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In quanto risultante:
● prevalgono le valenze documentarie e informative;
● documenta il processo compositivo del drammaturgo e le influenze cui è
soggetto;
● viene fatto un lavoro sulle fonti;
● studio sulle interazioni tra drammaturgo e contesto teatrale;
● studio sulle interazioni tra drammaturgo e ambito spettacolare.
In quanto risultato:
● prevalgono le valenze espressive;
● documenta i contenuti della storia,ovvero antefatti,luoghi,caratteri,linguaggio.
I tre livelli
I tre livelli sono quei livelli operativi che influiscono sul processo compositivo del
drammaturgo e,di conseguenza, sulle strutture formali del testo in quanto risultato.
Le strutture, dai livelli, vengono originate,sviluppate,variate.
I tre livelli sono:
● livello delle fonti;
● livello della performance;
● livello del contesto.
Commedia
Per quanto riguarda le opere di carattere comico, le principali fonti sono:
● Osservazione dal vero;
● Repertori drammatici:forniscono, più che soggetti veri e propri, degli spunti su
situazioni e personaggi tipici, che vengono poi modificati, montati e adattati ai
diversi soggetti.
Postdrammatico
Nella cultura post drammatica, il rapporto con le fonti acquista anche un’altra
possibilità: usare le fonti come materiale.Non si tratta solo di rifacimenti più o meno
fedeli di opere,ma di destrutturare le drammaturgie del passato ricavandone
elementi disgregati dalla vicenda nel suo complesso (immagini, brani testuali,
personaggi…) e disponibili ai trattamenti più differenziati.
Esso comprende:
● le differenti modalità o tradizioni performative extra-teatrali presenti nel mondo
sociale del drammaturgo(es.riti, oratoria religiosa, intrattenimenti popolari,
discorsi politici o giudiziari…);
● le convenzioni della performance teatrale che esistono nel contesto in cui
scrive il drammaturgo;
● le abilità, le caratteristiche, le competenze dei singoli attori;
● le performance progettate dal drammaturgo, sia nel senso di didascalie o di
notazioni performative integrate nel testo sia nel senso di performance
effettivamente portate sulla scena dal drammaturgo stesso.
Nel corso della storia del teatro, ci sono una serie di modalità ricorrenti nel rapporto
tra performance e testo drammatico, che caratterizzano le diverse epoche:
1. Fasi di fondazione drammatica:fasi in cui i generi stanno fondando e stanno
stabilizzando le proprie convenzioni e caratteristiche formali.
I testi utilizzano, elaborano e connettono linguaggi tratti dal mondo sociale o dalla
pratica del teatro, e sono ricchi di riferimenti a modi di esprimersi quotidiani, rituali o
artistici.
Es.kommos della tragedia greca riprendono le forme dei riti funerari.
2. Testocentrismo:700-800, fase in cui il testo si impone come vertice gerarchico del
teatro,non solo nell’ambito della critica o del mondo accademico (da sempre
influenzate da Aristotele), ma anche a livello della produzione spettacolare. Si
afferma l’idea che l’arte dell’attore consista nel rappresentare opere drammatiche
preventive e che lo scopo dell’attore sia interpretare testi letterari, non collaborare
alla loro ideazione.
La centralità che il testo assume in questi due secoli dipende, più che da
motivazioni artistiche, dall’enorme aumento del numero di teatri e dalla conseguente
necessità di aumentare la produzione drammatica, che assume caratteri seriali.
Per questo si afferma la cultura della pièce bien faite= commedia costruita in
accordo a
principi strettamente tecnici, che domina le scene europee e statunitensi tra XIX e
XX secolo.
Si afferma perché la teatralità transnazionale del pieno Ottocento implica che tutte le
drammaturgie europee dovessero aderire al medesimo corpus di convenzioni,
affinché potessero essere rappresentate in ogni lingua e paese.
Queste drammaturgie, essendo rapidamente edite e tradotte, contribuivano a loro
volta a stabilizzare queste convenzioni drammatiche.
Uno dei compiti che ha o può avere la scrittura scenica è quello di riscoprire,
interpretare ed esprimere i contenuti originari della scrittura drammatica. Non è un
caso che molti registi si pongano come “paladini” e custodi delle prerogative
poetiche degli autori (Copeau, Stanislavskij, Strehler), MA è evidente come gli autori
dello spettacolo siano ormai due (drammaturgo e regista).
Il livello della performance non scaturisce più solo dalla pura e semplice
messinscena, cioè la realizzazione e la “concretizzazione” di un progetto
spettacolare già pienamente implicato dal testo, ma anche dall’intervento di una
scrittura “altra” da quella drammaturgica e parimenti responsabile del prodotto
spettacolare finale.
Lehmann sostiene che la fase “testocentrica” di effettivo dominio del testo sullo
spettacolo corrisponda a non più di un secolo nella storia dello spettacolo.
Secondo Lehmann il sistema testocentrico coincide con l'avanzata della classe
borghese, vige da fine 700 a fine 800.
LA TRAGEDIA GRECA
Le origini
Le prime indicazioni storiche che abbiamo sul teatro drammatico greco ci derivano
dalla Poetica di Aristotele. La Poetica è un trattato in 26 capitoli a scopo didattico,
composto tra il 334 e il 330 a.C. Si tratta del primo testo occidentale che si occupa
specificamente dell’arte, presa dunque separatamente dall’etica. In esso vengono
esaminate soprattutto la tragedia e l’epica, vengono inoltre affrontati la poesia, la
grammatica e la critica letteraria.
