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CONVERSAZIONE CON LUCA RONCONI


a cura di F.G. Sigismondi

Per ammissione dello stesso O'Neill II lutto si addice ad Elettra si


ispira al modello t/e//'Orestea di Eschìlo - la grande trilogia tragica
che lei ha già messo in scena in due diverse versioni. Trovandosi ora
ad allestire il dramma di O'Neill che relazioni ha colto tra il testo del
drammaturgo americano e il suo antecedente classico?

Rifacendosi ai modello di Eschilo, O'Neill con // lutto si addice ad


Elettra porta in primo luogo in scena l'inattingibilità del tragico nel-
l'orizzonte culturale contemporaneo. Rileggendo le vicende degli
Atridi attraverso le convenzioni drammaturgiche elaborate dal teatro
'borghese', O'Neill è costretto a compiere un essenziale tradimento
della natura della tragedia classica convertendo il mito in storia. La
temporalità 'assoluta' in cui agiscono Agamennone, Clitemnestra,
Elettra ed Oreste cede il passo alla temporalità determinata entro la
quale si consuma il dramma dei Mannon: collocata nel New England
all'indomani della conclusione della Guerra di Secessione, l'azione
del Lutto riduce la 'lunga durata' del mito alla 'contingenza' della sto-
ria. L'aggregazione mitica, in quanto racconto sedimentatosi nei seco-
li di un fatto mai realmente accaduto, è però irriducibile alla 'cronaca'
storica; la frizione che si produce inevitabilmente tra mito e storia
inscrive nel testo di O'Neill un notevole potenziale ironico - potenzia-
le che è tanto più forte quanto più il problema della praticabilità della
tragedia nel mondo contemporaneo viene affrontato dall'autore 'seria-
mente'. 11 collasso della struttura mitica si ripercuote inesorabilmente
sugli altri elementi portanti dell'architettura tragica: le implicazioni
religiose della drammaturgia classica sono tradotte da O'Neill nel
rigorismo della spiritualità puritana spinto sino al limite della bigotte-
ria. Parallelamente, spostando il baricentro dell'azione dalla dimen-
sione pubblica della polis alla sfera del privato e del soggettivo, il
valore politico della tragedia è degradato dal drammaturgo al patriot-
tismo e al militarismo tipico di certa cultura americana. Sul piano for-
male la messa in discussione della funzione 'civile' della tragedia si
* risolve in un'irreversibile crisi del coro. Limitandosi quasi sempre a
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riassumere gli antecedenti della vicenda, lo sparuto gruppo di abitanti


della città che all'inizio di ciascuna parte della trilogia di O'Neill
introduce l'azione, mi è parso una semplificazione a tal punto grosso-
lana del coro greco da non avere nemmeno più bisogno di essere. Per
questo allestimento, volendo ridurre // lutto si addice ad Elettro ai
suoi elementi narrativi e strutturali essenziali senza per altro intaccare
l'integrità della trama e il respiro "mahleriano' della partitura dram-
maturgica, ho dunque preferito, tra i numerosi tagli operati sul testo,
sopprimere integralmente questi personaggi. Da tale drastica elimina-
zione ha acquistato particolare rilievo la figura di Seth. Nel quadro
del nuovo assetto drammaturgico, il vecchio giardiniere dei Mannon -
a cui sono anche stati attribuiti i più significativi frammenti di battute
del coro soppresso - ha infatti assunto su di sé il ruolo di 'memoria
classica' dell'azione. Seth ci è insomma parso l'estremo depositario
di quanto sopravvive della sapienza mitica nell'orizzonte desolato
della storia.

Proprio in prospettiva 'politica' il significato profondo rfe//'Orestea


si coglie nella trasformazione delle Erinni in Eumenidi, divinità
garanti del nuovo ordine civico. Che ne è di questa metamorfosi nella
trilogia di O'Neill?
Il Reinterpretando in chiave 'psicologica' le figure del mito, O'Neill
compie un ulteriore tradimento dello spirito tragico. Per dichiarazione
dell'autore le Furie che mlVOrestea perseguitano Oreste cessano nel
Lutto si addice ad Elettro di essere entità 'oggettive' esterne all'eroe e
si calano nella sua 'interiorità' trasformandosi nel rimorso o nel senso
di colpa. Proprio questo processo di interiorizzazione impedisce la
metamorfosi delle Furie in Eumenidi: nella terza parte della trilogia
o'neilliana resta soltanto il rimpianto di una metamorfosi impossibile.
Nel dramma di O'Neill l'ambigua figura mitica della Furia-Eumenide
sopravvive in una dimensione assolutamente 'privata' di incubo che
può al massimo 'oggettivarsi' nell'ossessione - per altro tutta sogget-
tiva - dei personaggi per i fantasmi del passato. Il tema ricorrente del
fantasma - emblematizzato nei ritratti dei morti Mannon - non è in
fondo che l'estrema degradazione e negazione di gusto 'gotico' del
rito di fondazione narrato da Eschilo.
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Nella drammaturgia contemporanea i tentativi di riscrittura di miti


