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La musica da camera.
Il teatro.
C) Le opere della piena maturità e i grandi capolavori, nati negli ultimi dieci anni di
vita di M. Dopo Idomeneo, re di Creta (3 atti di G.B. Varesco, Monaco 1781) è la
volta di Belmonte und Costanze, oder Die Entführung aus dem Serail (Il ratto dal
serraglio, 3 atti di G. Stephanie, Vienna 1782); a esso avrebbe dovuto seguire (1783)
L'oca del Cairo (opera buffa di G.B. Varesco, rimasta incompiuta e ricostruita da V.
Mortari nel 1937), che sarebbe forse stato un altro capolavoro nel rinnovato «stile
italiano» di M. In questo periodo si colloca l'incontro con Lorenzo Da Ponte e la
prima collaborazione con lui per un'opera buffa rimasta anch'essa incompiuta, Lo
sposo deluso, ossia La rivalità di tre donne (1783). Dopo un'operina tedesca scritta
per la corte di Vienna, Der Schauspiel Direktor (L'impresario, 1 atto di G. Stephanie,
Schonbrünn 1786), che mette in satira il mondo operistico dell'epoca, appare Le
nozze di Figaro (2 atti di L. Da Ponte da Beaumarchais, Vienna 1786), seguito a
distanza di un anno da un altro grandissimo capolavoro, Il Don Giovanni (2 atti di L.
Da Ponte da Tirso de Molina, Praga 1787). Con Così fan tutte, ossia La scuola degli
amanti (2 atti di L. Da Ponte, Vienna 1790) M. raggiunge il più alto equilibrio nel
rapporto fra componenti strumentali e vocali, creando una «commedia musicale» di
geometrica armonia. Il vero testamento operistico di M. è Die Zauberflöte (Il flauto
magico, 2 atti di E. Schikaneder, Vienna 1791), sebbene un capolavoro, solo di
recente riscoperto, sia anche La clemenza di Tito (2 atti da Metastasio, Praga 1791).
Morto a trentasei anni non ancora compiuti, M. è uno dei casi più miracolosi di tutta
la storia della musica. Utilizzando un linguaggio che era comune a molti compositori
dell'epoca, egli non operò rivoluzioni, ma seppe elevare i modelli a una classicità che
apparve a Goethe come il coronamento finale della razionalità e dell'equilibrio dello
spirito, paragonabile solo a quello che segna il periodo aureo dell'arte greca. Questa
immagine «apollinea» di M., volta a individuare nella sua musica l'ideale di una
grazia e bellezza raggiunte senza sforzo, non oppresse dal peso della materia neppure
nei momenti di più sofferta espressione, rimase prevalente per tutto l'800 romantico,
che della sua figura fece un mito contrapposto a quello di Beethoven e all'idea della
forma beethoveniana come rappresentazione di conflitti titanici e di faticose catarsi. E
tuttavia, sotto l'apparente levità mozartiana si avvertono inquietudini, improvvisi
addensamenti e misteriose zone d'ombra, non tali da capovolgerne l'immagine ma
sufficienti ad adombrare contenuti espressivi più complessi e stratificati di quanto
non appaia a prima vista. Non si tratta soltanto dei celebri capolavori «notturni»
mozartiani (dal Concerto per pianoforte K. 491 al Quartetto in re minore K. 421, dal
Don Giovanni alla Serenata per fiati K. 388, ma di una disposizione costante
all'ambivalenza e alla volubilità dei significati, per cui di ogni maschera si intravede
anche il volto nascosto, e ogni arguzia porta con sé i segni dell'angoscia e ogni
sicurezza quelli del dubbio. Esempi di quest'arte sublime dell'ambiguità e
dell'allusione sono, per citare a caso e in contesti fra loro diversi, il personaggio della
Regina della Notte nel Flauto magico, la Sinfonia in sol minore K. 550 e la «Piccola
musica notturna» (Eine kleine Nachtmusik K. 525). Come poi Beethoven, anche M.
concepisce la struttura della forma-sonata come una drammaturgia tra caratteri
espressivi contrapposti (al punto da applicarne il principio anche fuori dei contesti
formali consueti, ad es. nei cicli di variazioni o nelle arie). Ma, diversamente da Bee-
thoven, non tende a esasperare i contrasti, bensì a sfaccettarli, a rivelarne le intime
contraddizioni, sicché anche la risoluzione finale non suona mai del tutto liberatoria e
trionfale, ma conserva in sé qualcosa di sospeso e di enigmatico.