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Review

Reviewed Work(s):
Le théâtre des Demoiselles. Tragédie et musique à Saint-Cyr à la fin du grand siècle,
(«Publications de la Société française de Musicologie», 3
ème
série, VII)
by Anne Piéjus
Review by: Emilio Sala
Source: Il Saggiatore musicale , 2002, Vol. 9, No. 1/2 (2002), pp. 249-254
Published by: Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l.

Stable URL: https://www.jstor.org/stable/43029691

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RECENSIONI 249

addirittura, ricostr
pire un po' meglio
Davide Daolmi
Milano

Anne Piéjus, Le théâtre des Demoiselles. Tragédie et musique à Saint-Cyr à la fin du


grand siècle , Paris, Société française de Musicologie, 2000 («Publications de la So-
ciété française de Musicologie», 3eme série, vil), 845 pp.

Che la storia del teatro lirico tutto cantato sconfini spesso e volentieri verso
forme neglette (talora rimosse) di drammaturgia mista, in cui la musica da elemen-
to continuo diventa un ingrediente tra gli altri, è un fatto che, per quanto evidente,
resta nondimeno assai sottovalutato nelle sue conseguenze critiche (sia estetiche
sia operative) tanto dagli studi di storia del melodramma quanto da quelli di dram-
maturgia musicale. Cosa dobbiamo farcene, infatti, delle innumerevoli ed eterocli-
te forme di incidental musici D'altra parte, l'esigenza di allargare i confini sia sto-
rici sia teorici del teatro musicale (o del teatro con musica) incomincia a farsi sen-
tire in lungo e in largo. Si veda, per esempio, la nuova «storia dello spettacolo mu-
sicale» intitolata, significativamente, Musica in scena (Torino, UTET, 1995-97) e
tutta vòlta, almeno nelle intenzioni, a far luce sulle varie modalità di incontro
fra musica e teatro, scavalcando l'usuale concetto di 'storia dell'opera' cui troppo
spesso vien ridotto e ricondotto il più largo ambito dello spettacolo musicale.
«Non tutta la musica presentata in scena», scrive Alberto Basso nell'introduzione
a questa monumentale miscellanea da lui diretta (I, p. xiii), «appartiene al genere
che è internazionalmente qualificato come opera (anche quando la parola cantata
convive con quella recitata): la storia della musica in scena copre spazi più vasti di
quanto per comune opinione o per pigra consuetudine si creda». E tuttavia siamo
ancora lontani dalla possibilità di scrivere una simile storia (per l'assenza di studi
preliminari e la persistenza dunque di troppe zone di 'musica in scena' inesplorate
o, peggio, male interpretate); e non è un caso che l'ambizioso (e lodevole) intento
di Alberto Basso risulti poi, alla resa dei conti, alquanto deludente proprio nelle
parti dedicate alle forme di drammaturgia musicale non operistica. Per esempio,
tanto per tirare in ballo l'argomento di cui ci occuperemo tra poco, le importanti
e ben note partiture composte da Jean-Baptiste Moreau per le famose tragedie Es-
ther (1689) e Athalie (1691) di Jean Racine vengono del tutto ignorate. La prima
non è neppure citata; della seconda si dice solo, en passant (a proposito delle ce-
lebri musiche di scena composte da Mendelssohn nel 1845), che il dramma di Ra-
cine «aveva subito interventi musicali, segnatamente ad opera di Jean-Baptiste
Moreau (1656-1733), che lo aveva dotato di recitativi» (sicl VI, p. 75).
Oggi, delle due partiture di Moreau (e dintorni) sappiamo tutto (o quasi) gra-
zie al monumentale e benemerito studio di Anne Piéjus che ricostruisce il contesto
pratico, linguistico ed estetico in cui esse nacquero, ovvero quello delle tragedie su
soggetto biblico con inserti musicali promosse dal collegio femminile di Saint-Cyr,

