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I CONCERTI PER PIANOFORTE DI MOZART E IL LORO PUBBLICO

Author(s): Joseph Kerman and Lorenzo Bianconi


Source: Il Saggiatore musicale , 1994, Vol. 1, No. 1 (1994), pp. 149-164
Published by: Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l.

Stable URL: https://www.jstor.org/stable/43030198

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Joseph Kerman
Berkeley

I CONCERTI PER PIANOFORTE DI MOZART


E IL LORO PUBBLICO

In una lettera famosa, Mozart spiega al padre le ragioni che lo in


ducono ad abbandonarlo e a lasciare Salisburgo per stabilirsi a Vien
na come musicista indipendente. Leopold ha un bel temere la preca
rietà della vita da mercenario; e il camerlengo dell'arcivescovo
conte Arco della celebre pedata, gliel'ha anche detto chiaro e tondo
«Dapprincipio si hanno molte lodi e si fanno anche molti guadagni,
vero... Ma per quanto tempo? Dopo alcuni mesi i viennesi voglio
del nuovo». Mozart ribatte:

È vero che i viennesi sparano volentieri a zero, ma solo per ciò che concerne il
teatro. E la mia specialità è troppo benvoluta, qui, perché non mi possa sosten-
tare: questo è proprio il paese del pianoforte!... E poi, ammettiamo pure: il caso
si darebbe solo tra alcuni anni, non certo prima. Nel frattempo saranno fioccati
onori e baiocchi. 1

I mesi sono diventati anni: Leopold non se ne dà per persuaso.


Di fatto, Mozart aveva ragione. Dopo il 1782, dopo il Ratto dal
serrarlo, ci vorranno quasi dieci anni prima che i teatri viennesi gli
tributino un trionfo analogo, ed anzi di gran lunga maggiore (per il
Flauto magico)-, le tre opere buffe dapontiane non ebbero in Vienna
un successo notevole. La popolarità di Mozart pianista, invece, durò

In forma più succinta, questo saggio è stato letto nel convegno su «Mozart and the
Riddle of Creativity», tenutosi dal 2 al 5 dicembre 1991 al Woodrow Wilson International
Center for Scholars in Washington, D.C., e viene pubblicato qui col gentile consenso del
Woodrow Wilson Center Press. La versione inglese vedrà la luce, col titolo Mozart's Piano
Concertos and Their Audience , nel volume On Mozart , Washington - Cambridge, Woodrow
Wilson Center Press - Cambridge University Press, in corso di stampa.
1 Mozart: Briefe und Aufzeichnungen , III, a cura di W. A. Bauer e O. E. Deutsch, Kas-
sel, Bärenreiter 1962, 3a ed. 1991, p. 124 sg. (2 giugno 1781).

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per cinque anni filati


cennio viennese, Mozar
gnante di piano, esecut
Fu in grado di metter
di concerti per pianofo
delle quattro stagioni
(La, Fa e Do maggiore)
re, e Do minore).
Alla fine della stagio
mente mandare in scen
dei generi musicali des
per Mozart il concerto
no Akademien, e molti
soverchio impegno che
bili, s'erano davvero st
cosa insieme: casi del g
que sia, nel 1788 la vita
della guerra col Turco.
grafi hanno calcato la m
di personalità che si s
avrebbe alienato al mus
ta, vi farò cenno anch'
Prima di Mozart, il ge
nei programmi dei con
regola.2 La circostanza
più che interrogarsi sul
significare, una volta v
zione che durò solo pe
traccia di sé in una cer
oggi ascoltiamo. Che sig
Dahlhaus avrebbe chiam
be una situazione o una
costituiti dalle Akade
quel ben individuato co
musicali, in momenti e
Di certo, non andremo

2 Cfr. H. C. R. Landon, Moz


Hudson 1989, p. 52; trad, it.
p. 51.

