Sei sulla pagina 1di 11

Il teatro come strumento di prevenzione della violenza contro le donne.

di Elisabetta Strickland

Il tema, quello della violenza sulle donne, è uno dei più attuali e affrontarlo
secondo differenti sensibilità e fuori da luoghi comuni e vittimismi un po’ retorici
trova nel teatro una modalità efficace che equivale ad un semplice e perentorio
“Violenza no”, con l’aggiunta di una importante valenza culturale. Prova ne è il
fatto che negli ultimi anni, in occasione della ricorrenza del 25 Novembre,
giornata internazionale contro la violenza sulle donne, un vasto numero di
compagnie teatrali in tutto il paese si è impegnato a confrontarsi su questo
stesso, drammatico leit-‐motiv, presentando spettacoli che inducano a riflettere,
con stili diversi, su questo allarmante fenomeno sociale. L’esigenza in un
momento difficile come quello che stiamo vivendo, in cui rischiamo di smarrire
riferimenti culturali e valori, induce il teatro a non essere autoreferenziale, ma
occasione di crescita e confronto.
La data simbolica del 25 novembre, in ricordo dell’assassinio avvenuto nel 1960,
nella Repubblica Domenicana, delle tre sorelle Mirabal, torturate e strangolate
per la loro opposizione alla dittatura trentennale di Rafael Leonidas Trujillo,
oltre alla sua importanza civile e politica, consente di organizzare diverse azioni
tutte volte a dire “basta”, per dimostrare il dissenso contro ogni forma di abuso e
sopraffazione. Il numero crescente di morti femminili per mano di mariti,
compagni, familiari, conoscenti, non rappresenta che la drammatica punta
dell’iceberg di una violenza di genere diffusa, capillare, quotidiana. Secondo
l’Istat, in Italia le donne tra i 16 e i 70 anni che hanno subito una qualche forma
di violenza sono 6 milioni e 743 mila, più del 30% del totale, cioè una su tre.
Questi numeri portati in teatro vengono messi in evidenza con colori a volte
sfumati, a volte forti, con fotogrammi e frammenti di drammatizzazione che
risultano, essendo effettuati dal vivo, assai efficaci sul piano della denuncia dei
maltrattamenti in famiglia o all’interno della coppia e del contrasto della
violenza in tutte le sue sfaccettature fisiche, psicologiche, sociali, culturali.
Naturalmente è difficile che un messaggio di tal genere possa essere veicolato
con efficacia tale da poter veramente produrre cambiamenti significativi nella
mente dell’individuo. Infatti, nonostante le conferenze, le campagne
pubblicitarie, gli slogan, le tavole rotonde ed i dibattiti che si susseguono con
nobili intenti, l’escalation della violenza lascia sbigottiti. Ma tra le vie per
arginare e prevenire femminicidio, violenza, aggressività , il teatro può
certamente svolgere un’azione incisiva sul piano della prevenzione,
semplicemente per la sua azione liberatoria, formativa, educativa, per la sua
capacità di coinvolgere i molti, per la sua natura socializzante, per la fruibilità
del linguaggio che utilizza.
Del resto il Teatro da sempre è il luogo del “dialogos”, della universalizzazione
dei messaggi di gioia o dolore.
Inoltre il teatro e il femminile hanno una storia lunga e corposa.
A questo proposito in effetti non ci sembra inutile nel nostro excursus fare
volutamente un vero e proprio viaggio a ritroso nel tempo alla ricerca delle
espressioni di un fenomeno tanto antico e ancora purtroppo attuale quale quello
della violenza di genere: una discesa a precipizio nel cuore della storia per
scoprire il teatro come un ineguagliabile strumento formativo.

