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LE ORIGINI DELTEATRO MODERNO

CON CYRANO E UBU, VERSO IL XX SECOLO (1896-1900)


Alla fine del XIX secolo, Parigi continuava a essere la capitale mondiale del teatro.
Il 28 dicembre 1897 in uno dei suoi circa 40 luoghi di spettacolo, il popolato Théatre de la Porte-Saint-
Martin, andò in scena il Cyrano de Bergerac del ventinovenne marsigliese Edmond Rostand.
“La messinscena è stupenda – riportano le cronache dello spettacolo – Dizione, gestualità, tutto è stato
perfetto”.
Il sistema teatrale parigino era stato a lungo autosufficiente e per niente propenso ad aprirsi all’importanza di
copioni stranieri (-> il nemico era costituito dai teatrini sperimentali naturalisti e poi simbolisti che avevano
aperto le porte di Parigi ai drammaturghi dell’Est e soprattutto del Nord Europa).
“Che gioia! Che gioia! Finalmente ci sbarazzeremo delle nebbie scandinave, degli studi psicologici troppo
minuziosi e delle deliberate brutalità del dramma realista..” (critico francese)
A Parigi a Ibsen e a Strindberg veniva attribuita l’etichetta di barbari, che “minacciavano di rivoluzionare le
sane tradizioni francesi”. I barbari avevano trovato una cassa di risonanza nel Théatre Libre, fondato nel
1887 dall’autodidatta André Antoine.

Nasce il laboratorio teatrale


Era stato senza dubbio André Antoine a smuovere, per primo e con vigore, l’autarchico repertorio nazionale,
contestando la stagnante autoreferenzialità del teatro parigino, e su quest’onda aveva avviato il movimento
delle cosiddette scene libere che si sarebbe sviluppato in tutta Europa.
L’azione di Antoine nelle sue stesse dichiarazioni programmatiche, può riassumersi soprattutto nei seguenti
punti:

 Incondizionata apertura al repertorio dei “giovani drammaturghi”


 Emancipazione del pubblico da rappresentazioni sempre uguali
 Sostituzione dei grandi attori con l’idea di compagnia di amateurs (dilettanti)
 Reazione contro le esagerazioni della dizione a favore di uno stile più verosimile
 Rifiuto del “ridicolo dei fondali senz’aria e profondità”
Si delineava di conseguenza uno spettacolo in cui l’attore “si muoveva fra i mobili e gli accessori,
sviluppando la sua recitazione con quei mille dettagli e sfumature divenuti indispensabili per fissare e
comporre logicamente un personaggio” = primo laboratorio di ricerca.
Il modello passò in parte ai simbolisti che a differenza delle successive bellicose avanguardie, non cercava il
rifiuto del passato.
Edvard Munch ha definito il Borkman come “il più potente paesaggio nevoso dell’arte nordica”. Eppure il
capolavoro di Ibsen fu rifiutato da svariati teatri = tramonto delle scene libere.

Un italiano a Parigi
Altra nuova forma di teatro popolare e rituale, essenzialmente classico -> Gabriele D’annunzio, il quale
avrebbe sviluppato le sue idee di riforma nel romanzo teatrale Il Fuoco.
La restaurazione di un teatro fondato sul verbo poetico – ma anche sul ritmo e una presenza pressochè mitica
dell’attore – non guarda semplicemente al passato del teatro ma come tante utopie teatrali del Novecento si
fissarono principalmente sulla carta.

Il circolo quadrato
Il dramma Verso Damasco di Strindbeg e lo spettacolo Ubu roi di Jarry, questi 2 eventi capitali nella storia
del teatro moderno, trovano una radice comune: il Peer Gynt di Ibsen.
Il Peer Gynt è un colossale capriccioso poema drammatico nel quale Ibsen adotta, su una base favolistica,
una struttura itinerante, lunga una vita, per tracciare il percorso di esperienza del proprio eroe, attanagliato
dal problema dell’identità.
Nel secondo atto, c’è una scena in cui il protagonista, sprofonda nel regno dei trold. (uno dei quali fu proprio
interpretato da Alfred Jarry.
Da Strindber e Jarrt, ambedue chiaramente influenzati dal Peer Gynt, si diparte la principale tendenza del
teatro antirealistico contemporaneo e la scena dei trold si pone come il preannuncio dell’espressionismo e del
teatro dell’Assurdo.
Strindberg scrive Verso Damasco alla decantazione di una sofferta crisi personale, religiosa e creativa di
almeno 4 anni, vissuta a Parigi a contatto con gli ambienti degli occultisti, degli alchimisti e dei simbolisti.
L’opera è stata recepita nel Novecento come il modello del dramma di trasformazione che si contrappone al
dramma d’azione, strutturato secondo il principio del dramma a tappe.

