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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA

Author(s): Antonio Martina


Source: Rivista di cultura classica e medioevale , LUGLIO-DICEMBRE 2008, Vol. 50, No. 2
(LUGLIO-DICEMBRE 2008), pp. 309-345
Published by: Accademia Editoriale
Stable URL: https://www.jstor.org/stable/23967059

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA

Antonio Martina

Mi piace partire
proper da un'osservazione
approach to an appréciationdiand
Eliot (1950). of
enjoyment Egli notava
Seneca che
is not by "the
comparison and contrast - to which, in his case, criticism is violently tempted
- but by isolation Such comparison... magnify the defects and obscure the
merits of the Senecan tragedy... .Seneca is wholly himself; what he attempted
he executed, he created his own genre".
Con Giusto Monaco1 bisogna insistere sul rapporto imprescindibile tra se
de dello spettacolo e lo spettacolo stesso: il luogo dello spettacolo è uno dei
codici dello spettacolo stesso, come la parola, come la danza, come la scena,
come la musica. Per quanto riguarda la tragedia senecana si può parlare pre
valentemente, se non esclusivamente, di "spettacolo della parola".2 Si tratta,
infatti, di una tragedia scritta per la recitazione, non per la rappresentazione.
Ciò non significa, naturalmente, che oggi ο allora le tragedie di Seneca non
si possano ο non si potessero rappresentare, ma che egli scriveva tenendo in
mente la pubblica recitazione ο da parte di una sola persona ο da parte di più
persone che si dividevano i ruoli. Questo pare potersi dedurre dall'esame del
corpus delle sue tragedie: altre prove non ne abbiamo. Seneca si discosta - co
m'è fin troppo ovvio - in vario modo dalla tecnica drammatica della tragedia
greca del ν secolo: per alcune scene di tragedie senecane sarebbe difficile ο
addirittura impossibile la resa scenica secondo le convenzioni della tragedia
greca classica.3 È, inoltre, estremamente dannoso, per molti motivi, anche so
lo pensare che la tecnica teatrale e il complesso sistema di convenzioni che
caratterizzavano il teatro classico greco siano rimaste invariate fino ai tempi
di Seneca. Forse Seneca non vi faceva più nemmeno caso, perchè erano fuo
ri della sua struttura mentale; ed egli non faceva opera di storico del teatro,
nè di filologo - tra l'altro osteggiava i filologi -, ma di poeta, per giunta crea
tore di una tragedia particolare, la tragoedia nova di Seneca, che appare ne
cessitata dalla natura stessa del suo autore, sebbene anche condizionata dagli
scritti teorici, peripatetici e no.

1 «Dioniso» 15,1989,1, Introduzione agli Atti del Congresso Internazionale di studi sul Dramma
antico sul tema "Spazio teatrale e messa in scena: monumenti e testi".
1 Ved. D. Lanza, Lo spettacolo della parola. Riflessioni sulla testmlità drammatica di Seneca, in
Seneca e il teatro. Atti dell'vm Congresso Internazionale di studi sul Dramma antico (Siracusa, 9
12 Settembre 1981), Siracusa 1985 = «Dioniso» 52,1984, p. 363 ss.
3 Una rappresentazione dell'Agamennone mostrerebbe difetti nell'azione in 108 SS.-125 ss., tra 225
e 226, in 780 s. e dopo 909; si avvertirebbe l'eccessiva lunghezza della rhesis di Euribate (w. 421-578).

«RIVISTA DI CULTURA CLASSICA E MEDIOEVALE» · 2 · 2008

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310 ANTONIO MARTINA

Nessuna tragedia completa è giunta a noi


gedia ellenistica, nè una tragedia latina arcai
Abbiamo molti scritti teorici, peripatetici e
rici, ma questi non compensano le mancanza
ad intendere abbastanza bene la Poetica di A
alla tragedia del ν secolo (Sofocle ed Eurip
mo considerarla in relazione alla perduta tra
Aristotele riflette molto da vicino anche
delle questioni che pone si spiegherebbero
avessimo i testi, che non col teatro del ν sec
lettura e anche dalla ripresa delle rappresen
si discostavano già dalla prima rappresent
stessi, Sofocle ο Euripide (per non parlare d
di Eschilo).1
Quanto a Orazio, il problema è più compl
volte le riflessioni della sua Arte Poetica e p
ga conto e obbedisca, consapevolmente, ai
Seneca seguiva Ovidio e non il suo contem
come testimonia Tacito,3 carmina scaenae da
Considerata la formazione di Seneca, po
potuto preferire al teatro il raffinato ambi
sta scelta era dettata da più di una ragione
la natura e la struttura della sua tragedia. Il

1 Molte caratteristiche della tragedia greca del iv se


ca romana attraverso i tragediografi latini del periodo
tuito agoni drammatici sul modello delle Grandi Dio
Hellenistic Civilisation, London 19522, p. 113 ss. (sugli ag
a.Cr). I tragediografi latini non conoscevano soltanto
adattarono anche tragedie di altri autori del ν secolo e d
1 568: t ragoedias autan fere omnes ex Graecis transtulit [
pidei codd.], nonnullas Aristarchi [Lindsay: Aristarchus
usarono come modelli tragedie di Eschilo, Sofocle ed Eu
cilmente avranno potuto sottrarsi all'influenza delle no
meglio dire, peripatetico-ellenistica. Le rappresentazio
matica del periodo ellenistico; la lettura di un testo teat
la struttura e la tecnica drammatica ellenistica, come d
2 Ved. C. O. Brink, Horace on Poetry. 1. Prolegomena to
Cambridge 1963 e 1972; A. Martina, Iprecetti oraziani n
del ν seminario di Studi sulla tragedia romana, Palermo, 5
la controversia tra Seneca e Pomponio Secondo sulla diz
vin 3, 31. 3 Ann. xi 13.
4 Sui rapporti tra Seneca e Nerone che,
ann. xiv 52. La rappresentazione di una
portare rischi per l'autore.

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 311

nato da necessità sceniche, riesce a conservare tuttavia la


die vere e proprie, anche se con particolari caratteristich
hanno una vita drammatica, come personaggi di una trag
tragedia particolare: è una realtà drammatica diversa, di u
che prende vita attraverso un linguaggio nuovo, che rifle
drammatica dei suoi personaggi. Barrett1 ha parlato di pse
è meglio collocare Seneca fuori dall'ambito di un teatro
mente estraneo.

Com'è evidente, diventa determinante l'esame del sistema di convenzioni.


Il genere tragico comporta, come quello comico, un ventaglio molto ampi
di attese convenzionali, che devono essere individuate e definite nel modo pi
accurato. Un poeta è originale anche per il modo in cui mostra di superare ο
violare le convenzioni. In particolari circostanze le convenzioni possono e
sere inconsce ο non riconosciute come tali. Non è possibile limitare lo studio
delle convenzioni agli autori immediaternente precedenti ο contemporanei,
sebbene sia questo l'ambito più significativo, ma è opportuno estenderlo
la tradizione alla quale appartengono. Così il problema delle convenzioni f
nisce col coincidere con la storia stessa del genere.
Nella tragedia una convenzione è che sulla scena ci sia un palazzo (o altro),
da cui escono ο dove entrano alcuni dei personaggi. Naturalmente, vi è sem
pre un motivo per l'entrata ο per l'uscita di tutti i personaggi. Convenzione
è anche che quando un personaggio lascia la scena deve rientrare dalla ste
sa parte e gli spettatori devono vederlo rientrare dalla stessa parte.
Convenzioni sono dunque nella struttura del testo teatrale e nella struttu
ra dell'edificio teatrale, dal quale l'autore viene in qualche modo inevitabi
mente condizionato. Convenzione è nel luogo della scena, nella funzion
delle parodoi, nella funzione del coro, negli a parte, nel monologo e nel d
logo, nell'impiego di maschere e costumi, nell'impiego di un numero limita
to di attori nell'intreccio dell'azione e dello spettacolo (οψις), inteso come re
sa scenica, nel cosiddetto realismo della rappresentazione, nel linguaggio
nel metro, perfino in ciò che vi è di esteriore ο di appariscente nella manife

1 Euripidei, Hippolytos, Oxford 1964, p. 44 η. 4· Egli cita Phaedr. 1256-8, dove Fedra secondo Zwier
lein, il coro secondo Barrett teste E, dice: disiectegenitor membra laceri corporis / in ordinem dispone et
errantes loco / restitue partes e 1267s. quae pars tui sit dubito, sed pars est tui: / hic hic repone, non suo, a
vacuo loco, osservando: "This is possible only on Seneca's pseudo-stage". Egli ricorda la scena di Eu
Bacch. 1216-21, dove il corpo smembrato di Penteo è portato sulla scena da Cadmo. La scena del
lamento di Agave sui miseri resti è perduta nella lacuna dopo 1329, ma è descritta da Apsines (ix 590
Walz = Rhet. gr. 1322 Spengel-Hammer) come esempio del modo in cui in caso di morte violent
uno scrittore può suscitare pietà attraverso la descrizione dei particolari (διεξιών... τά έπόντ
τραύματα, τον τρόπον της αναιρέσεως); quando dice έκαστον γάρ αύτοϋ των μελών ή μήτηρ έν
ταϊς χερσί κρατούσα καθ' εκαστον αυτών οίκτίζεται "I do not believe that his 'holding them in her
hands'... can be a legitimate inference from Eur.'s text (for which cf. also Chr.Pat. 1466 ff.)".

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312 ANTONIO MARTINA

stazione dei sentimenti ο dei moti dell'anim


dolore, ecc.).
L'autore di un testo teatrale è condizionato dal pubblico, che è il destinata
rio e del quale bisogna conoscere gusti, cultura e interessi per valutarne la rea
zione. È molto importante conoscere il livello di cultura ο i diversi livelli di
cultura del pubblico nelle sue componenti: di gran lunga più importante è
stabilire se si tratta di spettatori ο di lettori.
La convenzione non consiste solo in motivi ο contesti convenzionali, ma
anche nel disegno generale e negli ingredienti di carattere tragico, nelle strut
ture e negli elementi tragici. Convenzioni sono anche:
1) lo strapotere della Fortuna;
2) l'uso di proverbi ed espressioni sentenziose;
3) la riflessione filosofica.
Per valutare bene la struttura della tragedia non si può prescindere dagli
scritti teorici, da Aristotele e il Peripato fino all'Arte Poetica di Orazio. Occor
re considerare:
1) δέσις e λύσις in relazione all'intreccio della vicenda nel suo complesso;
2) la περιπέτεια in relazione alla μετάβασις dalla δέσις alla λύσις;
3) la divisione in atti e la continuità nello sviluppo dell'azione drammatica;
4) la funzione del coro;
5) il modo in cui un personaggio si caratterizza;
6) il realismo di tempo e spazio.
Occorre rendersi conto di che cosa convenzionalmente suscitasse una de
terminata reazione nell'animo del pubblico. Bisogna quindi considerare:
1) la natura delle situazioni tragiche;
2) il lessico tragico;
3) il tragico nelle rheseis e nei monologhi;
4) il tragico e la retorica;
5) il tragico e la materies del mito;
6) tragicità consapevole e tragicità inconsapevole.
Si comprenderà come il tragico in Seneca non è qualcosa di superficiale, ma
bisogna cercarlo non solo ο non tanto nell'azione esteriore ma nelle situa
zioni e, soprattutto, nel lessico particolare, nello stile, ecc.
Poiché, come dice Aristotele, giudichiamo i personaggi δρώντας, li dob
biamo valutare attraverso quello che fanno e quello che dicono. I personaggi
di Seneca sono impegnati a manifestare la tempesta di sentimenti che ribolle
nel loro animo. Parlano in modo da riflettere questa particolare loro condi
zione. Occorre perciò, per comprenderla, esaminare a fondo il loro linguag
gio in tutti gli aspetti; in particolare:
1) la sintassi;
2) la presenza della paratassi;

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 313

3) le imprecazioni;
4) le preghiere.
Soprattutto bisognerà studiare il linguaggio dei person
di Seneca alla luce della retorica di questo periodo.1 Nella t
nulla è detto che non sia filtrato attraverso gli σχήματα λέ
linguaggio: di queste l'antitesi è forse quella che più colp
role, di concetti, di situazioni, ecc.; tra luce e tenebre, bene
te, ecc. Perchè la vita stessa di Seneca è antitesi tra bene e m
costanza e incostanza, ecc.
Nessun passo in nessuna tragedia di Seneca sembra suggerito ο condizio
nato da una struttura teatrale;2 nè per l'intelligenza delle sue tragedie si av
verte la necessità della conoscenza di una struttura teatrale. Così anche l'edi
ficio teatrale romano delineato nei suoi lineamenti essenziaU si avverte come
un corpo estraneo alla tragedia di Seneca, per più motivi, ai quali qui sarà suf
ficiente soltanto accennare:
1) nella tragedia di Seneca non si trovano descrizioni del luogo della scena,3
nè se ne avverte la necessità;
2) il ridotto spazio dell'orchestra rendeva impossibili le evoluzioni di un co
ro come quello della tragedia greca. I cori delle tragedie senecane sembrano
avere una vita autonoma, in tutto indipendente dallo spazio del piano orche
strale del teatro romano dei suoi tempi;
3) gran parte del sistema di convenzioni postulate da una determinata strut
tura teatrale è assente nelle tragedie di Seneca.4

1 I critici moderni della tragedia di Seneca riflettono un orientamento che scaturisce dal famo
so giudizio di Leo (Observationes, p. 158): "istae vero non sunt tragoediae, sed declamationes in ac
tus deductae". Su questa linea Friedrich (Untersuchungen çu Senecas dramatischer Technik, 1933) e
Zwierlein (Die Reçitationsdramen Senecas, 1966; anche GGA 22.2,1970, p. 196 ss ), che hanno messo
in evidenza la mancanza di interesse da parte di Seneca per quanto riguarda la struttura organica
e la subordinazione dell'unità complessiva all'interesse della scena individuale. Gli studiosi parla
no solitamente di unità con riferimento alla ricorrenza di temi e tengono in minore considerazio
ne la mancanza di una salda connessione tra gli episodi: basti ricordare qui G. Miiller, E. Lefèvre,
W. Steidle, B. Seidensticker; vedono nelle immagini l'elemento caratterizzante N. T. Pratt, «TA
PhiA» 93,1963, p. 199 ss.; D. J. Mastronarde, «TAPhA» 101,1971, p. 291 ss. Naturalmente tutti san
no che ci sono tragedie in cui il protagonista 'domina la scena": si pensi alla Medea e, sebbene in
misura minore, all'Edipo, alla Fedra, al Tieste.
2 Gli scrittori latini di teatro del periodo repubblicano tenevano presenti le strutture teatrali la
tine ο greche del loro tempo, mentre per i contenuti delle loro tragedie potevano considerare
l'uno ο l'altro degli autori del ν ο del iv secolo, ο anche più tardi.
3 Tranne scarni riferimenti nel prologo.
4 E bene tenere presente che le maschere non furono impiegate nel teatro latino prima della
fine del 11 secolo: dunque, vi potevano essere tanti attori quanti i personaggi. Gli eruditi romani
del 1 secolo notavano che portare la maschera da parte degli istriones nelle rappresentazioni di tra
gedie e commedie era una innovazione recente: ved. Cic. De orat. 3, 221; Fest. s.v. personata, p. 238,
12 ss., Donat. De com. 6,3; Diomed. Gramm. 1 489,11 ss.; inoltre, C.Saunders, «AJPh» 32,1911, 58 ss.

