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Storia della Musica per Didattica

Il Secondo Novecento
Andrea Lanza

Capitolo 3. Le Avanguardie del Secondo Dopoguerra

Se all’inizio del Novecento l’avanguardia era un elemento di eversione dell’ordine costituito, nel secondo
dopoguerra essa non fu più l’eccezione ma divenne la regola, la condizione permanente di produzione del
nuovo.

[Dopo il 1914 Schoenberg diede vita alla Dodecafonia.


La base della musica dodecafonica diventa la serie che in pratica sostituisce il tema e rappresenta come disse lo stesso
Schonberg : "la prima idea creativa". Nessuno dei dodici suoni della serie può essere riproposto prima dell'esecuzione
integrale della stessa, ciò per evitare che un suono ripetuto possa assumere una posizione predominante .
L'esecuzione può avvenire sia orizzontalmente ( melodia), che verticalmente (armonia) . In quest'ultimo caso è
assolutamente necessario evitare qualunque tipo di evocazione tonale.
Alla base di un pezzo dodecafonico ci sta una “serie”, cioè un ordine attribuito ai 12 suoni della scala cromatica;
la serie che viene definita originaria (O) può essere eseguita in tre differenti modi:
- retrograda, quando la serie viene riproposta all'incontrario, cioè dall'ultima nota alla prima ;
- inversa, quando cioè gli intervalli vengono proposti per moto contrario, cioè ad un intervallo superiore
corrisponderà un intervallo inferiore e viceversa ;
- retrograda – inversa (inversione della retrogradazione), quando cioè viene applicato il moto contrario alla
serie retrogradata.
Se a questo aggiungiamo che ogni serie può essere trasportata in tutti i dodici gradi della scala cromatica ci accorgiamo delle
tante possibilità di cui gode il compositore.].

Il punto di riferimento obbligato dell’avanguardia musicale del secondo dopoguerra furono l’opera di Anton
Webern (allievo di Schoenberg) e il suo principio della “Costellazione”, cioè la frantumazione del tessuto
musicale in nuclei sonori dissociati (detti, appunto, costellazioni sonore) che, in ambito orchestrale, vengono
distribuiti t ai diversi strumenti;
in tale principio e in tutta la successiva musica puntillistica, è implicita anche la concezione visiva della
musica in cui, proprio con la tecnica del Puntillismo, la spazialità si sostituisce alla temporalità e la
composizione è intesa come proiezione di punti nello spazio, una realizzazione di blocchi e di figure quasi
come se la musica venisse estratta da un progetto pittorico (da qui deriva anche un’evoluzione della
notazione e della sua scrittura che diventa grafico-visiva e che rinvia direttamente alla struttura della
composizione).

Webern, nella sua condizione di isolamento, si prestava ad un’interpretazione di “azzeramento” e di


negazione del passato;
egli considerava il principio seriale come un punto “zero”, un punto da cui partire per una totale
reinvenzione dei linguaggi;
si sostituì, così, un atteggiamento positivo verso il nuovo e il non convenzionale.

Nel 1952, in un articolo intitolato “Schoenberg è morto”, Pierre Boulez (direttore d'orchestra, saggista e
compositore francese di musica contemporanea) indicò in Webern il punto di partenza per un nuovo
linguaggio sonoro.

La “Nuova Musica” stabilì il suo epicentro in Germania, a Darmstadt, dove i giovani compositori tedeschi
avevano l’opportunità di studiare la musica moderna, il cui principio fondamentale era il serialismo
weberniano, preceduto dallo stile “puntillistico” che prevede cellule melodiche disseminate a grande
distanza tra loro.

Il serialismo ha le sue radici nella crisi del sistema tonale all'inizio del XX secolo e trova la sua prima compiuta espressione
nella dodecafonia, o "sistema di composizione con dodici note", di Arnold Schoenberg.
Il metodo dodecafonico proposto da Schoenberg fu applicato in differenti maniere da vari compositori. Tuttavia è evidente
che sia Schoenberg che il suo allievo Alban Berg non hanno completamente rotto i ponti con la tradizione. Solo Anton
Webern cominciò a utilizzare senza compromessi ed in completo isolamento la serialità dodecafonica. Questo compositore
divenne un modello e un punto di riferimento nei corsi estivi di Darmstadt frequentati da Stockhausen, Ligeti, Berio,
Pousseur, Nono e altri importanti compositori, musicologi e interpreti.

