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CONCETTO BERTOLINI

ANALISI DEL

PRÉLUDE À L’APRÈ-MIDI D’UN FAUNE DI

CLAUDE DEBUSSY
ANALISI DEL PRÉLUDE À L’APRÈ-MIDI D’UN FAUNE DI CLAUDE
DEBUSSY

Soltanto in tempi relativamente recenti, la figura di Claude Debussy sembra aver


trovato la giusta collocazione nella storia del pensiero musicale. Nato da famiglia
umile, Debussy si mise subito in evidenza come studente ribelle negli anni in cui
frequentava il conservatorio. Refrattario ad ogni imposizione o regola scolastica, si
mostrò viceversa permeabile alle suggestioni esterne che riuscivano ad attrarre la sua
attenzione e il suo estro creativo. Le esperienze che influirono sulla sua formazione
furono molte e tra loro diverse. In ambito musicale, possiamo sicuramente annoverare
la conoscenza del Tristano di Wagner, del Boris Godunov di Mussorgskij, della
musica indonesiana, con la quale venne a contatto in occasione dell’esposizione
universale di Parigi del 1889, l’amicizia con Erik Satie da cui mutuò una tecnica
compositiva basata sulla sovrapposizione di terze fino a formare accordi di 4 e 5
suoni, ma in ambito modale (una sorta di octoechos con accordi di nona e di settima).
Ma, come Paul Dukas ebbe modo di asserire, l’influenza maggiore sulla personalità e
anche sulle scelte estetiche di Debussy, fu esercitata non dai musicisti, bensì dai
poeti, primi tra tutti Maeterlink (che scrisse Pelleas et Melisande) e Mallarmé, autore
della lirica Aprè-midi d’un faune.
Anche Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, Huysmans e molti pittori simbolisti e
impressionisti furono tenuti in grande considerazione dal musicista francese.

Le caratteristiche tecniche delle opere di Debussy sono state molto ben


classificate dallo studioso Dieter De La Motte. Prima di procedere con l’analisi vera e
propria, è bene dare un breve saggio di tali caratteristiche. Il De La Motte riconduce a
quattro punti fondamentali, tutti i percorsi logici dell’arte debussyana.
1. La scala “slendro”, il “pelog” e la scala per toni interi.
Le scale che Debussy mutuò dal sistema balinese sono due: La prima è
denominata “pelog”, l’altra “slendro”. Vediamo brevemente di capire di cosa si tratta.
Più che scale, nel senso in cui si intendono in occidente, si tratta, ovviamente di
suddivisioni dell’ottava. Il pelog consta di sette suoni. E’ affine al deuterus
gregoriano, ma il la e il re vi sono usati molto sporadicamente, e non si ha la
prevalenza di una nota sulle altre. La divisione slendro, è invece costituita da cinque
intervalli quasi uguali tra loro. L’orecchio dell’ascoltatore europeo aggiusta
istintivamente le differenze microintervallari che esistono rispetto al sistema tonale,
classificando i suoni uditi a distanze di seconde maggiori e terze minori. Dal sistema
slendro, si passa così ad una scala pentatonica anemitonica. I due intervalli più grandi
sono sempre in punti non consecutivi della scala, quindi non si ha mai una “tonica”
egemone sugli altri suoni. Per il nostro orecchio lo slendro può essere così riassunto: i
suoni, già corretti dall’orecchio non abituato alle frazioni infratonali, possono essere
sintetizzati in DO RE MI SOL LA. Partendo da uno qualunque e ripetendolo come
sesto suono si ha una scala slendro con cinque possibilità di posizionamento degli
intervalli più ampi.
Pelog:

Slendro:

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L’assenza di un suono funzionalmente egemone è l’aspetto più importante del
sistema appena descritto, quello che maggiormente attrasse Debussy.
Un altro modo di riportare approssimativamente lo slendro nella teoria
musicale occidentale è la scala esatonale, la quale ha in comune con lo slendro
l’assenza di riferimenti funzionali. E’ la prima vera emancipazione dalla dissonanza
e, conseguentemente, dall’obbligo di risoluzione. Inoltre, con i due sistemi si riesce
anche a scardinare la gerarchia tra melodia e accompagnamento.
Le regole relative alla condotta delle parti e al legame armonico sono così
aggirate.

