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La novit dellinvenzione tragica

Il teatro tragico e comico, lespressione pi caratteristica della cultura ateniese del secolo v a. C. e al
tempo stesso un genere letterario per il quale non esistono paralleli in nessuna civilt precedente ai Greci.
Nel panorama delle forme culturali che lantichit ha trasmesso alle epoche successive, dunque,
questinvenzione costituisce un modello fondamentale con cui tutta la tradizione occidentale ha dovuto
inesorabilmente misurarsi.

La natura, la storia e levoluzione della tragedia pongono problemi sui quali la critica non ha cessato di
interrogarsi, a partire dalla Poetica di Aristotele. Da certi punti di vista, la tragedia si colloca allinterno
della tradizione poetica precedente, sia epica che lirica, non solo perch ne deriva alcuni strumenti
espressivi (luso del trimetro giambico, la struttura medica e stilistica delle parti corali), ma soprattutto
perch utilizza lo stesso materiale della poesia epica, vale a dire il mito. Tuttavia, rispetto allepica, si
verifica una straordinaria novit: i personaggi si staccano dalla trama del racconto per agire
autonomamente sulla scena e non sono presentati da un narratore esterno, bens compaiono davanti al
pubblico come distinte individualit provviste ciascuna di una propria vita psicologica. Lepica una
narrazione ( <<parola>>), il teatro unazione ( ,<<dramma>>, da , <<agire>>): dal
punto di vista comunicativo, quindi, la tragedia sviluppa strumenti assolutamente nuovi. E uno spettacolo
(, da ,<<guardare>>) assai complesso: il coro canta e danza, lattore recita e declama,
anche se talvolta ci sono cantate dallattore (le monodie); il testo accompagnato dalla musica, eseguita da
flautisti e altri suonatori. Anche lapparato scenico (macchine, maschere, costumi, scenografie), divenuto
sempre pi complesso nel corso del secolo v, contribuisce a rendere il dramma un evento fastoso ed
emozionante.

Sotto certi aspetti, la tragedia perde alcune possibilit espressive rispetto alla poesia precedente: il
passaggio dal racconto allazione impedisce, infatti, lincalzante succedersi di situazioni che rendevano vario
e travolgente il racconto omerico, dove laedo era in grado di condensare o rallentare i tempi della
narrazione senza nessun altro vincolo che non fosse quello delleconomia narrativa. La tragedia, invece,
obbligata (come osserva anche Aristotele nella Poetica) a ritagliare un solo momento del mito e a collocarlo
in un tempo e in uno spazio rappresentabili sulla scena, con le oggettive complicazioni che ci comporta.

Questo limite per compensato da una vera e propria rivoluzione: lazione drammatica consente la
possibilit di scavare nei personaggi, nella loro psicologia, nelle loro motivazioni, in sostanza di dare
profondit alle figure del mito. Gli eroi tragici mostrano il loro volto al pubblico, discutono, lottano, si
amano, si odiano, avviluppati da un di una tema di emozioni, idee, passioni che riducono lo spazio tra il
mondo lontano del mito e lattualit degli spettatori. E soprattutto la scoperta della profondit della mente
e delle emozioni che trova espressioni in questa nuova forma letteraria, che in grado di tradurre il mito in
termini pi assai vicini allesperienza degli spettatori e, al tempo stesso, di trasformarlo in un qualcosa di
pi complesso e profondo. E difficile immaginare oggi dopo pi di due millenni di consuetudine con
lillusione teatrale quale fosse limpatto emotivo sulluditorio di una simile forma artistica, del tutto
inusitata. Certo la forza di questo genere letterario cos totalizzante fu talmente dirompente da ecclissare,
man mano che la tragedia raffina i suoi strumenti, tutte le altre manifestazioni poetiche; da questo punto di
vista aveva ragione Aristotele (nella Poetica) quando individuava nel teatro tragico il culmine di tutta larte
poetica dei Greci.
Il significato culturale della tragedia

Il fine della tragedia non era soltanto spettacolare: lesperienza teatrale, infatti, diventa loccasione di una
sorta di psicodramma collettivo, in cui coinvolta tutta la citt. La tragedia ha anche un aspetto rituale,
dato che si svolge allinterno di una festa religiosa in onore di Dionisio, ed anzi uno degli eventi pubblici
fondamentali dellAtene classica: una liturgia, un pubblico servizio, fondamentale nella vita cittadina, al
punto che per organizzare gli spettacoli teatrali venivano profuse energie e ricchezze persino nei momenti
pi cupi, in tempo di guerra e di lotta civile, e i pi importanti uomini politici (da Temistocle a Pericle) si
occuparono di allestimenti teatrali, consapevoli della loro importanza nella vita pubblica.