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314 ANTONIO MARTINA

Le conseguenze sono che l'efficacia del su


lizzazione scenica, ma va ricercata altrove:
Il corpus delle tragedie di Seneca non forni
ricostruire, sia pure a grandi linee, una stru
antichi poeti tragici e comici scrivevano ten
nel quale sarebbero state rappresentate le lo
teatro di Dioniso nella fase pre-licurgea, que
nella fase licurgea. Così è possibile ricostr
dalle tragedie di Euripide, che ovviamente
quello di Licurgo dalle commedie di Menand
re scritto le sue commedie tenendo presen
Seneca.

Il teatro di Pompeo, costruito nel 44 a.Cr., forse ispirato al teatro di Mitile


ne, mostra l'affermazione definitiva della pianta semicircolare e della frons
scaenae monumentale. Com'è noto, l'età augustea segna la diffusione nelle
province dell'impero romano della struttura teatrale rappresentata dal teatro
di Pompeo.2 La scena si amplia, mentre la frons scaenae diventa solo una par
te dell'insieme. Viene edificato il postscaenium che si presenta talvolta in un
corpo unitario talvolta diviso in più ambienti e talvolta si sviluppa parallela
mente a una porticus post scaenam più esterna. Il palcoscenico ο pulpitum è
fiancheggiato da grandi sale rettangolari, i parascaenia, ed è fornito di un si
parium ο di un auleum. Sotto il palcoscenico, l'hyposcaenium viene adibito per
le macchine teatrali. La fronte del pulpitum, verso l'orchestra, è ornata con
nicchie e statue: verso la fine del 1 sec. d.Cr. le porte (valvae) prendono forma
di profonde esedre sormontate da frontoni. Ciò che più ci interessa, l'orche
stra si riduce ulteriormente. Lo spazio dell'orchestra si era già ridotto nella
fase del teatro precedente a un semicerchio in buona parte occupato dai seg
gi d'onore, i bisellia; ora ha solo funzione decorativa grazie anche alla sua pa
vimentazione artistica. I tribunalia si perfezionano; si sviluppano le sostru
zioni della cavea, che attraverso i vomitoria danno accesso alla cavea stessa.

Il dato tradizionale viene messo in discussione da A. S. F. Gow, «JRS» 2,1912, 65 ss., e Beare, «CQ»
33,1939, 139 ss. (cfr. Roman Stage,3 pp. 192 ss., 303 ss.). Si ritiene che l'osservazione di Donato (Ad.
praef. 1, 6; Eun. praef. 1, 6) che gli attori delle commedie di Terenzio portassero la maschera fosse
probabilmente basata sulle illustrazioni del testo correnti ai tempi suoi: ved. Leo, «RhM» 38,1883,
p. 342s.

1 A seconda dei periodi le differenze tra la struttura della scena romana e quella della scena ate
niese contemporanea avranno inevitabilmente inciso sulla struttura degb adattamenti latini.
2 In linea di massima si può dire che la frons scaenae, che aveva subito numerose modificazioni
già nei teatri mobili hgnei, fino ad assumere già carattere di sontuosità, negli edifici teatrah stabi
li appare architettonicamente molto complessa, ancora di più rispetto alla facciata della σκηνή
greca, spesso ricca di materiali preziosi: sostituisce i fondali scenici dipinti in uso nel teatro greco
classico ed ellenistico.

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 315

Se le tragedie di Seneca erano scritte per essere rappre


sta struttura teatrale che bisogna fare i conti. Vediamo du
sul piano della tecnica drammatica, non tanto per mette
fetti della τέχνη δραματική di Seneca, la qual cosa non avr
specialmente se l'esame venisse condotto con i canoni della
del teatro greco del ν secolo, ma per vedere come emerga
di novità della tragedia senecana. Alcuni esempi tratti dalla
tenendo conto di determinate convenzioni, sono sufficient
di quanto netto risulterebbe il carattere di novità della tra
l'esame si estendesse a tutte le tragedie e a tutto il siste
Molto gravi sono, sul piano della tecnica drammatica, le a
canto del coro, che si caratterizza come un canto processio
imeneo) per le nozze tra Giasone e Creusa. Non è chiaro,
e Creusa siano presenti nella processione. Nella celebrazione
in Grecia il marito era tra il gruppo che accompagnava la s
In Roma la sposa era scortata da parenti e amici, tra cui 1 e
cia che in Roma i riti religiosi e il banchetto matrimoniale
casa della sposa la sera. Seguiva quindi la deductio nella n
sa con fiaccole e canti accompagnati dal flauto: a quest'ulti
il primo canto del coro della Medea (έπιθαλάμιον, ύμέναι
forte efficacia sul piano drammatico: colpisce Medea nel
pre più veemente la sua ira e il suo desiderio di vendetta. I
rinzi appare ostile a Medea (w. ìozss., 362, 596), ma in un
e in un ruolo inusualmente organico, coerente in questa tr
le fattezze di un convenzionale commentatore passivo. Il pr
ro, se considerato in relazione alla tecnica drammatica t
qualche difetto: ci chiediamo: 1) se veramente Medea vede
ziale: al v. 116 dice:.. .aures pepulit Hymenaeus meas; 2) se
sono veramente presenti? In questo caso, come si regola Gi
se a casa Creusa, la novella sposa, per andare da Medea al
avrebbe visto qui un elemento άλογον nella σύστασις των

1 Per una più dettagliata informazione è sufficiente vedere A. L. Wheele


thalamium, «AJPh» 51,1930, p. 205 ss.
2 In Poet. 1450a 35-7 Aristotele dice: μέγιστον δέ τούτων (cioè fra tutti gli
πραγμάτων σύστααις' ή γάρ τραγωδία μίμησίς έστιν ούκ άνθρώπων
πράξεων). Il concetto fondamentale è che la πράξι,ς di una tragedia deve
16 ss. (cap. 8) egli spiega cosa si debba intendere per 'unitaria'. Dice: "Il ra
è unitario quando riguarda una sola persona, come credono alcuni: difatti
sieme molti e interminabili accadimenti, senza che dai singoli si ricavi un
di un singolo sono molte, ma non ne risulta per niente un'azione unitaria
mente in errore tutti quei poeti che hanno composto una Eracleide, una Te
come Eracle è uno solo, credono che uno sia di conseguenza anche il racco

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316 ANTONIO MARTINA

la processione avviene di sera, bisognerà chied


ponesse il problema del tempo dell'azione: ma
nessun problema di questo e di altro genere, co
dobbiamo valutare l'efficacia drammatica di og
dia solo con i canoni della sua drammaturgia.
In Sen. Med. 150 la nutrice entra sulla scena n
C Ρ S è notata la presenza della nutrice all'iniz
può immaginare che sia giunta nel corso del co
stito preoccupata alla reazione di Medea. Più gr
zione alla tecnica drammatica tradizionale, il d
del π atto dell'Agamennone (108-124, rhesis di Cl
nutrice). Qui è chiaro che la nutrice non ha senti
ta versas, 128 licet ipsa sileas), e vuole sapere. No
con licet ipsa sileas di 128.1 Come ha notato Tarr
stra attenzione su questo fatto, ma non ci forn
la presenza della nutrice. Si potrebbe pensare a
rante il quale l'azione è tenuta sospesa e ch
personaggi sulla scena.3 Ma questi monologhi n
atto. Potrebbe essere considerato un quasi a pa
te, essere sentito da altri personaggi. In questo
stificate le parole della nutrice, quid tacita versas
convenzione degli a parte. Nella Medea la nutrice
ecc.) quel che ha detto Medea e la esorta al sile
to 116-149? Se sono un soliloquio la nutrice non p
sono un soliloquio, non si spiega come Medea d

E così conclude (1451a 30 ss.): χρή ουν, καθάπερ καί έν ταϊς άλλ
έστιν, ούτω και τον μϋθον, έπεί πράξεως μίμησίς έστι, μιας τε
συνεστάναι των πραγμάτων ούτως, ώστε μετατιθεμέν
διαφέρεσθαι καί κινεϊσθαι το δλον. δ γάρ προσόν ή μη προσό
ον τοϋ όλου εστίν, "Ora, come avviene nelle altre arti mimet
mimesi, così bisogna che anche il racconto, poiché è mimesi d
completa; e le successive parti della vicenda debbono tra lor
ne una ο cambiandola di posto, il tutto si sciupi e si sconnetta
do c'è ο non c'è, non è neppure un elemento del tutto". Qui n
complesso problema: basti solo pensare alla rilevanza che in Ar
Si possono vedere i moltissimi passi della Poetica, per es., s.w.
comunque, più che evidente il diverso taglio di struttura, sot
Seneca.

1 O. Zwierlein, Reçitationsdramen Senecas, Diss. Berlin 1966, p. 67 n. 10, fornisce una spiega
zione diversa.
2 Seneca, Agamemnon, edited with a Commentary by R.J.T., Cambridge 1976, p. 193.
3 Ved. Leo, Monolog im Drama, 1908, p. 89 ('Monolog in der Luft gesprochen'). Cfr. Agam. 226
ss., 918 ss., H. F. 332 ss.

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 317

più a se stessa che di parlare ad altri: un soliloquio inteso a


che ribolle nell'anima diventa sempre più incontenibile;
stra tutte le caratteristiche, positive e negative dello stile
La tragedia senecana è stata giustamente considerata co
tension of rhetorical debate".1
Al di là di ogni altra considerazione, a noi importa notare alcuni elementi
caratterizzanti il modulo senecano: possiamo dire che nelle tragedie di Sene
ca ogni scena protagonista - nutrice / satelles inizia con un'ampia rhesis del
protagonista (Med. 116-149, Phaedr. 85-128; Agam. 108-124). Queste rheseis sono
in sostanza soliloqui, in cui non vi è segno della presenza del personaggio su
bordinato. Il protagonista considera la propria intollerabile situazione e si ri
solve all'azione. Cosi anche la scena d'apertura del Thyestes, con la rhesis ini
ziale di Tieste (176-204) e la risposta del satelles in άντιλαβή, 204-5, con cui si
stabilisce il dialogo. Lo scopo del monologo è di mostrare l'insano desiderio
di Atreo. Qui si può dire che sia applicato un modulo, sebbene si possano no
tare differenze nei dettagli: per esempio, nell'Agamennone la rhesis più impor
tante di Clitemestra ha luogo dopo uno scambio con la nutrice (162-202, do
po lo scambio di 145-161): diversamente, quindi, dalla Medea, prima la rhesis
impegnativa (116-144) e poi lo scambio di battute, sempre più serrate, fino al
le άντιλαβαί dei w. 168 ss. La figura secondaria è una nutrice,2 ο il satelles,
quando il protagonista è un uomo, un tiranno.3
Al v. 380 escono sulla scena la nutrice e Medea, ma non se ne dà una giusti
ficazione secondo le regole tradizionab. Come vedremo, il monologo della
nutrice contiene riflessioni sull'ira; in quello che segue (397 ss.) Medea più che
rispondere alla nutrice parla a se stessa. Questa rhesis di Medea è, come mol
te altre, come le sticomitie e le antilabai, costruita per antitesi, come tutta la
tragedia di Seneca. Come nel cozzo delle aste si decide la vita dell'eroe ome
rico, così nell'antitesi della parola si profila la natura del protagonista della tra
gedia senecana e se ne decide il destino drammatico. Ecco perchè non si può
non parlare di spettacolo della parola. Non ha perciò molto senso parlare di
sfondo teatrale, perchè la parola comprende tutto: il personaggio e la scena.4
Al v. 431 Giasone entra senza che la sua presenza sia in qualche modo mo
tivata ο annunciata e inizia un monologo sulla crudeltà del fato e sulla pro
pria difficile situazione. Ma a Seneca è estraneo il sistema di regole della τέχνη

1 Cfr. Seneca, Medea, ed. with Introduction and Commentary by C. D. N. Costa, p. 86 (ad w.
150 ss.).
2 Med., Phaedr. 85 ss., H.O. 233 ss., ecc. 3 Thyest. 176 ss.
4 Per es., antitesi di termini: v.419 extimuit ferox (pur essendo feroce Giasone ha avuto paura);
nel contenuto dell'espressione: v.421 liberà unies dies datus est duobus ("che cosa si può fare di me
no che dare un solo giorno per due figli", con allusione ai due figli di Bibulo, il quale ne pianse la
morte in un solo giorno.