Tutti i grandi tragediografi (Eschilo, Sofocle, Euripide) sono morti da decenni, quindi
Aristotele si occupa di una disciplina "passata".
Al 472 a.C. risale I Persiani di Eschilo, la più antica tragedia che ci sia pervenuta; al
458 a.C. risale la trilogia dell'Orestea.
Aristotele sostiene che in origine la tragedia nasceva come improvvisazione, a
partire da una forma di canto corale chiamata ditirambo; in questo caso la
dimensione "narrativa" veniva dal dialogo fra il coreuta (interprete principale del
coro) e il resto del coro.
La tradizione sostiene che la prima rappresentazione "scenica" di un ditirambo sia
stata fatta dal poeta girovago Tespi.
Più anticamente c'erano i rapsodi (poeti-cantori), coloro che recitavano i poemi epici
accompagnandosi con la lira. Erano in un certo senso degli attori perché comunque
dovevano interpretare numerosi personaggi.
Le prime rappresentazioni tragiche ad Atene risalgono al 534 a.C.; inizialmente c'era
solo un attore, che quindi poteva solo monologare oppure dialogare con il coreuta
(che era portavoce del coro ma non era un personaggio vero e proprio).
La grande innovazione di Eschilo sarà l'aggiunta di un secondo attore →si aggiunge
la possibilità del dialogo fra i due attori.
Conosciamo questa data perché coincide con l'istituzione delle Grandi Dionisie,
competizioni teatrali in onore di Dioniso che si tenevano ogni anno a marzo.
Per l’occasione partecipavano tre drammaturghi, ciascuno dei quali doveva
presentare tre tragedie e un dramma satiresco (che dovevano essere tutte opere
inedite). Il vincitore veniva visto come favorito dagli dèi e in particolare da Dioniso
Prima che le tragedie venissero ammesse alle Grandi Dionisie, dovevano essere
presentate all'arconte (magistrato), anche se tuttora non è chiaro in cosa consisteva
la presentazione: se tutto il testo veniva letto ad alta voce o se semplicemente si
raccontava la trama.
A ciascun drammaturgo era assegnato un corego (finanziatore) che sosteneva le
spese necessarie per allestire gli spettacoli.
L'autore tragico greco, nel momento in cui scrive una tragedia, deve relazionarsi con
il canone della mitologia esistente, con il proprio periodo storico, con i costumi e le
abitudini della società attuale, con le possibilità rappresentative a livello di spazi e
attori → la tragedia non è solo risultato di una forma d'arte, ma anche risultante
determinata da tutti questi effetti.
A loro volta però questi effetti possono cambiare nel tempo, modificando il modo in
cui le nuove tragedie sono concepite, e vecchie tragedie sono analizzate.
Tradizione rapsodica
La tradizione rapsodica è antecedente all’invenzione del teatro, e quindi a - la
definizione di uno spazio teatrale destinato alla visione di una rappresentazione - a
una scrittura di tipo drammatico, in cui lo svolgimento dell’azione e lo sviluppo della
vicenda avvengono unicamente mediante il DIALOGO.
E’ una tradizione orale, i cui contenuti (poemi omerici, ma anche il resto del
patrimonio mitico) sono trasmessi dai rapsodi, ma anche condivisi e conosciuti a
memoria da tutte le persone di grado sociale elevato.
Pratica Coreutica
Pratica che precede e da cui si sviluppa il teatro tragico, ma che continua ad esistere
parallelamente anche dopo l’affermazione della tragedia.
Durante le feste c’erano due premi, quello tragico e uno per i cori ditirambici (= cori
che si esibivano in danze e canti con testi di contenuto esclusivamente narrativo.
Il coro tragico è formato da 15 persone.
Il coro ditirambico è formato da 50 ragazzi o 50 giovani uomini; si esibivano a coppie
alle gare, partecipavano 10 coppie, ognuna fornita da una delle dieci tribù di Atene.
Aspetto performativo
Dal punto di vista performativo, la tragedia appare come combinazione di modalità
performative preesistenti:
1. Elemento corale, mutuato dal coro ditirambico;
2. Elemento dialogico, ripreso dai poemi omerici;
3. Il momento del komos ripreso dalle lamentazioni funebri = momento culminante
dal punto di vista emotivo, in cui il protagonista non declamava, ma cantava insieme
al coro.
Il vaso di Pronomos
Vaso realizzato ad Atene intorno al 400 a.C. che rappresenta il “dietro le quinte” di
un dramma satiresco.
Esso è il più importante documento iconografico sulla messa in scena tragica, da cui
ricaviamo notevoli informazioni sul livello performativo. Gli attori non indossano
scarpe rialzate, ma sandali, oppure sono scalzi. Indossano maschere che non
alterano le proporzioni del viso, portano vesti leggere che non alterano le proporzioni
corporee.
Dimostra come il teatro greco delle origini non si distacchi da una ricerca di
proporzioni realistiche e naturalistiche.
Gli attori devono apparire come figure semplici, che si prestano ad agire non in uno
spazio costruito, ma in uno spazio quasi naturale com’era quello del teatro delle
Grandi Dionisie.