Il Dio selvaggio
Solo un mese dopo la messinscena di Peer Gynt, l’Oeuvre presentava al Nouveau Théatre l’Ubu Roi di
Alfred Jarry = formula di spettacolo comico elementare semplificato, quasi riportato all’ABC del teatro: si
parla di maschere e di teste di cavallo di cartone per realizzare le scene equestri, un fondale unico e un solo
soldato a rappresentare un esercito.
= Macbeth demenziale e pagliaccesco, i cambiamenti di scena furono affidati a cartelli elisabettiani ma
volutamente sgrammaticati
 Alcuni spettatori si allontanano subito e gridano allo scandalo, altri ribelli resistono

IL TEATRO TRA VITA E POESIA (1901-1908)


Al culmine ideale del fenomeno della scena libera possiamo collocare la fondazione del teatro d’arte di
Mosca cui si associò Stanislavskij.
Nel programma del Teatro d’arte veniva proposto:
1. Accessibilità comparativamente popolare al teatro
2. Finalità artistica
3. Finalità pedagogica
4. Centralità della figura del regista
5. Peculiare perfezionismo (centinaia di prove per ogni lavoro, sempre con un’intelligenza vivida e
russa)
= linea non commerciale
Il suo direttore Stanislavskij crede “nel realismo come mezzo attraverso il quale l’attore può rivelare la
psicologia del drammaturgo”.
Gli Studi russi possono considerarsi una metamorfosi radicale dei “teatri liberi” della fine del XIX secolo.

Oltre la rappresentazione
Il Dio selvaggio del Novecento è anche un Dio promiscuo o proteiforme e tale sua natura si rivela proprio nel
rapporto che si instaura tra Stranislavskij e Anton Cechov.
I drammi di Cechov, nel contesto novecentesco, sono quindi essenziali soprattutto per questa spinta verso un
teatro di compiuta presenza dell’essere, che tende a scindersi dal mero recitare o rappresentare.
Stanislavskij sarebbe infine arrivato a riconoscere che le opere cechoviane avevano soprattutto liberato il
teatro dall’ossessione dell’azione esteriore, essendo se mai ricche di una “complessa azione interiore”.

EPIFANIE DI UN TEATRO NUOVO (1921-1926)