Il teatro attico fu un fenomeno di massa, che svolgeva la funzione di cassa per le risonanze per le idee, i
problemi e in generale la vita civile e culturale dellAtene democratica. In questo consiste forse La
differenza pi netta fra teatro antico e teatro moderno: lo spettacolo tragico nella Grecia classica un
esperienza capace di coinvolgere lintera popolazione in una riflessione collettiva sulla cultura della .
Infatti, se vero che la materia della tragedi viene da lontano passato mitico, anche vero che il mitico
diventa una metafora delluniverso cittadino di Atene, di cui il dramma rappresenta le dinamiche culturali e
sociali, anche quando ambientato in altri luoghi, come Tebe o Argo. Secondo ina famosa formulazione di
Walter Nestle, la tragedia nasce quando si comincia a guardare il mito con gli occhi del cittadino.

La tragedia, bench nata allinterno di una citt e prodotta appositamente per quellambiente, si proietta
ben al di la di un circoscritto momento storico ; La sua forza risiede appunto nella capacit di travalicare
loccasione- le tragedie, bisogna ricordarlo, erano pensate allorigine per una sola rappresentazione-
ponendo problemi che investono linterpretazione complessiva del destino umano. La grandezza di questo
genere letterario provata dal fatto che uomini delle epoche pi distanti tra loro (da Aristotele a Nietzsche
e oltre) vi hanno individuato un modello universale, una categoria di pensiero che si vuole definire il
tragico o la visione tragica della vita e che costituisce uno dei contributi fondamentali (forse il pi
importante di tutti) che il mondo greco ha consegnato alla nostra civilt.

Per sintetizzare, sono tre gli elementi principali dal cui intreccio deriva la struttura profonda della tragedia
greca. Il primo il dolore. La tragedia mette sulla scena la sofferenza () di un eroe, la cui sorte lo
conduce a spezzarsi contro la sorte della vita, e questa una metafora del destino umano nel suo
complesso. E stato detto che solo il mondo greco, cos come laico e proiettato verso la vita e le sue varie
manifestazioni, poteva inventare la tragedia: secondo la formulazione di George Steiner la tragedia
estranea alla concezione ebraico-cristiana del mondo, perch la cultura greca non conosce la redenzione e
non proietta un sistema di premi e di castighi oltre lesistenza fisica dellindividuo. Per le sofferenze umane
la tragedia greca non ha pronta una spiegazione, n le giustifica con la colpa delluomo o un misterioso
piano provvidenziale delle divinit: esistono e basta, sono una parte inevitabile dellesperienza umana. La
tragedia greca non mette mai sulla scena la lotta del bene contro il male e non proclama la necessit della
vittoria del primo sul secondo; la sciagura pu derivare da un errore, da una colpa, da unantica
maledizione che si tramanda da padre in figlio o da un oscuro progetto del destino, oppure pu essere
totalmente assurda, crudele e ingiusta, come spesso lascia intendere Euripide.

Un altro elemento fondamentale la scelta. E tipico dellintreccio tragico mostrare leroe davanti a due
possibilit, entrambe dolorose: la decisione, qualunque essa sia, non lo porta alla salvezza, bens a nuove
sofferenze; in questo modo la tragedia propone al tempo stesso il tema della libert delluomo e quella
della sua limitatezza. Il dissidio del personaggio tragico non si trasforma, tuttavia, nellangoscia di chi si
sente prigioniero di una situazione senza uscita e si abbandona al destino con fatalismo; anzi, leroe tragico
tale appunto perch agisce e affronta la sua sorte , pur essendo consapevole che lo aspettano la sciagura
e linfelicit. E appunto da questa sfida senza illusioni che i personaggi tragici, per loro natura incapaci di
compromessi, derivano la loro esemplare grandezza, elevandosi al di sopra degli altri.

Il terzo elemento chimico della tragedia greca il destino. I personaggi del mito tragico sono libert
limitata da forze esterne, con cui si scontrano: gli di, i nemici umani, il fato o la comunit con le sue leggi e
i suoi vincoli. Talvolta (specialmente in Euripide) leroe spinto alla rovina dalle forze oscure che si agitano
dentro di lui, sfuggendo al suo controllo e portandolo allautodistruzione. La dinamica delleroe tragico si
muove dunque tra libert e costrizione; non gli mai concesso di operare come se fosse padrone di se
stesso e del mondo, poich questo mondo governato da forze visibili e invisibili che ostacolano la sua
autoaffermazione. Dalla consapevolezza di ci che scaturisce un pessimismo che costituisce il clima di
fondo della tragedia, ma non diventa mai cupa disperazione.