All’inizio del teatro occidentale gli autori, per le loro tragedie imperniate sui
grandi temi della vita, non potevano evitare di dare alla donna (madre,
sposa,figlia) un ruolo decisivo. E anche se le parti femminili erano interpretate da
uomini, sul palco trionfavano le virtuose Alcesti o Antigone o imperversavano le
proterve Clitemnestra, Fedra, Medea. Tra le opere del teatro greco antico quasi
la metà hanno titoli femminili, con i nomi di figure di donne memorabili, Medea,
Elena, Fedra, Antigone, Elettra, Ecuba. Del resto, seppure il ruolo pubblico delle
donne nel’Antica Gracia fosse ridottissimo, dato che erano giuridicamente e
politicamente marginali, nella letteratura le donne contavano: scatenavano
guerre (Elena), sfidavano i sovrani (Antigone), si ribellavano ai mariti (Medea).
Fin da allora quindi la passione, il dolore femminile diventa un modello per il
dolore e la passione degli uomini. E’ interessante notare che anche nell’Atene del
V secolo viene evidenziata in teatro la dicotomia del rapporto uomo-‐donna: vita
fuori di casa per l’uomo e vita chiusa tra le mura domestiche per la donna. Il
teatro permetteva di accorciare questa distanza, consentendo alle donne di
entrare in un terreno che nella vita quotidiana è loro precluso.
Nel teatro latino le donne hanno un destino incerto, alcuni autori, come Ovidio e
Giovenale, parlano del carattere corruttore del teatro sulle donne, che riescono a
fare le attrici solo quando i teatri sono chiusi. I personaggi femminili sono spesso
quelli ereditati dalla Grecia: la letteratura latina contempla due Medee, una di
Ovidio e una di Seneca, e sempre Seneca ha dedicato una delle sue nove tragedie
ad Antigone. Anche Fedra venne ripresa da Seneca e molto più tardi da Racine e
da Gabriele d’Annunzio.
Dopo la caduta dell’impero romano sembrò che il teatro fosse destinato a non
esistere più , dato che la Chiesa cattolica, oramai diffusa in tutta europa, non
apprezzava il teatro e addirittura scomunicava gli attori.
Nel Medioevo gli attori non erano professionisti ed erano tutti uomini, anche
nelle parti femminili.
Fortunatamente all’inizio del XVI secolo la condizione femminile diventa oggetto
di intensa riflessione e la donna è al centro di una rinnovata curiosità .
L’esperienza greca viene completamente ripensata. Nuove eroine tragiche
popolano la scena teatrale del Rinascimento, come la Sofonisba di Trissino che,
come fondamentale archetipo di genere, constituisce un filtro attraverso cui
tutta l’esperienza greca viene completamente ripensata e figure come Antigone,
Alcesti e Medea vengono rivisitate in chiave moderna. Una nota caratteristica di
questo periodo è che le donne usano la trasgressione per affermare la propria
individualità : esse disobbediscono, ingannano, tradiscono, persino uccidono. Le
loro storie tendono a mettere in scena l’orrore prodotto dalla violenza e dalla
ambiguità del potere politico di segno maschile.
Nel cinquecento è soprattutto il teatro comico che comincia a vedere presenze
femminili creative, anche perchè si andava affermando un tipo di recitazione
basato su canovacci, modificabili a seconda del tipo di pubblico e tale commedia
ricca di improvvisazioni favoriva le attrici che potevano esibire grazia ed
eleganza, oltre ad eloquenza e cultura. La figura più famosa nel panorama
teatrale del Cinquecento è quella di Isabella Andreini, che per le sue Rime scrisse
circa cinquecento componimenti, tra sonetti, madrigali, canzoni, canzonette ed
altro. Un vero peccato fu che il Concilio di Trento vide la donna attrice come una
donna di facili costumi, molto più pericolosa delle vere meretrici, perchè trovava
vidimazione nel fascino della scena.