Il cammino opposto è attestato da Boulez nel perseguire l’utopia di un linguaggio oggettivo, riducibile
all’astrazione numerica.
Ma, a questa metafisica numerica si sottrae Stockhausen che, con le sue scelte istintive fatte di impulsi
irrazionali (ad esempio, nei suoi “Klavierstucke” il pianoforte utilizza dei clusters e frequenti salti di registro,
etc.), affronterà dimensioni foniche inesplorate che lo condurranno ad accostarsi alla musica elettronica.

Comunque sia, fu proprio Pierre Boulez a segnare una svolta storica nella corrente post-weberniana con
l’introduzione del concetto di “aleatorio” (sviluppatosi, appunto, dalla crisi del post-serialismo), come
espressione dell’irrazionalismo musicale che prevede l’impiego della casualità compositiva come elemento
integrante della struttura musicale (John Cage, “Experimental Music”, USA).
E’ il caso che, inteso come “intervento dell’imprevisto”, s’insinua nel processo di composizione divenendo
parte integrante di esso, ma sempre come fattore combinatorio di elementi stabiliti dall’autore stesso.

La circolarità delle forme, inoltre, diverrà un topos della composizione aleatoria, in cui non ci sono punti di
arrivo ma tutto è infinitamente variato (addirittura Stockhausen utilizzerà anche un pentagramma
graficamente circolare), e l’interprete avrà un ruolo di compartecipe alla creazione.
(Tramonto del Serialismo).
In Italia, tra i primi ad accostarsi alle tecniche seriali avanzate, furono Bruno Maderna (Serenata n. 2), Aldo
Clementi (Ideogramma), Evangelisti, Gentilucci, Luciano Berio (Sequenza I per flauto solo, poi scritta
anche per altri strumenti);
In Germania, invece, ci furono Henze, Zimmermann, l’argentino Kagel e significativo è anche il contributo
del Giappone con i suoi rappresentanti Makoto Moroi e Takemitsu (tutti compositori di musica
contemporanea).

Agli inizi degli anni ’50, accanto alla sperimentazione post-weberniana, si era sviluppato anche un altro
filone di ricerca che sfruttava i mezzi della nuova tecnologia elettroacustica:
la Musica Elettronica.

La possibilità di produrre suoni elettricamente esisteva già prima della Seconda Guerra Mondiale, con il
Telharmonium (antenato dell’organo elettromeccanico), il Theremin vox (coglie e amplifica i segnali
elettrici e li invia agli altoparlanti), le onde Martenot (strumento con una tastiera a 5 ottave in grado di
eseguire intervalli temperati e glissati), il Trautonium (produceva diversi tipi di suono).

Tali strumenti rimasero a lungo relegati a semplici curiosità, senza esercitare una reale influenza sullo
sviluppo del linguaggio.

Bisogna, però, fare una distinzione tra musica concreta e musica elettronica:
- Nella musica concreta il materiale di base è sempre precostituito, cioè sono i suoni o i rumori provenienti
dalla quotidianità che vengono registrati e successivamente denaturati con tecniche di montaggio;
- La musica elettronica, invece, si avvale solo di suoni generati direttamente dalle apparecchiature
elettroacustiche.

Nel Dopoguerra, il centro della Musica Concreta divenne Parigi che, però, rimarrà un fenomeno
sostanzialmente isolato;
il suo fondatore fu Schaeffer, un ingegniere-musicista;
sarà l’arrivo di Edgar Varese, nel 1954, a dare alla musica concreta il primo vero capolavoro con “Dé sert”,
per orchestra di fiati e percussioni, e il “Poème électronique” , la sua unica composizione interamente
elettronica.

Dell’ambiente parigino, faceva parte anche il greco Iannis Xenakis, il quale applicava delle leggi
matematiche ai procedimenti della composizione (come, ad esempio, calcoli di probabilità ottenuti sul
computer).

Questo controllo razionale degli eventi fonici non farà parte, invece, del “purismo” dello Studio di Musica
Elettronica di Colonia (Germania, 1951) che stringeva i rapporti con la Scuola di Darmstadt.