E’ suddiviso in due fasce:
nella fascia superiore, vediamo Dioniso e la sua sposa Arianna davanti ai quali ha
luogo la rappresentazione;
nella fascia inferiore si vedono invece gli attori del dramma, tre attori dagli
atteggiamenti, la postura di una definita “dignità tragica”: Eracle, un re barbaro, e
Papposileno, un coro di satiri, con i tradizionali costumi di pelo e la maschere, alcuni
con la maschera in mano che conversano, altri che provano un passo di danza.
Da questo è possibile dedurre che il dramma satiresco si svolgeva su due piani
distinti: quello dei personaggi mitici (eroi o divinità);
quello del coro di personaggi grotteschi o ferini (satiri), MA non è chiaro se, dal punto
di vista spaziale, personaggi e coro interagissero o rimanessero spazialmente
separati, e l’interazione fosse solo sul piano verbale.
MA c’era una grande libertà di variazione delle storie del patrimonio mitico, con lo
scopo di valorizzare l’efficacia scenica della fabula. Si arrivava a mutare anche
radicalmente la storia di partenza.
Es: in Eschilo a uccidere Agamennone non è Egisto, ma Clitemnestra.
Perché questa libertà in un uso originale delle fonti?
Il corpus dei miti registra già di per sé più versioni di una stessa vicenda;
Il corpus dei miti non era sufficiente per l’enorme quantità di tragedie che venivano
composte ogni anno in occasione delle grandi Dionisie.
Venivano presentate nove nuove tragedie (tre per ognuno degli autori).
Le Grandi Dionisie
In particolare, la tragedia si sviluppa nell’ambito della festività delle Grandi Dionisie,
ovvero festività in onore di Dioniso che si svolgevano in primavera durante la quale
avevano luogo gli agoni tragici.
All’agone tragico partecipavano:
Tre tragediografi (a partire dal 536 a.C.);
Cinque commediografi, o 3 nei periodi di guerra (a partire dal 490 a.C.).
Struttura
Già a partire da I Persiani (472) la tragedia acquisisce una struttura tipica:
Prologo:uno o più personaggi spiegano l’antefatto in modo narrativo;
Parodo:canto che accompagna l’ingresso del coro;
Episodi + Stasimi:nucleo centrale della tragedia, in cui si intervallano I momenti di
azione drammatica (episodi) e i momenti di canto del coro;
Kommos:momenti di culmine emozionale in cui il protagonista non declama, ma
canta insieme al coro.
Esodo:canto che accompagna l’uscita del coro
Il numero di attori
Eschilo è il primo a introdurre il secondo attore, il deuteragonista, mentre Sofocle
introdurrà il terzo attore, il tritagonista.
I tre attori avevano una precisa gerarchia per cui il protagonista (che continua a
coincidere con l’autore) interpreta i ruoli più importanti, il deuteragonista i comprimari
e il tritagonista i ruoli minori.
Perché non possono esserci più di tre attori? Fino ad Euripide, gli attori che
interpretano le tragedie non sono attori professionisti, ma cittadini - questo implica
che era improbabile che ci fosse un numero molto elevato di cittadini in grado di
sostenere una performance tragica. Per ogni gara tragica durante le Grandi Dionisie
venivano rappresentate 3 tetralogie, per un totale di 12 opere e, quindi, di 24-36
attori più il coro: un numero superiore sarebbe stato impossibile. POI anche quando
ha inizio il professionismo attoriale il numero di attori non aumenta, poiché in questa
fase non vengono quasi più composte nuove tragedie, ma vengono messe in scena
le opere dei tre tragediografi, ormai diventate di repertorio.
Ruolo dell’autore
Fino a Sofocle
L’autore si occupa di:
● comporre il testo drammaturgico;
● comporre le musiche;
● comporre I movimenti coreografici del coro;
● “istruire” il deuteragonista e il coro.
La denominazione dell’autore tragico non è quella di autore, ma di maestro del coro.
Testimonia lo stretto rapporto tra funzione compositiva e funzione di “messa in
scena”, di predisposizione delle dinamiche performative.
Le tragedie venivano composte con modalità mista, in parte tramite la scrittura, in
parte oralmente->l’autore doveva occuparsi non solo di istruire attori e coro su come
recitare il testo, ma intere parti della tragedia venivano apprese da attori e coro
direttamente dalla viva voce dell’autore.
Il testo era sì una premessa fondamentale dello spettacolo, ma diventava operativo
solo nel momento della trasmissione agli attori->non un testo letto e imparato a
memoria, ma che prendeva forma a partire dall’interazione tra attori e autore.
Da Sofocle in poi
Si comincia ad assistere ad una graduale separazione di ruoli tra autori, attori e
“registi” che coincide anche con una progressiva scomparsa della concezione dello
spettacolo come unitario, l’abbandono della ricerca di un senso drammatico
complessivo.
386 a.C.: per la prima volta, viene messa in scena una tragedia “di repertorio”
durante le Grandi Dionisie.
Gli incaricati dell’allestimento sono gli attori, e probabilmente, in particolare il
protagonista.