Ai tempi di Shakespeare la professione teatrale era considerata di stretta
pertinenza maschile e non si videro donne recitare sulle scene fino al 1660,
quando per la prima volta una donna, Margaret Hughes, interpretò la parte di
Desdemona nell’Otello. Nell’opera di Shakespeare le figure femminili sono molte
e significative e la natura della donna è espressa in tutta la sua profondità . Del
resto Amleto esclama “Fragilità , il tuo nome è donna!” e nel Re Lear si esclama
“uno spirito deforme è meno orribile nel diavolo che in una donna”.
La ribellione femminile serpeggia nell’opera del grande autore britannico:
Desdemona nell’ Otello sposando il Moro va contro i desideri di suo padre e si
ribella alle regole della società e del suo ceto; nel Macbeth la sete di potere della
protagonista diventa ossessione, forza della natura, passione selvaggia ed ella è
ben conscia che la sua realizzazione come donna passa attraverso la perdita della
sua essenza femminile per simularne una maschile. Ofelia quando capisce la
forza del suo amore per Amleto impazzisce davanti al rifiuto dell’amante e
annega in acqua per un banale incidente. Giulietta rifiuta le convenzioni che
assegnavano alla donna solo il ruolo di immagine ideale di bellezza e si uccide
assieme a Romeo per combattere gli ostacoli posti dalle loro famiglie rivali. Va
notato analizzando questi personaggi celeberrimi che la fama di Shakespeare fu
stabilita grazie alle donne, anche se la società elisabettiana non avrebbe mai
permesso ad una donna di diventare un autore tanto importante: questa è la tesi
sostenuta dalla scrittrice Virginia Woolf che nel suo libro Una stanza tutta per sè ,
pubblicato nel 1928, immagina che il drammaturgo abbia avuto una sorella,
Judith Shakespeare, con le sue stesse doti ma alla quale sarebbe stata preclusa
qualunque forma di apprendimento. Presa dalla disperazione, si sarebbe
probabilmente uccisa per rimanere fedele alla strada che aveva cercato di
intraprendere, perchè il suo unico destino doveva rimanere quello della
sottomissione, dell’anonimato, della rinuncia ad ogni aspirazione che non fosse
quella di madre e moglie.
Curiosamente è proprio l’opera straordinaria di Shakespeare che ci ha lasciato
uno degli esempi più cruenti di violenza di genere mai visti in teatro,
precisamente nel Tito Andronico, una “tragedia di vendetta” in cui il grande
autore superò i suoi stessi modelli nella rappresentazione scenica della crudeltà
più efferata. Il personaggio femminile della dolce e violata Lavinia, figlia
prediletta di Tito Andronico, che dopo essere stata brutalizzata, con successivo
taglio della lingua e mozzatura delle mani, dai figli della regina dei Goti Tamora,
Demetrio e Chirone, viene anche da loro sbeffeggiata, è talmente forte che
Shakespeare stesso, nelle sue tragedie successive, non arrivò più a questi eccessi,
nemmeno nel suo Re Lear che pure ha vari punti di contatto con il Tito Andronico,
ad esempio nel rapporto fra Tito e Lavinia, che prefigura quello di Lear e sua
figlia Cordelia.
Va anche detto che nel Tito Andronico Shakespeare rinuncia in gran parte alla
propria capacità di analisi psicologica, al suo gusto per le sfumature, per le sottili
e complesse ambivalenze emotive, e anche alla propria genialità linguistica ed
espressiva, per concentrarsi esclusivamente nella creazione di una macchina
teatrale efficace e di grande effetto scenico, cui tutti gli altri elementi del dramma
sono subordinati, anche la stessa qualità letteraria della scrittura.
