene anche chiamato scenario perché presenta l’elenco delle scene.
In quanto elenco delle scene veniva di solito attaccato ad uno dei pilastri della stanza a promemoria per gli
attori per ricordare loro l’ingresso e le uscite a seconda del loro ruolo. Indicava quali personaggi dovessero
essere in scena e quali fuori e sinteticamente dava un’indicazione dell’azione da recitare e del contenuto dei
dialoghi da presentare.
CATALOGO DELLE ROBE: l’altro elemento fondamentale per l’allestimento di una commedia era l’elenco degli
accessori necessari. In generale non c’era un apparato scenografico. Il catalogo delle “robbe” indicava
- gli accessori di scena che erano necessari all’attore per poter portare avanti l’azione
- arredi
- apparati scenografici
- e le indicazioni dei fondali che venivano arrotolati e facevano parte dei bagagli della compagnia
nomade che si spostava di città in città.
REPERTORI: su questa base iniziava il lavoro degli attori: l’improvvisazione era un montaggio di materiali
preesistenti contenuti in particolari cataloghi di proprietà personale di ciascun attore, chiamati “generici” o
“repertori” o “zibaldoni”.
Ci sono arrivati diversi generici, cataloghi organizzati per pezzi che contenevano delle parti dialogate, delle
poesie, degli scambi dialogici da usare a seconda dell’occorrenza -> la scena del litigio, della gelosia d’amore,
la scena comica.
Ovviamente ciascun attore in base al ruolo che faceva imparava a memoria la parte spesso chiedendo aiuto
all’interlocutore che doveva fare la scena con lui, e la metteva a punto e, quando il canovaccio lo permetteva,
la inseriva, quindi c’erano dei pezzi di bravura che ciascun attore decideva di inserire.
Il teatro dell’arte ha una sua fortuna e attrattiva presso il pubblico perché è soprattutto teatro di ritmo,
basato sull’esibizione del corpo. La commedia è molto vivace, è uno spettacolo incalzante che non
permetteva al pubblico di annoiarsi, bisognava stupirlo e sorprenderlo quindi oltre alle parti recitate la
commedia si avvaleva di momenti estremamente comici che prevedevano sequenze gestuali ed esibizioni
virtuosistiche e acrobatiche.
https://www.youtube.com/watch?v=zC0a24NJIgY
STRHLER fa un lavoro di ricerca e di ricostruzione delle tecniche dell’arte che erano ormai andate perdute nel
‘900, nessuno sapeva più come recitava un attore dell’arte. S. aveva il testo di Goldoni che era nato come un
canovaccio ma certe indicazioni (come i lazzi) non erano indicati da Goldoni.
LAZZO DELLA MOSCA: Strehler quindi fa una ricerca, uno dei lazzi storici che ritrova è quello della mosca che è
usato a metà del secondo atto, un lazzo di entrata in scena.
Arlecchino entra in scena inseguendo una mosca, è un momento estremamente comico perché Arlecchino
cattura la mosca ma essendo affamatissimo si mangia la mosca che non muore, rimane dentro Arlecchino e lo
fa continuamente saltare in su e in giù perché non vuole essere digerita. Il pubblico ride, Arlecchino lavora con
il pubblico perché chiede di fare silenzio e quello che è un semplice ingresso in scena diventa un momento di
grande spettacolarità, solo alla fine Arlecchino comincia a parlare. L’attore ha la capacità di trasformare un
normale ingresso in scena in un momento di grande spettacolo. Arlecchino deve strabiliare il pubblico.
LAZZO ALL’INTERNO DELLE BATTUTE: a metà del primo atto -> Arlecchino ha deciso di servire due padroni, ha
troppa fame e ha bisogno di lavorare, si trova davanti l’occasione di poter servire contemporaneamente due
padroni uno all’insaputa dell’altro. Lo fa per avere doppia razione di cibo e doppio pagamento ma essendo un
pasticcione si mette subito nei guai. Il primo incarico che tutti e due i padroni gli danno è di andare alla posta
a ritirare delle lettere che stanno aspettando. Arlecchino non sa leggere quindi consegna ad uno la lettera
dell’altro. Il primo padrone lo scopre e si arrabbia, riconsegna la lettera con la quale ha scoperto l’identità
dell’altra persona chiedendo ad Arlecchino di fargli conoscere il fantomatico servitore che si è inventato che
gli avrebbe dato la lettera e Arlecchino deve chiudere la lettera. Come fa a chiudere la lettera? Si inventa un
lazzo. (Ferruccio Soleri l’attore di Arlecchino oggi 90enne che fino al 2018 ha recitato questa parte)
ELEMENTI STORICI NELLO SPETTACOLO DI S. -> l’ambientazione è filologicamente corretta per quanto
riguarda le recite della commedia dell’arte. Il fondale è dipinto, prospettico con dei tagli all’interno che gli
attori usano come entrate, non è la scenografia rinascimentale, la commedia dell’arte ha un apparato
scenografico estremamente rudimentale quindi non c’è l’idea della verosimiglianza. La scena rappresenta
Venezia e il taglio sta sul ponte e l’attore entra aprendo il fondale, non c’è il problema di dove entra e della
mancanza di verosimiglianza.
Il palcoscenico è una pedana di legno che costruivano i comici stessi e questi sono i fondamentali lumi della
ribalta -> si chiamavano così perché l’asse su cui erano poggiati permetteva di ribaltare i lumi che venivano
accesi ed erano schermati da queste coperture di metallo che riflettevano la luce sul palcoscenico per
illuminare l’attore.
LAZZO: il lazzo era una creazione personale dell’attore che inseriva in maniera appropriata all’interno della
situazione una serie di gag mimico-gestuale. Il lazzo della mosca è universale e serviva per l’entrata in scena e
aveva la peculiarità di vivacizzare un momento che sarebbe passato inosservato, trasformandolo in un
momento di spettacolo e di esaltazione della figura dello zanni, in particolare di Arlecchino che era
perseguitato dalla continua fame insaziabile che arrivava ad esercitarsi con crudeltà sulla mosca.
LAZZO DELLA LETTERA: stessa cosa anche se rapportata al dialogo con gli altri personaggi nel “lazzo della
lettera”. Nella commedia di Goldoni il lazzo della lettera è previsto nel testo perché è la conclusione della
scena di Florindo che era il primo moroso. Arlecchino però non si limita a piegare e sigillare la lettera ma si
inventa una serie di elementi di carattere mimico-gestuale che stimola l’ilarità del pubblico.
Il lazzo è addirittura elaborato in tre elementi:
- Il primo è quello della piegatura della lettera (in cui Arlecchino si sdraia sul palcoscenico)
- Il secondo è quello della sigillatura
- Il terzo quello della chiusura della lettera.
Il problema della sigillatura è un’invenzione Strehleriana che va a pescare nelle doti mimiche dell’attore
comico, attingendo ad alcuni elementi del mimo.
Goldoni dice che Arlecchino decide di sigillare la lettera con la mollica di pane e che essendo costantemente
affamato quando inumidisce con la saliva il pane, lo inghiotte (questo è il testo di Goldoni).
Il lazzo di Strehler è diverso -> Arlecchino ha estratto dalla sua piccola borsa un sacchetto gigantesco dove è
conservato il pane che è piccolissimo, la sproporzione delle due cose suscita ilarità.
Interessante è la realizzazione della sigillatura dopo la masticazione ->mentre l’Arlecchino di Goldoni lo fa una
volta, quello di Strehler lo fa tre volte e inventa l’espediente dello spago che attinge alla tecnica del mimo,
uno spago lunghissimo a cui àncora il pezzettino di pane per evitare di mangiarsi quel pane che invece gli
serve: la lotta del personaggio con se stesso, altro elemento che accentua la comicità del momento.
Nella sigillatura Strehler e i suoi attori inventano questa forma -> Arlecchino per non sporcare la lettera non
può sigillarla con i piedi ne con le mani che sono sporche, quindi decide di sedersi sopra la lettera che però gli
rimane attaccata e quindi non riesce a liberarsene.
LAZZO FINALE: è proprio l’interazione con il pubblico che è un’altra delle caratteristiche del lazzo dell’arte, ed
è il vero margine di improvvisazione. Arlecchino chiede al pubblico dove sta la lettera e a seconda della
partecipazione del pubblico, questo momento può essere più o meno lungo. Il pubblico indica ad Arlecchino
le direzioni che può costruire una gag che ha una durata estensibile a seconda della reazione dell’uditorio.
La caratteristica tornava anche nel lazzo della mosca, quando entra e chiede silenzio al pubblico.
Se il pubblico ride Arlecchino si arrabbia e rimprovera il pubblico.
All’interno del lazzo ci sono davvero gli spazi di improvvisazione che sono legati all’interazione con il pubblico,
e lì è l’attore che con la sua sensibilità e con il suo rapportarsi di sera in sera alla reazione dell’uditorio può
cambiare leggermente uno spettacolo.
Per Strehler e per i suoi attori lo spettacolo era fissato quasi totalmente, Arlecchino rimane se stesso in quasi
tutte le 10 edizioni. Quando l’attore entra in interazione con il pubblico l’improvvisazione diventa vera.
I RUOLI DELLA COMPAGNIA DELL’ARTE: una recitazione così può essere fatta da un attore che fa il
personaggio per tutta la vita, se no la tecnica del canovaccio non funziona.
La conseguenza della tecnica dell’improvvisazione è che l’attore deve svolgere lo stesso ruolo nel corso della
carriera -> in genere i comici dell’arte non cambiavano ruolo. Per le competenze tecniche che ciascun ruolo
comportava l’attore si formava in uno specifico ruolo, si costruiva o ereditava un generico o zibaldone e lo
teneva per tutta la vita. Se era un attore di talento poteva arricchirlo e poi lo avrebbe trasmesso ad un
familiare che avrebbe continuato la sua carriera.
Quanto più l’attore era bravo quanto più l’invenzione all’interno del suo generico sarebbe stata unica.
C’erano nella compagnia dell’arte dei ruoli sempre presenti che si chiamavano “ruoli fissi” e altri ruoli che
potevano esserci o non esserci a seconda della ricchezza, numerosità dell’organico e del tipo di repertorio che
si decideva di fare.
20/02/2020
[Esistono nella storia del fenomeno diversi livelli di compagnie, dal più basso quello dei saltimbanchi e dei
ciarlatani, ai comici dell’arte, fino ai comici onorati. Anche la numerosità teneva conto dello status della
RUOLO: il lavoro del comico dell’arte era basato sul ruolo cioè la tipologia del personaggio che l’attore
sceglieva di impersonare e in cui si specializzava in genere per tutta la vita.
Non poteva essere altrimenti data la caratteristica del lavoro di improvvisazione. Per riuscire ad improvvisare
l’attore doveva essere specializzato e conoscere le caratteristiche di un personaggio da portare sulla scena.
I VECCHI: a loro era affidato il compito di sviluppare gli intralci che si opponevano allo svolgimento dei piani
(sentimentali) dei giovani secondo la vecchia e canonica struttura della commedia che abbiamo visto risalire a
Plauto. L’intreccio di un tipico canovaccio della commedia dell’arte riprendeva quella storia dei due ragazzi
che si amano ma che non riescono a coronare il loro sogno d’amore, complicata in questo caso da una serie di
equivoci e problemi in cui intervenivano i vari personaggi.
I vecchi avevano appunto il compito di ostacolare il progetto dei giovani e finivano per riconoscere la loro
sconfitta. Le due figure che vanno definendosi già alla fine del 500 sono il vecchio mercante e l’avvocato
saccente.
Nella tradizione veneziana che diventa il polo trainante di tutta la commedia dell’arte europea hanno
“pantalone” e “il dottore”.
- PANTALONE:
La connotazione dialettale delle maschere dei vecchi è fortissima perché la loro comicità si gioca anche sul
contrasto verbale. Pantalone è la parodia del mercante veneziano che parla in veneziano strettissimo, e
l’avvocato si esprime in bolognese.
I loro bisticci sono giocati sui fraintendimenti lessicali -> equivoci con effetti comici.
ZANNI:
I nomi dei servi possono essere vari perché è attorno al servo e al suo essere motore del proseguimento
dell’intreccio che si gioca il successo della commedia.
Il pubblico ama moltissimo lo zanni della commedia dell’arte e va al teatro per ridere, i nomi sono molto vari, i
più diffusi
- sono Brighella che è il servo astuto
- Arlecchino che è il servo sciocco.
I nomi sono molto vari perché ogni attore connota la propria maschera con un nome diverso per cui il
secondo zanni può chiamarsi Truffaldino, Pulcinella (tutti nomi del secondo zarri).
(Abbiamo visto lo spettacolo di Strehler in cui il secondo zarri si chiama Arlecchino ma è bene precisare che
questa è una scelta di Strehler, Il secondo zarri di Goldoni si chiama Truffaldino perché l’attore per cui Goldoni
scrive il canovaccio si chiamava come nome d’arte Truffaldino (Antonio Sacchi).
Quando Goldoni decide di trasformare il canovaccio dell’arte che aveva avuto un grade successo presso il
pubblico di tutta Europa decide di trasformare il canovaccio commedia scritta e mantiene come omaggio il
nome del personaggio Truffaldino, e Strehler a distanza di due secoli decide di fare questo cambiamento
perché Arlecchino era più noto al pubblico novecentesco)
LINGUA ZANNI: parlano in dialetto (Arlecchino e Brighella parlano in veneziano ma adottano un ritmo
vorticoso, è difficile capire cosa dice Arlecchino). Questo perché una delle caratteristiche della maschera è il
vorticoso muoversi sulla scena che corrisponde ad un vorticoso ritmo della parlata. La loro recitazione è
quella a cui maggiormente è affidata la comicità-> sono questi gli attori che usano quasi esclusivamente i lazzi.
MASCHERA: i vecchi e gli zarri sono le maschere della commedia dell’arte -> nel linguaggio comune quando si
parla della commedia dell’arte si parla di “teatro delle maschere”, è sbagliato, solo alcuni attori indossano le
maschere. Le 4 maschere sono queste: due vecchi e due zarri, gli altri recitano senza maschera.
Quando Strehler decide di ritornare alla commedia dell’arte, uno dei principali problemi degli attori della sua
compagnia è proprio la recitazione con la maschera. L’attore 900esco non è più capace di recitare con la
maschera che comporta una serie di limitazioni in cui i comici dell’arte mostravano tutto il loro talento nella
capacità di aggirare questa difficoltà. La maschera limita il campo visivo perché nasconde una parte di
possibilità dell’occhio di circoscrivere il campo attorno al corpo.
Dal lavoro Strehleriano si è capito come la maschera condizioni la gestualità e l’andatura. Le maschere
sembrano sempre avanzare un po' protese in avanti, sembrano guardare dove mettono i piedi, ed è così
perché non hanno campo visivo, per cui Arlecchino che cammina inchinato in avanti, o Pantalone sembra
gobbo, in realtà adottano questa andatura come conseguenza tecnica dell’uso della maschera.
Interessante è vedere come la maschera condiziona l’uscita della voce che non è più naturale, o più alta per
cui la vocalità era la risultanza dell’obbligo di recitare a voce più alta possibile, con uno ostacolo che impedisca
il consueto modello respiratorio e l’emissione della voce.
GESTUALITÀ: è interessante spiegare la recitazione della commedia dell’arte con l’enfasi della gestualità.
