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MOZART
DIE ZAUBERFLÖTE
ROLAND BÖER
WILLIAM KENTRIDGE
TEATRO ALLA SCALA
www.musicom.it
DIE ZAUBERFLÖTE
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IL MERAVIGLIOSO E IL SACRO
Si narra che lo stesso Schikaneder amasse interpretare Papageno, il più bizzarro tra i personaggi della
Zauberflöte e dell’intera storia dell’opera, né completamente immaginario né completamente reale,
coperto di piume come un volatile, e dallo strano mestiere: catturatore di uccelli. Una sessantina d’anni
più tardi, nel Lohengrin wagneriano, è un cigno ad andare e venire sullo Schelda. Porta in scena Lohengrin
e alla fine dell’opera si tramuta in Enrich, il fratello di Elsa, mentre l’eroe eponimo del dramma svanisce
portato via da una colomba. Non sono le uniche tracce di volatili dell’opera tedesca. Nell’Oberon di
Weber, il protagonista arriva in scena su un carro trainato da cigni, e nel Freischütz una colomba, in cui
per un momento si è incarnata l’anima di Agathe, si alza in volo per evitare la pallottola magica che
colpirà Kaspar. Non solo volatili. La figura luciferina di Samiel getta sul Freischütz un livido colore
faustiano. Con questo teatro popolato di creature zoomorfe, personaggi irreali e presenze diaboliche,
l’opera tedesca punterà, traghettata dalla Zauberflöte, alle sponde della Romantik; e il filo rosso di
questo passaggio sarà costituito da un elemento antico come l’opera stessa: l’elemento magico, lo
Zauber. Il magico tuttavia non agisce da solo. È piuttosto una componente di una generale dimensione
fiabesca, di tipo insieme magica e sacrale, e in ultima analisi morale: dietro l’innocente apparenza del
fiabesco campeggia un messaggio etico che premia la perseveranza, protegge la virtù, determina, alla fine
di un sofferto cammino, la ricompensa certa e dovuta. Tutto il secondo atto della Zauberflöte possiede un
carattere spiccatamente sacrale: la stessa figura di Sarastro, e tutta la simbologia di origine massonica,
connotano l’opera in questo senso. Questa sacralità avvolge un mondo duale, diviso tra regno della luce e
regno delle tenebre, e l’elemento magico vi convoglia tutta la sua energia positiva e risolutiva.
Nella preistoria di questa formazione vi è sempre lui, Johann Joseph Schikaneder (1751-1812), che mutò il
proprio nome nel biblico Emanuel, quando invece il vero ebreo, Da Ponte, autore di più celebrati libretti
mozartiani, aveva camuffato la sua origine in un insospettabile Lorenzo – il suo nome originale era
Emanuele Conegliano. Emanuel morì senza un soldo, dopo aver messo in scena Die Zauberflöte più di
duecento volte tra il 1791 e il 1799. Il suo attivismo acceso e gaudente fu preparato da almeno altre tre
componenti: la duratura predilezione viennese per il teatro spettacolare di origine barocca; la tradizione
austriaca, tutta indigena, della commedia popolare; infine l’incontro di questi due primi elementi, con i
primi fermenti di uno spiritualismo preromantico.
In Austria l’estetica del meraviglioso e del teatro di macchine, così connaturati all’opera italiana, si era
consolidata assai presto e si conservò a lungo. Emblematico di questa diffusione fu il fastosissimo
allestimento de Il pomo d’oro di Antonio Cesti, «festa teatrale» rappresentata nel 1668 all’Hoftheater di
Vienna in occasione delle nozze dell’imperatore Leopoldo I con Margherita di Spagna. L’opera era stipata
di personaggi mitologici, scene elaborate, ambientate nell’ade, nei cieli, e nelle dimore di svariate deità.
Con le mirabolanti macchinerie, gli splendidi costumi, il melodramma barocco italiano proiettava l’evento
teatrale in una fascinosa dimensione di artificialità, col fine dichiarato di non voler imitare la realtà, bensì
di trasfigurarla.
