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DRAMMATURGIA

Il testo in quanto risultante dinamica o risultato formale


Nello studio della drammaturgia, il testo costituisce un oggetto duplice che fornisce
informazioni differenti a seconda che lo si consideri:
● risultante dinamica di un processo che coinvolge i diversi livelli e le diverse
contingenze teatrali in cui è stato composto;
● risultato formale di un processo compositivo di azioni e caratteri.

In quanto risultante:
● prevalgono le valenze documentarie e informative;
● documenta il processo compositivo del drammaturgo e le influenze cui è
soggetto;
● viene fatto un lavoro sulle fonti;
● studio sulle interazioni tra drammaturgo e contesto teatrale;
● studio sulle interazioni tra drammaturgo e ambito spettacolare.

In quanto risultato:
● prevalgono le valenze espressive;
● documenta i contenuti della storia,ovvero antefatti,luoghi,caratteri,linguaggio.

Spesso, le valenze documentarie scoprono valenze espressive nascoste ai


lettori contemporanei, ma che ai destinatari originari del testo comunicavano
tutta una serie di valori extra-diegetici (politici, culturali, celebrativi…) che al lettore
odierno è impossibile cogliere senza un approccio filologico.

Livello drammatico e livello dello spettacolo


Da ogni testo teatrale possiamo ricavare informazioni su due livelli distinti:quello del
dramma e quello dello spettacolo.
Eschilo (525-456 a.C.) è il primo drammaturgo di cui ci sono arrivate opere
drammaturgiche, in particolare la trilogia dell'Orestea (composta da Agamennone,
Coefore, e Le Eumenidi).
Agamennone inizia con una guardia, posta di vedetta sul tetto della casa degli Atridi
(Atréo era il padre di Agamennone). La guardia si lamenta dei suoi lunghi anni di
servizio e dice che il suo compito sarà concluso quando vedrà accendersi la fiamma
che indica il ritorno di Agamennone dalla guerra di Troia → quando poco dopo la
fiamma si accende, il pubblico sa già cosa significa. La guardia va ad avvisare
Clitennestra, senza sapere che Clitennestra ha intenzione di uccidere Agamennone
al suo ritorno.
Questa sequenza dà anche alcune informazioni sulla scenografia dello spettacolo (il
tetto della casa, la fiaccola)
Le didascalie che ritroviamo in Eschilo (ad es. i gemiti del coro) non sono originali,
perché Eschilo non ne faceva uso. Provengono da trascrizioni successive.
Questo significa che nelle versioni originali, erano i dialoghi degli altri personaggi a
far capire il contenuto delle didascalie (ad es. Clitennestra fa un commento sui gemiti
del coro) → si mescola il livello drammatico e quello dello spettacolo.
Lo stesso accade ad esempio in Shakespeare, che a sua volta usa pochissime
didascalie. Allora sono i dialoghi che devono far capire come si svolge l'azione → si
parla di scenografie verbali.
In Romeo e Giulietta vi è una sequenza in cui Mercuzio e Benvolio prendono in giro
Romeo, che è in disparte. Mercuzio dice che Romeo è seduto sotto un albero
mentre pensa a Giulietta → ovviamente non c'è un albero in scena, ma lo spettatore
capisce l'ambientazione da una battuta successiva.
Poi si capisce che Romeo ha sentito la conversazione tra Mercuzio e Benvolio,
quindi si capisce anche il fatto che l'albero (e quindi Romeo) non era molto lontano.

I tre livelli
I tre livelli sono quei livelli operativi che influiscono sul processo compositivo del
drammaturgo e,di conseguenza, sulle strutture formali del testo in quanto risultato.
Le strutture, dai livelli, vengono originate,sviluppate,variate.
I tre livelli sono:
● livello delle fonti;
● livello della performance;
● livello del contesto.

Livello delle fonti


Quasi mai un testo drammatico presenta elementi totalmente originali: i
drammaturghi elaborano narrazioni precedenti, documenti, espressioni idiomatiche,
modalità linguistiche.

Le fonti riguardano tutti i livelli dell’opera drammatica


● fabula (soggetto);
● intreccio (plot);
● lingua e dialoghi.

Varie sono le fonti a cui ispirano le drammaturgie delle diverse epoche:


● la drammaturgia contemporanea tende a ricercare fonti mediante indagini
quasi antropologiche/giornalistiche;
● la drammaturgia romantica si rifa’ alla storia;
● la drammaturgia d’impronta classica si rifa’ a fonti letterarie dell’antichità.

Importante esempio di coinvolgimento personale del drammaturgo nella


ricerca e nella ricostruzione delle fonti :i Persiani.
Questa tragedia parla della sconfitta di Serse I (re di Persia) nella battaglia di
Salamina durante la seconda guerra persiana.
La descrizione della battaglia di Salamina è estremamente dettagliata e coincide con
la successiva ricostruzione storica fornita da Erodoto. Questo ci autorizza a pensare
che Eschilo abbia combattuto a Salamina e avesse personalmente raccolto e
confrontato le testimonianze di vari reduci.

La questione delle fonti


Per il Macbeth Shakespeare si ispirò soprattutto alle Cronache d'Inghilterra, Scozia e
Irlanda di Raphael Holinshed, più altre fonti sugli argomenti della stregoneria e
dell'occulto; mentre le tragedie greche si ispirano spesso alle opere di Omero, che
avevano un ruolo molto importante nell'immaginario comune dell'epoca. In generale
per le tragedie, le esperienze personali non erano quasi mai le fonti principali (in
questo senso I Persiani è un caso molto raro).
Più spesso l'ispirazione (soprattutto nel caso della tragedia greca) veniva da altre
letterature, soprattutto racconti mitologici, i cui personaggi erano praticamente "di
dominio pubblico". Così diversi autori potevano usare lo stesso personaggio, che
appariva completamente diverso a seconda della versione.
Un esempio è l'adulterio fra Clitennestra ed Egisto. Nell'Odissea sembra che sia
stato Egisto a sedurre "la chiara Clitennestra", che cerca di resistergli fino all'ultimo.
Nell'Agamennone di Eschilo invece Egisto è completamente sottomesso a
Clitennestra, che è una "donna dai maschi pensieri" (perché sta progettando un
omicidio). In questo caso probabilmente Eschilo decide di sovvertire la narrazione
originale, cambiando completamente il carattere e le circostanze di Clitennestra.

Commedia
Per quanto riguarda le opere di carattere comico, le principali fonti sono:
● Osservazione dal vero;
● Repertori drammatici:forniscono, più che soggetti veri e propri, degli spunti su
situazioni e personaggi tipici, che vengono poi modificati, montati e adattati ai
diversi soggetti.

Postdrammatico
Nella cultura post drammatica, il rapporto con le fonti acquista anche un’altra
possibilità: usare le fonti come materiale.Non si tratta solo di rifacimenti più o meno
fedeli di opere,ma di destrutturare le drammaturgie del passato ricavandone
elementi disgregati dalla vicenda nel suo complesso (immagini, brani testuali,
personaggi…) e disponibili ai trattamenti più differenziati.

Livello della performance


Il livello della performance riguarda tutto quello che in generale può riferirsi
all’aspetto spettacolare e,quindi,performativo.

Esso comprende:
● le differenti modalità o tradizioni performative extra-teatrali presenti nel mondo
sociale del drammaturgo(es.riti, oratoria religiosa, intrattenimenti popolari,
discorsi politici o giudiziari…);
● le convenzioni della performance teatrale che esistono nel contesto in cui
scrive il drammaturgo;
● le abilità, le caratteristiche, le competenze dei singoli attori;
● le performance progettate dal drammaturgo, sia nel senso di didascalie o di
notazioni performative integrate nel testo sia nel senso di performance
effettivamente portate sulla scena dal drammaturgo stesso.

Tutti questi elementi intervengono in vario modo nel processo compositivo,e


contribuiscono a determinare l’opera e le sue strutture formali.

Le modalità in cui drammaturgia e livello performativo si relazionano tra loro


e si influenzano l’un l’altro può essere ed è stato nel corso della storia del teatro
molto vario.

La drammaturgia si adatta alle esigenze dello svolgimento dialogico delle tradizioni


performative pre-esistenti.Nel caso del teatro greco si intendono le tradizioni epiche,
corali, coreutiche.Nel caso del teatro elisabettiano si intendono forme di
intrattenimento popolari,rituali,accademiche.
La drammaturgia viene modificata o rigenerata da alcune innovazioni nell’ambito
scenico o rappresentativo.
es.:l’introduzione del terzo attore da parte di Sofocle.

Il livello performativo si irrigidisce in codici convenzionali, spingendo la


drammaturgia a produrre opere anch’esse convenzionali che si adattino alle
modalità performative in voga.
es.:distinzioni nei diversi generi e sistema dei ruoli ottocentesco.
Il livello performativo si rinnova sostituendo i codici convenzionali con criteri ispirati:
● all’imitazione della realtà (naturalismo);
● alla ricerca di nuove modalità attoriali (ri-teatralizzazione del ‘900).

Nel corso della storia del teatro, ci sono una serie di modalità ricorrenti nel rapporto
tra performance e testo drammatico, che caratterizzano le diverse epoche:
1. Fasi di fondazione drammatica:fasi in cui i generi stanno fondando e stanno
stabilizzando le proprie convenzioni e caratteristiche formali.
I testi utilizzano, elaborano e connettono linguaggi tratti dal mondo sociale o dalla
pratica del teatro, e sono ricchi di riferimenti a modi di esprimersi quotidiani, rituali o
artistici.
Es.kommos della tragedia greca riprendono le forme dei riti funerari.
2. Testocentrismo:700-800, fase in cui il testo si impone come vertice gerarchico del
teatro,non solo nell’ambito della critica o del mondo accademico (da sempre
influenzate da Aristotele), ma anche a livello della produzione spettacolare. Si
afferma l’idea che l’arte dell’attore consista nel rappresentare opere drammatiche
preventive e che lo scopo dell’attore sia interpretare testi letterari, non collaborare
alla loro ideazione.
La centralità che il testo assume in questi due secoli dipende, più che da
motivazioni artistiche, dall’enorme aumento del numero di teatri e dalla conseguente
necessità di aumentare la produzione drammatica, che assume caratteri seriali.
Per questo si afferma la cultura della pièce bien faite= commedia costruita in
accordo a
principi strettamente tecnici, che domina le scene europee e statunitensi tra XIX e
XX secolo.

Si afferma perché la teatralità transnazionale del pieno Ottocento implica che tutte le
drammaturgie europee dovessero aderire al medesimo corpus di convenzioni,
affinché potessero essere rappresentate in ogni lingua e paese.
Queste drammaturgie, essendo rapidamente edite e tradotte, contribuivano a loro
volta a stabilizzare queste convenzioni drammatiche.

Crisi del dramma


Comincia ad aver luogo un’evoluzione che supera la serialità della pièce bien faite, e
che parte da una serie di drammaturghi/guida. Essa è un’innovazione
drammaturgica che si riflette sul livello performativo e porta ad un’innovazione
scenica

Nascita della regia


Si delinea una struttura “a doppio binario”:
● scrittura drammatica;
● scrittura scenica.

Uno dei compiti che ha o può avere la scrittura scenica è quello di riscoprire,
interpretare ed esprimere i contenuti originari della scrittura drammatica. Non è un
caso che molti registi si pongano come “paladini” e custodi delle prerogative
poetiche degli autori (Copeau, Stanislavskij, Strehler), MA è evidente come gli autori
dello spettacolo siano ormai due (drammaturgo e regista).
Il livello della performance non scaturisce più solo dalla pura e semplice
messinscena, cioè la realizzazione e la “concretizzazione” di un progetto
spettacolare già pienamente implicato dal testo, ma anche dall’intervento di una
scrittura “altra” da quella drammaturgica e parimenti responsabile del prodotto
spettacolare finale.

Emancipazione della scrittura scenica da quella drammatica


Il sistema “a doppio binario” sfocia negli anni 60 nell’emancipazione della scrittura
scenica dalla scrittura drammatica.
La scrittura scenica non richiede più di rapportarsi necessariamente alla scrittura
drammatica, ma compone direttamente sulla scena. Queste nuove pratiche
registiche non compongono spettacoli per rappresentare un testo drammatico, ma
spettacoli che utilizzano al loro interno diversi elementi testuali, in cui il linguaggio
verbale non ha preminenza rispetto agli altri linguaggi (al lavoro per il testo si
sostituisce il lavoro con i testi)
Questi processi di composizione mediante la scrittura scenica spesso coinvolgono
anche il lavoro con gli attori, che, in collaborazione col drammaturgo e/o il regista,
danno vita a un prodotto spettacolare.
L’esito di questo processo compositivo può essere raccolto in un testo consuntivo
che raccoglie sia i testi “verbali” utilizzati sia una “trascrizione” di tutti gli altri
linguaggi utilizzati nello spettacolo (azioni degli attori, oggetti scenici, musiche e
suoni, luci…).
In un certo senso, si ritorna alla fase iniziale in cui la drammaturgia nasce non in
modo indipendente e separato dalla vita materiale del teatro, ma a partire dalla
collaborazione tra drammaturghi, registi, attori come nelle fasi della fondazione
teatrale.

Livello del contesto


La drammaturgia è utile non solo a conoscere il dramma in sé, ma anche il contesto
storico e sociale in cui si colloca → il dramma stesso tende a riflettere delle
problematiche sociali, che probabilmente saranno comuni o note a buona parte del
pubblico.Noi abbiamo lo svantaggio che non facciamo parte della società per cui
queste opere sono state pensate, quindi ci sono riferimenti che non sono immediati
per noi come lo sarebbero per il pubblico dell'epoca.

Opere chiuse e opere aperte


Dal punto di vista della relazione tra pubblico e testo, ogni drammaturgia
rappresenta al tempo stesso:
● un’opera chiusa;
● un’opera aperta.

In quanto opera chiusa:


● un testo dispone al proprio interno una serie di riferimenti che permettono a
qualsiasi spettatore – indipendentemente da cultura, origine, estrazione
sociale – di seguire la vicenda narrativa e concettuale dell’opera;
● una serie di elementi assoluti, universali.