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318 ANTONIO MARTINA

δραματική della tragedia del ν secolo. Non si può pa


to; è solo un modo nuovo di fare tragedia. Giason
forse sarebbe meglio definire un quasi-a parte, e co
per lingua e struttura. A chi si rivolge Giasone q
go? A nessuno evidentemente, dato che solo negli u
que ecce, vivo memet exiluit, fiint ecc.) nota Medea,
impegnativa (w. 447-89), senza una parola di salut
cun preambolo, preoccupata solo di dire ciò che h
lando il mito2 e con un linguaggio che ha tutti i cr
ratteristiche della declamazione. Qui gran parte d
I rapporti tra la tragedia di Seneca e la tragedia
oggi materia di discussione. Noi non sappiamo co
ponente produzione tragica a lui precedente. Certam
sono né traduzioni né liberi adattamenti di modelli
di Plauto e Terenzio rispetto a quelle di Menandro, F
gedie scritte nel periodo repubblicano da Ennio, P
modelli greci.3 A parte questa considerazione sin tr
a spiegare in modo plausibile perché negli scritti in
conoscenza così poco palesemente dichiarata d
prescinde dagli indizi offerti dalle stesse tragedie,5
moniali per asserire che Seneca abbia letto ampiam
tine.6 Occorre inoltre stabilire se e in che misura sia stato influenzato dalla
tragedia greca del iv secolo e per i contenuti e per la struttura e per la tecni
ca dramnatica.7 Parimenti occorre stabilire se e in quale misura sia stato in

1 Si ricordi la terribile apostrofe di Medea a Giasone in Eur. Med. 465 ss.: ώ παγκάκιστε κτλ.
2 Della materia mitica riecheggiata nella Medea di Seneca solo una parte è in Euripide e, co
munque, presentata in modo che non ha nulla in comune con Seneca.
3 I tragici latini arcaici non scrivono, di regola, una tragedia indipendentemente da un modello
greco.
4 Nella vasta opera in prosa le citazioni dalla tragedia greca sono poche e riguardano di solito
espressioni sentenziose. In ci 2,2 è citato il ir. adesp. 513, 1 N.2; in epist. 31, 11 Eur. fr. 1018 N.2; in
Epist. 49,12 Eur. Phoen. 469; in Epist. 115,14 il fr. adesp. 181,1, 461 N.2, Eur. 324 N.2; in apocol. 4,2 Eur.
fr. 449 N.2; in nat. quaest. 4,2,16 forse si tratta di citazione da tradizione indiretta. Quanto alla cita
zione in epist. 115,14 ricordiamo che del greco abbiamo solo il primo verso.
5 Per i confronti si può vedere il commento di Costa alla Medea (Oxford 1973); di Tarrant
all'Agamennone (Cambridge 1976) e al Tieste ('American Philological Association" 1985); della
Fantham alle Troiane (Princeton 1982), di Fitch all'Ercole Furioso e le introduzioni di F. Caviglia al
Furore di Ercole (Roma 1979) e alle Troiane (ibidem 1981).
6 Sono pochi anche i passi delle opere in prosa di Seneca che consentono riscontri con versi di
tragici greci.
7 La produzione tragica greca classica e post-classica non fu nota in Roma molto tempo prima
della nascita della tragedia latina arcaica: il più antico adattamento di una tragedia greca si fa risa
lire ai ludi scaenici del 240 a.Cr. e si deve a Livio Andronico.

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 319

fluenzato dalla tragedia latina arcaica e indagare il comp


le problema dei rapporti tra la tragedia di Seneca e la trag
la poesia augustea. Soprattutto per quanto riguarda struttu
matica non si può prescindere, per una accettabile valut
re la tragedia senecana alla luce della precettistica oraziana
come risultante dalle teorie ellenistiche sviluppatesi dallo s
sull'arte poetica.1
Seneca non può non riflettere la struttura e la tecnica dr
tempo. Ed è solo una questione mal posta volerlo valutar
nica drammatica del ν secolo, solo perché dei tragici di que
no giunte alcune tragedie che Seneca avrà potuto conoscere
caso non erano i soli suoi modelli, nemmeno per quanto
e tematiche. Come altri autori latini, ciò che Seneca imitav
gedia del ν secolo, ma la tragedia del ν secolo com'era n
co.2 Di tutto questo bisogna tener conto quando si vogl
neca alcuni importanti elementi di tecnica drammatica
di alcune particolari scene, che creano apparente squilibrio
la struttura.
Non pare tuttavia probabile che Seneca conoscesse dire
do la tragedia latina arcaica; in ogni caso, se la conoscev
grande considerazione.3 Si tratta di un problema molto com
se da una parte Seneca cita poche volte dai tragici latini ar
pre, ο quasi sempre, non di prima mano, dall'altra vi s
una sua utilizzazione. L'Atreus di Accio, utilizzato per l'A
dei molti casi che si potrebbero ricordare,4 a riprova delle
contra chi si pone il problema del rapporto tra la tragedia
tro latino arcaico.5 Non sono molti, del resto, nemmen
tono di formarci un'idea sulla fortuna della tragedia la
Seneca, quando ormai alcuni scrivevano tragedie non p

1 Ved. A. Martina, Iprecetti oraziani nell'Ars Poetica intorno alla tragedia


2 Cfr. I. Mariotti, Tragedie romaine et tragedie grecque: Accius et Euripi
pp. 206-16.
3 Cfr. F. Leo, Geschichte der romischen Literatur, p. 70 n. 5; «Rh.M.» 52,1897, p. 510; Der Monologim
Drama, p. 40 n.2; Plautinische Forschungen, p. 24. E a tutti noto l'atteggiamento di disprezzo, spesso
dichiarato in modo deciso, di Seneca per Ennio. Raccolta di passi in G. Mazzoli, Seneca e la poesia,
Milano 1970, pp. 189-94, e già nei prolegomeni all'ed. enniana di J. Vahlen (Lipsiae i903z, pp. lxxiii
LXXV).
4 Vi sono, per esempio, chiare simiglianze d'intreccio tra l'Agamennone e l'Egisto di Livio An
dronico e la Clitemestra di Accio; tra i w. 20-23 della Medea e i w. 333 e 415 R. di Accio.
5 Cfr. G. Carlsson, Die Ueberlieferung der Seneca-Tragoedien, Lunds Univ. Arsskrift, N. F. Avd. 1,
Bd. 21, N° 5,1926, p. 58 ss. Sulla natura della tragedia latina arcaica fondamentali le osservazioni di
S.Mariotti, Livio Andronico e la traduzione artistica, Milano 1952, rist. 1985.

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320 ANTONIO MARTINA

presentate nei pubblici teatri ma soltant


quanto riguarda questo versante risulta ev
tragedia Senecana.
Possiamo ora consideare, anche se necessa
importanti elementi riguardanti la struttur
cana. Il primo è, ovviamente, il μϋθ-ος, la fa
la favola come λόγος ψευδής είκονίζων ά
parlare della fabula, del μΰθος, di una trage
te una distinzione fondamentale per le no
siero mitico, ο mitopoietico, che riguarda le
zione nella coscienza popolare (fase orale,
degli autori antichi (grandi tragici compr
versi), altro invece il pensiero postmitico
considerare il mito come puro instrumentum
di esso in base alla propria necessità poeti
assumere a volte una configurazione totalm
bene in modo ovviamente diverso, in Ovidio
to certi aspetti, anche l'Arte Poetica di Or
argonautica come peccato di hybris e la p
panti alla spedizione non è una semplice vari
difica a tal punto la struttura e il significat
sere a buon diritto considerata una vera e pr
Se si considera il mito di Medea dalle origini
glio conto della novità senecana: sul mythos
vale a dire l'impalcatura teoretica della sua t
argonautico per fondarvi le proprie convinz
che - sussume anche elementi tradizionali. Da notare, inoltre, che, se i sin
goli elementi che costituiscono il mito della Medea senecana sono profonda
mente radicati in tutta la cultura greco-latina, la loro sintesi nel mito è
sostanzialmente, se si prescinde da Apollonio Rodio, opera degli autori lati
ni. Seneca è uno di questi, anzi dà un contributo fondamentale in quanto ela
bora in un discorso organico e del tutto nuovo, in modo originale, contribu
ti di autori a lui precedenti.4

1 Tac. dial. 2 ss. Oltre al Tieste di Vario rappresentato ai ludi celebrativi delle vittorie di Azio
(Cad. Paris. 7530; Cod. Cositi. 1066), sappiamo da Plin. epist. 7,17,11 e Tac. ann. 11,13 che le tragedie di
Pomponio furono rappresentate in teatro. Ved. anche sopra, p. 310 e n. 4.
2 Ved. von Albrecht, Storia della Letteratura latina, trad. it. p. 788.
3 Considero fondamentale quanto ha scritto Biondi: II mito argonautico nella Medea. Lo stile filo
sofico del drammatico Seneca, «Dioniso» 52,1981 (1985), pp. 421-45; Idem, H nefias argonautico, mythos e
logos nelle Medea di Seneca, Bologna 1984.
4 Rimando ancora ai contributi di Biondi citati sopra.

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 321

Il fatto che per la Medea, come anche per l'Hercules Furen


giungere un altro esempio - siano in ultima analisi dis
fronto la Medea ο l'Eracle di Euripide, non significa che l
dipendano da Euripide. Se si considera attentamente la
meglio, la materia mitica elaborata da Seneca - riesce diff
Seneca abbia derivato direttamente la sua materia dramm
anche se per adattarla alle sue esigenze. Sembra più proba
utilizzato in tutto ο in parte fonti drammatiche non eur
fonti non drammatiche.2 Gli argomenti di Tarrant3 rend
tenere automaticamente che Seneca lavorasse tenendo
te gli esemplari greci. È impossibile provare che Senec
mente Euripide, poiché simiglianze di situazioni e an
escludono l'esistenza di una fonte intermedia, la quale a
ni con Euripide. Quanto aìl'Hercules Furens, le indicazioni
515 e 915-17, il ritorno di Teseo, e il trattamento dramma
vano probabilmente da una tragedia (o più di una) su E
che per noi è impossibile identificare. Non vi è ragione d
altri punti in cui si discosta da Euripide Seneca imiti la ste
fonti, specialmente se si tiene presente il suo concetto di
esposto in teoria in Ep. 84,54 e applicato in pratica nel pr
l'Hercules Furens. Egli ha potuto mettere insieme materi
verse fonti per creare una unità nuova.5
E impossibile pensare che Seneca leggendo Euripide ab
una tragedia come la sua Medea. I punti in cui si discosta
ticamente tutti. Le differenze sono spesso tali da non am
Chi, per esempio, leggendo la Prologrhesis della τροφός
trarre spunto e scrivere il prologo della Medea senecana?
Medea - è vero - consentono un confronto con espressi
tragedia di Euripide: si dà il caso però che questi siano rie
pre nella xn delle Heroides di Ovidio, ed io preferisco pen
bia derivati da Ovidio più che da Euripide.6 Un proble

1 Su questo problema ved. A. Martina, La Medea di Seneca e la zìi delle


"Giornate di studio sulla tragedia di Seneca", Brescia, Università Catt
braio 1998, Milano 2000, pp. 3-29.
2 Sul mito di Medea ved. Seeliger ap. Roscher, Lex. 11, 2, 2493 ss.; Robe
Séchan, Et. sur la trag. grecque, Append. vii. 3 Ved. Seneca, Agam
4 Su questo problema ved. A. Martina, Alcune considerazioni sul concett
e in Seneca, 'Atti del iv Seminario di studi sulla tragedia Romana", Pale
derni di Cultura e di Tradizione classica», 10,1992,113-132.
5 Seneca si regola così anche nelle altre opere.
6 Dettagli in Martina, La Medea di Seneca e la zìi delle Heroides di Ovid

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322 ANTONIO MARTINA

sentato dalla Medea di Ovidio, di cui abbiam


versi appena, che però consentono un sorpre
la Medea di Seneca, ciò che induce a conclu
sarebbero stati possibili se avessimo tutta la
Il fatto che Seneca si discosti così profonda
durre a supporre, come soluzione estrema,
una fonte che gli forniva in una breve sintes
to nella versione che egli segue: Medea seg
sone, il quale sposa Creusa; Medea maga; la
frutto della fantasia del poeta. Ma così non
Seneca è in ogni verso. Senza fare nomi Sene
suo modo di fare tragedia.1 Per ricordare
verso le Simplegadi così si esprimono i comp
to del coro): Dédit illagraves / improba poenaspe
duo montes, / claustra profunài, bine atque illin
merent sonitu, spargerei astra / nubesque ipsas
terzo canto del coro, si allude alla spedizione
squis audacis tetigit carinae / nobiles remos nem
umbra, / quisquis intravit scopulos vagantes/et
funem religavit ora / raptor externi rediturus au
piavit.2 Così si regolano anche i personaggi.
ss., a Giasone): revolvat animus igneos tauri h
mitae metus armifero in arvoflammeum Aeetae
su meo/terrigena miles mutua caede occidit; / a
somnoque iussum lumina ignoto dare / insomne
et scelere in uno non semel factum scelus, / ius
secare membra non revicturi senis. Ed è così
e nei canti lirici del coro; per gli elementi de
Seneca conosceva il mito in tutti i suoi detta
le fonti che noi abbiamo a disposizione ci co
lari il mito argonautico di cui è materiata
tremmo parlare per Seneca di "Metamorfo
co in cui si muove la protagonista. Con ques
all'insieme del materiale mitico, una sorta d
do delle Metamorfosi di Ovidio, Seneca crea,
attraverso di essa alla sua singolare tragedia

1 Si veda, ad esempio, la lunga rhesis di Medea (w. 447-


e Giasone (497 ::498; 509 ::510-12.) ο il canto del coro di
2 L'allitterazione appare qui manifestamente voluta.
3 Dell'interesse dei latini per questo mito abbiamo am
Ovidio e in Valerio Fiacco.