Il grande effetto spettacolare fu adottato dal teatro gesuitico, anch’esso assai ramificato in Europa, e con
una certa assidua presenza anche nei paesi di lingua tedesca. I gesuiti pensarono di sfruttare gli eventi
scenici spettacolosi, le trasformazioni a vista, le catastrofi e le apparizioni magiche per i loro fini
edificanti e devozionali, e per la loro strategia fondata sull’‘educare dilettando’. D’altra parte, proprio
nell’immaginario tedesco la propensione alla mescolanza di sacro e meraviglioso aveva origini assai
remote. Leggende collegate alla figura di Faust risalgono ai primi del Seicento, e elementi della vicenda di
Don Giovanni affondano nella notte medievale, fino alla prima emersione a Ingolstadt, con un dramma di
un gesuita appunto, Paolo Zehentner, nel 1615. E vi sono testimonianze che anche più tardi, le avventure
continuamente raccontate e riformulate di Don Giovanni, e soprattutto il suo nucleo più resistente, la
sfida alla morte, venissero rappresentate in chiesa nella domenica di Quaresima. Una tradizione analoga si
era sviluppata nella Napoli austriaca, ai tempi in cui re di Napoli era Carlo VI d’Asburgo (1707-1734). Nei
conservatori napoletani, nelle sedi delle congregazioni, sui sagrati delle chiese si tenevano drammi sacri
che mescolavano vite dei santi e scene da commedia dell’arte; ne scrissero compositori minori, come
Giovanni Fischetti, ma anche Francesco Durante e Giovanni Battista Pergolesi. In Li prodigi della divina
grazia della conversione e morte di san Guglielmo d’Aquitania, 1731, prima opera pergolesiana, alle
dispute teologiche, ai duelli tra un angelo e un diavolo per contendersi l’anima di san Guglielmo, si
affiancano le scene in dialetto di capitan Cuosemo, una sorta di Papageno napoletano in armi. Poi, con
l’insediamento, nel 1734, di Carlo III di Borbone, assai meno propenso del predecessore asburgico a tali
misture di sacro e profano, gli spazi per questo genere di spettacoli si ridussero drasticamente. A metà del
Settecento le cose cominciarono a cambiare anche in Austria. Nel 1752 un editto di Maria Teresa bandì le
rappresentazioni della commedia popolare e del teatro di macchine a Vienna, per inseguire e favorire un
ideale di rappresentazione più aulico. L’immaginazione barocca non si spense, ma si spostò nei sobborghi.
Nacquero così il teatro della Leopoldstadt (1781), quello auf der Wieden (1786) divenuto più tardi an der
Wien, e nel 1788 il teatro della Josephstadt, che avrebbe avuto il suo momento di voga più tardi, con
Ferdinand Raimund (1790-1836) e Johann Nestroy (1801-1862). Al teatro della Leopoldstadt operò
soprattutto Joachim Perinet (1763-1816), che mise al centro dei suoi Singspiele la figura di Kaspar o
Kasperl (Gasparino), erede della commedia dell’arte e della figura più rozza e burlesca di Hanswurst
(Gianni Salsiccia).
Invece il grande stile ‘meraviglioso’ fu proseguito al teatro auf der Wieden da Schikaneder. E fu in questo
teatro che si consolidò quella tradizione di commedia fantastica e di Singspiel da cui discende Die
Zauberflöte. Fu infatti Schikaneder a promuovere – e scrivere egli stesso – il consistente numero di
commedie e Singspiele con luoghi e oggetti magici: isole, spade, pietre e dardi, e naturalmente strumenti.
E fu sempre Schikaneder a consolidare un parallelo filone esotico-misterico: prima della Zauberflöte,
devono esser ricordati almeno due titoli: Der Stein der Weisen, oder Die Zauberinsel nel 1790, e Der
wohltätige Derwisch oder Die Schellenkappe, all’inizio del 1791, mentre nello stesso anno al teatro della
Leopoldstadt, Perinet metteva in scena un altro dei titoli collegati all’ultima opera mozartiana, Kaspar
der Fagottist, oder Die Zauberzither, con la musica di Wenzel Müller; dopo la Zauberflöte, Der Spiegel
von Arkadian (Lo specchio d’Arcadia, 1795), e Babylons Piramiden (Le piramidi di Babilonia, 1797), infine
Das Labyrinth (Il labirinto ovvero La lotta con gli elementi, 1798).