Quasi tutti gli spettatori del 600-700 sottolineano l’esagerazione dei gesti da parte degli attori, la quale ancora
si spiega con il fatto che l’attore si vede privato di uno strumento espressivo fondamentale: la mimica facciale.
Tutti i gesti, le espressioni, i cambiamenti emotivi che un attore di teatro può esprimere con il viso vengono
annullati (Arlecchino non può piangere quindi per il pianto dovrà inventarsi un gesto delle braccia per far
capire a chi ascolta che si sta asciugando le lacrime). Tutta quella gestualità studiata e tipicamente teatrale
che va di pari passo con questo stile è legata alla presenza dell’oggetto maschera, per cui la consueta idea che
la commedia dell’arte potenziasse l’espressività del corpo va valutata secondo la legge della sostituzione delle
funzioni di cui abbiamo detto prima, perché l’attore si concentrava sulla gestualità.
Questa serie di limitazioni poteva rilevarsi uno straordinario fattore comunicativo perché la lontananza del
pubblico, la scarsa illuminazione della scena permettevano allo spettatore di capire i gesti che con la sola
mimica facciale si sarebbero un è po' persi.
Quindi il successo della maschera dell’arte è legato alla tecnica dell’oggetto maschera che ne condizionava la
recitazione ma nello stesso tempo la orientava secondo uno stile preciso.
GLI INNAMORATI:
Gli amorosi potevano cambiare, anzi la ricchezza del loro abbigliamento diventava un valore aggiunto per la
fascinazione del pubblico.
LINGUA INNAMORATI: gli amorosi parlavano in italiano letterario, spesso si esprimevano in versi e il loro
fraseggio, contenuto nei generici, era spesso tratto da brani famosi della letteratura italiana.
In ogni commedia dell’arte il moroso e la morosa avevano dei monologhi, per lei la pazzia e la gelosia, per lui
la disperazione e la vendetta. Gli amorosi studiavano a memoria, quindi la loro improvvisazione era un
montaggio di parti già preparate e per essere una brava coppia di amorosi, bisognava essere molto affiatati.
In una compagnia media le coppie di amorosi erano almeno due, qualche volta tre.
IL CAPITANO E LA SERVETTA: Fra i ruoli mobili gli esempi sono molteplici, era un ruolo non necessario che la
compagnia poteva presentare come valore aggiunto. I due più frequenti sono il capitano e la servetta.
Molto amato dal pubblico era il ruolo femminile della servetta (Colombina,
Smeraldina, Argentina) che era un personaggio funzionale per mandare
avanti l’intreccio. Era la cameriera dell’amorosa, destinata a raccogliere le
confidenze della sua padrona ma anche ad agire in favore della sua padrona
(così come lo zanni aiutava di solito il giovane padrone). Per questo suo ruolo
più basso la servetta poteva permettersi impertinenze, civetterie, battute di
doppio senso che ne facevano un personaggio attrattivo.
Era l’attrice che si presentava con costumi più scollacciati, con gestualità fin
troppo esplicite e che spesso finiva per intrecciare una relazione con
entrambi gli zarri, per poi finire fidanzata con uno dei due. C’era una linea
bassa di trama amorosa che scorreva parallelamente a quella alta che
vivacizzava lo spettacolo. Tutti i ruoli concorrono a creare uno spettacolo
vivacissimo, di ritmo. L’obiettivo era che il pubblico non si annoiasse mai, e il
montaggio delle parti garantiva l’incalzante successione degli eventi.
La servetta ha un’evoluzione interessante nel corso del 700 perché diventa l’alter ego di una figura femminile
patetica, eccessivamente zuccherosa e sentimentale, tanto che Goldoni ad un certo punto della sua carriera
concentra la sua attenzione sulla servetta, promuovendola a protagonista (la locandiera, una servetta che con
uno scivolamento di ruolo diventa la protagonista).
Nella commedia dell’arte la servetta non è mai una protagonista, ma con Goldoni c’è lo slittamento di ruolo
per cui un’attrice di grande talento (tipico della recitazione della servetta) riesce a diventare il modello
femminile della più famosa commedia goldoniana.
LA GESTUALITÀ DI ARLECCHINO: La fortuna della commedia dell’arte è sempre legata al gioco gestuale, la
commedia dell’arte è passata nella storia della critica come teatro del corpo. Tutte le raffigurazioni della
commedia dell’arte tendono a riprodurre l’attore all’interno di situazioni di recitazione corporea. La grande
innovazione è proprio questa, anche da un punto di vista iconografico gli attori precedenti erano sempre
rappresentati mentre recitavano. Con la commedia dell’arte il teatro diventa ludico, esercizio corporeo
gestuale di vivacità.
Risale a quell’esperienza di tounee fortunate che già a partire dagli anni 70-80 del 500 i comici dell’arte
svolgono presso la corte di Francia.
Il fenomeno dei comici prestati dalle corti italiane alle corte francese, la Francia e in particolar modo Parigi,
diventano per i comici dell’arte il terreno più favorevole allo sviluppo della loro attività teatrale.
Gli italiani saranno cacciati da Parigi nel 1697, nell’ultima parte del regno di
Luigi XIV, sotto l’influenza del regno rigorista di Madame de Maintenon, la
corte francese giudica la commedia dell’arte spettacolo scandaloso, e
quindi bandisce i comici dalla città. Questo nonostante la seconda metà
del 600 avesse visto un alleggerimento dei toni pesanti ed osceni che
caratterizzavano la prima commedia dell’arte verso una modalità di teatro
più stilizzata.
Passeranno circa 20 anni e nel 1718 gli italiani saranno richiamati a Parigi.
Questo ritorno (con la seconda comedy italien) è legato ad un attore molto
famoso, Luigi Riccoboni, attore colto che torna a fare spettacolo ma non
ripropone più la commedia dell’arte come era nella versione italiana,
perché si rende conto che il pubblico con capisce i canovacci della
commedia italiana quindi è necessario modificare le trame con inserti
francesi e con reinvenzioni francesi.
TEATRO ELISABETTIANO: a partire dalla fine del 500 non è più possibile fare un discorso univoco, ma
distinguere le varie aree geografiche mettendone in evidenza le differenze.
In ordine cronologico la prima nazione che emerge per l’importanza conferita al teatro è l’Inghilterra
Elisabettiana.
Il teatro è il principale fenomeno culturale del rinascimento inglese (che si sviluppa con 50 anni di ritardo
rispetto a quello italiano).
La prima fase coincide con il regno di Elisabetta I (1558-1603), età di splendore economico e culturale che
trova nel teatro l’elemento di maggiore esaltazione dei valori culturali dell’epoca.
La seconda metà del 500 vede Londra sviluppare un mercato teatrale professionistico (teatro a pagamento)
che non è paragonabile a nessun’altra città europea
[Nemmeno Venezia, patria della commedia dell’arte che poi nel 600 diventerà l’indiscussa capitale dello
spettacolo, a metà del 500 ha una vivacità teatrale paragonabile a quella di Londra, anzi fino all’ultimo
decennio del 500 in Italia non ci sono edifici teatrali destinati allo spettacolo, ma ci sono invece a Londra.]
Nell’ultimo quarto di secolo Londra sviluppa un quartiere destinato allo spettacolo, al divertimento teatrale.
È la zona a sud del Tamigi opposto alla City (la parte della città tradizionalmente sede delle istituzioni
politiche, culturali e religiose) in cui si sviluppano una serie di edifici specificamente dedicati allo spettacolo. È
la prima volta in Europa. (verranno tutti abbattuti dalla rivoluzione puritana, l’attuale Globe è ricostruito)
All’epoca sicuramente è un fenomeno all’avanguardia.
Il primo è il Theatre (1575) fino all’ultimo, il più famoso The Globe (1599 teatro costruito dalla compagnia di
cui faceva parte Shakespere) sono teatri commerciali, per un pubblico che paga il biglietto.
• The theatre 1576
• The Curtain 1577
• The Rose 1587
• The Swan 1596
• The Globe 1599
Un elemento di novità è che siamo di fronte ad un teatro commerciale (e non d’elite come era quello che
abbiamo visto nell’Italia rinascimentale).
Il pubblico che frequentava i teatri elisabettiani era appartenente a tutti gli strati della popolazione, sappiamo
che esistevano categorie diverse di prezzi, si poteva entrare con un biglietto base e stare in piedi oppure un
posto a sedere, addirittura pagando un supplemento per il cuscino, o riservarsi una piccola zona a parte con
un prezzo ancora più alto.
Questi teatri facevano uno spettacolo a fine di lucro, erano compagnie professionistiche che vendevano la
propria arte; il teatro era una merce, un prodotto.
L’originalità del teatro elisabettiano sta anche nell’aver prodotto un luogo teatrale originale che non ha alla
base il recupero del teatro antico (che abbiamo visto aver guidato le teorie degli uomini di teatro
rinascimentale).
Qui il modello era funzionale, gli studiosi concordano nel riconoscere che il teatro elisabettiano aveva alla
base l’idea dei cortili delle locande dove per le prime volte si tenevano gli spettacoli e contemporaneamente
dei luoghi destinati al combattimento degli animali, presenti nella riva a sud di Londra, del Tamigi, in questo
quartiere destinato ai divertimento.
THE SWAN THEATRE: uno dei pochi documenti originali della scena
elisabettiana, “the swan theatre” è un disegno del 1596 tratto dal diario di
un turista olandese Johannes de Witt che racconta nel suo diario di essere
stato a questo teatro e pensando di pubblicare il diario una volta rientrato
in patria, ritiene necessario far capire ai suoi connazionali come era fatto
un teatro -> grazie a lui abbiamo una foto del teatro.
Quello con le due porte (nella foto) è proprio l’inner stage.
INNER STAGE: aveva due porte o tende che servivano per l’ingresso in scena degli attori e permettevano
all’inventiva degli autori elisabettiani di realizzare degli effetti scenici; è sicuro che l’inner stage fosse usato
nel terzo atto dell’Amleto nella scena in cui Amleto uccide Polonio, che stava nascosto dietro un tendaggio,
Amleto grida, vede muoversi il tendaggio e pensa che dietro ci sia Re Claudio che sta origliando il suo
colloquio con la madre, grida e trafigge Polonio.
La genialità di Shakespere è quella di usare lo spazio.
Il teatro è scritto tenendo conto delle convenzioni del tempo e dello spazio.
Le due campagnie dove lavora Shakespeare sono patentate cioè che hanno la protezione di un signore:
- L ord Chamberlain Man (i servi, man in quell’epoca lì vuol dire soprattutto servitore) dal 1596 al 1603
- King’s man, gli uomini del re, i servitori del nuovo sovrano che sale al trono dopo la morte di
Elisabetta.
Shakespeare era ormai famosissimo ma la sua compagnia ha ancora bisogno di questa protezione perché per
l’opinione comune la professione dell’attore è qualcosa di insidioso da cui guardarsi.
La struttura della compagnia elisabettiana è societaria, gli attori principali sono soci e dividono spese e
guadagni e Shakespeare era uno dei soci della sua compagnia addetto alla fornitura dei copioni.
Una leggenda dice che per la prima parte della sua carriera S. abbia anche recitato, facendo ruoli minori.
L’attore elisabettiano doveva avere delle capacità tecniche non indifferenti, era importantissima la voce e
l’abilità nel canto e nella danza perché molte scene in repertorio prevedevano parti cantate e danzate (la
presenza di musici è attestata come una presenza costante) e soprattutto doveva avere grande memoria,
perché lo spettacolo cambiava quasi ogni sera, per mantenere alta l’attenzione del pubblico con la
conseguente ricerca della novità era fondamentale.
9/03/2020
Continuiamo l’analisi del teatro durante l’età elisabettiana, cioè durante l’ultimo quarto del XVI secolo sotto il
regno di Elisabetta I in cui in Inghilterra si origina una civiltà teatrale del tutto originale per luogo teatrale,
organizzazione dello spettacolo e sistema delle compagnie professionistiche.
TEATRO COMMERCIALE: puntiamo l’attenzione sul mercato dei copioni e sul lavoro degli autori.
Ci troviamo di fronte ad un teatro di carattere commerciale e professionistico, a pagamento in cui il fine del
lavoro delle compagnie è quella di attirare la maggiore quantità di spettatori a teatro.
DRAMMATURGHI: da qui la straordinaria fioritura di drammaturghi che scrivono al servizio delle compagnie ->
si tratta di un gruppo di mestieranti più o meno geniali il cui massimo esponente è W. Shakepere ma che si
scrivono in un fenomeno estremamente vasto e differenziato con una vastissima produzione di testi.
TESTI: sono composti rapidamente con una grande libertà compositiva con soggetti che sono tratti da testi
altrui, quindi non originale, con l’unico scopo di fornire dei copioni destinato al lavoro della compagnia
immediatamente scritti per la messa in scena.
La prassi elisabettiana prevede che l’autore venda il testo drammatico da lui composto alla compagnia e che
perda ogni diritto su di esso.
Il testo diventa proprietà della compagnia che ne mantiene la versione originale anche adattandola alle
esigenze e da queste ricava le parti per gli attori. La pubblicazione del testo non è prevista in fase di
composizione, può arrivare successivamente nel caso in cui il testo, che ha avuto una grande fortuna scenica,
possa mantenere un certo interesse, allora la compagnia quando la fortuna a teatro comincia a declinare
decide di pubblicare il testo per ottenere ulteriori guadagni.
QUINDI:
- Gli autori scrivono copioni per la scena
- Il copione è venduto alla compagnia e l’autore ne perde i diritti
- Stampe commerciali senza considerazione letteraria
L’opera da stampare una volta superata la censura preventiva e ottenuta l’autorizzazione alla stampa viene
registrata nel registro degli stampatori che permette di risalire alla prima edizione. Questa estrema fluidità del
mercato dei copioni che fa si che il teatro sia inteso solo come un tipo di attività commerciale, si riflette sulle
questioni filosofiche legate al teatro di Shakespere.
VS: Primo confronto 1603 e 1604, due edizioni estremamente diverse per estensioni:
- 2200 righe nella prima edizione del 1603
- 3700 di quella del 1604.
Benché l’andamento e la storia della vicenda siano le medesime, la versione del 1603 è semplificata, molti
passaggi mancano e altri sono collocati in altri passaggi del testo
ES: il famoso monologo dell’“essere o non essere” si trova nel secondo atto (1603) rispetto alla
collocazione nel terzo atto dell’edizione del 1604.
Per spiegare la differenza tra le due edizioni gli studiosi hanno pensato per molto tempo che la prima
edizione sia pirata, un falso dell’Amleto, un falso che registra l’abitudine della prassi elisabettiana secondo
cui durante la recita alcuni spettatori maliziosi avrebbero stenografato il testo dalle battute degli attori
per poi rivenderlo ad altre compagnie o pubblicarlo per ottenerne denaro -> questa è stata la versione
che ha fatto si che l’edizione 1603 non venisse mai considerata per la pubblicazione.
Recentemente, 20 anni fa si è fatta luce una seconda ipotesi che parte dall’osservazione che l’edizione del
1603 risulta un adattamento coerente, ben condotto e quindi difficilmente realizzabile da uno spettatore
inesperto.
L’ipotesi che è stata avanzata da uno studioso italiano è che siamo di fronte ad un’edizione semplificata,
realizzata per un pubblico della provincia, pubblico genuino e meno esigente della capitale Londra.
Nel 1604 si realizza la seconda edizione di Amleto che porta nel titolo l’indicazione della tragica storia del
principe di Danimarca Amleto, stampata secondo la vera e perfetta copia. Questa indicazione ci porta a
concludere che l’edizione 1604 è la risposta del 1603, che si era già diffusa e che rappresenti la versione in
possesso della compagnia. Questa infatti è la versione base delle edizioni moderne.