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 323

Le difficoltà di risalire alle fonti - un problema che oltret


senso se non servisse a farci intendere da quali spunti Senec
ri momenti della sua ideazione drammatica - sono legate
Seneca nella elaborazione delle fonti stesse. Conoscendo l
dire meglio in che misura Seneca senechizza e sa essere ori
senecano in Seneca? Lo stesso Seneca ci aiuta a capire com
ca e Orazio formulano gli stessi precetti, e poi l'uno sa esse
sa essere Seneca. Dice Orazio in Λ.Ρ. 128-35: diffìcile est proprie
tuque / rectius ïliacum carmen deducis in actus / quam si profer
primus: / publica materies privati iuris erit, si / non circa vilem
ris orbem / nec verbo verbum curabis redderefidus / interpres n
artum / unde pedem proferre pudor vetet aut operis lex... E Sen
terea condicio optimi est ultimi: parata verba invenit, quae alite
ciem habent. Nec illis manus inicit tanquam alienis: sunt enim p
mente le parole dette da Filodemo non molti anni prima:1

(1) άγαθόν εϊνα[ι] ποητήν, δμοια μόνον ώι βούλεται π


άποδέδειχεν δτι τοιούτος, έν τοις έπιστήμαις διαφοράς πο
άλλ' δμως, καθάπερ επί των κατά τάς χειρουργίας ούχ ηγο
δσον ύφέμ[μ]ενος υλην ετέρου τεχνείτου καλώς ήργάσατο,
εάν ήάπόητονή ΰπόθεσι[ν] λαβών προσθή[ι] τον [ΐ]διον
νομίζομεν, καί ούκ έπί των μεικρών μόνον ούτως εχομεν,
Είλιον [ή] Θήβας κοινώς παρ' έτέρου λαβών ώσπερ διαλύ
συντάξας ιδίαν κατασκευήν περιθήι. τα γοΰν περί τον Θυέστη
Πάριν κ[αί Μενέλα]ον καί τά περί την Ήλέκτραν καί πλεί
καί Εύριπίδην καί πολλούς άλλους γεγραφότας [όρ]ώντες
το τοιούτο τούς μεν είναι βελτίους τους δε χείρους, άλλ
ληφότας άμείνους των προκεχρημένων, αν το ποητικο
εΐσε[νέγκ]ωνται.

"Quanto poi all'opinione che eccellente poeta concordiam


abbia allestito solo cose simili a ciò che vuol (rappresentare
non è riuscito a dimostrarlo, giacché esiste un grande diva
discipline. Pur tuttavia, come riguardo a coloro che pratica
non giudichiamo inferiore (un artista) in quanto, fatta
altro artefice, ha ben saputo elaborarla, così neppure il po
do assunto un'hypothesis spoglia di veste poetica vi appl
gno, lo giudichiamo inferiore, e così ci comportiamo n
piccoli componimenti, ma neppure se avendo tratto ge

1 I due frammenti (Herc. Voi.2 iv, 195 e vii, 87) sono stati accostati in
Jensen, Philodemos iiberdie Gedichtefiinfies Buch, Berlin 1923, p. ν s.n. 2.

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324 ANTONIO MARTINA

altro le gesta d'Ilio ο di Tebe, venga come


avendole ricomposte, le rivesta della pro
tando infatti che gli episodi relativi a Tie
intorno a Elettra e ad altri ancora li hanno
tri molti, non per questo riteniamo che gli
giori, anzi che spesso quelli che hanno eredit
quelli che se ne avvalsero in precedenza, o
tarvi il bene poetico".1

In particolare Filodemo dice: αν τά κατ' Ε'ίλ


λαβών ώσπερ διαλύση καί πως πάλι συντάξ
sta opinione non doveva essere inusuale; ap
terpr. 113 (un confronto tra prosa e poesia) Θ
ποιητοΰ τι, ιδίως αύτω χρώμενος ϊδιον το λ
tori: per es. ps.-Dion. Hai. ars 10,19 (2,373 Us
των διανοημάτων άλλ' ή όμοία των παλαιών
ται τον Δημοσθένην ουχ ό το <Δημοσθένο
κτλ. Pare che Filodemo non abbia fatto altro
un critico più antico. L'identificazione di qu
porta a una conclusione sicura, ma è un ar
occhi aperti.
Anche Seneca ha una sua teoria sull'imitaz
a Lucilio. Il suo metodo comporta due mo
lo della scrittura, che egli illustra metaforic
gini: il lavoro dell'ape, la digestione e assim
metica, l'armonia del canto corale. L'epist
certo senso, l'esposizione di una teoria sen
ciati non vanno applicati solo al Seneca pr
al Seneca tragico, e riguardano la valutazione
role,4 del ritmo,5 del lessico,6 del vocabol
sintassi,7 delle costruzioni e delle figure più
ecc. Non se ne può prescindere, inoltre, per
opere morali e corpus tragico.

1 Trad di F. Sbordone, Ricerche da Papiri Ercolanesi, ir,


2 Una parte considerevole di quest'epistola si trova n
senza che dall'autore ne sia riconosciuta la derivazione.
3 In particolare nelle epistole 38, 40,58,59, 75,100,108,115 Seneca esprime, motivandole con di
verse argomentazioni, le sue idee sullo stile.
4 Ved. A. Bourgery, Sénèque prosateur. Etudes littéraires et grammaticales sur la prose de Sénèque le
philosophe, Paris 1922, p. 143 ss. 5 Ibidem, pp. 145-48.
6 Ibidem, pp. 206-305. 7 Ibidem, pp. 306-422.

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 325

Si dà il caso che in un passo del De ira Seneca riprenda un pa


di Euripide senza nominarlo. Il volgo, argomenta Seneca, n
pre in grado di cogliere il senso della pax animi, confonde fa
ditas con l'inertia e la segnities animi. Dice Seneca (De ira 3, 41

Pacem demns animo, quam dabit praeceptorum salutarium adsidua


que rerum boni et intenta mens ad unius honesti cupiditatem. Con
nil infamam laboremus; sequatur uel mala, dum bene merentis. At
miratur et audaces in honore sunt, placidi prò inertibus habentur.
aspectu; sed simul aequalitas uitaefidemfecit non segnitiem illam a
cem, ueneratur illos populus idem colitque. Nihil ergo habet in se ut
stilis adfectus, at omnia ex contrario mala, ferrum et ignes. Pudor
inquinauit manus, membra liberorum dispersit, nihil uacuum reliq
gloriae memor, non infamine metuens, inemendabilis cum ex ira i

"Diamo al nostro spirito la pace, che ci daranno la continu


precetti salutari, l'attività volta al bene, l'animo rivolto solo
l'onestà. Diamo soddisfazione alla coscienza e non preoccup
si dice di noi: dicano pure male, purché noi ci siamo comport
sa però ammira le grandi imprese e, mentre gli audaci sono te
to, i placidi sono considerati indolenti. A prima vista, forse; m
regolarità della loro vita dimostra che non è pigrizia la loro,
allora il popolo li venera e li onora. Questo sentimento triste
dunque nulla di utile in sé, ma anzi tutti i mali, il ferro e il
ogni ritegno, sporca le mani di sangue, dilania le membra de
nulla non contaminato da colpa, dimentico della gloria, non c
tiva fama, incorreggibile, quando, incallito, da ira si è trasfo

In questo passo, come è stato notato,2 Seneca riecheggia Euripi

ΜΗΔ. Κορίνθιαι γυναίκες, έξήλθον δόμων,


μή μοί τι μέμφησθ'· οίδα γάρ πολλούς βροτών
σεμνούς γεγώτας, τούς μέν ομμάτων άπο,
τούς δ' έν θυραίοις· οί δ' άφ' ήσύχου ποδός
δύσκλειαν έκτήσαντο και ραθυμίαν.
Δίκη γαρ ουκ ένεστ' έν όφθαλμοΐς βροτών,
όστις πριν άνδρύς σπλάγχνον έκμαθεΐν σαφώς
στυγεϊ δεδορκώς, ουδέν ήδικημένος...3

1 Trad. di Ν. Sacerdoti, Seneca, Dialoghi, i, Milano s.d., pp. 329-31.


2 Ved. l'attento e puntuale lavoro di Sandra Citroni Marchetti, Due ech
di Euripide, «MD» 5,1980, p. 188 ss.
3 È un passo di diffìcile interpretazione. Oltre i commenti si veda, almeno
pides' Medeia w. 214-221, «Hermes» 91,1963, pp. 495-499.

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326 ANTONIO MARTINA

Si potrebbe dire, usando un termine impiegato già da Timpanaro, ch


ca "senechizza" senza difficoltà, adattandolo alle sue esigenze, il pass
pideo. Il passo del De ira non si può spiegare senza Euripide. Si dà il c
rò che nessun consistente passo della Medea di Seneca consenta un confr
di questo genere con la Medea di Euripide. Che si tratti della Medea di E
de si deduce anche dalla seconda parte del passo (Nihil ergo habet in s
etc.). Così Seneca avrebbe utilizzato per uno scritto filosofico-moral
fonte tragica. Si può escludere, infatti, con tutta certezza anche un poss
precedente enniano, anche per via intermedia: nessun nesso, di nessu
re, esiste tra il passo di Seneca e l'epistola di Cicerone (Pam. 7,6,1) che ci
manda il frammento enniano (105 Jocelyn).
D'altra parte, le caratteristiche del passo del De ira (prima parte ripres
versi di Euripide, seconda parte esemplificazione, con un esempio allusiv
Medea, della validità dell'asserto) inducono a dubitare circa una possi
retta utilizzazione da parte di Seneca, in questo caso, della Medea di Euri
Fa riflettere l'entità del passo utilizzato e il modo in cui è stato utilizzat
cialmente se teniamo conto che sono rare le reminiscenze dei tragici
che appaiono nelle opere in prosa di Seneca e molto più rare le citazioni
cite di tragici greci.1 Ci chiediamo allora se non poteva Seneca trova
sto esempio nella sua fonte. Sembra, infatti, che Seneca utilizzi qui u
te che sfruttava già Euripide. È quindi nei confronti di quella fon
bisognerebbe valutare l'atteggiamento di Seneca. Non si spiegherebbe
ti, come in uno scritto in prosa egli mostri di seguire cosi da vicino il tes
ripideo, mentre scrivendo le Medea non si sia verificata nessuna circost
cui un passo ugualmente consistente di Euripide sia in qualche mod
pravvissuto, anche se dopo inevitabili profonde variazioni, consapevo
consapevoli che fossero, nella sua originaria struttura. Meraviglia no
che egli non faccia mai il nome di Euripide, pur parlandone così a lungo
ma traducendo quasi verbum e verbo, poi esemplificando, senza mai fare
attraverso l'esito delle vicenda di Medea. È un problema che riguarda la
tazione delle fonti del De ira nel suo complesso.2 In Seneca, come in

1 Così in clem. 2,2,2 ir. adesp 513 N.2; in epist. 31,11 Eur. fr. 1018 N.2; in Epist. 49,12 Eur. Pho
in Epist. 115,14 fr. adesp. 181; 461 N.2; Eur. 324 N.2; in apocol 4,2 fr. 449 N.2.
2 Non è possibile affrontare qui il problema delle fonti del De ira. Ci limitiamo a dire
condo P. Robbow, Antike Schriften iiber Seelenheilung und Seelenleitung auf ihre Quellen unt
Leipzig 1914, il 11 libro del De ira confermerebbe la connessione Seneca-Posidonio. In ques
si trovano le stesse prescrizioni che si trovano in Platone, leg. 2, 666 e resp. 3, 403 concern
no e il cibo, ο in leg. 7,793e concernenti i giochi, ο in leg. 7,79id concernenti la libertà, rias
Posidonio. Per il ih libro si può pensare a Sozione, il maestro più vicino a Seneca. Orben
frammenti del περί όργης di Sozione, conservati da Stobeo (in 20, 54a), tre presentano in

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 327

grandi, il processo di elaborazione è radicale e profondo


ammonisce: similari esse te volo quomodo filium, non quomo
res mortua est. Seneca ha letto molto ed ha elaborato prof
ed è originale spesso per ragioni diverse da quelle che co
no indicate.
Era opinione diffusa che il modello primario e la fonte d'ispirazione di Se
neca fosse la tragedia del ν secolo. Così si argomentava considerando quelle
tragedie di Seneca che hanno un corrispettivo in tragedie dei tre grandi del ν
secolo. Così si argomentava anche nei casi - com'è quello della Medea - in cui
l'influenza di Ovidio è prevalente. Le differenze rispetto a tali supposti mo
delli venivano poi spiegate come risultato di una contaminazione di più di
una fonte greca, anche quando bisognava postulare da parte di Seneca un
retroterra alessandrino. Ma un romano colto del tempo di Seneca non aveva
tali conoscenze e, inoltre, sembra escluso dal fatto che le poche citazioni da
tragedie nell'opera di Seneca sono, come s'è detto, tutte sententiae e, a quan
to pare, citazioni di seconda mano. Nel caso della Medea le differenze sono ta
li da poter dire che Seneca non deriva da Euripide. Anche quando si tratta di
situazioni simili1 la possibilità di una derivazione da Euripide viene esclusa
dalla diversità di contenuto e di trattamento. Nulla nella Medea di Seneca sem
bra richiedere la diretta conoscenza di Euripide.
Dopo Euripide furono scritte molte tragedie che trattavano il mito di Me
dea, e anche commedie mitologiche aventi questo titolo.2 Una diretta imita

bili concordanze col testo di Seneca e, inoltre, si presentano nel medesimo ordine. Secondo Sto
beo, Sozione avrebbe contrapposto nel suo libro n Democrito ed Eraclito: Seneca fa la stessa co
sa in il io, 5. Allo stesso paragone (la tempesta) ricorrono Seneca (2,10,8) e Sozione, a proposito
dell'uomo capace di resistere all'ira; infine Seneca (2,17,1), come Sozione, ravvisa la necessità di si
mulare talvolta l'ira.