In quanto opera aperta:


un testo dispone al proprio interno una serie di riferimenti che dipendono dal
contesto sociale, teatrale, spettacolare in cui si sviluppa, e dal pubblico;
● una serie di elementi coglibili solo da determinati spettatori.

Esempio:il Macbeth di Shakespeare.


Nel 1603 muore Elisabetta I, regina d'Inghilterra, senza eredi; un consiglio di
successione nomina come nuovo re Giacomo I (già re di Scozia), e in questo modo
si scampa il pericolo di guerre di successione o tentativi di usurpare il potere. In
questo clima viene scritto il Macbeth, la cui trama si basa su usurpazioni e prese di
potere illegittime, intrecciando eventi attuali (all'epoca) con la storia medievale di
Macbeth.
In una scena, la profezia delle tre streghe mostra tutti i futuri re di Scozia. L'ultimo
che si vede è un sovrano con due globi e tre scettri; per il pubblico dell'epoca
sarebbe stato immediatamente riconoscibile come Giacomo I (due globi = due
monarchie di Inghilterra e Scozia, tre scettri = tre regni di Inghilterra, Scozia, e
Irlanda)

Esempio: I Persiani di Eschilo.


Al ritorno di Serse I in patria, dopo la sconfitta, la madre Atossa dice che "per fortuna
Serse è persiano e non greco". A noi sembra solo una questione di patriottismo, ma
in realtà Atossa si riferisce al fatto che in Grecia i condottieri potevano essere
processati e puniti dopo aver subito una sconfitta militare, mentre Serse essendo
persiano non corre questo rischio.

l problema dell’individuazione di una fase testocentrica


Sia Szondi sia Lehmann negano che la presenza di una drammaturgia forte implichi
necessariamente un sistema teatrale di tipo testocentrico ed esclusivamente
rappresentativo, che svaluta o comunque pone in secondo piano gli elementi
performativi. · Szondi evidenzia come sia i testi dei tragediografi greci sia quelli di
Shakespeare, pur rappresentando sicuramente delle “drammaturgie forti”, non
corrispondano a un sistema teatrale testocentrico e rappresentativo. Anzi, non solo
in entrambi gli elementi performativi sono fondamentali, ma in entrambi i casi i testi si
sviluppano in stretto contatto con la pratica teatrale.

Secondo S., sistema testocentrico vige da Rinascimento a fine 800.

Lehmann sostiene che la fase “testocentrica” di effettivo dominio del testo sullo
spettacolo corrisponda a non più di un secolo nella storia dello spettacolo.
Secondo Lehmann il sistema testocentrico coincide con l'avanzata della classe
borghese, vige da fine 700 a fine 800.

Sistemi non testocentrici


Essenzialmente non testocentriche sono tutte quelle fasi in cui il drammaturgo opera
all’interno dell’ensemble (cfr Shakespeare, Molière, Goldoni)
Qui, il processo compositivo e creazione spettacolare si intrecciano e compenetrano
costantemente, e il contesto dell’ensemble cui appartiene influenza profondamente
la composizione drammatica.
Il drammaturgo può operare scelte in funzione del pubblico tipico della compagnia, e
delle sue reazioni a produzioni precedenti.
Il drammaturgo può scrivere parti, battute, costruire personaggi avendo già in mente
gli attori con cui lavorerà, e scegliendo quindi di puntare sulle loro abilità e peculiarità
Il drammaturgo conosce già possibili spazi e modalità di allestimento, o comunque
ha la facoltà di intervenire, e scrive anche in funzione ad esse.
Sistema testocentrico
Nel teatro ottocentesco si stabilisce un sistema produttivo fondato sulla separazione
tra il lavoro dell’attore e quello del drammaturgo e non lavorando più insieme, come
viene garantita l’effettiva “trasponibilità” sulla scena del testo.
Attraverso una serie di convenzioni condivise che prevedono:
● schemi situazionali ricorrenti;
● un sistema di ruoli drammatici = prima donna, primo uomo, padre nobile,
madre nobile, caratterista, raisonneur, l’avventuriera…

Il fenomeno del testocentrismo rende la produzione drammatica seriale.


Cosa favorisce la diffusione del sistema testocentrico?
● Diritto d’autore consente al drammaturgo di trarre guadagno dalla vendita dei
biglietti e delle copie pubblicate. Di conseguenza, al drammaturgo conviene
scrivere opere rappresentabili dal più vasto numero di compagnie
● Esplosione dell’editoria drammatica
Il pubblico molto spesso si reca a teatro avendo già letto il testo, e quindi con
precise aspettative riguardo a rappresentazione e interpretazione. Le
compagnie si adeguano alle attese del pubblico,

LA TRAGEDIA GRECA

Le origini
Le prime indicazioni storiche che abbiamo sul teatro drammatico greco ci derivano
dalla Poetica di Aristotele. La Poetica è un trattato in 26 capitoli a scopo didattico,
composto tra il 334 e il 330 a.C. Si tratta del primo testo occidentale che si occupa
specificamente dell’arte, presa dunque separatamente dall’etica. In esso vengono
esaminate soprattutto la tragedia e l’epica, vengono inoltre affrontati la poesia, la
grammatica e la critica letteraria.
Tutti i grandi tragediografi (Eschilo, Sofocle, Euripide) sono morti da decenni, quindi
Aristotele si occupa di una disciplina "passata".
Al 472 a.C. risale I Persiani di Eschilo, la più antica tragedia che ci sia pervenuta; al
458 a.C. risale la trilogia dell'Orestea.
Aristotele sostiene che in origine la tragedia nasceva come improvvisazione, a
partire da una forma di canto corale chiamata ditirambo; in questo caso la
dimensione "narrativa" veniva dal dialogo fra il coreuta (interprete principale del
coro) e il resto del coro.
La tradizione sostiene che la prima rappresentazione "scenica" di un ditirambo sia
stata fatta dal poeta girovago Tespi.
Più anticamente c'erano i rapsodi (poeti-cantori), coloro che recitavano i poemi epici
accompagnandosi con la lira. Erano in un certo senso degli attori perché comunque
dovevano interpretare numerosi personaggi.
Le prime rappresentazioni tragiche ad Atene risalgono al 534 a.C.; inizialmente c'era
solo un attore, che quindi poteva solo monologare oppure dialogare con il coreuta
(che era portavoce del coro ma non era un personaggio vero e proprio).
La grande innovazione di Eschilo sarà l'aggiunta di un secondo attore →si aggiunge
la possibilità del dialogo fra i due attori.
Conosciamo questa data perché coincide con l'istituzione delle Grandi Dionisie,
competizioni teatrali in onore di Dioniso che si tenevano ogni anno a marzo.
Per l’occasione partecipavano tre drammaturghi, ciascuno dei quali doveva
presentare tre tragedie e un dramma satiresco (che dovevano essere tutte opere
inedite). Il vincitore veniva visto come favorito dagli dèi e in particolare da Dioniso
Prima che le tragedie venissero ammesse alle Grandi Dionisie, dovevano essere
presentate all'arconte (magistrato), anche se tuttora non è chiaro in cosa consisteva
la presentazione: se tutto il testo veniva letto ad alta voce o se semplicemente si
raccontava la trama.
A ciascun drammaturgo era assegnato un corego (finanziatore) che sosteneva le
spese necessarie per allestire gli spettacoli.
L'autore tragico greco, nel momento in cui scrive una tragedia, deve relazionarsi con
il canone della mitologia esistente, con il proprio periodo storico, con i costumi e le
abitudini della società attuale, con le possibilità rappresentative a livello di spazi e
attori → la tragedia non è solo risultato di una forma d'arte, ma anche risultante
determinata da tutti questi effetti.
A loro volta però questi effetti possono cambiare nel tempo, modificando il modo in
cui le nuove tragedie sono concepite, e vecchie tragedie sono analizzate.

Quasi un trattato di performance epica: il canto VIII dell'Odissea


L’Odissea: composta tra il XII e il X secolo a.C., ma molto probabilmente trascritta
solo fra il VI e il V secolo a.C., più di cent’anno prima della tragedia più antica con
datazione certa, “I Persiani di Eschilo del 472. Quindi molto probabilmente
quest’ultima prese il poema come modello tragico.
• Non sappiamo se ci fu un autore unico (questione omerica), ma, data l’uniformità
dello stile e della struttura, sicuramente ci fu un unico redattore che adattò delle
narrazione precedenti.
• L’argomento dell’Odissea inizia con la partenza di Ulisse da Troia, ma l’intreccio
parte dall’isola di Calipso, quando molti episodi più famosi (Polifemo, Scilla e
Cariddi, le sirene…) sono già avvenuti. Ciò introduce il tema dell’arte della
narrazione. Infatti nel canto VIII è presente Demodoco, cantore cieco alter ego di
Omero, che canta un episodio tratto dall’Iliade, un litigio fra Ulisse e Achille: la fama
di Ulisse ha preceduto il suo ritorno ad Itaca. Il contesto di questo racconto iniziale è
la corte di Alcinoo, luogo in cui è presente lo stesso Odisseo, trovato da Nausicaa ed
ospitato dal re. Il protagonista, ascoltando la vicenda narrata scoppia in un pianto
segreto, del quale vengono a conoscenza solo gli ascoltatori/lettori e di cui i
commensali lì presenti non si accorgono. Inoltre, egli, per testare la qualità
dell’ispirazione divina di Demodoco, gli chiede di parlare di un evento che potevano
conoscere solo i presenti: lo stratagemma del cavallo e la distruzione di Troia.
Naturalmente Demodoco racconta anche questo evento alla perfezione, Ulisse
piange nuovamente di un pianto paragonato ed impersonificato da una donna che
perde il marito in battaglia, e qui avviene l’agnizione (riconoscimento della vera
identità del personaggio). Ulisse viene riconosciuto ed inizia lui stesso a narrare le
sue vicende a partire dalla partenza da Troia.
• La narrazione di Ulisse occupa i canti IX, X, XI e XII, è quindi molto lunga. Nel
canto XIII viene però detto che gli ascoltatori si erano a malapena accorti dello
scorrere del tempo, appunto per il cosiddetto “potere magico” della narrazione.

Livello della performance

Tradizione rapsodica
La tradizione rapsodica è antecedente all’invenzione del teatro, e quindi a - la
definizione di uno spazio teatrale destinato alla visione di una rappresentazione - a
una scrittura di tipo drammatico, in cui lo svolgimento dell’azione e lo sviluppo della
vicenda avvengono unicamente mediante il DIALOGO.
E’ una tradizione orale, i cui contenuti (poemi omerici, ma anche il resto del
patrimonio mitico) sono trasmessi dai rapsodi, ma anche condivisi e conosciuti a
memoria da tutte le persone di grado sociale elevato.

Contesti di esibizione dei rapsodi


Banchetti e feste in onore delle divinità avevano luogo delle gare fra rapsodi

Pratica Coreutica
Pratica che precede e da cui si sviluppa il teatro tragico, ma che continua ad esistere
parallelamente anche dopo l’affermazione della tragedia.
Durante le feste c’erano due premi, quello tragico e uno per i cori ditirambici (= cori
che si esibivano in danze e canti con testi di contenuto esclusivamente narrativo.
Il coro tragico è formato da 15 persone.
Il coro ditirambico è formato da 50 ragazzi o 50 giovani uomini; si esibivano a coppie
alle gare, partecipavano 10 coppie, ognuna fornita da una delle dieci tribù di Atene.

Rapporto tra la tragedia e le altre pratiche performative


Platone nella Repubblica distingue i generi in questo modo:
Tragedia e commedia = genere completamente mimetico (drammatico);
Cori ditirambici = genere completamente narrativo;
Poemi omerici = genere misto di narrazione e azione drammatica.

Nascita della tragedia


La tragedia nasce come sviluppo dei cori ditirambici nel momento in cui Eschilo
aggiunge un secondo attore, il deuteragonista. La presenza di un secondo attore
rende possibile il dialogo e, di conseguenza, il genere drammatico.
Pur originandosi dal coro ditirambico, dunque, la tragedia si muove verso i poemi
omerici che rappresenteranno un modello fondamentale per quanto riguarda la
costruzione dei dialoghi, la costruzione e espressione dei personaggi e la creazione
degli intrecci. L’innovazione di Eschilo più che scalzare ribadiva il primato omerico.
Platone afferma che in Omero “ci sia tutto”, mentre I tragici hanno specializzato la
parte dialogica/drammatica di questa totalità.

Aspetto performativo
Dal punto di vista performativo, la tragedia appare come combinazione di modalità
performative preesistenti:
1. Elemento corale, mutuato dal coro ditirambico;
2. Elemento dialogico, ripreso dai poemi omerici;
3. Il momento del komos ripreso dalle lamentazioni funebri = momento culminante
dal punto di vista emotivo, in cui il protagonista non declamava, ma cantava insieme
al coro.

Il vaso di Pronomos
Vaso realizzato ad Atene intorno al 400 a.C. che rappresenta il “dietro le quinte” di
un dramma satiresco.
Esso è il più importante documento iconografico sulla messa in scena tragica, da cui
ricaviamo notevoli informazioni sul livello performativo. Gli attori non indossano
scarpe rialzate, ma sandali, oppure sono scalzi. Indossano maschere che non
alterano le proporzioni del viso, portano vesti leggere che non alterano le proporzioni
corporee.
Dimostra come il teatro greco delle origini non si distacchi da una ricerca di
proporzioni realistiche e naturalistiche.
Gli attori devono apparire come figure semplici, che si prestano ad agire non in uno
spazio costruito, ma in uno spazio quasi naturale com’era quello del teatro delle
Grandi Dionisie.
E’ suddiviso in due fasce:
nella fascia superiore, vediamo Dioniso e la sua sposa Arianna davanti ai quali ha
luogo la rappresentazione;
nella fascia inferiore si vedono invece gli attori del dramma, tre attori dagli
atteggiamenti, la postura di una definita “dignità tragica”: Eracle, un re barbaro, e
Papposileno, un coro di satiri, con i tradizionali costumi di pelo e la maschere, alcuni
con la maschera in mano che conversano, altri che provano un passo di danza.
Da questo è possibile dedurre che il dramma satiresco si svolgeva su due piani
distinti: quello dei personaggi mitici (eroi o divinità);
quello del coro di personaggi grotteschi o ferini (satiri), MA non è chiaro se, dal punto
di vista spaziale, personaggi e coro interagissero o rimanessero spazialmente
separati, e l’interazione fosse solo sul piano verbale.