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da leggeremo tali testi in termini tecnici,


cali. Arriveremo un po' più in là leggen
parte del solista e in quella dell'orchestr
mutuo rapporto, si può vedere l'articolata
pubblico, e del loro rapporto. Quest'access
mozartiano non è, credo, né unico né or
per dire, a quello proposto alcuni anni f
statunitense Susan McClary, in un articol
più sotto. Ma per mettere a punto questo
prima risalire, in breve, ad alcuni princip
dopotutto, anche alcune questioni tecnich

Che cosa c'è alla base dell'estetica del concerto solistico? Possia-
mo benissimo compulsare Bottrigari, il Viadana o Praetorius alla ri-
cerca del punto di partenza: ma per quanto concerne il concerto mo-
derno sarà più utile guardare avanti - a Čajkovskij, per esempio, che
a Madame von Meek scriveva della «lotta tra l'orchestra, potente e
variopinta, ed il suo antagonista, debole eppure animoso». E una for-
mulazione esemplare, nel suo carattere dialettico. Čajkovskij personi-
fica lo strumento solista e l'orchestra come attori in carne ed ossa:
vede l'orchestra robusta e multiforme, il solista lieve e però agile; li
vede entrambi coinvolti in un rapporto antagonistico.
Ma ad un livello ancora più elementare importa che nel concerto
gli attori si differenziano per il contributo che danno a certe attività
musicali basilari, che distinguerò chiamandole discorso ed esibizione ,
discorso e spettacolo. Scelgo apposta un concetto linguistico come
"discorso" anziché uno matematico come "logica" per designare il
giuoco continuato che s'istaura tra materia e retorica musicale, la
processualità della musica, l'illusione di movimento e di peso ch'essa
suscita. Tema, tonalità, ordito, dinamica, contrasto sono alcuni dei
fattori correnti del discorso musicale: la sua quintessenza s'invera
nella sinfonia, genere orchestrale per eccellenza. Il discorso musicolo-
gico che s'occupa del discorso musicale è l'analisi.
L'esibizione, dal canto suo, è una qualità primaria del far musica,
che si dà anche a livelli infimi di discorso musicale. E esibizione il
suonar forte e svelto, il cantar sexy ; l'esibizione può essere estempo-
ranea, imprevedibile, incontrollabile, refrattaria all'analisi. In certi
generi musicali dell'Occidente, lo sfoggio solistico è represso: non è il
caso del concerto. Un concerto senza passi di bravura non è degno
del nome: lo si chiamerebbe semmai sinfonia concertante. Virtuosi-

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smo e discorsività si
tempo moderatore e ac
Ascolti un concerto
stato grezzo. L'orchest
stra. Quanto alla "lotta
non ve n'è gran che in
certo aggiunge un altro
campo, per quanto dif
istaurato tra di loro n
più ricco e interessante
rapporto.
Dire che Mozart ha "
un parlar grossolano:
Non manca certo quest
di Mozart, così come
questo, Mozart si dista
nei. La tecnica del dial
molto studiata, e molto
risonanze più vaste de
radicare il procediment
terra. Siccome si dà d
stesso linguaggio, nel
orchestra trattino lo stesso identico materiale: nei concerti di Mozart
il solista e l'orchestra discutono, perlopiù, ripetendosi a vicenda la
musica l'un dell'altro. L'arte affiora attraverso lo spettro mirabile
della variazione e della sfumatura nelle repliche dialogiche, che noi
percepiamo come battute d'un colloquio.
Il dialogo può darsi a più livelli. Sul piano dello scambio imme-
diato di temi e figure musicali possiamo parlare di repliche e contro-
repliche istantanee, di botta e risposta, più in generale di scontro di-
scorsivo a caldo. In altri contesti, invece - nel contesto socratico, ad
esempio -, è concepibile che si avvii un dialogo oggi per poi ripren-
derlo e concluderlo domani. Un dialogo dilatato nel tempo è, in ter-
mini musicali, un dialogo condotto al livello della forma musicale. Si
parlerà allora di risposta a distanza, di replica dilazionata, di ricapito-
lazione, in generale di una controffensiva discorsiva.