Il primo brano realizzato nello Studio di Colonia, con intenti artistici, sarà il “Canto dei Fanciulli” di
Stockhausen (1955), con l’impiego di frammenti di canto registrati dal vivo e 5 altoparlanti dislocati in tutta
la sala: situazione, questa, in cui anche l’ambiente d’ascolto diviene elemento costitutivo della musica.
Paragonata a quella di Colonia, sarà anche la ricerca elettronica dello Studio di Fonologia della RAI di
Milano (1955) con i suoi fondatori Maderna e Berio (con “Thema”; un omaggio a Joyce con una
registrazione di una voce femminile che recita un passo dell’ Ulisses di Joyce).

L’ipotesi di una fusione tra musica registrata ed esecuzione strumentale dal vivo è contenuta nell’opera di
Maderna, “Musica su due dimensioni”, ottenuta mediante l’utilizzo della banda magnetica (su cui possono
essere memorizzati dei dati, i quali vengono impressi termicamente usando le più svariate tecniche
di microstampa. E’ tramite la banda magnetica che i dati vengono poi letti).

La distinzione tra musica concreta e musica elettronica, dunque, diventa priva di senso e si passa, piuttosto,
ad una distinzione tra “Tape Music” (Musica su nastro magnetico) e “Living Electronic Music” (Musica
elettronica prodotta dal vivo).

La loro utilizzazione da parte dei complessi pop ha confermato come la musica elettronica sia il prodotto
d’avanguardia più integrabile nella musica di consumo.
In Italia, tra i più grandi compositori, si ricorda Luigi Nono con “La fabbrica Illuminata” e “Ricorda cosa ti
hanno fatto ad Auschiwitz”, in cui il mezzo tecnico viene utilizzato con un fine umanistico.

Grande influenza ebbero il principio della “spazializzazione” delle sorgenti sonore, che diventano elemento
strutturale della composizione, e la saturazione dello spazio fonico con agglomerati sonori, ovvero quella
che viene intesa come Tecnica di Gruppi di Stockhausen, che prevedeva la presenza di 3 orchestre in punti
diversi dell’auditorium, con rispettivamente 3 direttori (“Gruppen”).

Tra gli effetti delle trasformazioni del linguaggio musicale si deve anche annoverare la crisi del sistema di
notazione tradizionale;
nasce, infatti, un nuovo sistema di notazione caratterizzato da segni inediti e codici se miografici che
variavano da compositore a compositore;
un esempio potrebbe essere rappresentato dal “Prelude” per pianoforte di Salvatore Sciarrino, in cui le ottave
sono indicate con linee orizzontali.

Si hanno, in pratica, partiture in tempo libero, senza stanghette che separino le battute o senza una distanza
proporzionale fra nota e nota e, addirittura, verranno introdotte anche nuove grandezze non quantificabili.

La notazione diventa una vera e propria scrittura d’azione;


un esempio è lo spartito di “Tableaux vivants” di Sylvano Bussotti, in cui sono raffigurate le corde del
pianoforte.
( Gestualità e Teatro )
Inoltre, negli anni ’60, nasce la “Poetica del Gesto”, in cui la funzione del gesto non si esaurisce più
nell’esito sonoro che l’accompagna, ma è la musica stessa che produce quel gesto disabituato, capace di fare
spettacolo; nasce, da qui, il concetto di “musica visiva” col quale vengono espresse le affinità tra musica e
gestualismo, cioè il linguaggio dei segni.

I primi esempi di questo tipo di composizioni risalgono a John Cage (compositore statunitense) , con “Water
Music” (1952), in cui il pianista deve travasare dell’acqua da una tazza all’altra e suonare un fischietto
immergendolo prima dell’uso.
Si tratta, comunque, di un meccanismo di provocazione, di una comicità che punta a fare scandalo.

Il gestualismo europeo, invece, prendeva le mosse da una coscienza storica di una crisi, caricandosi di sottili
implicazioni culturali.

Tra gli esponenti vanno ricordati Kagel (con “Match”, 1964, in cui si assiste ad una competizione ginnico-
musicale tra 2 violoncellisti), Schnabel (con “Brani da vedere” e “Visible Music”, in cui gli orchestrali
vengono via via sottratti al direttore) e Franco Donatoni (con “Per
Orchestra, 1962, dove il direttore mima un vigile).