LA COMMEDIA
490 a. C. Prime testimonianze che documentano la presenza di commedie alle
Grandi Dionisie
Personaggi e coro
PERSONAGGI:rappresentano il mondo della realtà attuale, ma in termini
caricaturali;
CORO: rappresenta il mondo della fantasia, o meglio, l’universo primordiale della
Teogonia di Esiodo in cui ancora non vige il principio di individuazione, in cui non
dominano la razionalità, la distinzione in categorie ma vigono l’indistinzione, la
metamorfosi, un magma dionisiaco indistinto e indeterminato.
Confronto Tragedia/Commedia
AUTORI
Tragedia: rimasti I testi di tre autori
Commedia: rimasti I testi del solo Aristofane (datati tra l 390 e il 326 a.C.)
ORIGINI
Tragedia: deriva dai cori ditirambici
Commedia: secondo la testimonianza di Aristotele, nasce da cori ludico-satireschi
che accompagnavano i cortei dionisiaci. Da soluzioni antecedenti o contemporanee
al coro ditirambico, e quindi indipendentemente dalla tragedia, sebbene sia
cronologicamente successiva
SOGGETTO
Tragedia: mito
Commedia: situazioni ancorate al mondo reale, attuale
ATTORI
Tragedia: denominati hypocrites, altamente onorati
Commedia: denominati hystriones, equiparati agli intrattenitori di piazza
ALLESTIMENTI
Tragedia: allestimento curato dall’autore
Commedia: allestimento curato dagli attori
La struttura dell’Odissea
Dal punto di vista strutturale, l’Odissea si configura come una narrazione incentrata
sull’ arte del narrare una narrazione che contenesse e esplicitasse quella dinamica
performativa da cui prendeva origine, cioè la narrazione orale dei cantori.
INTRECCIO (= successione con cui gli eventi vengono presentati) Inizia con
l’abbandono di Calipso.
Tutti gli eventi precedenti sono narrati da Ulisse alla corte dei Feaci, quando questi lo
riconoscono come Ulisse e gli chiedono di narrare loro le sue avventure dopo la
partenza da Troia, MA la narrazione di Ulisse è preceduta da un episodio (LIBRO
VIII) tutto incentrato sull’arte della narrazione in cui Omero, prima di lasciare la
parola ad Odisseo, si auto-rappresenta nei panni di Demodoco, cantore cieco.
DEMODOCO = RUOLO VICARIO dell’AUTORE
Libro IX
Alcinoo si rende conto della commozione del suo ospite, e lo invita a rivelare la sua
identità->AGNIZIONE
Eschilo
525-524 a.C. Nasce da una famiglia nobile di Eleusi
499 a.C. Partecipa per la prima volta ad un agone tragico
490 a.C. Combatté alla battaglia di Maratona
Episodio biografico essenziale: Eschilo si considera sempre un guerriero difensore
della patria, molto prima che un poeta.
Anche come drammaturgo, uno dei suoi scopi è trasmettere e incoraggiare nel suo
pubblico senso civico, valore militare, coraggio
Perchè?Per non suscitare una reazione emotiva esagerata. Questa scelta si spiega
in relazione ad un’altra tragedia ispirata alla guerra persiana, la Presa di Mileto di
Frinico, che narrava l’assedio di Mileto da parte dei Persiani e il massacro che
l’aveva concluso, e che suscitò reazioni di disperazione e terrore tanto forte nei
sopravvissuti da essere proibita perché “privava i cittadini di vigore bellico”.Viceversa
la tragedia Eschilea non suscitava un’esagerata emotività negli spettatori. Anzi, la
sua scelta andava proprio nella direzione di quello che Aristotele avrebbe poi
riconosciuto, nella Poetica, essere il principale scopo della tragedia: purgare gli
spettatori da terrore e compassione.
PERFORMANCE
La scenografia verbale
Come nel teatro elisabettiano sono assenti scenografie, ma:
● vengono usati oggetti;
● dislocati elementi nello spazio scenico (troni, statue, altari);
● si gioca molto sulle valenze visive dei costumi.
Tutti questi elementi vengono evidenziati e esplicitati da una serie di riferimenti
verbali (che sono, tra l’altro, il motivo per cui siamo in grado di esserne a
conoscenza, dal momento che l’apparato didascalico è totalmente assente).
Es.: la regina madre entra in scena portata da un cocchio, indossando abiti sontuosi
e seguita da ancelle. Di questo siamo a conoscenza grazie ad una battuta
successiva della regina, quando torna in scena in un secondo momento, ormai con
gli umili abiti della supplice.
“Ho fatto a ritroso il cammino che conduce dalla reggia a questo luogo, ma senza il
carro e il lusso di prima, per offrire al padre di mio figlio libagioni propizie”. Cita la
presenza di un cocchio e il lusso dei suoi abiti. La presenza di ancelle è implicata dal
fatto che la regina avesse portato con sé le “libagioni” in dono.
Esistono alcune differenze tra alcune informazioni ricavate da Erodoto nelle Storie e
ciò che risulta da Eschilo.
Erodoto dice che la madre di Serse si chiamava Atossa, Eschilo lascia il
personaggio anonimo.
Erodoto dice che Serse, partendo per la guerra, lascia il governo al fratello mentre in
Eschilo la reggenza è affidata a un’assemblea di fedeli (il coro).
CONTESTO:
Rapporti con lo spazio teatrale
Le tipologie spaziali presenti all’altezza temporale dei Persiani condizionano
fortemente la concezione e la successione delle scene.