classici sono particolarmente frequenti. Rispetto ad esperimenti ana-
loghi quali caratteri specifici presenta II lutto sì addice ad Elettra?

Un motivo di particolare interesse che ho trovato nella trilogia di


O'Neill è che questa non si limita ad una ennesima rielaborazione tea-
trale del mito greco degli Atridi, ma si pone in relazione ad un antece-
dente drammaturgico preciso - YOrestea di Eschilo - e porta in scena
le cause stesse per cui quell'antecedente risulta in realtà impraticabile.
Sintomatica è in tal senso la contrapposizione tra i membri della fami-
glia Mannon, epigoni della grande tradizione tragica, e i due fratelli
Niles. Peter ed Hazel risultano infatti portatori di una logica 'borghese'
del sentimento, fondata sulla razionalità degli affetti, incompatibile
con il carattere costituzionalmente 'eccessivo' della 'passione' tragica.
Nel mondo contemporaneo il personaggio non può però assurgere alla
statura dell'eroe classico: come i loro antecedenti tragici i Mannon
sembrano sì 'essere agiti' da potenze che li eccedono, ma a fronte della
normalità di Peter ed Hazel, risulta chiaro che il 'demone' da cui essi
sono posseduti non è di origine divina, ma patologica. Per questa via lo
stesso concetto di Fato finisce con l'essere rimesso in discussione: pri-
vato di ogni risvolto metafisico il destino è ridotto ad una matrice
quasi biologica e la maledizione dei Mannon sconfina nella tara gene-
tica. La patologia - surrogato psicoanalitico della 'passione' tragica - è
però una malattia contagiosa: nell'ultimo atto della terza parte, all'api-
ce della tensione drammatica, lo squilibrio dei Mannon arriva ad insi-
diare pure l'ordine borghese dei fratelli Niles. Nel Lutto si addice ad
Elettra l'esasperazione patologica è tale da sconfinare in una sorta di
determinismo meccanicistico. 1 vari membri della famiglia Mannon
risultano privi delle complicazioni psicologiche sottese all'agire dei
personaggi della più ortodossa drammaturgia borghese: in preda alle
loro personali ossessioni essi diventano semplici manichini, congegni
drammaturgici che replicano comportamenti altrui - siano essi quelli
dei genitori o quelli dei loro antecedenti mitici - al di là di ogni preoc-
cupazione di approfondimento psicologico.

Nell'esperienza concreta della messa in scena come ha affrontato la


sostanziale 'duplicità' del Lutto si addice ad Elettra derivante dal
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costante rapportarsi del testo o'neiUiano all'archetipo tragico?

Portando in scena il dramma di O'Neill ho cercato di mantenermi


fedele al principio costruttivo del testo. In sostanza l'abisso spalanca-
tosi tra la Grecia di Eschilo e l'America di O'Neill non è troppo
diverso da quello che si apre tra il mondo di O'Neill e il nostro: il
New England del diciannovesimo secolo rientra infatti in un sistema
di coordinate culturali totalmente estranee a quelle in cui viviamo. Di
comune accordo con gli attori abbiamo quindi affrontato lo spettacolo
immaginandolo come un tentativo da parte di una compagnia italiana
dei nostri giorni di rappresentare una tragedia appartenente ad una
cultura estranea in termini spaziali e temporali - tentativo destinato al
fallimento in quanto gli interpreti restano impigliati in un materiale
drammaturgico che, pur aspirando al sublime mitico, non è per sua
natura tragico. Senza cadere in facili giochi metateatrali abbiamo
quindi cercato di impostare la messa in scena su di un doppio livello
capace di riflettere l'ambiguità della struttura drammaturgica di par-
tenza: nello spettacolo la rappresentazione della vicenda vera e pro-
pria coesiste cioè con la rappresentazione del tentativo compiuto dagli
attori di rapportarsi al dramma. In questo modo abbiamo anche cerca-
to di evitare ogni concessione al gusto delF'esotico'. Il rapporto con
la cultura americana - radicalmente 'altra" - non è stato cioè risolto
nei modi di una ricostruzione documentaria fondata sulPimmedesima-
zione e sulla pedissequa adesione alle indicazioni fornite dal dramma-
turgo, ma è stato filtrato attraverso un sistema di riferimenti che ci
appartengono senza per altro escludere 'citazioni' comportamentali e
gestuali del mondo statunitense. Anche in questo caso l'attrito tra i
diversi orizzonti culturali - quello italiano e quello americano - ha
assicurato la possibilità di risvolti ironici non determinati dalla
volontà di ammiccare al pubblico, ma dal desiderio di aderire allo spi-
rito dell'operazione drammaturgica di O'Neill.