A livello complessivo, ossia al livello della forma musicale, il siste-


ma dialogico più sottile e poderoso è quello codificato nel tempo pri-
mo del concerto solistico classico. Per i musicisti anglo-americani, ta-

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le forma è stata illustrata dapprima da


articolo del 1903 divenuto famoso nella r
nel volume III degli Essays in Musical A
"forma a ritornello", perché gli premeva
fatto che la sezione orchestrale d'apertur
e ritmico, diverge dall'esposizione nella
primo tempo d'un concerto è modellat
strutto formale del primo tempo di conc
studi (citerò Martha Feldman, C. M. G
Landon, Charles Rosen nei suoi due notev
sulle F orme-sonata, David Rosen, Edwi
Hans Tischler); nell'uso corrente anglo-am
Tovey, spesso questa forma si denomina do
Comunque la si chiami, la sezione orch
concerto classico il compito di presentare
sicale su cui si basa il primo tempo. Detto
ziale imposta le premesse basilari del disc
fa la sua sortita in piena regola, aprendo
ni assolo: le chiamerò "campate solistic
dall'orchestra vi viene ripresentata in un'a
sta, in stretto concorso con l'orchestra, a
riale, lo chiosa, ne stralcia qualche pass
modula, altera l'andatura, e via dicend
conchiuse da ritornelli orchestrali più suc
troduce la cadenza, che per il solista rap
sua gloria. Il primo tempo finisce con un
ritornello numero 4.
I ritornelli orchestrali tracciano, tra l'al
tro per l'attività del solista. In sequenza: r
assolo, ritornello 2, seconda campata assol
solista, ritornello 4. L'orchestra demarca i
torizza gli svolazzi di bravura, le digressio
procurare la materia discorsiva su cui il s
osservare che, in un certo senso, l'orches

3 Cfr. in particolare D. F. Tovey, The Classical Conc


Analysis , III, London, Oxford University Press 1936,
Mozart : Viano Concerto in C Major, K. 503 , New York,
Rosen, The Classical Style : Haydn, Mozart, Beethoven ,
it., Lo stile classico , Milano, Feltrinelli 1979, cap. V/l, e
ed. riv. 1988, trad, it., Le forme-sonata , Milano, Feltrin

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ne, questa, da non pot


sfida rivendicativa. Ci tornerò tra breve.

Per ora mi preme attirare l'attenzione su un altro livello d'attività


nel tempo primo del concerto classico, diverso da quello dello scontro
e della controffensiva tra orchestra e solista, diverso ancora da quello
del dialogo e del discorso. E un livello di cui poco o nulla dicono
Tovey e gli altri. Oltre ad associarsi all'orchestra in un dramma di-
scorsivo, il solista svolge un'azione privata tutta sua: a due riprese,
nelle due campate solistiche, traccia un percorso che dal dialogo de-
flette verso il virtuosismo; si avventura su un'ampia traiettoria, che
dal discorso volge verso l'esibizione.
Quest'azione è scontata, addirittura smaccata, e senz'altro anche
regressiva. Ciascuno di noi se la rammenta nelParcifavorito tra i con-
certi di Mozart, il K. 467 in Do maggiore. Dapprima, i termini del
discorso sono impostati dall'orchestra, a battuta 1 e seguenti: una
marcetta da opera buffa, suonata sottovoce dagli archi; una risposta
suadente; un'altra replica, inopinata, dei fiati. La risposta dialogica
del solista a questa materia arriverà dopo due minuti e mezzo, all'ini-
zio della sua prima campata: sgranchitosi le dita in alcune battute
preparatorie, perfino un po' comiche, il pianista indugia in un etereo
trillo sospeso sopra la marcetta degli archi, indi circonfonde di orna-
mentazioni aggraziate gli squilli dei fiati. Il solista ha dunque aperto
la prima campata con un discorso spiritoso, arguto. Il dialogo proce-
de, a botte e risposte sempre più ravvicinate; quando il secondo sog-
getto è enunciato dai fiati, il pianoforte gli fa eco con uno sberleffo
alla fine della seconda e della quarta battuta:

Esempio 1

(Nei concerti, Mozart escogita volentieri temi ritagliati apposta per


siffatti effetti d'eco.) Ma la prima campata sfocia nell'esibizione pura
e semplice: 25 battute di ottave spezzate, scale, arpeggi, pirotecnia
digitatoria quale se ne trova in ogni concerto pianistico classico. Sif-
fatti passaggi di solipsistica bravura culminano nello sgargiante trillo

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cadenziate, che del concerto è un notorio


roetta, il botto finale che suscita un'eco d
in quanto atleta, non in quanto interlocut
do l'orchestra rientra perentoriamente
la folla che scroscia nell'applauso; ma s
riaffermare il proprio dominio sul proce
si d'un'egemonia che la deriva verso lo
messo in forse.
Nella seconda campata solistica, la tr
volge verso l'esibizione è ripercorsa sostan
con una differenza: che, intervenendo do
rito, l'orchestra ha per compito non tant
solista quanto di spronarlo a darci dentro
cadenza; e l'orchestra lo fa con un'ostenta
sentare addirittura il sarcasmo. La cadenz
sempre più sbrigliate, che culminano per l
lo, smagliante e chiassoso.
Ma poi è rivelatore che la vera cadenza c
mo la fa l'orchestra, col ritornello numer
lista nella sua cadenza, essa riafferma pim
l'orchestra ad aprire bottega la mattina, a
Come s'è detto, non in questi termini
critici e i teorici della generazione passa
lo sfoggio di bravura nelle campate solist
la cadenza - che, come vedremo, nel conc
importante quanto quello dei singoli passa
zile - erano guardati con sospetto, consid
zi, era il genere concerto in toto. Lo stess
tale discredito, e che col suo acume cr
comprensione del discorso concertistico
dell'esibizione, non se ne capacitava. A p
esempio, scrisse che «il capitolo più triste
dato dal costume di lasciare in bianco la
chestrale - per consegnarla allo sfoggio
del solista, che colma il vuoto con una cad
tale improvvisazione era un alibi aleatorio
elemento d'importanza cruciale nella ra
della struttura, appunto la coda: donde il
denza null'altro che «una forma di appe
tutta una vita: scrivere di suo pugno le

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156 JOSEPH KERMAN

classici. Nel pubblicarn


re quei capolavori di co
nie di Beethoven.4

Sul piano della forma complessiva, nel concerto classico la dialogi-


cká più sottile si dà nel tempo primo, la meno sottile invece nel ron-
dò, ch'è la forma prevalente nei terzi templ. Musicologi e teorici han-
no prestato relativamente poca attenzione alla forma del rondò: qui
mi limiterò ad un aspetto che considero importante.
Nel rondò da concerto, è di norma il solista ad attaccare, con una
melodia tutta sua (o sua almeno in testa); indi l'orchestra ripete ciò
ch'egli ha appena suonato. Ma più che una controffensiva pianificata,
come ne abbiamo appena incontrate nel tempo primo del K. 467, la
replica orchestrale nel rondò è una ripetizione senza varianti né sfu-
mature; non sembra tanto una risposta o una controreplica quanto
piuttosto un riconoscimento, una conferma, un'eco affermativa. C'è
un che d'automatico, mi pare, addirittura un che di vacuo in queste
ripetizioni. (Mi sembra anche che questa qualità sia indipendente dal-
la funzione sintattica delle frasi replicate. Perlopiù le repliche sono
esatte, per esempio nei temi che si lasciano rappresentare con dia-
grammi del tipo ai Ai Bi b'i, come nel K. 537, oppure av Av bi Bi nel
K. 459, o semplicemente ai Ai in molti altri casi: laddove le lettere
minuscole e maiuscole indicano gli interventi assolo ed orchestrali, e i
numeri romani designano i gradi della scala cui approdano le caden-
ze. Ma si danno anche strutture binarie, del tipo av A'i nel K. 450
e 456. Quanto al concerto in Re minore K. 466, presenta un rondò
gagliardamente diverso da tutti gli altri dei concerti mozartiani, giac-
ché il tema assolo iniziale non è mai ripetuto per intero dall'orche-
stra, che pure ci prova a due riprese, e per due volte clamorosamente
deraglia.5)
Il tema iniziale del rondò da concerto, insomma, comporta di suo
siffatte ripetizioni, formali più che dialogiche. Più avanti, ci saranno
almeno due, spesso tre altre occasioni per l'orchestra di risentire il te-
ma del solista, e di ripeterlo a pappagallo. Ciò che conta in questi