Manca uno spazio deputato allo svolgimento degli atti culminanti (cioè lo spazio
retroscenico).
QUINDI non c’è l’esigenza che la vicenda generi al proprio interno quelle che
saranno le svolte, come poi sarà nella tragedia matura e, soprattutto, come sarà alla
base del dramma borghese.
Gli avvenimenti culminanti possono avere luogo in spazi molto lontani (nel mondo
diegetico) dallo spazio scenico, e dunque non essere preparati, motivati, resi
possibili dall’azione scenica.
QUINDI
Sono assenti quei meccanismi che, nella tragedia matura, fanno sì che le interazioni
tra i personaggi possano fungere a mandare avanti l’intreccio, perché l’intreccio è
mandato avanti da azioni che avvengono fuori scena.
Lo spazio teatrale
Formato da tre elementi fondamentali:
THEATRON (CAVEA):gradinate dove prende posto il pubblico;
ORCHESTRA: luogo della danza, dove agisce il coro;
SKENE:edificio scenico->introdotto solo a partire da metà del V secolo (circa periodo
dell’Orestea): prima, lo spettacolo aveva come sfondo il paesaggio naturale
retrostante.
Gli attori recitavano davanti alla skenè, ma non è chiaro se fosse o meno presente
un logeon, ovvero un palcoscenico rialzato rispetto all’orchestra, che dunque
implicherebbe una netta separazione tra coro e attori.
La questione è irrisolta, e vede numerosi sostenitori sia dell’una che dell’altra ipotesi
MA è presente anche una terza ipotesi intermedia ð che gli attori recitassero su un
palcoscenico basso, collegato all’orchestra da pochi gradini
La skené
V secolo->l’ipotesi più accreditata è che la skenè fosse in legno o altri materiali
leggeri. Intorno al 330 a.C. Licurgo promuove la ristrutturazione in pietra dell’intero
teatro, e anche la skenè viene eretta in muratura.
Quando la skenè era in legno, è possibile avanzare l’ipotesi che fosse presente
anche una scenografia
I paraskenia
Inizialmente la skenè forse era solamente un muro dotato di una o più aperture da
cui entravano gli attori, MA molto presto vengono aggiunti due corpi laterali agettanti,
i paraskenia. Questa struttura viene poi semplicemente ricreata in pietra quando il
teatro venne edificato in muratura, e davanti alla skenè viene aggiunto un colonnato
(peristilio).
FUNZIONE: una struttura del genere è in grado di concentrare la visione molto più di
uno sfondo piatto
IL LENAION
Il lenaion era il luogo in cui avevano luogo le rappresentazioni delle commedie
durante le feste Lenee.
Le commedie erano infatti rappresentate in due momenti principali:
● durante le feste Lenee, a gennaio, quando erano rappresentate solo
commedie;
● a partire dal 486 a.C., anche durante una delle giornate delle Grandi Dionisie
Mentre nella tragedia matura (Edipo Re, Agamennone) i contenuti ruotano attorno a
fatti che avvengono in interni sottratti alla vista, ma adiacenti allo spazio scenico, i
contenuti della tragedia arcaica si rapportano a fatti e azioni che avvengono anche
molto lontano dallo spazio scenico. cfr Salamina nei Persiani.
Non c’è ancora quella frontalità rappresentativa della tragedia matura, c’è ancora
una dimensione rituale che non si “presenta” davanti al pubblico in modo frontale e
distaccato, ma piuttosto lo avvolge da ogni lato e lo integra anche in maniera più
forte.
Lo spettatore è chiamato a immaginare un’azione tragica che ha luogo non solo
frontalmente a lui (come sarà poi per quello che avviene nel retroscena), ma tutto
attorno a lui
2. Il teatro della tragedia matura
Si iniziano a costruire delle strutture fisse, poste dietro allo spazio in cui agiscono gli
attori
Spazio retroscenico = rappresenta gli interni di quelle case e reggie le cui facciate
sono rappresentate dalla skenè. Lo spettatore sente quel che accade (grida,
lamenti), ma non lo vede.
E’, per definizione, il luogo in cui avvengono delitti, suicidi, azioni sanguinarie.
Il rapporto tra scena e pubblico acquista una più marcata frontalità: anche le azioni
non mostrate esplicitamente, che il pubblico è chiamato ad immaginare, hanno
comunque luogo frontalmente rispetto al pubblico stesso, dietro la skenè.
ESTERNI (Spazio scenico) = il luogo della spiegazione, del dibattito, del giudizio.
INTERNI (Spazio retroscenico) = luogo del delitto.
I rapporti tra queste due tipologie spaziali non rispondono solo a esigenze di
rappresentazione, ma rivelano e coincidono con la struttura morale della forma
tragica evoluta.
Lo spettatore non diviene mai testimone degli atti culminanti, ma solo delle relazioni,
dei sistemi di cause ed effetti che a questi atti culminanti conducono.
A essere veramente importante non è quello che accade, ma ciò che lo fa accadere
in quel modo: di conseguenza, il teatro greco “rende percepibile ciò che non si vede”
(ovvero le interazioni dei destini, le cause e gli effetti) mentre toglie alla vista dello
spettatore ciò che normalmente vedrebbe, cioè gli atti culminanti.