2. Le trame sonore
L’assoluta democrazia del sistema “armonico” usato da Debussy, si può estendere
alla texture tipica della sua scrittura. Le sue trame sonore perdono, rispetto al passato
il rapporto gerarchico melodia = parte più importante / accompagnamento = parte
meno importante. Ci dice De La Motte: «…è una stoffa intessuta da fili di uguale
spessore, senza un inizio e senza una fine. All’interno di questa stoffa si può solo
vedere di volta in volta la scelta di scale per toni interi, slendro o passaggi cromatici.
L’influenza della “democrazia” funzionale di Debussy si può estendere alla
concezione temporale degli eventi musicali, i quali si susseguono senza un preciso
ordine che consenta di intuire ciò che sta per succedere o l’imminente fine del brano.
Un evento può anche emergere sugli altri, ad un certo punto, ma sarà solo un punto
che si estinguerà così com’è apparso, senza che alla fine lo si possa giudicare più
importante di tutti gli altri».

3. I ripieni sonori
L’idea di raddoppio nell’orchestra, ma anche nello strumento solista polifonico,
in Debussy ricalca in un certo senso quella della registrazione organistica. In questa,
un suono eseguito singolarmente può essere moltiplicato per quinte e ottave
successive con l’introduzione del ripieno.

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Ai suoni del ripieno si può anche aggiungere, com’è noto, la terza, quinto
armonico di un suono in ottava. Mentre nella scrittura organistica il suono è uno e
viene moltiplicato in fase di registrazione, Debussy scrive graficamente tutti i suoni
che compongono il “ripieno” di un dato suono. Gli esempi sono innumerevoli:
preludi per pianoforte, Pour le piano, Nocturnes, La Mer etc.
Essi possono assumere le seguenti forme:
ripieno vero e proprio, cioè suoni arricchiti di terze, quinte ed ottave;
ripieno tonale, in cui tutti i suoni del ripieno stesso appartengono ad una
tonalità, magari un po’ allargata o mutilata (cfr. La Cathédrale
engloutie);
ripieno atonale, in cui gli accordi hanno medesima forma grafica (per
esempio terza, quinta e ottava) ma disposizioni intervallari che ne
alterano continuamente il modello, ad esempio con l’alternanza di triadi
maggiori, minori ed aumentate;
ripieno modulante, che lascia intersecare tra loro ambiti tonali differenti;
ripieno cornice, in cui solo le parti estreme sono condotte secondo il
principio esposto
ripieno “slendro” in cui i suoni del ripieno sono scelti dalla scala
balinese
polifonia di ripieni, ovvero la simultanea esposizione di due o più
tipologie di ripieni.

4. L’armonia e la struttura compositiva come unità di invenzione

Nell’opera di Debussy, armonia, struttura e forma costituiscono un tutt’uno


inscindibile e assolutamente nuovo rispetto ai predecessori e ai contemporanei. Nella
sua musica, l’idea dell’armonizzazione è molto vaga e un accordo che accompagna
una melodia nel senso tradizionale è un evento molto raro. Le note della melodia
sono le stesse degli accordi che le sostengono, anche se la melodia può avere dei

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suoni estranei all’armonia appositamente creata per esse. Da questo punto di vista, è
necessario ridefinire il concetto di dissonanza, che altrimenti, in Debussy, non
avrebbe ragione di esistere. Ogni accordo assume la caratteristica di spazio sonoro,
con la sua durata, in genere molto più lunga che nella musica di epoche precedenti, e
il suo colore orchestrale (o strumentale). La durata più lunga fa sì che l’accordo
diventi facile da ricordare, come se fosse un’immagine lungamente osservata. Il ruolo
dell’accordo non sarà dunque né di subalterno, né di sostegno a qualsivoglia altro
elemento del discorso musicale, bensì quello di un protagonista del brano. “al mutare
dei colori e del corso degli eventi, mutano gli accordi”. Accordo, timbro e struttura,
dunque, viaggiano e cambiano assieme, spesso modificandosi solo nelle sfumature,
cosicché sia molto difficile distinguere bruschi spostamenti direzionali; sono i tre
elementi che costituiscono l’unità di invenzione di Debussy.