4 Cfr. Tovey, Essays in Musical Analysis , III, p. 86; Musical Articles from the Encyclopae-
dia Britannica , London, Oxford University Press 1944, p. 16; e Preface to Cadenzas for Classi-
cal Concertos , negli Essays and Lectures in Music , London, Oxford University Press 1949,
pp. 315-324.
5 Per una breve discussione del concerto K. 466, cfr. J. Kerman, Mozart à la Mode ,
«The New York Review», 18 maggio 1989, p. 51.

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I CONCERTI PER PIANOFORTE DI MOZART 157

brani è la prontezza e la vacuità con cui ve


zioni. Un simile tasso di reiterazione consolida e formalizza in manie-
ra decisiva il rapporto tra i due partner, checché accada nell'interval-
lo tra una ripetizione e l'altra. Ed accade, beninteso, parecchio. Ep-
pure i rondò, dal concerto in Mi maggiore per violino di Bach a tutto
Mozart giù giù fino a Bartók e al concerto in Fa per pianoforte di
Gershwin, sono tutti pervasi da un sentimento costante: il consenso;
consenso a pro del dramma in corso, consenso in vista del lieto fine.
Il rapporto tra solista ed orchestra è ben diverso da quello del
tempo primo: è mutato. Per capire che cosa si cela dietro questo mu-
tamento dobbiamo ritornare alla situazione storica.

I concerti per pianoforte di Mozart, va da sé, non sono stati con-


cepiti come un'astratta ricerca di modelli relazionali ideali. Sono stati
scritti per le sue Akademien, i concerti pubblici con cui il giovane
pianista-compositore cercava di mettersi in mostra nella capitale della
musica. Il dramma interiore dei rapporti che s'istaurano nel concerto
si può leggere come la proiezione d'un'effettiva dinamica sociale.
Anche in questo caso, l'interpretazione può svolgersi a più livelli.
In senso generale, poniamo, si può identificare il solista coll'indivi-
duo, l'orchestra con la società, quella società che a fine Settecento
evolve in senso borghese. Questo è l'assunto di Susan McClary, in
un saggio che fin dal titolo fa una bella reverenza alla memoria di
Adorno: A Musical Dialectic of the Enlightenment : Mozart's Piano
Concerto in G Major, K. 453, Movement 2.6 II concerto classico, dice
la McClary, «incarna e spettacolarizza le tensioni tra l'individuo e la
società, tensioni che certo rappresentano uno dei problemi cruciali
della classe emergente»; per quanto, come s'è già accennato, non si
tratti d'un'interpretazione del tutto inedita, essa non era mai stata,
prima d'ora, né sviluppata né articolata a fondo, e pare assai promet-
tente agli occhi del musicologo aperto verso prospettive critiche post-
moderne. Per la McClary, che forse s'inchina fin troppo profonda-
mente al cospetto di Adorno, quelle tali tensioni sono tuttora vinco-
late ad una dialettica elementare tra la rigidità del controllo sociale e
la protesta individuale votata al fallimento: un mero scenario antago-
nistico, insomma, o qualcosa del genere. Cionondimeno, già un qua-
dro ermeneutico siffatto consente ad un critico sensibile com'è la
McClary di dare una lettura vivida e suggestiva del concerto K. 453

6 «Cultural Critique», IV, 1986, pp. 129-168.