All’inizio del settecento cresce la centralità dell’interpretazione femminile,
soprattutto in Carlo Goldoni, che con Metastasio e Vittorio Alfieri è l’esponente
massimo del teatro italiano del settecento. Con Goldoni la figura femminile
assume per la prima volta i tratti di una figura moderna. Infatti il personaggio
femminile più amato è quello di Mirandolina ne La Locandiera, che vanta un
record di interpretazioni, da Adelaide Ristori a Eleonora Duse, da Rina Morelli a
Annamaria Guarnieri, Adriana Asti, Valeria Moriconi, Carla Gravina, Marina
Malfatti. Mirandolina è soprattutto una donna d’affari, che pone la locanda al
centro della sua vita. Nel repertorio di Goldoni ci sono ben 51 commedie con
titoli al femminile e le sue donne sono nuove, moderne, spregiudicate, donne che
amano, lavorano, soffrono e sanno godersi la vita, mai però dimenticando il
rispetto dovuto a loro stesse.
La situazione cambia in modo radicale nell’ottocento dato che finalmente la
donna raggiunge un inserimento sociale e si trasforma in un modello di morale e
di costume.
E’ un secolo in cui primeggiano le interpreti, cominciando da Anna Fiorilli
Pellandi (Padova 1772-‐1840) che esordisce quindicenne nella Virginia
di Vittorio Alfieri, guadagnandosi nel seguito grazie al suo eclettismo
l’appellativo di “miracolo dell’arte”. Le seguirono Carlotta Marchionni
(Pescia 1796-‐1861) celebre protagonista della Francesca da Rimini di Silvio
Pellico, Amalia Bettini (Milano, 1809-‐1894) Adelaide Ristori (Cividale del
Friuli, 1822-‐1906). Quest’ultima ebbe fama internazionale e compì numerose
tournee’ anche negli Stati Uniti e in Sudamerica, dove portò con se un’immagine
di grande artista e ardente patriota.
Dopo l’unità d’Italia un’ondata di rifiuto del perbenismo rende gli italiani meno
critici sulle qualità morali dei personaggi. La rappresentazione della Dama delle
Camelie di Alessandro Dumas, rifiutata dalla Ristori ma portata al successo da
Fanny Sadowsky e Clementina Cazzola, ne è la prova. Tra l’altro la Cazzola lasciò
il marito per Tommaso Salvini con cui mise su una compagnia e con lui portò in
teatro un nuovo stile più spontaneo. Anche Giacinta Pezzana (Torino 1841-‐
1919) è su questa lunghezza d’onda e mostra aspirazioni di regista.
Il teatro all’inizio del novecento, quando ancora non esistevano nella vita degli
italiani il cinema e la televisione, ha contribuito a modellare l’opinione comune.
Presentando l’immagine della donna che si allontana da quella tradizionale di
madre e moglie devota, ha partecipato al lento progresso di emancipazione
femminile, tramite il suo potere di influire sul pensiero degli spettatori.
Eleonora Duse fu la massima esponente teatrale dell’epoca con il suo repertorio
vasto ed eclettico, con i suoi incontri umani ed artistici che sfociano anche nel
privato. Fu la musa di Gabriele d’Annunzio in Francesca da Rimini, Gioconda e Il
sogno di un mattino di primavera. Il sodalizio artistico finì quando Irma
Gramatica ebbe il ruolo della prima interprete ne La figlia di Jorio. Ma la Duse
non si arenò e introdusse Ibsen sulle scene italiane, interpretando una
memorabile Nora in Casa di Bambola. Nel 1914 tentò di organizzare a Roma con
i propri mezzi la “Libreria delle Attrici”, si avvicinò ai movimenti femministi e
diventò amica di Matilde Serao. Purtroppo la Libreria venne aperta nel 1914 con
una elegante cerimonia, e richiusa per fallimento nel 1915, quando l’Italia venne
coinvolta nella prima guerra mondiale: la libreria venne smontata e libri regalati
a delle maestre e i mobili inviati ai terremotati in Abruzzo.
Negli stessi anni in cui trionfava la Duse, Italia Vitaliani diventò una delle attrci
più importanti del panorama teatrale italiano e non solo. Italia era cugina e
rivale in arte della Duse, fu soprannominata “il sergente di ferro” per il suo
rigore artistico e fu inoltre una delle prime donne a rivestire il ruolo di
capocomico, cioè di colui che amministra le paghe degli artisti e decide il
repertorio. In effetti le venne detto “signorina, voi siete un perfetto gentiluomo”.