C’è poi un’ultima versione del 1623, contenuta nella famosa edizione in foglio che costituisce il canone
Shakespeariano.
In quell’anno due attori della compagnia di S., dopo la sua morte, raccolgono tutte le sue opere
drammatiche e propongono una versione di Amleto che differisce da quella del 1604 -> è una versione più
breve, meno elaborata, con alcuni tagli della parte di Amleto e con modifiche per quanto riguardano le
didascalie, più ampie e più precise di quelle precedenti.
Questo cambiamento si spiega con il fatto che la versione del 1623 riflette lo stadio del testo nell’ultima
parte di vita della compagnia, in particolar modo nell’ultima parte il dramma veniva messo in scena dopo
la morte dell’attore per cui era stata scritta la parte di Amleto (Richard Barbage, in grado di portare in
scena un personaggio con delle parti recitative lunghissime).
Dopo la morte dell’attore il suo sostituto aveva semplificato la parte e ne aveva ridotto la portata verbale
pur mantenendone le connotazioni all’interno della vicenda.
Questa complicazione ha, da un punto di vista storico, una grandissima importanza perché ci permette di
capire quanto all’interno di un autore che noi consideriamo il massimo della drammaturgia, la vicenda
scenica abbia influenzato non solo la composizione del testo ma anche la sua trasmissione e la sua
fortuna nei primi decenni della rappresentazione.
WILLIAM SHAKESPEARE (1564-1616) non fu un grande attore, ma un uomo di teatro nel senso più pieno del
termine.
OPERE: ci sono arrivate 37 opere drammatiche rappresentate tra il 1593 (anno in cui arriva a Londra e
comincia la sua composizione) e il 1613 (anno in cui si ritira dalle scene, pochi anni prima della sua morte).
Si tratta di generi molto diversi da quelli adottati negli stessi anni (ormai siamo nel 600) all’interno
della visione classicistica maturata nel secondo ‘500 italiano e caratterizzata dalla grandissima libertà
compositiva nella struttura che prescinde dal rispetto delle tre unità.
All’interno di queste tre grandi categorie possiamo brevemente analizzare le sezioni:
• HISTORIES che sono drammi storici nel quale rientrano le storie collegate alle vicende patriottiche
dell’Inghilterra 300esca e 400esca come
◼ le “CRONICLE HOSTORIES” che raccontano il consolidamento della monarchia nel tardo medioevo
e che quindi vanno letti come esaltazione dei valori nazionali inglesi attraverso le tappe che dal
feudalesimo avevano portato all’affermazione della monarchia e il consolidamento dello stato
nazionale.
La passione del pubblico per questo tipo di opere intitolate di solito ai regnanti del tempo,
Riccardo II, Riccardo III, Re Giovanni, Enrico IV, V, VI, VII, è collegata al fatto che i sovrani
diventavano una sorta di protagonisti epici di vicende che terminavano con il consolidamento
dell’ordine.
◼ DRAMMI ROMANI: più vicini alle tragedie che non alle storie di cronache, in cui S., ispirandosi alle
fonti classiche, racconta e sceneggia vicende di grandi personaggi da Giulio Cesare, ad Antonio e
Cleopatra a Coriolano.
• COMEDIES: composizione libera. Danno un saggio della vastità della capacità di adattamento di S. alle
varie categorie di intreccio e di struttura all’interno della scrittura comica.
◼ COMMEDIA DI IMPIANTO LETTERARIO come la “commedia degli errori” che ha una matrice
classicistica, basata sul gioco dei dubbi e sui gemelli che quindi risente dell’influsso della
commedia plautina
◼ COMMEDIE DI IMPIANTO FANTASTICO il cui esempio più famoso è “sogno di una notte di mezza
estate” e “come vi piace”
◼ COMMEDIE DI SENTIMENTO ROMANTICO o patetico con vicende avventurose come “pene
d’amore perdute” o “la dodicesima notte o quel che volete”
◼ DARK COMEDIES cioè commedie estremamente cupe e drammatiche che risalgono agli ultimi
anni della tradizione di Shakespeare, il titolo più famoso e tuttora rappresentato è “misura per
misura” o “tutto è bene quel che finisce bene”
• TRAGEDIES -> la definizione di tragedia va intesa non in senso classicistico ma in senso teatrale,
perché si tratta di vicende che portano sulla scena azioni drammatiche e luttuose con protagonisti che
si trovano a combattere contro le grandi passioni e le forze del destino. Anche in questo caso nella
categoria che il folio propone come Tragedies c’è di tutto:
◼ DRAMMA DIALETTICO il cui maggior esempio è l’Amleto (1601 ca)
◼ TRAGEDIE vere tragedie moderne risalenti ai primi anni del ‘600 con titoli famosissimi come “Re
Lear” (1603), “Machbeth” (1605) e “Otello” (1606)
◼ TRAGICOMMEDIE quando la tragedia si mescola con elementi patetici e sentimentali come in
“Romeo e Giulietta” che è testo molto più antico rispetto agli altri (1596-1597).
Le tragedie di Shakespeare prendono sempre il titolo dal protagonista che campeggia sugli altri
personaggi. Questo ne garantisce nei secoli la straordinaria fortuna scenica in quanto fornisce
grandissime parti di attori e presenta all’interno della vicenda il suo conflitto con le grandi passioni e
con le condizioni dell’uomo in confronto ad un mondo insensibile, corrotto e ingrato che non
riconosce né il potere né i sentimenti e che quindi li porta quindi alle reazioni sproporzionate che
generano poi distruzione, morte e autodistruzione per i personaggi stessi.
LA TEMPESTA (1611 circa) è l’ultimo testo shakespeariano che rappresenta il congedo del drammaturgo dal
teatro. Contiene una sorta di testamento spirituale ed è anche l’unico testo S. di argomento originale.
Quello che rende questo testo attrattivo per la scena contemporanea è il suo taglio meta teatrale.
TRAMA: alla base della storia della vicenda c’è Prospero, signore di Milano, mago e ingiustamente esiliato su
un’isola da un nemico in compagnia della figlia ma grazie alle sue doti magiche sottomette gli abitanti e le
potenze dell’isola e ne fa un suo regno personale. Durante una tempesta la nave con i suoi nemici arriva in
prossimità dell’isola e Prospero fa in modo che l’equipaggio faccia naufragio e da lì inizia un percorso di
recupero e di riavvicinamento ai vecchi nemici che si pentono e gli propongono una riconciliazione e un
ritorno alla civiltà.
Nelle magie di Prospero, capace di mutare gli animi, c’è l’immagine dell’autore di teatro -> Prospero è
Shakespeare e le sue magie sono le creazioni del teatro, l’isola su cui Prospero vive è il teatro che è
contemporaneamente il mondo e la soluzione finale con la con i propri nemici e la decisione di uscire
dall’isola e tornare alla realtà è il congedo dell’autore che esce dal teatro e torna a vivere nel mondo.
https://www.youtube.com/watch?v=aVN94wgXRd4 dal minuto 0.30 al minuto 26.50
La tempesta di Giorgio Strehler del 1978 realizza in teatro con mezzi teatrali senza ricorrere ad effetti speciali
ma usando i mezzi del teatro che sa padroneggiare.
- la presentazione di Prospero che incontra la figlia a cui racconta la vicenda pregressa
- poi incontra il folletto Ariel che realizza in modo eccezionale.
La tempesta diventa metafora anche del lavoro del registra-> non c’è soltanto Prospero e Shakespeare ma
Prospero-Shakespeare-Strehler perché la magia del teatro non è solo la magia del drammaturgo ma
anche la magia del regista, infatti il Prospero di Strehler rappresenta il regista con la bacchetta del
direttore d’orchestra e il copione teatrale.
CRISTOPHER MARLOWE coetaneo di Shakespeare, morto quasi 30enne durante una rissa in una locanda
inglese, è un intellettuale laico e blasfemo chiacchierato ai suoi temi ma un autore estremamente
interessante per quanto riguarda l’epoca della fioritura dei teatri inglesi sulla riva sud del Tamigi.
La sua fama è legata a
- “Tamerlano il grande” (1587), il testo che gli dà il primo successo dedicato a un mitico condottiero
asiatico del medioevo che era la trasposizione dell’individualità eroica dei capitani navali di un
Inghilterra lanciata alla conquista dei mari
- il “Doctor Faust” del 1593 più famoso del primo, è la prima versione della storia tedesca di Faust che
poi sarà immortalata da Goethe
- “L’ebreo di Malta” del 1589 che registra le tensioni sociali anti-ebraiche della società Europea a cui si
richiamerà anche Shakespeare nel mercante di Venezia.
BEN JONSON (1572-1637) autore meno rappresentativo dell’Inghilterra elisabettiana perché legato ad una
poetica che guarda più alla dimensione continentale, più legato all’ispirazione dei modelli della classicità e alle
Originariamente si tratta dello sfruttamento dello spazio già esistente tra edifici già presenti (in consonanza
con l’origine del luogo del teatro elisabettiano che molti studiosi riconducono al cortile delle locande, dove in
Inghilterra avvenivano i primi spettacoli).
In Spagna le rappresentazioni sfruttano lo spazio interno tra i quattro lati di edifici che permettono l’ingresso
a pagamento riservato soltanto al pubblico che voglia fruire dello spettacolo.
A partire dal 1580 i Corral vengono costruiti appositamente per le rappresentazioni teatrali, il più antico è il
Corral di Madrid.
Lo spazio del Corral è ripartito in due parti:
- LATO CORTO: su uno dei lati corti si trova il palcoscenico di fronte al quale sta il lungo spazio interno
che raccoglie il pubblico plebeo in piedi oppure su delle panche (che potevano essere messe o tolte)
SUI LATI invece c’è la presenza di gradinate destinate a un pubblico pagante un biglietto più alto
- PIANI SUPERIORI finestre e balconi erano affittati alla nobiltà o agli spettatori di una classe sociale più
alta.
CAZUELA: uno spazio preciso era riservato alle donne-> si trattava di una galleria posta al primo piano di
fronte al palcoscenico cioè la “cazuela” che era adibita soltanto all’ospitalità del pubblico femminile.
Il corral era di solito coperto da una tettoia o telone che aveva il compito di proteggere dal sole il pubblico che
si trovava in platea e, come nel teatro elisabettiano, lo spazio centrale era aperto e risolveva il problema
dell’illuminazione.
Gli spettacoli infatti si svolgevano sempre in periodo diurno, in particolar modo nella parte finale del
pomeriggio per evitare le ore più calde e per sopperire ai problemi di illuminazione.
Interessanti sono gli sviluppi degli ingressi laterali: molti ingressi (di solito tre ma potevano essere di più)
erano schermati da tende (questo ci riporta all’Inghilterra elisabettiana e all’utilizzo di quello spazio che si
chiamava innerstage)
Anche nel teatro spagnolo del ‘600 l’ingresso schermato da una tenda poteva essere impiegato per scene
d’interno oppure per scene particolari, sappiamo che in questa collocazione era collocata la prigione di
Sigismondo ne “la Vita e Sogno”
Alle spalle del palco c’era il fondale e nella parte superiore le gallerie praticabili, gli attori potevano quindi
entrare anche dal piano superiore e spesso la presenza delle scale consentiva loro di scendere al piano del
palcoscenico.
Anche qui un esempio da “la vita e sogno” può essere utile -> la scena iniziale prevede l’arrivo di Rosaura su
una montagna e poi la sua discesa sul palcoscenico; tutto questo era realizzato con l’ingresso dell’attrice alla
parte del piano superiore e la discesa attraverso la scala.
Una scena così concepita permette di avere degli spazi multipli compresenti (una delle caratteristiche del
teatro spagnolo e della scrittura compositiva degli autori). I testi prevedono più ambientazioni, spesso con
alternanza rapida da un luogo all’altro, reso possibile dalla compresenza di luoghi scenici già esistenti sul
palcoscenico.
LOPE DE LA VEGA che è il teorico della modalità di scrittura della commedia di questo periodo, parla di una
scena a scacchiera cioè una scena che contemporaneamente permette la compresenza di più luoghi scenici.
In realtà, come già nella scena elisabettiana, gli apparati scenografici erano rudimentali ed essenziali,
compensati da un’oggettistica e costumi molto ricchi.
Probabilmente c’era qualche pannello dipinto e qualche elemento scenico che rimandava ad
un’ambientazione piuttosto che a un’altra. Molto veniva fatto dagli attori
Come nell’età elisabettiana, i testi prevedono delle scenografie verbali cioè delle battute descrittive in cui il
personaggio si sofferma ad illustrare il luogo in cui si svolge l’azione in modo da sollecitare nel pubblico la
fantasia che viene a sopperire a quella mancanza di apparato visivo che invece la scena spagnola non poteva
fare.
CALDERON DE LA BARCA sono molto ricchi di questo tipo di battute spesso scritte anche in rima e di grande
qualità letteraria, in cui il personaggio si sofferma a ricreare l’ambiente e a descrivere lo spazio, suggerendo
l’atmosfera cercando di sopperire a quella che è la mancanza di un apparato visivo.
Il luogo teatrale è comunemente definito “corral de comedias” proprio dalla tipologia di testi che venivano
maggiormente rappresentati, cioè le commedie (genere più diffuso)
COMEDIA NUEVA: si tratta di un modello di scrittura comica ben distinto da quella che è la commedia
classicamente intesa e canonizzata dal 500 italiano come commedia letteraria.
- È teorizzata da Lope de Vega in un trattato del 1609 la “Nuova arte di far commedie in questi tempi”
in cui a questo autore professionista dalla produzione fecondissima gli vengono riconosciuti 400 testi.
- Riassume quelle che sono le caratteristiche del nuovo genere di produzione teatrale, partendo dal
riconoscimento che la composizione della Comedia Nueva è basata sulla libertà della concezione
spazio-temporale che prescinde dal rispetto delle unità aristoteliche di tempo, luogo e azione.
- Nella commedia spagnola del 600 le vicende sono molto intricate e non seguono una sola azione ma
le vicende di più personaggi si estendono nel tempo in almeno tre giornate e prevedono
ambientazioni in moltissimi luoghi. Le vicende sono organizzate anche con intrecci estremamente
intricati che prevedono episodi tragici e comici, non c’è la separazione dei generi ma la mescolanza di
tragico e comico. Superamento della divisione dei generi.
- La struttura a differenza della commedia classicamente intesa che è in cinque atti, prevede tre atti, e
lo stile è costituito da una scelta di metri vari che cercano di imitare il parlato quotidiano connotando
linguisticamente e stilisticamente i diversi personaggi.
- Un’altra delle caratteristiche su cui Lope de Vage insiste è il fatto che si tratta di una scrittura fatta in
vista dell’esecuzione delle compagnie.
AUTOSACRAMENTAL- DE LA BARCA: è utile dire qualcosa anche dell’altro grande genere di cui Calderon si
occupa cioè gli “Autos sacramentales” scritti soprattutto a partire dalla metà del secolo
- L’auto-sacramental più importante di Calderon è “il Gran Teatro del Mondo” la cui composizione si
colloca intorno al 1645.