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158 JOSEPH KERMAN

(tra parentesi: i risulta


caso dell'opera che tra
bra strano è che, in u
minuta delle tensioni m
di grandi ambizioni com
l'individuo in question
società borghese emerg
Dovremmo mirare ad
termini generali, più es
situazione di Mozart nei
va ad affermarsi nella vi
tera del 1784 a Leopold
dei suoi concerti: sebbe
Landon la paragona ad u
nea di aver avuto trent
insieme, il pianista Geo
ham Fisher. Lo stesso L
miniatura di molti di c
ancora borghesi in freg
Faninal di Hofmannsth
nario, una descrizione "
della società musicale vi
Quanto all'altra faccia d
sanno.

Nei concerti mozartiani, vorrei suggerire, si proietta un


e pervasivo. Seguono tutti un impianto in tre templ. Nel p
temente articolato nella sua strategia di scontri a caldo e di c
ve dilazionate, gli attori del concerto paiono cimentarsi in
proprie capacità di collaborazione: il solista si presenta al
mostra come sa fronteggiare i patti ch'essa ha proposto. S
t'altro che inflessibili; nel corso del dialogo mutano consid
giacché l'orchestra accetta ed anzi incoraggia la critica, l'in
fino la spontanea esibizione acrobatica del solista.
Viene poi un interludio pacato e queto (ve n'è di più sp
stupendi). Viene infine perlopiù un rondò; e qui la posta in
ingente che nel primo tempo, dato che il tempo lento ha s
rituale di mutua accettazione tra i partner. Di conseguenza

7 Landon, op. cit., p. 107 (107 dell'ed. it.); Mozart : Briefe cit., III, pp. 3
zo 1784).

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I CONCERTI PER PIANOFORTE DI MOZART 159

naie, più che a un dibattimento o a un'inch


sazione o a un negoziato; tra il solista e l'orch
collaborazione, è ormai di complicità, se no
I tre tempi del concerto disegnano una se
muove verso una sospensione e sfocia infin
scambio collaborativo e creativo procede v
cio questa sequenza al tema della commedia,
vera» che, secondo l'ormai annosa tesi del
Frye, la sottende. In questo mito, l'indivi
società, e la società viene trasformata. In u
miche mozartiane, Tamino impetra accogli
le e l'ottiene suonando un flauto magico; i
suonare il fortepiano.
E vero che della sinfonia o del quartetto
corrano la stessa traiettoria senza con ciò far riferimento ad attori o a
formazioni sociali; ed è forse vero che la sequenza si lascia disegnare in
termini non metaforici, puramente tecnici. La differenza, nel concerto,
sta nel modo in cui il mito è personificato: è questo ciò che colpisce e
soggioga. L'attrice hollywoodiana Joan Crawford lo disse come meglio
non si potrebbe, in un film d'anteguerra che pochi di noi oggi ricordano:
«Mi piacciono alcune delle sinfonie, ma tutti i concerti».

Un buon test di resistenza per la mia interpretazione dei concerti


mozartiani lo offre il K. 491 in Do minore, del marzo 1786. Come pa-
recchi commentatori hanno osservato, il tempo primo di quest'opera
sorprendente si discosta in vario modo dalla norma consueta e si svinco-
la dalla tradizione. Tale libertà scaturisce, direi, dalla portata delle rea-
zioni che il solista oppone alla situazione in cui versa: egli non soltanto
mette in discussione l'egemonia dell'orchestra, ma punta a strapparle il
dominio del discorso musicale. Nell'ambiguo sforzo di creare o definire
da sé la forma, il solista è in questo concerto più perentorio - ed anche
più vulnerabile - che in qualsiasi altro di Mozart.
Sono parecchie le caratteristiche inconsuete che corroborano, cre-
do, questo assunto. Innanzitutto - e la cosa è ovvia, sebbene non se ne
sia sempre còlta e ponderata l'ovvia implicazione - l'assolo non attacca
la sua prima campata alla maniera tradizionale, ripetendo o echeggiando
il tema principale dell'orchestra (come s'è visto nel K. 467): esordisce
invece con un tema espressivo, tutto suo. A me pare una mossa evidente
per dettare lui, diciamo così, l'ordine del giorno dei lavori; e all'ordine
del giorno c'è una nuova disciplina della traiettoria discorso -»•esibizio-