Livello sulle fonti


I temi delle tragedie erano ricavati da:
● Patrimonio mitico;
● Poemi omerici.
I tragici spesso rappresentano vicende che nei poemi omerici sono appena
accennati o solo implicati. Es:
Orestea (Eschilo)-> le vicende scaturite dal ritorno in patria di Agamennone
Troiane (Euripide)->destino delle donne di Troia dopo la caduta della città

I tragici (tranne pochissime eccezioni come I Persiani di Eschilo) non inventavano


storie, ma intrecci, successioni di azioni che “attuassero scenicamente” le storie del
patrimonio mitico. Aristotele sostiene che l’aspetto più importante della tragedia sia
la tessitura della fabula.

MA c’era una grande libertà di variazione delle storie del patrimonio mitico, con lo
scopo di valorizzare l’efficacia scenica della fabula. Si arrivava a mutare anche
radicalmente la storia di partenza.
Es: in Eschilo a uccidere Agamennone non è Egisto, ma Clitemnestra.
Perché questa libertà in un uso originale delle fonti?
Il corpus dei miti registra già di per sé più versioni di una stessa vicenda;
Il corpus dei miti non era sufficiente per l’enorme quantità di tragedie che venivano
composte ogni anno in occasione delle grandi Dionisie.
Venivano presentate nove nuove tragedie (tre per ognuno degli autori).

Si instaura con le fonti un rapporto paragonabile a quello che nel Novecento


teatrale,si instaura tra regista e il materiale di partenza per il suo spettacolo.
Se nel Novecento la variazione della vicenda originaria ha luogo prettamente
nell’ambito registico (scelta di ambientazioni, contesti, cambiamento di caratteri), nel
mondo greco la variazione avveniva nella sfera dell’elaborazione drammaturgica.
Le fonti agivano come narrazioni attivatrici di un immaginario che poi poteva
svilupparsi in modo indipendente dalle fonti stesse e modificare di conseguenza la
vicenda originaria.

Il livello del contesto


La tragedia scaturisce dall’integrazione di due momenti essenziali: la festa e la gara.
La festa e la gara erano intrinsecamente legate nella cultura greca: tutta
l’educazione dell’uomo greco era basata sulla resistenza al nemico e sul valore
morale della vittoria.
Durante le festività dedicate alle divinità avevano luogo gare che coinvolgevono non
solo esercizi fisici, ma anche le funzioni artistiche.
0A questi momenti dobbiamo la spettacolarizzazione di:
● Pratica performativa dei rapsodi, che esce dal solo ambito del banchetto, per
diventare oggetti spettacolari che richiamavano spettatori in quanto tali, non
solo accompagnamento/parte di banchetti e momenti di celebrazione;
● Tragedia che, come la tradizione performativa dei rapsodi, attraversa un
processo di spettacolarizzazione a partire da pratiche performative
preesistenti.

Le Grandi Dionisie
In particolare, la tragedia si sviluppa nell’ambito della festività delle Grandi Dionisie,
ovvero festività in onore di Dioniso che si svolgevano in primavera durante la quale
avevano luogo gli agoni tragici.
All’agone tragico partecipavano:
Tre tragediografi (a partire dal 536 a.C.);
Cinque commediografi, o 3 nei periodi di guerra (a partire dal 490 a.C.).

Periodi di pace: 4 giornate


Una per ogni autore tragico, che presentava 3 tragedie + 1 dramma satiresco;
Una per tutti i commediografi, che presentavano 1 commedia ciascuno

Periodi di guerra: 3 giornate


In ognuna veniva rappresentata 1 tetralogia tragica + 1 commedia per chi voleva
partecipare come autore.
Gli autori tragici si rivolgevano non a compagnie professioniste (che non esistevano),
ma direttamente all’arconte della città.
Gli autori spiegavano all’arconte la trama delle tragedie e questi ne sceglieva tre.
L’autore doveva trovarsi un corego, cioè un “produttore” che pagava gli attori,coro.
L’autore componeva testi, musiche,movimenti coreografici + istruiva attori e coro.

Dimensione civile e sociale della tragedia


Tutto il mondo teatrale era composto da “dilettanti”, gli unici professionisti erano i
musicisti. Questo attesta come la dimensione spettacolare fosse una manifestazione
diretta della polis, una “esercitazione di pensiero politico”, un modo di riflettere e
analizzare, grazie alla mediazione dei protagonisti drammatici e dei loro conflitti,
tematiche e problematiche della cultura ateniese.
es Antigone
Conflitto Antigone/Creonte = conflitto legge divina/legge umana.

TRAGEDIA PRIMA di ESCHILO


NON ci sono giunti testi, ma solo nomi e date tramandati da Aristotele (535-530).
Nascono le prime forme embrionali di tragedia ad opera di Tespi (530-500)
Si affermano, oltre a Tespi, altri due tragediografi: Cherilo e Frinico.
Non sono giunti fino a noi né documenti né testimonianze riguardo a questa forma di
tragedia. Quello che possiamo supporre:
● il protagonista coincideva con l'autore probabilmente;
● la componente dinamica dello spettacolo spettava al coro ditirambico, che era
un coro danzato;
● l’autore si aggiungeva al coro come narratore o come personaggio ma, in ogni
caso, i suoi compiti comprendevano tutto ciò che attiene alla performance:
coro, musica, movimenti, parole.

Si tratta di tragedie ancora pre-drammatiche, in cui appaiono solamente il coro ed un


unico attore, il protagonista, che dialoga con esso.
Non si sa se questo attore interpretasse un ruolo drammatico o svolgesse funzioni
narrative. Il nome con cui veniva designato, hypocrites, può significare - “colui che
spiega” - “colui che risponde”.
N. B. Lo stesso termine viene applicato agli attori della tragedia successiva, MA in
questo caso la doppia valenza è perfettamente funzionale poiché coesistono nella
tragedia personaggi che dialogano tra loro e col coro, personaggi che hanno
prettamente la funzione di spiegare antefatti o fatti al pubblico (es I messaggeri).

La tragedia da Eschilo in poi


499: Eschilo debutta alle Grandi Dionisie
484: Eschilo ottiene per la prima volta la vittoria alle Grandi Dionisie.
Presumibilmente, coincide con la data in cui introduce per la prima volta il
deuteragonista.

Struttura
Già a partire da I Persiani (472) la tragedia acquisisce una struttura tipica:
Prologo:uno o più personaggi spiegano l’antefatto in modo narrativo;
Parodo:canto che accompagna l’ingresso del coro;
Episodi + Stasimi:nucleo centrale della tragedia, in cui si intervallano I momenti di
azione drammatica (episodi) e i momenti di canto del coro;
Kommos:momenti di culmine emozionale in cui il protagonista non declama, ma
canta insieme al coro.
Esodo:canto che accompagna l’uscita del coro

Il numero di attori
Eschilo è il primo a introdurre il secondo attore, il deuteragonista, mentre Sofocle
introdurrà il terzo attore, il tritagonista.
I tre attori avevano una precisa gerarchia per cui il protagonista (che continua a
coincidere con l’autore) interpreta i ruoli più importanti, il deuteragonista i comprimari
e il tritagonista i ruoli minori.

Perché non possono esserci più di tre attori? Fino ad Euripide, gli attori che
interpretano le tragedie non sono attori professionisti, ma cittadini - questo implica
che era improbabile che ci fosse un numero molto elevato di cittadini in grado di
sostenere una performance tragica. Per ogni gara tragica durante le Grandi Dionisie
venivano rappresentate 3 tetralogie, per un totale di 12 opere e, quindi, di 24-36
attori più il coro: un numero superiore sarebbe stato impossibile. POI anche quando
ha inizio il professionismo attoriale il numero di attori non aumenta, poiché in questa
fase non vengono quasi più composte nuove tragedie, ma vengono messe in scena
le opere dei tre tragediografi, ormai diventate di repertorio.

Ruolo dell’autore
Fino a Sofocle
L’autore si occupa di:
● comporre il testo drammaturgico;
● comporre le musiche;
● comporre I movimenti coreografici del coro;
● “istruire” il deuteragonista e il coro.
La denominazione dell’autore tragico non è quella di autore, ma di maestro del coro.
Testimonia lo stretto rapporto tra funzione compositiva e funzione di “messa in
scena”, di predisposizione delle dinamiche performative.
Le tragedie venivano composte con modalità mista, in parte tramite la scrittura, in
parte oralmente->l’autore doveva occuparsi non solo di istruire attori e coro su come
recitare il testo, ma intere parti della tragedia venivano apprese da attori e coro
direttamente dalla viva voce dell’autore.
Il testo era sì una premessa fondamentale dello spettacolo, ma diventava operativo
solo nel momento della trasmissione agli attori->non un testo letto e imparato a
memoria, ma che prendeva forma a partire dall’interazione tra attori e autore.

Da Sofocle in poi
Si comincia ad assistere ad una graduale separazione di ruoli tra autori, attori e
“registi” che coincide anche con una progressiva scomparsa della concezione dello
spettacolo come unitario, l’abbandono della ricerca di un senso drammatico
complessivo.

Sofocle: l’autore si separa dal ruolo di attore.

Euripide (485-407 a.C.): si disinteressa dell’aspetto dell’allestimento scenico.

386 a.C.: per la prima volta, viene messa in scena una tragedia “di repertorio”
durante le Grandi Dionisie.
Gli incaricati dell’allestimento sono gli attori, e probabilmente, in particolare il
protagonista.

Aristofane: (450-385 a.C.) affida la messinscena degli spettacoli a dei didaskalos,


poeti più esperti di lui non nella scrittura, ma nell’allestimento ( delle sorte di “registi
di professione”).
Agatone: separa i brani musicali dall’intreccio narrativo riducendoli a semplici
intermezzi, ed enfatizzando sempre di più l’aspetto virtuosistico.

Si abbandona la ricerca di un senso drammatico complessivo, di un’opera in cui


anche la parte musicale sia parte integrante e fondamentale per la comprensione di
questo senso complessivo, e la si sostituisce con delle strutture modulari che
possono essere variate, sostituite, montate a piacere in modo da esaltare il
virtuosismo dell’attore cfr opere del 700.

LA COMMEDIA
490 a. C. Prime testimonianze che documentano la presenza di commedie alle
Grandi Dionisie

ORIGINE: cori satireschi, cioè canti rituali dionisiaci.

La commedia rimane più legata ai canti rituali dionisiaci da cui origina


struttura indeterminata;
coinvolgimento diretto degli spettatori durante la parabasi = parti in cui il poeta parla
di se stesso o affronta esplicitamente questioni politiche o sociali attuali;
femminismo e trionfo delle donne in 3 su 11 delle commedie di Aristofane rimaste

Personaggi e coro
PERSONAGGI:rappresentano il mondo della realtà attuale, ma in termini
caricaturali;
CORO: rappresenta il mondo della fantasia, o meglio, l’universo primordiale della
Teogonia di Esiodo in cui ancora non vige il principio di individuazione, in cui non
dominano la razionalità, la distinzione in categorie ma vigono l’indistinzione, la
metamorfosi, un magma dionisiaco indistinto e indeterminato.

Confronto Tragedia/Commedia
AUTORI
Tragedia: rimasti I testi di tre autori
Commedia: rimasti I testi del solo Aristofane (datati tra l 390 e il 326 a.C.)

RAPPORTO COL PUBBLICO


Tragedia: il coro non interloquisce direttamente col pubblico, ma rivolge loro I propri
commenti e riflessioni sullo svolgimento tragico
Commedia: gli attori e il coro interloquiscono direttamente col pubblico, provocando,
stimolando, talvolta scegliendo specifici spettatori con cui interagire. C’è un clima da
teatro del varietà, ferocemente satirico

ORIGINI
Tragedia: deriva dai cori ditirambici
Commedia: secondo la testimonianza di Aristotele, nasce da cori ludico-satireschi
che accompagnavano i cortei dionisiaci. Da soluzioni antecedenti o contemporanee
al coro ditirambico, e quindi indipendentemente dalla tragedia, sebbene sia
cronologicamente successiva

SOGGETTO
Tragedia: mito
Commedia: situazioni ancorate al mondo reale, attuale

ATTORI
Tragedia: denominati hypocrites, altamente onorati
Commedia: denominati hystriones, equiparati agli intrattenitori di piazza

ALLESTIMENTI
Tragedia: allestimento curato dall’autore
Commedia: allestimento curato dagli attori

RAPPORTO tra TRAGEDIA e ODISSEA

Distinzione tra epico e drammatico


Secondo la distinzione fornita da Platone nella Repubblica
TRAGEDIA = genere completamente drammatico
EPICA = genere “misto” in cui parti narrative si alternano a momenti drammatici in
cui parlano direttamente i personaggi. L’Odissea rappresenta al tempo stesso, per le
tragedie:
● Fonte;
● Modello performativo->dal punto di vista performativo, la tragedia si evolve
anche a partire dall’arte rapsodica. Il rapsodo non è unicamente un narratore
epico che narra i fatti dall’esterno: poiché nell’epica il discorso diretto è
presente, i rapsodi prendono anche parola come i personaggi stessi,
alternando i diversi personaggi come su una scena teatrale.
● La performance narrativa implicava nel cantore abilità improvvisative,
descrittive, vocali e interpretative. E’ probabile che almeno alcuni elementi e
forse le impostazioni vocali degli attori tragici facessero riferimento all’arte dei
rapsodi;
● Modello di meccanismi dell’intreccio e tecniche di montaggio-> Eschilo è
stato, forse, tra i primi lettori dell’Odissea, e questo gli ha permesso di
studiarne a fondo i meccanismi dell’intreccio, l’arte dei dialoghi, meccanismi
per la resa dei personaggi.