1 Così anche in Quintiliano, in cui le citazioni da Euripide vengono tramite Cicerone. Plinio il
Giovane non cita i poeti tragici.
2 Scrissero tragedie intitolate Medea Euripide 11 (17 Τ ι Snell), Melanzio (23 F? Snell; Τ 4a, ibid.);
Morsimo (29 F1 Snell); Diceogene (52 F ìa Snell); Carcino (70 F te Snell); Teodoride (78 A Τ1 Snell);
Diceogene (88 F ìe Snell); Bioto (205 F 1 Snell); sono da ricordare, inoltre, Ad. 6a Snell (11 p. 13s.,
importante per la testimonianza di una pittura vascolare), e 701 (11 p. 291 Snell). Sono sicuramen
te frammenti di un testo teatrale, forse di una tragedia, che trattava il mito di Medea, i versi mol
to malridotti che si leggono in P.Lit.Lond. 77, che Snell non considera appartenente a una tragedia
e che Austin include tra i dubia (CGFPR 350). Commedie mitologiche che trattavano il mito di Me
dea scrissero Antifane (11 p. 73 Kock); Cantaro (1 p. 764 Rock); Eubulo (11 p. 186 Rock); Strattide (1
p. 720 Rock); una Medea scrisse forse Erillo; Difilo scrisse le Peliadi: una tragedia dallo stesso titolo
aveva scritto Euripide. Il mito di Medea era molto noto anche in Roma: Ennio scrisse una ο due
tragedie su questo argomento, una Medea scrisse Accio e una Ovidio, la sola tragedia che gli ven
ga attribuita. Ovidio tratta il mito di Medea anche nella xii delle Heroides e in Met. 7,1-424. Di Me
dea si occuparono anche Lucano e Materno. Da Prop. 2,24,45s. iam tibi Iasonia nota est Medea cari
na, / et modo servato sola relieto viro, si deduce che il mito era molto noto tra i romani; Giovenale (7,
169) si riferisce al malns ingratusque maritus come a un argomento di declamazioni scolastiche.

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328 ANTONIO MARTINA

zione da parte di Seneca di una di queste tragedie


che se teoricamente è possibile, perché nessuna dell
da quella di Neofrone, è giunta fino a noi.1 Non abb
connettere la tragedia greca post-classica con la
canto, non sembra plausibile asserire che la produzi
se molto nota in Roma, se si prescinde dal π sec. a.C
Per quanto riguarda la struttura e la tecnica dramm
neca sembra essere l'unico testimone superstite d
brano essere divenute canoniche tra la morte di Eur
la tragedia in Roma. Questo sistema di convenzi
comunque, come in parte abbiamo appena visto,
plicazione in tutti gli elementi che lo costituiscono.
precipua funzione di conferire base logica alle strut
di azione secondo le direttrici tradizionali, appare sv
rebbe intenzionalmente. Io preferirei parlare di sist
mittenza, e ciò a causa della natura stessa della tr
La struttura della tragedia, sottoposta nei suoi elem
della τέχνη δραματική, a un lungo processo evolutiv
trova dopo varie tappe, fino a Orazio per la sistema
la struttura di un testo teatrale, il suo momento cu
sistema è presente in Seneca:
1) La struttura in cinque atti, secondo che prescriv
ma già presente in Menandro, come sembra orm
tura è presente in tutte le tragedie sicuramente sen
2) i monologhi di entrata e gli a parte;4
3) il trattamento del coro;5
4) alcuni dettagli riguardanti le entrate e le uscite

1 Se si prescinde dalla Medea di Neoffone, di cui ci sono giunti


per il resto abbiamo solo esigui frmmenti: così diventa difficile
conservati nel corrotto P.Lit.Lond. 77.
2 Ved. Brink ad loc. (11 p. 248 ss.) e A. Martina, Iprecetti orazian
gedia, cit. 3 Ved. A. Martina, Menandro, Epitrepontes, 111, p. 95 ss.
4 Ved. Zwierlein, Reçitationsdramen, cit., pp. 67-72.
5 Ribbeck, Rom. Tragòdie, pp. 607,631 ss.; Capps, «AJA» 10,1895, p. 297 ss.; Reisch, RE in, col. 2403;
Ziegler, RE vi, col. 1993 ss.; cfr. Leo, Die Composition der Chorlieder Senecas, «Rh.M.» 52,1897,509 ss.;
Jocelyn 19 n. 4.
6 In Med. 299 s. abbiamo i versi di uscita di Creonte: sacra me thalami vocant, / vocat precari festus
Hymenaeo dies. Creonte dice per quale motivo lascia la scena (cfr. Agam. 583 ss., 805 ss., H.F. 514,
Thyest. 545, H.O. 579s). Nulla si dice di Medea. Da 380 ss. alumna, celerem quo rapis tectis pedem? / re
siste et iras comprime ac retine impetum, vediamo che Medea esce come una furia selvaggia: si era
quindi allontanata senza alcuna motivazione. In Agam. 308 Clitemestra uscendo impone a Egisto
di uscire con lei per avere modo di concordare il da farsi (secede mecum potius ut rerum statum / du
bium ac minacem iuncta Consilia explicent). Su questo caso molto particolare ved. il commento di

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 329

5) il prevalente interesse per il trattamento delle scene


quando questo sembra andare a detrimento di una struttu
Alcune di queste caratteristiche si possono vedere nel
mo Euripide e, già ben definite, in Menandro, la cui c
ceva Wilamovitz, 'die Erbin' della tragedia euripidea. L
vevano essere presenti già nella tragedia del iv secolo (
il cap. 12 della Poetica2 di Aristotele) e passano poi nel tea
traverso gli scrittori di tragedie e di commedie.
Tarrant asserisce che la familiarità di Seneca con questa t
mo luogo dalla tragedia augustea piuttosto che da que
dramma repubblicano romano. Nella ellenizzazione del
agisce non solo la tragedia del ν secolo - la tragedia dei tr
nelle opere di questi vengono sempre cercati i modelli - m
il teatro ellenistico nel suo complesso, vale a dire i testi te
secolo,e tutto il vasto sistema di convenzioni che riguard
diziona la realizzazione scenica di qualsiasi testo teatrale, c
ν secolo. Naturalmente anche la tragedia senecana dev'
lazione a un sistema di convenzioni e considerando, in par
Seneca nei confronti degli scrittori sugustei, Orazio, Virg
do speciale. Ciò non significa, tuttavia, che una tragedi
specifico la Medea, sia basata su un preciso modello augus
Medea di Ovidio, ma non dobbiamo pensare che Seneca
zione solo da questa. Così possiamo pensare che nel per
ro state scritte una ο più tragedie sulla pazzia di Ercole. C
Seneca abbia tratto ispirazione esclusivamente da quest

Tarrant ad loc. (p.230 ss.). Nella Medea dopo i due versi, 380-1, dato che
nutrice continua descrivendo lo stato di furiosa agitazione di Medea (w.
arte declamatoria e insieme di resoconto della patologia del personagg
flette le competenze dell'autore del De ira (11, 4 e Epist. 18,14-15). È qu
confermano il carattere di tragedia scritta per la recitazione.
1 "Auflosung des Dramenkôrpus" nella definizione di O. Regenbogen,
Warburg, vii, 1927-28, p. 187 ss.; cfr. anche W.-H. Friedrich, Untersuchung
Technik, 1933; Zwierlein, cit., p. 85 ss.
2 Taplin, The Stagecraft of Aeschylus, Oxford 1977, p. 471, ha osservato c
è usato nel senso molto ampio, per includere tutte le scene ο la scena d
(μέρος όλον). La definizione di Poetica 12 non rende giustizia della retor
mente non riflette nemmeno l'uso della tragedia del ν secolo. Anche il s
problematico: cfr. Taplin, cit., p. 472; A.H.Gilbert, The Word ΕΠΕ1ΣΟΔ
«AJPh» 70,1949, pp. 56-64; Nickan, Epeisodion undEpisode, «Mus.Helv.» 2
se, Aristotle's Poetics. A Course in Eight Lectures, London 1967, p. 55. Su
scordi. Ved. R. T. Weissinger, A Study of Act Division in Classical Dr
Studies ix), p. 16; Flickinger, «Class.Philol.» 7,1912, p. 33 ss.; W. Beare, I
di M. De Nonno, Bari 1986, p. 233; Handley, Ménandre (??), «Entretiens Har

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330 ANTONIO MARTINA

grande tragedia euripidea. Tarrant ritien


contemporanei non abbiano avuto ampia e
de tragedia del ν secolo. Non si può, tutta
tuto conoscere tragedie famose come Medea,
Dopo aver considerato alcune aporie nelle
di mettere in evidenza alcuni aspetti peculia
è opportuno almeno accennare ad alcuni as
costitutivi della tragedia ricordati sopra: pr
Il prologo1 della tragedia senecana è un p
naggio che recita il prologo non informa m
è il punto di partenza della vicenda tragic
derne bene la novità occorre pensare che egl
scena e che le convenzioni che sono alla ba
gedia del ν secolo - anche tenendo presenti l
autore e l'altro3 - non si possono applicare a
ca. Egli non intendeva far rivivere il teatro
lennio: una preoccupazione del genere era
preoccupava solo di dare forma alla sua nova
l'ars che sapeva di possedere. Qui basti notar
senecana si mettono a fuoco gli affectus del
informativi. Lo stato emozionale trova esp
determinata da considerazioni retoriche che diventano il mezzo che caratte
rizza il personaggio. In genere si può dire che i lunghi monologhi ο soliloqui
dei prologhi siano una caratteristica della tragedia di Seneca e già mostrino
la grande abilità dell'autore nell'arte della declamazione.
Come notava già B. Gentili,4 il monologo5 è "elemento necessario non so
lo alla caratterizzazione del personaggio, ma indispensabile allo sviluppo del
l'azione". La connessione tra coro e monologo è sul piano drammaturgico

1 Sul prologo nella tragedia di Seneca si veda F. Frenzel, Die Prologe der Seneca-tragôdien, Leipzig
1914; Ν. T. Pratt, Dramatic Suspense in Seneca and in Grecie Precursors, Diss. Princeton 1939; Fr. Leo,
DerMonolog im Drama, Berlin 1908, pp. 91,118; G. Runchina, Tecnica drammatica e retorica nelle tra
gedie di Seneca, Cagliari i960, pp. 19-70; Κ. Anliker, Prologe undAkten- teilungin Senecas Tragodien,
Bern-Stuttgart i960. Per i prologhi delle singole tragedie si vedano i commenti, citati sopra, di F.
Caviglia alle Troades e all'Hercules Furens, di Costa alla Medea, di Tarrant all'Agamemnon e al Thye
stes, di Fitch all'Hercules Furens, della Fantham alle Troades; inoltre, W Schetter, Sulla struttura del
la tragedia di Seneca, «Riv. di Fil.» 93,1965, p. 396 ss.; H. Fyfe, An Analysis of Seneca's Medea, «Ramus»
12,1983, p. 77 ss.
2 Ved. Ν. T. Pratt, Major Systems of Figurative Language in Senecan Melodrama, «TAPhA» 94,
1963, p. 234; H. Fyfe, cit., pp. 78-82; Κ. Anliker, cit., p. 36 ss.
3 Alcune differenze sono indicate in A. Martina, H prologo delle Trachinie, «Dioniso» 51, 1980,
pp. 49-79. 4 L'ultimo atto dello Medea di Seneca, «Maia» 6,1953, p. 43 ss.
5 Fondamentali Fr. Leo, DerMonolog im Drama, cit., e W. Schadewaldt, Monolog und Selbst
gesprdch, Dublin 1966.