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160 JOSEPH KERMAN

ne prima descritta: nella


mente percorsa due vol
265. Il solista ottiene - o
vura, che totalizzano ben
lo di rito. Charles Rosen
classico ,8 non si cura di
sere scrupoloso, ammette
due spetti il merito di t
noforte.
A giudicare dal séguito, si direbbe che tanta iniziativa da parte del
solista spinga l'orchestra a recalcitrare: la seconda campata solistica con-
tiene un esempio, raro in Mozart, di vera e propria colluttazione tra soli-
sta e orchestra. Il passo in questione inizia (batt. 309) con le modulazio-
ni tipiche d'uno sviluppo, dopo di che il pianoforte si divincola dall'or-
chestra per piombare su una chiusa brusca, nel registro medio-basso: fin
troppo brusca per l'orchestra, a quanto pare, visto ch'essa reagisce con
una mossa inaudita, e marcatamente aggressiva (batt. 330):

Esempio 2

8 The Classical Style cit., pp. 245-248 (279-284 dell'ed. it.).

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I CONCERTI PER PIANOFORTE DI MOZART 161

II pianoforte, inorridito, ne è come travo


Alla quarta replica dell'orchestra, proprio
bra ormai implacabile, l'orchestra recede
condurre a termine la sua corsa senza ulteriori scarti.
Subita questa mortificazione, il solista smarrisce il suo impulso
formalizzante: da qui in avanti, è visibilmente sottomesso. Quando
gli viene offerto un nuovo tema da chiosare, non ne cava gran che
(batt. 444-463); e gli rimane appena l'ombra dei due lunghi passi di
bravura: 28 battute in tutto, e un sol trillo, rispetto al totale di 84
battute e due trilli nella prima campata assolo.
Proprio per questo l'esibizione del solista nella cadenza è investi-
ta d'un peso e d'un pathos specialissimi. In nessun altro tempo primo
di concerto la cadenza ha tanta importanza quanto nel K. 491, seb-
bene di essa "possediamo" soltanto l'idea, il concetto: il suo status
ontologico è quello dell'improvvisazione pura e semplice, non
esplicitata.
Il solista è stato zittito, e occorre farne ammenda. Mozart, che ha
steso le cadenze di gran parte dei propri concerti, non ne ha lasciata
alcuna per il K. 491; ha tuttavia lasciato un segnale eloquente, lo
spunto d'un impulso inventivo fresco fresco. Anche quando le scrive
per esteso, Mozart non suole includere nelle partiture autografe le
sue cadenze, vi annota però il trillo cadenziale, a mo' di richiamo o
d'imbeccata: ed è proprio questo richiamo a mancare nell'autografo
del concerto in Do minore.9 Non c'è dubbio che con ciò Mozart
avesse in mente una cadenza che sfocia direttamente nella coda or-
chestrale, senza il trillo di rito.10 Ora, trattandosi di Mozart, il trillo
omesso fa parte d'una strategia più vasta: non essendosi il solista con-
gedato con la protocollare reverenza del trillo cadenziale, può conti-
nuare - l'effetto è inaudito - a tormentare l'orchestra fino alla fine,
in un passo giustamente celebre (batt. 509 sgg.) che esercitò un
grand'influsso su Beethoven.11 Gli arpeggi del pianoforte che di tra

9 Cfr. p. 33 nell'ed. in facsimile Mozart : Piano Concerto in C Minor , K. 491 , Washing-


ton, Robert Owen Lehman Foundation 1964.
10 Una cadenza senza trillo per il concerto K. 491, di Saint-Saëns, si ascolta in una vec-
chia, famosa incisione discografica di Robert Casadesus. Malcolm Bilson, nella bella registra-
zione diretta da John Eliot Gardiner per r«Archiv-Produktion» della DGG, esegue una ca-
denza che finisce senza trillo ma che, invece di sfociare direttamente nella brumosa, balenante
coda orchestrale, riannuncia il primo tema del concerto, eseguito dal solo pianoforte prima
della coda, fortissimo : l'anacronistica allusione alTop. 37 di Beethoven dà il capogiro.
11 Per una breve discussione, cfr. J. Kerman, Notes on Beethoven's Codas y in Beethoven
Studies , III, a cura di A. Tyson, Cambridge, Cambridge University Press 1982, pp. 141-159:
143-145.