Luigi Pirandello diventa nei primi del novecento uno scrittore “femminista”:
con la sua angosciata attenzione alla condizione della donna, lo scrittore è
sempre dalla parte di lei. Inoltre trovò nella venticinquenne Marta Abba che
incontrò nel 1925 il ritratto fisico vivente di alcune fra le più inquietanti
immagini femminili uscite dalla sua mente. Le interpretazioni della Abba erano
originali e molto discusse, il suo modo di recitare assai diverso da quello della
Duse, molta foga e scarso controllo, recitando quasi sempre “sopra le righe”. Le
ultime opere di Pirandello sono tutte scritte per Marta Abba ( Trovarsi, L’amica
delle mogli, Come tu mi vuoi ), che recitò in Italia e all’estero, anche nella tanto
sognata America.
Nel secondo dopoguerra si assiste ad un generale risveglio culturale che vede
protagoniste anche le donne. Nel teatro appaiono Natalia Ginzburg, che scrive Ti
ho sposato per allegria interpretata da Adriana Asti, poi Alba De Cespedes e
Dacia Maraini. Quest’ultima negli anni sessanta fondò il Teatro della Maddalena a
Roma per portare in scena le battaglie sociali e il “privato” delle donne. Il teatro
fi inaugurato nel 1973 con lo spettacolo Mara, Maria , Marianna. Materiali per un
discorso sulla condizione attuale della donna, scelti ed elaborati da Maricla Boggio,
Edith Bruck e Dacia Maraini. Verso la fine degli anni ottanta questi primi
tentativi sperimentali danno i loro frutti e i nuovi testi affrontano tematiche
tipicamente femminili. Nel 1991 nasce il Teatro delle Donne, che propone un
teatro pensato, scritto e realizzato dalle donne, che copre un ventaglio di temi
sempre più ampio. Lina Wertmuller esordisce nel 1968 con 2+2 non fa più
quattro, nel 1992 Franca Rame porta in scena Parliamo di donne, Margaret
Mazzantini nel 1998 scrive Manola.
Dacia Maraini in particolare raccoglie quasi settanta testi in due volumi Fare
teatro 1966-2000 e Cristina Comencini scrive Due partite che nel 2009 diventa un
film.
Per Dacia Maraini il teatro è anche un luogo per informare il pubblico riguardo a
specifici problemi sociali e politici. Certamente il suo contributo alla
rappresentazione teatrale di problematiche femminili è considerevole, non solo
dagli albori della sua produzione quando fondò insieme ad altri scrittori il Teatro
del Porcospino e scrisse Maria Stuarda, che ottenne un grande successo
internazionale, Dialogo di una prostituta con un suo cliente, Stravaganza,
Veronica, meretrice e scrittora e Camille, ma fino ai giorni nostri, con personaggi
femminili a cui vuole dare la parola tanto lungamente negata sulla scena
pubblica.
E venendo finalmente al tema della violenza contro le donne, è nuovamente la
Maraini a portare in teatro un filone attuale e doloroso, con Passi affrettati, un
testo teatrale di racconti di violenza a donne, dieci storie vere raccolte con
Amnesty International in giro per il mondo.
Queste storie inizialmente destinate al palcoscenico ma poi raccolte in un piccolo
libro, hanno lo scopo di far cogliere il fatto che la violenza è trasversale e
percorre tutti i continenti. In esso tutto è concitato come quei “passi affrettati”
che hanno le donne in fuga da situazioni di violenza famigliare o da
discriminazioni ataviche, dalle persecuzioni di uomini o clan che, defraudati del
loro potere sul mondo femminile, reagiscono al peggio.