È interessante perché, come già suggerisce il titolo, il testo tratta della metafora della vita come
Teatro, è il cosiddetto “Topos del Theatrum mundi”, topos che si trovava già nel Medioevo ma che
assume una nuova vitalità alla fine del 500 e nel barocco, secondo cui la vita dell’uomo può essere
vista come una grande recita svolta sotto gli occhi di Dio. Ciascuno di noi è chiamato a recitare la sua
parte nella vita, non può sottrarsi a vivere e alla fine della sua recita sarà giudicato dal tribunale divino
che gli darà un giudizio sulla sua interpretazione.
È esattamente quello che accade in questo auto-sacramental -> c’è l’autore che è appunto Dio che
scrive un canovaccio che si chiama “Dio ti guarda, opera bene” e che affida la messa in scena al suo
servitore più fedele, ovvero “Il mondo” che distribuisce le parti tra gli attori che sono il Ricco, il
Povero, il Re, il Contadino, il Bambino, la Bellezza e la Discrezione, chiamati tutti ad entrare in scena e
a recitare la loro parte.
Lo spettacolo si realizza all’interno della Corral, ci sono due porte d’ingresso
- una è la porta d’ingresso della culla ovvero la nascita
È ormai risaputo che questa commedia non è la versione originale della storia di
Don Giovanni, seduttore di molte fanciulle la cui impenitente tracotanza arriva a
sfidare la statua dell’uomo che ha ucciso dopo avergli sedotto la figlia e che
accetta il suo invito a cena per poi stritolarlo, bruciarlo con le fiamme
dell’inferno, sprofondandolo nella dannazione.
Questa storia che originariamente per molto tempo è stata creduta creata da
Tirso de Molina è ormai invece conosciuta dagli studiosi come un’eredità che
Tirso prende dalle compagnie d’arte.
In particolar modo gli studi di teatro spagnolo hanno messo in evidenza come fosse la compagnia di un
capocomico italiano Andrea del Claramonte, morto nel 1626, che fa circolare in Spagna un canovaccio di
questa storia e Tirso de Molina non fa altro che mettere per iscritto quella che era una vicenda
evidentemente molto amata dal pubblico del tempo.
Lo fa con intenti moraleggianti per indicare quanto la tracotanza e la superbia del protagonista sia poi
destinata ad una giusta punizione.
È lo stesso titolo che mette subito sull’avviso di questo impianto moraleggiante e binario del testo.
L’ingannatore di Siviglia ha come controcampo il convitato di pietra per cui
- da una parte c’è la seduzione e l’inganno perpetrati dal protagonista
- ma dall’altra parte la giustizia implacabile e divina che su di lui arriverà a placare e a condannarlo
giustamente.
Non è un caso che nel titolo del testo non compaia il nome del personaggio -> questo è il testo che
fonda il mito di Don Giovanni e che da qui poi prende le mosse per una fortuna incredibile soprattutto
attraverso le due versioni di Molière, di circa 35 anni dopo che si chiama “Don Giovanni” e di quella
700esca di Lorenzo da Ponte che fa da base all’opera di Mozart.
In tutte e due le versioni, Don Giovanni diventa l’indiscusso protagonista e l’aspetto moralistico, che
era così fondamentale nella versione spagnola che fa da modello poi alle altre versioni europee, viene
ad essere scomparso.
12/03/20
LE GRAND SIECLE- IL SEICENTO FRANCESE
La Francia nel XVII secolo assiste ad un grande sviluppo dello spettacolo e della drammaturgia.
Anche per la Francia il 600 è il grande secolo, come in Spagna è stato “il siglo de oro” e in Inghilterra il “golden
age”.
VS: a differenza però della Spagna e dell’Inghilterra che avevano avuto uno sviluppo originale, la traduzione di
un teatro che per molti versi aveva mantenuto legami con la tradizione medievale come il luogo scenico, la
• LE FARSE:
Si collocano nella prima fase della vita di Moliére, nella fase della vita in provincia
tra il 1644 al 1658. Sono interessanti perché registrano l’influenza della commedia
dell’arte e della tradizione italiana del rinascimento.
La commedia dell’arte ha uno straordinario sviluppo, una grande fortuna in Francia
-> la commedia dell’arte trova in Francia la sua seconda patria perché dal 1653 il Re
Sole consente ai comici italiani di avere un teatro stabilmente aperto a Parigi
(comedy italien).
Quindi Moliere non può non aver subito gli influssi della commedia dell’arte, lui
stesso racconta che da bambino seguiva gli spettacoli di piazza dei comici dell’arte a
Parigi e da lì trae la vivacità degli intrecci e gli sviluppi farseschi.
• COMMEDIE DI COSTUME:
LA SCUOLA DELLE MOGLI è la prima commedia che vede Moliére coinvolto in una polemica dei circoli culturali
del tempo, inaugurando una vicenda che lo vedrà protagonista per tutto il resto della sua vita.
TRAMA Racconta una vicenda che serve a Moliére per satireggiare il costume dei matrimoni combinati tra
uomini maturi e giovani donne che era dominante nella Francia del 600 -> la storia racconta sotto forma
scherzosa la vicenda di Arnolfo, uomo maturo che vuole sposare una giovane donna che ha preparato al
matrimonio come tutore, la giovane Agnese è stata allevata in totale isolamento in campagna senza nessuno
svago, intenta solo a dei lavori femminili, in totale ignoranza che viene esaltata come innocenza e che manda
in visibilio il futuro e maturo sposo Arnolfo. In realtà però Agnese non è una sciocca, è una giovane che si apre
all’amore, conosce un suo coetaneo che la corteggia e che lei ricambia, alla fine riuscirà ad affrancarsi dalla
tutela di questo amaro tutore e a coronare il suo sogno d’amore.
Questo filone si colloca negli anni 60 (quando lavora per la Troupe du Roi), che
è caratterizzata da grandi commedie che prendono il titolo dal protagonista
◼ il Don Giovanni del 1665
◼ Il Misantropo del 1666
◼ L’Avaro del 1668
◼ Il Tartufo del 1664 e del 1669
Sono tutte commedie al cui centro si staglia un personaggio che Moliére
tratteggia psicologicamente sfaccettandolo in maniera complessa e molto
ricca, mettendolo in relazione con l’ambiente a cui appartiene.
AVARO: è una commedia interessante dalla prospettiva storica perché è
ispirata alla commedia plautina “Aulularia”-> è un esempio di traduzione del
modello classico nel teatro moderno.
Addirittura c’è un pezzo preso dalla commedia di Plauto, riportato in scena con
una semplice trascrizione cioè il monologo del IV atto in cui il protagonista è un avaro che ha seppellito i suoi
soldi in giardino dentro una cassetta e scopre che gli è stata rubata.
Il monologo del povero avaro che si rivolge al pubblico, chiedendo se qualcuno può aiutarlo a trovare il ladro,
è un rifacimento molto da vicino dello stesso monologo di Plauto in cui Euclione, nella sua versione latina,
aveva seppellito il suo denaro in una pentola ovvero in un aulula, da cui prende il titolo.
Moliére ricostruisce un avaro universale ma nel contempo anche un borghese del suo tempo, infatti rispetto
alla raffigurazione di Plauto, c’è un contrasto con il mondo esterno.
L’”Arpagone” di Moliére, rispetto a quello di Plauto, presenta una sensibile differenza -> non è semplicemente
un personaggio farsesco di comici sberleffi ma una figura inquieta, spesso in contrasto con sé stessa.
La prima caratteristica di Arpagone è la brama di accumulare denaro, ma non è soltanto questo, non è l’unica
passione, Arpagone ha diversi punti deboli che sono riconducibili a una classe e ad un ambiente che è quella
del 600 francese.
Vuole essere giudicato positivamente e fare bella figura, questo riconduce la figura di Arpagone a quelli che
sono già i caratteri della mentalità borghese, accanto a questo Arpagone ha un’aspirazione sentimentale,
vuole coronare il suo sogno d’amore, vuole sposare una ragazza giovanissima che non è innamorata di lui ma
che è innamorata di suo figlio.
MALATO IMMAGINARIO:
LA TRAGEDIA CLASSICISTICA: è un genere che si sviluppa e codifica nel 17esimo secolo in Francia e diventa il
punto di riferimento per tutta la drammaturgia tragica europea almeno fino al Romanticismo.
La tragedia classicistica è direttamente ispirata alla trattatistica rinascimentale che prevedeva la divisione
netta dei generi tra commedia e tragedia.
La tragedia prevedeva la necessità che trattasse di tematiche storico-mitologiche tratte dal mondo antico, in
particolar modo alla storia o alla mitologia greca e romana
Inoltre la composizione tragica doveva essere una composizione composta da 5 atti e condotta nel rispetto
delle unità aristoteliche di luogo, tempo e azione che erano riconosciute come regole imprescindibili per
qualsiasi composizione teatrale di carattere elevato.
PERSONAGGI: accanto a questo la tragedia doveva sempre essere agita da personaggi nobili e dignitosi,
secondo il criterio francese delle Bienséance ovvero la buona creanza, cioè una serie di regole di modello
comportamentale onorato e dignitoso prescritto ai personaggi.
Nessun personaggio tragico poteva abbandonarsi ad azioni volgari, né tantomeno in scena si potevano vedere
azioni violente, tutto doveva essere dignitoso e controllato ed elevato, a partire dall’aspetto formale.
La tragedia classicistica è sempre una tragedia in versi musicali (per la Francia si tratta del verso alessandrino)
composto da un lessico e da una sintassi estremamente controllata con una lingua epurata ed elevata.
Torniamo ad occuparci dell’Italia tra 500 e 600 da un punto di vista non drammaturgico ma architettonico e
organizzativo.
Con l’andare dei decenni, l’idea che andare a teatro non sia soltanto un divertimento in quanto rito sociale o
un dovere d’immagine per promuovere la propria collocazione all’interno della società -> andare a teatro
corrisponde a esercitare un certo tipo di potere e ad aspirare ad un certo tipo di fruizione di genere teatrale.
LE ORIGINI: le origini di questo modello risalgono alla metà del 500, cioè a quel momento in cui abbiamo visto
l’Italia vedere
- la fine della parabola culturale del Rinascimento
- la nascita del grande fenomeno della commedia dell’arte
- la codificazione attraverso il dibattito teorico di quelle che erano state le decisioni e le valutazioni
emerse dalla riscoperta dei classici.
Alla base del pensiero architettonico c’era sicuramente il trattato “De Architectura” di Vitruvio che era
l’unico trattato dell’antichità sopravvissuto dal mondo antico in cui erano descritti anche gli edifici teatrali
e su cui gli uomini del teatro e i teorici del 500 basavano il loro sogno di ricostruzione del teatro antico.
Per grande parte del 500 l’Italia non ha un teatro nel vero senso del termine
TEATRO OLIMPICO DI VICENZA- ANDREA PALLADIO 1580
Per avere un edificio stabilmente dedicato allo spettacolo dobbiamo arrivare al 1580 con il progetto del teatro
olimpico di Vicenza commissionato dall’accademia degli olimpici ad Andrea Palladio, il quale muovendo
proprio dal trattato di Vitruvio costruisce e progetta un edificio che riprenda in gran parte le caratteristiche
del teatro romano.
Infatti Palladio si ispira al teatro romano per:
- la cavea
- per la presenza di un peristilio che circonda la parte alta con una corona di statue secondo gli ordini di
Vitruvio
- e con la presenza della Scenefrance estremamente ricca e decorata articolata su più ordini, come era
descritta nel trattato antico della Scenefrance, Palladio mantiene
◼ le tre aperture di fondo
◼ la porta regia che è quella centrale
◼ le due porte laterali
◼ le ospitalia
◼ versure.
Riprende anche l’idea un’orchestra infossandola come negli esempi più alti del teatro antico.
All’Olimpico si richiama
- il peristilio
- la coronatura con le statue la presenza della cavea
- lo spazio per il pubblico -> dello spazio per la scena non è
ormai rimasto nulla però in origine questo palco
presentava una scenografia costruita e prospettica
secondo il modello della scena fissa e della scena di città
prescritta dai trattati del 500.
https://www.youtube.com/watch?v=2nHHIGXL2u0 dal
minuto 15.20 al minuto 23.55, video di approfondimento
Il principe aveva una sua tribuna collocata sopra l’ingresso della cavea. interessante era anche il fatto che
precedeva l’ingresso del teatro un atrio in cui i cortigiani potevano stazionare prima di entrare in questo
modello di spazio museale che riprendeva le grandezze dell’architettura teatrale passata.
SPAZIO SCENICO:
ARCOSCENICO: proiettato invece verso il futuro era lo spazio
destinato alla scena dove per la prima volta si trova la
presenza dell’Arcoscenico o Boccascena -> una cornice
architettonica che inquadra la scena distinguendola in
maniera netta dallo spazio per il pubblico.
l’Arcoscenico derivava probabilmente da una dilatazione
della cornice trionfale della porta regia della vecchia
Scenefrance o da una dilatazione dell’arco di trionfo a tre
fornici proprio della classicità romana, ma diventava un
elemento funzionale indispensabile in questa fase dello
spettacolo seicentesco perché permetteva la cancellazione
dello spazio destinato ai macchinari che cominciano ad
essere importantissimi all’interno dello spettacolo barocco.
Infatti il palcoscenico del Farnese per la prima volta ha delle quinte mobili, cioè delle quinte che
permettano il cambio di scena e accanto alle quinte la presenza di macchinari per gli effetti speciali che
danno vita a spettacoli sontuosi dal punto di vista visivo e scenografico.
PLATEA: elemento interessante del Farnese è l’utilizzo dello spazio della platea. Si sa che il teatro finito
nel 1618 diventa un luogo di spettacoli a partire dal 1628, anno dell’inaugurazione del primo spettacolo,
con uno spettacolo che era un’opera torneo, cioè un’opera che prevedeva delle evoluzioni con cavalli
che si svolgevano nella platea.
Per gran parte del 600 la platea del Farnese trovò un utilizzo dal punto di vista spettacolare soprattutto
per la forma degli intermezzi.
https://www.youtube.com/watch?v=2nHHIGXL2u0 dal minuto 24.00 al minuto 32.30 –
approfondimento
QUINDI: TEATRO FARNESE
- Cavea a U allungata
- Atrio di accesso
- Spazio della platea
- Arcoscenico
- Palcoscenico con quinte mobili e macchinari per gli effetti speciali
Dal teatro di corte al teatro pubblico a pagamento, eretto nel centro della città per ospitare un pubblico
differenziato.
MELODRAMMA: è l’elemento fondamentale per il salto di qualità dal teatro di corte al teatro pubblico
cittadino. È detta anche opera in musica, nasce alla fine del 500 e comincia ad affermarsi tra 500 e 600.
Si tratta di un genere teatrale con caratteristiche specifiche:
- inizialmente i melodrammi sono rappresentati nell’ambito delle celebrazioni di corte, così avviene
per i primi melodrammi come “l’Euridice” di Peri nel 1600 oppure “l’Orfeo” di Monteverdi del 1607
- ben presto per le caratteristiche di grande spettacolarità e di monumentalità degli effetti e delle
componenti dello spettacolo, il melodramma diventa specificamente il genere spettacolare legato a
una diffusione per un pubblico variegato e differenziato socialmente, un modello di spettacolo
pensato per un intrattenimento a pagamento in una sala specificamente costruita per le sue
caratteristiche.
È infatti collegato a questa finalità il fatto che con il teatro del melodramma cominci a comparire la
consueta struttura con la parete dei palchi, quella che all’epoca chiameranno “la struttura ad alveare della
sala”.