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 331

uno degli aspetti più caratteristici della tragedia di Seneca.


di Fr. Leo,1 ha osservato W. Schadewaldt,2 "die stete Gege
fur Auftreten und Ausbreitung des Monologs in der Trag
gegeben habe". In questa prospettiva si spiega anche O.
osserva3 "So kònnen denn die wenigenbehandelten Beispiel
Wahrheit in dem iiberspitzten Wort Pichons liegt, nach d
Sénèque n'est guère qu'une succession de monologues. L
se rencontrent pas, ils se succèdent'".
Il monologo è elemento fondamentale della struttura d
cana sia per l'estensione che per la frequenza con cui ric
gedia senecana si manifesta attraverso l'opposizione di cont
monologo drammatizza, quasi attraverso un esame auto
gonista fa di se stesso, nelle diverse fasi del suo divenire dr
del furor che, in virtù di tutte le risorse dell'ars specialm
gate da Seneca per esso, trova una lucida definizione, c
nazione fortemente drammatica dalla contrapposizione
siano le riflessioni di una nutrice4 ο sia anche un canto lirico del coro.5
Il monologo è spesso sondaggio dell'anima e dev'essere considerato come
elemento caratterizzante la nuova drammaturgia senecana. Non è un caso
che il canto lirico del coro molto spesso segua ο preceda un monologo ο
anche un semimonologo:6 "In quasi tutte le tragedie il coro sermoneggia
puntualmente sui benefici della bona mens, della moderazione, insistendo sul
luogo comune, stoico ed epicureo ad un tempo, della rinuncia, dell'imper
turbabilità, della lotta contro le passioni".7
Come osserva Rosanna Marino,8 "il monologo non è mai isolato dal con
testo della struttura tragica e l'intenso legame è costituito dalle frequenti ri
prese lessicali e tematiche che evidenziano la coerenza dello sviluppo dram
matico". Così la via percorsa dal protagonista teso al compimento del mains
nefas è tracciata all'interno dei monologhi in quanto essi riflettono la linea
drammatica dello stato d'animo del personaggio protagonista: Med. 25 parta
iam, parta ultio est; v. 40 per viscera ipsa quatre supplicio viam; v. 423 faciet, hicfa
ciet dies / quod nullus umquam taceat; v. 549s. sic natos amat? / Bene est, tenetur,

1 Der Monolog im Drama, cit., p. 6. 2 Monolog und Selbstgespràch, cit., p. 3.


3 Die Reçitationsdramen Senecas, Meisenheim am Gian 1966, p. 12.
4 Per esempio, modulo strutturale antifrastico al secondo monologo della Medea (v. 116 ss.) so
no le parole della nutrice, v. 150 ss.
5 Lo stesso carattere antitetico e antifrastico ha il primo canto del coro, l'epitalamio dei w. 56
115, rispetto al monologo di Medea (w. 1-55).
6 Per esempio, nella Medea i cori 1, 11, ih, iv; nell'Agamemnon i cori 1, ih, iv, etc.
7 E. Paratore, Lucio Anneo Seneca, Tragedie, Introduzione e versione di E. P., Roma 1956, p. x.
8 II monologo in Seneca tragico. Una indagine sulla Medea, "Atti del in Seminrio di Studi sulla tra
gedia Romana", Palermo, 17-19 settembre 1990, p. 181.

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332 ANTONIO MARTINA

vulneri patuit locus; v. 566s. perge nunc, aude, inr


non potest; v. 848 referte gressus, ultimo amplexu
In quest'ambito rientra anche il semi mono
della nutrice, w. 380 ss., delle cui aporie si è p
gono l"Anrede' a Medea, i versi successivi u
quello dei w. 560-67 (di Medea). Il semimono
verso l'esterno, quando contiene l'Anrede ο
zioni tecniche, l'altra dall'interno, quando ren
Innestato nel corpo della tragedia il monolo
e nello stesso tempo molto complesso anche pe
suo interno per la presenza di figure come,
ra, per gli studiati timbri stilistici, per la simm
parallelismi sintattici, gli andamenti ritmic
metro, le costruzioni a chiasmo e le espression
un particolare risalto drammatico ai moti d
vità della funzione di questo fattore struttura
presentata da una parte dai molti e vari eleme
retoriche, ecc.), dall'altra dall'urto dramma
stamento a ciò che precede ο segue, creando
anche per la ripresa di motivi tematici e forme
ο diventando espressione altamente patetica e
mo di un personaggio.
Per quanto riguarda il coro ci limitiamo qu
funzione e sul suo ruolo nell'economia del dramma. Occorre tenere conto
della sua collocazione nella struttura della tragedia e del suo significato nello
svolgimento dell'azione drammatica. Un confronto con la funzione e il ruo
lo del coro nella tragedia greca può avere un senso solo se serve a definire me
glio la novità del coro senecano, dato che alla tragedia di Seneca non si pos
sono applicare i criteri di valutazione che si applicano, sul piano della τέχνη,
alla tragedia greca: tenendo conto, tuttavia, che una cosa è il coro nella tra
gedia di Eschilo, un'altra in quella di Sofocle e poi in quella di Euripide. La
sciando da parte Eschilo, nemmeno per la tragedia di Sofocle e meno che mai
per la tragedia di Euripide si può dire che il coro abbia caratteristiche costan
ti, per non parlare del problema del coro nella tragedia del iv secolo, ο del
l'ammonimento di Aristotele in Poet. 18,7,41 ss. (1456a 26 ss.), ο del coro nella
commedia di Menandro, dove ha solo la funzione di intermezzo. Non biso
gna dimenticare nemmeno il teatro latino arcaico e per le rappresentazioni
teatrali e per il fiorire delle teorie peripatetiche e no, fino all'Arte Poetica di

Questo è stato già messo bene in evidenza da R. Marino, cit., p. 162.


Leo, cit., p. 92 η. ι.

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 333

Orazio, che precedono il teatro di Seneca. Se, dunque, i


così lungo, il coro si modifica nella funzione, nella strutt
conseguenze di molto rilievo sulla natura e sulla struttur
senso ha applicare alla tragedia senecana i criteri di valut
greca classica? Tentiamo perciò di indicare soltanto alc
rizzanti ruolo e funzione del coro senecano che permet
glio in rilievo la natura del coro stesso e, quindi, della no
1) L'ingresso del coro non è segnalato;1
2) il coro segue una sua linea, spesso diversa e contras
l'azione drammatica;2
3) il coro non è caratterizzato;3
4) ha una funzione di contrasto, efficace sull'azione m
po, da questa evidenziata: una sorta di effetto chiaroscura
5) ha una funzione gnomica, presente con sfumature
verse;5
6) è caratterizzato da contrastività ed anacronia.6
Secondo Tarrant,7 bisogna cercare le note caratterizzanti il coro senecano

' È segnalato una volta in H. F. 827 ss., quindi non alla sua prima entrata.
2 Per J. D. Bishop, The Coral Odes of Seneca's Medea, «Class. Journ.» 6o, 1965, pp. 313-316 esiste
un'interazione tra "odic line" e "dramatic line".
3 Cfr. O. Zwierlein, Die Re^itationsdramen Senecas, cit., p. 74 e Fr. Leo, Die Composition der
Chorlieder Senecas, «Rh. Mus.» 52, 1897, p. 511: "Die Chôre sind in der Regel nicht charakterisiert,
meist nicht einmal als mannlich oder weiblich". Eccezioni sono Troad. 63 e Agam. 566.
4 Tale funzione emerge soprattutto se si considera l'intonazione gnomica dei canti del coro, su
cui ved. F. Giancotti, Poesia e filosofia in Seneca tragico. La "Fedra", Torino 1986, pp. 16-18. Per J. Din
gel, Senecas Tragodien: Vorbilder und poetische Aspekte, «ANRW» 1132, 2, p. 1091, si tratta di dramatis
personae le cui asserzioni hanno soprattutto carattere soggettivo. Ma egli poi asserisce (ibidem):
"man muss deshalb die methodische Forderung aufstellen, dass Senecas Chorlieder stets nach
dem Context, nie dieser nach ihnen, zu interpretieren sind", un giudizio limitativo della funzione
del coro senecano, come si può vedere dalle osservazioni di G. Mazzoli, Funzioni e strategie dei co
ri in Seneca tragico, "Atti del I Seminario di Studi sulla tragedia Romana", Palermo, 26-28 ottobre
1987, a cura di G. Aricò = «Quaderni di Cultura e di Tradizione Classica» 4-5,1986-7, pp. 99-108 (+
109-12, discussione).
5 Sul coro delle Troades osserva F. Caviglia, L. Anneo Seneca, Le Troiane, Introduzione, traduzio
ne e note a cura di F. C., Roma 1981, p. 46 s.: "La stretta connessione del coro con la vicenda non va
dunque intesa in senso esteriore. Non contraddittorio, non estraneo rispetto agli eventi, questo
coro nemmeno si affianca ad essi per confutarli ο discuterli nel loro episodico verificarsi. È un can
to, il suo, che 'va oltre', interpreta, coglie la verità ultima dei fatti che si stanno svolgendo".
6 Ved. soprattutto le osservazioni di Mazzoli, cit., p. 106s.
7 Osserva Tarrant, Senecan Drama and its Antécédents, «Harv. St. Class. Philol.» 82,1978, p. 214: "I
shall argue that fifth-century Attic tragedy was in many cases a remote and not a proximate source
for Seneca; [... ] conception of tragic form and style, as well as much of the content of his plays, come
to him ffomLatinwritersofthe Augustan period",eG.RuNCHiNA, Tecnica drammatica e retorica nelle
tragedie di Seneca, cit, p. 57 s. "... i soggetti dei cori senecani differiscono da quelli dei corrispondenti
modelli greci: di conseguenza le fonti non possono più essere i tragici greci; quando se ne riscontra
l'utilizzazione gli spunti hanno un chiaro sviluppo e un'impronta manifestamente latina".

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334 ANTONIO MARTINA

nella tradizione latina, in particolare augu


gedie di Seneca la presenza del coro non sia
densa sed laeto venti / clamore turba frontib
chiama, come è stato notato da Fitsch ad loc
ταραγμάς εΐσηλθεν πάλιν, / χωρεί γυναικ
va.1 Questa doveva essere anche la tecnica
una differenza: mentre nei drammi greci ci
spesso ci sono solo gli intermezzi supposti
di Seneca (con Agam. 586s., coro secondari
ci sono poi i canti del coro. Questi versi di a
me prova dell'assenza del coro dalla scena
Il coro di Seneca non aveva un'esistenza dra
ne quando era necessario, di solito per ragio
di massima sembra staccato dallo svolgim
Mazzoli,4 "lungi dall'essere monadi intruse
camente nel corpo dell'azione, i cori organ
sistema semantico che, attraverso le conno
si 'oppone' - nel senso strutturale del term
stendo di ideologie i miti consunti della seco
Considerato dal punto di vista dei suoi elem
tura,5 il coro senecano sembra avere la funz
pire l'intervallo, sì che l'azione acquista un

1 Nelle commedie di Menandro la prima entrata del co


cfr. Asp. 245-8, Dysc. 230-2, Peric. 261-6, Hydr. 78s. Gaiser
poeti della commedia nuova: ved. Martina, Epitrepontes
2 Tarrant, art. cit., p. 224.
3 Osserva E. Lefèvre, Dos erste Chorlied in Senecas Oed
1,1980, p. 302 n. 22: "bei Seneca berichtet der Chor iib
der Situation", e J.-A. Shelton, Seneca's Herculesfiirens
ding of Seneca's plays reveals that he has not adopted,
in the Athenian tragédies". 4 Art. cit., p. 108.
5 Per la struttura del coro tragico greco si può pensare al sistema di coppie strofiche
za epodo, alla musica, agli schemi di danza; bisogna però tenere anche presenti le diffe
coro nella tragedia di Sofocle e il coro nella tregedia di Euripide e nello stesso tempo l'
del coro in Sofocle, Euripide, fino agli εμβόλιμα di Agatone con l'ammonimento di Ar
Poet. 1456a 26 ss.
6 E l'azione che acquista un carattere fortemente unitario: cff. Fr. Leo, Die Compo
Chorlieder Senecas, «Rhein. Mus.» 52,1897, Ρ· 5n: "hauptsâchlich das Geschaft, die vier
akte Liedern aufzufallen"; Idem, Der Monolog im Drama, Berlin 1908, p. 44: "Die an
schenakte haben dasselbe χορού also verwendete der Dichter den ihm gestellten Chor,
sen zu fullen, richtiger um Intermezzi von Tanz und Musile, wie sie das antike Theater
herbeizuftihren". Ved. Anche E. Lefèvre, Dos erste Chorlied in Senecas Oedipus. Ein inn
log?, «Orpheus», n.s. 1,1980, p. 293 e n. 1. Per Runchina, cit. p. 234, i cori delle traged
"si trovano al culmine di quella evoluzione iniziata da Euripide, per cui essi si distaccan