Secondo un’acuta riflessione di Adriano Tilgher, Marinetti, in Italia, avrebbe “lavorato soprattutto per gli
altri” e il futurismo teatrale avrebbe avuto, in fondo, una compiuta realizzazione prevalentemente in campo
scenografico -> Influenzando in termini consistenti sia il movimento del Grottesco drammaturgico, sia
l’opera di Luigi Pirandello.
In Pirandello, si potrebbero cogliere echi dell’espressionismo tedesco, rispetto ai grandi eretici delle
avanguardie europee, serba immancabilmente una fede nel valore dell’arte.
Se nel caso di Majakovskij, “il teatro prolunga la vita, per Pirandello, il teatro prolunga il teatro, in una
circolarità soddisfatta e autosufficiente, che canta una disillusa lontananza dal pianeta degli umani.
Dopo un lungo travaglio a partire dal 1910, Luigi Pirandello comincia a scrivere “Sei personaggi in cerca
d’autore”.
Per gli attori non è facile ridare vita scenica a una trama del genere, il teatro in sé tende a farla apparire a
tratti falsa e a tratti caricaturale e non riesce mai a chiarirsi quanta realtà vi sia in effetti nella vicenda
rappresentata.
 Il debutto romano = successo imposto da una minoranza ad un pubblico disorientato e perplesso, e in
fondo, voglioso assai di capire.
Al di là dell’evocazione in attenuata chiave borghese della tragedia dell’incesto, protagonista dei Sei
personaggi è il teatro e i mestieri, che all’interno di esso, si esercitano. Inevitabile la sinergia tra pagina
scritta e storia scenica. Ambientazione -> “palcoscenico com’è di giorno, senza quinte e senza scena, quasi
buio e vuoto” = spazio sperimentale di tanti registi-riformatori dell’epoca, ma restava ancora
prevedibilmente disturbante per il grosso pubblico.
Nel 1921 giunge Enrico IV e successivamente ventuno opere di teatro ma poche ormai si sarebbero
presentate davvero realizzate all’insegna delle “più segrete potenze dell’artista”.
LA METAFISICA E L’AGIT-PROP (1927-1931)
In Germania, attorno alla metà degli anni Venti, l’espressionismo teatrale, nei suoi connotati più lirici e
deformanti, è in declino. Anche nella messinscena s’impongono “procedure costruttivistiche e le risoluzioni
allegoriche”.
Subentra qui la Nuova Oggettività, con il suo costruttivismo e funzionalismo, una delle ricorrenti
ricomposizioni del Dio Selvaggio: questa volta in transito dall’allucinazione simbolico-emblematica dello
spazio espressionista in direzione di una fredda descrizione.
Tale processo implica un rimpicciolimento del gigantismo espressionistico dell’Io e un’epicizzazione più
distesa e attenta agli eventi e alla storia, carica di “valori ritmici”, con “la nuova visibilizzazione di figure
geometriche la cui funzione strutturale è quella di organizzare l’impianto stesso delle forme reali”.
Bertold Brecht sottolinea che Berlino aveva assunto un ruolo guida, riuscendo a esprimere “nella maniera più
forte e momentaneamente più matura” una sorta di tendenza generale e di sintesi di ciò che caratterizzava il
teatro moderno, per l’appunto l’epicità (-> in Germania teatro politico di sinistra).
Chi intercettò e diede compiuta espressione alle istanze del teatro di tendenza, fu proprio Erwin Piscator.
Gli bastarono 3 anni di trincea per spingerlo ad applicare il concetto di teatro alla “comunità di tutti gli
uomini” (-> una svolta in senso marxista, “necessaria comprensione del rapporto esistente tra società e arte”,
in direzione di un “teatro analitico-dialettico”).
Piscator e Brecht si confrontarono con stima ma anche sfumato dissenso. Brecht non avrebbe mai colto nel
regista quella perfetta integrazione in rigorosi termini di dialettica di teatro e politica. Piscator tendeva
maggiormente a idealizzare, mentre Brecht “non considerava il teatro un’istituzione morale ma un luogo
d’intrattenimento che produce delle conoscenze”).
In Brecht riscontriamo l’ultima grande transizione del teatro tedesco del primo dopoguerra: “il passaggio
dall’astrazione alla costruzione d’un teatro dialettico” marxista. Brecht si concentra spassionatamente su una
sorta di dato di fatto ovvero che, nel mondo moderno, a New York come a Mosca, stia nascendo un “nuovo
tipo di uomo”.
Nel ’31 il drammaturgo puntò molto su una formula di spettacolo che facesse emergere le contraddizioni
(individuazione di 2 tipi d’integrazione dell’individuo nella sfera collettiva: quella fascista livellante e quella
comunista che implicava per contro l’acquisizione di una nuova coscienza sociale).
Stigmatizza il teatro commerciale, denuncia un sistema che “assimila ciò che gli serve per riprodursi”, sicchè
“lascerà passare una novità che porti al rinnovamento, ma non mai al cambiamento della società esistente”.
E’ necessario quindi passare dall’essere al mostrare ovvero da una forma attiva del teatro a una narrativa.
Se nel vecchio dramma d’impianto aristotelico lo spettatore restava in tensione riguardo all’esito, ora lo sarà
riguardo all’andamento in una costruzione drammatica nella quale una scena non è più in funzione di
un’altra, ma sta per sé, e l’uomo è concepito come progresso in un contesto in cui l’esistenza sociale
determina il pensiero.

Sogno e crudeltà
“Un sogno” era stato scritto da August Strindberg nel 1901 ovvero, più o meno, nel segmento temporale in
cui Freud abbozzava una teoria del sogno.
Tuttavia poco c’è in quel testo della psicologia dell’epoca, quanto invece una visione idealistica che la vita è
sogno.
La nota di quest’opera è significativa in quanto modello drammaturgico onirico-itinerante che avrà per di più
di un sviluppo nel posteriore teatro espressionistico e dell’Assurdo: “Tutto può accadere, tutto è possibile e
verosimile. Tempo e spazio non esistono; su un insignificante fondo di realtà la fantasia fila e tesse nuovi
motivi. Una mescolanza di ricordi, esperienze, libere invenzioni, assurdità e improvvisazioni”.
Con “Un sogno” allestito da Artaud, si saldano in un circolo emblematico e con relativa casualità i nomi dei
2 padri del teatro novecentesco: Strindberg e Jarry, ovvero la visionarietà dello spettacolo astratto e onirico
moderno con il teatro come scandalo e paradosso.

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