Escludendo l'ipotesi di una fedele trascrizione scenica delle indica-


zioni dell'autore che tipo di ambientaziotie ha pensato per il suo spet-
tacolo?

A differenza del racconto mitico che conserva una propria attualità al


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di là dell'epoca in cui nasce, la cronaca storica tende ad esaurire rapi-


damente la propria vitalità: l'America ottocentesca che fa da sfondo
alle vicende dei Mannon risulta ai nostri occhi inevitabilmente priva
di qualsiasi interesse che esuli dalla mera curiosità documentaria.
Facendo nostra la libertà con cui O'Neill sì è rapportato al modello
deìl'Orestea abbiamo quindi cercato, in assoluta fedeltà alla lettera
del testo, di 'tradire' // lutto si addice ad Elettro individuando un'am-
bientazione e un sistema di convenzioni rappresentative in grado di
restituirci, nella sua piena vitalità, l'indagine compiuta dal dramma-
turgo americano sulla degradazione del mito tragico. Senza cadere in
un eccessivo rigore di determinazione temporale, la scelta dell'am-
bientazione è caduta sull'immagine dell'America formatasi in Europa
nel secondo dopoguerra attraverso la massiccia diffusione di fìlms sta-
tunitensi. L'importanza della cultura americana per la comprensione
della trilogia di O'Neill non ci deve far dimenticare la matrice essen-
zialmente europea dì questo esperimento di scrittura teatrale. Non sol-
tanto O'Neill attinge al modello di Eschilo ma, nel riplasmare il mito
degli Atridi, egli si giova delle strutture drammaturgiche elaborate in
Europa da Ibsen o Strindberg. Lo stesso schema psicanalitico attra-
verso cui viene strutturato il materiale mitico è in realtà di derivazione
europea: nonostante O'Neill cerchi di ridimensionare l'influsso eser-
citato dalla psicanalisi freudiana sulla composizione della propria tri-
logia, è innegabile per esempio che l'interpretazione psicanalitica del
modello comportamentale rappresentato dai complesso edipico abbia
avuto larga parte nella stesura dei Lutto di addice ad Elettro. Il testo
di O'Neill si presenta dunque come un classico caso di rielaborazione
secondo i paradigmi della cultura americana di un patrimonio di pen-
siero di origine europea. Come spesso è accaduto nel corso del nostro
secolo, l'America ha poi riesportato in Europa tali rielaborazioni
spacciandole per creazioni originali. Caso tipico è proprio quello della
cultura psicanalitica che, presso il pubblico meno colto, viene divul-
gata nel vecchio continente tra gli anni quaranta e gli anni cinquanta
attraverso la produzione cinematografica statunitense. La rappresenta-
zione della psicopatologia codificata da jìlms di Hitchcock quali lo ti
salverò, La donna che visse due volte o Psycho ci è sembrata dunque
il più naturale filtro per la messa in scena del Lutto si addice ad
Elettro. I clichés di certa cinematografia di 'genere' del secondo
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dopoguerra sono poi il naturale corrispettivo delle invecchiate con-


venzioni melodrammatiche che strutturano la sintassi del dramma di
O'Neill: anche in questa prospettiva l'immagine dell'America che gli
spettatori europei si formano intorno agli anni cinquanta attraverso il
cinema fornisce una preziosa mediazione per la messa in scena
dell'Elettra o'neilliana. È per esempio attraverso tali schemi di lettura
che le scene di esaltazione passionale, pur nella loro sostanziale 'inau-
tenticità', trovano una concreta fruibilità teatrale. L'immaginario
cinematografico diventa quindi una sorta di mitologia alternativa al
mito degradato a storia del Lutto si addice ad Elettra.

Anche nell'impianto spaziale si è discostato dalle indicazioni di


O'Neill?