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250 RECENSIONI

preso in esame da
(1719), seconda mo
trale della prestig
dunque inseriti in
quest'epoca a Saint
l'autrice prende co
Oudot (1691, poi
Cyr dal 1686 al 17
sia per il testo sia
Parigi e databile p
musiche (ancora) d
Racine approntata
gli anni 1715-20. D
di (tentare di) rico
pertorio e dei du
questo studio - con
to storico-filologi
esigenze più teoric
maturgia musicale
sopra. La domanda
via infatti necessa
che di raro un int
dominati dalla par
Esso costituisce di
Poiché nel repert
modello del coro t
ques Scherer, «le c
teurs dramatiques
Paris, Nizet, 1950
que dans les œuvr
dramaturgie class
Scherer è alquant
chœurs, comme l'a
1657 -, reconnaiss
leurs œuvres». Dun
da parte di Racine
Egli introdusse i c
possibles à ses nou
raison que les éduc
les pièces qu'ils écr
élèves, alors que le
cédé trop coûteux
pisce per nulla di
cantato) di Esther
les premières rep

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RECENSIONI 25 1

pièces sans musiq


mente inerte, il co
minato attraverso
la sola parola recit
Eppure, leggere il
della dramaturgie c
di portarci fuori s
l'idea di scrivere q
antiche tragedie g
poté realizzare (fi
sein qui m'avait so
ciennes Tragédies
chanter les louan
ployaient à chante
Un grande merito
gnanza drammatur
repertorio di Saint
la musica di Morea
«que depuis longte
nables aux paroles»
musicologici è in q
tomia sia la fisiolo
pretati. Ed è allora
Œuvres complètes
mard, 1999, 1, pp.
Piéjus, in cui viene
tragedia raciniana.
preparazione un'e
lo Jonathas di Van
de Musicologie. Mu
Victor Hugo, sare
teggiavano i dram
te Saint-Martin,
mélodrame popola
(si veda il capitol
1995, pp. 208-239
un panorama di s
"musica in scena".
Per tornare al problema del coro tragico, è chiaro che, dopo la messa a punto
della dramaturgie classique nel teatro di parola (da cui le parti cantate sono di fatto
bandite) e l'istituzionalizzazione dell'opera francese a partire dal 1672, esso vede
ridotto il suo spazio d'azione. Ma resta comunque possibile tracciare la storia di
un «théâtre musical» (ovvero di un teatro con musica) distinto sia dal teatro tutto
cantato sia da quello tutto recitato: «poussé par la concurrence avec l'opéra, le
théâtre musical s'oriente alors vers des formes nouvelles, moins spectaculaires

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252 RECENSIONI

- rispetto ai gener
s'agisse de tragédi
la comédie-vaudev
élaboration d'un g
Ch. Mazouer, «Lit
in generale, sulla
nel dramma di par
Corneille à Rousse
l'interesse del rep
all'importante e p
1690, plus que les
die-ballet ..., s'imp
de la tragédie latin
entrecoupé du Dav
plus célèbre» (p. 36
è il padre Pierre C
David et Jonathas
gedia latina). Segue
pentier, composto
parti musicali pos
clamata, e il model
de a farsi parte in
d'imbricazione del
oltremodo variabi
tale repertorio (co
il problema del c
pp. 183-210).
Insomma, quello della Piéjus è un libro importante anche perché apre nuove
prospettive di ricerca e rimescola le carte. La ricchissima documentazione e le ana-
lisi puntuali ch'esso offre costituiranno uno strumento indispensabile per chi in-
tenderà proseguire il cammino. Vorrei così chiudere queste pagine dando uno
sguardo ravvicinato ad un luogo foriero di enormi sviluppi nell'ambito della reci-
tazione con musica. Mi riferisco alla famosa profezia di Joad nel terz'atto di Atha-
lie, che secondo Racine «amène très naturellement la Musique, par la coutume qu'a-
vaient plusieurs Prophètes d'entrer dans leurs saints transports au son des instru-
ments» {Préface). Si tratta dunque, per dirla ancora una volta con la Piéjus, di un
uso drammatico dell'intervento strumentale, rarissimo nel repertorio di Saint-Cyr,
in cui la musica «contribue à légitimer ces instants hors du réel en leur conférant
une vraisemblance qu'ils n'auraient pas sans le secours de la musique: cette der-
nière introduit le merveilleux et accentue la solennité de ces instants intensément
dramatiques» (p. 302). Nel testo raciniano, la scena (vii) si svolge più o meno così:
Joad, il grand prêtre , si riscalda («Mais d'où vient que mon cœur frémit d'un saint
effroi?», v. 1129); poi chiede al Coro dei Leviti di accompagnare musicalmente i
suoi trasporti profetici: «Lévites, de vos sons prêtez-moi les accords, I Et de ses
mouvements secondez les transports» (v. 1133 sg.); qui attacca il coro («Que