Il brano che ci accingiamo ad affrontare non è esaustivo né delle tecniche


compositive, né della poetica di Debussy, comunque lascia intravedere gli sviluppi
futuri del pensiero dell’autore e, per certi aspetti, si configura come una vera e
propria pietra miliare della musica del ‘900.
Sebbene, come vedremo, il brano non rappresenta il Debussy più maturo, esso
contiene già tutti gli aspetti stilistici che caratterizzeranno le opere successive. In
particolare, analizzeremo quegli elementi della tavolozza compositiva che l’autore ha
utilizzato nel brano oggetto di studio:
L’influenza della musica indonesiana, che si manifesta nell’uso di scale
pentatoniche anemitoniche “slendro”, scale per toni interi, scale “pelog”.
La presenza di trame sonore usate in luogo di accordi strutturati in precise
funzione consequenziali (assenza di armonia funzionale).
L’uso di “ripieni sonori” liberamente ispirati alla tecnica della registrazione
organistica.
L’armonia e la struttura compositiva intese non come fondamenta sulle quali
poggiare il brano, ma come reale “inventio” della composizione stessa.

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All’interno di queste quattro categorie, si possono trovare: accordi figurati,
accordi a pendolo e sovrapposizioni, prevalentemente di terze, ma anche di quarte.
L’idea musicale scaturisce dalla già citata lirica di Mallarmé, una poesia carica di
sensuale erotismo, nella quale un fauno suona il flauto immerso in torridi desideri
erotici. Le ninfe soddisfano il fauno, il quale alla fine riposa serenamente suonando
ancora il flauto. Una lettura molto superficiale del brano musicale, vedrebbe la
melodia iniziale del flauto solista ripetersi alla fine, vedrebbe in qualche crescendo un
tumulto erotico e vedrebbe perfino in certi ritmi ternari e in alcune masse accordali, il
caldo torrido del pomeriggio del fauno. In realtà, la musica di Debussy aderisce
perfettamente alla poesia simbolista di Mallarmè, ma non è mera descrizione, è un
nuovo pensiero musicale che esplode in maniera davvero incontrollabile ed
inaspettata. Della sua composizione Debussy disse ai dottrinari formalisti suoi
contemporanei: “Rassicuratevi, l’opera è proprio costruita; ma cercherete invano le
colonne, io infatti le ho tolte…”. In questo senso, l’opera sembra sfidare l’analisi, ma
l’approccio è possibile con relativa facilità, se si conoscono i principi strutturali e le
tipologie tecniche del compositore. Il brano presenta anche alcuni legami con il
passato, che scompariranno del tutto nelle opere successive. Innanzi tutto, un certo
tematismo, costituito da un’unica idea ricorrente che attraversa l’intero brano (è
l’idea iniziale del flauto solista). Poi, un certo sapore formale che rimanda alla
schema ABA. Se però è facile individuare una sorta di ripresa a partire dalla battuta
79 (sezione 8), non è altrettanto semplice individuare la ripartizione centrale, che
sembrerebbe iniziare alla sezione 5 (battuta 31), ma è smentita in parte dalla presenza
di motivi derivati dall’idea generatrice (clarinetto, battute 31-35). Altre possibili
divisioni si hanno alle battute 37,44, e 55, ed appare chiaro che tale ambiguità è
voluta dall’autore, nell’intento di scardinare la forma. Né l’armonia, sempre
autosufficiente e defunzionalizzata, né gli spunti melodici, ognuno dissolto nel
successivo, aiutano a fare luce sui dubbi. Ma veniamo ad una analisi più dettagliata.

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Battute 1-3 La melodia che dà l’inizio al brano è affidata al flauto solo. E’ di
difficile inquadramento tonale. Per lo più cromatica, ma diatonica
in conclusione.
Battute 4-5 Abbiamo il primo accordo della composizione, sulla melodia la#
do# mi sol#.
Distrae ulteriormente da eventuali sensazioni tonali. Il ruolo dei
corni è quello di un nuovo ma discreto elemento melodico che non
prende il sopravvento.
Battute 7-10 Sullo stesso accordo, alternato con sib re fa lab (collegamento
tramite suono comune la# = sib) i corni sembrano voler emergere,
ma vengono appena fuori prima del ritorno della melodia.
Battute 11-14 La melodia ritorna al flauto senza varianti, ma con un diverso
sostegno armonico, del tutto privo di funzioni tonali. Da registrare
la trama sonora di due accordi; l’uso dell’arco al tallone per
conferire mistero. I corni tentano
Battute 15-19 ancora di duettare, ma vengono chiusi dall’oboe che riprende la
coda dell’elemento melodico del flauto solista, dando vita alla
continuazione della prima melodia nella seconda. Numerosi sono
pure i raddoppi del nuovo spunto melodico (violino I e clarinetto),
sempre su trame sonore de accordi alternati “a pendolo”. La scala
utilizzata come fondamenta del discorso è costituita dai suoni do
doppio diesis, re diesis, mi diesis, sol diesis, la diesis, si. Si tratta
di una scala “pelog” sporca, nel senso che alcuni suoni sono
accresciuti di un semitono.
Battute 21-22 L’inciso melodico iniziale, variato, viene esposto per la terza
volta, con una armonia del tutto diversa (do diesis, me, sol diesis,
si sono le note dell’accordo che sostiene il motivo). Le terzine di
viole e violoncelli lasciano presagire sviluppi futuri, ma non
emergono. E’ uno degli aspetti che consentono di definire Debussy