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 335

Osserva Shelton:1 "Critics are correct in suggesting that


not influence the development of the plot, but they are
assert that the words and the personality of the Chorus
velopment of the theme". E possibile, infatti, individu
ni aventi efficacia sul piano drammatico tra coro e azione
ro diventa elemento di collegamento: assolvono que
descrittivi,2 quelli di contenuto mitologico,3 gli inni agli
anche che agisca come dramatis persona, partecipa al dialo
con nunzi e nutrici. Mazzoli5 richiama l'attenzione alla classificazione di De
wey,6 che distingue in cinque principali compiti i rapporti dei cori con l'azio
ne: 1) fissazione del tempo drammatico; 2) notifica della comparsa dei perso
naggi; 3) occasione per informare su un evento prodottosi fuori scena; 4)
intermezzo per superare un intervallo di tempo; 5) descrizione dello stato di
un personaggio principale, che non è in grado di provvedere da sé. Infine è
espressione del messaggio filosofico dell'interiorità. Com'è stato osservato
da Motto e Clark,7 "the plays must be read altogether, en masse, as a single
'Stoic treatise'". Così anche i cori sono nell'ambito di questo corpus un siste
ma di moduli filosofici.8
Come si vede non bisogna mettere da parte il problema dell'influenza del
la tragedia latina arcaica. Sembrerebbe, comunque, che Seneca non abbia mai
preso deliberatamente a modello nessuna delle tragedie latine arcaiche. D'al
tra parte, è risaputo che i tragici latini arcaici non scrivevano una tragedia sen
za un modello, anche se erano convinti, considerato il processo del loro ver
tere, di scrivere loro delle tragedie originali, sia che diciamo con Cicerone, per
esempio, che Ennio fabellas latinas ad verbum e Graecis expressit sia che diciamo
che traducendo non verbum verbo sed vim expressit; Ennio diede alla sua Medea
un'impronta tutta sua, latina. Gli antichi eruditi consideravano le tragedie e
le commedie del periodo repubblicano come qualcosa di diverso dai loro ori

gimento dell'azione ed assumono il carattere d'intermezzi corali che, inseriti nel dramma, lo
dividono in cinque atti». Nelle Phoetiissae, tragedia incompiuta, manca il coro: l'azione - ο meglio
l'intreccio dell'azione - è pensata indipendentemente da esso.
1 Seneca's Herculesfurens, Gôttingen 1978, p. 41.
2 II iv della Medea; così Agam. 710-19 e 775-81.
3 II in della Medea; così anche il 11 dell'H. R, il in delle Troades, il 1 della Phaedra, il 11 dell'Aga
memnon. 4 II 1 della Medea; così anche il iv dell'Agamemnon e il 11 dell'Oedipus.
5 Art. cit., p. 100.
6 A. R. L. Dewey, The Chorus in Senecan Tragedy exclusive Hercules Oetaeus and Octavia, Diss.
Columbia Univ., Ann Arbor 1969.
7 A. L. Motto ej. R.Clark, Senecan Tragedy, Amsterdam 1988, p. 44.
8 Ved. anche Rosanna Marino, Osservazioni sul Coro in Seneca tragico: il Thyestes, 'Atti del iv
Seminario di Studi sulla tragedia Romana", Palermo 23-26 marzo 1992, a cura di G. Aricò, «Qua
derni di Cultura e di Tradizione Classica» 10,1992, pp. 217-233.

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X\6 ANTONIO MARTINA

ginali. Gli argumenta appartenevano ai Gre


tini: scribit enim Terentius, qui verba adhibet
gumentun componit.1 Bisogna ricordare ch
solo le tragedie dei tre grandi. Ma noi no
zione abbia avuto la tragedia ellenistica.2
e una più attenta analisi degli scritti teori
le, può fare un po' di luce su questo argom
Anche se gli autori latini arcaici non hann
nistici, è impossibile però che non siano st
stiche. È questa una delle considerazioni ch
curezza: basti pensare all'Arte Poetica di
imitavano una tragedia dei tre grandi, per
stema di convenzioni - quindi anche per
vare questo sistema - la imitavano come
cettata attraverso il sistema e la rete di convenzioni del mondo ellenistico.
Dopo quanto s'è detto, si può tentare di chiarire in che cosa consista la
tragoedia nova di Seneca mediante una serie di riflessioni su alcuni aspetti
essenziali:
1) Come si presenta il contenuto mitico di cui è materiata la tragedia sene
cana? Vorrei chiamare questo momento 'la manipolazione del mito'. È il pro
cesso che porta alle "Metamorfosi alluse". Ogni grande episodio di queste co
stituisce l'ambito entro il quale viene drammatizzato un segmento: la saga
degli argonauti è l'ambito entro il quale trova posto la drammatizzazione del
modo in cui si realizza la vendetta di Medea. Si può dire che la Medea di Se
neca offra alla drammaturgia delle età successive un modello, per così dire,
di un livello diverso, successivo e di interiorità, rispetto a quello archetipico
della tragedia euripidea. Si può dire - e può considerarsi uno degli elementi
caratterizzanti la tragoedia nova - che tutti gli eroi della tragedia di Seneca sia
no a un livello diverso rispetto a quello degli eroi delle tragedie greche dei tre
grandi: lo slittamento verso un piano di interiorità si spiega con l'ideazione
drammatica di Seneca; l'ingenium vivacissimo, l'immensa cultura e il fattore
cronologico hanno indubbiamente favorito l'opera del poeta.
2) Caratteristica della tragoedia nova di Seneca - ciò che in sostanza è un trat
to di drammaturgia moderna, anche per il modo in cui si configura - sono la
staticità dell'azione esteriore, il linguaggio barocco e, come si è già notato, il
prevalere del monologo.
3) Il monologo come sondaggio dell'anima rivela il personaggio che si ap
propria di se stesso attraverso la meditazione sulle vicende della sua vita. Le

Donato, a Ter. Andr. 9.


Ved. S. Mariotti, Livio Andronico e la traduzione artistica, cit., p. 63 ss.

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 337

quali poi acquistano rilievo dal contrasto con l'intonazion


non solo con i contenuti - dei canti corali. Il personaggi
sente e futuro: Medea superest - Medea fiam - Medea nunc s
sti momenti sembra appartenere, in modo violentemen
personaggio, ciascuno di questi momenti si realizza attrave
e l'azione. Per il saggio del Seneca morale ciò significa sape
te e non restare sospeso nell'attesa del futuro. Significa so
vere in modo da non dover rifiutare il passato. Per l'eroe d
cana, che si realizza attraverso una aristeia alla rovescia, sig
tutto e su tutti il maius nefas, ma sempre per affermare se
care un torto subito.
4) La punizione speculare al torto subito. Come nel Tieste, la vendetta per
petrata ai danni del fratello si configura non come fuori da ogni normale re
gola del comportamento umano ma, sia pure nella dimensione dell'eccesso
e della follia, come rispondente a una lucida logica di punizione speculare al
torto subito. Così nella Medea la logica della punizione speculare al torto su
bito da Medea col tradimento di Giasone porta all'uccisione dei figli, i quali
però sono di Medea e di Giasone; così Giasone sarà punito e sarà punita an
che Medea, che uccidendo i figli a cui ha dato la vita spegne anche se stessa
come madre. Seneca è più simile a se stesso di quanto a prima vista non ap
paia: se si considerano attentamente le sue tragedie, emerge netta la poetica
senecana.

5) La progressione drammatica della tragedia è imperniata su u


propria tirannia scenica del personaggio protagonista in quanto
menti si configurano come martellante iterazione di una stessa
zione di furor attraverso una consapevolezza intellettuale. Medea ap
va di ogni altro connotato che non sia quello di essere una donna la
è solo ilfiiror.
Nella Medea si mobilitano forze non solo umane ma anche di ordine co
smico.1 Ciò significa che in Medea la presenza del male è talmente smisura
ta da costituire una sorta di realtà che trascende i singoli personaggi. La col
pa di Giasone, narrata nel secondo e terzo canto del coro, trascende l'azione
della tragedia. Per questo il problema stesso del bene e del male, da proble
ma etico, tende a diventare nella Medea problema teoretico. Se, infatti, Γαίτία
e Γ αίτιον della vicenda euripidea è la rottura, da parte di Giasone, del foedus
con Medea, in Seneca Γαίτία è la rottura non del foedus con Medea ma dei
foedera mundi. La dimensione che in Euripide rimane orizzontale, in Seneca
diventa verticale, anche se - è opportuno precisare - di una verticalità più

1 Si tengano ora presenti i pregevoli contributi di F. Giancotti, Studio sulle tragedie di Seneca,
Roma 1953, e G. Biondi, il nefas argonautico, Mythos e Logos nella Medea di Seneca, cit.

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338 ANTONIO MARTINA

cosmogonica che religiosa. La complessa organicità che si riflette


naggio di Medea per il confluire in esso della vendetta umana e
potrebbe indurre a vedervi una concezione 'teologica' dell'eroina
stiziera degli dei. Ma Medea agisce solo oggettivamente e preterin
mente in funzione della giustizia divina: in realtà lei crede e vuole re
la propria e in ciò consiste anche la hybris: anteporre le proprie legg
della divinità. Non sembrano convincenti i tentativi, come quello
baux, di salvaguardare, come fa il Grimal per Fedra, in Medea una pa
nocenza: la vera discriminazione fra bene e male - e quindi fra sapien
tus - sta, come è stato giustamente notato, nella coscienza, nel ri
umiltà ο tracotanza che consegue alla passione ο all'azione. Secon
mann il carattere malvagio del personaggio di Medea si realizza a
co, progressivamente, ma forse è più esatto dire che è la concretizza
l'orribile vendetta che si realizza lentamente. La particolare conce
della vicenda tragica serve a intensificare, secondo un modulo tip
senecano, la rappresentazione 'patologica' del furor che signoregg
principio nel personaggio di Medea e deve soltanto trovare, nello spa
tempo dello svolgimento dell'azione drammatica, la propria via p
compiuta realizzazione.
Non sembra fuori di posto parlare di 'Pathetisierung'1 se si conside
nologo iniziale detto da Medea già al colmo della sua ira. L'azione
manifesta già congestionata al massimo in funzione del pathos: M
nella scena d'apertura potenzialmente Medea: l'azione drammatica
nire di questo personaggio dalla potenza, Medea ...fiam di v. 171, all'a
dea nunc sum di v. 910. Conferisce carattere di grandiosità e com
l'ideazione drammatica senecana il trattamento del tema della colp
compiuta da Argo, che compatta il furor di Medea che vuol colpir
per la sua superficiale, vuota e sprovveduta condotta2 e il furor del
profundi che vuole colpire mare qui subegit.3 Così motore dell'azione
per avere inizio sembrano essere il furor di Medea e la nemesi divina
bile vendetta di Medea si configura in un certo senso anche com
passo dell'empia azione compiuta da Giasone con gli dei. C'è, dun
aspetto fondamentale nel terzo canto del coro che dev'essere sottolin
fatti, come è stato notato,4 se Seneca nel secondo canto del coro
tato un logos sostanzialmente nuovo rispetto alle infrazioni cosmiche

1 La tradizione tragica latina, com'è noto, orienta, da Ennio in poi, i modelli grec
la forma di scrittura che i filologi tedeschi hanno definito "Pathetisierung".
2 Giasone ha interrotto il matrimonio con Medea per amore dei figli, come si desum
monologo. 3 Cfr. w. 595-8.
4 Ci guida ancora una volta il contributo di Biond
Medea di Seneca, cit.

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 339

di Argo e se, soprattutto, ha inventato la colpa teologica d


canto del coro, egli 'mitizza' completamente ex novo, non s
cora teologico, degli Argonauti (e dunque anche di Gia
l'impresa argonautica le loro morti che, nella tradizione m
non c'entravano affatto, ma soprattutto il particolare pera
mo di Tifi re dell'Aulide, particolare che fa gravitare d'un
troiano intorno al peccato argonautico secondo un pro
mento e di irreversibilità dell'impresa. Nella Medea Seneca,
venta filosofo teoretico per questa raggiunta capacità di in
esistenziali dei suoi personaggi in una cornice di grande re
ando, appunto, fra leggi cosmiche e leggi etiche un nesso c
considerare questa tragedia un'organica meditazione, un
sulle 'potenziali' e 'attuali' capacità di male che l'uomo po
Medea è personaggio che crede nella potenza delle ene
eroina dalla smisurata volontà di male, figura drammat
minazione sinistramente razionale, che riflette una tirann
minio e di vittoria. L'esistenza drammatica di Medea si
tuosa aspirazione al maius nefas. La tumultuosità degli affe
d'animo del personaggio si realizzano nella sicura padr
gio, nel frenetico ardore con cui persegue il suo fine. Nel
una forza ignota e oscura, che però viene drammaticam
ta: per lei non v'è offesa così grande che lei non possa rica
le ancora più grande. Quanto più Medea riesce ad esprimer
teriore, tanto più si rivela creatura del male, perchè troppo
e troppo spesso ha lanciato la sua sfida audace. Di umano
smarrimento dei ricordi di ciò che ha perduto per sempre
di abbracciare nel suo desiderio infinito di vendetta tutto l'universo nella sua
barocca immaginosa fantasia cui danno forma esuberanze espressive gover
nate dalla retorica.
La tragedia di Seneca dev'essere anzitutto riconosciuta come genere lette
rario a sè stante, nella sua unicità. Colpisce per una sorta di coesione tra al
ternanza e compattezza drammatica. Il ritmo dell'azione viene spietatamen
te rallentato da una sorta di ossessionante autopsia degli abissi dell'animo
della protagonista.1 È tragedia degli abissi del Tartaro, da cui salgono le om
bre dei prologhi e dell'animo dei protagonisti, che del male sembrano aver
toccato il fondo. È tragedia delle giustapposizioni nella struttura: le varie
scene sembrano create per avere una vita autonoma. Chi prende la parola sa
di poterla usare come si conviene nella circostanza, e sa di essere quello che i
Greci avrebbero chiamato un μέτριος ρήτωρ: μέτριος, vale a dire commisura

In questo riveste un ruolo essenziale il monologo.

