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SEMIOGRAFIA MUSICALE

MUSICA ALEATORIA
L’origine del termine
• Alea iacta est, ossia «il dado è lanciato».
• Col termine alea, che vuol dire dado, si indica il
procedimento compositivo mediante il quale
nell’esecuzione vengono introdotte la casualità e
l’indeterminatezza, secondo le intenzioni
dell’autore.
• Il compositore esercita così un controllo più o
meno «pesante» sul proprio brano. In base alle
sue indicazioni, saranno gli esecutori a realizzare,
improvvisando, una o più sezioni.
L’improvvisazione non è una novità
• Suonare musica non scritta era assolutamente normale fin dall’antichità,
sia in ambito popolare che colto. Ci sono pervenuti documenti musicali
che riportano solo linee monodiche, dalle quali gli esecutori sapevano
ricavare le parti vocali e strumentali, anche in contrappunto.
• I virtuosi del periodo d’oro del Belcanto erano perfettamente in grado di
improvvisare abbellimenti e ornamentazioni varie ogni volta che
eseguivano arie col «da capo».
• I grandi solisti di pianoforte, violino, flauto, ecc. del Settecento e
Ottocento improvvisavano sempre ad ogni «Cadenza» di concerto (di
solito alla fine del primo tempo): infatti, i compositori non le scrivevano e
non sono tanto frequenti quelle composte direttamente dall’autore.
• La pratica improvvisativa degli esecutori è caduta progressivamente in
disuso man mano che lo studio musicale veniva istituzionalizzato e il
repertorio codificato.
Il ritorno dell’improvvisazione e il
nuovo concetto di suono
• Nella seconda metà del Novecento, si contrappongono due opposti pensieri
compositivi: l’iperdeterminismo, di matrice weberniana, e l’alea, che ha origini
americane e si diffonde rapidamente in tutto il mondo.
• L’inizio del pensiero aleatorio si fa risalire tra il 1950 e il 1951, ad opera degli
statunitensi Morton Feldman e John Cage.
• Questo momento coincide con la ricostruzione postbellica, la ripresa
industriale e il progresso in campo tecnologico, in particolare nell’elettronica.
Nuovi suoni destano l’interesse dei compositori d’avanguardia e dunque
cambia anche il concetto di suono. Ad esempio, inizia a farsi sempre più labile
la distinzione tra suono e rumore. Non solo, via via cambia anche l’idea di
forma musicale. Il pensiero aleatorio investe tutti i codici del linguaggio
musicale finora accettato e condiviso.
• Inevitabilmente, sorge l’esigenza di adottare notazioni più adeguate e, di
conseguenza, la grafia musicale si arricchisce di altri elementi. Ne vedremo i
più caratteristici.
UN ESEMPIO
«Volumina» di G. Ligeti, è una composizione per
Una cascata d’acqua (in foto, la Cascata delle Marmore),
organo in cui è applicato il principio del suono
è formata da infinite gocce che, muovendosi, generano
un suono «complesso», risultante dall’unione di infiniti complesso: più tasti premuti contemporaneamente
suoni «semplici». Questo suono – somma è continuo, (cluster) in registri diversi semplicemente suggeriti
ma può variare di intensità e di consistenza a seconda all’esecutore, in un tempo continuo espresso in
della portata d’acqua e non possiede un’intonazione secondi. Gli spazi lasciati vuoti indicano momenti di
determinata. pausa. L’alea è qui presente nelle altezze
indeterminate.
STRIPSODY

Anche «Stripsody», di cui ci siamo già occupati a proposito della notazione per la
voce, si basa su principi aleatori, lasciando indeterminate tutte le durate e
definendo tre registri vocali per orientarsi nelle diverse altezze sonore. Su questi
due parametri deve intervenire direttamente l’esecutrice.
Serenata per un satellite (Bruno Maderna, 1969),
ovvero il gioco delle costruzioni
Questa celebre composizione strumentale, scritta in occasione del lancio del satellite
artificiale ESTRO I, presenta un pensiero aleatorio abbastanza marcato sul piano
strutturale. Non troviamo una forma, bensì dei percorsi sonori che ciascun esecutore
può predisporre in base alle possibilità del proprio strumento. Percorsi che,
graficamente, risultano interessanti anche da vedere, come avveniva nel Rinascimento
con i madrigalismi: nel caso presente, i pentagrammi fluttuano e disegnano orbite in un
cielo di carta. Si conferma vera l’affermazione di Schmid “ La notazione trasmette
all’occhio ciò che riguarda l’orecchio”. Un chiaro esempio di grafia descrittiva, utile,
usando parole dello stesso Maderna, per «dare l’idea».

Il brano va letteralmente “montato” come in un gioco di costruzioni: il risultato finale


sarà sempre diverso.

In tal modo, si potrà ripetere più volte un percorso, anche a più velocità, compiere
deviazioni, fermarsi...nell’ambito delle libertà concesse dall’autore.

Ma quali sono queste libertà?


Scrive Maderna nella legenda, in basso a sinistra nella
partitura:
“Possono suonarla violino, flauto (anche ottavino),
oboe (anche oboe d'amore, anche musette), clarinetto
(trasportando naturalmente la parte), marimba, arpa,
chitarra e mandolino (suonando quello che possono),
tutti insieme o separati o a gruppi, improvvisando
insomma, ma! con le note scritte".
Perciò, nell’ambito di un organico variabile, ciascun
esecutore può agire su più parametri sonori, ma non
sulle altezze o sulle dinamiche (che sono invece scritte):
ad esempio, sulla velocità (Maderna indica tre possibili
andamenti) o sulla durata del brano, tra i 4 e i 12
minuti. E questo non è poco.

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