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simbolista, piuttosto che impressionista. Infatti, così come la
parola assume nel simbolismo letterario una valenza polisemia, in
considerazione degli sviluppi della composizione letteraria, così
l’anticipazione ritmica offerta dal compositore francese si veste di
una funzione comunicativa che guarda più avanti dei suoni fini a
sé stessi.
Battute 23-24 La melodia, sempre la stessa, viene trasportata una terza maggiore
sotto e variata nella seconda parte. L’armonia è ancora differente,
e gli archi cominciano ad essere un po’ più presenti.
Battute 25-26 La melodia parte ancora dal do diesis, ma si divide tra il flauto
solista e gli altri due flauti, in una sorta di canone in cui il gioco
cromatico sol-sol diesis e do-do diesis sbilancia ancora
l’ascoltatore, sempre in cerca di un punto d’appoggio di natura
tonale.
Battute 27-29 Quella che sembrava una melodia, agli archi, si tramuta in una
trama sonora sulle note del primo accordo udito nel corso della
composizione. Di esso è ancora vivo il ricordo, ma prima che ci si
appoggi ad esso, l’autore lo dissolve in un altro accordo, grazie
all’aggiunta delle note fa diesis e do diesis (violoncelli e
contrabbassi). Volendo a tutti i costi cercare un riferimento tonale,
l’accordo (nona di prima specie su fa diesis) è dato dalla serie
degli armonici di dominante di me maggiore, tonalità verso la
quale il brano mostra lontani richiami, se non altro per l’armatura
di chiave iniziale. Inoltre, mi maggiore è l’accordo che concluderà
il brano. Se poi si considera che nella tripartizione del brano sta
per concludersi la prima sezione, potremmo dire che l’accordo
suddetto funge da dominante (secondaria o alternativa finché si
vuole) prima della fine di una importante sezione.

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Battuta 30 Il si maggiore della battuta trenta sembra voler suffragare questa
tesi, ma è l’ultimo accenno ad una funzionalità degli accordi,
presto smentita dai repentini cambi di rotta della battuta
successiva.
Battute 31-36 L’elemento melodico iniziale, maggiormente figurato che in
precedenza, viene affiancato da un elemento nuovo ai violoncelli.
Il nuovo colore orchestrale così ottenuto, prepara il cambio di
agonica (En animant) che conduce alla parte centrale del brano.
Tra le battute 32 e 33 è usata una scala per toni interi, la quale,
lungi dall’essere considerata un “vezzo” dell’autore in oggetto, è
invece uno dei mezzi più efficaci per eludere la dipendenza da una
tonica. La scelta, dunque è ancora una volta di tipo estetico.
Battute 37-43 Un nuovo motivo, affidato all’oboe, appare inaspettatamente. E’
basato sulle note do diesis, re diesis, mi, fa diesis, sol diesis, si,
con il re che diventa bequadro alla battuta 39. Inquadrare questo
motivo in maniera tradizionalmente tonale è piuttosto arduo,
tuttavia siamo ancora nell’ambito degli armonici di mi maggiore, e
gli archi lo confermano. In realtà, però, si tratta di una scala
“slendro” sporcata dal re bequadro. L’assenza di semitoni
incrementa l’indipendenza delle note che compongono il motivo,
il quale continua ai violini alle battute 40-41, torna all’oboe e al
clarinetto alla battuta 42 e sembra estinguersi alla battuta 43. Il
trattamento di questa melodia esclude sempre la presenza del
semitono, mentre il cromatismo compare in voci apparentemente
secondarie alle battute 40-41.
Battute 44-48 Su disegni che non sono nuovi, ma che scaturiscono gli uni dagli
altri, ha inizio la sezione centrale, che è quella dai colori più
accesi. Un certo modo di fare contrappunto attraversa tutto
l’organico orchestrale; nell’apparente impronta diatonica delle