L’INVENZIONE DELLA PARETE A PALCHI
più numerosa rispetto agli altri, e nel contempo garantire quella distinzione sociale delle classi che era
- LOGGIONE: L’ultima sezione di logge aperte della galleria era il loggione o piccionaia che esiste
ancora nei nostri teatri. Era destinato originariamente ai servitori che accompagnavano i signori a
teatro, era uno spazio dotato di sedie con la possibilità di vedere lo spettacolo ma da un luogo
meno privilegiato.
Di fronte alla parete dei palchi si apriva il sontuoso arcoscenico che circondava la zona dell’illusione.
L’azione del palcoscenico era estremamente profonda e articolata per uno spettacolo che basava la sua
attrattività non soltanto sulla musica o sulla performance dei cantanti e degli attori, ma anche sugli effetti
scenografici e speciali che l’arcoscenico contribuiva a celare dalla presenza delle macchine e delle quinte
che cominciano ad essere dal 600 delle quinte mobili che permettono il cambio di scena.
Molto spesso attaccato all’arcoscenico si apriva il sistema dei palchi di proscenio, palchetti che davano
Il modello della sala italiana diventa velocemente il modello vincente ed edifici di questo tipo vengono
costruiti non solo a Venezia ma anche nelle principali città italiane.
Gli architetti e i progettisti si interrogano e si confrontano soprattutto sulla forma della sala, cioè su quella
che può essere la curvatura migliore dei palchi per ottenere una visibilità migliore e soprattutto
un’acustica migliore visto che si tratta di uno spettacolo basato sulla musica.
PIANTA AD U: il punto di partenza è la pianta a U allungata nel teatro Farnese con doppio sistema di logge
che viene poi elaborata quando si capisce che non consente ai palchi laterali di avere una buona visibilità.
PIANTA AD ELLISSE: di qui la bombatura della curva con la versione di pianta a ellissi tagliata che si trova
alla fine del 600 e soprattutto le rielaborazioni della scena settecentesca.
Nel 700 i due modelli di pianta che meglio rispondono all’esigenza di acustica e di visibilità ottimali sono
- la pianta a campana del teatro Filarmonico di Verona del 1715
- la pianta a Ferro di Cavallo, che sarà poi quella vincente maggiormente diffusa per tutto il 700,
compare per la prima volta nel Teatro San Carlo di Napoli del 1737.
La struttura che Piermarini presenta è quella di una sala a ferro di cavallo con
una parete e dei palchi in mezzo alla quale si apre il palchetto reale e che è
contornata da una serie di locali che erano a servizio dei palchi, sono i
cosiddetti camerini retropalco che erano di proprietà dei palchettisti, i quali
potevano destinarli all’uso che preferivano.
Questo a riprova di quanto il teatro a metà del 700 fosse oltre ad un luogo
di spettacolo, un luogo di incontro e di conferma dello status sociale dei
proprietari.
A questa finalità rispondevano anche tutti i locali che sono il “Foyer” del
piano terra e soprattutto il “Ridotto” del primo piano dove all’epoca
dell’inaugurazione della scala si esercitava il gioco d’azzardo che serviva per
finanziare gli spettacoli.
IL PANCOSCENICO: la profondità è uguale alla sala del pubblico ed è
corredata da un sistema di quinte piatte e fondali che sono tipiche del 600 e
700. Sono presentate come un pacchetto di quinte sovrapposte l’una
all’altra che potevano permettere il cambio di scena: si tratta di quinte
piatte a scorrimento laterale.
Nel palcoscenico del teatro esistevano dei binari che consentivano di far scivolare via le quinte in modo da
realizzare i cambi di scena a vista, la stessa cosa avveniva per i fondali (n8) -> un sistema di fondali tagliati
a metà che potevano scorrere su binari lateralmente consentendo i cambi di scena a vista tanto amati dal
pubblico del melodramma del tempo.
A completare la sontuosità di uno spettacolo che si fondava sugli effetti spettacolari e scenografici c’è un
profondissimo retropalco (n10) che serviva per ospitare i macchinari necessari alla realizzazione degli
effetti scenici.
attestate come fonte di ulteriore distrazione e di rumore continuo di fondo presente nella sala.
- A questo tipo di fruizione dello spettacolo contribuiva il fatto che la luce in sala fosse
costantemente accesa.
Il grande lampadario centrale veniva fatto scendere prima dell’inizio dello spettacolo e acceso con
mille candele che poi rilucevano nella sala. Le luci erano anche moltiplicate dalla possibilità che i
proprietari dei palchi avevano di esporre sui loro parapetti delle ulteriori fonti di illuminazione per
attirare l’attenzione e sottolineare il loro prestigio.
- In questo modo lo spazio del palco a teatro diventava l’appendice del salotto di casa dove i
proprietari potevano ricevere i loro ospiti e accoglierli con un arredamento che era legato al gusto
Il nome che venne scelto fu quello del “la Fenice” -> mitico uccello che risorgeva dalle proprie ceneri come
elemento benaugurante; fu realizzato nella parte centrale di Venezia, nell’area del Sestriere di San Marco,
con due facciate perché a Venezia non si arrivava a teatro solo via terra come nelle altre maggiori città
d’Italia, ma anche via gondola, quindi c’è la facciata di terra e la facciata di acqua.
https://www.youtube.com/watch?v=2nHHIGXL2u0 dal minuto 32.30 al minuto 46 - Approfondimento
sull’importanza di Venezia come capitale dello spettacolo del 700
17/03/2020
SETTECENTO A TEATRO- UN SECOLO DI RINNOVAMENTO
LA TEORIA ILLUMINISTA:
• Valore educativo del teatro
• necessità di sottrarre il teatro al suo antico ruolo di “giocattolo di corte”.
• necessità di ridare dignità agli attori perseguitati dalla chiesa e subordinati al potere
La posizione emozionalista:
• L’attore prova in sé le emozioni del personaggio
• Remond de Sainte Albine
La posizione antiemozionalista:
19/03/2020
COMPAGNIA IMER:
- accanto a questa opera di drammaturgo, il suo contratto prevede anche l’obbligo di aggiornare
generici e canovacci in possesso degli attori.
Per Giuseppe Imer, Goldoni lavora fino al 1743 con il contratto presso il Teatro San Samuele di
Venezia, ma presto questo suo lavoro diventa un lavoro a “mezzo servizio”.
AVVOCATO: a partire dal 1739, accanto alla carriera teatrale Goldoni associa la carriera diplomatica e
forense. Nel 1739 assunse il nome di Console della Repubblica di Genova e parallelamente ricomincia la
sua attività di avvocato (1743-1747). Questi sono gli anni in cui incomincia a comporre le prime
commedie scritte:
Per alcuni anni, dalla fine del 1743 al 1747, Goldoni si trasferirà in Toscana e tornerà a dedicarsi
esclusivamente alla carriera di avvocato, lavorando soltanto in maniera occasionale a testi teatrali
su commissione. Questo è il periodo in cui si colloca un famoso canovaccio:
- “IL SERVITORE DI DUE PADRONI” scritto per Antonio Sacchi nel 1745. Nasce da una
commissione di un attore dell’arte che conoscendo Goldoni gli affida il compito di creare un
canovaccio per lui (all’interno di quel lavoro di apprendistato che sa che aveva potuto
apprezzare all’interno della compagnia Imer), destinato a diventare negli anni successivi una
commedia interamente scritta e nel 900 divenne lo spettacolo più famoso del teatro Piccolo di
Milano con il nome di “Arlecchino, servo di due padron”.
TESTI:
- i testi scritti per i comici di Medebach si distinguono per l’impostazione realistica delle vicende.
La scelta di Goldoni è quella di raccontare nelle commedie scene di vita contemporanea con
ambientazione veneziana anche se nelle vicende intervengono ancora le maschere con stilemi
romanzeschi tipici del teatro del tempo come travestimenti o cambi di persona.
- La seconda novità è quella del testo interamente scritto sulla base del talento dell’attore di
riferimento. Ci sono testi scritti per la protagonista femminile che è Teodora Medebach, donna
di avvenente aspetto dotata di una voce dolce e musicale adatta a parti di eroina romantica e
sentimentale per cui Goldoni scrive:
◼ “La putta onorata” del 1749
◼ “la buona moglie” del 1749
◼ “la vedova scaltra” del 1748, primo successo
- la figura di Pantalone di D’Arbes per cui Goldoni scrive
◼ “l’uomo prudente”
◼ “la famiglia dell’antiquario” del 1749
introducendo i primi elementi di rilettura della maschera legata alla riabilitazione morale di
Pantalone.
Se pantalone nella commedia dell’arte era una maschera comica di un vecchio avaro, il Pantalone
È proprio da questi elementi che Goldoni mette in pratica la riforma del teatro.
Lui stesso nel 1750 pubblica la prima edizione delle sue commedie che due sono stati i pilastri di
riferimento del suo teatro:
- il mondo
- il teatro.
Nella prefazione alle commedie “i due libri su cui ho più meditato e di cui non mi pentirò mai di essermi
servito sono il mondo e il teatro”
MONDO: per mondo si intende il testo di ambientazione contemporanea, l’osservazione diretta della
realtà ripresa con le sue dinamiche sociali, con il suo sistema di valori che in questo periodo coincidono
con i valori di onorabilità della società veneziana. È un’ispirazione ai comportamenti in cui Goldoni
ripone la sua fiducia per un rinnovamento morale e sociale degli spettatori.
L’aspirazione del teatro di Goldoni è avere un teatro educativo che possa essere di esempio morale e di
guida allo spettatore che si reca a teatro.
TEATRO: (secondo libro) è l’insieme di tecniche e procedimenti teatrali che si adattano al linguaggio e
alle convenzioni della scena e che portano a tradurre i contenuti della realtà in modo gradevole al
pubblico.
Il frutto della conoscenza della tecnica e del patrimonio artigianale, che Goldoni aveva accumulato
negli anni precedenti, spiega la realizzazione delle commedie attraverso il connubio tra mondo e
teatro.
- Il teatro si esercita nella scrittura calibrata sugli attori di cui Goldoni esalta il talento, scrivendo
delle parti che risultano facili per l’attore perché sono pensati sulle sue misure artistiche.
- Farà uso di colpi di scena per mantenere desta l’attenzione degli spettatori
- l’uso moderato delle maschere che vengono trasformazione ed estromesse poi dalla composizione
delle commedie.
LE 16 COMMEDIE NUOVE: nel 1750 quando la riforma sembra ormai pronta a dominare i palcoscenici
di Venezia guadagnandosi il consenso del pubblico, Goldoni si trova davanti ad un contrattempo
inaspettato -> Nel febbraio Cesare D’Arbes abbandona la compagnia Medebach perché ha ottenuto
una lucrosa scrittura presso il Duca di Sassonia e non può rinunciare ad un’offerta simile.
Questo evento mette in allarme i comici e allontana dalla compagnia i favori del pubblico (proprio
mentre si vendevano gli abbonamenti per la stagione successiva che a Venezia era lunghissima per il
carnevale)
Per soccorrere la compagnia Goldoni promette al suo pubblico, invece delle 8 commedie per contratto,
16 commedie nuove.
La stagione delle 16 commedie è la stagione più famosa di tutta la produzione goldoniana perché
all’interna di trovano molti dei capolavori che confermano la riforma.
TEATRO COMICO: La prima delle 16 nuove commedie è il “teatro comico” del 1750.
Questa commedia è costruita sulla tecnica del teatro nel teatro.
Goldoni propone una vicenda costruita su due livelli:
- una vicenda esterna cioè il mondo rappresentato dalla compagnia Medebach che va in scena
nella prima versione con i nomi biografici e che racconta le difficoltà di una compagnia che si
trova a recitare con tecniche e abitudini diverse da quelle della commedia dell’arte.
APPROFONDIMENTO “Il teatro nel teatro nella scrittura di Goldoni” (PDF ARIEL)
LE DIFFICOLTÀ DELLA RIFORMA: all’interno della vicenda del teatro comico, Goldoni parla in commedia
di quelle che sono le difficoltà della riforma cioè del fatto che non tutti gli attori erano disponibili a
sperimentare la nuova tecnica del premeditato ->
- c’è Placida che è la prima Amorosa che è schierata dalla parte dell’autore
- il nuovo Pantalone invece che era Antonio Mattiuzzi detto “il collatto” (Tonino) denuncia tutta la
sua difficoltà ad imparare dei testi a memoria e a rinunciare alle tecniche della messa in scena per
adeguarsi di volta in volta delle caratteristiche diverse a seconda della scrittura prevista dall’autore.
IL LAVORO CON LE MASCHERE: anche il lavoro con le maschere è analizzato all’interno della commedia
->
la seconda donna chiede al capocomico Orazio perché non è opportuno eliminare subito le maschere.
Orazio risponde con le parole di Goldoni dicendo che la novità non doveva essere imposta in maniera
repentina al pubblico rischiando di spiazzarne le aspettative ma, trattandosi di una riforma, occorreva
modificare pian piano il carattere delle maschere trasformandole in personaggi in modo tale che ad un
certo punto la sostituzione tra la maschera e il personaggio diventasse automatico e il pubblico non lo
notasse come una mancanza.
LA LOCANDIERA
Il rapporto con Girolamo Medebach e la compagnia va guastandosi per una serie di motivi, non ultima
la questione editoriale che pone difronte come contendenti il capocomico (proprietario dei copioni) e
Goldoni che rivendicava il diritto di pubblicare le sue commedie ricevendone i diritti.
Il rapporto va logorandosi e alla fine del 1752 Goldoni decide di lasciare la compagnia. Prima di
andarsene scrive ancora molte commedie importanti fra cui “La Locandiera”.
Opera scritta per la servetta Maddalena Marliani, l’attrice su cui Goldoni
aveva concentrato il suo interesse creativo spostandolo dalla prima
donna Teodora Medebach.
Maddalena (Corallina) aveva un carattere di sfrontatezza, vivacità
scenica e gusto per la battuta, spirito arguto che avevano affascinato
Goldoni. Così alla fine di quell’anno, approfittando del malore della prima
attrice, Goldoni scrive una commedia in cui la servetta diventa
protagonista, da figura secondaria assume la centralità del personaggio
scatenando le ire di Teodora.
La locandiera riprende i caratteri della riforma ormai matura perché intorno alla vicenda di
Mirandolina, locandiera in Firenze ma che in realtà ripropone la struttura veneziana, Goldoni ripropone
il sistema di valori dell’etica dell’imprenditorialità, onestà, moralità, capacità di intraprendenza che
avevano fatto grandi le commedie dell’anno precedente.
Accanto a Mirandolina introduce una società che rappresenta la stratificazione sociale del suo tempo:
- i clienti appartengono alla nobiltà
- i conti e i marchesi e cavalieri sono nobili
- Mirandolina rappresenta la Borghesia
- il cameriere Fabrizio rappresenta lo stato popolare
C’è quindi il mondo dentro la locandiera ma c’è anche il teatro rappresentato dalla figura delle
attrici che arrivano a vivacizzare la situazione della locanda ma soprattutto l’utilizzo della capacità di
finzione che Mirandolina mette in atto per sedurre il cavaliere nemico delle donne.
Scena 15esima del primo atto in cui Mirandolina seduce il cavaliere attraverso il gioco della finzione,
finzione che mima la realtà e che utilizza la capacità del teatro. Miranodolina dichiara la sua avversione
alle finzioni nel momento in cui sta mettendo in atto una simulazione per poter sedurre il cavaliere e
fargli cambiare idea sulle donne.