E’ proprio Dacia Maraini con questo suo testo a descrivere in modo efficace il
potere del teatro come luogo che sancisce la lingua del dialogo e pertanto
estremamente importante per combattere la violenza contro le donne.
Un altro esempio molto attuale di utilizzazione del teatro per evidenziare il
dramma della violenza contro le donne si deve a Serena Dandini ed al suo
singolare libro “Ferite a morte”, ( Rizzoli, 2013) i cui contenuti nascono da
readings teatrali. Questo testo originale nasce dal desiderio di raccontare le
vittime di femminicidio. L’autrice, dopo aver letto decine di storie vere, ha
immaginato un paradiso popolato da queste donne e dalla loro energia vitale,
donne che sono mogli, ex mogli, fidanzate, ex fidanzate che non sono state ai
patti, che sono uscite dal solco delle regole assegnate dalla società e che hanno
pagato con la vita questa disubbendienza. La Dandini sostanzialmente si è
chiesta “E se queste donne potessero parlare?”
E le ha fatte parlare, facendo in modo che fossero libere, almeno da morte, di
raccontare la loro versione, nel tentativo di ridare luce e colore ai loro opachi
fantasmi. L’effetto è sorprendente, esse effettivamente rinascono con la libertà
della scrittura e si trasformano da corpi da vivisezionare in donne vere, con
sentimenti e risentimenti, ma anche con l’ironia, l’ingenuità e la forza che invece
sbiadisce nei necrologi ufficiali. Donne di nuovo piene di vita insomma, a cui l’
autrice è riuscita a dare voce pur avendo loro in realtà parlato poco e soprattutto
essendo state poco ascoltate.
L’evento teatrale è stato portato in tutta Italia con l’ aiuto di donne illustri e note
al grande pubblico, in modo da creare un’occasione di riflessione, un tentativo di
coinvolgere l’opinione pubblica, i media e le istituzioni.
La potenza della rappresentazione teatrale di questo testo ha fatto sì che Ferite a
morte è approdato all’ONU a New York, a Washington, Bruxelles e Londra.
Ma non sono state solo le donne a creare testi teatrali recenti su questi temi,
esistono interessanti esperimenti interpretati al maschile. Un esempio è offerto
da Finchè morte non ci separi di Francesco Olivieri, storia di due donne uccise dai
loro rispettivi compagni: il 25 Novembre, in occasione della Giornata mondiale
contro la violenza sulle donne, questa opera teatrale è andata in scena in più di
venti teatri italiani, tra cui il Teatro Valle Occupato, sul palco del quale l’attrice
Monica Scattini e la violinista Julia Kent hanno dato una loro versione dell’opera,
provando come il teatro sia effettivamente uno strumento straordinario per
porgere un tema così difficile a chi ascolta. Infatti un assolo di violino immerge il
pubblico in un’atmosfera parallela, preparando all’ascolto, sensibilizzando con
note dolci, profonde ma graffianti. Sul fondale cinque donne vestite di nero
fungono da scenografia umana, al centro del palco due pilastri di freddo grigio
emettono dall’interno una luce argentata. Con un po’ di immaginazione, le due
colonne potrebbero rappresentare le porte di un altro mondo, del famoso
paradiso nel quale due donne non avrebbero dovuto trovarsi, o quantomeno non
uccise dal proprio uomo. Due donne completamente diverse, nei modi di vivere
la loro esistenza totalmente agli antipodi, ma accomunate dallo stesso destino
che le vuole morte, uccise dalla mano furiosa e folle di un uomo.
Concludendo, il teatro è un mezzo potente, la sua funzione civile importate, come
atto di denuncia e mezzo d’informazione. Il teatro invita a riflettere su argomenti
difficili attraverso l’emozione, pone delle domande, invita a dubitare. E’ naturale
quindi che la violenza alle donne sia un tema a cui il teatro sta dedicando grande
attenzione, attraverso progetti e appuntamenti specifici.

Potrebbero piacerti anche