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battute 44-45, si innestano, come un ricordo del cromatismo
precedente, le figurazioni dei clarinetti e del corno inglese prima
(battuta 46), e quelle dei violini primi e secondi poi (battuta 47).
Intanto (battute 45 e seguenti), movimenti paralleli a valori di
semiminima appaiono ai legni e vengono riprese sottoforma di
ripieno dagli archi (battuta48), e infine da fagotto, primo clarinetto
e corno inglese. Questo motivo, apparentemente banale, funge da
ponte. E’ infatti al tempo stesso un ricordo delle terzine intraviste
appena in una battuta, la 28 (flauti) e preannuncia il motivo del
climax del brano, che coincide con le battute 65-71. Le rapide
figurazioni in unisono, prima dei legni (battuta 62) e poi degli
archi (battute 68 e 71-72) sono appena accennate alla battuta 45
dai legni.
Battute 51-54 Nel continuo divenire del brano, altre ripartizioni formali
disorientano l’ascoltatore. Qui abbiamo un esempio di “ripieno
tonale” secondo le classificazioni del De La Motte (archi), mentre
spunti “melodici” a valori di semicrome sono proposti da clarinetti
e oboe. La particolarità di questo passaggio è che la “melodia” del
clarinetto è basata sulle note mi bemolle, fa , sol bemolle, sol
bequadro , la bemolle, si bemolle, quindi su un mi bemolle
maggiore - minore, ma il quadro si completa con gli archi, la cui
armonia ci rimanda più ad un la bemolle maggiore “sporco” che
ad un mi bemolle maggiore – minore. Tuttavia, le sezioni
orchestrali, qui come nell’intera produzione di Debussy,
splendono di luce propria e al tempo stesso contribuiscono alla
creazione del colore orchestrale.
Battute 55-62 Ancora un cambio d’immagine. Le battute 55-60 giustappongono
nuovi motivi, su un sostegno armonico costituito dall’alternanza di
due accordi fra loro distanti ma che, ad uno sguardo più attento,

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mostrano una certa parentela. L’accordo di re bemolle maggiore
viene alternato con l’accordo sol-re bemolle- fa-la. Ma è possibile
una lettura come la seguente: accordo di re bemolle maggiore che
diventa re bemolle con quinta aumentata con contemporaneo
ispessimento del tessuto orchestrale mediante l’aggiunta, al basso,
della nota sol. Questo tipo di alternanza è detta “a pendolo”, per la
costante ricorrenza dei due accordi (potrebbero anche essere tre).
Anche in questo caso, l’effetto che l’autore ricerca è quello di
defunzionalizzare l’armonia, ovvero di disorientare l’ascoltatore,
impedendogli di basare la propria fruizione su centri tonali (o
accordali in genere) che presentino una certa stabilità. Alle battute
61-62 troviamo una scala esagonale “sporca” costituita dalle note
do-re-mi-fa diesis-sol diesis-la. Come si può facilmente notare, la
parola “sporco” ricorre nella classificazione delle varie tecniche
utilizzate. Non si tratta di distrazioni, né di superficialità
dell’autore, ma ancora di scelte estetiche. Infatti, anche a sistemi
come lo “slendro”, il “pelog” e la scala esatonale ci si potrebbe
abituare, attendendo da un momento all’altro un suono come
conseguenza di un altro. Allo scopo di evitare ciò, i tre sistemi,
così come i ripieni sonori, le trame e tutti gli altri artifici
debussyani, non vengono quasi mai utilizzati con la precisione
dell’enunciato teorico. Inoltre, i suoni “sporchi”, possono essere
anticipazioni di blocchi accordali successivi, con funzione di
dissolvenza.
Battuta 62 Riecco il gruppo con la nota di volta della battuta 45. Adesso è
presentato in rapida successione e con un trattamento dei legni
all’unisono che crediamo abbia rari o inesistenti precedenti
nell’arte dell’orchestrazione. Da un motivo scaturisce il
successivo, come in una dissolvenza incrociata. Il disegno a