<-APPROFONDIEMENTO LIBRO
Goldoni passa al servizio del teatro San Luca di Venezia che è il teatro più
importante della città, a gestione impresariale. Non c’è un capocomico ma
un impresario che è Francesco Vendramin che gestisce la compagnia.
Per Goldoni questo passaggio è vissuto come una promozione e
liberazione da molto vincoli che la compagnia Medebach gli aveva
imposto. È più libero, deve scrivere meno ed è meglio pagato.
In realtà il periodo di San Luca sarà un periodo molto difficile in quanto la
compagnia è in continuo mutamento. Goldoni infatti non può più
applicare quel metodo di studio degli attori che gli era consueto, la sala è
molto più ampia e quindi male si addice alle commedie raccolte di
ambientazione di interni che sapeva scrivere, e proprio per questo Goldoni
va incontro a un momento di crisi compositiva.
Ci sono pochi successi tra cui la “Trilogia Persiana”-> sono tre commedie di
ambientazione esotica, che vanno incontro a questa necessità di scendere
a patti con le contingenze che non gli sono favorevoli.
Sono anche gli anni della concorrenza prima con Pietro Chiari poi con Carlo
Gozzi che amareggiano molto Goldoni.
VISIONE VENEZIANA: la visione che Goldoni restituisce, attraverso le commedie del mondo veneziano di
quel tempo, è una visione molto più amara.
Sono commedie che si avvicinano molto alle commedie del dramma borghese, perché il tono è molto
serio e amaro e al centro delle vicende c’è una classe media che ha fallito la sua missione riformatrice,
si è ripiegata su sé stessa, si è incupita e si vede in ostilità con il mondo (come avviene nei Rustichi che
sono dei selvatici che contrastano il mondo sociale che li circonda, o una borghesia che scimmiotta
l’aristocrazia imitandone il rito sociale come avviene nella trilogia della villeggiatura).
TRILOGIA DELLA VILLEGGIATURA: racconta in tre commedie la parabola di due famiglie appartenenti alla
borghesia di Livorno che si indebitano pur di andare a in villeggiatura e condurre una vita dispendiosa sul
modello dell’aristocrazia.
TRAMA: al centro della vicenda c’è la storia di Giacinta che è fidanzata ufficialmente con Leonardo ma
che durante la villeggiatura scopre di amare ricambiata Guglielmo. L’amore tuttavia viene soffocato
dalla ragazza, accettato anche da Guglielmo in nome delle convenienze borghesi.
Sia Giacinta che Guglielmo capiscono che nel mondo delle relazioni interpersonali della classe media
borghese quello che conta è soprattutto la rispettabilità esterna, l’opinione che la collettività ha
dell’individuo e il contratto matrimoniale che Giacinta ha firmato e la condanna la ragazza all’infelicità.
Dichiarazione che Giacinta fa a Guglielmo dicendo però subito dopo che non accetterà più la sua storia
perché si sente legata a Leonardo. Guglielmo accetta la situazione e i due vengono sorpresi da
Leonardo che chiede cosa ci facessero loro due appartati e Giacinta si inventa una storia inverosimile
cioè che Guglielmo aveva chiesto a lei di intercedere per Leonardo per farlo fidanzare con la sorella di
Leonardo, Vittoria, in questo modo condanna se stessa all’infelicità e anche a Guglielmo a un matrimonio
che non vuole.
23/03/2020
IL TEATRO NELL’800
LA RIVOLUZIONE FRANCESE:
Le radici del teatro ottocentesco affondano negli anni della
rivoluzione francese.
Anche per lo spettacolo la rivoluzione francese rappresenta
uno spartiacque perché la caduta delle norme censorie
dell’Ancien Règime porta immediatamente uno sviluppo
estremo dei teatri, con la liberalizzazione dell’apertura
delle sale prima a Parigi e poi nel resto della Francia.
A questo proposto la critica ha parlato di un vero e proprio
delirio spettacolistico che investe il territorio francese ed
europeo sulla scorta degli eventi rivoluzionari.
Per i rivoluzionari il teatro è un importante messo di comunicazione di massa con particolare riguardo
DUE LIVELLI DI TEATRO E SPETTACOLO: Possiamo quindi dire che già nei primi anni dell’Ottocento l’eredità
della Rivoluzione francese si esprime nella coesistenza di due livelli di teatro e spettacolo, cosa che nei
secoli precedenti non si era mai verificata:
- TEATRO VISIBILE in cui ci sono una serie di generi commerciali e di scarso impegno culturale che
vengono rappresentati applauditi e che hanno un grande pubblico-> si tratta di generi con
contenuti leggeri e poco impegnativi, di solito molto tradizionalisti nella conferma di valori della
famiglia, onore e matrimonio. Per questa ragione sono generi favoriti dalla censura degli stati
restaurati dell’Europa che fondano il loro segreto sulla perfetta costruzione scenica capace di
mantenere desta l’attenzione degli spettatori.
Questo è il teatro che gli spettatori dell’800 vanno a vedere e applaudire.
- TEATRO INVISIBILE -> si tratta di un teatro di grande impegno e cultura, di veste letteraria molto
alta e raffinata. È il teatro dei grandi autori destinati a entrare nella storia della drammaturgia e
della letteratura ma scarsamente rappresentato. Raramente uno spettatore dell’800 sarebbe
riuscito a vedere a teatro quello che invece è il teatro di cui si parla nelle storie della drammaturgia.
I GENERI DEL TEATRO VISIBILE: cioè quelli che effettivamente venivano rappresentati all’epoca.
Già, nei primi anni del 700 nascono i due generi del teatro visibile che sono il mélodrame e il vaudeville.
Negli anni 20 dell’800 nasce un terzo genere, destinato a una fortuna ancora più grande:
LA PIECE BIEN FAITE” “rappresentazione drammatica ben costruita” -> si tratta di commedie e, in alcuni
casi anche di drammi, che sono dei perfetti congegni scenici basati su meccanismi estremamente fluidi e
congegnati, con una concatenazione di eventi molto complicati di equivoci e colpi di scena che presentano
una situazione sempre più intricata, fino ad arrivare a una scena centrale dove c’è la resa dei conti di tutti i
personaggi. È la cosiddetta “scena madre”, collocata di solito a metà del testo, da cui prendono il via una
serie di procedimenti che portano allo scioglimento.
Lo spettatore è coinvolto da questo ritmo incalzante che lo cattura anche senza renderlo consapevole
delle molte incongruenze e dei passaggi illogici che talvolta questo tipo di testo prevede, è soprattutto
I GENERI DEL TEATRO INVISIBILE: Sono i generi che troviamo nelle storie delle letterature.
- TRAGEDIA ROMANTICA: primo fra tutti la tragedia romantica tedesca, italiana e inglese di cui sono
autori grandissimi nomi della letteratura come Goethe e Schiller per la Germania, Lord Byron per
l’Inghilterra e Manzoni per l’Italia.
I romantici tedeschi godono di una breve stagione di fortuna scenica negli inizi dell’800 quando
sono messi in scena per poi essere dimenticati dal teatro ma ricordati da parte di critici e
intellettuali. È un teatro che non viene rappresentato ma viene fruito sulla pagina. È in questo
senso che è “teatro invisibile”, un teatro che si legge più che vedersi.
- DRAMMA ROMANTICO: l’unica eccezione in questo teatro è il dramma romantico francese. Anche
in questo caso si tratta di testi con una fortuna più letteraria che scenica, ad eccezione dell’Hernani
di Victor Hugo del 1830.
La tragedia romantica è sempre in versi, prevede una grande introspezione psicologica dell’interiorità dei
personaggi protagonisti con una particolare attenzione all’esplosione delle passioni, all’esaltazione
dell’individuo.
Accanto a questo ha la struttura di un dramma molto più complesso della tragedia classicistica quindi
l’esaltazione degli spazi aperti e l’estensione temporale che copre un arco di diversi anni.
L’ultima caratteristica riguarda l’ampio ventaglio di tematiche che può comprendere al suo interno e che la
vede rivolgersi soprattutto ad episodi della storia nazionale e medievale come elemento di ricerca delle
identità linguistiche e culturali del pubblico a cui il dramma viene rivolto.
caratteristiche del paese fermandosi per periodi più o meno lunghi nelle varie città che all’epoca si
definiscono “piazze”. Questo sistema è particolarmente radicato nel teatro italiano dove è possibile
distinguere diversi livelli di compagnie
DUE CATEGORIE:
- LA COMPAGNIA PRIVILEGGIATA, caratteristica del primo 800 quando molti sovrani degli stati
restaurati finanziano delle compagnie attraverso delle sovvenzioni affinché propongano un
programma di testi e allestimenti particolarmente curati in modo da trasformarli nell’immagine
culturale della loro politica.
- LA COMPAGNIA NOMADE non invece ha alcun finanziamento e a seconda della ricchezza del loro
organico si distinguono in
◼ Primarie che possono contare su attori molto reputati e che hanno un buon corredo di scenari
e una varietà di repertorio
◼ Secondarie poco numerose e presentano dei repertori estremamente ridotti
◼ di Terz’ordine poco numerose e presentano dei repertori estremamente ridotti
Tutte però si basano sulla formazione di attori che hanno maturato l’esperienza del mestiere
direttamente sulla scena -> continua la tradizione dell’attore italiano per cui attori si nasce e non si
diventa, non si va a scuola. Tutti i più grandi attori dell’800 sono figli d’arte che hanno appreso il
mestiere dai genitori.
Il repertorio di una compagnia nomade tiene contemporaneamente in scena un 20/30 titoli per cui
la compagnia è abituata a cambiare spettacolo quasi ogni sera e le repliche sono un’eccezione,
effettuate soltanto in caso di una novità che possono attirare la curiosità del pubblico oppure di
grandi successi degli attori -> in quel caso è il pubblico stesso a chiedere la replica.
Quando la compagnia è molto famosa, l’attore può avere diritto a una recita a beneficio “beneficiata” -> si
tratta di una recita in cui l’incasso andava o per la metà o totalmente a favore dell’attore che poteva
scegliere come strutturare lo spettacolo al fine di attirare al massimo il proprio pubblico e assicurarsi un
guadagno molto più lucroso.
TEATRO DEI RUOLI La base del lavoro di una compagnia 800esca fino alla fine del secolo è il cosiddetto
“teatro dei ruoli”.
I RUOLI erano una modalità di scritturazione degli attori: nei contratti veniva indicato per quale ruolo
l’attore era parte della compagnia. Questa condizione era fortemente limitante, soprattutto per un attore
che non avesse una scritturazione nei primi ruoli.
Il ruolo è una categoria di parti simili per carattere, o per ruolo sociale, in cui l’attore arrivava a
specializzarsi (Es: il ruolo della prima attrice giovane comprendeva in se le parti di Desnemona e le parti di
Giulietta, quindi la categoria del ruolo era quella della giovane donna innamorata, la parte era quella del
singolo personaggio).
Per un attore dell’800, costretto a tenere a mente più spettacoli, il ruolo era il metodo che gli consentiva di
Il grande attore è sempre capocomico della compagnia che conduce e quindi ha il diritto di scegliere ogni
aspetto dello spettacolo a partire dal testo, che può adattare anche in maniera molto vistosa e profonda al
fine di far risaltare il protagonista (tagliando tutte le parti secondarie che potrebbero dargli ombra, o
facendo preparare una traduzione che mettesse in luce il talento dell’attore).
Comune a tutti i grandi attori è che sono dotati di straordinarie capacità interpretativa, una grande abilità
nella modulazione della voce e nell’invenzione dei giochi mimici.
Gli italiani n questo sono gli esempi più alti di questa tecnica che li rende molto famosi in tutto il mondo -> I
ADELAIDE RISTORI La sua fama è soprattutto internazionale e comincia nel 1855, quando si reca a Parigi per
una tournee trionfale che la rende nota in tutta Europa.
La capacità di fascinazione di Adelaide era soprattutto legata alla sua abilità mimica e gestuale che
accompagnava le battute con un tono delle voca suggestivo e seducente e dei gesti più esplicativi di quanto
non fossero le parole.
Le due foto seguenti sono dei due allestimenti importanti della sua carriera:
<- MEDEA: <- LADY MACBETH: portata in scena
recitata nel 1856, nel 1857 realizzata per la tournée
una versione della londinese. Questo ultimo
celebre eroina spettacolo è interessante per i fini
antica scritta per di un discorso sul grande attore
lei da un autore perché spiega come lavorava un
francese che ne grande attore. In vista della sua
aveva rivisto i tournée in Inghilterra, Adelaide
contorni sulla Ristori chiede a Giulio Carcano di
basa del talento modificare e rivedere Macbeth
dell’attrice riscrivendola in chiave femminile.
Crea sulle proprie misure un proprio copione che è incentrato sul personaggio femminile e che consacra la
sua celebrità al di là della manica.
Questa della foto è la scena del delirio e delle mani che la Ristori sapeva realizzare in maniera
impressionante che tutte le recensioni ne parlano come qualcosa di insuperabile. Ciò nonostante la Lady
Macbeth di Adelaide era qualcosa di diverso dal testo shakespeariano che passava in secondo piano ->
quello che era importante era la performance dell’attore.
ELEONORA DUSE
Alla fine del secolo, negli anni ’80 dell’800, si fa strada una nuova generazione di attori più moderni di cui
esempio più interessante del teatro italiano è quello di Eleonora Duse.
Non siamo più legati al metodo di lavoro del grande attore che modifica violentemente il testo, piuttosto a
un tipo di interprete artista che lavora sul testo, modificandolo secondo la propria interiorità rimanendo
fedele alla partitura gestuale -> è l’interpretazione che aggiunge, secondo la Duse, valore al testo senza che
ci sia bisogno di un’operazione drammaturgica a monte.
- PANORAMA era caratteristico del primo 800 ma con l’andare del tempo le raffinatezze
tecnologiche consentono di moltiplicare gli affetti speciali. Nasce così il Diorama
- DIORAMA che viene dallo scenografo francese “Daguerre” che lo aveva inventato in cui il fondale
del Panorama del panorama si caratterizza dal movimento su rulli e soprattutto da effetti
illuministici che realizzano l’alba, il pieno giorno, il crepuscolo e la notte con effetti suggestivi.
Quando poi lo spazio teatrale lo permette, il Diorama può anche avere la variante del Ciclorama.
- CICLORAMA che è un fondale circolare che circonda completamente lo spettatore regalandogli
l’effetto dell’illuminismo e delle modifiche del paesaggio naturale.
LUCE: la grande scoperta dell’800 è l’uso della luce in teatro -> già a partire dall’inizio del secolo le candele
non si usavano più, soppiantate prima all’illuminazione ad olio e poi a quella con lampade a gas, che
permetteva di controllare l’intensità della luce. La luce elettrica arriva nell’ultimo quarto dell’800 e spalanca
delle potenzialità enormi di suggestione al teatro e alla regia teatrale che sta nascendo proprio in quegli
anni. In Italia la luce elettrica arriva negli anni ’80 e nel 1882 il teatro alla Scala è il primo teatro italiano ad
avere interamente l’illuminazione elettrica.
Si tratta di un grandissimo compositore che elabora un’opera di riforma totale per quanto riguarda l’opera
d’arte e non soltanto l’opera in musica.
Ciò che ci interessa davvero di Wagner è la sua idea di teorico e realizzatore di una nuova fruizione di
spettacolo -> per Wagner lo spettatore che va a vedere un’opera d’arte deve avere un luogo idoneo alla
concentrazione sul palcoscenico. Lo spettacolo deve essere un evento culturale a cui il pubblico deve essere
condotto consapevole.