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RECENSIONI 253

du Seigneur la voi
instruments. Esso
dizione originale

Terminato il bre
versi (1139-1141)
et Joad aussitôt r
didascalia di Racin
una ripresa del ri
ricomincia e culm
pelle, I Rappelle e
musica: La symph
Questa volta il br

Poi la profezia fi
l'accaduto. La scen
cune filles del Co
de il terz'atto («O
ne preceduto anco
scena della profez

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254 RECENSIONI

Come si vede, anc


fa già capolino la t
lion di Rousseau (r
gia musicale venet
segmenti musicali
(finiscono tutti co
Joad rimusicata d
venterà in tutto e
settime diminuite.
Emilio Sala
Milano

Joseph Kerman, Concerto Conversations , Cambridge, Mass. - London, Harvard


University Press, 1999, ix-175 pp., con un CD.

Il titolo del libro - lo dice lo stesso autore - ha una doppia valenza, una intrin-
seca al genere (conversazioni nel concerto), l'altra esterna (conversazioni sul con-
certo). A sua volta, quest'ultima accezione indica sia l'origine - il ciclo di conferenze
(le prestigiose Charles Eliot Norton Lectures) tenute a Harvard nel 1997/98 - sia il
tono generale del libro, volutamente non accademico, non scientifico. Insomma, il
titolo riassume tono e contenuti dell'opera: discorso (non trattato) sui tipi di con-
versazione (di relazione) nel concerto, in particolare in quello solistico.
'J understatement è invero eccessivo, poiché Kerman, a dispetto del tono col-
loquiale, propone una vera e propria teoria del concerto. Il taglio intanto è siste-
matico e non cronologico-monografico. La storia del concerto è percorsa tutta (da
Vivaldi a Elliott Carter), ma di scorcio, secondo prospettive di volta in volta diver-
se, corrispondenti alle grandi aree tematiche che formano i capitoli del libro (tra
parentesi segnalo i pezzi che Kerman analizza diffusamente):
(I) "Getting started" (Beethoven, primo movimento del terzo concerto);
(II) "Particularity and polarity" (Stravinskij, concerto per pianoforte e strumenti
a fiato; Bartók, secondo concerto per pianoforte);
(III) "Reciprocity, roles, and relationships" (Čajkovskij, concerto per violino);
(IV) "Virtuosity/Virtù";
(V) "Diffusion: Concerto textures" (Bach, terzo concerto brandeburghese);
(VI) "The sense of an ending" (Mozart, concerto K. 466; Elliott Carter, concerto
per pianoforte);
(VII) "Conversation-stopper (After-words)".
I capitoli I e VI affrontano due questioni speculari: come il concerto inizia e
come finisce. Sono due questioni apparentemente anodine ma fondamentali. La
prima può essere sintetizzata in un interrogativo («Who starts a concert?», p. 2)
e in una frase di Jane Stevens, studiosa del concerto settecentesco, citata nel quarto
capitolo (p. 61): «The cruciai moment for establishing the nature of the tutti-solo
relationship is perhaps the solo's entrance at the beginning of the first solo section».

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