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162 JOSEPH KERMAN

bagliori e vapori obnubi


sfidano per l'ultima vol
tà. Tra discorso e sfogg
rimangono indecisi.

Quanto al finale del co


la tradizione. Non è un
modo da lasciare ben po
tivo vuoi complice-collu
che conta è la conclusion
da: entrambe sono mon
qui assistiamo ad un'os
che, appena l'orchestra t
propria:

Esempio 3

Questa figura ostinata, che insiste sull'intervallo "napoletano" Reb-


Do in almeno due versioni ritmiche diverse, risuona non meno di
quattordici volte: con un effetto di saturazione assai poco tradiziona-
le, poco classico, poco mozartiano. Invero il pezzo è arcano, inquie-
tante, unheimlich nel senso originario, romantico, della parola; altret-
tanto arcana è la somiglianza di questa figura col rabbioso motivo or-

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I CONCERTI PER PIANOFORTE DI MOZART 163

chestrale che a metà del tempo primo in


mus. 2).

In questo saggio ho elaborato una prospettiva dei concerti mozar-


tiani che aderisce al mito fondativo della commedia, e poi ho dedica-
to un bel po' di spazio a mostrare come un concerto, il K. 491 in Do
minore, non aderisca affatto al mito. E questo l'ultimo concerto per
pianoforte composto per la serie di quattro stagioni consecutive di
Akademien.
Fu steso nel marzo 1786, alla fine della quarta stagione, poche
settimane prima che Le nozze di Figaro andassero in scena. La prima
composizione concertistica che Mozart presenta ai viennesi, nella sta-
gione 1781-82, è un pezzo di sfrontato, compiacente esibizionismo, il
rondò in Re maggiore K. 382; quattr'anni dopo offre a Vienna il con-
certo in Do minore, perturbato, conturbante. La stagione successiva
annovererà una sola serie di Akademien, nel dicembre 1786: Mozart
compone un solo concerto nuovo, il K. 503 in Do maggiore. Val la
pena di notare che queste sono le prime Akademien per le quali com-
pone una sinfonia apposita (K. 504, «Praga»). Come osserva Charles
Rosen, il concerto K. 503, che non sarà mai dei prediletti dai melo-
mani, è invece di quelli cui «molti musicisti (musicologi e pianisti in
egual misura) sono particolarmente affezionati».12 Ma al confronto
dell'altro concerto in Do maggiore, K. 467, il K. 503 è un'opera mo-
numentale, proibitivamente fastosa: non è davvero gran che giocoso,
anzi è stranamente algido, ad onta della vena di malinconia che
Rosen acutamente vi scopre. Che Mozart non inventi un tema nuovo
di zecca per il rondò, e lo prenda a prestito da una composizione sua
vecchiotta e nostalgicamente vagheggiata - YIdomeneo -, è un altro
sintomo d'inquietudine. Austero ed astratto, il K. 503 registra un
netto scarto di temperamento nella sequela dei concerti mozartiani.
Si potrebbe dire che registra uno scoramento.
Forse all'altezza del 1786 il pubblico viennese s'è stancato di Mo-
zart: non è impossibile. E anche possibile che sia Mozart ad essersi
stuccato dei viennesi. Più esattamente, potrebb'essergli venuto in ug-
gia il mito consolatorio ch'egli aveva, con i viennesi, impersonato
concerto per concerto, anno per anno da che era giunto nella capita-
le. Col concerto in Do minore, mette in discussione il tacito contrat-
to con essi stipulato; se questo o quel sottoscrittore delle Akademien

12 The Classical Style cit., p. 251 (285 delPed. it.).

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si fosse sentito
versiva, diffici
Einstein molt'a
ro i viennesi»:
monia collettiv
per i suoi bisog
primo Mozart,

(' Traduzione da

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