Da qui l’idea di combattere il teatro all’italiana (il modello dei palchi e la fruizione ad intermittenza).
Accanto a questo l’idea di suggerire una grande suggestione allo spettacolo rendendo invisibile l’orchestra -
> La grande idea di Wagner è quella di infossare l’orchestra coprendone la vista al pubblico con un
parapetto incurvato.
In questo modo la musica sembra arrivare da un posto mistico “golfo mistico” che concentrerà tutta la
suggestione dello spettatore su quello che vede in palcoscenico.
A questo si aggiunge il fatto che grazie alla luce elettrica Wagner è il primo a usare lo spegnimento delle luci
in sala per cui il pubblico viene immerso nel buio e può concentrarsi solo sullo spettacolo.
Lo spazio per il pubblico è completato da un colonnato addossato alle pareti che delimita la cave anche
ancora guida la visione del pubblico verso il palcoscenico che è l’unico punto di vero interesse.
Se andiamo osservare la piantina possiamo notare la struttura del luogo scenico e di come alla fine di
questa parte centrale della cavea si collochi nel Golfo mistico, con una curvatura e il parapetto per
l’orchestra infossata.
La seconda parte dell’edificio ospita un palcoscenico molto profondo, circondato da numerosi locali attigui
che hanno lo scopo di ospitare le scenografie, le macchine per gli effetti speciali, ma anche i camerini
dell’attore -> questo ancora con l’effetto di suggestione e di grade completezza dello spettacolo così come
Wagner lo aveva concepito.
24/03/2020
HENRIK IBSEN
FASI DELLA CARRIERA: L’approdo al dramma borghese per Ibsen non avvenne subito, ma dopo una prima
fase della carriera in cui ebbe la possibilità di esercitare la carriera di “dramaturg” per i teatri di
“Cristiania” (l’odierna Oslo) per un periodo piuttosto esteso che va dal 1850- 1864.
Questo consente a Ibsedn di avere una vasta conoscenza della drammaturgia contemporanea francese, di
impadronirsi dei meccanismi di scrittura e di capire i limiti di questa drammaturgia (sia per quella storica
che per quella di ambientazione contemporanea).
A questo Ibsen aggiunge dei viaggi nell’ Europa del sud condotti per la sua salute ma che concorrono a
sviluppare in lui una grandissima conoscenza delle tematiche e le tecniche di scrittura del dramma.
La prima conseguenza è che nei suoi drammi l’azione diventa secondaria, quello che conta è la reazione a
quelle azioni, la resa dei conti dei personaggi che hanno sbagliato nel passato sacrificando le proprie
aspirazioni in nome di scelte economicamente o personalmente vantaggiose ma che hanno tradito le loro
aspirazioni profonde -> di qui una rappresentazione della società borghese completamente diversa da
quella delle coeve “piéce bien faite” di impostazione francese ma anche di alcuni drammi realisti, perché
la visione della classe borghese è fortemente critica, amara e in molti casi polemica.
CASA DI BAMBOLA
TRAMA: al centro della vicenda c’è la storia di una giovane moglie Nora, che è ritenuta frivola e inconsistente
dal marito che però la adora per la sua bellezza e che la relega ad essere una moglie bambola.
In realtà Nora in passato ha contratto un debito per salvare la vita del marito falsificando delle firme su
delle cambiali, indebitandosi in modo impossibile per una signora borghese.
Quando però il marito diventa direttore di banca, il suo creditore (un usuraio) pensa di ricattarla.
Nora sta pagando faticosamente queste cambiali facendo sparire delle piccole somme di denaro al marito,
che lo attribuisce alla sua incapacità di gestire il denaro, ma che in realtà le consentono di conservare
questo segreto di cui lei è molto orgogliosa.
Quando l’usuraio minaccia di denunciarla Nora pensa che suo marito comprenderà la nobiltà del suo gesto
e la perdonerà, invece quando il marito viene a conoscenza della storia va su tutte le furie, la rimprovera e
la minaccia di toglierle la tutela dei figli e di relegarla in casa impedendole di uscire e di intrattenere
qualsiasi relazione per la vergogna che il suo gesto ha gettato sulla famiglia. Poi ritratta la posizione di
minaccia quando scopre che l’usuraio ha ritirato la denuncia.
Per Nora questa è stata la prova della falsità e della mancanza di sentimento che suo marito nutre nei suoi
confronti. Da questa delusione matura la volontà di allontanarsi di casa per ricostruire una vita più
autentica e coerente in solitudine.
Il finale di questo dramma, una donna sposata che lascia marito e figli in cerca di sé stessa era
inaccettabile per la morale borghese. Molti interpretarono il dramma in una chiave femminista accusando
Ibsen di sostenere le cause protofemministe in sviluppo in quegli anni. Non era questa la sua intenzione di
Ibsen, come lui stesso dichiarò durante una conferenza in Inghilterra in cui parlò della volontà di usare
Nora come prototipo dell’individuo che si scontrava condro delle convinzioni borghesi, indifferente delle
Dal punto di vista drammaturgico è un testo interessante per indagare le tecniche di scrittura del dramma
borghese -> in primo luogo per la scelta dell’ambientazione che coincide con il salotto (che è la tipica
ambientazione dei drammi di Ibsen). Il salotto è l’ambiente più rappresentativo della famiglia perché
mette in relazione l’interiorità, la relazione privata con la dimensione pubblica di questo nucleo familiare,
diventando l’immagine della famiglia e dei personaggi.
Questa attenzione all’ambiente si riflette nel grandissimo peso che nella drammaturgia di Ibsen è
conferito alle didascalie.
DIDASCALIE: nel suo teatro le didascalie si fanno lunghe e dettagliate, accurate fino alla meticolosità.
Non c’è dettaglio che Ibsen non prescriva senza un preciso motivo.
Si potrebbe dire dalla didascalia è già possibile sottolineare la fisionomia psicologica del personaggio. Gli
oggetti di cui si circonda, gli ambienti, la luce, il calore, l’atmosfera dicono molto della storia pregressa del
personaggio, e quindi la prima indagine sul personaggio viene proprio dalla sua relazione con gli ambienti.
[Se per Goldoni e Moliere gli interni possono essere indifferenti e il salotto e le stanze sono delle semplici
cornici in cui si colloca un’azione, non è così per Ibsen]
Il salotto di Nora è solo il salotto di Nora, e solo lei può motivare quelle scelte di arredamento e di gusto,
Questo spiega perché con Ibsen si sviluppa l’attenzione all’allestimento. Non è casuale che lo sviluppo
della drammaturgia borghese di fino 800 vada di pari passi con lo sviluppo della prassi registica.
Il testo che prende avvio la vigilia di Natale in una ricca casa borghese ->
“Un salotto accogliente, arredato con molto gusto, ma senza lusso. Sulla parete in fondo: a destra, una
porta che comunica con l’anticamera; a sinistra, un’altra che conduce allo studio di Helmer. Fra questi due
usci c’è un piano forte. A metà della parete una porta e, più avanti una finestra. Accanto a questa tavola
rotonda con un divanetto e alcune poltrone. Sulla parete laterale destra, un po' indietro, un uscio e quasi
in primo piano, una stufa in maiolica con qualche poltrona e una sedia a dondolo. Fra lo studio e la porta,
un tavolino. Stampe appese qua e là alle pareti. Uno scaffale con porcellane e altri ninnoli. Una piccola
libreria con libri splendidamente rilegati. Il pavimento è coperto da un tappeto. La stufa è accesa. È una
giornata d’inverno”
È un ambiente raccontato in tutti i dettagli di cui Ibsen si preoccupa di dare una connotazione di classe.
È il salotto di una classe media che ha gusto e se ne intende ma che non può permettersi lusso -> lo
capiamo perché all’inizio del dramma il marito di Nora è stato appena nominato direttore di banca, ci sarà
un periodo di ricchezza economica per la famiglia che però è nell’avvenire, potrà permettersi lussi che
però ancora non ci sono.
Ci sono delle suppellettili che vanno nella direzione del buon gusto di cui la giovane Nora è una perfetta
esponente, ci sono i vari arredi come il divano, la sedia a dondolo e la stufa in maiolica, i ninnoli e la
libreria con libri splendidamente rilegati -> è gente che se ne intende, compra pochi libri con particolare
cura delle edizioni per metterle in mostra come status symbol di cultura a cui la famiglia aspira.
PORTE: una particolare osservazione va riservata alle porte -> Ibsen è meticolosissimo nella descrizione
delle porte che devono essere collocate dove la didascalia lo prescrive all’interno della messa in scena,
perché il rapporto del salotto con le altre stanze è collegato alle porte.
Il salotto borghese di Ibsen è sempre uno spazio che può essere spiato dalle altre porte, c’è sempre una
tentazione da parte di chi vive la casa di origliare dall’altra stanza, e viceversa un sospetto di chi sta
parlando con un interlocutore che qualcuno stia ascoltando la loro conversazione.
È quindi l’immagine di una relazione familiare basata sul sospetto, la famiglia rappresentata da Ibsen è
regolata da rapporti di convenienza, di formalità esteriore che spesso escludono il rapporto fiduciario e
LA SCENA FINALE: Indaghiamo il momento in cui crolla la formale serenità della famiglia affrontando la
scena finale della resa finale tra marito e moglie, il momento in cui dapprima il marito scopre la lettera di
denuncia dell’usuraio e poi la seconda lettera che il marito riceve in cui l’usurai ritratta e decide di
rinunciare alla denuncia.
Prima Torvald condanna Nora senza possibilità di recupero per poi ritrattare perché quello che lo
preoccupava, lo scandalo esteriore e il giudizio che la comunità avrebbe dato di lui e della famiglia, è
venuto a cadere e quindi come se nulla fosse Torvald riprende la sua immagine di marito tradizionalista.
Nora ha scoperto però la vera identità del marito e quindi decide di andarsene. La scena dell’abbandono
in cui Nora spiega al marito perché vuole andarsene da casa e vuole ritrovare se stessa è la tipica scena
che Ibsen costruisce attraverso l’uso della tecnica analitica, non c’è più un’azione scenica ma una resa dei
conti in cui due personaggi si confrontano.
I personaggi si confrontano, cercano di dire la loro verità e spesso questa confessione dimostra la
lontananza di punti di vista, l’incomunicabilità dei due personaggi e si raccontano cose che in tutta la
convivenza non avevano mai raccontato. Due punti di vista distanti:
- da una parte Nora che parla dei doveri sacri nei confronti di se stessa, della sua interiorità, dei suoi
sentimenti e delle sue emozioni
- dall’altra parte Torvald che è il perfetto individuo borghese che giudica la vicenda privata e
sentimentale attraverso l’occhio delle convenzioni borghesi. Quello che gli interessa è il giudizio
esteriore che gli altri hanno di lui e non la vera e autentica relazione con la moglie.
Dalla presa di coscienza di questa distanza incolmabile Nora matura la volontà di allontanarsi anche dai figli.
APPROFONDIMENTO sulla scena finale. Questo video fa parte della versione Tv della “Casa di Bambola”
del 1968, con Giulia Lazzarini (Nora) e Renato de Carmine (Torvald), Regia di G.Giagni.
SPETTRI (1881): Il dramma successivo di Ibsen che lo consacra a livello internazionale, che continua il tema
di casa di bambole ma sviluppa e introduce un altro grande tema che è l’importanza del passato.
TRAMA: in questo dramma si racconta la storia di una signora matura della buona borghesia norvegese
Helene Alving che per tutta la vita ha cercato di tutelare il buon nome del marito al quale ha anche
costruito in memoria un asilo che sta per essere inaugurato. In realtà il marito, da anni scomparso, era un
uomo depravato e corrotto, che ha tradito più volte la moglie anche con la governante di casa da cui ha
avuto una figlia illegittima che però Helene ha tenuto in casa e allevato. Helene inoltre allontana dalla casa
il suo unico figlio per salvarlo dalla corruzione del padre.
All’inizio del dramma tutto pare crollare e andare contro contro Helene -> il figlio che torna a casa per
l’inaugurazione dell’asilo si rivela malato di sifilide, malattia che probabilmente ha ereditato dal padre ma
che contribuito ad alimentare da se conducendo una vita depravata. Il giovane si invaghisce della
sorellastra. I due riprendono la storia che Helene aveva visto dal marito e dalla governante.
A questo crollo delle certezze e della situazione familiare si aggiungono altri disastri come la devastazione
dell’asilo da parte di una figura bieca a cui Helene aveva posto fiducia.
Nel finale Helene si trova da sola a prendere atto che il figlio sta sprofondando nella pazzia a causa della
malattia.
CASA ROSMER: è il caso più interessante in cui si racconta una torbida vicenda di una mancata relazione
sentimentale tra il Pastore Rosmer (il protagonista) e la governante Rebecca. Nonostante si amino
reciprocamente non riescono a sviluppare un rapporto d’amore sereno e costruttivo, perché entrambi
hanno un legame torbido e irrisolto con il passato, un passato di cui sono stati complici -> tutti e due
hanno indotto al suicidio la prima moglie del pastore Rosmer che si è annegata.
Da quel momento in poi la vita all’interno della grande casa di campagna è diventata per loro
insopportabile, ogni elemento dell’arredo, ogni locale, ogni passaggio della vita quotidiana ricorda loro
quel passato delittuoso, tanto che la vita diventa per loro insopportabile ed il dramma finisce con la
decisione di entrambi di votarsi al suicidio.
“Casa Rosmer” è interessante perché il suo legame con il simbolismo diventa palese quando nel 1893, il
principale regista simbolista francese Aurelien Lugné-Poe, sceglie questo testo per l’inaugurazione del
Théatre de l’Oeuvre, primo teatro simbolista che si apre a Parigi. A noi interessa perché la scelta depone
a testimonianza che Ibsen è considerato il grande autore dell’800 borghese.
Nella sua drammaturgia ci sono elementi di scandaglio del personaggio, di analisi di elementi inconsci
che spiegano perché diventi per i simbolisti un autore di riferimento.
L’ULTIMO IBSEN:
L’ultimo Ibsen va nella direzione di un superamento dell’interesse per l’azione e di una concentrazione
assoluta sulla figura del personaggio che negli anni 90 diventa un eroe maschile che rappresenta la figura
del capitalista, il personaggio del self made men, era alla fine dell’800 una vera e propria categoria
sociale -> l’uomo che si era fatto da solo, aveva fatto grande fortuna e aveva dedicato tutto se stesso agli
affari e all’etica del lavoro spesso calpestando i sentimenti e le relazioni personali.
Proprio su questo modello si concentra l’attenzione di Ibsen negli ultimi drammi
In tutti e tre questi drammi l’azione è ridotta e semplice e quello che interessa è il bilancio con il
passato. Il tema del passato torna ad essere dominante perché in questi testi i protagonisti sono tutti
personaggi ormai anziani che hanno la possibilità di fare un bilancio della loro vita personale e della
loro carriera.
JOHN GABRIEL BORKMAN: è un banchiere che ha subito il fallimento e dopo un periodo in carcere vive
isolato in casa, è separato in casa dalla moglie.
All’inizio del dramma arriva a far visita alla moglie la sorella di lei, Ella che riporta i due personaggi nel
passato rivelando di essere stata fidanzata con Borkman ma di essere stata poi rifiutata da lui per la
sorella più giovane.