3. Il teatro ellenistico
338-326 a.C. Viene costruito ad Atene un teatro interamente in pietra, per volontà di
Licurgo (lo stesso che promuove la trascrizione delle opere dei tragici.
La forma spettacolare diventa un evento, un rito a sé stante, si emancipa dal legame
con le celebrazioni per Dioniso e costruisce attorno a sé un proprio tempio.
La nascita dell’edificio teatrale non coincide con la nascita e il momento di massimo
splendore del genere tragico, ma anzi con:
1. declino della composizione tragica, cristallizzazione in forme e stilemi
convenzionali e poco “vitali”;
2. trasformazione delle opere dei tre tragediografi a opere di repertorio
3. spettacolarizzazione dell’evento drammatico = assume sempre più importanza
l’elemento virtuosistico e “stupefacente” tanto nel canto e nella retorica, quanto nella
danza e negli elementi scenici – si accentua il carattere ludico-visivo, l’interesse per
l’effetto scenico fine a se stesso;
4. professionalizzazione degli attori.
ORESTEA
ORESTEA (458 a.C.)
Ultima opera (e vittoria) di Eschilo
Unica trilogia tragica interamente conservata
Probabilmente, unica trilogia tragica in cui le tre tragedie rappresentano parti di una
stessa vicenda.
“ Sul resto taccio: ma la casa stessa se avesse voce potrebbe dire tutto; poichè io
volentieri parlo a coloro che sanno e per chi non sa invece dimentico”
Eschilo non vuole anticipare nulla, ma indica già con chiarezza che le colpe di cui si
potrebbe parlare sono avvenute nella casa degli Atridi.
Discorso di Agamennone in risposta al coro dei vecchi Argivi
1. Omaggio agli dei
Giunto ad Argo Agamennone è salutato dal coro dei vecchi Argivi, a cui risponde con
un discorso che si apre con un omaggio agli dei è non è un omaggio formale o di
circostanza, e neanche esclusivamente ottimistico/positivo come quello della
sentinella: anzi, è pieno di immagini di distruzione perché Agamennone sa bene
quanto gli dei possano essere (e siano stati per lui) pericolosi.
3. Accostamento ad Odisseo
Agamennone chiude il discorso dichiarando di sentirsi solidale, tra gli uomini che con
lui hanno combattuto a Troia, col solo Odisseo “Solo lui fu per me un pronto
compagno di traino”.
C’è uno scambio di battute tra i due in cui si dimostra l’insistenza di Clitemnestra, il
suo desiderio di “vittoria” nella contesa, ma anche la sua grande capacità retorica
capace di prevalere anche sul marito
Alla fine Agamennone cede all’insistenza della moglie e cammina sui drappi
purpurei, MA lo fa (camminando piano, togliendosi i calzari) come se fosse già
consapevole che nell’entrare in casa sta firmando la sua condanna a morte.
Coefore
Presenta un climax visivo analogo a quello dell’Agamennone
1. Apertura dell’interno
L’interno della casa viene aperto e vengono mostrati i corpi delle due vittime
(Clitemnestra ed Agamennone) mentre l’assassino invita il pubblico ad osservarli
2. Colore rosso
Il rosso della porpora è sostituito dal rosso del drappo insaguinato che Clitemnestra
ed Egisto avevano usato per avvolgere il corpo di Agamennone, che viene mostrato
da Oreste come segno della loro colpevolezza.
Agamennone
La situazione in cui sono presenti tutti e tre gli attori è l’arrivo del Re
● I tre personaggi sono Cassandra, Agamennone, Clitemnestra
● Per quanto compresenti, non c’è mai un dialogo tra tutti e tre: dialogano
solamente a coppie e/o col Coro
QUINDI dal punto di vista dei contenuti verbali, la presenza del terzo attore non è
fondamentale->è importante invece, dal punto di vista dell'impatto visivo”,per
conferire maggiore fluidità alla scena.
Coefore
Il terzo attore interpreta Pilade, amico e consigliere di Oreste che appare accanto a
lui in scena fin dall'inizio.
Esso è sempre in scena come “ombra” di Oreste, e questo è confermato dai
numerosi riferimenti alla sua presenza nelle battute degli altri personaggi (in
particolare di Oreste, che spesso vi si rivolge).
MA pronuncia una sola battuta. Colto da un dubbio, non più così certo di voler
uccidere Clitemnestra, Oreste si rivolge a Pilade e gli domanda cosa fare. Pilade
risponde ribadendo l’importanza di rispettare la volontà degli oracoli, e quindi
dell’omicidio di Clitemnestra.
“E allora in futuro che ne sarà degli oracoli del Lossia proclamati a Pito, e dei fedeli
giuramenti? Piuttosto che gli dei, tutti gli uomini considerali tuoi nemici”
Questo dimostra che a questa altezza cronologica non c’erano ancora stilemi fissi
per quanto riguardava l’uso del terzo attore, e le sue competenze sceniche.
La tragedia diventa una pratica essenzialmente ludica, che non si preoccupa più di
formare e dialogare col pubblico, ma di soddisfarne passivamente i gusti.
Questa fase è aperta da Agatone, a cui si deve una forte innovazione.
Il coro non è più parte integrante della vicenda drammatica, ma i testi cantati si
emancipano dalla narrazione e svolgono solo la funzione di intermezzo.