La struttura dell’Odissea
Dal punto di vista strutturale, l’Odissea si configura come una narrazione incentrata
sull’ arte del narrare una narrazione che contenesse e esplicitasse quella dinamica
performativa da cui prendeva origine, cioè la narrazione orale dei cantori.

Distinzione tra soggetto e intreccio


L’Odissea si apre con Ulisse sull’isola di Ogigia, quando la maggior parte delle
vicende più importanti sono già avvenute, e queste vicende vengono poi narrate da
Ulisse stesso alla corte dei Feaci.

SOGGETTO (= successione cronologica degli eventi),Inizia con la partenza di Ulisse


da Troia;

INTRECCIO (= successione con cui gli eventi vengono presentati) Inizia con
l’abbandono di Calipso.
Tutti gli eventi precedenti sono narrati da Ulisse alla corte dei Feaci, quando questi lo
riconoscono come Ulisse e gli chiedono di narrare loro le sue avventure dopo la
partenza da Troia, MA la narrazione di Ulisse è preceduta da un episodio (LIBRO
VIII) tutto incentrato sull’arte della narrazione in cui Omero, prima di lasciare la
parola ad Odisseo, si auto-rappresenta nei panni di Demodoco, cantore cieco.
DEMODOCO = RUOLO VICARIO dell’AUTORE

Il Libro VIII: un canto metanarrativo


In questo canto, sono presenti uno dopo l’altro tre narratori diversi:
1. Narratore di primo grado = Omero;
Argomento della sua narrazione = l’arte del narrare;
2. Primo narratore di secondo grado = Demodoco;
Argomento della sua narrazione = lite tra Odisseo e Achille (cfr Iliade) ;
3. Secondo narratore di secondo grado = Ulisse;
Argomento della sua narrazione = le sue avventure.

Questa scena e il personaggio di Demodoco hanno tre funzioni


1. Predisporre il racconto di Ulisse
Alle parole di Demodoco, Ulisse non può fare a meno di commuoversi e, così
facendo, svela la propria identità. A questo punto, riconosciuto, i Feaci gli
chiederanno di narrare le sue avventure;

2. Documentare una prassi narrativa


Ma la scena ha anche la funzione di documentare nel dettaglio quella pratica
narrativa-performativa da cui la stessa Odissea aveva origine. = il cantore
arriva, partecipa al banchetto. Ad un certo punto prende la cetra, e inizia il
canto. Il canto non è continuo, ma si interrompe per dar modo al pubblico di
omaggiare il cantore
3. Dimostrare agli ascoltatori la veridicità del racconto di Demodoco
…e quindi, per estensione, la veridicità dei racconti epici in generale…
Il fatto che Ulisse si commuova ascoltando la descrizione della lite tra lui e
Achille indica la veridicità di questo racconto. Racconto di un episodio a cui
Demodoco certamente non ha potuto assistere, e che quindi testimonia come
egli sia realmente ispirato dalle Muse nel suo narrare.
Non solo, ma Ulisse mette anche alla prova Demodoco, chiedendogli di
narrare l’episodio del cavallo: episodio che solo un testimone diretto potrebbe
descrivere con precisione. Se Demodoco ne sarà in grado, Ulisse promette di
riconoscergli (e con lui, ad Omero) una grandezza divina nell’arte del
narrare.Ulisse scoppia a piangere in modo incontrollabile e non riesce più a
nasconderlo ai Feaci. In questo modo, Omero affronta una delle
problematiche chiave dell’arte del narrare: la FUNZIONE TESTIMONIALE
dell’AUTORE, che si fa testimone di fatti che non ha avuto modo di osservare

Libro IX
Alcinoo si rende conto della commozione del suo ospite, e lo invita a rivelare la sua
identità->AGNIZIONE

Si tratta effettivamente di agnizione perchè il riconoscimento di Ulisse implica un


cambiamento di stato (in questo caso, un cambiamento di ruolo) = Ulisse passa dalla
posizione di ascoltatore delle proprie vicende.

Eschilo
525-524 a.C. Nasce da una famiglia nobile di Eleusi
499 a.C. Partecipa per la prima volta ad un agone tragico
490 a.C. Combatté alla battaglia di Maratona
Episodio biografico essenziale: Eschilo si considera sempre un guerriero difensore
della patria, molto prima che un poeta.
Anche come drammaturgo, uno dei suoi scopi è trasmettere e incoraggiare nel suo
pubblico senso civico, valore militare, coraggio

484 a.C. Ottiene la prima vittoria alle Grandi Dionisie


Presumibilmente, questa vittoria coincide con l’introduzione del 2° attore

L’introduzione del deuteragonista


Conseguenze:per la prima volta, l’autore deve assumersi il compito di “dirigere” un
altro attore, di istruirlo su come declamare le battute e come agire.
Cosa l’ha resa possibile? La tragedia era ormai affermata da diversi anni e gli autori
che vi avevano preso parte erano ormai numerosi. Questo significava che era
presente un elevato numero di persone esperte nell’interpretazione del personaggio
unico, tra i quali Eschilo potè attingere per i suoi deuteragonisti.

Perché il numero di attori rimane limitato->se con Sofocle si arriva all’introduzione


del terzo attore, il numero non supererà mai I tre. Questo è probabilmente dovuto
all’impossibilità di trovare un numero sufficiente di attori. Già con tre attori, il fatto che
ogni giorno venisse rappresentata una tetralogia implica la necessità di avere 9
attori al giorno (in più, da Sofocle in poi l’autore non recita più come protagonista)

I PERSIANI (472 a.C.)


TRAMA: Al palazzo del re di Persia dove Atossa, madre del Re Serse, attende l’esito
della battaglia di Salamina. L’atmosfera è ricca di presagi funesti, tra cui un sogno
angoscioso raccontato dalla madre di Serse. Un messaggero giunge e narra nei
dettagli la disfatta dei Persiani. A questo punto appare lo spettro del padre di Serse,
Dario, che spiega che la ragione della disfatta del figlio consiste nella hybris di cui si
è macchiato cercando di conquistare il Mare Egeo. Infine giunge lo stesso Serse,
che unisce il proprio lamento a quello del coro in un canto che chiude la tragedia.

Gli elementi narrativi superano quelli conflittuali/dialettici: nessuno dei personaggi


principali è in conflitto l’uno con l’altro, e la catastrofe (la sconfitta di Serse) ha già
avuto luogo.
La progressione verso un climax è data non dal succedersi degli eventi, ma dalla
graduale scoperta della gravità di ciò che è accaduto.

La scelta del “punto di vista”


Eschilo vuole celebrare la vittoria sui Persiani, ancora fresca nella memoria dei
Greci, MA sceglie di farlo rappresentando il dolore che colpisce il sovrano sconfitto,
e di farlo non con lo sguardo soddisfatto e superiore del vincitore, ma quasi con
compassione, empatia nei confronti dei nemici.

Perchè?Per non suscitare una reazione emotiva esagerata. Questa scelta si spiega
in relazione ad un’altra tragedia ispirata alla guerra persiana, la Presa di Mileto di
Frinico, che narrava l’assedio di Mileto da parte dei Persiani e il massacro che
l’aveva concluso, e che suscitò reazioni di disperazione e terrore tanto forte nei
sopravvissuti da essere proibita perché “privava i cittadini di vigore bellico”.Viceversa
la tragedia Eschilea non suscitava un’esagerata emotività negli spettatori. Anzi, la
sua scelta andava proprio nella direzione di quello che Aristotele avrebbe poi
riconosciuto, nella Poetica, essere il principale scopo della tragedia: purgare gli
spettatori da terrore e compassione.

Per uno scopo politico


La pietà che il pubblico greco era indotto a provare nei confronti dei Persiani sconfitti
aveva un preciso scopo politico: come dice Sofocle nel Filottete, per la
sopravvivenza della civiltà greca era necessario che “ci si comportasse con il nemico
di oggi come se potesse diventare l’amico di domani” - pertanto, non era saggio
irrigidirsi in posizioni di amicizia o inimicizia.

PERFORMANCE
La scenografia verbale
Come nel teatro elisabettiano sono assenti scenografie, ma:
● vengono usati oggetti;
● dislocati elementi nello spazio scenico (troni, statue, altari);
● si gioca molto sulle valenze visive dei costumi.
Tutti questi elementi vengono evidenziati e esplicitati da una serie di riferimenti
verbali (che sono, tra l’altro, il motivo per cui siamo in grado di esserne a
conoscenza, dal momento che l’apparato didascalico è totalmente assente).
Es.: la regina madre entra in scena portata da un cocchio, indossando abiti sontuosi
e seguita da ancelle. Di questo siamo a conoscenza grazie ad una battuta
successiva della regina, quando torna in scena in un secondo momento, ormai con
gli umili abiti della supplice.
“Ho fatto a ritroso il cammino che conduce dalla reggia a questo luogo, ma senza il
carro e il lusso di prima, per offrire al padre di mio figlio libagioni propizie”. Cita la
presenza di un cocchio e il lusso dei suoi abiti. La presenza di ancelle è implicata dal
fatto che la regina avesse portato con sé le “libagioni” in dono.

FONTI Le differenze rispetto alla versione di Erodoto


FONTI
● In parte fonti autobiografiche (Eschilo aveva partecipato alla guerra);
● in parte informazioni raccolte sulla battaglia di Salamina.

Esistono alcune differenze tra alcune informazioni ricavate da Erodoto nelle Storie e
ciò che risulta da Eschilo.
Erodoto dice che la madre di Serse si chiamava Atossa, Eschilo lascia il
personaggio anonimo.
Erodoto dice che Serse, partendo per la guerra, lascia il governo al fratello mentre in
Eschilo la reggenza è affidata a un’assemblea di fedeli (il coro).

Perché queste discrepanze?


● Anonima la regina poteva meglio incarnare il ruolo di generica madre e
consorte, suscitando l’empatia degli spettatori greci.
● L’inclusione del personaggio del fratello del Re avrebbe comportato di dover
inserire anche una serie di conflittualità dinastiche, che non erano però
l’obiettivo di Eschilo->I Persiani non è una tragedia sul potere, ma sulla
disfatta del potere

CONTESTO:
Rapporti con lo spazio teatrale
Le tipologie spaziali presenti all’altezza temporale dei Persiani condizionano
fortemente la concezione e la successione delle scene.

Manca uno spazio deputato allo svolgimento degli atti culminanti (cioè lo spazio
retroscenico).
QUINDI non c’è l’esigenza che la vicenda generi al proprio interno quelle che
saranno le svolte, come poi sarà nella tragedia matura e, soprattutto, come sarà alla
base del dramma borghese.
Gli avvenimenti culminanti possono avere luogo in spazi molto lontani (nel mondo
diegetico) dallo spazio scenico, e dunque non essere preparati, motivati, resi
possibili dall’azione scenica.

QUINDI
Sono assenti quei meccanismi che, nella tragedia matura, fanno sì che le interazioni
tra i personaggi possano fungere a mandare avanti l’intreccio, perché l’intreccio è
mandato avanti da azioni che avvengono fuori scena.

Agnizione = riconoscimento di uno dei personaggi, svelamento di un qualche


elemento del passato.
Nella tragedia, l’agnizione conduce sempre a peripezia = cambiamento di stato del
personaggio da stato felice a stato infelice.
Il conflitto non deve necessariamente essere rappresentato sulla scena: il destino
dei protagonisti può giocarsi anche a migliaia di chilometri dalla scena, ed essere
semplicemente narrato dai messaggeri.
es. Nei Persiani la battaglia, da cui si decide la sorte della madre di Serse, è
combattuta a Salamina e poi narrata da un messaggero: tra i personaggi
effettivamente in scena non c’è alcun conflitto nei Sette contro Tebe. Eteocle,
protagonista della tragedia, viene ucciso da Polinice, che non prende mai parola
nella tragedia.
VS Nella tragedia matura, le sorti dei personaggi dipendono sempre da azioni o
personaggi interni alla tragedia stessa: è vero che gli atti culminanti non sono
mostrati, ma devono essere mostrati tutti gli eventi che a questi atti conducono.
Es. la sorte di Agamennone muta per mano di Clitemnestra. La sorte di Oreste muta
per volere di Atena.

Lo spazio teatrale
Formato da tre elementi fondamentali:
THEATRON (CAVEA):gradinate dove prende posto il pubblico;
ORCHESTRA: luogo della danza, dove agisce il coro;
SKENE:edificio scenico->introdotto solo a partire da metà del V secolo (circa periodo
dell’Orestea): prima, lo spettacolo aveva come sfondo il paesaggio naturale
retrostante.

Gli attori recitavano davanti alla skenè, ma non è chiaro se fosse o meno presente
un logeon, ovvero un palcoscenico rialzato rispetto all’orchestra, che dunque
implicherebbe una netta separazione tra coro e attori.
La questione è irrisolta, e vede numerosi sostenitori sia dell’una che dell’altra ipotesi
MA è presente anche una terza ipotesi intermedia ð che gli attori recitassero su un
palcoscenico basso, collegato all’orchestra da pochi gradini

La skené
V secolo->l’ipotesi più accreditata è che la skenè fosse in legno o altri materiali
leggeri. Intorno al 330 a.C. Licurgo promuove la ristrutturazione in pietra dell’intero
teatro, e anche la skenè viene eretta in muratura.
Quando la skenè era in legno, è possibile avanzare l’ipotesi che fosse presente
anche una scenografia

Elementi a sostegno della presenza di una scenografia


Aristotele sostiene che Sofocle oltre al terzo attore abbia apportato anche
l’introduzione di una scenografia

Elementi a sfavore della presenza di una scenografia


● Tempistiche: in una giornata venivano rappresentati 9 tragedie e 3 drammi
satireschi, con ritmi serrati, e le ambientazioni erano differenti (edifici/palazzi
per le tragedie, ambienti silvestri per I drammi satireschi)
● Cambi di ambientazione: in alcune tragedie l’ambientazione cambia (es
Eumenidi, si passa da Delfi a Atene)
● Documenti iconografici: nella pittura vascolare che rappresenta scene teatrali
sono assenti le scenografie, se non per elementi come edicole o colonne che
potrebbero essere parte della skenè o dei paraskenia e non elementi
scenografici aggiunti.