Il dramma spiegala resa dei conti di questo mancato rapporto sentimentale -> Borkman ha rinunciato a
lei che pure amava per il ricatto di un collega che gli prometteva un avanzamento del lavoro. Ha quindi
sacrificato la sua vita personale per un avanzamento economico e in questo modo si è condannato ad
una vita infelice. È una presa di coscienza di una vita consumata nella perdita dei veri valori in nome di
qualcosa che comunque ha portato tutti al fallimento. Alla fine cerca di riscattarsi dicendo la verità alla
collettività, ma all’uscita viene sopraffatto dal freddo norvegese e muore per un attacco di cuore.
Il tempo anche qui è il motivo centrale del testo per cui l’azione dei personaggi è annullata e il passato è
l’unico elemento su cui i personaggi riflettono. La constatazione che il passato ha plasmato la psicologia e
ha reso infelice la vita a tutti i personaggi.
Ultimo elemento presente è lo scandaglio del rapporto uomo-donna che si rivela molto spesso infelice
basato sulla incomunicabilità, sull’ ossessione del singolo di trovare nell’altro una corrispondenza che
invece non gli sarà possibile ravvisare.
26/03/2020
LA REGIA NATURALISTA
Il fenomeno della regia, le cui origini si collocano all’intero dell’800 ma che si imporrà a pieno all’inizio del
900.
Il problema delle origini della regia è ancora oggi dibattuto dagli studiosi che hanno posizioni diverse.
Per la gran parte degli studiosi l’origine di questo fenomeno si può collocare a partire dagli anni ’30 dell’800
quando, soprattutto in Francia, si impone un modello produttivo dello spettacolo che comporta delle
competenze coordinatrici di diversi professionisti, primo fra tutti l’autore.
Sarebbe quindi l’autore la figura di regista ante litteram che per difendere il proprio testo dagli abusi degli
attori avrebbe introdotto un sistema di direzione della compagnia, delle scenografie e dell’intero progetto
spettacolare.
Nell’ultimo quarto dell’800, con il Realismo prima e il Naturalismo poi, si impone questa nuova procedura
di organizzazione dello spettacolo che è concepita in alternativa al teatro d’attore.
Il primo esempio di una rinnovata concezione dello spettacolo in senso equilibrato e collettivo si ha con la
compagnia tedesca dei Meininger, che attraversano l’Europa in una lunghissima tournee che comincia nel
1874 e finisce nel 1890. È una compagnia fuori dalle norme delle compagnie capo-comicali o grand-
attoriali dell’800 -> è una compagnia molto numerosa formata da ben 70 componenti, tutti stipendiati e
messi al servizio del duca Georg II di Sax Meiningen.
Il duca essendo appassionato di arte e di teatro dedica la sua vita all’allestimento di spettacoli teatrali
basati su drammi storici, per lo più shakespeariani, allestiti con una grandissima attenzione per la
ricostruzione filologica degli ambienti.
Il duca impiega moltissimo tempo per la preparazione dello spettacolo progettando di persona le
scenografie che sono ricalcate su studi archeologici o di pittura, così come si occupa anche della
preparazione dei costumi (che non sono più del singolo attore) e dedica moltissimo tempo alle prove.
Lo spettacolo che ne deriva è uno spettacolo di complesso e per questo utilizza in modo dittatoriale e
militaresco la compagnia facendo ruotare i ruoli per cui chi fa il protagonista in uno spettacolo, nello
spettacolo successivo occupa un ruolo minore.
Quello che interessa i contemporanei che fruiscono questo spettacolo è la sinergia delle parti, la capacità
degli attori sulla scena di dar vita a delle scene collettive e di massa perfettamente orchestrate
dall’apparenza perfettamente spontanea e naturale.
In realtà questo lavoro sulle scene di massa che rende i Meininger così leggendari era qualcosa di studiato:
il duca divideva la compagnia in piccoli gruppi e in ognuno inseriva un istruttore che aveva il compito di
coordinare gli attori, in modo da agire con delle controscene in maniera sinergica con gli altri.
Ne risultava una visione viva e articolata che metteva sotto gli occhi dello spettatore qualcosa che non si
era mai visto cioè “lo spettacolo di complesso”, orchestrato da una mente esterna.
persino alcuni eccessi come parti di animali macellati, una minestra fumante o la fontanella che zampillava
acqua vera.
L’idea di Antoine era che davvero lo spettatore arrivato a teatro potesse ritrovare sulla scena una realtà
identica a quella della sua quotidianità.
IL GABBIANO
Questo si riflette sulle caratteristiche sul linguaggio-> il linguaggio dei personaggi cecoviani e i loro dialoghi
spesso procedono per linee parallele: in qualche caso si incontrano con le ragioni dell’interlocutore ma poi
tornano a distanziarsi.
È quello che la critica ha chiamato “procedura del dialogo a mosaico”, quasi come se ciascuno dei
personaggi mantenesse una propria linea di sviluppo che va ad intrecciarsi con quelle di altri per formare
un quadro composito in cui domina un’atmosfera di eterna sconfitta, malinconia e rinuncia all’azione
ancora prima di partire.
Le battute iniziali dove due personaggi comprimari stanno dialogando e il personaggio maschile chiede
alla giovane ragazza perché vesta sempre di nero. Lei risponde “porto il lutto per la mia vita, io sono
infelice”.
Ecco il tipico modo di esprimersi dei personaggi checoviani che spesso non riescono ad articolare
compiutamente nel dialogo il loro pensiero, ma si esprimono attraverso pause, false partenze o lunghi
silenzi che sono più significativi delle parole anche perché si accompagnano nella scena ad un
atteggiamento di micro-scene significative.
L’allestimento di Stanislavskij realizzato alla fine del 1898 fu un enorme successo che rivelò al pubblico la
grandezza di una regia che non passava dagli effetti scenografici delle ricostruzioni storiche.
Il Gabbiano diventerà da questo momento in poi l’emblema del teatro di Mosca
SCHEMA A MOSAICO DEL DIALOGO -> si tratta un concertato di diverse voci che vanno tutte ad attestare
un’atmosfera di grande malinconia.
Siamo nella tenuta di campagna dove Kostia sta preparando il suo spettacolo e i futuri spettatori stanno
arrivando per assistere alla rappresentazione.
Quello che domina è la diversa infelicità e la rinuncia a vivere di tutti i personaggi, giovani e vecchi.
- È infelice Kostia che non trova un senso alla sua vita, che vorrebbe una vita artisticamente
compiuta ma che si sente prigioniero di questa piccola provincia.
- Anche lo zio è infelice che vive la vecchiaia con amarezza, come il fallimento delle proprie
aspirazioni, dominata da noia e ostilità nei confronti della campagna dove si rinchiuso.
- È infelice la giovane che apre il testo
- È infelice persino la madre di Kostia che ha un rapporto irrisolto con il figlio.
I personaggi di Čechov hanno tutti una loro pena esistenziale e si impongono alla dimensione dello
spettatore proprio per questa loro dimensione eterna, universale di mancata capacità di incidere sul
presente, si rifugiano nel passato o aspirano al futuro.
DRAMMATURGIA CHECOVIANA
I caratteri de Il Gabbiano si ritrovano anche nelle opere successive che Cechov scrive per la compagnia del
teatro d’Arte di Mosca e che Stanislavskij mette in scena con la sua regia cioè
Si tratta di un modo immobile, chiuso in se stesso con personaggi molteplici all’interno di ogni dramma (5-6
personaggi) di cui si raccontano parallelamente le sconfitte.
Tutto è concentrato alla ricreazione dell’atmosfera.
LE TRE SORELLE 1901 in cui la vicenda delle tre ragazze le coglie all’inizio della vita.
Sono tutte incapaci di assumere un atteggiamento propositivo, attivo e di incidere e modificare la loro
situazione.
Tra di loro i personaggi tendono a costituirsi come delle entità isolate, per cui il tipico andamento del
dialogo è quello dell’andamento a mosaico.
In un’atmosfera di questo tipo hanno molta importanza le didascalie e la prescrizione degli oggetti, dei
particolari che si caricano di suggestioni simboliche, diventano emblemi per una vita sciupata o che non si
potrà realizzare.
Questo fa sì che l’atmosfera fondamentale di Cechov non sia tanto il cupo pessimismo ma la malinconia.
La vita di questi personaggi scorre quasi senza che loro se ne accorgano.
Lo spettatore ha l’impressione di qualcosa che si ripete sempre uguale e inutilmente uguale.
QUINDI:
È l’ultimo testo di Checov e viene realizzato da Stanislavskij circa sei mesi prima
della morte dell’autore.
Le caratteristiche della scrittura cecoviana si ripresentano mescolate ad altre, ci
sono mescolanza di registri, un montaggio di sentimenti che parte dalla vicenda
personale di una famiglia per poi estendersi a una dimensione universale.
(Nella terza unità faremo un approfondimento del Giardino dei Ciliegi)
QUINDI:
- Mescolanza di registri
- Coralità e autonomia dei personaggi
- Incomunicabilità del dialogo
- Montaggio di sentimenti
- Sconfitta collettiva
Il punto di partenza di S. è che personaggi come quelli di Cechov, dotati di una psicologia psicologica e
interiore profonda, hanno bisogno che l’attore li approfondisca con un lavoro di immedesimazione che sia
oggetto di un vero percorso psicotecnico che porti a vivere più che a recitare la parte.
Bisogna quindi fare una distinzione tra vivere e recitare:
- RECITARE è l’atto dell’attore che sulla base del ruolo prende su di sé le caratteristiche del
personaggio esteriormente, ma non riuscirà mai a essere davvero autentico e a colpire dritto nel
cuore del pubblico.
- VIVERE: l’attore deve vivere la parte e fare quell’operazione che in senso tecnico si chiama
“reviviscenza” cioè il caricarsi delle emozioni del personaggio cercando di restituirle attraverso il filtro
della propria personalità.
È proprio questo l’obiettivo dell’attore e da questo il regista deve condurre il suo attore.
Nel sistema di Stanislavskij l’attore diventa proprio il centro dello spettacolo teatrale e la sua
interpretazione si avvale del suo contributo come persona e come individuo-> questo fa sì che la sua
interpretazione diventi unica e irripetibile. Se l’attore riuscirà a vivere dentro di se le emozioni del
personaggio, la sua interpretazione sarà vera e l’emozione che trasmetterà al pubblico sarà reale e non
realistica.
Per arrivare a questo obbiettivo Stanislavskij individua alcune fasi fondamentali del processo che l’attore
compie sotto la guida del regista.
- CICOSTANZE DATE: il primo è un approfondimento e uno studio del testo, per impossessarsi di una
serie di elementi che lo aiuteranno a entrare nella parte, le cosiddette “circostanze date” che sono
rappresentate dalla trama, dagli avvenimenti, dal tempo e luogo dell’azione, dalle condizioni sociali e
storiche dei personaggi, dalle loro relazioni personali in modo che l’attore conosca le dinamiche
strutturali del testo e ripercorra il processo creativo che ha fatto l’autore conoscendo tutto il testo e
non la sua sola parte.
- SOTTOTESTO l’attore comincia poi a fare appello alla propria dimensione immaginativa, occorre che
l’attore ricostruisca tutta la biografia del personaggio e non solo ciò che è rappresentato nel testo.
Deve chiedersi che cosa c’è stato prima per quel personaggio e che cosa potrebbe esserci dopo, deve
immaginare quello che S. definisce il “sottotesto” -> il sottotesto è basato su indizi presenti nel testo,
rielaborazioni e riflessioni che spiegano il perché di certi atteggiamenti.
L’attore riesce così ad entrare nella testa del personaggio e a spiegarsi certi comportamenti.
- MAGICO SE: perché il processo si compia è necessario l’ultimo e più importante passaggio: “il magico
sé”, cioè la domanda chiave. L’attore si deve chiedere “che cosa proverei se fossi in quella
situazione?” Per dare una risposta l’attore deve fare ricorso alla sua biografia e alla sua storia
emozionale. È il vissuto dell’attore che aiuta a vivere autenticamente il personaggio.
Se l’attore si chiedesse cosa proverebbe, potrebbe trovare la risposta attraverso la “memoria emotiva” -
> si tratta di una sorta di archivio delle emozioni che stanno dentro ciascuno di noi e da cui l’attore deve
trarre quella più giusta.
Lo scopo del ricorso alla memoria emotiva è ritrovare un’emozione autentica e il più possibile vicina
- “LA MIA VITA NELL’ARTE” 1924. È una biografia del momento in cui S. si è trasferito in America per
fuggire dalla Rivoluzione del suo paese dove farà ritorno episodicamente trascorrendo gli ultimi anni
della sua vita negli USA e in Europa.
- “IL LAVORO DELL’ATTORE SU SE STESSO” 1936
- “IL LAVORO DELL’ATTORE SUL PERSONAGGIO” lasciata incompiuta nel 1938 e poi pubblicato nel 1961
Nell’edizione italiana più diffusa i due volumi sono uniti in due volumi il titolo di “Il lavoro dell’attore”.
Negli ultimi anni, quelli relativi alla fase americana, Stanislavskij ripensa radicalmente al suo metodo di
approccio all’attore che denota quando la sua attenzione nei confronti della pedagogia dell’attore venisse
verificata di volta in volta e sulle difficoltà che gli interpreti potevano riscontrare nell’applicazione -> si
rende conto che il metodo di psicotecnica che l’attore deve mettere in atto è estremamente difficile,
soprattutto ha delle percentuali di fallimento altissime per quanto riguarda la difficoltà dell’autore di
ottenere un’emozione efficace e soprattutto di riprodurla identica a se stessa nel corso delle repliche -> Lo
spettacolo teatrale va recitato ogni sere e l’attore non sarà in grado di riprodurre con la stessa efficacia
l’emozione ritrovata. Questo spiega perché il metodo Stanislavskij diventa in America il più adatto per gli
attori cinematografici e come invece in teatro vada limato e coniugato con altre esigenze.
METODO DELLE AZIONI FISICHE: S. mostra di rendersi conto di questi limiti e negli ultimi cinque anni della
sua vita elabora un altro approccio, il cosiddetto “metodo delle azioni fisiche” -> l’obbiettivo finale resta
sempre lo stesso, quello di avere una e una resa autentica sulla scena.
Quello che cambia è il percorso e infatti Stanislavskij pensa che la domanda più facile per l’attore è “come
agirei se fossi personaggio?” In questo secondo caso si va a chiamare in causa il corpo e quindi il montaggio
di azioni fisiche specifiche che possono aiutare l’attore a creare una sua memoria.
I discepoli americani di Stanislavskij traducono la versione in un passaggio alla terza persona e quindi
l’attore si potrebbe chiedere “come agirebbe il personaggio?” in questo modo mettendo una distanza tra
sé e il personaggio e comprendendo all’interno del processo creativo quelle parti che sono troppo lontane
dalla sua psicologia e dal vissuto dell’attore.
Il metodo delle azioni fisiche mostra la sensibilità di S. alla scena 900esca dei suoi anni che è caratterizzata
da una rinnovata attenzione per il corpo e per il movimento.
Il punto di partenza è infatti una serie di improvvisazioni fisiche di movimenti senza che l’attore conosca il
testo.
Quello che S. chiede agli attori è quella di immaginarsi la situazione in cui si trova il personaggio e di creare
una serie di azioni fisiche che motiverebbe la risposta del personaggio.
È importante che l’attore non sappia il testo a memoria, deve solo individuare azioni e oggetti, poi ci sarà
il montaggio di queste azioni e sono all’ultimo si introdurrà il dialogo.