Professionalizzazione
Trasformazione in linea con una serie di modifiche del teatro tragico che vanno verso
una progressiva professionalizzazione:
● Repertorio: si fissa in maniera definitiva il repertorio che continuerà a essere
riproposto;
● Crescente importanza dell’attore l’importanza dell'autore – che era centrale in
un teatro come quello del V secolo non di repertorio – cala a favore della
crescente importanza dell’attore;
● Formazione di compagnie professionale: si formano I Teatri di Dioniso;
● Diffusione della festività delle Grandi Dionisie: la festività delle grandi Dionisie
si diffonde anche fuori atene, favorendo la circuitazione delle compagnie.
Le tragedie non vengono più fatte da e per la collettività, ma c’è una separazione tra
pubblico e artisti scenici di professione
Caratteri formali
Le tragedie della terza fase non sono state conservate, ma è possibile dedurne a
grandi linee le caratteristiche formali grazie alle testimonianze di Aristotele,
Aristofane e Platone:
● il kommos (momento in cui l’attore canta) diventa un momento sempre più
importante e virtuosistico tanto che, spesso, arriva a svincolarsi totalmente
dalla storia: ci sono raccolte di kommos che venivano usate dai singoli attori
indipendentemente dall’ attinenza alla storia;
● I discorsi si fanno retorici, ricercano uno stile ricercato, raro, volto a
meravigliare lo spettatore piuttosto che a convincerlo;
● alle azioni volte a mettere in evidenza I caratteri si preferiscono azioni dal
forte impatto visivo e spettacolare.Es “grandi effetti” come combattimenti,
battaglie nautiche.
Questo è dovuto:
1. Alla perdita di autonomia di Atene, sconfitta da Sparta e poi dominata dai
macedoni, che priva la tragedia del suo pubblico originale: gli ateniesi orgogliosi
della propria identità ed autonomia
2. Alla professionalizzazione del teatro e la conseguente creazione di una serie di
mestieri rigidamente distinti, ognuno con specifiche capacità e competenze
ARISTOTELE
LA POETICA DI ARISTOTELE (335 a.C.)
Opera acroamatica = destinata a circolare fra i discepoli, non ad essere pubblicata
Per raggiungerli, Aristotele intende individuare, a partire dai testi dei grandi
tragediografi, un canone formale = insieme di norme che i giovani letterati avrebbero
dovuto seguire nella composizione dei testi.
MA nel farlo, si basa esclusivamente sui testi dei tragediografi, senza considerare le
questioni performative e il contesto rituale in cui si sviluppano.
La conoscenza della pratica teatrale, l’importanza degli attori, delle musiche, di tutti
gli aspetti relativi allo spettacolo non sono negati, ma semplicemente considerati
come secondari al processo compositivo.
La definizione di tragedia
Aristotele si occupa innanzitutto di fornire una definizione della tragedia.
Come per tutte le arti poetiche, il suo principio fondamentale è quello dell’imitazione.
Quello che A. critica alla tragedia contemporanea è che non esistano più caratteri:
dunque non esistono più vere azioni ma solamente azioni spettacolari che non sono
motivate da un carattere.
APOLLINEO:
caratteristico del sogno ;
si rifa’ ai valori di equilibrio, misura, ordine;
si esprime attraverso le arti visive.
DIONISIACO
Caratteristico dell’ebbrezza;
si rifa’ a pussione sotterranee, inconsce;
si esprime attraverso la musica Inoltre, riconosce la nascita della tragedia come
evoluzione dei rituali dionisiaci in cui un coro di satiri, attori e spettatori al tempo
stesso, circondano il dio e lo contemplano.
E’ a partire da questo rituale collettivo che si rende possibile la fusione di dionisiaco
e apollineo: dal momento in cui, nel delirio collettivo, I satiri che partecipano al rito
vedono se stessi satiri e contemplano il dio fuori di sé, unendo la dimensione visuale
e quella musicale, canalizzando l’emotività e l’istintualità dionisiaca nel sogno
apollineo.
Il Pappo Sileno
Statua recentemente esposta ad Atene conferma la versione di Nietzsche.
Statua di un attore con un costume da Pappo Sileno, precettore di Dioniso, figura
che guidava come corifeo i cori dei Sileni nei riti e nelle processioni, che porta in
spalla un Dioniso bambino.
Pappo Sileno è la rappresentazione del principio dionisiaco, ferino, satiresco.
Dioniso->rappresentazione del principio apollineo, plastico, con una forma.
Pappo Sileno è una figura frequentemente rappresentata nella statuaria, talvolta
anche con Dioniso bambino in spalla, MA questa è unica in quanto in una mano
Dioniso regge una grande maschera tragica, che tiene accanto alla testa di
Papposileno.
Jonson è alla base del luogo comune che vuole Shakespeare poeta spontaneo,
naturale, intuitivo e mancante di erudizione.