Riprendiamo qui alcuni concetti introdotti nel capitolo precedente (cfr. p. 16). Il contributo antico
fondamentale per lanalisi del fenomeno tragico si deve ad Aristotele: secondo la sua definizione, la
tragedia attraverso la piet e il terrore ( ) produce la purificazione () da simili
emozioni (Poetica 1449b). Non del tutto chiaro cosa intendesse Aristotele con il termine catarsi, che
pu avere contemporaneamente un valore magico (la cancellazione di una contaminazione), psicologico (la
liberazione da un surplus di emotivit) e medico (leliminazione degli umori che inquinano il corpo). Il
processo della catarsi tragica, cos come delineato da Aristotele, prevede una profonda empatia tra il
pubblico e lazione drammatica, una sorta di trasfert mediante il quale gli spettatori si identificano con le
passioni rappresentate sulle scena (esemplificate dagli estremi piet e terrore). Aristotele non era il
solo ad accentuare la valenza psicologica della tragedia: secondo la geniale formulazione di Gorgia (Fr. 11
Diels-Kranz), lo spettatore pi sapiente colui che pi si lascia ingannare, ossia, trascinare dalla profonda
emozione generata dallillusione teatrale. In questa prospettiva, il fine della tagedia non solo artistico, ma
anche psicologico e in definitiva educativo; la rappresentazione drammatica tende a produrre una forma
istintiva di conoscenza, cosicch il pubblico esce dal te4atro diverso di come entrato.

Lorigine della tragedia


Lorigine della tragedia costituisce uno dei problemi tradizionali della filosofia classica. Se vero, infatti, che
il dramma un genere letterario autonomo e indipendente e che non vi altra origine della tragedia
stessa (Pierre Vidal-Naquet), la sua preistoria pu consentire di identificare alcune caratteristiche
originarie. Ogni possibile interpretazione deve confrontarsi con la Poetica di Aristotele, che fu il primo a
formulare una teoria complessiva sul genere tragico, raccogliendo unampia documentazione- a noi non pi
accessibile- sulle fasi pi antiche del dramma attico. La tragedia-scrive Aristotele (Poetica 1449a) nasce
da origini improvvisate ed esattamente da coloro che intonano il ditirambo, vale a dire il canto culturale
in onore di Dionisio (il riferimento pi antico a questo genere letterario si trova in Archiloco). La tragedia
da brevi trame e da uno stile burlesco, perch derivava da un elemento satiresco (), presto
assunse un carattere serio e il metro da tetrametro trocaico divenne giambo; in un nprimo tempo infatti si
servivano del tretrametro perch quella poesia era di tipo satiresco e pi collegata con la danza.
Sembrerebbe un quadro piuttosto facile da comprendere: c un coro che canta per la festa di Dionisio
ispirandosi al tradizionale patrimonio mitico, poi il capo coro si stacca dal gruppo e inizia a dialogare col
coro, finch diventa un vero e proprio personaggio. Questa teoria, tra laltro, giustificherebbe sia il fatto
che ad Atene gli spettacoli tragici avvenivano durante le feste di Dionisio (le Grandi Dionisie) , sia il largo
spazio lasciato al coro nella fase pi antica del dramma (specialmente in Eschilio), spazio che in seguito va
progressivamente riducendosi. E difficile comprendere lesatta natura dei cori tragici di cui parla Erodoto o
dellelemento satiresco cui fa cenno Aristotele, che sembra caratterizzasse la tragedia primitiva ; non si
trattava dunque de3l dramma satiresco, che nacque dopo la tragedia. Possiamo ipotizzare che fosse una
forma serio-economica di rappresentazione a carattere rituale, forse impersonata da un coro di esseri
animaleschi (i satiri), demoni fallici della fertilit che facevano parte del seguito dionisiaco.

Daltra parte anche il rapporto fra tragedia e ditirambo per noi oscuro, giacch niente o quasi degli antichi
ditirambi si conservato per intero, a eccezione di due composizioni di Bacchilide, che per era attivo
quando la tragedia aveva gi assunto la forma definitiva e quindi poteva essere stato influenzato. Questi
due ditirambi raccontano non un mito dionisiaco, ma quello di Teseo, il grande eroe ateniese (Ditirambi
XVII e XVIII); uno di essi dialogato e comporta uno scambio di battute tra due semicori o tra un coro e il
capocoro. Possiamo pensare, dunque, che in epoca arcaica esistesse anche un diritambo non circoscritto al
culto dionisiaco: a questo proposito le fonti antiche attribuiscono un ruolo significativo ad Arione di Lesbo,
famoso citarodo del secolo VI a.C. cui Erodoto fa riferimento come inventore del ditirambo (Storie I,23);
Arione ne fu, invece, un innovatore, specialmente dal punto di vista coreutico e musicale, e forse (se si deve
dare credito allinformazione che viene dal lessico Suda) introdusse cori satireschi nei suoi ditirambi.

Oscura anche letimologia di tragedia. Si distinguono chiaramente le radici di canto () e capro


(): sarebbe quindi il canto del capro. Gi gli antichi ignoravano il valore preciso dellespressione e
pensavano che si riferisse ai satiri camuffati da demoni caprini, oppure come capro assegnato come premio
al vincitore dei primitivi agoni mimetici (canto per il capro, ipotesi, questa, che compare nellArs poetica
di Orazio, v. 220, e che era di origine ellenistica, dato che testimoniata per la prima volta dal poeta e
filosofo Eratostene di Cirene). Unaltra etimologia

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