Nel Lutto si addice ad Elettra l'organizzazione spaziale dell'azione è


essenzialmente polarizzata su dì una contrapposizione tra interno ed
esterno. Ognuna delle tre parti della trilogia si apre all'esterno del
palazzo dei Mannon, quindi, proseguendo nell'azione, lo spettatore
viene introdotto nelle sale interne della lussuosa residenza. La
metafora spaziale è evidentissima: l'impianto scenografico allude a
quel processo di interiorizzazione di cui abbiamo già parlato. Per chi
non avesse colto l'analogia tra la sintassi spaziale e la logica di
costruzione del personaggio, Christine dichiara esplicitamente che la
facciata della casa, col suo porticato neoclassico, non è che una
«maschera» sovrapposta all'edificio, in tutto e per tutto simile alle
«maschere» nelle quali si irrigidisce l'espressione dei membri della
famiglia Mannon. La polarizzazione interno-esterno si carica di un'ul-
teriore valenza simbolica ne! quarto atto della seconda parte quando è
lo stesso oceano ad essere portato in scena. Il tema del mare, che
ricorre ossessivamente nella drammaturgia di O'Neill, si collega
metonimicamente in questo episodio a quello delle «isole felici»,
luogo mentale più che geografico, simbolo, nell'immaginario del
drammaturgo, del Paradiso perduto, dell'innocenza precedente alla
scoperta del peccato. 11 rigore con cui O'Neill costruisce l'architettura
spaziale della propria azione non ammette deroghe: è possibile sfron-
dare le indicazioni dell'autore relative ai particolari 'realistici' della
messa in scena, ma non si può intaccare il ritmo con cui gli interni si
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succedono agli esterni. Facendo leva su questa organizzazione spazia-


le bipolare abbiamo potenziato la contrapposizione di partenza isti-
tuendo un'ulteriore divaricazione tra una sorta di fuori-scena e la
scena vera e propria. Gli interpreti recitano ora in scena ora in un
altrove non ben definito in armonia con la loro identità ambigua, a cui
ho già fatto cenno, di attori che si rapportano ad un aggregato mitico e
di protagonisti della saga dei Mannon. Ci troviamo insomma in pre-
senza di un vasto spazio esploso che gli attori devono conquistare e
gestire nel corso della rappresentazione e che il pubblico deve rico-
struire attraverso la propria percezione; uno spazio mobile in cui si
alternano punti di vista diversi.

Lo sdoppiamento che si produce nello spettacolo tra il piano della


vicenda narrata da O'Neill e quello del rapporto tra gli attori e l'azio-
ne drammatica come si è tradotto nella costruzione dei personaggi?

Sospesi tra origine mitica e identità storica i personaggi del Lutto


sono per gli attori più una meta da conquistare nel corso della rappre-
sentazione che un a-priori da presentare allo spettatore in forma defi-
nita sin dalla prima apparizione in scena. Occorre poi osservare che lo
scarto maggiore o minore introdotto da O'Neill tra i propri personaggi
e i loro rispettivi modelli mitici, diventando parte integrante del carat-
tere dei personaggi stessi e come tale oggetto di rappresentazione, si
presta ad essere reso proprio attraverso la messa in scena del rapporto
tra l'attore e la figura che egli è chiamato ad incarnare. Paradigmatica
è in tal senso la contrapposizione tra Lavinia e Christine. Nata dalla
volontà dì dare ad Elettra una degna fine 'tragica' che la sollevasse da
quel destino dì mediocrità coniugale cui il mito la condannava,
Lavinia è tra i personaggi di O'Neill quello che maggiormente si sfor-
za di aderire all'antecedente mitico. All'opposto Christine tende ad
allontanarsi dal proprio modello e la sua ansia di sottrarsi al destino di
Clitemnestra precipita nella scelta del suicidio, scelta assolutamente
inconcepibile per l'eroina di Eschilo. A ben guardare la differenza
riscontrabile tra le due figure nei loro rispettivi modi di rapportarsi
all'antecedente mitico può essere tradotta scenicamente nella contrap-
posizione tra due diverse tipologie di attori, l'una tesa alla totale
fusione con il proprio personaggio, l'altra più libera dai condiziona-
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menti drammaturgici e desiderosa di affermare in primo luogo la pro-


pria personalità.

// lavoro degli attori è stato quindi impostato su di una sorta di prin-


cipio di montaggio?

Sicuramente. Il carattere patologico dei personaggi, l'ambiguità della


loro identità e la tensione creata tra l'attore e la figura da lui incarnata
hanno infatti imposto di rinunciare ad ogni 'continuità' interpretativa.
Costruita sulla giustapposizione di 'frammenti', la recitazione proce-
de per salti ed ellissi che, rompendo con la logica dello 'stato' d'ani-
mo, riproducono la dinamica di quello squilibrio crescente in cui ine-
sorabilmente precipita il racconto di O'Neill.