I paraskenia
Inizialmente la skenè forse era solamente un muro dotato di una o più aperture da
cui entravano gli attori, MA molto presto vengono aggiunti due corpi laterali agettanti,
i paraskenia. Questa struttura viene poi semplicemente ricreata in pietra quando il
teatro venne edificato in muratura, e davanti alla skenè viene aggiunto un colonnato
(peristilio).

FUNZIONE: una struttura del genere è in grado di concentrare la visione molto più di
uno sfondo piatto
IL LENAION
Il lenaion era il luogo in cui avevano luogo le rappresentazioni delle commedie
durante le feste Lenee.
Le commedie erano infatti rappresentate in due momenti principali:
● durante le feste Lenee, a gennaio, quando erano rappresentate solo
commedie;
● a partire dal 486 a.C., anche durante una delle giornate delle Grandi Dionisie

Il lenaion era costituito da un recinto rettangolare con all’interno:


GRADINATE: disposte in linea retta, frontalmente rispetto al palco;
SKENE’: disposta su una dei lati del recinto, frontalmente;
ORCHESTRA: si allungava linearmente tra gradinate e skenè

Il carattere di frontalità di attori e coro rispetto al pubblico permette di capire come


durante le parabasi il coro potesse letteralmente fronteggiare il pubblico e rivolgersi
direttamente ad esso.

L’EVOLUZIONE DELLO SPAZIO TEATRALE


Gli edifici teatrali greci, così come li conosciamo oggi, non esistevano al tempo della
nascita del genere tragico, e non hanno in alcun modo influito sul suo sviluppo e su
quelle che nel tempo si sono codificate come sue caratteristiche. ANZI delle due è
vero il contrario, cioè che è stata l’evolversi della tragedia a ispirare la nascita degli
edifici teatrali greci come li conosciamo oggi, suscitando una serie di modifiche
architettoniche man mano che le caratteristiche formali e strutturali della tragedia
cambiavano.
Es.Man mano che l’azione drammatica assumeva sempre più importanza rispetto a
quella corale, si sono costruite sempre più strutture/elementi per dare rilevanza alla
scena piuttosto che all'orchestra

1. Il teatro delle tragedie arcaiche (I Persiani, Supplici, Sette a Tebe)


Le rappresentazioni avevano luogo sfruttando la pendenza naturale del terreno, non
c’era una struttura appositamente costruita su cui far sedere gli spettatori.
Le strutture necessarie (panche per gli spettatori, o strutture necessarie per gli attori)
erano tutte strutture temporanee, in materiali leggeri e deperibili.
L’unico elemento architettonico che gli spettatori potevano vedere non era in realtà
un elemento costruito appositamente per le rappresentazioni: era il tempio di
Dioniso, collocato appena più in alto dell’area in cui si svolgeva l’azione.
Alle spalle della skenè si trova un rialzo terroso il cui ripiano superiore poteva essere
usato per apparizioni di spiriti o dei->uno spazio sopra-scenico analogo all’upper
stage elisabettiano.
Le rappresentazioni non avevano ancora acquistato un carattere di ritualità
intrinseca, la forma spettacolare non esisteva come forma d’arte “a sé stante" ma
era parte delle celebrazioni annuali per il dio e, di conseguenza, era anche molto più
integrato con la vita civile e religiosa della città->non era un momento artistico, ma
innanzitutto un momento civile e religioso.

Tipologie spazio: spazio scenico e spazio extrascenico


Non esistendo alcun tipo di struttura come la skenè, non esiste, ovviamente, uno
spazio retroscenico, ma le tipologie spaziali sono solo due:
● Spazio scenico = in cui le azioni dei personaggi hanno luogo alla vista degli
spettatori;
● Spazio extrascenico = rappresenta il resto del mondo diegetico, in cui si
svolgono le azioni descritte o segnalate dagli attori, ma che non avvengono in
scena (resto del mondo diegetico che, dal momento che I tragediografi non
ambientano mai le loro tragedie in mondi immaginari o troppo esotici,
coincideva in realtà con il mondo familiare, conosciuto da tutti gli spettatori)

Rapporto tra spazio scenico e spazio extrascenico


Nella tragedia delle origini si instaura un rapporto dialettico tra ciò che è interno alla
scena e ciò che è esterno alla scena.
● INTERNO = luogo delle azioni di personaggi e coro
● ESTERNO = un mondo vasto, minaccioso che preme ai confini della scena e
si manifesta attraverso gli interventi di messaggeri.

Mentre nella tragedia matura (Edipo Re, Agamennone) i contenuti ruotano attorno a
fatti che avvengono in interni sottratti alla vista, ma adiacenti allo spazio scenico, i
contenuti della tragedia arcaica si rapportano a fatti e azioni che avvengono anche
molto lontano dallo spazio scenico. cfr Salamina nei Persiani.

Non c’è ancora quella frontalità rappresentativa della tragedia matura, c’è ancora
una dimensione rituale che non si “presenta” davanti al pubblico in modo frontale e
distaccato, ma piuttosto lo avvolge da ogni lato e lo integra anche in maniera più
forte.
Lo spettatore è chiamato a immaginare un’azione tragica che ha luogo non solo
frontalmente a lui (come sarà poi per quello che avviene nel retroscena), ma tutto
attorno a lui
2. Il teatro della tragedia matura
Si iniziano a costruire delle strutture fisse, poste dietro allo spazio in cui agiscono gli
attori

SKENE->raffigurano facciate di case o reggie davanti a cui ha luogo l’azione scenica

Tipologie spaziali: spazio scenico, spazio extrascenico, spazio retroscenico


Allo spazio scenico e allo spazio extrascenico si aggiunge una terza tipologia di
spazio, lo spazio retroscenico.

Spazio retroscenico = rappresenta gli interni di quelle case e reggie le cui facciate
sono rappresentate dalla skenè. Lo spettatore sente quel che accade (grida,
lamenti), ma non lo vede.
E’, per definizione, il luogo in cui avvengono delitti, suicidi, azioni sanguinarie.

Il rapporto tra scena e pubblico acquista una più marcata frontalità: anche le azioni
non mostrate esplicitamente, che il pubblico è chiamato ad immaginare, hanno
comunque luogo frontalmente rispetto al pubblico stesso, dietro la skenè.

Rapporti tra spazio scenico e spazio retroscenico


Se nella tragedia arcaica il rapporto dialettico si instaura tra “ciò che è interno alla
scena” e “ciò che è esterno alla scena”.
Nella tragedia matura c’è un preciso rapporto dialettico tra interni ed esterni del
mondo diegetico

ESTERNI (Spazio scenico) = il luogo della spiegazione, del dibattito, del giudizio.
INTERNI (Spazio retroscenico) = luogo del delitto.

I rapporti tra queste due tipologie spaziali non rispondono solo a esigenze di
rappresentazione, ma rivelano e coincidono con la struttura morale della forma
tragica evoluta.
Lo spettatore non diviene mai testimone degli atti culminanti, ma solo delle relazioni,
dei sistemi di cause ed effetti che a questi atti culminanti conducono.
A essere veramente importante non è quello che accade, ma ciò che lo fa accadere
in quel modo: di conseguenza, il teatro greco “rende percepibile ciò che non si vede”
(ovvero le interazioni dei destini, le cause e gli effetti) mentre toglie alla vista dello
spettatore ciò che normalmente vedrebbe, cioè gli atti culminanti.

3. Il teatro ellenistico
338-326 a.C. Viene costruito ad Atene un teatro interamente in pietra, per volontà di
Licurgo (lo stesso che promuove la trascrizione delle opere dei tragici.
La forma spettacolare diventa un evento, un rito a sé stante, si emancipa dal legame
con le celebrazioni per Dioniso e costruisce attorno a sé un proprio tempio.
La nascita dell’edificio teatrale non coincide con la nascita e il momento di massimo
splendore del genere tragico, ma anzi con:
1. declino della composizione tragica, cristallizzazione in forme e stilemi
convenzionali e poco “vitali”;
2. trasformazione delle opere dei tre tragediografi a opere di repertorio
3. spettacolarizzazione dell’evento drammatico = assume sempre più importanza
l’elemento virtuosistico e “stupefacente” tanto nel canto e nella retorica, quanto nella
danza e negli elementi scenici – si accentua il carattere ludico-visivo, l’interesse per
l’effetto scenico fine a se stesso;
4. professionalizzazione degli attori.

ORESTEA
ORESTEA (458 a.C.)
Ultima opera (e vittoria) di Eschilo
Unica trilogia tragica interamente conservata
Probabilmente, unica trilogia tragica in cui le tre tragedie rappresentano parti di una
stessa vicenda.

Agamennone->ritorno e assassinio di Agamennone


Coefore->vendetta di Oreste
Eumenidi->perdono del matricidio

Presenta numerose particolarità


Livello della performance:
● conservazione di un elemento “arcaico” come lo spazio sopra-scenico. cfr
Quando la sentinella si trova sul tetto all’inizio;
● contemporanea presenza ed enfatizzazione visiva e simbolica dello spazio
retroscenico.

Livello delle fonti


Introduzione di una serie di varianti per avvicinare, nella vicenda, Atene ed Argo.
Unica tragedia che oltre a celebrare in astratto le istituzioni ateniesi supporta una
precisa operazione politica attuale, cioè l’alleanza con Argo

Livello del contesto:


Introduzione del terzo attore, che connette le scelte eschilee ai recenti sviluppi del
genere tragico ad opera di Sofocle.

LIVELLO della PERFORMANCE


Agamennone.
Prologo:monologo di una sentinella incaricata di avvistare il segnale luminoso che
dovrebbe annunciare la presa di Troia

Fin da subito dichiara di trovarsi “sopra la casa degli Atridi”


->il primo di numerosi riferimenti a cosa rappresentino nel mondo diegetico le
strutture sceniche:
l’araldo la definirà “casa dei Re”;
Agamennone la prima volta che entrerà in scena la descriverà come propria casa etc

Si tratta di un personaggio umile, che ricorre a espressioni proverbiali, e che pur


rispettando la mansione informativa del Prologo non può alludere alla situazione
chiave della vicenda che si sta già consumando dentro la casa (il tradimento di
Clitemnestra) MA sul finale lancia comunque un’allusione al pubblico al fatto che
sappia cose che non può rivelare.

“ Sul resto taccio: ma la casa stessa se avesse voce potrebbe dire tutto; poichè io
volentieri parlo a coloro che sanno e per chi non sa invece dimentico”

Eschilo non vuole anticipare nulla, ma indica già con chiarezza che le colpe di cui si
potrebbe parlare sono avvenute nella casa degli Atridi.
Discorso di Agamennone in risposta al coro dei vecchi Argivi
1. Omaggio agli dei
Giunto ad Argo Agamennone è salutato dal coro dei vecchi Argivi, a cui risponde con
un discorso che si apre con un omaggio agli dei è non è un omaggio formale o di
circostanza, e neanche esclusivamente ottimistico/positivo come quello della
sentinella: anzi, è pieno di immagini di distruzione perché Agamennone sa bene
quanto gli dei possano essere (e siano stati per lui) pericolosi.

2. Racconto del ritorno


Agamennone passa in rassegna alcune delle insidie e dei pericoli che ha affrontato a
Troia o durante il ritorno in patria.

3. Accostamento ad Odisseo
Agamennone chiude il discorso dichiarando di sentirsi solidale, tra gli uomini che con
lui hanno combattuto a Troia, col solo Odisseo “Solo lui fu per me un pronto
compagno di traino”.

L’accostamento con Odisseo può essere interpretato a più livelli


1. Esplicita la vicinanza dell’Orestea col poema omerico di cui condivide molti
contenuti. Pur trattandosi di un’opera drammatica e non epica, è comunque
assimilabile al genere dei nostoi, I poemi del ciclo epico che descrive il ritorno in
patria degli eroi greci.
2. Presenta Agamennone come un eroe ancora “ramingo”, ancora sottoposto al
rischio del naufragio
3. Esprime il timore di Agamennone di non essere veramente “tornato a casa”, l’Argo
che conosceva non combaci più con l’attuale città, popolata di anziani e sottomessa
al governo di una donna.
Discorso di Clitemnestra
1. Celebrazione di Agamennone
Clitemnestra parla con grande capacità retorica, e si rivolge più alla collettività che
ad Agamennone stesso.
Illustrando il suo amore per Agamennone e le sofferenze che ha passato mentre lui
era lontano
Passando in rassegna le qualità e gli attributi positivi di Agamennone
2. Invito ad Agamennone ad entrare
Alla fine del suo discorso, ordina alle ancelle di stendere un drappo color porpora
davanti all’ingresso della casa, per accogliere Agamennone.
Grande invenzione teatrale: appare come un’enorme macchia di sangue che si
allarga tra la skenè e l’orchestra.

Dialogo Agamennone e Clitemnestra


Agamennone non è onorato, anzi: è titubante e spaventato di fronte a questa
possibilità di commettere un atto sacrilego.
I tessuti purpurei, dato il costo elevato, erano riservati ai templi

C’è uno scambio di battute tra i due in cui si dimostra l’insistenza di Clitemnestra, il
suo desiderio di “vittoria” nella contesa, ma anche la sua grande capacità retorica
capace di prevalere anche sul marito
Alla fine Agamennone cede all’insistenza della moglie e cammina sui drappi
purpurei, MA lo fa (camminando piano, togliendosi i calzari) come se fosse già
consapevole che nell’entrare in casa sta firmando la sua condanna a morte.

Svelamento dei cadaveri


Tutta la tragedia è percorsa da un rapporto dialettico tra interno non visto ed esterno
visibile costantemente rimarcato.
MA cosa strana per una tragedia, ad un certo punto viene mostrato anche ciò che si
trova all’interno della casa: i cadaveri di Agamennone e Cassandra
● forse tramite una rotazione dell’enkiklema, una piattaforma girevole su ruote;
● forse aprendo delle cortine che permettevano di vedere all’interno della
skenè.