Shakespeare si fa un po' ispirare dagli attori della Commedia dell’arte italiana che, in
quel periodo, si stava diffondendo in tutta Europa. Egli, come loro, improvvisava, ma
non in scena, bensì pensando. Questa improvvisazione era legata alla memoria, e
quindi al riportare concetti già iscritti nella memoria. Si tratta quindi di improvvisare
non i contenuti del dire, ma il modo di esporli. La sua capacità di improvvisare, dagli
argomenti all’actio, si vede soprattutto nei suoi personaggi “parlatori”, cioè coloro che
spesso esibiscono virtuosismi verbali, (Mercuzio in Romeo e Giulietta, Berowne in
Pene d’amor perdute): i grandi conversatori shakespeariani si servono della loro
dialettica spontanea e agilissima come d’un passaporto sociale, che li impone agli
altri personaggi e al pubblico fondando il prestigio e il gradimento di cui godono.
Affrontano, nell’ambito della propria identità drammatica, problematiche
tipicamente autoriali: il rapporto fra le parole e le cose, quello fra la poesia e la
realtà, i limiti e i poteri del linguaggio. Incarnano la funzione di autore “nella” vicenda;
attraverso di loro Shakespeare fornisce informazioni articolate e precise sull’utilizzo
e la natura delle fonti drammatiche. Sono il contrario dei "raisonneur ottocenteschi",
personaggi distaccati che esprimono il pensiero dell’autore sulla vicenda in atto.
Bacone e Shakespeare
Entrambi antepongono lo sguardo che indaga direttamente le cose rispetto a quello
che si consuma ed acceca ricercando nei libri la verità della natura. Le
corrispondenze fra la cultura di Shakespeare e il sistema baconiano sono in parte
dovute all’attenzione di entrambi per la “magia naturale”, per le scoperte geografiche
e scientifiche, per il generale riassetto del mondo sociale, per la dinamica
assimilazione della sapienza biblica, che, a seguito della riforma, prese il
sopravvento sui paradigmi umanistici. Sia Shakespeare sia Bacone consideravano
le stesse trasformazioni, le stesse crisi e gli stessi impetuosi processi di crescita con
sguardo al contempo libero dalle sovrastrutture umanistiche e fortificato dalla libertà
di giudizio degli antichi.
Berowne
Berowne è la manifestazione di un personaggio che riassume in sé le problematiche
della composizione drammatica e autoriale. Lo studio diretto delle cose è superiore
rispetto allo studio sui libri.
Il Seicento di Bacone e Galileo avrebbe radicato nella cultura occidentale la
metafora della natura-libro: mondo naturale come qualcosa da leggere.
Lo sguardo sulla realtà è un’osservazione empirica, libera dalle sovrastrutture
umanistiche.
I conversatori shakespeariani documentano un’arte del parlare che Shakespeare
esercitò anche nella vita sociale. È importante ricordare che il pubblico popolare
inglese ancora il teatro ad azioni concrete, effettive, indubitabili e impressionanti,
mentre gli autori appoggiano a questa rete di eventi espressioni poetiche e discorsi
che spettacolarizzano il linguaggio.
Le fonti alle quali si ricorre più frequentemente per la costruzione della struttura degli
edifici teatrali sono alcuni documenti iconografici e dalle informazioni tratte dai testi
drammatici all’interno dei quali si rintracciano preziose informazioni sull’articolazione
spaziale.
Scenografia verbale: le voci degli attori del teatro elisabettiano e le parole di cui si
facevano portatrici sono i principali strumenti drammaturgici attraverso cui venivano
create le ambientazioni delle opere e le scenografie assenti.
La prima tipologia di documenti si può dividere a sua volta in due categorie:
immagini di esterni (numerose), immagini di interni (solo quella che, attraverso uno
schizzo, ci lascia un viaggiatore olandese, Joannes De Witt, dello Swan Theater).
• L’elemento essenziale di questo teatro a pianta circolare o ottagonale, in legno e
scoperto è il cosiddetto “upron-stage”, il palcoscenico aggettante in parte coperto da
una tettoia (heavens) e dotato di una parte interna (inner stage), una sorta di nicchia
centrale nascosta da un sipario allo sguardo dello spettatore, uno spazio
retroscenico analogo a quello delle tragedie greche. Non c’era scenografia, ma un
fondo scena (rear-wall) con due entrate per l’ingresso e l’uscita degli
attori,comunicanti con i camerini (tiring-house). Non c’erano complesse macchine
spettacolari, ma botole sui palchi per garantire lo sprofondamento dei personaggi
(spettro del padre di Amleto), oppure c’erano degli argani all’interno della tettoia per
consentire i voli. Vi era poi una parte superiore (upper stage) che costituiva la
balconata sovrastante e serviva per gli assedi o come balcone o finestra (Romeo e
Giulietta).
• I costumi erano un elemento spettacolare fondamentale. Essi erano donati dai
nobiluomini, ed erano quindi caratterizzati da tessuti magnifici.
Più articolate risultano le caratterizzazioni degli sfondi, dei contesti, delle atmosfere
in cui l’azione si sviluppa. In questo caso si possono rintracciare dialoghi in cui i
luoghi “non sono”, ma “si fingono”: si tratta di ambienti immaginari simulati. La quarta
scena del IV atto del Re Lear si fa esempio lampante di questa tipologia di
simulazione spaziale. Il giovane Edgar, sotto mentite spoglie, fa credere al padre di
trovarsi in cima a un precipizio. Il pubblico, complice dello stesso Edgar, sa di essere
portato a immaginare uno spazio che non c’è. Shakespeare fa dipingere a Edgar un
quadro estremamente particolareggiato, fatto di rumori e dettagli, mentre orchestra
la doppia simulazione spaziale.