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terzine viene un po’ diluito e, agli archi, riappare il colore delle
battute 55-60. Non è possibile liquidare queste immagini
classificandole come accordi e melodie, poiché costituiscono un
tutt’uno inscindibile. L’alternanza continua di due o tre accordi a
gruppi fa sì che si perda il senso di prevedibilità che spesso
accompagna un brano costruito su armonie funzionali. La reazione
al wagnerismo si manifesta qui come in altre scelte tecnico –
estetiche.
Battute 60-70 Le battute 60-70 possono essere considerate il climax del brano.
Nella logica di un continuo divenire, tuttavia, non bisogna
esagerare nel tentativo di rapportare ad uno schema tradizionale
una composizione che, per scelta dell’autore e con la conferma dei
posteri, si configura come “ribelle” ed anticonformista.
Battute 74-78 Il passo è costruito su due tetracordi uguali in quanto a
disposizione intervallare: si bemolle-do bemolle-re bemolle-mi
bemolle e fa-sol bemolle-la bemolle-si bemolle. La scala che si
ottiene dall’unione disgiunta dei due tetracordi è l’antico deuterus,
qui trasposto sul si bemolle. Ma potremmo anche chiamarlo pelog
su si bemolle.
Battute 79-82 Il colore orchestrale della sezione centrale pian piano degrada
verso quello della terza parte del brano. Quest’ultima può apparire
come una sorta di ripresa, visto che riappare il motivo iniziale del
flauto. Tuttavia c’è un’armonia di mi maggiore che dà una nuova
luce al tessuto orchestrale. A parte il solista, gli strumenti a fiato
sono temporaneamente esclusi, mentre all’inizio del brano
accadeva esattamente l’opposto. L’arpa ha la funzione di far
ricordare, poiché utilizza le stesse figurazioni di
accompagnamento della parte centrale. Dunque, ancora una volta

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si può parlare di dissolvenza incrociata, di un rapporto musica –
immagine che non ha precedenti nella storia della musica.
Battute 83-85 I motivi si mischiano senza un apparente nesso logico. Il motivo
“del fauno” si trova all’oboe, più o meno variato, i corni, i fagotti e
i clarinetti eseguono accordi figurati. Il tutto conduce ai ribattuti
della battuta 85. Anche qui il sapiente gioco delle evocazioni fa sì
che non appaia del tutto nuovo il colore orchestrale. Il raffronto
con la battuta 31 (violoncelli) e con la 34 (sempre violoncelli)
forse non è immediato, tuttavia qualcosa in memoria è rimasto, e
adesso, più che un nuovo motivo, appaiono chiare le differenze dal
precedente. Da notare, alla battuta 85, la trama sonora su do-re-mi-
sol, ottenuta tramite arpeggi e ribattuti nelle varie sezioni. Le note
prescelte, potrebbero costituire i primi quattro suoni di uno slendro
su do.
In tutta la terza parte, il brano alterna momenti di riposo con
sapore pre–conclusivo ad altrettanti accenni di impennate che
smentiscono tale tendenza. Il tutto è sottolineato da un’armonia
sempre defunzionalizzata.
Battute 86-89 A conferma di quanto appena detto, guardando il basso si potrebbe
comodamente affermare che siamo di fronte ad un movimento II –
V – I (sol – do – fa). Ma osservando gli accordi si noterà che si
tratta di una triade maggiore di mi bemolle in primo rivolto
(battuta 86), la quale si ispessisce al grave con l’aggiunta del do
(battuta 88), ed infine con il suono fa (battuta 89). Il movimento si
configura dunque come una trasposizione un semitono sotto
dell’inizio della terza parte del brano (battuta 79). Questo aspetto,
assolutamente nuovo e anticonformista sarà ripreso da Stravinsky,
che ne farà uno degli elementi più noti della sua tecnica (si veda

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ad esempio la funzione dello scivolamento di semitono nel Sacre
du Primtemps).
Battute 90-110 Dalla battuta 90 alla fine, continua il gioco dell’alternanza, ma il
motivo iniziale è sempre presente, ora al corno inglese (battute 90-
94), ora ai flauti (battute 95-96), ora al violoncello solista (battute
100-101), con gli ultimi echi ai corni (battuta 107). Dalla battuta
94 alla 99 un pedale di mi (o dovremmo dire di tonica?) sostiene
l’edificio sonoro, con sovrapposizioni armoniche assolutamente in
consuete come alla battuta 94, dove dell’accordo di tredicesima di
mi rimane il suono fondamentale, a sostenere un accordo di nona
di do, alternato successivamente con la stessa tredicesima, poi con
la settima diminuita sul la (battute 96-97) e con la nona di prima
specie su fa diesis (battute 98-99), sempre sulla stessa nota pedale.
Si giunge alla conclusione senza che si abbia una vera sensazione
di esaurimento del processo evolutivo del brano. Anche il mi
maggiore conclusivo che dovrebbe dire la parola fine rispetto al
brano e rispetto ai nostri dubbi di ascoltatori, finisce per avere
soltanto il sapore di una sospensione.