Da questo momento in poi, la presenza dei cadaveri in scena viene frequentemente


ricordata da riferimenti presenti nelle parole dei personaggi; è come se diventassero,
al pari della casa come descritta dalla sentinella nel Prologo, dei testimoni muti
davanti a quali si svolge la fine della vicenda.

Coefore
Presenta un climax visivo analogo a quello dell’Agamennone
1. Apertura dell’interno
L’interno della casa viene aperto e vengono mostrati i corpi delle due vittime
(Clitemnestra ed Agamennone) mentre l’assassino invita il pubblico ad osservarli
2. Colore rosso
Il rosso della porpora è sostituito dal rosso del drappo insaguinato che Clitemnestra
ed Egisto avevano usato per avvolgere il corpo di Agamennone, che viene mostrato
da Oreste come segno della loro colpevolezza.

Queste analogie dimostrano come elementi puramente performativi come questi


elementi visivi (colori, meccanismi scenici…) fossero importanti per la concezione
generale dell’opera, tanto da costituire uno dei mezzi con cui costruire la rete di
analogie e rimandi che lega le tre tragedie à la drammaturgia greca pratica soluzioni
di “scrittura scenica” in cui la visione degli eventi, le scelte sceniche sono non
secondarie o successive ma integranti alla comprensione generale dell’opera.

LIVELLO delle FONTI


Fonti principali per quanto riguarda il viaggio di ritorno di Agamennone in patria
1. Odissea
Telemaco giunge a Sparta per raccogliere notizie sul padre e Menelao gli riporta il
racconto che gli è stato fatto in Egitto dal dio Proteo
2. Poema di Stesicoro = poeta di origini siciliane che aveva composto un’Orestea
che è andata perduta

Confronto tra la versione omerica e quella di Eschilo


1. Nell’Odissea, la responsabilità dell’assassinio ricade tutta su Egisto:
● è Egisto e non Clitemnestra ad aver affidato alla sentinella l’incarico di
avvistare Agamennone (sentinella che, diversamente dalla tragedia, è
complice e non ignara);
● è Egisto ad ucciderlo, Clitemnestra non è neanche citata
2. Nell’Odissea, l’assassinio non avviene a casa di Agamennone, ma durante un
banchetto che viene allestito sulla via del ritorno.

Nell’Odissea, l’assassinio del re avviene in un contesto meno pubblico e solenne che


nella tragedia, e non coinvolge nè i luoghi nè le figure del potere (la reggia e
Clitemnestra).

QUINDI Oreste, vendicando la morte del padre, si limita all’assassinio di Egisto,


compiendo dunque un gesto che rientra perfettamente nell’ordine delle cose e non
scatena la furia delle Erinni.

Conseguenze delle scelte di Eschilo


La scelta di sostituire Egisto con Clitemnestra non solo fornisce materiale per una
terza tragedia (le Erinni) che altrimenti non sarebbe stata possibile, ma ha
conseguenze profonde a tutti i livelli
1. Inserimento dell’aspetto politico nel conflitto tra Agamennone e Clitemnestra
Svolgendosi tra Agamennone e Clitemnestra, il conflitto diventa una questione
politica, perché conduce alla salita al potere di Clitemnestra. E’ vero che
nell’Odissea anche Egisto uccide Agamennone per conquistare il potere ma, nella
versione omerica, la posizione di Egisto è totalmente indifendibile: di conseguenza,
non può innescare quella dialettica tragica che si basa su conflitti e contraddizioni
mai completamente risolvibili. Viceversa nella versione eschilea Clitemnestra può
vantare maggiori diritti sul trono e anzi, il potere che ha esercitato in assenza del
marito è stato legittimo ed esercitato con saggezza, oculatezza e strategia. In questa
versione, l’Agamennone diventa la storia di un potere legittimo che si trasforma in
tirannide attraverso la violenza.

2. Concentrazione di tutte le dinamiche conflittuali dentro il nucleo familiare


Eschilo concentra tutte le dinamiche conflittuali all’interno del nucleo famigliare
(Agamennone-Clitemnestra-Oreste)
MOTIVAZIONI = motivazioni “pedagogiche” volte a sottolineare la superiorità delle
istituzioni ateniesi: mostrare la pericolosità di un potere ereditario, concentrato nelle
mani di un unico nucleo famigliare/stirpe, e come a questo fossero da preferire le
istituzioni democratiche di Atene.

3. Modifica dei luoghi in in cui si svolge l’azione (Argo, Delfi, Atene)


Agamennone e Coefore (quindi, le tragedie in cui sono presenti I delitti) si svolgono
ad Argo La scelta di ambientarlo ad Argo, modificando le fonti omeriche (che
volevano Agamennone re di Micene e, prima, di Sparta) è probabilmente legata
all’alleanza che Atene stringe con Argo proprio nel periodo in cui viene
rappresentata l’Orestea.
Da Argo, Oreste si sposta prima a Delfi a chiedere il consiglio di Apollo e, qui, è da
lui inviato ad Atene. Qui si assiste alla istituzione, da parte di Atena, di un tribunale
civico (areopago) presieduto da dodici cittadini che avrà il compito di giudicare
Oreste e, da quel momento in poi, tutti I delitti di sangue è celebrazione delle
istituzioni ateniesi, della purificazione delle monarchie assolute (Oreste) ad opera
delle istituzioni democratiche.
Il fatto che l’assoluzione di Oreste avvenga ad Atene è invenzione eschilea ma
adottata poi da quasi tutti gli autori successivi cfr Elettra di Euripide, Oreste è assolto
ad Atene.

LIVELLO del CONTESTO


Il contesto teatrale dei Persiani differiva molto da quello dell’Orestea per ragioni
rappresentative e artistiche, sebbene dal punto di vista organizzativo/istituzionale le
celebrazioni delle Grandi Dionisie fossero rimaste immutate;
● si evolve l’arte degli histriones;
● si sviluppano nuove possibilità di scenotecnica, e di
allestimento/trasformazione degli spazi
● Fonte di queste informazioni = gli stessi testi delle tragedie, in cui sono
presenti frequenti riferimenti alla performance spettacolare.
Ma soprattutto, era stato introdotto, ad opera di Sofocle, l’uso del terzo attore ð
invenzione che Eschilo assimila e include nella trilogia

Agamennone
La situazione in cui sono presenti tutti e tre gli attori è l’arrivo del Re
● I tre personaggi sono Cassandra, Agamennone, Clitemnestra
● Per quanto compresenti, non c’è mai un dialogo tra tutti e tre: dialogano
solamente a coppie e/o col Coro

QUINDI dal punto di vista dei contenuti verbali, la presenza del terzo attore non è
fondamentale->è importante invece, dal punto di vista dell'impatto visivo”,per
conferire maggiore fluidità alla scena.

Coefore
Il terzo attore interpreta Pilade, amico e consigliere di Oreste che appare accanto a
lui in scena fin dall'inizio.
Esso è sempre in scena come “ombra” di Oreste, e questo è confermato dai
numerosi riferimenti alla sua presenza nelle battute degli altri personaggi (in
particolare di Oreste, che spesso vi si rivolge).

MA pronuncia una sola battuta. Colto da un dubbio, non più così certo di voler
uccidere Clitemnestra, Oreste si rivolge a Pilade e gli domanda cosa fare. Pilade
risponde ribadendo l’importanza di rispettare la volontà degli oracoli, e quindi
dell’omicidio di Clitemnestra.

“E allora in futuro che ne sarà degli oracoli del Lossia proclamati a Pito, e dei fedeli
giuramenti? Piuttosto che gli dei, tutti gli uomini considerali tuoi nemici”

Perché questa scelta?


1. Sottolinearne l’eccezionalità
Mettendole in bocca a Pilade, Eschilo conferisce a queste parole non solo
un’importanza fondamentale, ma anche il senso di eccezionalità, di sorpresa delle
comunicazioni oracolari à e lo fa senza doverlo evocare in modo imitativo, poichè
Pilade non ha nulla di “sacerdotale” o invasato dal dio.
2. Sottolinearne l’oggettività
Il fatto che Pilade fino a questo momento non abbia parlato fa sì che queste parole
possano essere, quando pronunciato da lui, esattamente ciò che dicono, poichè non
sono “filtrate” del suo carattere, non sono – come altrimenti sempre nella tragedia –
espressione della sua soggettività. Proprio per questo sono disponibili a
rappresentare un linguaggio “altro” come quello oracolare.

Confronto tra Agamennone e Coefore nell’uso del terzo attore


● Entrambi hanno a che vedere con responsi oracolari;
● entrambi devono sostenere lunghissimi periodi di silenzio in scena

MA ci sono soprattutto ampie differenze, in quanto la parte di Cassandra è


effettivamente una “parte”: dialoga col coro, ha un preciso e importante ruolo
narrativo, mentre Pilade si limita ad un’unica battuta che non richiede particolari doti
interpretative.

Questo dimostra che a questa altezza cronologica non c’erano ancora stilemi fissi
per quanto riguardava l’uso del terzo attore, e le sue competenze sceniche.

TEATRO TRAGICO DOPO I TRE TRAGEDIOGRAFI


Dopo la fase di massimo splendore tragico rappresentato dalle opere di Eschilo,
Sofocle, Euripide si apre una terza fase
Prima fase = fase epico/coreutica degli inizi, con un solo attore
Seconda fase = fase drammatica, con due/tre attori e il coro
Terza fase = pratica essenzialmente spettacolare

La tragedia diventa una pratica essenzialmente ludica, che non si preoccupa più di
formare e dialogare col pubblico, ma di soddisfarne passivamente i gusti.
Questa fase è aperta da Agatone, a cui si deve una forte innovazione.
Il coro non è più parte integrante della vicenda drammatica, ma i testi cantati si
emancipano dalla narrazione e svolgono solo la funzione di intermezzo.

Professionalizzazione
Trasformazione in linea con una serie di modifiche del teatro tragico che vanno verso
una progressiva professionalizzazione:
● Repertorio: si fissa in maniera definitiva il repertorio che continuerà a essere
riproposto;
● Crescente importanza dell’attore l’importanza dell'autore – che era centrale in
un teatro come quello del V secolo non di repertorio – cala a favore della
crescente importanza dell’attore;
● Formazione di compagnie professionale: si formano I Teatri di Dioniso;
● Diffusione della festività delle Grandi Dionisie: la festività delle grandi Dionisie
si diffonde anche fuori atene, favorendo la circuitazione delle compagnie.
Le tragedie non vengono più fatte da e per la collettività, ma c’è una separazione tra
pubblico e artisti scenici di professione

Caratteri formali
Le tragedie della terza fase non sono state conservate, ma è possibile dedurne a
grandi linee le caratteristiche formali grazie alle testimonianze di Aristotele,
Aristofane e Platone:
● il kommos (momento in cui l’attore canta) diventa un momento sempre più
importante e virtuosistico tanto che, spesso, arriva a svincolarsi totalmente
dalla storia: ci sono raccolte di kommos che venivano usate dai singoli attori
indipendentemente dall’ attinenza alla storia;
● I discorsi si fanno retorici, ricercano uno stile ricercato, raro, volto a
meravigliare lo spettatore piuttosto che a convincerlo;
● alle azioni volte a mettere in evidenza I caratteri si preferiscono azioni dal
forte impatto visivo e spettacolare.Es “grandi effetti” come combattimenti,
battaglie nautiche.

Non c’è più la sperimentazione, la dialettica e la reciproca influenza tra contesto e


testi tragici, ma la tragedia si fissa in una serie di schemi fissi di sicura efficacia
“commerciale”.

Questo è dovuto:
1. Alla perdita di autonomia di Atene, sconfitta da Sparta e poi dominata dai
macedoni, che priva la tragedia del suo pubblico originale: gli ateniesi orgogliosi
della propria identità ed autonomia
2. Alla professionalizzazione del teatro e la conseguente creazione di una serie di
mestieri rigidamente distinti, ognuno con specifiche capacità e competenze

ARISTOTELE
LA POETICA DI ARISTOTELE (335 a.C.)
Opera acroamatica = destinata a circolare fra i discepoli, non ad essere pubblicata

Con la Poetica si assiste a una vera e propria trasformazione a monumento estetico


e formale delle tragedie lasciate dai primi autori tragici

OBIETTIVI = 1. Critica alla degenerazione, alla spettacolarizzazione delle tragedie


contemporanee;
2. Volontà di ridare efficacia civile al genere tragico;

Per raggiungerli, Aristotele intende individuare, a partire dai testi dei grandi
tragediografi, un canone formale = insieme di norme che i giovani letterati avrebbero
dovuto seguire nella composizione dei testi.

MA nel farlo, si basa esclusivamente sui testi dei tragediografi, senza considerare le
questioni performative e il contesto rituale in cui si sviluppano.

Ne consegue che A. arriva a negare o comunque a non considerare l’aspetto


performativo del teatro del V secolo, derivandone una concezione testocentrica che
costituirà poi il paradigma con cui verrà (erroneamente) interpretato il teatro greco
dagli autori successivi.

Fine della tragedia: la catarsi


FINE FONDAMENTALE della TRAGEDIA = CATARSI
CATARSI = purificazione dai sentimenti di pietà e terrore che passa attraverso
l’immedesimazione nel protagonista tragico, la partecipazione emotiva dello
spettatore.
Secondo A., affinché la catarsi si produca, è sufficiente la lettura.
La musica e lo spettacolo, parti della rappresentazione esclusivamente performative,
secondo Aristotele, non sono fondamentali per il raggiungimento della catarsi. Per
questo motivo le esclude dalla sua trattazione.

La composizione dei testi


Secondo A., dunque, l’efficacia nella composizione dei testi dipende da:
● assimilazione dei perfetti modelli tragici (I tre tragediografi);
● applicazione del canone dedotto da questi modelli;
● conoscenza dell’oggetto del processo mimetico, cioè di ciò che, attraverso il
testo tragico, si vuole “imitare” .

La conoscenza della pratica teatrale, l’importanza degli attori, delle musiche, di tutti
gli aspetti relativi allo spettacolo non sono negati, ma semplicemente considerati
come secondari al processo compositivo.