In questa tradizione Die Zauberflöte rappresenta un punto di svolta decisivo, uno spartiacque tra
l’estetica del meraviglioso di matrice barocca, e il graduale avvicinamento alla Phantastische Oper,
l’opera fantastica di stampo romantico. All’inizio del Settecento, il termine ‘meraviglioso’ descriveva
proprio un effetto generato da eventi magici, sovrannaturali o divini. Esso rifletteva una sorta di alleanza
tra magia e natura, un carattere intrinseco alla natura stessa. Alla fine del secolo andò generandosi
un’opposizione tra natura e dimensione magica, quando l’egemonia del pensiero illuminista accreditò
l’idea che la conoscenza razionale e scientifica fosse in grado di esaurire ogni osservazione sulla natura,
escludendo la magia e persino la religione come forme di superstizione. Scomparso dai trattati, il
meraviglioso si conservò nella pratica teatrale e musicale, fin quando la stagione romantica non gli ridiede
nuova cittadinanza. Dopo l’opera di Mozart, la Zauberoper si ramificò in due direzioni: da una parte,
l’opera magica viennese tornò alla commedia leggera con inserti cantati; dall’altra si aprì un varco verso
la Phantastische Oper del romanticismo tedesco.
NOTA BIBLIOGRAFICA
Come testi di carattere generale ho consultato: Intorno al «Flauto magico», catalogo della mostra, Milano, Palazzo della
Permanente, 24 aprile - 21 luglio 1985; NICHOLAS TILL, Mozart and the Enlightment. Truth, Virtue and Beauty in Mozart’s Operas,
London-Boston, Faber and Faber, 1992; STEFAN KUNZE, Mozarts Opern, Stuttgart, Reclam, [1984]; traduzione italiana di Leonardo
Cavari: Il teatro di Mozart, Venezia, Marsilio, 20062, particolarmente le pp. 680-797; MASSIMO MILA, Lettura del «Flauto magico»,
Torino, Einaudi. Il libro di DAVID J. BUCH, Magic Flutes in Eighteenth-Century Musical Theatre, Chicago-London, The University of
Chicago Press, 2008, è essenziale per una comprensione dei lenti processi che conducono alla formazione della Zauberoper e alla
composizione del Flauto magico; Buch ha dedicato all’argomento anche una serie di saggi preparatori: Mozart and the Theater auf
der Wieden: New Attributions and Perspectives, «Cambridge Opera Journal», IX/3, 1997, pp. 195-232; «Der Stein der Weisen»,
Mozart and the Collaborative Singspiels at Emanuel Schikaneder’s Theater auf der Wieden, «Mozart Jahrbuch», 2000, pp. 89-124;
«Die Zauberflöte», Masonic Opera, and Other Fairy Tales, «Acta Musicologica», 76, 2004, pp. 193-219; e con MANUELA JAHRMÄRKER,
Schikaneders heroischkomische Oper «Der Stein der Weisen»: Modell für Mozarts «Zauberflöte»; Kritische Ausgabe Textbuchs,
Gottingen, Hainholz, 2002. A Buch, inoltre, si deve il ritrovamento della partitura di Der Stein der Weisen. Sull’argomento si veda
anche MARIO BORTOLOTTO, Nell’isola magica di Mozart. Un inedito del musicista, «Repubblica», 23 febbraio 2000. Una sinossi di Lulu,
fonte del Flauto magico si trova in C ESARE CASES, Tra barocco e Illuminismo: Schikaneder e Perinet, in Intorno al «Flauto magico» cit.,
pp. 33-36. Sulle trasformazioni d’epoca romantica mi sono servito principalmente di ELISABETTA FAVA, Ondine, vampiri e cavalieri.
L’opera romantica tedesca, Torino, EdT, 2006; e i saggi contenuti in Der Freischütz, «La Fenice prima dell’opera», 2004/5: «Der
Freischütz», libretto e guida all’opera, a cura di Davide Daolmi, pp. 11-80; MICHELA GARDA, Di selve, cacciatori, angeli e demoni.
Romanticismo del «Freischütz», pp. 93-102; JÜRGEN MAEHDER, Poesia del suono e natura demoniaca. Sulla drammaturgia dei timbri
nel «Freischütz» di Carl Maria von Weber, pp. 103-130. Sulla natura del magico in Lohengrin, MARIO BORTOLOTTO, Barrage du cygne, in
ID., Consacrazione della casa, Milano, Adelphi, 1982, pp. 11-43, particolarmente p. 20.