A proposito di forma e colore, si è spesso accostato Debussy alla pittura


impressionista. Negli anni in cui vinse il Prix de Rome, gli fu osservato che le sue
composizioni procedevano per immagini sonore, per impressioni; si disse dunque, in
senso dispregiativo, che stava egli assumendo toni troppo “impressionistici nel suo
modo di comporre. In seguito si desse che componeva per “macchie sonore”, da cui
l’accostamento a quei pittori che preferivano basare il quadro sul colore anziché sul
disegno. Anche l’uso di altri artisti, di accostare colori simili tra loro, modificando
gradualmente tutto lo spettro cromatico iniziale è riscontrabile in certe composizioni
di Debussy. Se ci si riferisce a ciò quando si dà a Debussy l’appellativo di
impressionista, certamente egli lo fu. Si è visto infatti anche nel Prélude, in quale

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modo certe frasi si fondono con le successive, in quale modo certe trame sonore
dissolvano in altre. Ma è certamente più appropriato cercare riferimenti con i poeti
simbolisti, piuttosto che con i pittori impressionisti. Infatti la parola ambigua dei
simbolisti, deviata verso una valenza polisemia tale da suscitare una miriade di
suggestioni, senza tuttavia soffermarsi su un particolare significato, trova più netta e
profonda attinenza con la musica di Debussy, il quale, dal Prélude in poi, riduce
progressivamente il valore del singolo elemento, per approdare ad una dimensione
quasi allucinata in cui ogni cosa ne evoca e significa molte altre.
L’arte non ha più la funzione di imitare le apparenze del mondo, bensì di
trascenderle, giungendo ad una dimensione “altera” che sfugge ai nostri consueti
canoni di conoscenza. Boulez, nella sua celebre polemica “Schönberg è morto” dirà:
“Soltanto Debussy, in realtà si può ravvicinare a Webern, in una simile tendenza a
distruggere l’organizzazione formale preesistente all’opera, in uno stesso ricorso alla
bellezza del suono per sé stesso, in una stessa ellittica polverizzazione del
linguaggio”. Boulez sostituisce alla triade Schönberg -Berg-Webern, quella Debussy-
Stravinsky-Webern, i quali rappresentano non la fine, ma l’inizio di un’epoca. Nella
musica di Debussy trova posto, oltre alla poetica simbolista e ai mondi sonori
orientali, anche la teoria dell’intuizionismo bergsoniano, soprattutto nella
enunciazione del concetto di tempo. “Il tempo è qualcosa di irriducibile all’istante, è
durata, è processo fluido che conserva il passato e crea il nuovo” (L. Geymonat).
Come non scorgere in queste parole una perfetta attinenza con la musica di Debussy e
con quanto faranno anche Stravinsky e Webern. La concezione musicale del tempo in
Debussy rimanda alle teorie bergsoniane di tempo vissuto, tempo interiore e tempo
spazio. L’accusa nei confronti della musica tonale è quella di alterare la natura del
tempo. Debussy è il primo ad intuire una diversa natura del tempo, che non è più
lineare o rettilineo, ma multidirezionale e spaziale. Ciò si ottiene tramite la
disgregazione della forma e l’atomizzazione del materiale tematico. Ogni istante è
autonomo rispetto al precedente e al successivo, ma al tempo stesso, tutto si
compenetra in un tutt’uno. E’ l’eredità trasfigurata del dionisiaco nietzschiano; è il

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puro divenire che sostituisce, agli antipodi, la musica come narrazione. Questo
progetto artistico, da Debussy va dritto a Stravinsky e Webern, saltando una folta
schiera di totem apparentemente più moderni del musicista francese.

Finito di stampare in proprio.


Catania, luglio 2002
Tutti i diritti sono riservati.

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