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340 ANTONIO MARTINA

to alla natura del personaggio, non come rif


è ben altra cosa. Si esprime facendo ricorso
una sovrabbondanza connotata spesso dalla
per fare soltanto un esempio, sebbene molto
mennone, la nutrice che sembra aver studiat
gedia delle antitesi: di lingua, di stile, di sce
l'antitesi non è possibile intendere né l'o
personaggi non hanno maschera se non qu
ancora la maschera quando dice Medea super
una maschera che cadrà quando potrà dire M
È tragedia della parola scenica, si che noi
della parola": ma è una parola che si veste de
le intonazioni fortemente oratorie ma inn
contro la veemenza e l'irruenza del male. L
stordisce, una specie di ebbrezza dionisiaca d
risorse e i suoi colores un dramma dello spir
Il tessuto retorico compatto e costante, le r
clusi creano una sorta di contrasto chiaroscurale e diventano veicolo dei mo
ti dell'animo: determinano però una sorta di solennità statica del personag
gio che analizza se stesso come abbandonandosi a un consapevole piacere
derivante dalla certezza di poterlo fare ricorrendo a un sistema spaventosa
mente complesso di artifizi diabolicamente dominati, come per denunciare
la singolarità del personaggio, e volti a creare una bellezza oratoria che sta
agli antipodi di quella naturale, proprio come la causa del male che il perso
naggio propugna è agli antipodi del bene.2
L'eroe senecano è un eroe ossessionato dalla brama di vendetta, preda del
delirio che scaturisce dall'ebbrezza di un defitto imminente del cui compi
mento si nutre l'esistenza drammatica del personaggio. Solo un'accurata e at
tenta valutazione di tutti questi aspetti può portare alla formulazione di un
giudizio positivo, anche sotto il profilo estetico della creazione letteraria se
necana nel suo complesso. Dalla tecnica della retorica Seneca deriva una
gamma di modulazioni espressive che possono sembrare anche sovrabbon
danti, ma che sono asservite a quei valori estetici che caratterizzano la trage
dia di Seneca come espressione di una società, "che provoca degli squilibri
profondi in tutti i valori stabiliti: intellettuali, morali, estetici e religiosi". La
tragedia di Seneca è una realtà dominata dal male e contemplata dai recessi

1 Ved. Sen. Agam. w. 203-225.


2 Così Medea ricorda nella sua invocazione l'Erinni che, impugnando atram ...facem (cfr. v.15),
stette accanto al suo talamo nuziale; così nel Tieste, dinanzi all'orrore per il crimine, il sole volge
indietro il suo corso.

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 341

della ragione: un certo ordine di cose drammatizzato da ch


l'ordine di cose opposto. Mette in discussione la natura, la ver
capacità della ragione a definire da sola un ordine, ivi compr
bellezza, in una parola tutto il cosmo.
La tragedia di Euripide conferisce a Medea la sua identità
do la Medea di Seneca risponde fiam (v. 171), il lettore compr
da dire. In Euripide Medea considera ancora qualche altra a
neca no. Nella Medea di Seneca "the human being is dead; into
stepped the victorious goddess of vengeance".1 Medea diviene
pace di incanalare tutto alla distruzione. Siccome viola la prim
tale legge di natura, deve disporre di una forza superumana,
delle forze della distruzione e della morte, di tutto ciò che n
rappresenta il volto tenebroso del divino. La Medea di Seneca
illimitato potere: Medea superest: hic mare et terras vides ferrum
os et fulmina (166-7). È pronta a sovvertire il tutto: sternam e
(414), invadam deos et cuncta quatiam (424-5, e cff. 527-8).
La compattezza tematica non dev'essere scambiata per strutt
Ogni parte della tragedia, quindi anche della Medea, che tra t
patta e unitaria, sembra sviluppata più per una sua propria co
alla luce del tema centrale. Senza dubbio questo vale anche pe
gedia dominata da un personaggio compatto e unitario e già c
la sua essenza poetica: Medea superest... Medea fiam... e Medea
siderata alla luce dei canoni della Poetica di Aristotele - quind
questo caso, al concetto aristotelico di πλοκή e al significato
che riveste la σύστασις των πραγμάτων, la tragedia di Senec
difetti di struttura. Ma la tragedia di Seneca non dev'essere g
noni della Poetica di Aristotele, che teorizza sulla base del tea
secolo. Un teatro, quello del ν secolo, come abbiamo già de
neo a Seneca, che probabilmente conosce scritti teorici più ta
e no: ma tutti gli scritti teorici sul teatro, anche quelli di ind
Peripato, erano sempre e comunque un po' peripatetici. Sen
preoccuparsi di questo genere di unità tematica. Una prova so
ghi-non prologhi, se vengono considerati all'inizio del 11 epis
le sia per l'Agamennone che per una tragedia molto diversa da
Medea. A chi si rivolge Medea quando pronuncia il prologo in
E veniamo a quello che Eduard Fraenkel, parlando del tea
co, chiamava la grammatica della τέχνη δραματική: entrate,
di personaggi, descrizioni di stati emozionali condizionati dall
dicazioni registiche in genere. Se Seneca viene giudicato co

Cfr. SCHLESINGER, 1966, p. 51.

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342 ANTONIO MARTINA

applicano alla tragedia greca del ν secolo,


fetti. Ma è un criterio errato. A mio parere
la tragedia senecana sono proprio quelle in
scono quella τέχνη δραματική con la quale i
ν secolo costruivano le loro tragedie. Fort
ca sono casi molto rari, quasi sedimentazio
re che ha letto molto sottoponendo sempre
elaborazione.1
La struttura episodica della tragedia senecana - a volte si tratta proprio di
grandi quadri, dove i colores, le tinte fosche e, insieme, le risorse della retori
ca creano una vita propria e la parola si fa spettacolo - vive nell'ambito di una
innegabile unità tematica.2 Ciò ha indotto gli studiosi a pensare a certe tra
gedie di Euripide, come per esempio le Phoenissae,3 e a considerare questa
una prova indiretta di un legame di Seneca con Euripide. Ma così non è. E bi
sogna cercare di intendere la nota caratterizzante la drammaturgia senecana.
In quest'ambito rientra la questione del rapporto coro-azione. Conside
rando il rapporto coro-azione in Seneca tragico non possiamo non constata
re che la funzione del coro tenda a divenire da drammatica lirica. Infatti, no
nostante permangano momenti drammatici in cui il coro dialoga con le
persone sulla scena4 - questo fatto mi induce a parlare anche in questo caso,
sul piano della drammaturgia, di funzione a intermittenza -, esso tende a fos
silizzare le sue funzioni dialogiche e dinamiche, attenuando quella agonisti
ca del teatro greco del ν secolo per acquistare un rapporto dialettico con la
scena fino a diventare "voce fuori campo", meditazione filosofica e morale
dell'autore che commenta l'azione in via di svolgimento. In quest'ottica,
quindi, il coro costituisce spesso una pausa che decongestiona la tensione - si
pensi al secondo coro della Medea, dove l'eroina è sin dall'inizio pervasa dal
furor - e chiude momentaneamente il sipario sulla vendetta di Medea per ri
tornare al nucleo essenziale della vicenda tragica a cui è inevitabilmente con
nessa la condizione attuale del personaggio (nella fattispecie l'evento argo
nautico). Ma poi il coro finisce con l'avere anche una forza interagente. Sul
mythos argonautico Seneca fonda il logos, ossia l'impalcatura teoretica della
sua tragedia.
Questa nuova tragedia non si limita, come per il passato, all'imitazione dei
modelli greci: ha una nuova anima. I protagonisti traggono da se stessi l'ener
gia necessaria per porsi a un nuovo livello. Se si considera la dilagante corru

1 Un solo esempio: Med. 177-78.


2 Basterebbe ricordare due grandi quadri: le scene del sortilegio magico nella Medea (a partire
da v. 670) e quella della tempesta nei w. 421-578 deìl'Agamnennone.
3 Ved. l'analisi di E. Rawson, «GRBS» 11,1970,109-127.
4 Cfr. Med. w. 881-87; Agam. 589-91; Oed. 911-14 e 995-98.

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 343

zione dei costumi del suo tempo e quella ancor più grave d
prende ancora meglio il significato della tragedia senecana.
tragedia attingono agli abissi del male, spirando dall'animo
osando l'inosabile, commettendo ogni empietà. È un agir
di là dei margini estremi della vita, quasi in contatto imm
nità della morte e segna la concretizzazione di una prof
tuitiva del poeta degli abissi dell'animo umano. L'esistenza
Seneca pare che non abbia più radici nel reale, tale è la grav
personaggi appaiono veramente creature del male. E tuttav
zioni, ma illuminate descrizioni di chi, avendo profondame
numeri antinomie che governano il mondo, si è piegato, p
a descrivere ciò che gli si rivela come orribile. Una fuga da
percorso nel male stesso e l'illusione di aver raggiunto ο in
oltre la quale la tensione verso il male cessa. Attraverso il
ze interiori si realizza lo scioglimento di un enigma: la
me artefice di male. Per questa via l'identità del personagg
vela a se stessa. Ma nel momento stesso in cui si rivela e si
alla definitiva condanna.
La tragedia di Seneca manca in fondo di un'azione ben definita: una sua no
ta fondamentale è nell'effusione dei sentimenti del protagonista espressi at
traverso un incomparabile uso delle risorse della retorica. Il linguaggio di
viene turgido e sovraccarico. Nella compagine del periodo si innestano la
magniloquenza e la fantasia intemperante, la veemente commozione dello
stile, la fastosa e potente ostentazione della parola, che celebra se stessa, la
magnificenza teatrale dei colores del linguaggio senecano, la ricchezza im
pressionante degli σχήματα λέξεως, che talvolta germogliano da se stessi, il
tumulto abbagliante di immagini antitetiche.
In Seneca si compendia ed esalta tutto il complesso sistema degli artifizi
della retorica come instrumentum della forza espressiva della parola. Rifiutan
do la compatta architettura classica, Seneca dà vita a uno stile eminente
mente paratattico, che frantuma l'impianto del pensiero in un susseguirsi di
frasi aguzze e sentenziose. Attraverso l'efficacia espressiva assolve a una fun
zione pedagogica, contribuendo a fissare nella memoria e nell'animo una
norma morale.

È inutile dire a quali eccessi possa giungere l'espressione senecana quando


l'autore non si lascia governare dal senso della misura e cerca deliberata
mente il modo per dare corpo in forme adeguate a circostanze drammatiche
audaci che richiedono, per essere espresse adeguatamente, grandiosità di for
me, che può essere confusa con pomposa stravaganza retorica, ed è invece
aderente e armonioso riflesso del sentire del personaggio, in cui tutto si con
torce, si gonfia e si tormenta: la parola invade coreograficamente la scena, in

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344 ANTONIO MARTINA

sieme con i suoi artifizi e la sua morbosità.


smisura - dei sentimenti e delle azioni - q
paiono necessari, perché sia possibile reali
propria misura. La lussureggiante magnifice
caratterizzata dall'uso scaltro delle risorse de
soggetta a criteri pittorici. Pure Seneca ap
ne di costruire strutture di lucide argoment
forme pittoriche in cui risaltano i colores c
corazione. La pittoricità nell'impiego di un
schemi retorici è riflesso di un gusto della s
so di un'armonica ricchezza del suo mond
dei protagonisti, non si può non vedere una
loro lingua e nel loro stile.
Nell'ambito latino Seneca fonda una nuov
re per la rappresentazione teatrale e per il s
la rappresentazione. Euripide scrive una trag
ta la struttura della polis e, come si addice a
i tempi, mette tutto in discussione. Seneca s
mento del piano drammatico - la tragedia si
- le impalcature della tragedia tradizional
prologo della Medea, per metà una preghiera
lo stesso tempo spietatamente lucida man
vendetta: anche questa è, se voghamo, un'
sondaggio dell'anima; così si spiega anche il m
teria mitica: allusa attraverso lo stato d'anim
lori e l'interpretazione di chi parla.
Parlare di tragedia retorica significa, du
componenti di questo linguaggio diversi p
che alla sua base una tecnica e una estetica artistica di creazione. In Seneca si
riflette la consapevolezza di una retorica totale: arte della parola, scienza ed
etica insieme. Metamorfosi alluse con la funzione ornamentale degli ele
menti del discorso: strumento di comunicazione, materia formale e decoro,
la cui ricchezza e lussureggiante apparenza trasforma l'oggetto della comu
nicazione. Si potrebbe parlare di estetica dell'ostentazione: ostentazione del
la parola che fonda la comprensione e la varietà di registri grammaticali e les
sicali, la proliferazione delle figure, la varietà e il rinnovarsi del tessuto fonico.
Il succedersi delle figure ο la scelta degli σχήματα secondo una precisa tecni
ca retorica dà l'impressione di una disposizione che produce fratture e infles
sioni inattese. Viene valorizzata così la funzione artistica degli elementi for
mali, viene coltivata l'esuberanza ostentatoria della parola. Si ottiene così la
ricchezza della forma, il dinamismo del linguaggio che diventa κίνησις dram

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LA TRAGOEDIA NOVA DI SENECA 345

matica. Due sono i tipi di figure mediante le quali è più sp


il linguaggio, il logos senecano: l'iperbole e l'antitesi: sono
e riassumono la tendenza di Seneca e del suo tempo.
Il liguaggio senecano non è solo scrittura: è uno stile si
rienza individuale. Rende percettibili, attraverso le immag
parola senecana, le tappe del dramma spirituale del pers
sta. È ricerca attraverso l'ostentazione e l'esasperazione dell
lizzazione di sé; è passaggio dall'introspezione alla consa
re; è tensione dinamica verso l'ultima tappa dell'azione
tragoedia.
La tragedia senecana è un'espressione unitaria di form
presentazione. È recitazione consapevole materiata di tutte
rola, è descrizione, spettacolo drammatico e confessione
teriore. Il protagonista si muove in un universo che gl
richiede, per essere compreso, una riflessione sugli oppost

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