Un altro genere musicale contemporaneo è rappresentato dalle improvvisazioni di gruppo nello “Happening”
e nell’ “Environment”, in cui è previsto il coinvolgimento diretto del pubblico.
(Gruppo Musica Elettronica di Roma; Scratch Orchestra).

Questa tensione del gestualismo si avrà anche nel Teatro, in cui il gesto si configura come evento
drammatico e il musicista-esecutore si trasforma in personaggio.
E, proprio il Teatro, diventa il campo privilegiato delle nuove correnti d’avanguardia;

un altro elemento di innovazione di questo periodo sarà la diffusione del misticismo Zen, come accettazione
della fuggevole mutevolezza delle cose, che si intreccia con la poetica dell’aleatario, del gestualismo e
dell’improvvisazione.

Un caso esemplare è offerto dalla ricezione europea della “Minimal Music” come esperimento di nuove
dimensioni percettive.
La Musica Minimalista ha trovato maggiore consenso nei musicisti più giovani, questo soprattutto perché
essa non richiede un “ascolto strutturale”.
Essa appartiene ramo della musica colta sorto negli Stati Uniti durante gli anni sessanta, e nacque sia come alternativa
al serialismo della musica colta europea di Anton Webern, sia dall'esigenza dei compositori minimalisti di rendere più
accessibile la musica d'avanguardia astratta dei primi anni sessanta, da loro considerata "impossibile da ascoltare".
Il Minimalismo musicale si basa generalmente sulla ripetizione costante di schemi semplici eseguiti da piccole
orchestre, ed ebbe fra i suoi inventori La Monte Young, Terry Riley, Steve Reich e Philip Glass.
Spesso ed erroneamente è accomunato alla sola idea di ripetizione, ma esso si basa, in realtà e più in generale,
sull'estrema riduzione del materiale musicale tradizionale, e su modelli stilistici che variano da compositore a
compositore. Le composizioni minimaliste si presentano timbricamente uniformi, spesso tonali, e prive di una
struttura musicale definita dall'armonia, e cambiano progressivamente, ma in modo quasi impercettibile ed
apparentemente statico, attraverso le ripetizioni e sovrapposizioni ritmiche di cellule melodiche che possono generare,
a volte, tessuti sonori particolarmente complessi.

Dopo anni di sperimentazioni sul linguaggio, però, era necessario in un certo senso restituire la ricerca
musicale ad una dimensione umanistica e di affrontare la questione del rapporto musica/testo.

Di questo problema si occupò Luigi Nono (con, ad esempio, “Il Canto Sospeso” che parlava di lettere di
condannati a morte) che percorse una fase più profonda di introspezione de suono.

Ma, nella loro diversità, Nono, Henze e Zimmermann, si basarono comunque sulla comune concezione che il
teatro musicale dovesse conservare una sua plausibilità nel mondo contemporaneo, a patto -però- che se ne
rinnovassero meccanismi e contenuti.

Parallelamente a ciò, si sviluppa poi una drammaturgia al “negativo”, basata sull’impossibilità dell’esistenza
del teatro d’opera messo in relazione al linguaggio musicale moderno.

Negli anni ’70, l’opera teatrale apparve in molti casi come un’alternativa alla stanchezza dello sperimentare;
e, proprio in questi anni, la stagione della Nuova Musica si potè dichiarare virtualmente conclusa perché,
divenuta una sorta di moda intellettuale, aveva perso l’efficacia delle sue polemiche.

Negli anni ’80 si parlerà poi di post-modernismo in cui, con la tecnologia informatica, tutti hanno la
possibilità di scegliere autonomamente fra i tanti messaggi culturali proposti.

Per i musicisti colpiti dalla guerra, l’avanguardia era stata una conquista intellettuale e sinonimo di libertà;
mentre, per i compositori più giovani era stata solo un’esperienza accademica.

Finisce così l’epoca del rifiuto delle convenzioni e diventa, invece, il momento in cui i musicisti scrivono
per il presente e cercano il consenso del pubblico; diventa il momento in cui la validità di una composizione
sta nella sua possibilità di essere recepita così com’è, senza la mediazione di una critica che la spieghi.

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