NETTA DISTINZIONE TRA DRAMMA E TEATRO


DRAMMA = opera del poeta;
TEATRO = contesto di trasmissione e amplificazione dell’opera del poeta, che però
esiste e ha significato anche indipendentemente da esso.

La definizione di tragedia
Aristotele si occupa innanzitutto di fornire una definizione della tragedia.

Come per tutte le arti poetiche, il suo principio fondamentale è quello dell’imitazione.

Le diverse arti si distinguono però per:


mezzi (ritmo, linguaggio armonia);
oggetto da imitare (persone migliori di noi vs persone peggiori di noi);
modi dell’imitazione (epica vs drammatica).

Nel caso della tragedia


MEZZI = tutti e tre, ma separatamente: in alcune parti è utilizzato esclusivamente il
canto, in altre esclusivamente il verso;
OGGETTO DA IMITARE = uomini migliori di noi;
MODO DELL’IMITAZIONE = forma drammatica e non epica;

Gli elementi costitutivi della tragedia


Aristotele individua sei elementi costitutivi della tragedia, in ordine di importanza
1. Fabula = “composizione di una serie di fatti”
Ovvero l’intreccio, composizione dei fatti secondo lo schema
inizio-sviluppo-climax-conclusione attraverso quei momenti di svolta che sono
l’agnizione e la peripezia. Elemento fondamentale in quanto la tragedia non è
mimesi di uomini o cose ma è mimesi di azioni: quindi è l’azione l’elemento
fondamentale, senza il quale non esisterebbe la tragedia
2. Caratteri = “elemento da cui risultano le intenzioni morali del personaggio” Questo
rappresenta il “motivo”, la “causa” dell’azione, ciò che porta il personaggio a preferire
una determinata cosa e ad agire in un determinato modo
3. Pensiero = “saper dire le cose pertinenti e convenienti” Quindi la capacità dei
personaggi di parlare in modo convincente, e di destare emozioni
4. Linguaggio = “l’espressione che si realizza con l’uso delle parole”
5. Melopea cioè l’aspetto musicale
6. Spettacolo cioè l’aspetto visivo
Tra questi, solamente i primi quattro sono di stretta pertinenza del poeta, e solo da
questi dipende il valore e l’efficacia della tragedia.

Quello che A. critica alla tragedia contemporanea è che non esistano più caratteri:
dunque non esistono più vere azioni ma solamente azioni spettacolari che non sono
motivate da un carattere.

Nelle tragedie contemporanee i personaggi parlano “come retori” = vogliono stupire


e meravigliare con la loro abilità oratoria.

Nelle tragedie antiche i personaggi parlano “come politici” = vogliono convincere,


sono motivati da un carattere

TEATRO GRECO E MUSICA


Nella Nascita della tragedia dallo Spirito della Musica .
Nietzsche definisce la tragedia come sintesi perfetta di quelli che riconosce come I
due impulsi fondamentali del mondo greco:

APOLLINEO:
caratteristico del sogno ;
si rifa’ ai valori di equilibrio, misura, ordine;
si esprime attraverso le arti visive.

DIONISIACO
Caratteristico dell’ebbrezza;
si rifa’ a pussione sotterranee, inconsce;
si esprime attraverso la musica Inoltre, riconosce la nascita della tragedia come
evoluzione dei rituali dionisiaci in cui un coro di satiri, attori e spettatori al tempo
stesso, circondano il dio e lo contemplano.
E’ a partire da questo rituale collettivo che si rende possibile la fusione di dionisiaco
e apollineo: dal momento in cui, nel delirio collettivo, I satiri che partecipano al rito
vedono se stessi satiri e contemplano il dio fuori di sé, unendo la dimensione visuale
e quella musicale, canalizzando l’emotività e l’istintualità dionisiaca nel sogno
apollineo.

Il Pappo Sileno
Statua recentemente esposta ad Atene conferma la versione di Nietzsche.
Statua di un attore con un costume da Pappo Sileno, precettore di Dioniso, figura
che guidava come corifeo i cori dei Sileni nei riti e nelle processioni, che porta in
spalla un Dioniso bambino.
Pappo Sileno è la rappresentazione del principio dionisiaco, ferino, satiresco.
Dioniso->rappresentazione del principio apollineo, plastico, con una forma.
Pappo Sileno è una figura frequentemente rappresentata nella statuaria, talvolta
anche con Dioniso bambino in spalla, MA questa è unica in quanto in una mano
Dioniso regge una grande maschera tragica, che tiene accanto alla testa di
Papposileno.

QUINDI nella statua si vedono due maschere, una accanto all’altra:


una è la maschera che tiene in mano Dioniso, attributo del Dio nume tutelare della
tragedia; una è la maschera che indossa l’attore Papposileno, forse percepita come
simbolo dei ditirambi e dei cori satireschi da cui deriva il genere tragico

Il loro accostamento ricorda anche la composizione delle tetralogie presentate alle


Grandi Dionisie: 3 tragedie + 1 dramma satiresco.
Le immagini narrano che il bambino allevato da Papposileno ha inventato la tragedia
di cui regge l’emblema. L’accostamento tra maschera vuota retta in mano da Dioniso
(quindi, IMMAGINE) e maschera “piena” indossata da Papposileno configura la
tragedia come un gioco, contrapposta alla “corporeità”, materialità del papposileno
da cui deriva.
Dioniso porta i capelli acconciati in una maniera che all’epoca in cui è stata scolpita
non si usava più, era stata abbandonata dopo le guerre persiane.
Dagli “ingegni universitari” a Shakespeare: spettacolo e cultura nel teatro
elisabettiano
Shakespeare visse a cavallo fra il XVI e il XVII secolo, un periodo in cui si stava
realizzando il passaggio dalla società medievale al mondo moderno. Nel 1558 sul
trono del regno era salita Elisabetta I, inaugurando un periodo di fioritura artistica
che da lei prese il nome. Al contrario di molti altri drammaturghi della sua epoca
(Marlowe, Nashe, Greene, Lodge, Middleton, Lyly), Shakespeare non frequentò
l’università, dato che la famiglia cadde in una crisi economica, e si avvicinò al teatro
prima come attore e poi come drammaturgo. La sua scrittura teatrale parte dal
teatro, al contrario degli ingegni universitari (i primi drammaturghi elisabettiani) che
iniziavano con un percorso accademico, fino ad arrivare alla scrittura. (Denuncia da
parte Robert Greene).
Shakespeare fonda uno stile drammaturgico completamente nuovo e
individualizzato, dove le fonti letterarie non sono considerate imprescindibili(come
per Ben Jonson), ma sono considerate degli spunti, delle sollecitazioni, delle
suggestioni.
Fra i drammaturghi elisabettiani quello che presenta il percorso più simile a quello di
Shakespeare è Ben Jonson: frequentò brevemente un’istituzione scolastica e lavorò
come muratore; si dedicò al teatro inizialmente come attore e successivamente
come artista di drammi.
Tradizionalmente però, i due vengono considerati molto diversi nel modo di scrivere:
• Jonson fu un autore più accademico, ebbe un’erudizione più profonda, solida, ma
lenta a manifestarsi.
• Shakespeare è più spontaneo, libero e sciolto.
• Jonson, che pubblicò i suoi testi drammatici e poetici, collocava la scrittura per il
teatro allo stesso livello della poesia edita. Le fonti letterarie sono elementi
imprescindibili.
• Shakespeare non pubblicò i suoi testi drammatici perché li considerava dei mezzi
per consegnare le voci degli attori.( dimensione dell'ORALITÀ)
• Jonson seguiva i principi classici e la trattatistica aristotelica;
• Shakespeare veniva considerato con l’antitetico modello platonico, ovvero un poeta
ispirato dalle Muse e dal furore poetico.

Jonson è alla base del luogo comune che vuole Shakespeare poeta spontaneo,
naturale, intuitivo e mancante di erudizione.
Shakespeare si fa un po' ispirare dagli attori della Commedia dell’arte italiana che, in
quel periodo, si stava diffondendo in tutta Europa. Egli, come loro, improvvisava, ma
non in scena, bensì pensando. Questa improvvisazione era legata alla memoria, e
quindi al riportare concetti già iscritti nella memoria. Si tratta quindi di improvvisare
non i contenuti del dire, ma il modo di esporli. La sua capacità di improvvisare, dagli
argomenti all’actio, si vede soprattutto nei suoi personaggi “parlatori”, cioè coloro che
spesso esibiscono virtuosismi verbali, (Mercuzio in Romeo e Giulietta, Berowne in
Pene d’amor perdute): i grandi conversatori shakespeariani si servono della loro
dialettica spontanea e agilissima come d’un passaporto sociale, che li impone agli
altri personaggi e al pubblico fondando il prestigio e il gradimento di cui godono.
Affrontano, nell’ambito della propria identità drammatica, problematiche
tipicamente autoriali: il rapporto fra le parole e le cose, quello fra la poesia e la
realtà, i limiti e i poteri del linguaggio. Incarnano la funzione di autore “nella” vicenda;
attraverso di loro Shakespeare fornisce informazioni articolate e precise sull’utilizzo
e la natura delle fonti drammatiche. Sono il contrario dei "raisonneur ottocenteschi",
personaggi distaccati che esprimono il pensiero dell’autore sulla vicenda in atto.

In Pene d’amor perdute Berowne sostiene che i sistemi di apprendimento basati


esclusivamente sullo studio "non giovano a nessuno". Quelli che funzionano
veramente sono i sistemi basati sull'esperienza diretta: è inutile cercare le verità
della natura all'interno dei libri, quando si potrebbe osservare la natura stessa.

Bacone e Shakespeare
Entrambi antepongono lo sguardo che indaga direttamente le cose rispetto a quello
che si consuma ed acceca ricercando nei libri la verità della natura. Le
corrispondenze fra la cultura di Shakespeare e il sistema baconiano sono in parte
dovute all’attenzione di entrambi per la “magia naturale”, per le scoperte geografiche
e scientifiche, per il generale riassetto del mondo sociale, per la dinamica
assimilazione della sapienza biblica, che, a seguito della riforma, prese il
sopravvento sui paradigmi umanistici. Sia Shakespeare sia Bacone consideravano
le stesse trasformazioni, le stesse crisi e gli stessi impetuosi processi di crescita con
sguardo al contempo libero dalle sovrastrutture umanistiche e fortificato dalla libertà
di giudizio degli antichi.

Berowne
Berowne è la manifestazione di un personaggio che riassume in sé le problematiche
della composizione drammatica e autoriale. Lo studio diretto delle cose è superiore
rispetto allo studio sui libri.
Il Seicento di Bacone e Galileo avrebbe radicato nella cultura occidentale la
metafora della natura-libro: mondo naturale come qualcosa da leggere.
Lo sguardo sulla realtà è un’osservazione empirica, libera dalle sovrastrutture
umanistiche.
I conversatori shakespeariani documentano un’arte del parlare che Shakespeare
esercitò anche nella vita sociale. È importante ricordare che il pubblico popolare
inglese ancora il teatro ad azioni concrete, effettive, indubitabili e impressionanti,
mentre gli autori appoggiano a questa rete di eventi espressioni poetiche e discorsi
che spettacolarizzano il linguaggio.

Caratteristica di Shakespeare è invece la propensione a far interagire linguaggio e


azione sia nella dimensione drammatica della vicenda che a livello delle pratiche
conoscitive. Nella
storia dello spettacolo, il teatro diventa effettivamente dell’autore quando questi ne
sviluppa le
potenzialità latenti, facendo del dramma una punta avanzata del contesto teatrale in
cui nasce e viene messo in scena.
Shakespeare fece della scena elisabettiana un luogo privilegiato del confronto fra le
tensioni che agitavano il mondo delle conoscenze e quello dell’espressione
linguistica. La lingua teatrale degli attori ha intercettato le taglienti tensioni fra
conoscenza e linguaggio attraverso l’opera di Shakespeare che, d’altra parte, poté
sviluppare e inscenare tali dinamiche servendosi della lingua teatrale degli attori,
dove la realtà dell’agire si incontra e scontra con la sostanza linguistica del
discorso prefigurando il prius del pensiero conoscitivo: la consapevolezza dei
rapporti che intercorrono fra parole e cose, fra ragionamento e realtà. Vi sono
nell’opera shakespeariana personaggi di ragazzi e quasi bambini che giocano col
linguaggio e le parole elaborando, nell’atto di parlare, conoscenze immediate. Vi
sono per esempio Mote (Pene d’amore perdute) ed il figlio di Macduff (Macbeth),
personaggi molto simili tra loro, anche se di età diverse. Quest’ultimo in particolare
(scena della morte del padre): il giocare con le parole, il ricavare graziosi concetti
dalle asserzioni della madre, il non farsi convincere dalle asserzioni verbali e il
cercare altri significati intercettando la varietà del reale, fanno sì che egli appaia un
essere umano capace di sguardi propri sul mondo, quindi come Shakespeare
stesso, un patrimonio dell’umanità. (88) L’oralità shakespeariana è l’incontro fra
letteratura, teatro e vita. La sua opera drammatica non è un fatto della letteratura.
Non c’è zona o relazione della vita di Shakespeare che non abbia consegnato
preziose eredità agli sviluppi della sua opera drammatica. La realtà del vissuto
permeano in modo capillare l’opera drammatica di Shakespeare che non ricava però
argomenti drammatici: storie da rappresentare e personaggi di cui svolgere
scenicamente i destini. Insomma, il vissuto del poeta viene filtrato da un’opera di
decostruzione sistematica e reso materia duttile e plasmabile d’una anti-retorica
teatrale.