Nel passaggio da Strano interludio a 11 lutto si addice ad Elettra


O'Neill si impone di abbandonare l'artificio dei pensieri recitati ad
alta voce che avevano fatto del dramma del 1928 uno dei testi più
innovativi nell'ambito della drammaturgia sperimentale di inizio
secolo. Per quel che concerne l'organizzazione dialogica la scompar-
sa degli a-parte segna a suo giudizio un'involuzione nel percorso
drammaturgico di O'Neill?

Non credo. Anche se in apparenza la logica di successione delle bat-


tute sembra infatti rispondere alla sintassi del dialogo tradizionale, ad
un esame più attento ci si accorge che le regole secondo le quali si
costruisce il testo violentano in realtà le convenzioni dialogiche cano-
niche. 11 furore patologico di cui sono preda i personaggi non condi-
ziona soltanto il loro agire, ma deforma pure il loro rapporto con la
comunicazione. O'Neill attinge a piene mani alla retorica freudiana
per distorcere il dialogo: frequente è per esempio nell'£7effra il ricor-
so al lapsus - figura che porta i personaggi ad esprimersi al di là della
loro volontà. L'assoluta scarnificazione del linguaggio, ridotto ad un
vocabolario minimale, fa sì che ognuno dei protagonisti della vicenda
carichi le poche parole ossessivamente ricorrenti nelle varie conversa-
zioni di un proprio significato privato; si originano in questo modo
continui fraintendimenti che impediscono un'autentica comunicazio-
ne: sotto la maschera del dialogo spesso si celano monologhi montati
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in parallelo. L'estrema penuria lessicale è compensata dall'accensione


visionaria del linguaggio: le parole non valgono tanto per il loro signi-
ficato quanto per la loro capacità di suscitare immagini. Ogni vocabo-
lo si trasforma così in impulso rapidissimo a cui i vari interlocutori
reagiscono in modo diverso. Una sorta di curioso "minimalismo'
wagneriano scandisce l'articolazione del Lutto si addice ad Elettra: la
variazione ossessiva di un numero ristretto di temi crea una sinfonia
di dimensioni imponenti. E questo un principio strutturante che agisce
su più piani: da quello lessicale a quello della costruzione dell'azione
e dei personaggi. Non sono infatti soltanto le parole a ripetersi, anche
le 'situazioni', le dinamiche conflittuali e i caratteri dei protagonisti
della trilogia si replicano infatti con scarti minimi di atto in atto,

Questa povertà di linguaggio e di strutture narrative è segno di una


sostanziale imperizia dello scrittore?

Sicuramente O'Neili non è un grande poeta, ma è un drammaturgo


straordinario. 1 suoi testi, spesso di modesta qualità letteraria, si rive-
lano alla prova del palcoscenico dei meccanismi drammaturgici di
grande raffinatezza. Nel Lutto si addice ad Elettra per esempio lavo-
rando su una gamma ristretta di snodi narrativi e sovente quasi ripe-
tendo le stesse battute riesce a creare tredici atti di lunghezza diversi-
ficata in cui si alternano generi teatrali molto diversi dal tragico, al
gotico o al grottesco.

Che funzione attribuisce al commento musicale in questo allestimento


dell 'Elettra?

Le musiche di questa messa in scena non sono un semplice accompa-


gnamento di sottofondo, ma costituiscono una base con cui gli attori
sono chiamati a colloquiare ed interagire. Il carattere dei brani è quan-
to mai diversificato: si spazia dalla musica colta alle colonne sonore
di quei films americani del secondo dopoguerra che - come ho già
spiegato - hanno avuto un'importante funzione di mediazione cultura-
le nella nostra trascrizione scenica della trilogia di O'Neili. Al di là
della natura dei singoli pezzi la musica ha però sempre la funzione di
produrre un attrito, di stabilire una distanza, di creare una tensione
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dialettica con la recitazione. Lungi dai risolversi in una grossolana


parodia, la sottolineatura melodrammatica di certi brani non è che un
segno dell'ineluttabile fallimento a cui è condannato ogni tentativo di
approssimazione all'enigmatica sapienza tragica. Anche sul piano del
rapporto musica-azione il doloroso peso degli strappi e delle mulila-
zioni prodotte dalla storia si raggela nel lucido distacco dell'ironia.

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