I contesti del teatro shakespeariano e le loro implicazioni drammaturgiche


Dalla seconda metà del ‘500 si afferma il ruolo sociale ed economico dell’attore
professionista.
Vi sono delle novità nel mondo teatrale elisabettiano:
● Le compagnie conservavano il diritto esclusivo sulla rappresentazione e sul
dramma fino a quando riuscivano a impedire che il testo fosse stampato.
● Gli attori professionisti erano i protagonisti assoluti del teatro pubblico a
pagamento. Essi erano sempre vestiti con moltissima eleganza, perché in
Inghilterra c’era l’usanza che gli uomini di rango e i cavalieri lasciavano alla
loro morte i loro vestiti migliori ai servi, ma, siccome non era loro uso
indossarli, li regalavano agli attori.
● Gli spettacoli non erano esclusivamente costituiti da rappresentazioni
drammatiche, ma da intrattenimenti vari. Il teatro professionale richiedeva e
rappresentava novità drammatiche a getto continuo, variando in
continuazione i propri repertori. I drammaturghi svolgevano funzioni di
“copionista”. Il contesto è quello del boom del teatro, dal 1576 al 1642
(1583-1616 attività di Shakespeare).
● Nel 1594, quando i teatri di Londra riaprono dopo la chiusura dovuta alla
peste, Shakespeare figura fra i membri dei Chamberlain’s Men, guidati da
Richard Burbage.
● Apre il Globe Theatre nel 1599 ed è Shakespeare a fornire i primi copioni ad
esso destinati quell’anno.
● Il periodo di massima popolarità ed influenza della compagnia di Shakespeare
lo si ebbe col regno di Giacomo I Stuart, che permise il cambio del nome in
King’s Men: passano sotto la protezione del re in persona. Shakespeare si
ritirò dalle scene probabilmente nel 1613 allorché il Globe venne incendiato
durante l’allestimento per l’Enrico VIII. Morì poco tempo dopo, a 52
anni(1616)
● Le opere di Shakespeare non erano destinate all’editoria (la maggior parte
delle dizioni fu postuma oppure pirata), ma semplicemente a diventare copioni
a uso interno della compagnia teatrale e non ne esisteva una versione
definitiva dei vari lavori. I copioni erano delle fonti di intrattenimento.
● La particolarità di Shakespeare sta nel fatto che lui, prima di essere
drammaturgo, era anche attore. Prima di lui, nel giovane teatro elisabettiano, i
drammaturghi che rifornivano di testi le compagnie erano ingegni universitari,
la cui scrittura era caratterizzata da: conversione del sapere letterario in
intrattenimenti verbali mossi a meravigliare il pubblico,vicende sanguinarie
tratte da storie e miti antichi,teatro ad effetti con agguati e duelli
● Shakespeare era un attore, alle sue spalle non c’era l’università, ma la
partecipazione a un’oscura grammar school di provincia.
● Un altro motivo della sua indifferenza nei confronti dell'editoria è che era socio
comproprietario dei Chamberlain's Men (e dopo dei King's Men), per cui
aveva diritto a una percentuale sugli incassi a ogni spettacolo rappresentato,
e giocava a suo favore non pubblicare e mantenere l'esclusiva che la sua
compagnia aveva sulle sue opere. I drammaturghi che invece non erano soci
di nessuna compagnia venivano pagati solo una volta, quando vendevano
l'opera, e per continuare a guadagnare stabilmente dovevano scrivere una
grande quantità di nuove drammaturgie.
● Fra gli autori di mestieri d’epoca, Shakespeare fu tra i più remunerati pur non
figurando tra i più prolifici. Nel 1592 Shakespeare è un drammaturgo di
primissimo piano, degno concorrente degli ingegni universitari.Naturalmente,
il prestigio di Shakespeare era riconosciuto a livello del contesto teatrale, non
a quello della cultura letteraria.
● La storia si intreccia in vari modi alla storia del teatro elisabettiano, dalle
esigenze commerciali, il potere politico, il volere degli spettatori. Le relazioni
fra la drammaturgia shakespeariana e la storia politica inglese sono strutturali:
1)Il Riccardo III conclude le tre parti dell’Enrico VI, mettendo in scena la
conclusione dei conflitti civili e l’ascesa al trono del primo sovrano Tudor
(Elisabetta I).
● • Macbeth è un’opera dedicata alla discendenza degli Stuart.

Il Macbeth inedito di William Shakespeare: fonti, contesto ed elementi performativi


Contesto
Il contesto politico in cui nasce il Macbeth è quello di una delicatissima successione
dinastica, che seguiva a mezzo secolo di crisi dinastiche e conflitti interni tra cattolici
e protestanti.
● Nel 1603 Elisabetta I muore senza eredi, la corona passa a Giacomo VI di Scozia,
che diviene, come Re d’Inghilterra, Giacomo I. Quest’ultimo era figlio della cattolica
Maria Stuard e battezzato come cattolico e aveva sposato la protestante Anna di
Danimarca. Ciò, in un periodo di profondi conflitti interni di matrice religiosa,
sembrava scongiurare il pericolo di lotte interne, e la sua salita al trono fu infatti
salutata con favore dal popolo.
● 1604 Guy Fawkes e altri congiurati cattolici progettano la Congiura delle Polveri =
il piano era di far saltare il palazzo di Westminster il 5 Novembre 1605, quando
sarebbero stati presenti il re ed entrambe le camere riunite. MA la congiura venne
scoperta a causa di una lettera anonima (con grande sollievo del popolo, che il 5
novembre accese falò per tutta la città per celebrare la salvezza del Re) e i
congiurati imprigionati e torturati.
Questo è stato un modo per celebrare Banquo, fondatore della dinastia degli Stuart,
e attraverso di lui lo scampato pericolo di Giacomo I. L’attentato delle Polveri aveva
rafforzato l’amore per l’istituzione monarchica e la venerazione per la continuità
dinastica (che garantiva la solidità dello stato) e il disprezzo per i suoi nemici , Le
tematiche del Macbeth sono la celebrazione dinastica, la riflessione sul potere,
riflessione sulla natura del male.
Il tempo dominante della vicenda è il FUTURO : la vicenda non viene determinata da
ciò che è accaduto prima, ma da ciò che i personaggi pensano che debba accadere
poi (cioè, dalle reazioni di Banquo e Macbeth ai vaticini delle Streghe).

Riferimenti per pubblico e sovrano


Riferimenti indirizzati al pubblico
● Allusioni alla Congiura;
● Allusioni al ruolo dinastico di Banquo e alla continuità secolare degli Stuart.
Riferimenti indirizzati a Giacomo I
● Modalità di rappresentazione delle Streghe, che fanno riferimento a
Demonologia, trattato contro le streghe scritto dallo stesso re, e anche al
processo intentato da Giacomo I contro 3 donne accusate di stregoneria e
aver voluto impedire il suo matrimonio con Anna di Danimarca. Ci sono anche
dei riferimenti al Basilikon Doron, trattato di Giacomo I sull’arte del buon
sovrano.
MONOLOGO DEL PORTIERE
Il portinaio del castello di Inverness, svegliato nel cuore della notte da qualcuno che
bussa, si reca ad aprire parlando fra sé di fatti di attualità, comprensibili solo agli
spettatori contemporanei. Si immagina come guardiano dell’Inferno e che le anime
condannate bussino alla sua porta. Queste “anime condannate” coincidono con una
serie di riferimenti a figure e situazioni della Londra dell’epoca.

FUNZIONI DELLA SCENA


A. Rendere contemporanea la vicenda , renderla in grado di interagire col vissuto
personale del suo pubblico;
B. Rafforzare l’identificazione Inverness/Inferno e di conseguenza , negare ancora
una volta l’identità Streghe/diaboliche. A essere “infernale” non è un antro
demoniaco o un altro luogo soprannaturale, ma un luogo che è reso tale dai delitti
umani. Si trattava di una scena aperta, nella quale l’attore aveva il modo di
improvvisare a lungo scegliendo, tra i vari personaggi della Londra dell’epoca ben
noti al suo pubblico, destinare all’Inferno. L’attore che interpreta questo ruolo era
sicuramente Robert Arnim, il clown della compagnia. Si trattava di un attore dalla
vena comica molto sottile, ricca di allusioni, di commenti salaci e addirittura amari,
MA è sicuramente di ideazione di Shakespeare.
1. Il riferimento alla Congiura delle Polveri : “fabbricante di equivoci capace di giurare
su tutti e due I piatti della bilancia, e andar contro a tutti e due; che ha commesso
abbastanza tradimenti per amore di Dio ma non è riuscito ad ingannare il Cielo". Il
riferimento è ai teorici dell’ EQUIVOCAZIONE, teoria sostenuta dai gesuiti che
sosteneva si potesse uccidere un sovrano che si discosta dalla vera fede. In
particolare, il riferimento è a Padre Garrett, gesuita che era stato il
confessore dei congiurati delle Polveri “che non è riuscito ad ingannare il Cielo ”, che
non è riuscito ad uccidere il Re
2. La chiusa poetica del monologo : “Questo posto è troppo freddo per l’Inferno. Non
voglio più fare il Portiere del diavolo, avevo pensato di far entrare un qualche
membro di tutte le professioni, che per un sentiero di primule se ne vanno al falò
eterno ”. Probabilmente è di S. la scelta delle primule, utilizzate anche in molti altri
testi. MA concetti/frasi simili sono presenti anche nel monologo del Buffone in Tutto è
bene quel che finisce bene , interpretato dallo stesso Robert Armin, dal Vangelo
secondo Matteo , nella King James Version “prendi la strada più stretta, poiché
ampia è la porta, e larga la strada, che guida alla distruzione”. S. probabilmente
parte o da una frase ideata dallo stesso Armin per Tutto è bene quel che finisce
bene , oppure direttamente dall’originale evangelico, MA vi apporta alcune minime
ma fondamentali modifiche.
● I fiori non sono fiori generici ma primule: In inglese, le primule sono dette anche
bunch of keys , perché secondo un’antica leggenda San Pietro gettò dal cielo le
chiavi del Paradiso e, nel luogo dove caddero, nacquero le prime primule. E’ un
riferimento molto esplicito al Papa e al Cattolicesimo , quindi ben si presta,
nell’Inghilterra ancora scossa dalla Congiura delle Polveri, a tappezzare la strada per
l’Inferno;
● Allusione a “uomini di tutte le professioni” : Non fa riferimento ai mestieri ma alle
religioni professate (cfr discorso pronunciato da Giacomo I dopo lo scampato
attentato: “Sebbene uomini di tutte le professioni religiose siano stati ladri, assassini,
traditori, eppure sempre, quando sono giunti alla loro fine e alla loro giusta
punizione, hanno confessato che il loro errore deriva dalla loro natura, e non dalla
loro confessione religiosa (ad esclusione di questi Cattolici) . QUINDI il senso della
parte finale del monologo è che uomini di tutte le professioni religiose possono
intraprendere la via per l’Inferno, MA al tempo stesso è implicitamente anche una
“critica” ai cattolici;
● Riferimento al “bonfire ”: Riferimento inequivocabile alla Congiura delle Polveri e ai
falò che erano stati accesi per celebrare lo scampato pericolo. Inoltre, ai falò che
erano stati accesi per far bollire i calderoni in cui erano state gettate le membra dei
corpi degli attentatori durante un supplizio pubblico.
3. La “seconda chiusa” : Andando finalmente ad aprire, il Portiere si rivolge
direttamente al pubblico dicendo “vi prego, ricordatevi del Portiere ”. Ciò serve per
sottolineare l’importanza di questo monologo, per sollecitare il pubblico a
dimenticarsi pure degli altri ruoli interpretati da Armin nell’opera (sicuramente
l’Ufficiale in I.2, ma probabilmente il Dottore, il Vecchio che
parla con Ross etc) ma non di questo, le cui parole fanno riferimento a quegli eventi
storici da cui dipende la genesi stessa della tragedia.

Shakespeare: spazi teatrali e performance

Le fonti alle quali si ricorre più frequentemente per la costruzione della struttura degli
edifici teatrali sono alcuni documenti iconografici e dalle informazioni tratte dai testi
drammatici all’interno dei quali si rintracciano preziose informazioni sull’articolazione
spaziale.

Scenografia verbale: le voci degli attori del teatro elisabettiano e le parole di cui si
facevano portatrici sono i principali strumenti drammaturgici attraverso cui venivano
create le ambientazioni delle opere e le scenografie assenti.
La prima tipologia di documenti si può dividere a sua volta in due categorie:
immagini di esterni (numerose), immagini di interni (solo quella che, attraverso uno
schizzo, ci lascia un viaggiatore olandese, Joannes De Witt, dello Swan Theater).
• L’elemento essenziale di questo teatro a pianta circolare o ottagonale, in legno e
scoperto è il cosiddetto “upron-stage”, il palcoscenico aggettante in parte coperto da
una tettoia (heavens) e dotato di una parte interna (inner stage), una sorta di nicchia
centrale nascosta da un sipario allo sguardo dello spettatore, uno spazio
retroscenico analogo a quello delle tragedie greche. Non c’era scenografia, ma un
fondo scena (rear-wall) con due entrate per l’ingresso e l’uscita degli
attori,comunicanti con i camerini (tiring-house). Non c’erano complesse macchine
spettacolari, ma botole sui palchi per garantire lo sprofondamento dei personaggi
(spettro del padre di Amleto), oppure c’erano degli argani all’interno della tettoia per
consentire i voli. Vi era poi una parte superiore (upper stage) che costituiva la
balconata sovrastante e serviva per gli assedi o come balcone o finestra (Romeo e
Giulietta).
• I costumi erano un elemento spettacolare fondamentale. Essi erano donati dai
nobiluomini, ed erano quindi caratterizzati da tessuti magnifici.

Più articolate risultano le caratterizzazioni degli sfondi, dei contesti, delle atmosfere
in cui l’azione si sviluppa. In questo caso si possono rintracciare dialoghi in cui i
luoghi “non sono”, ma “si fingono”: si tratta di ambienti immaginari simulati. La quarta
scena del IV atto del Re Lear si fa esempio lampante di questa tipologia di
simulazione spaziale. Il giovane Edgar, sotto mentite spoglie, fa credere al padre di
trovarsi in cima a un precipizio. Il pubblico, complice dello stesso Edgar, sa di essere
portato a immaginare uno spazio che non c’è. Shakespeare fa dipingere a Edgar un
quadro estremamente particolareggiato, fatto di rumori e dettagli, mentre orchestra
la doppia simulazione spaziale.

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